Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
LUMSA
Etimologicamente il termine “motivazione” deriva da motus, che in latino indica il moto, il movimento che
compie un individuo verso qualcosa.
La motivazione è dunque l’insieme dei motivi che spingono, sostengono e dirigono un individuo ad agire,
che sono in relazione a diversi obiettivi ed interesse e che sono guidati da processi cognitivi ed emotivi
(Pinder, 1998). La motivazione è una spinta verso il raggiungimento di un obiettivo e che agisce
influenzando ed orientando i comportamenti. Il processo relativo parte da uno stimolo, interno od esterno
alla persona, e produce, come risultato finale, un’azione nella realtà. La qualità della prestazione
lavorativa sarà maggiore quanto più alta sarà la motivazione al lavoro. L’intera organizzazione è più
efficace ed efficiente se al suo interno può contare su risorse umane altamente motivate.
Teorie contemporanee della motivazione umana
Scelta cognitiva. A questo filone appartengono le teorie Aspettative x Valore, che fanno
riferimento, in particolare, agli studi di Vroom, Weiner , Raynor, Edwards, Lewin, Festinger
e Sears. Il costrutto di base asserisce che le persone scelgono tra diversi comportamenti
sulla base delle aspettative soggettive e della valutazione soggettiva delle conseguenze
attese associate a ciascuna alternativa d’azione.
Autoregolazione. La teoria di riferimento è quella del goal setting, la quale asserisce che
la base della motivazione sta nella possibilità di definire obiettivi, di essere consapevoli di
questi obiettivi e di sapere come fare per raggiungerli. Infine, l’obiettivo deve essere
percepito come valido ed interessante. Bandura ha esteso questo modello, introducendo
la percezione di efficacia della propria azione, ovvero, tanto più alta è la percezione della
propria auto efficacia, tanto maggiore è la motivazione al conseguimento di un
determinato obiettivo.
Teorie Bisogni-motivi-valori
Maslow: la piramide dei bisogni
Herzberg: la teoria dei due fattori
McClelland: la motivazione al successo
Adams: la teoria dell’equità
Abraham Maslow e la piramide dei bisogni
Questa teoria ha avuto molto seguito nell'ambito del management del secolo
scorso, ma presenta dei limiti evidenti:
la piramide (o scala) dei bisogni di Maslow presuppone che tutti gli individui
condividano alla stessa maniera e con la stessa intensità i propri bisogni, a
prescindere a qualsiasi differenza relativa alla cultura o alla fase di vita in cui
l’individuo si trova;
non viene in alcun modo considerata l’interazione tra l’individuo e l’ambiente
esterno;
ha avuto poche verifiche empiriche.
Frederick Herzberg e la teoria dei due fattori
E’ una teoria di contenuto e di natura cognitiva, che mette in discussione l’assunto che la
motivazione si fondi su una gerarchia di bisogni.
Secondo Herzberg
“I fattori che determinano la soddisfazione nel lavoro sono separati e distinti dai
fattori che portano alla insoddisfazione nel lavoro. [...] Il contrario della
soddisfazione nel lavoro non è la insoddisfazione, ma l’assenza di
soddisfazione; e, in modo analogo, l’opposto della insoddisfazione non è la
soddisfazione bensì l’assenza di insoddisfazione nel lavoro”.
Il modello di Herzberg non pone la soddisfazione e l’insoddisfazione ai due
poli opposti di uno stesso continuum, afferma piuttosto l’esistenza di due
continuum, uno presenta ai due poli l’insoddisfazione e assenza di
insoddisfazione; l’altro con ai due poli, rispettivamente l’assenza di
soddisfazione e la soddisfazione.
Frederick Herzberg e la teoria dei due fattori
Secondo Herzberg, non tutti gli uomini mirano alla propria autorealizzazione, ma si
accontentano di soddisfare bisogni più elementari. Esistono i ricercatori di motivazione e
quelli di igiene:
I ricercatori di motivazione non cercano nel lavoro solo il benessere economico, la
sicurezza o la gradevolezza dei colleghi: essi cercano soprattutto una soddisfazione
intrinseca al lavoro, che soddisfi il loro bisogno di crescita psicologica.
