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Noi viviamo in una società a capitalismo avanzato ovvero l’orientamento culturale è liberista ovvero la
concezione dietro società e lavoro è che il lavoro è un mezzo x realizzarsi e + si lavora + la società sarà
migliore . Ha funzioni importanti x le persone ovvero :
• - Benessere materiale economico
• - Identità
• - Soddisfazione
Il lavoro invece apparente può trattarsi di un occupazione nominale ovvero qualcosa che faccio per
prendere soldi , per occupare il tempo ma senza mettere un valore aggiunto x la collettività .
In generale si può ritenere che vi sia un legame psicologico tra la persona e il lavoro, che travalica
l'obbligo o la necessità economica:- può trattarsi di passione professionale, competenza, soddisfazione
per i risultati: la persona in questo caso attribuisce importanza all'attività lavorativa in sé (job)- può
derivare dai significati sociali del lavoro: valori, etica sociale, appartenenza a determinati gruppi: in questo
caso la persona attribuisce importanza al propriolavoro in senso generale (work), (es. professioni sanitari
o insegnamento)- può derivare dallo stare in un'organizzazione: in questo caso prevalgono esperienze
psicologiche come l'orgoglio, il senso di cittadinanza organizzativa, il sentimento di membership (es:
Ferrari, Nasa...), c’è un immagine sociale a seconda dello specifico lavoro
La motivazione al lavoro: contenuti (processi psicologici che non rendono motivata una persona)e
contesto(spiegano in che modo funziona la persona motivata o non all’interno del contesto lavorativo)
La motivazione al lavoro può essere considerata come un insieme di forze che determinano la
direzione(verso o lontano dal lavoro), l'intensità(impegnarsi molto o poco) e la persistenza (lungo o breve
tempo)dell'azione nelle esperienze che caratterizzano la persona in rapporto al proprio lavoro. La
motivazione non è un tratto stabile e generale di personalità: in ogni momento le persone possiedono un
certo potenziale di motivazione che si esprime con diversi gradi di attivazione e di intensità, in funzione de
compiti da svolgere, degli obiettivi che si pongono e del contesto lavorativo in cui vivono.
Essa riguarda processi di:
1. scelta (direzione): quali obiettivi perseguire e attraverso quali azioni
2. investimento (intensità): quali e quante energie dedicare e quanto sforzo produrre. Si distingue tra
potenziale motivazionale (quanto sforzo e impegno si possono teoricamente esprimere) e motivazione
effettiva (quanta energia e sforzo si attivano in un certo momento per ottenere determinati risultati)
3. azione (persistenza): la durata e la tenuta dei processi psicologici necessari ad erogare energia e a
raggiungere un obiettivo, superando le difficoltà per avvicinarsi all'esito desiderato
Elementi complementari:
- la motivazione al lavoro non è direttamente osservabile, ma può essere inferita da una serie di fattori
personali e ambientali che ne costituiscono gli antecedenti e le conseguenze (es: sforzo)
- la motivazione riassume una serie di spinte individuali (pulsioni, bisogni, interessi, scopi) in relazione a
una serie di fattori organizzativi (tipo di mansioni, sistema premiante, natura dei feedback ricevuti) e
culturali (valori e significati attribuiti al lavoro)
- la motivazione è un elemento dinamico, che riflette sia cambiamenti di natura contingente sia modifiche
strutturali dell'assetto psicologico dell'individuo
- la motivazione è relativa al comportamento organizzativo ed è strettamente legata all'esperienza
lavorativa, tuttavia fattori esterni al lavoro (vita familiare, tempo libero) possono influenzare
significativamente la motivazione lavorativa
La motivazione al lavoro può essere applicata a diversi ambiti:
- motivazione alla prestazione: quanto impegnarsi, per quanto tempo e in funzione di quali risultati,
nell'attività lavorativa quotidiana
- motivazione all'apprendimento: impegno nell'acquisire nuove competenze o nell'aggiornarsi
- motivazione al lavoro in gruppo: quanto aiutare gli altri, proporre nuove idee
- motivazione alla carriera: accettare maggiori responsabilità, un nuovo incarico/trasferimento, se cercare
una nuova organizzazione chiaramente non tutti cercano la crescita
- motivazione verso l'organizzazione: quanto sforzarsi per migliorare il funzionamento organizzativo e far
crescere il prestigio aziendale
Chiaro che non tutti hanno tutte le motivazioni , c’è chi ne ha 1 chi di +.
Divisone tra
• - Motivazioni intrinseche: permettono di attivare e dare energia a una serie di comportamenti e
processi psicologici che producono benefici direttamente dall'attività in sé (senso di autonomia,
efficacia e realizzazione personale). Si ipotizza che siano fondate su un bisogno interno innato di
competenza e autodeterminazione.
• - Motivazioni estrinseche: attivate da una componente esterna, e funzionali a ottenere benefici non
strettamente riconducibili all'attività in sé: ottenere un riconoscimento, evitare una punizione, rispettare
un impegno.
