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PSICOLOGIA GENERALE
PROF. ALBERTO COSTA
PROFESSORE ORDINARIO
Corso di Psicologia Generale
Prof. Alberto Costa
Modulo 8
Motivazione e emozioni
Contenuti:
1. La motivazione
3. Le emozioni
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Revisione: marzo 2022
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1. Introduzione
La motivazione e le emozioni sono tra loro strettamente interconnessi. La “spinta” ad agire è
condizioni che possono causare emozioni negative. Potremmo anche affermare che la ricerca di
motivazionali.
mantenendoli separati, al fine di cercare di chiarirne nel modo più esplicativo possibile le
caratteristiche fondamentali. La distinzione proposta ha, infatti, un carattere più speculativo che
concreto, ma ci permette di analizzare alcuni aspetti basilari di quei fattori che “spingono l’individuo
Anche in questo modulo, così come abbiamo fatto per i precedenti, gli argomenti saranno discussi
nella prospettiva sia psicologica sia neurobiologica. Inizieremo con la discussione sui processi
motivazionali e in seguito, nella seconda parte, studieremo le emozioni. Nella parte conclusiva di
molto chiara ed esaustiva. Secondo l’autore, “la motivazione è uno stato interno che implica processi
motivazione avrebbe origine da una modificazione delle condizioni interne all’organismo la quale
nell’ambiente. Inoltre, le spinte motivazionali (“drives” in inglese) sono “finalizzate”, sono cioè
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dirette al raggiungimento di obiettivi rilevanti per l’individuo e, come accennavo in precedenza, sono
Esaminiamo le prime affermazioni, “la motivazione è uno stato interno” e “la motivazione nasce
da una modificazione interna all’organismo”. Queste affermazioni si collocano nell’alveo della teoria
secondo cui tutti gli organismi tenderebbero verso un naturale equilibrio (omeostasi), la cui “rottura”
determinerebbe uno stato di tensione. La motivazione nascerebbe dalla necessità per l’organismo di
ridurre la tensione soggettiva al fine ristabilire l’omeostasi fisiologica. E’, in sostanza, la teoria delle
pulsioni alla quale fa riferimento anche Sigmund Freud nel modello psicoanalitico da lui proposto.
La pulsione può essere intesa come una sorta di tensione o eccitazione fisiologica che muove
l’individuo ad attuare condotte idonee per favorirne la scarica. Esempi di pulsioni semplici sono
costituiti dal senso della fame, della sete o dai bisogni di natura sessuale. In tutte queste condizioni si
assiste a una modificazione dello stato di equilibrio interno del soggetto che si associa a una
articolati. Possiamo però pensare che anche la spinta a realizzare questi desideri abbia origine
dall’emergere di una tensione interna all’individuo, senza per ciò ritenere che la tensione stessa
costituisca il desiderio. Questa osservazione cambia in parte la prospettiva da cui osservare la natura
delle pulsioni. Queste possono, infatti, essere intese come stati specifici della nostra mente e, dunque,
del nostro sistema cerebrale. Stati sensibili alla stimolazione ambientale e associati a variazione
dell’omeostasi interna. D’altronde, credo sia esperienza comune di come il senso della fame possa
emergere in modo spontaneo ovvero nel momento in cui sentiamo l’odore di qualche alimento che ci
piace particolarmente. Al tempo stesso, possiamo continuare ad avvertire lo stimolo della fame dopo
Possiamo concludere, in via preliminare, che le motivazioni sono quei fattori che, associati a
questi assuma delle condotte comportamentali atte a mantenere i livelli ottimali di funzionamento
dell’organismo. I processi motivazionali sono, inoltre, direttamente dipendenti dagli effetti esercitati
punizione, di cui abbiamo parlato nel modulo V a proposito dei meccanismi di apprendimento,
giocano, pertanto, un ruolo fondamentale nel determinare l’avvio o l’inibizione del comportamento.
regolato da alcuni bisogni che lo “spingono” ad attuare comportamenti idonei per consentirne la
l’individuo verso la realizzazione di obiettivi siano di natura sia biologica sia psicologica. Egli
individua una serie di bisogni organizzati in modo gerarchico. La realizzazione dei bisogni fisiologici
L’organizzazione gerarchica dei bisogni è visualizzata da Maslow come una piramide (illustrata
in Figura 1), alla base della quale vi sono i bisogni fisiologici elementari. La freccia rossa con la
punta rivolta verso l’alto indica la progressione del soddisfacimento dei bisogni. Il passaggio alla
realizzazione del bisogno successivo nella scala è vincolato al soddisfacimento del bisogno che lo
precede. Se inizialmente non sono soddisfatti i bisogni fisiologici, l’individuo non può procedere al
soddisfacimento del bisogno di sicurezza. Una volta soddisfatto il bisogno di sicurezza, può essere
soddisfazione del quale consente la piena espressione delle qualità dell’individuo. Questo bisogno
non può però essere soddisfatto se prima non sono appagati i bisogni di ordine inferiore.