I ricercatori di igiene non si curano del piacere intrinseco dello svolgimento di un
lavoro ma sono reattivi piuttosto agli aspetti esterni all’esperienza lavorativa in sé,
come il salario percepito e le condizioni ambientali di lavoro;
Solo i ricercatori di motivazione possono provare una reale soddisfazione nel lavoro; i
ricercatori di igiene possono dichiararsi non insoddisfatti.
Anche questa teoria fu oggetto di molte critiche, perché formulata solo mediante analisi
di interviste condotte solo su due categorie di lavoratori: ingegneri e contabili.
David McClelland e la motivazione al successo
Per McClelland l’uomo avverte numerosi bisogni ma uno degli elementi critici nel
determinare i livelli individuali di prestazione è costituito dal bisogno di successo:
è il desiderio di fare le cose nel modo migliore, di ricercare e misurarsi con
situazioni di complessità crescente, di competere secondo uno standard di
eccellenza.
Successivamente, McClelland raffinò ulteriormente la sua teoria, distinguendo tre
tipi di bisogni (o motivazioni) fondamentali
1) Achievement (successo):
• Bisogno di realizzare e dimostrare competenza e padronanza.
• Responsabilità per la ricerca di soluzioni (attribuibilità dei risultati).
• Tendenza a fissare obiettivi impegnativi e ad assumere rischi calcolati.
• Desiderio di feedback chiari e diretti.
David McClelland e la motivazione al successo
Le persone con un basso bisogno di successo hanno poca fiducia nelle loro
capacità e diventano ansiose quando si imbattono in situazioni di possibile
insuccesso.
David McClelland e la motivazione al successo
2) Potere:
• E’ il Bisogno di controllare il proprio lavoro e quello degli altri; bisogno di avere
impatto, di essere influente.
• MacClelland intende bisogno di potere non come acquisizione di potere personale,
quando piuttosto come il desiderio di influenzare e controllare gli altri per far
sviluppate l’organizzazione nella quale si opera;
3) Affiliazione:
• E’ il bisogno di essere amati e accettati, di stabilire relazioni positive con le latre
persone.
• Le persone con alto bisogno di affiliazione preferiscono lavorare in gruppo, sono
più attente alla qualità delle relazioni sociali che non a vedersi riconosciuti meriti
professionali.
David McClelland e la motivazione al successo
Le ricerche condotte con questo approccio indicano che i lavoratori con alto
bisogno di riuscita raggiungono più facilmente risultati di successo nel lavoro
e tendono ad inserirsi in contesti lavorativi che permettono loro di fare una
carriera brillante.
Sulla base di questo approccio teorico sono stati realizzati interventi per
potenziare la motivazione dei lavoratori in modo da porre in relazione i profili
individuali con quei lavori che più facilmente permettono alle persone di
realizzare i loro bisogni.
La teoria dell’equità di Adams
Nel 1963 Adams elaborò la teoria dell’equità percepita
Il concetto di equità si basa sul confronto dinamico e relativo che il soggetto compie tra
il proprio contributo (input) fornito all’organizzazione e i risultati che ottiene da questi
(outcome).
Tale confronto è dinamico perché le condizioni dello scambio sociale possono mutare
nel tempo, ma è soprattutto relativo poiché la valutazione avviene comparando il
rapporto outcome/input individuale con quello di un referente.
Tuttavia, gli elementi essenziali di tale rapporto risultano definiti socialmente e
soggettivamente o difficilmente identificabili e misurabili.
Il referente esterno è scelto dal soggetto, attraverso un processo non sempre razionale
e consapevole, ed è quindi difficilmente definibile qualora lo scambio entro confini ampi.
La natura sintetica della valutazione di input e outcome nascondono al suo interno
notevole varietà in termini di elementi soggettivamente considerati a numeratore e a
denominatore, nonché differenziali di ponderazione notevole.