A lungo questi due tipi di motivazione sono stati considerati contrapposti, e la ricerca scientifica si è
concentrata su quali aspetti (incentivi monetari, sistemi di supervisione o di sanzione...) siano più efficaci
nel motivare le condotte lavorative. McGregor (1960) ha definito:
- Teorie X i modelli di gestione del personale basati su una concezione dei dipendenti come indolenti,
indifferenti alle esigenze lavorative e resistenti al cambiamento, con politiche di gestione del personale
centrate sulla motivazione estrinseca (premi e sanzioni)
La persona non ama il lavoro ma si impegna xkè i soldi gli servono
- Teorie Y i modelli che considerano i lavoratori pronti ad assumersi le responsabilità e a condividere gli
obiettivi organizzativi, con politiche di gestione del personale centrate sulla motivazione intrinseca,
(arricchimento dei compiti, autonomia operativa e partecipazione alle decisioni) considero i dipendenti
come se fossero sulla stessa barca con me a remare nella stessa direzione
Secondo la teoria della valutazione cognitiva (Deci e Ryan, 1985) la motivazione intrinseca si baserebbe
sul sentimento di competenza e di autonomia, mentre introdurre benefici o obblighi esterni farebbe sentire
le persone maggiormente dipendenti da fattori esterni. Una metanalisi su 128 studi mostra che:
- alcuni incentivi tangibili (come il denaro) compromettono parzialmente la motivazione intrinseca
- incentivi fissi e indipendenti dalla performance (es: salario, bonus una tantum) NON incidono sulla
motivazione intrinseca
- riconoscimenti verbali (considerati come benefici estrinseci) NON interferiscono con la motivazione
intrinseca, in virtù del loro potenziale effetto informativo sulla prestazione
- rimproveri, richiami, sistemi di sorveglianza e controllo sembrano avere effetti negativi sulla motivazione
intrinseca, fino a condurre potenzialmente a veri stati di motivazione
I risultati di questa teoria sono molto dibattuti, poiché nelle esperienze lavorative reali, fattori intrinseci ed
estrinseci si legano indissolubilmente, mentre scelte e autonomia individuali sono costantemente vincolat
da esigenze organizzative: stipendio e sistemi premianti sono una misura implicita del prestigio, della
qualità del proprio operato, del livello di competenza acquisito e della capacità di creare ricchezza,
diventando quindi segno tangibile di riconoscimento e valorizzazione da parte dell'organizzazione
Nel 2014 Cerasoli, Nicklin e Ford hanno analizzato oltre 180 ricerche sulla motivazione in diversi contesti
(scuola, lavoro, salute), evidenziando come la motivazione intrinseca ha un peso maggiore nel
determinare la qualità della prestazione, mentre la motivazione estrinseca sembra agire più sulla quantità
della prestazione, concludendo che (relativamente alla prestazione) i due tipi di motivazione sembrano
operare in modo simultaneo e combinato.
La teoria dell'autodeterminazione (SDT, Self Determinated Theory, Gagné & Deci, 2005) si basa sul
principio che le persone agiscono per soddisfare alcuni bisogni intrinseci fondamentali:
- bisogni di autonomia: desiderio di agire sulla base della propria volontà e delle proprie scelte; sentiment
di libertà psicologica quando li soddisfo
- bisogni di competenza: conoscere e controllare l'ambiente; possedere un elevato sentimento di
autoefficacia, affrontare le situazioni; esplorare attivamente e con costanza le proprie capacità , se siamo
bravi non lo restiamo se non faccio esercizio
- bisogni di relazioni: propensione a essere connessi con altri; amare e prendersi cura; essere amati e
ricevere cure, non ambiti psicologici
Concetto importante distinzione tra motivazione autonoma ,intrinseca che porta ad agire partendo dalla
mia volontà sulla base della libera scelta e controllata , azioni che metto in atto a causa di una pressione
esterna o obbligo ad agire .
Nella SDT ha un ruolo cardine la distinzione concettuale tra motivazione autonoma (azioni condotte a
partire dalla propria volontà in base a una libera scelta: agire per il piacere di agire) e la motivazione
controllata (azioni avviate sotto una pressione esterna o un obbligo ad agire): secondo gli autori questi
due tipi di motivazione rispondono a diversi modelli di regolazione, e sono accompagnati da diversi
processi psicologici. La SDT propone di classificare le diverse motivazioni estrinseche a seconda del loro
grado di autonomia o di controllo esterno. domanda
Differenza essenziale tra motivazione intrinseca e totale mancanza di motivazione, quindi i poli non sono
estrinseca e in ma tra assenza totale
Complessivamente il modello prevede tre stati motivazionali generali disposti lungo un continuum:
In seguito ai recenti cambiamenti nel mercato del lavoro, il modello JCM è stato ampliato in varie direttrici
tra cui i cambiamenti nelle organizzazioni:
- incertezza lavorativa e instabilità (contratti atipici) possono provocare caduta motivazionale, disimpegno
minore investimento nell'organizzazione, ma le soluzioni di job design possono attenuare il fenomeno, ad
esempio prevedendo arricchimenti nelle mansioni in occasione di ristrutturazioni aziendali
- perdita di unitarietà dello spazio e del tempo lavorativo (smart working): le ricadute sul piano
motivazionale possono essere positive se vengono gestite adeguatamente l'autonomia operativa e le
forme di telesorveglianza, ed è necessario predisporre opportunità di contatto e confronto con i colleghi,
per evitare gli effetti deleteri dell'isolamento sociale
- flessibilità nella gestione del tempo lavorativo: è normalmente associata a soddisfazione e produttività,
soprattutto se i lavoratori hanno un controllo diretto sulla gestione dell'orario, anche per la gestione dei
conflitti vita-lavoro (conciliazione delle carriere di entrambi i coniugi e della maternità o paternità)
Processi regolativi della motivazione al lavoro Le teorie di processo tentano di spiegare come le
persone sviluppano interessi, valori e bisogni relativi alla sfera lavorativa e come si crea, si indirizza e si
mantiene nel tempo l'attivazione di energia (=sforzo) che sostiene il comportamento lavorativo. Un
possibile modo di strutturare i diversi modelli teorici del processo motivazionale assume che l'azione
motivata sia parte di un complesso processo di autoregolazione individuale che procede per fasi (Hertel &
Wittchen, 2008), a ognuna delle quali sono associabili distinti processi mentali di regolazione.