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Il merito di Maslow consiste nell’avere integrato in una teoria coerente le determinanti biologiche
e psicologiche del comportamento. La teoria di Maslow è anche importante ai fini della comprensione
del soddisfacimento dei bisogni procede parallelamente con la maturazione dei processi cognitivi e
l’accesso al bisogno di ordine superiore, in tal modo interferendo con lo sviluppo delle potenzialità
dell’individuo.
Questo paragrafo e il successivo sono ripresi da un lavoro che ho recentemente scritto e pubblicato,
il cui focus era la trattazione degli aspetti cognitivi e neurobiologici dei comportamenti di
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entrare in contatto con gli stimoli presenti nell’ambiente, poiché il contatto con essi facilita il
non sono specifici dell’uomo, ma riguardano tutti gli esseri viventi che sono in grado di modificare il
fondamentali favorisce, nel corso del tempo, la formazione di schemi cognitivo-comportamentali che
all’azione forma quelle che possiamo concettualizzare come le pre-condizioni per acquisire la
necessaria conoscenza del mondo che ci circonda e dei nostri stessi limiti, promuovendo l’accesso
alle risorse mantenendo, al contempo, la sicurezza per la nostra incolumità (Costa e Caltagirone,
2015).
La ricerca sui fattori motivazionali, che include lo studio sui meccanismi associati ai
abbiamo avuto modo di apprezzare dalla discussione proposta finora, comprende aspetti biologici e
psicologici tra loro intrinsecamente in interazione. I modelli proposti per la spiegazione delle
In linea con questa considerazione, diversi autori hanno ipotizzato che i comportamenti approach-
avoidance siano sottesi dall’attività di due sistemi motivazionali, la cui costituzione è connessa a
variabili biologiche, psicologiche e psico-sociali. A tale riguardo, Gray (1970) ipotizza l’esistenza
del “behavioral activation system” (in italiano: sistema di attivazione comportamentale) e del
“behavioral inhibition system” (in italiano: sistema d’inibizione comportamentale; all’interno della
teoria denominata “Reinforcement Sensitivity Theory”; Gray, 1970; Pickering and Gray, 2001). Il
primo sistema sarebbe dedicato alla mediazione del comportamento in condizioni di gratificazione e
in condizioni associate a esisti positivi. Questo sistema sarebbe particolarmente sensibile alla
stimoli gratificanti.
infatti, è ritenuto essere particolarmente sensibile a stimoli associati alla punizione o all’assenza di
uno stato di allerta per rendere l’organismo più pronto nell’individuare stimoli salienti o rilevanti,
In ciascun individuo i due sistemi motivazionali sono in equilibrio dinamico tra loro. Questo
significa che in determinate circostanze e in funzione degli obiettivi della persona, sono adottati
flessibilmente comportamenti di approach o avoidance. Può però esservi uno sbilanciamento naturale
sull’attivazione di uno o dell’altro dei due sistemi motivazionali. Questo sbilanciamento può
determinare una disposizione naturale e stabile nell’individuo a rispondere agli stimoli ambientali
Altri autori hanno ipotizzato l’esistenza di sistemi motivazionali con denominazioni diverse ma,
system” proposti da Gray. In particolare, Dickinson and Dearing (1979) parlano di “attractive system”
e “aversive system”, mentre Lang et al.'s (1990) individuano un “appetitive system” e un “defensive
system”.
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La natura multifattoriale dei due sistemi motivazionali, risultante dall’azione combinata di fattori
sia biologici sia psicosociali, è messa in evidenza con chiarezza dai risultati di numerosi studi
rilievo è l’interazione tra l’attività di questi neuropeptidi e l’attività del sistema cerebrale della
ricompensa, modulato dal neuromodulatore dopamina (Skuse and Gallagher, 2009). A tale riguardo,
Hoebel et al. (2007) hanno proposto un modello in cui la dopamina interagirebbe con l’acetilcolina
(un altro importante neurotrasmettitore implicato nei processi di consolidamento delle informazioni)
all’interno di una struttura cerebrale sottocorticale collocata nella porzione ventrale del corpo striato,
comportamenti di approach e avoidance (Avena et al., 2006; Mark et al., 1995). Naturalmente, i
circuiti cerebrali alla base dei processi motivazionali sono più articolati e comprendono altre regioni
Inoltre, alcuni dati nell’uomo documentano che alcuni tratti di personalità e alcune abilità
cognitive sono associati alla probabilità che il soggetto esprima un comportamento di approach e
avoidance. Nel paragrafo seguente tratteremo in modo più approfondito di questi aspetti.