La teoria dell’equità di Adams
La non equità, o inequità, può essere una “sotto-equità” (il rapporto è percepito come
inferiore rispetto al termine di paragone) o “sopra-equità” (la percezione di beneficiare di
un rapporto migliore) e porta a conseguenze come:
Modifica degli input o dei risultati che causano un abbassamento del livello di
qualità/quantità della prestazione (ad esempio variando l’impegno lavorativo sia in
termini di aumento che di diminuzione);
Modifica delle percezioni di reciprocità che portano a riconsiderare il valore e l’intensità
di input/output lavorativi (ad esempio cercando di ottenere maggiori riconoscimenti);
Modifica dei referenti del confronto sociale (ad esempio cercando di screditarlo o di
sabotare la sua attività);
Cambiamenti reali o psicologici (ad esempio chiedendo il trasferimento ad un altro
settore dell’organizzazione, oppure cambiando l’oggetto del confronto).
La teoria dell’equità di Adams
Secondo la teoria dell’equità formulata da Adams, la constatazione di un’iniquità determina
delle azioni per ristabilire l’equità. Tali azioni possono far variare la ratio del dipendente o
di quello di riferimento, possono cioè agire sulle componenti della contribuzione o della
retribuzione.
Per garantire ad ogni dipendente un trattamento equo, vengono messe in evidenza
quattro regole fondamentali:
1) Garantire ad ognuno una valutazione affidabile della propria contribuzione. Il
lavoro, il modo cui lo porta avanti e i risultati ottenuti sono tre componenti essenziali
della contribuzione del dipendente. Occorre fare attenzione a che cosa il dipendente
considera fondamentale per la valutazione del suo lavoro. E’ necessario anche porre
molta attenzione al "come" il modo di lavorare e i risultati ottenuti sono misurati,
attraverso un affidabile sistema di valutazione. La credibilità del sistema di
aggiornamento periodico delle valutazioni è fondamentale. La fiducia nelle procedure e
nelle persone che le applicano garantisce che ci sia anche la fiducia nella valutazione.
La teoria dell’equità di Adams
Gli economisti hanno anche studiato gli effetti della “sopra-equità” esterna.
Secondo la teoria del salario di efficienza formulata da Robert Solow,
riconoscere un salario superiore rispetto a quello di mercato accresce
l’impegno e la produttività dei dipendenti.
La “sopra-equità” esterna ha un forte potere incentivante e può essere
opposta a percezioni di “sotto-equità” interna. Il dipendente che avverte una
“sotto-equità” interna agisce principalmente riducendo il suo contributo.
La teoria dell’equità di Adams
Per ridurre i rischi legati a queste riduzione, può mettere in atto azioni
discrete e poco visibili (ridurre la qualità e non quantità, agire su quanto non è
controllato...) o non sanzionabile (fare solo “quello per cui si è pagati”: che
significa anche nessuna cooperazione, mancanza di iniziativa..).
Questi stessi comportamenti/reazioni possono essere osservati non soltanto
tra persone, ma anche tra funzioni, gruppi o categorie. La “sotto-equità”
percepita dalla fabbrica verso i commerciali può condurre a una non-
cooperazione a scapito della benessere organizzativo e della soddisfazione
del cliente.
La teoria dell’equità di Adams
d) Anche se può essere considerato accettabile che il personale con maggiore anzianità
o maggiore qualifica possa ricevere una retribuzione maggiore, la scala di valutazione
ha comunque dei limiti di applicazione; ad esempio i dipendenti possono valutare
come eccessivamente alta la retribuzione dei loro manager e sentirsi quindi demotivati.