• - Fase 1: scelta L'azione motivata comincia con la definizione di uno scopo, ossia la scelta di un
determinato corso d'azione in base a preferenze, aspettative di successo e benefici raggiungibili in
relazione all'impegno richiesto, attraverso un processo deliberativo (o decisionale) che implica la
gestione delle informazioni relative alle diverse opzioni e una valutazione della fattibilità e
dell'attrattività degli scopi in competizione.
Teoria dell'Aspettativa-Strumentalità-Valenza (Vroom, 1964) Considera la motivazione (non solo nel
lavoro, ma anche in contesti quali l'educazione, la salute e lo sport) come risultato di un percorso cognitiv
di stima e valutazione degli esiti possibili di un'azione che coinvolge tre variabili:
1. 1. Valenza (=preferenza, desiderabilità e attrattività, componente affettiva) attribuita al risultato
quanto gli esiti attesi dall'azione sono considerati soggettivamente positivi (=desiderabili) in base a
propri atteggiamenti, valori e preferenze
2. 2. Strumentalità (relazione percepita tra sforzo/impegno e benefici di secondo ordine): la
probabilità percepita che i risultati dell'impegno siano associati a specifiche conseguenze
strumentali (=estrinseche), positive e salienti per la persona
3. 3. Aspettativa: la probabilità percepita che lo sforzo e l'impegno messo nell'azione condurrann
effettivamente ai risultati attesi; l'aspettativa definisce le condizioni percepite di realizzabilità di un
obiettivo, ed è collegata con la nozione di autoefficacia percepita MOTIVAZIONE = V x S x A
• - Fase 2: Pianificazione degli obiettivi Una volta definito lo scopo da raggiungere, segue un
processo di pianificazione degli obiettivi (goal setting): individuazione dei passaggi da compiere,
verifica della fattibilità degli stessi, articolazione del compito in sub-obiettivi.
Teoria del goal setting (Locke & Latham, 1990) La presenza di un obiettivo organizzativo prefissato (no
necessariamente deciso dall'individuo) può avere una valenza motivante, purché sia sufficientemente
sfidante (=difficile e impegnativo) ma realizzabile. Il livello di difficoltà dell'obiettivo non corrisponde al
livello di difficoltà della prestazione: il medesimo obiettivo può risultare eccessivo per alcuni e agevole pe
altri. Per essere motivante, l'obiettivo deve essere specifico, ossia ben identificato, chiaro, non generico e
formulato in modo da poterne valutare il raggiungimento.
Obiettivi di questo genere mobilitano una serie di processi cognitivi connessi con l'attivazione di energia e
l'orientamento del comportamento intenzionale:
• - focalizzazione dell'attenzione su informazioni relative all'obiettivo
• - intensità dell'impegno concentrato e finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo
• - persistenza nel tempo dello sforzo e dell'azione orientata allo scopo
• - ideazione e adozione di strategie finalizzate all'ottenimento del risultato
Servono anche una serie di condizioni contestuali:
• - accettazione e condivisione (dai lavoratori)
• - legittimazione e fiducia (nei confronti dell'autorità)
• - goal commitment: se l'obiettivo è dotato di valore, perseguibile e utile induce i lavoratori a
sentirsi intrinsecamente motivati a perseverare anche di fronte a ostacoli e difficoltà
• - feedback sulla qualità e quantità del lavoro compiuto e sulla distanza che ancora separa
dall'obiettivo (favorisce l'autoregolazione e può generare reazioni emotive)
• - elevata autoefficacia (favorisce la risposta a obiettivi sfidanti e impegnativi, il goal
commitment e l'utilizzo proattivo dei feedback)
- Fase 3: Esecuzione e controllo (autoregolazione) La terza fase dell'azione motivata prevede
l'erogazione di energia per il raggiungimento dello scopo (goal striving) e l'attuazione dei piani
implementati nella fase 2, attraverso processi operativi di monitoraggio, controllo e regolazione del
comportamento, che permettono di valutare se l'obiettivo è realmente perseguibile e se si sta agendo
correttamente per raggiungerlo
Autoregolazione: una serie di processi psicologici (pensiero, ragionamento, attenzione, emozioni, azioni
che permette di controllare i comportamenti orientati allo scopo al variare del tempo e dei cambiamenti di
contesto. Questi processi includono attività di monitoraggio (raccogliere informazioni per verificare il
procedere dell'azione verso lo scopo), di autovalutazione (confrontare l'attuale prestazione con standard
personali, comportamenti precedenti o prestazioni di altri), e di reazione interna (aggiustamento
comportamentale, attivazione di meccanismi di autopunizione o di autogratificazione, meccanismi di
risposta emotiva).
Processi che intervengono nell'autoregolazione:
• - Allocazione di risorse: processo che determina quanto tempo, energia cognitiva, attenzione,
sforzo fisico e perseveranza vadano dedicati a diversi progetti e piani d'azione.
• - Regolazione dell'azione: processo attraverso cui si determinano le condotte da tenere, si
aumenta o diminuisce lo sforzo, si persevera o si abbandona, si modifica il piano di azione, si decid
di investire tempo per acquisire nuove risorse (es: nuove competenze), si cerca di intervenire per
modificare la realtà.