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Figura 2. Illustrazione schematica dei fattori implicati nei sistemi motivazionali che
l’esistenza di obiettivi da raggiungere per l’individuo, dai più semplici e immediati, ai più complessi.
Il comportamento finalizzato è sostenuto da diversi processi cognitivi tra i quali sappiamo che i
processi esecutivi rivestono un ruolo particolarmente critico. Alcuni dati provenienti da studi con
persone sane e soggetti con sindromi neurologiche, attraverso l’utilizzo anche di metodiche di
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neuroimaging, documentano, di fatto, l’esistenza di una stretta relazione tra abilità esecutive e
corteccia prefrontale nella mediazione delle funzioni esecutive e, in particolare, delle capacità
di obiettivi specifici (Yuan and Raz, 2014). Diverse evidenze cliniche e sperimentali indicano
l’esistenza di un’interazione a livello della corteccia prefrontale tra l’attività dei sistemi motivazionali
e le funzioni esecutive. Lesioni della corteccia prefrontale determinano disturbi cognitivi di rilievo
(tra cui i deficit delle funzioni esecutive di cui abbiamo discusso nel modulo VII) e un funzionamento
che sembra indicare un disquilibrio tra i due sistemi motivazionali descritti da Gray. Queste persone
possono, infatti, presentare apatia, un disturbo caratterizzato da una significativa riduzione delle
spinte motivazionali, e/o disinibizione dei processi di controllo, che può manifestarsi come
Dati in linea con queste osservazioni derivano da alcuni studi eseguiti applicando la metodica della
risonanza magnetica funzionale (fMRI). In uno di questi studi, Spielberg e coll. (2011) hanno
e successivamente hanno registrato le attivazioni cerebrali dei soggetti mentre questi eseguivano un
test sensibile all’attività della corteccia prefrontale (il test di Stroop). L’analisi delle correlazioni ha
documentato un’associazione significativa tra l’attività delle regioni prefrontali del giro medio e
uno dei limiti dello studio è rappresentato dal fatto che l’attitudine di approach/avoidance è stata
genere di strumenti possono risentire di distorsioni soggettive delle risposte. Pur con questi limiti, i
dati dello studio appaiono d’interesse elevato laddove indicano che l’attività della corteccia
prefrontale può essere modulata dall’attività dei due sistemi motivazionali. Questi dati sono anche
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coerenti con i risultati di altri studi i quali, nel loro insieme, suggeriscono che l’interazione tra i sistemi
Diverse evidenze cliniche indicano l’esistenza di una relazione diretta tra la propensione
spesso associati a condotte di avoidance, in particolare nei contesti sociali (Wong e Mioulds, 2011).
Così come la presenza di apatia è tipicamente associata a una riduzione dei comportamenti di
associata ai disturbi dell’umore. La diminuzione degli interessi è un sintomo cardine del quadro
depressivo. Riduzioni della motivazione si hanno anche nei disturbi d’ansia, nei disturbi stress-relati,
nei disturbi da uso di sostanze, etc. Numerose sono anche le sindromi neurologiche, sia vascolari sia
neurodegenerative, delle quali la riduzione della motivazione rappresenta un segno importante sin
Il termine apatia indica proprio un quadro clinico in cui il soggetto presenta come sintomo/segno
principale la caduta delle spinte motivazionali, cioè la diminuzione dei movimenti diretti ad agire
nell’ambiente al fine di raggiungere obiettivi specifici. L’apatia, come abbiamo avuto modo di vedere,
può entrare a far parte del quadro clinico di altri disturbi psicopatologici. Diversi studi evidenziano
però che l’apatia può anche rappresentare una sindrome a sé, differenziata ad esempio dalla sindrome
Si distinguono diverse forme di apatia: l’apatia sensoriale, l’apatia motoria, l’apatia affettiva e
l’apatia cognitiva. Secondo Robert e coll. (2009) l’apatia può essere definita come un disturbo
L’apatia coinvolge tutte le sfere di funzionamento del soggetto. La persona che ne è affetta può
ridotta rispetto alle stimolazioni provenienti dall’ambiente e diminuzione degli interessi per attività
vissute in precedenza come gratificanti. L’apatia rappresenta, dunque, un disturbo molto importante
che può determinare una seria compromissione funzionale della persona nella vita quotidiana e un
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4. Le emozioni
Le emozioni sono intrinsecamente connesse con i processi motivazionali. Le ricompense
producono emozioni positive, piacevoli, che rinforzano l’apprendimento del comportamento che le
medesima situazione. Condizioni, contesti che causano emozioni negative sono attivamente evitati
dall’individuo.
