Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
E’ complesso riuscire a dare una definizione di cosa sia un “gruppo”. Le definizioni fino ad ora utilizzate
facevano riferimento alle interazione tra le persone e alla presenza di un obiettivo o destino comunque;
queste, però, tenevano conto della descrizione di un gruppo dall’esterno, e non dei vissuti psicologici delle
persone che ne fanno parte. Ci si è quindi soffermati sul senso di appartenenza delle persone e sui processi
di identificazione sociale.
La definizione più completa di gruppo è quella che lo assimila ad una categoria sociale (la quale può essere
ampia, specifica, basata su caratteristiche fisiche o variabili psicologiche), ovvero un raggruppamento
cognitivo di individui.
I. Il processo di categorizzazione
Gli esseri umani trasformano e rielaborano la realtà a seconda dei propri schemi mentali, influenzati da
fattori cognitivi ed emotivi. Uno dei principali strumenti di distorsione della realtà è il processo di
categorizzazione.
La coesione
La coesione di un gruppo risulta essere di grande importanza come cio’ che tiene uniti i diversi componenti
al suo interno; quando un gruppo e’ saliente e rilevante, le persone al suo interno tenderanno a percepirsi
simili tra loro e al prototipo, che essendo valutato in modo positivo, porta tutte le persone del gruppo a
valutarsi in modo positivo. Se questo avviene, tutti i membri del gurppo tenderanno ad apprezzarsi a
vicenda, e secondo Turner, la coesione e’ data proprio da questa attrazione reciproca. Questa spiegazione
porta alla formulazione di due ipotesi: le persone si piacciono perche’ appartengono allo stesso gruppo o
appartengono allo stesso gruppo perche’ si piacciono? La prima ipotesi puo’ essere vera in tutte le relazioni
che non comprendono rapporti faccia a faccia, mentre la seconda vale in gruppi in cui le relazioni nascono
in modo spontaneo. Se la coesione dipende da un processo di categorizzazione, allora si deve ipotizzare che
successi o fallimenti del gruppo vadano a migliorare o minare l’armonia al suo interno, mentre se la
coesione non dipende da un processo di categorizzazione, allora essa sara’ indipendente da successi o
fallimenti del gruppo ed anzi, a volte un fallimento comune puo’ aumentare la coesione di un gruppo.
Esperimento di Turner e collaboratori 1984: divisero i partecipanti in gruppi, il primo creato dagli
sperimentatori a loro arbitrio, e il secondo facendo credere ai partecipanti che fosse stato creato in base a
preferenze da loro espresse; i gruppi dovettero svolgere un compito, e ad alcuni venne detto che era stato
svolto con successo, mentre ad altri che era andato male. I partecipanti che pensavano di non aver scelto i
membri del gruppo lo giudicavano positivamente in caso di successo e negativamente in caso di fallimento,
mentre i partecipanti che pensavano di aver scelto il gruppo di appartenenza non mostrarono cambiamenti
di valutazione sul gruppo in entrambi i casi, ma anzi si noto’ una tendenza a giudicarli piu’ positivamente in
caso di fallimento.
Il pensiero di gruppo
Janis si e’ molto dedicato allo studio delle decisioni prese dai gruppi, in quanto ad essi ci si rivolge per
prendere decisioni piu’ o meno importanti, ma che spesso possono fare errori anche molto gravi. Egli ha
proposto il concetto di pensiero di gruppo: questo si verifica in piccoli gruppi sociali, in cui la voglia di
giungere ad una decisione comune e’ cosi’ forte da portare i singoli ad abbandonare le proprie convinzioni
o a non considerare accuratamente tutte le alternative, perdendo di vista la realta’ dei fatti.
Gruppi particolarmente soggetti a questo fenomeno sono quelli formati da persone esperte e qualificate, in
quanto oggetto di notevoli aspettative, che portano ad una necessaria spinta verso l’unanimita’.
Esperimento di Hogg e Hains (1998) per vedere se fosse inevitabile l’influenza del pensiero di gruppo:
venivano formati diversi gruppi di discussione, formati da amici, persone appartenenti a stessi gruppi, o
altre prese in modo casuale. Il pensiero di gruppo si era mostrato piu’ forte in gruppi appartenenti a stesse
categorie, in quanto condividevano uno stesso senso di appartenenza.
Esperimento di Marlene Turner e collaboratori (1992): hanno creato diversi gruppi varianzo la salienza
dell’appartenenza, bassa oppure elevata, e la presenza o meno di una situazione minacciosa per il gruppo
(videoregistrazione della discussione che sarebbe stata mostrata ad altri in caso di cattiva decisione); la
decisione finale risulto’ peggiore quando la salienza del gruppo era alta e vi era la variante della minaccia.
Secondo Janis la messa in atto del pensiero di gruppo puo’ essere minata da processi che tolgano
importanza al gruppo stesso e incoraggino ad agire autonomamente e in modo critico, come creare
sottogruppi o modificare spesso i membri di appartenenza (cose che pero’ minacciano il concetto stesso di
gruppo). Quindi il processo da combattere deve essere la depersonalizzazione all’interno del gruppo, in
modo che le persone non siano spinte all’unanimita’.