• - Autoefficacia: percezione di padronanza della situazione, di riuscire a influenzare l'ambiente
esterno e di poter perseguire i propri scopi controllando le difficoltà ambientali. Interviene
significativamente nei processi di autoregolazione (favorisce l'accettazione di obiettivi sfidanti grazie
alla percezione di controllo percepito sulla situazione e di realizzabilità dei progetti) alimentando il
comportamento motivato, ma è anche un esito dei processi regolativi, perché può aumentare o
diminuire a seconda dei successi o dei fallimenti conseguiti.
- Fase 4 Valutazione degli esiti Una volta completata l'attività, ne vengono valutati gli esiti in termini di
effettivo raggiungimento dello scopo, benefici ottenuti e adeguatezza rispetto allo sforzo erogato. I
processi valutativi prevedono attività di trattamento delle informazioni, di confronto rispetto a parametri
prefissati e attività di giudizio, e l'esito della valutazione diventerà input per futuri processi di
autoregolazione e scelta degli scopi.
Modello di Adams sull'iniquità dello scambio (1963) Ipotizza che la valutazione degli esiti non avveng
in termini di investimenti e risultati, ma in rapporto a quanto altri hanno investito e ottenuto in circostanze
simili (es. colleghi), oppure in base a un'immagine ideale di equilibrio. La percezione di giustizia si basa s
tre diversi principi:
- Principio strumentale di difesa degli interessi personali: voglio ottenere quanto mi spetta
- Principio sociale di confronto con gli altri: voglio ottenere quanto hanno avuto altri simili a me
- Principio morale basato su regole e valori relativi al giusto modo di fare le cose: voglio essere trattato in
modo giusto.
La percezione di ingiustizia spinge le persone a riportare in equilibrio la situazione attraverso alcune
strategie:
- modifica degli input o dei risultati: riduzione dell'impegno e dello sforzo, oppure tentativo di aumentare i
benefici ottenibili
- modifica dei referenti: cambiare gli individui o i gruppi utilizzati come termini di confronto sociale
- modifica del bilancio risorse/risultati: riconsiderare il valore delle risorse immesse o dei risultati ottenuti
- abbandono: cambiare lavoro o uscire dall'organizzazione
Teoria sulla giustizia organizzativa (Greenberg & Colquitt, 2005)
Amplia il modello di Adams aggiungendo le caratteristiche del contesto sociale, ossia:
- giustizia distributiva: la credenza che l'organizzazione distribuisca i benefici in modo equo e
corrispondente alle attese
- giustizia procedurale: la credenza che l'organizzazione utilizzi modi adeguati di allocare e distribuire le
risorse
Secondo questa teoria, la percezione di giustizia da un lato si basa sulla quantità di benefici ricevuti (in
assoluto e rispetto a quanto ottenuto da altri) e dall'altro dipende dalle modalità in base alle quali sono
distribuiti i benefici e le sanzioni: diventano fondamentali modalità di gestione organizzativa quali i sistem
di valutazione delle risorse umane, la trasparenza e la chiarezza delle regole, i modelli di comunicazione
interna, il rispetto di diritti e regole
Il lavoratore e i suoi compiti
Il termine prestazione viene utilizzato con due differenti significati:
1. Le attività e le azioni del lavoratore, ossia le condotte e i processi cognitivi e comportamentali finalizzat
agli scopi (cosa viene attivato, mentalmente processato e concretamente fatto dalla persona)
2. Gli esiti/risultati delle attività, ovvero le conseguenze quantitative e qualitative delle azioni svolte, che
hanno un effetto per l'organizzazione e per il lavoratore e che spesso vengono usati per descrivere,
misurare e valutare un'attività di lavoro.
I compiti lavorativi prescritti dall'organizzazione sono indicazioni formali che esprimono le richieste
lavorative a cui il lavoratore dovrebbe rispondere con la sua attività, e riguardano gli obiettivi da
raggiungere, i mezzi e le procedure da usare, la divisione dei compiti tra vari operatori, i tempi da
rispettare, gli esiti attesi e ricavi presumibili e le condizioni esterne entro cui operare. Spesso queste
indicazioni sono accompagnate da istruzioni e protocolli che formalizzano le attività da eseguire,
evidenziando la loro funzione sociale di mediazione tra il lavoratore e il suo oggetto di lavoro.
I compiti realmente svolti dal lavoratore fanno parte delle pratiche lavorative con cui la persona affronta e
risolve a modo suo i problemi concreti del lavoro quotidiano. Le pratiche lavorative nella maggioranza dei
casi si traducono in prestazioni adeguate sul piano qualitativo e quantitativo, ma si discostano dai compiti
assegnati a causa dell'alto tasso di variabilità delle situazioni di lavoro, come imprevisti, variazioni
quantitative e qualitative della produzione, tentativi di ovviare all'uso di mezzi ritenuti inadeguati o obsolet
con altri più adatti, creazione di alternative nelle procedure per semplificare il lavoro, variarlo e renderlo
meno faticoso o più soddisfacente, variazione dei ritmi di lavoro
L'attività lavorativa differisce dai compiti formalizzati anche perché una progettazione ingegneristica per
quanto accurata non risolve il problema dei continui adattamenti comportamentali stimolati dalla situazion
concreta di lavoro, soprattutto quando è sottoposta a rapidi cambiamenti. Infine vanno considerate le
differenze individuali tra lavoratori: abilità cognitive e sensoriali, capacità fisiche, caratteristiche
socioculturali e di personalità, locus of control, automonitoraggio e autoefficacia. Gli scostamenti tra
compiti prescritti e compiti reali sono dei compromessi operativi di adattamento delle condotte alle
situazioni concrete, e si traducono generalmente in modifiche relative a tempi, strumenti e mezzi di lavoro
e alle procedure lavorative.