Definire le emozioni non rappresenta un’operazione semplice. Le emozioni sono alla base della
nostra esperienza del mondo, della formazione della nostra personalità, delle relazioni interpersonali.
Le emozioni ci aiutano a comprendere la valenza e la rilevanza degli stimoli con cui entriamo in
contatto. Le emozioni determinano la qualità delle nostre esperienze e giocano un ruolo cruciale nei
processi decisionali.
Proviamo a darne una definizione generale. Possiamo considerarle degli stati transienti, in genere,
dagli affetti o sentimenti per la breve durata temporale che le caratterizza. Pensiamo, ad esempio, alla
differenza, in termini di durata, tra la rabbia e la gelosia oppure tra il disgusto e la noia.
Lo studio delle emozioni occupa da sempre una posizione centrale in psicologia. Numerose sono
state le teorie proposte per spiegarne il funzionamento e tuttora il dibattito è aperto su diverse
apprese. Diversi studi sono stati condotti al riguardo che hanno sostanzialmente sostenuto entrambe
le posizioni.
Riconosciamo una gamma di emozioni che l’uomo possiede sin dalla nascita, la cui maturazione
segue uno schema tipico. Altre emozioni, invece, sono maggiormente connesse con l’apprendimento
Nel processo di sviluppo delle emozioni, Leventhal (1977) individua tre livelli di funzionamento:
a) Livello sensori-motorio;
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b) Livello schematico;
c) Livello concettuale.
a) Nel livello sensori-motorio, la gamma emozionale del soggetto sarebbe costituita da una serie
determinata da modificazioni interne al soggetto. Pensiamo, ad esempio ai primi mesi di vita del
bambino. Il bambino in questa fase del suo sviluppo reagisce con risposte tra loro molto simili a
variazioni dell’equilibrio interno determinate dalla fame, dalla sete, dal freddo, etc..
b) Il livello schematico si organizza in una fase successiva dello sviluppo. In conseguenza delle
esperienze, dell’interazione tra l’attività dei programmi innati e le situazioni ambientali, attraverso
l’espressione in funzione delle caratteristiche degli stimoli con cui entra in contatto.
c) Il livello concettuale rappresenta la stretta interazione tra il sistema delle emozioni e il sistema
cognitivo. Grazie allo sviluppo delle funzioni esecutive, alle capacità di astrazione, l’individuo
senza sperimentare variazioni di parametri neurovegetativi o del vissuto soggettivo. Inoltre, grazie
alla messa in atto dei processi di elaborazione viene acquisita la capacità di apprendere la relazione
del contesto.
emozionale, nel corso della quale le emozioni divengono sempre più interconnesse con il sistema
sempre più complessi e acquisisce la capacità di non attivarli in modo automatico in risposta agli
stimoli ambientali.
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Pertanto, Leventhal ipotizza l’esistenza di emozioni innate connesse con schemi di risposta
particolarmente attivi nelle fasi iniziali della vita dell’individuo. In realtà, diverse ricerche condotte
sull’uomo e sui primati non umani hanno, di fatto, dimostrato che alcuni schemi di risposta
A tale riguardo, Ekman e Friesen (1967;1968) eseguirono una serie di studi pioneristici
coinvolgendo una tribù della Nuova Guinea. I membri di questa tribù non avevano avuto, in
precedenza, contatti diretti o indiretti con occidentali. L’obiettivo delle ricerche era di esaminare se
occidentali. In un primo studio, gli autori presentarono dei racconti in cui ai personaggi erano
attribuite delle emozioni (rabbia, gioia, etc.). Ai partecipanti era richiesto di indicare tra diversi volti
di occidentali che esprimevano emozioni diverse, il volto che mostrava l’emozione attribuita al
personaggio del racconto. I risultati documentarono che i membri della tribù erano in grado di indicare
con accuratezza l’emozione corrispondente. In uno studio successivo, i ricercatori chiesero ai soggetti
di riprodurre tramite l’espressione del volto le emozioni attribuite ai personaggi dei racconti,
espressioni che furono registrate. Le registrazioni furono poi mostrate a un altro gruppo di studio
composto, questa volta, da studenti americani, con il compito di identificare le emozioni in esse
espresse. I soggetti furono in grado di riconoscere in modo molto accurato le emozioni espresse nei
filmati.