La polarizzazione
Una seconda dinamica presente nelle prese di decisione di un gruppo e’ quello della polarizzazione: lo
spostamento e l’estremizzazione delle opinioni individuali, a seguito di una discussione di gruppo, nella
direzione gia’ preferita prima della discussione. Quindi la decisione iniziale, magari potenzialmente
rischiosa, viene appoggiata dai membri del gruppo che iniziano a ritenerla giusta ed anzi ad aumentare
maggiormente la sua portata (le persone in gruppo appoggiano decisioni che da soli non avrebbero mai
proposto). Non sempre avviene un fenomeno di polarizzazione, ma spesso un fenomeno di convergenza
verso la norma del gruppo, che va a mitigare eventuali posizioni contrarie o estreme. Allo stesso modo
pero’, un gruppo in una discussione puo’ formare polarizzazioni verso posizioni estreme, o di rifiuto, o
comunque in posizioni che vanno in direzioni diverse.
La produttivita’
Un altro tema importante risulta essere quello della produttivita’. Steiner (1972) sostiene ad esempio che la
presenza di un gruppo porti ad una riduzione della produttivita’ individuale. Il primo problema sembra
essere il fatto che le persone non sempre si sentono motivate a dare del loro meglio quando lavorano in
gruppo, e seconda cosa, il gruppo puo’ non avere una buona coordinazione tra i membri. Il risultato di
questi problemi prende il nome di social loafing, ovvero la tendenza a ridurre il proprio sforzo quando le
persone lavorano in gruppi. Allo stesso tempo, pero’, l’evidenza dei fatti dimostra che le persone sono in
grado di produrre di piu’ all’interno di un gruppo rispetto che lavorando singolarmente, come e’ possibile?
Zajonc (1965) ritiene che la variabile da considerare e’ che le persone, lavorando in gruppo, lavorano in
presenza di altri, che si pongono come un ‘pubblico’, che ha la conseguenza di provocare una forte risposta
emozionale (arousal); nel caso di compiti semplici, l’arousal migliora il rendimento della persona, mentre
nel caso di compiti difficili, o nuovi, allora il rendimento subira’ un peggioramento. Tuttavia, questa teoria
non tiene conto delle relazioni che interpongono tra il gruppo e la persona.
Un’altra possibile spiegazione del social loafing parte dall’importanza che il gruppo ha per le persone che ne
fanno parte. L’impegno messo da ogni individuo aumenta con l’aumentare dell’importanza che il gruppo ha
per i suoi membri.
Esperimento di Worchel e collaboratori (1998): in un primo esperimento, gli autori confrontano la
produttivita’ di partecipanti presi singolarmente e presi in diverse situazioni sociali: riuniti in un tavolo con
altri partecipanti lavorando per conto proprio, riuniti in un tavolo lavorando come gruppo e infine
lavorando in gruppo sapendo che il piu’ produttivo avrebbe ricevuto una ricompensa in denaro. Nell prime
due condizioni, gli individui producevano di meno rispetto a quando erano da soli (social loafing), mentre
nell’ultima condizione la produttivita’ del gruppo eguagliava quella degli individui presi singolarmente.
Il problema di questo esperimento e’ che per gli individui il gruppo non fosse significativo.
Gli autori fecero quindi un altro esperimento in cui variavano la salienza del gruppo e al tempo stesso
veniva o meno presentato un outgroup. Se il gruppo non era saliente, la presenza di un outgroup
aumentava leggermente la produttivita’, mentre l’assenza di competizione la diminuiva. Quando
l’appartenenza al gruppo era saliente, in assenza di competizione la produttivita’ diminuiva, portando al
fenomeno di social loafing, mentre quando vi era competizione con un gruppo esterno, la produttivita’
diveniva massima, superando quella individuale.
Esiste un’ultima spiegazione riguardo alla produttivita’ dei gruppi che fa riferimento alla teoria della
categorizzazine di se’ di Turner; egli sostiene che le persone possono categorizzarsi sia come singoli
individui che come appartenenti a gruppi sociali, e che quindi la produttivita’ dipende dalla definizione di
se’ che hanno i singoli e le caratteristiche del contesto in cui viene eseguito il compito. Se esiste una
discrepanza tra il compito e la definizione di se’, allora e’ molto probabile il fenomeno di social loafing;
un’altra determinante e’ la congruenza tra le caratteristiche dell’addestramento ricevuto e quelle del
compito da eseguire; l’unico modo per avere un profitto massimo e’ se le competenze e le capacita’ dei
singoli si combinano perfettamente tra loro. Questo avviene se il gruppo si considera un’entita’ organizzata
e quindi vi sono un grande senso di appartenenza e un’abitudine a lavorare in gruppo.