3. Giustizia Interazionale
Si riferisce al trattamento che un individuo riceve sulle modalità con cui vengono prese
le decisioni; può essere promossa fornendo spiegazioni per le decisioni prese,
comunicandole con sensibilità e rispetto (Bies & Moag, 1986). Secondo Colquitt (2001)
la giustizia interazionale dovrebbe essere scomposta in due componenti: la giustizia
interpersonale e la giustizia informativa. La prima fa riferimento alle percezioni di
rispetto e di correttezza del proprio trattamento; la seconda fa riferimento all’
adeguatezza delle spiegazioni fornite in termini di tempestività, specificità e veridicità.
Teorie della scelta cognitiva
Rotter: il Locus of control
Rotter negli anni '50 ha messo a punto il costrutto del locus of control:
Heider applica la sua teoria nei contesti di giudizio legati alle prestazioni
scolastiche, ma successivamente la sua teoria verrà ripresa da Weiner e
applicata anche in altri contesti organizzativi.
Weiner e la controllabilità delle cause
Il modello di Weiner è dinamico, ossia si focalizza sui cambiamenti attraverso il tempo: infatti, è
possibile analizzare come le attribuzioni causali influenzino le aspettative per il futuro e le
prestazioni del soggetto.
Ad esempio, la stabilità dell’attribuzione causale determina le aspettative verso il futuro.
Il limite delle teorie attribuzionali consiste nel trascurare le aspettative sul futuro come
determinanti della motivazione presente.
Vroom e la teoria dell’
“Aspettativa-Strumentalità-Valenza”
La teoria dell’“Aspettativa-Strumentalità-Valenza” (VIE: Valence-Instrumentality-
Expectancy) di Victor Vroom, ha un approccio fondato sulla dimensione della scelta
cognitiva.
Parte dal presupposto che l’uomo prende le decisioni in base a criteri razionali e con estrema
consapevolezza. Gli individui quindi sanno cosa desiderano dal lavoro e l’impegno che mettono
sul lavoro sarà determinante per il conseguimento degli esiti desiderati.
C’è una relazione stretta quindi tra l’impegno sviluppato e livello di performance.
L’attenzione è puntata sui meccanismi di elaborazione della condotta lavorativa, in funzione di
alcuni quesiti:
Quanto è desiderabile un certo risultato e come posso ottenerlo?
Cosa devo fare per ottenere un certo risultato in funzione di quali e quanti investimenti
personali?
Che probabilità ho di ottenere determinati risultati che mi aspetto a fronte di un determinato
impegno?
Vroom e la teoria dell’
“Aspettativa-Strumentalità-Valenza”
Le misure dell’autoefficacia
o sono contesto-dipendenti (contesto competitivo vs cooperativo,
o dipendono da un criterio di prestazione basato sul successo nel risolvere
un problema piuttosto che da criteri normativi.
L’auto-efficacia influenza:
2. il livello di motivazione con cui si affrontano compiti e obiettivi.
3. l’ampiezza degli sforzi che verranno impiegati nella messa in atto di
comportamenti appropriati al conseguimento di un risultato. Inoltre, influenza
la durata del tempo per cui tali sforzi verranno mantenuti, a dispetto degli
ostacoli e delle esperienze negative che si presentano.
4. L’autoefficacia attiva anche un potente meccanismo di autoregolazione:
l’insieme delle azioni di automonitoraggio che valutano la congruenza tra il
comportamento effettivo e quello atteso o previsto. Quando le attese sono
confermate dai fatti, il soggetto prova un senso di soddisfazione; quando, in
altre situazioni, gli esiti non sono positivi, il senso di autoefficacia sostiene la
persona nella ricerca di nuovi obiettivi perseguibili e di interesse per lui.
Bandura e la teoria dell’auto-efficacia
(rielaborato, da Nota e Soresi, 2000)
Senso di colpa
Ansia elevata
Fallimento
Il modello del Goal Setting e
Il management by objectives (MBO)
Locke e Latham: il modello del goal setting
Locke e Latham: il modello del goal setting
Per Locke gli obiettivi possono essere considerati le più forti determinanti
dell’azione in quanto attivano e sostengono il meccanismo mediante il quale gli
stati motivazionali sono tradotti in azione; gli obiettivi sono, pertanto, i precursori
dell’azione.