Questo è un esempio di ricerca interculturale che evidenzia come l’espressione delle emozioni,
che prevede una determinata configurazione fisica del volto derivante dalla coordinazione della
Potremmo iniziare questo paragrafo ponendoci la domanda seguente: l’uomo piange perché è
triste, oppure è triste perché piange? Molti ricercatori hanno provato a rispondere a questa domanda
riportando dati a sostegno sia della prima sia della seconda affermazione.
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All’interno di tale dibattito, una delle teorie che ha avuto maggiore influenza fu quella proposta
da James (1890), e sostenuta da Lange (1884), sull’importanza degli indici di variazione dell’attività
fisiologica nel determinare l’esperienza emozionale. In estrema sintesi, l’ipotesi di James prevedeva
di risposte fisiologiche (es: aumento della frequenza respiratoria e cardiaca, aumento della
sudorazione, etc.) connesse con l’attività degli organi interni. L’elaborazione di queste risposte, che
hanno valenza di feedback sensoriale, da parte delle strutture cerebrali determinerebbe le emozioni.
specifiche che ne consentirebbero il riconoscimento. Dunque, la risposta che questa teoria dà alla
Questa teoria fu molto criticata da altri autori quali Cannon (1927), il quale rilevava
essenzialmente che emozioni diverse sono caratterizzate da variazioni fisiologiche molto simili e che
le modificazioni fisiologiche non sono parallele al vissuto emozionale, poiché avvengono in tempi
troppo lunghi. Schacter (1964), in seguito, ipotizzò che l’esperienza emotiva fosse connessa ad un
fattore fisiologico (le variazioni dell’attività degli organi interni che producono risposte tipiche ma
Il dibattito attuale è incentrato sul ruolo dei processi cognitivi nell’esperienza soggettiva delle
emozioni. In particolare, su quanto può essere importante che una determinata situazione sia elaborata
Dalla discussione qui proposta emerge come le risposte date sulle caratteristiche dinamiche dei
processi emozionali non siano affatto conclusive. Possiamo però cercare di definire in modo
descrittivo e qualitativo le proprietà delle emozioni. A tale riguardo, ritengo che le conclusioni di
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a) Nell’esperienza emozionale è presente una modifica di aspetti motori quali, ad es., la mimica
comportano una modifica della frequenza del respiro, del battito cardiaco, della sudorazione, etc.;
c) Le emozioni sono caratterizzate dal vissuto soggettivo che le qualifica come paura, rabbia,
tristezza, etc.
Le conclusioni di Ekman non entrano dunque nel merito del dibattito su esposto. Al di la delle
considerazioni relative al quesito “se provare un’emozione sia conseguenza diretta di una variazione
componenti specifiche che, come illustrato a Ekman, coinvolgono in sostanza l’organismo nel suo
insieme. E’, infatti, esperienza comune provare un’emozione negativa in seguito ad un insuccesso
lavorativo o scolastico. Così come esperienza comune è anche quella di provare simpatia o antipatia
per una persona al primo contatto con essa (l’espressione gergale utilizzata è spesso “a pelle”) senza
capirne esattamente il motivo, ovvero percepire modificazioni somatiche in una condizione che in
seguito definiremo di imbarazzo. Il dato fondamentale riguarda la presenza simultanea di una serie
Abbiamo avuto modo di accennare al dibattito sulla relazione tra sistema emozionale e sistema
cognitivo. È importante quindi mettere a fuoco alcune caratteristiche di funzionamento dei due
sistemi, che ne evidenziano gli elementi in comune e gli aspetti che li differenziano. Un elemento in
comune è senz’altro rappresentato dalla finalità delle azioni messe in atto attraverso la loro attività:
spinge l’individuo ad allontanarsi dallo stimolo che lo provoca. Provare paura o rabbia indica che lo
stimolo/situazione che elicita tali risposte non è neutro, ma che deve essere “affrontato” attivando il
sull’azione da intraprendere deve essere presa in tempi molto rapidi, per rispondere a bisogni
completa delle informazioni presenti nella situazione, l’adozione di schemi comportamentali più
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Ho scritto sopra che il sistema emozionale mette in opera risposte rapide per affrontare situazioni
“d’emergenza”. In tale affermazione è implicita l’idea che uno stimolo con valenza emozionale debba
essere processato velocemente dall’individuo. Dalla rapidità della risposta messa in atto in talune
Il nostro organismo sembra sia strutturato per dare “priorità” agli stimoli emotigeni (che
provocano emozioni) rispetto a stimoli che non hanno tale caratteristica. Sono molte le osservazioni