Esperimento di Moreland, Argote e Krishnan (1996): hanno voluto valutare se il tipo di addestramento
ricevuto dai singoli fosse in grado di influenzare la successiva produttivita’ del gruppo. Hanno addestrato i
partecipanti a eseguire un compito in diverse modalita’ di training, seguite ogni volta da un lavoro in
gruppo. In un altro gruppo di partecipanti, prima del lavoro di gruppo permettevano ai pertecipanti di
conoscersi. In una terza condizione, il training avveniva in gruppo dal principio, e nell’ultima condizione il
training avveniva in gruppo, ma poi i membri venivano assegnati a gruppi diversi. Il gruppo con la maggiore
produttivita’ era quella nella situazione del terzo tipo, in cui la modalita’ di lavoro era esattamente quella
del training.
Per concludere, i gruppi hanno le potenzialita’ per essere pie’ produttivi della somma delle loro parti, ma e’
necessario che: il gruppo sia importante per i suoi membri, le persone devono essere abituate a lavorare
insieme e il gruppo deve essere il piu’ possibile organizzato.
La leadership
L’ultimo aspetto studiato dalla psicologia sociale e’ quello della leadership. Se nella ricerca sono stati
individuati i tratti ideali nella scelta di un leader, si e’ poi visto che questo non veniva riportato della realta’
dei fatti. Il leader e’ quella persona in grado di influenzare gli altri in modo da incrementare il loro
contributo negli obiettivi comuni (Hollander 1985). Il leader dovrebbe essere scelto dal gruppo e non
imposto dall’esterno. Il modello della contingenza di Fiedler sostiene che il leader perfetto e’ quello che
possiede sia caratteristiche intrinseche personali, sia caratteristiche adatte a guidare il gruppo in una
determinata situazione. Tra le caratteristiche del leader vi sono il suo orientamento al compito o alla
relazione (priorita’ al raggiungimento degli obiettivo o alla creazione di buone relazioni); tra le
caratteristiche della situazione vengono considerate la qualita’ della relazione tra i leader e gli altri, il
grando in cui il leader e’ dotato di potere e il grado in cui il compito da svolgere e’ chiaramente strutturato.
1. Se il compito e’ chiaramente strutturato, il leader ha molto potere e la relazione con gli altri e’ buona,
allora il leader ideale e’ quello con orientamento al compito
2. Se il rapporto con i sottoposti non e’ buono, allora risultera’ utile un leader orientato al compito
Questo modello risulta pero’ troppo rigido e non adatto alle situazioni reali. Uno degli aspetti sottovalutati
e’ il carisma, che dipende dalla capacita’ di influenzare il concetto e la stima di se’ dei seguaci, in modo da
alterare la percezione del gruppo delle loro norme ed obiettivi (processo di transazione, in cui conta
veramente solo il rapporto tra leader e membri del gruppo).
La persona all’interno di un gruppo che puo’ essere considerato un leader e’ quello che viene visto dagli
altri come un leader: questa persona e’ il prototipo del gruppo. La prototipicita’ e’ una caratteristica che
varia a seconda delle situazione e dei contesti. Questo implica che anche la figura del leader non e’ fissa ma
dipende dai contesti e dai gruppi di confronto, quindi la figura del leader puo’ cambiare notevolmente nel
caso in cui ci si trovi in una situazione di tipo intragruppo o intergruppi. Questo non implica pero’
obbligatoriamente che il leader debba cambiare in ogni situazione, ma deve rimanere sincronizzato ai
bisogni del gruppo, e puo’ farlo attraverso due strategie: cambiare comportamento in base al contesto, o
influenzare l’interpretazione che il gruppo da’ alla situazione in cui si trova.
Esperimento di Platow e collaboratori (1997): ai partecipanti, tutti neozelandesi, veniva detto quanto
tempo un macchinario per la dialisi renale in un ospedale veniva utilizzato su due pazienti diversi. In una
condizione, entrambi i malati erano neozelandesi, in una seconda, era uno neozelandese e un altro un
immigrato. La distribuzione delle cure poteva essere in entrambi i casi ingiusta o equa. La distribuzione
ingiusta dipendeva in base a quanti contributi erano stati versati al sistema sanitario. I risultati dimostrano
che nella prima condizione (entrambi neozelandesi) il direttore dell’ospedale veniva considerato giusto solo
se metteva in atto una distribuzione equa, mentre nella seconda, veniva maggiormente apprezzato il leader
che aveva utilizzato una distribuzione ingiusta. Il comportamento del leader viene quindi giudicato
diversamente a seconda di un contesto intergruppi o intragruppi.
I gruppi, quindi, non sono entita’ tangibili ma esistono nella mente delle persone e portano a delle
conseguenze:
. Le persone si identificano con un ingroup e sorgono le prime discriminazioni riguardo a chi possa fare o
meno parte del gruppo
. Vengono attivate delle graduatorie di prototipicita’, in base a cui alcuni membri hanno piu’ diritto di
appartenere al gruppo rispetto ad altri
. Una volta stabilita la ‘purezza’ dei membri, sorgono particolari percezioni relative alla coesione,
accompagnate da senso di fiducia reciproca, e all’idea del gruppo come entita’, organismo vivente.