Variazioni nella prestazione La prestazione lavorativa può subire variazioni nel corso del tempo a causa
delle difficoltà nel mantenere un equilibrio tra mantenimento dell'efficacia/efficienza lavorativa e un livello
accettabile di benessere personale (stanchezza, soddisfazione, stress...). Bisogna distinguere tra
variazioni a breve termine (dovute a imprevisti sul lavoro o a condizioni psicofisiche transitorie) e
variazioni progressive e a più lungo termine.
Possono esserci anche variazioni positive, dovute ai processi di apprendimento sul lavoro e all'efficacia
del processo di socializzazione lavorativa, con la conseguenza che:
- diminuisce la necessità di controllare le azioni e di verificare la conoscenza dichiarativa: le azioni
diventano più rapide e in parte automatiche
- diventa prioritaria la conoscenza procedurale e si esprimono nuove capacità (di pianificazione,
valutazione delle alternative, definizione delle priorità ecc) che riducono i tempi di realizzazione e le
inefficienze, e facilitano il miglioramento della prestazione
Analizzare il lavoro: approcci e strumenti Analisi del lavoro: processo di raccolta e valutazione delle
informazioni sulla natura del lavoro, sul modo di svolgerlo, sugli strumenti da usare, sulla maggiore o
minore complessità e difficoltà, sulla rilevanza e criticità del lavoro nell'insieme delle attività organizzative
(es. lavori pericolosi) e sui requisiti individuali necessari per svolgerlo.
L'analisi del lavoro fornisce informazioni fondamentali in molteplici settori:
- Politiche del personale (gestione delle risorse umane): la selezione del personale si basa su precise
descrizioni delle attività e delle esigenze lavorative proprie di una mansione, la valutazione delle
prestazioni considera se le prestazioni corrispondono alle richieste, una corretta pianificazione del
personale (reclutamento, tempi e metodi da usare) deriva direttamente dall'analisi del lavoro, un sistema
premiante equo si basa sulla valutazione delle prestazioni e sul differente valore delle attività lavorative
- Job design: i processi di correzione e progettazione del lavoro finalizzati a una gestione delle attività più
sicura e più soddisfacente si basano direttamente su una corretta e chiara analisi del lavoro (relazione tra
lavoratore e strumenti, condizioni di lavoro, conoscenze sui rapporti intra gruppo e inter gruppi)
- Sicurezza lavorativa: individuare le criticità del lavoro rispetto alla sicurezza e alla prevenzione dei risch
psicofisici e psicosociali da stress, collegabili con processi, mezzi e tempi di lavoro, e con l'ampiezza dello
sforzo fisico e mentale richiesto al lavoratore; ciò è possibile solo grazie ad un'analisi del lavoro precisa e
accurata
- Formazione: obiettivi, metodi e tempi del progetto formativo sono strettamente connessi con le esigenze
della prestazione, le risorse cognitive e affettive del lavoratore e le sue modalità di apprendimento
- Orientamento e counseling di carriera: l'analisi del lavoro evidenzia le caratteristiche del lavoro svolto,
fornendo informazioni attendibili in situazioni di mobilità occupazionale o di cambiamento lavorativo, e
sostegno ai processi decisionali e alla progettazione della carriera
- Classificazioni e profili professionali: l'analisi del lavoro permette di delineare gli insiemi di competenze
che caratterizzano un profilo professionale
L'analisi del lavoro identifica correttamente le responsabilità, i compiti, le attività reali e i requisiti necessa
per svolgere il lavoro. La tradizionale job-analysis, incentrata su un job circoscritto e stabile, non è più
sufficiente per rendere ragione della complessità del lavoro attuale: serve quindi una work analysis, che
permetta di cogliere da un lato la logica e i significati delle attività concrete realizzate in un dato contesto,
e dall'altro la variabilità e l'ampiezza delle responsabilità, dei compiti, delle qualità e delle competenze
individuali (Bartram, 2008).
L'analisi degli incidenti nei luoghi di lavoro evidenzia come qualche comportamento umano errato sia
sempre un anello della catena di avvenimenti che conducono all'evento catastrofico. Il modello di Reason
(1990) sulla tassonomia degli errori umani cerca di sistematizzare le categorie di errori umani che
possono portare a incidenti o catastrofi, con una prima distinzione tra:
a) Atti non intenzionali, cioè privi di pianificazione da parte degli individui
b) Atti intenzionali, cioè derivanti da una pianificazione da parte dell'individuo.
Gli atti non intenzionali, si dividono in:
1. Disattenzioni (slips): l'incidente o l'errore è provocato da azioni che deviano dal corso previsto senza
che l'individuo se ne renda immediatamente conto. L'intenzione è corretta, ma l'azione non è congruente
con l'intenzione.
2. Dimenticanze (lapses): errori di memorizzazione o di recupero dati dalla memoria durante l'esecuzione
di un compito. Questi errori sono attribuibili ad azioni mancate o ad omissioni (es. mail senza allegato).
I comportamenti pericolosi dovuti ad atti non intenzionali di solito dipendono da un malfunzionamento
cognitivo e costituiscono dei fallimenti di esecuzione di un compito che derivano da cadute di attenzione,
fallimento degli automatismi comportamentali e sovraccarichi di lavoro, che possono compromettere lo
svolgimento adeguato delle azioni pianificate. Queste fonti di errore sono presenti spesso in compiti
routinari e in processi cognitivi automatici, e sono particolarmente rischiosi perché imprevedibili e difficili
da individuare.