che sostengono questa evidenza. La maggior parte degli individui riconosce più rapidamente e
accuratamente una parola o un’immagine che veicola significati emozionali rispetto a parole o
immagini neutre. In altri termini, si ritiene che gli stimoli/eventi emotivamente salienti abbiano un
Non possiamo discutere in questa sede dei numerosi studi eseguiti sull’argomento. Esamineremo
solamente i dati di alcuni di tali studi che ritengo particolarmente interessanti per evidenziare il
concetto su esposto. Anderson e Phelps eseguirono, nel 2001, una ricerca con persone che avevano
subito delle lesioni dell’amigdala, un nucleo sottocorticale del sistema limbico coinvolto
presentate in rapida successione delle parole neutre e delle parole con valenza emozionale (es: sangue,
guerra. etc.). Tipicamente, nella presentazione in rapida successione di stimoli cui è necessario
fenomeno identifica una difficoltà a individuare stimoli bersaglio (cui occorre prestare attenzione)
presentati in successione nella stessa posizione spaziale, se il secondo di due stimoli è presentato con
un intervallo inter-stimolo inferiore a 500ms (Broadbent e Broadbent, 1987; Raymond e coll., 1992).
Questo fenomeno è osservato nei paradigmi denominati di rapid serial visual presentation (RSVT;
in italiano: presentazione seriale visiva rapida). In sintesi, l’individuo sano ha difficoltà a individuare
in modo esplicito uno stimolo se questo è presentato con un intervallo di tempo inferiore a 500 ms
Anderson e Phelps (2001) adottarono la modalità di presentazione sopra descritta con la richiesta
ai partecipanti di individuare due parole presentate in inchiostro verde, tra le altre parole scritte in
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inchiostro nero. I risultati hanno mostrato che i soggetti sani - senza disturbi neurologici - riuscivano
a percepire la parola con valenza emozionale anche se questa era presentata immediatamente dopo la
prima parola target. Questo dato è in linea con i risultati di altri studi laddove documenta che lo
stimolo emotigeno ha un vantaggio di codifica rispetto agli stimoli neutri. Nello stesso studio i
ricercatori dimostrarono che nei pazienti con lesioni dell’amigdala sinistra questo vantaggio non era
più osservabile. Questo studio riveste particolare importanza poiché fu il primo a evidenziare tale
effetto.
Riassumendo, i dati dello studio indicano che le parole con valenza emozionale sono riconosciute
in tempi molto brevi e che è loro dedicata dal “sistema” un’attenzione significativamente maggiore
rispetto a quanto accade per le parole neutre. Inoltre, l’attività di alcune strutture cerebrali - l’amigdala
nello studio di Anderson e Phelps - appare particolarmente critica per decodificare la valenza
A sostegno dell’ipotesi che gli stimoli emotigeni avrebbero un vantaggio evolutivo rispetto agli
altri stimoli (neutri), sono anche i dati di numerose ricerche volte ad indagare la modulazione
stimolo di questi studi erano figure, parole, frasi e racconti. I risultati convergono nel dimostrare che
la prestazione dei soggetti a questi compiti migliora significativamente per gli stimoli associati a
Questo paragrafo è in parte ripreso dalla revisione della letteratura dell’argomento a cura di Dunn
e coll. (2006; “The somatic marker hypothesys: a critical evaluation”. Neuroscience and
Nel modulo precedente abbiamo avuto modo di vedere come i processi decisionali non seguano
sempre una direttrice razionale. In alcune circostanze le decisioni sono prese in modo semiautomatico
sulla base di analisi parziali degli stimoli presenti nella situazione. Sono condizioni non prevedibili
se assumiamo la prospettiva dei modelli matematici che assumono che l’individuo segua un principio
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migliore sulla base di un principio razionale. Non sempre però la scelta del soggetto dipende dal
Il ruolo del sistema emozionale nel modulare le scelte dell’individuo anche in situazioni complesse
è studiato da tempo. Diversi sono i modelli neurobiologici proposti, al centro dei quali sono collocati
la corteccia prefrontale e il sistema limbico. I modelli più influenti si focalizzano sull’importanza del
feedback proveniente dalla “periferia somatica” (le variazioni di attività fisiologica) e sulla
rappresentazione cerebrale di tale feedback sulla scelta comportamentale. McLean (1975) ipotizzò
che i lobi frontali rivestissero una funzione fondamentale nell’integrare le informazioni provenienti
dalle diverse afferenze sensoriali (il feedback sensoriale) al fine di promuovere scelte adattive.