Il MBO, ossia la gestione per obiettivi, è stato delineato nel 1954 da Peter
Drucker nel suo libro “The Practice of Management” e sviluppato negli Stati
Uniti sul finire degli anni cinquanta in ambito strettamente aziendale, dove è
ancora largamente utilizzato (General Motors, Du Pont, General Electric).
Nato inizialmente come metodo innovativo per valutare le prestazioni
manageriali, è diventato un vero e proprio sistema di management.
L’MBO prevede che le prestazioni individuali e di gruppo parte siano misurate e
valutate rispetto al raggiungimento di obiettivi precedentemente stabiliti in forma
partecipativa e condivisa tra i soggetti che partecipano alla valutazione stessa.
Questo meccanismo mira a promuovere l’assunzione di responsabilità nella
definizione e nel raggiungimento degli obiettivi stessi.
Il management by objectives (MBO)
L’MBO è:
un approccio sistemico alla gestione dell’organizzazione;
un sistema direzionale che prevede il coinvolgimento dell’intero staff direttivo
nell’individuazione (e nella definizione dettagliata) di una precisa gerarchia di
obiettivi organizzativi e nella formalizzazione dei piani e dei programmi
necessari al loro conseguimento;
un processo secondo il quale in un determinato contesto organizzativo (sia
pubblico che privato), i manager di ciascun livello collaborano
all’identificazione e definizione degli obiettivi comuni e delle principali aree di
responsabilità di ciascun individuo in termini di risultati desiderati e utilizzano
queste misure come guida per la gestione dell’organizzazione e per la
valutazione del contributo dei suoi singoli membri.
Il management by objectives (MBO)
È ormai uso comune, per medie e grandi imprese soprattutto, organizzare delle
vere e proprie vacanze “premio” per i propri dipendenti migliori, o meeting
aggregativi per stimolare la fidelizzazione, facendo in modo di non legare
l’immagine dell’organizzazione solo ad aspetti lavorativi ma anche a riposo e
merito, così da far sentire i lavoratori parte di un organismo “familiare”,
permettendo ai dipendenti di lavorare più serenamente e all’azienda di avere
maggiori introiti.
Così facendo il lavoratore sviluppa attrattiva e credenza nei valori della propria
organizzazione.
Organizational Commitment
I fondamenti del commitment sono tre:
1) Senso di appartenenza all’organizzazione;
2) Senso di piacere nel lavoro;
3) Fiducia nel management.
In questo modo il coinvolgimento è direttamente collegato al concetto che la
persona ha di se stessa e con il grado con cui essa ritiene importante il proprio
ruolo di lavoratore in rapporto agli altri ruoli che egli occupa nella vita.
Il coinvolgimento nel lavoro è un concetto multidimensionale e può essere
definito come il grado secondo il quale l’individuo si ritrova nel compito
assegnatogli, intende essere attivo e considera le sue attività professionali
come importanti per lui.
Organizational Commitment
Analizzando vari approcci, Mowday, Porter e Steers hanno elaborato una classificazione
proponendo una distinzione fra due tipi di commitment: il behavioral commitment e
l’attitudinal commitment. Questi Autori hanno formulato una tra le definizioni più
accreditate relative all’attitudinal commitment: “uno stato di identificazione e di
coinvolgimento di un individuo con una determinata organizzazione e con i suoi obiettivi,
nonché il desiderio di continuare ad appartenere ad essa al fine di facilitarne il
raggiungimento degli obiettivi stessi”
Altri studi hanno messo in evidenza diverse elaborazioni di organizational commitment,
ognuna delle quali riconducibile ad uno dei seguenti temi generali:
affective commitment: attaccamento affettivo o emozionale all’organizzazione di
appartenenza, identificazione con essa, condivisione dei suoi valori e regole;
continuance commitment: percezione della convenienza (in termini di valutazione costi-
benefici) a restare nell’organizzazione;
normative commitment: obbligo morale verso l’organizzazione.
Organizational Commitment