Gli atti intenzionali si dividono in:
1. 1. Sbagli (mistakes): l'incidente o l'errore è provocato da un'intenzione errata che genera
un'azione anch'essa sbagliata. Anche i mistakes derivano da un malfunzionamento cognitivo, ma
legato a processi di inferenza o di giudizio, e alla scelta di determinati corsi di azione: costituiscono
dei fallimenti di pianificazione che derivano da una errata interpretazione del problema o delle
soluzioni adottate per risolverlo.
Gli sbagli si dividono a loro volta in:
a. Sbagli rule-based: dovuti a un'applicazione di regole non adeguata, ad esempio regole generali
non applicabili alla situazione specifica. Le misure adottate e i comportamenti conseguenti l'errata
interpretazione possono aggravare ulteriormente la situazione.
b. Sbagli knowledge-based: dovuti a conoscenze e competenze insufficienti per affrontare la
situazione imprevista e non familiare. Avvengono quando l'analisi del problema non è adeguata, la
qualità delle soluzioni non è verificata o la fiducia nei propri mezzi è sopravvalutata. Questa
categoria di errori è tipica (ma non esclusiva) dei ruoli di alto profilo (manager, supervisori)
1. 2. Violazioni: l'incidente o l'errore è provocato da un comportamento non congruente a
istruzioni, norme e codici deliberatamente adottato. Sono azioni intenzionali, consapevoli e
finalizzate a un corso di azione non sicuro da parte dell'individuo, fortemente legate al contesto
sociale e organizzativo, e riguardano il mancato rispetto di codici e norme di sicurezza e l'adozione
di comportamenti non a norma. Le violazioni possono costituire una forma particolare di
comportamenti controproducenti, relativa alla sicurezza sul lavoro
Le violazioni si dividono a loro volta in:
a. Violazioni di routine: fanno parte di un repertorio comportamentale abituale della persona e si
ripetono regolarmente. Possono essere attuate per fronteggiare la pressione temporale, ottenere
una gratificazione psicologica dal lavoro o per la convinzione che seguendo le norme sia
impossibile eseguire il compito
b. Violazioni eccezionali: sono atti intenzionali che si manifestano in occasioni particolari a fronte d
circostanze specifiche
Reason individua tre limiti del funzionamento cognitivo che possono essere considerati come
precursori psicologici di slips, lapses e mistakes:
1. Razionalità limitata: le risorse cognitive sono limitate e spesso insufficienti a trattare in modo
razionale e consapevole la mole di informazioni necessaria a risolvere un problema
2. Razionalità imperfetta: l'utilizzo di euristiche ed errori strutturali nei processi di stima, giudizio,
scelta e decisione semplificano le operazioni mentali relative a compiti complessi, ma possono
offrire soluzioni inadeguate
1. 3. Razionalità riluttante: il tentativo di evitare la tensione cognitiva legata a un problema, la
difficoltà ad elaborare informazioni complesse e per lunghi periodi di tempo, la riluttanza
nell'applicazione del ragionamento analitico e la scarsità delle risorse attentive disponibili per la
risoluzione di problemi possono facilmente condurre ad errori
Per ridurre il potenziale impatto negativo degli incidenti e degli sbagli (intenzionali o meno) è
necessario attuare delle misure preventive: progettisti, ergonomi e tecnici devono tener conto dei
potenziali comportamenti inadeguati (anche non intenzionali) quando creano impianti e attrezzatur
di lavoro, mentre gli psicologi possono intervenire sulla prevenzione delle violazioni intenzionali
attraverso interventi di formazione sugli esiti negativi delle violazioni, sul cambiamento di
atteggiamenti, sulla consapevolezza circa la percezione distorta dei rischi.--> Tener conto dei
potenziali comportamenti inadeguati (anche non intenzionali)
Sicurezza come prodotto organizzativo
Nella genesi e nella dinamica degli incidenti impattano anche i fattori organizzativi: secondo Turner gli
incidenti sono generati dalla discrepanza tra le assunzioni culturali dell'organizzazione (come si pensa ch
vadano le cose) e la realtà (come funzionano effettivamente). Gli errori non si commettono
esclusivamente perché l'operatore è disattento, negligente o non sufficientemente formato: alcuni contest
organizzativi sono dei facilitatori di errori, ad esempio a causa di mancanza di comunicazione, scarsa
manutenzione o errori di progettazione.
Anche riguardo le violazioni, conformarsi alle norme di sicurezza o non farlo spesso deriva dalle norme
implicite del gruppo di riferimento e del contesto organizzativo, e può accadere che si creino dei processi
di “normalizzazione di comportamenti insicuri”, soprattutto a carico di lavoratori temporanei o con contratt
atipici.
Swiss Cheese Model (modello del formaggio svizzero) di Reason (1997, 2003) [1/5] Ogni incidente è
provocato dall'intreccio tra errori attivi (collegati alle prestazioni dei lavoratori, che spesso attivano
materialmente l'incidente, e i cui effetti sono immediatamente percepiti e facilmente individuabili) e
condizioni latenti (associate ad attività distanti dall'incidente sia nel tempo che nello spazio, come le
attività manageriali, normative e organizzative).