Testualmente l’autore scrive “l’interazione reciproca tra le regioni frontali e limbiche è coinvolta
nella modulazione del fenomeno dell’anticipazione comportamentale e spiega uno dei sintomi più
rilevanti delle lesioni estese dei lobi frontali, la perdita di interesse per il futuro”. Sempre testualmente
l’autore conclude: “Nell’analisi finale il confronto che l’individuo esegue è sempre tra la risposta
emozionale associata a ciascuna delle possibili alternative…è plausibile ritenere che questo processo
di anticipazione viene meno in seguito a lesioni frontali” (pag. 183). McLean mette dunque in
evidenza come alcuni indici di variazione fisiologica, registrati e interpretati a livello cerebrale grazie
dell’individuo. In linea con questa ipotesi, ma enfatizzando il ruolo dei processi cognitivi di scelta,
Meller e coll. (1997) propongono che le emozioni che le persone sperimentano dopo avere preso una
decisione dipendano dal confronto tra le conseguenze effettive e le conseguenze possibili relative a
diverse alternative.
Epstein propone quella che è definita come la cognitive-experential self theory (CEST; 1991).
Questa teoria richiama la differenziazione che abbiamo discusso nel modulo precedente tra sistema
di tipo 1 e sistema di tipo 2 quando abbiamo trattato dell’effetto framing. Epstein propone, infatti,
che i due sistemi interagiscano nel processo decisionale. Un sistema più esperienziale (intuitivo-
euristico secondo Kahneman e Tversky, 1972), capace di rispondere rapidamente, agirebbe a livello
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della situazione. Il secondo sistema sarebbe più razionale, mediato cognitivamente, capace di
Probabilmente, il modello più capace di integrare le diverse componenti coinvolte nei processi
decisionali e, in particolare, che consente di assegnare un ruolo chiaro al sistema emozionale in tali
processi è quello proposto e sviluppato da Damasio (1996; 2004). L’influente ricercatore e il suo
gruppo di ricerca hanno eseguito numerosi studi con persone affette da lesioni ai danni di alcune aree
della corteccia frontale, le regioni ventro-mesiali, la cui attività è risultata cruciale per la corretta
assunzione di decisioni da parte dell’individuo. In seguito a questa serie di studi, Damasio formulò
l’ipotesi denominata “somatic marker hypothesys” (ipotesi del marker somatico) secondo la quale i
segnali provenienti dal corpo e la loro rappresentazione a livello cerebrale occuperebbero una
fisiologico) che occorrono sia a livello somatico che cerebrale. Quando si avvia il processo
decisionale, un segnale (che rappresenta il marker somatico) proveniente dalla periferia o dalla
rappresentazione centrale (cerebrale) della variazione avvenuta a livello periferico, indica la valenza
emozionale di un’opzione di scelta. Secondo Damasio, per ogni opzione di scelta sono attivati dei
segnali somatici (variazioni di attività di organi interni, variazioni dell’attività muscolare, variazione
della temperatura, etc.) che sottolineano il valore della scelta stessa. Questi segnali avrebbero anche
il compito di orientare l’attenzione del sistema verso l’analisi delle opzioni di rilievo riducendo in tal
modo il numero di alternative possibili (processo di selezione delle risposte). Questo processo è
particolarmente rilevante nelle condizioni d’incertezza o di rischio per l’individuo. Questi segnali
somatico effettivo per determinare il segnale che indica la valenza emozionale di una scelta. Sarebbe,
definito “come se” (“as if”) che lavorerebbe nei termini dell’aspettativa della modificazione somatica
La breve discussione qui proposta non ci permette di esaurire l’argomento del ruolo delle emozioni
nei processi decisionali, argomento che richiederebbe un modulo ad esso interamente dedicato.
Possiamo concludere questo paragrafo evidenziando alcuni punti. L’effetto framing di cui abbiamo
parlato nel modulo precedente è un esempio di condizione in cui la scelta non è assunta in funzione
modulato dalle caratteristiche del contesto. Caratteristiche che determinano un’attrazione sul sistema
nelle condizioni in cui la decisione può determinare dei rischi concreti per l’individuo, come, ad
esempio, quando il successo della risposta è su base probabilistica (il gioco d’azzardo è un esempio
di condizione di rischio in cui i segnali emozionali sono di particolare rilievo per dirigere la scelta).