Un incidente organizzativo ha origine dalla concatenazione di svariati fattori che nascono da molti livelli
del sistema (istituzionale, organizzativo, professionale, tecnologico, individuale) in combinazione con un
fattore scatenante (un atto non sicuro, volontario o meno) che supera le difese costruite per premunirsi
contro gli incidenti. In altre parole, gli incidenti sono provocati da un insieme collegato di eventi e fattori
scatenanti (di natura umana, sociale, organizzativa e tecnologica), che singolarmente appaiono
insignificanti, ma entrando in relazione tra loro e in presenza di difese del sistema deboli, aumentano le
probabilità dell'accadimento disastroso
Le condizioni latenti sono presenti nel sistema prima che avvenga l'evento avverso, quindi possono
essere individuate e riparate prima che causino danni: pur essendo ineliminabili, si può intervenire
rendendole visibili per poterle correggere. Un near miss (quasi-incidente) è un evento che avrebbe potuto
avere conseguenze disastrose, ma che non si è concretizzato in un incidente, e può essere utile per vari
motivi:
a) se migliora le misure di prevenzione può funzionare come un “vaccino” per mobilitare le difese del
sistema contro eventi più seri in futuro
b) fornisce informazioni qualitative su come elementi apparentemente insignificanti possono creare
incidenti più grandi
c) essendo più frequente permette un'analisi quantitativa e qualitativa approfondita
d) ricorda i rischi che il sistema deve affrontare, riducendo i rischi di oblio organizzativo
Costi e ricavi del lavoro
Ogni esperienza lavorativa implica alcune caratteristiche desiderabili (es. la soddisfazione)
insieme ad elementi di difficoltà o esiti negativi del lavoro: nella quotidianità lavorativa questi
aspetti sono spesso intrecciati e si correlano. Soddisfazione lavorativa: atteggiamento (→
formato da una componente cognitiva, emotiva e comportamentale) favorevole verso il
lavoro, che da un punto di vista emotivo comporta un generale appagamento per il lavoro
svolto e da un punto di vista cognitivo esprime un giudizio in cui costi e ricavi dell'attività
svolta si bilanciano.
I modelli teorici della soddisfazione lavorativa si dividono in tre classi, a seconda dei
presupposti teorici:
- Modelli di discrepanza: la soddisfazione lavorativa deriva da un confronto tra ciò che il
lavoro offre realmente o ciò che le persone desiderano o ritengono giusto ottenere dal lavoro
(raggiungimento delle attese provocate da motivazioni intrinseche o estrinseche, oppure
equilibrio tra investimenti fatti e ricavi ottenuti)
- Modelli situazionali: la soddisfazione lavorativa deriva da una relazione positiva tra la
persona e le componenti del lavoro che ritiene rilevanti. Altri aspetti situazionali, come il
reddito, la sicurezza e stabilità del posto e la qualità delle condizioni fisico ambientali sono
considerati antecedenti della soddisfazione
- Modelli disposizionali e di personalità: a parità di condizioni lavorative, le differenze
dipenderebbero da caratteristiche individuali: autostima, autoefficacia, locus of control interno,
capacità di sopportare lo stress, atteggiamenti verso la vita e basso livello di nevroticismo;
l'affettività negativa come tratto personale stabile avrebbe un ruolo nella bassa soddisfazione
per la tendenza a sovrastimare gli elementi di minacciosità ambientale, a percepire
negativamente le richieste lavorative e a sperimentare spesso preoccupazione, ansia,
tensione e stress. Un'attenzione eccessiva agli aspetti di personalità rischia di sottovalutare le
interazioni persona-ambiente e le relazioni lavorative; inoltre questo approccio sembrerebbe
indicare che l'organizzazione non ha responsabilità sugli esiti del lavoro per i lavoratori.
Lavoro emotivo: sforzo psicologico che gli individui sostengono per corrispondere ad attese,
regole e prescrizioni emotive tipiche delle organizzazioni in cui lavorano (es. lavori educativi,
sociali, sanitari e di front office). Le principali strategie di gestione del lavoro emotivo sono:
1. Strategie superficiali: modifica intenzionale dell'espressione delle emozioni, senza
cercare di cambiare ciò che si prova realmente. Queste strategie provocano nei
lavoratori una condizione di dissonanza emotiva tra l'espressione pubblica di emozioni
simulate e quelle effettivamente sperimentate, con conseguente aumento di
insoddisfazione, disimpegno, esaurimento emotivo
2. 2. Strategie profonde: il ruolo ricoperto richiede che il lavoratore controlli e modifichi il
proprio stato emotivo per renderlo coerente con le attese, e poi lo esprima nella forma
desiderata dall'organizzazione. Queste strategie sembrano efficaci e alla lunga
promuovono una adeguata qualità della vita lavorativa
(Work) Engagement: questo costrutto indica un importante fattore positivo per l'esperienza
lavorativa, contiguo a quello di soddisfazione. La soddisfazione però ha un livello minore di
attivazione, riguarda l'appagamento di un interesse o di un bisogno ed è provocata da scopi
già ottenuti, mentre l'Engagement ha un livello di attivazione maggiore, comprende passione
ed entusiasmo ed è maggiormente orientato al futuro.
Vi sono diverse prospettive di studio, che considerano l'Engagement:
- Come uno stato psicologico durevole, strettamente connesso con emozioni positive: il
lavoratore sente un forte interesse per il suo ruolo lavorativo, agisce con impegno e
prestazioni superiori agli standard e prova un senso di forte coinvolgimento personale con
l'organizzazione, che lo fa sentire ispirato, realizzato ed emotivamente soddisfatto
- Come un positivo e appagante stato di benessere individuale che si esprime attraverso il
lavoro, che viene affrontato con energia, dedizione e pieno coinvolgimento personale
- Come polo positivo opposto rispetto al Burnout in un continuum che coinvolge le stesse
dimensioni
- Come espressione di sé sul lavoro sul piano fisico, mentale ed emozionale, una piena
presenza psicologica che si esprime nel sentirsi coinvolti, connessi e integrati con le attese
del ruolo lavorativo
In generale tutti gli approcci riconoscono nell'engagement due dimensioni: energia e
identificazione con il lavoro.
Macey e Schneider propongono di articolare
l'engagement secondo tre aspetti:
- Engagement di tratto, per riferirsi sostanzialmente alla personalità proattiva
- Engagement di stato per intendere il coinvolgimento lavorativo
- Engagement comportamentale per riferirsi ai comportamenti di cittadinanza organizzativa
(insieme di comportamenti altruistici non strettamente legati al ruolo lavorativo)
Il lavoratore engaged è energico, entusiasta del lavoro anche sul piano affettivo, percepisce il
proprio ruolo come impegnativo e sfidante ma non stressante, e spesso quando lavora perde
la cognizione del tempo. Inoltre egli non mette a rischio il proprio benessere e le proprie
relazioni per il lavoro e non subisce la spinta compulsiva a lavorare tipica del Workaholism.
Gli antecedenti dell'Engagement sono di due tipi:
1. Fattori di contesto: tutti gli aspetti fisici, tecnici, sociali e organizzativi che riducono il costo
psicologico delle richieste lavorative e stimolano la crescita personale e professionale del
lavoratore 2. Risorse personali: autoefficacia (percezione di poter riuscire nei compiti e di
controllare le difficoltà ambientali), resilienza (insieme di fattori protettivi che permettono di
affrontare attivamente e positivamente condizioni stressanti ed eventi avversi), stima di sé,
ottimismo (tendenza affettiva a vedere positivamente la realtà e ad aspettarsi risultati positivi
indipendentemente dalle condizioni esterne)
Fatica fisica, mentale ed emotiva
Fatica fisica: prevalentemente connessa con richieste lavorative di tipo psicomotorio, è
dovuta al consumo delle riserve di energia e all'accumulo di sostanze catabolitiche, con
necessità di reintegrazione attraverso il riposo; quando il sonno non è sufficiente al recupero
si parla di fatica cronica o patologica. Questo tipo di fatica riguarda lavori di concetto quando
richiedono frequenti viaggi aerei o di lavorare fino a tardi intaccando il ritmo sonno-veglia. La
fatica fisica non patologica risulta temporanea e reversibile cambiando il tipo di richieste
lavorative e gli stimoli ambientali, e usufruendo di adeguate pause, riposo e sonno.
Fatica mentale: processo che conduce al decremento delle capacità di lavoro e delle
prestazioni lavorative e a una modifica dello stato emotivo della persona, dovuta a un
duraturo periodo di sovraccarico lavorativo in risposta a richieste di natura cognitiva, emotiva
e relazionale.
Fatica emotiva: percezione di essere svuotati di energie dalle crescenti richieste emozionali
degli altri e sentimento di esaurimento dovuto al sovraccarico emozionale. La fatica emotiva è
particolarmente collegata al lavoro emozionale e alle situazioni che comportano un'intensa
attività di relazione con le persone (es. ambito educativo o sociosanitario) o di adattamento
psicosociale (cambiamenti organizzativi, conflitti, ristrutturazioni aziendali).
È importante sottolineare che il decremento delle prestazioni si determina solo se non esiste
la possibilità di compensare la carenza (ad esempio aumentando il livello di attivazione,
aumentando temporaneamente lo sforzo, usando caffè o farmaci) grazie a spinte
motivazionali che permettono il provvisorio mantenimento del livello di attività, ma possono
produrre effetti peggiorativi nel periodo successivo.
Noia: stato affettivo insoddisfacente (contiguo alla fatica mentale) di bassa attivazione
psicofisica, con tratti di tristezza, solitudine e distraibilità. Il lavoratore non trova interesse per
l'attività lavorativa e trova difficile concentrarsi sui compiti, percepiti come richiedenti sforzi
eccessivi e con scarsi ritorni di soddisfazione e benessere. La noia comporta un netto calo
delle prestazioni, soprattutto se si svolgono compiti che richiedono vigilanza e attenzione
sostenuta, con conseguente aumento della probabilità di incidenti e infortuni.
La noia, dovuta a compiti percepiti come troppo semplici, ripetitivi e poco stimolanti, è
correlata con l'insoddisfazione, l'aumento di manifestazioni ansioso-depressive e la riduzione
del benessere individuale, e spesso provoca condotte disfunzionali, controproducenti o di
ritirata per cercare di ristorarsi.
Saturazione lavorativa: perdita di valore e di attrattività del lavoro, provocata da mansioni
ripetitive, monotone e con scarse valenze affettive, che si esprime con vissuti emotivi di
apatia, irritabilità e avversione per i compiti
Lo stress lavorativo
Lo stress lavorativo risulta assai diffuso sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di
sviluppo; assume vaste proporzioni nei diversi settori lavorativi, coinvolge le più svariate
categorie professionali e supera i confini dei luoghi di lavoro influenzando la vita privata dei
lavoratori, la famiglia, le responsabilità personali e i differenti contesti di vita. Lo stress, in
quanto tale, non è uno stato negativo né una malattia: è una risposta (generale e aspecifica)
di adattamento dell'organismo a un cambiamento della sua omeostasi interna prodotto da
uno stressor (Selye, 1956).
Lo stress lavoro-correlato viene definito come una condizione fisica o psicologica che
insorge in una persona quando si trova ad affrontare situazioni lavorative percepite come
minacciose, che richiedono risorse interne o esterne superiori a quelle che ritiene di avere. La
valutazione di pericolosità innesca varie risposte di adattamento fisico, biologico, psicologico
e comportamentale che coinvolgono l'intera persona e i suoi vissuti esperienziali. Se queste
risposte di adattamento non ristabiliscono l'equilibrio o si rivelano disadattive rispetto
all'eccesso di richieste, possono provocare conseguenze negative a breve e a lungo termine,
anche gravi.