In queste condizioni l’attivazione del sistema emozionale è critica per dirigere le scelte dell’individuo
in modo vantaggioso per il soggetto. Damasio e coll. (1991) hanno documentato, infatti, che lesioni
di alcune aree della corteccia prefrontale (in particolare le aree ventro-mesiali) determinano
l’assunzione di scelte svantaggiose per sé in associazione con una riduzione dei segnali di variazione
somatica. Possiamo concludere questo paragrafo ridefinendo le emozioni come stati affettivi, che
comportano modificazioni sia mentali che fisiologiche, i quali orientano l’attenzione e agiscono come
Dalla discussione proposta nel corso del modulo emerge in modo chiaro come le emozioni siano
diversi autori è rappresentato dall’osservazione che esistono emozioni che possiamo definire di base,
come la rabbia, che attivano nell’organismo reazioni rapide che spesso “sfuggono” al controllo
cognitivo, ed emozioni che sono sottoposte a una processazione cognitiva più elaborata, come ad
esempio la gelosia, ovvero che ad essa conseguono (come provare rabbia o felicità per un evento
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accaduto ad un’altra persona a noi cara). In letteratura sono proposte due vie neurofunzionali che
sarebbero dedicate all’elaborazione delle emozioni primarie (di base) e delle emozioni secondarie.
Le emozioni primarie sarebbero mediate essenzialmente dall’attività delle strutture sottocorticali del
circuito di Papez (il sistema limbico), circuito che abbiamo visto essere coinvolto anche nei processi
della memoria. Alcune strutture quali l’amigdala, il talamo e l’ipotalamo sarebbero implicate in modo
degli stimoli e delle risposte. Elaborazione in cui sono coinvolte le regioni della corteccia prefrontale
(Damasio, 2000; Le Doux, 2000). L’attività della corteccia prefrontale, cui le informazioni
giungerebbero dal talamo e da cui una volta elaborate sarebbero in seguito inviate all’amigdala,
l’attribuzione cognitiva del significato emozionale. Come ho avuto modo di scrivere in un lavoro di
“in una visione integrata la corteccia orbito-frontale, come parte di ampio un circuito neurale che
di disagio psicologico conseguenti, ad esempio, a situazioni che determinano uno stress psico-fisico
acuto o cronico, e in numerosi quadri clinici di disordini psicopatologici conclamati. Non è dunque
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obiettivo di questo paragrafo descrivere le diverse condizioni in cui è presente una disregolazione
emozionale.
Vorrei portare qui alla vostra attenzione alcuni concetti relativi alle capacità di codifica e di
espressione emozionale. Tali capacità non sono presenti allo stesso modo in tutti gli individui.
Ciascuno di noi ha delle modalità proprie di “sentire” le emozioni, di esprimerle e di comunicarle agli
altri. Queste modalità dipendono da una serie di fattori biologici, psicologici, sociali e culturali.
L’aspetto culturale può essere particolarmente importante. Pensiamo, ad esempio, come nella cultura
latina sia diversamente considerata l’espressione di alcune emozioni nell’uomo e nella donna.
L’alessitimia è una condizione descritta inizialmente da Sifneos (1972) per indicare un disturbo
delle funzioni affettive e simboliche che si manifesta con la difficoltà a descrivere i propri sentimenti
e a discriminare tra stati emotivi e sensazioni corporee. Questo costrutto è stato oggetto di numerose
b) Uno stile cognitivo in funzione del quale l’individuo tende a incentrare l’attenzione sugli eventi
esterni piuttosto che sulla realtà interna, associato ad una difficoltà nei processi di simbolizzazione.
Nel complesso, possiamo intendere l’alessitimia come una difficoltà generale nel processare e
condotte con soggetti sani hanno messo in luce come i tratti alessitimici siano distribuiti normalmente
nella popolazione. Alcuni individui hanno una tendenza a esprimere le emozioni più accentuata
rispetto ad altri individui. Allo stesso tempo alcune persone sono più riflessive di altre.
E’ stato però documentato che la presenza di alessitimia vera e propria, che comprende le
componenti sopra descritte, è correlata positivamente con un maggiore rischio di sviluppare disturbi
psicopatologici e psicosomatici (Bach e Bach, 1995; Honkalampi e coll., 2000). L’alessitimia è anche
considerato un fattore di rischio per lo sviluppo di reazioni psicologiche disfunzionali in persone con
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patologie organiche (Taylor e coll., 1997). Inoltre l’alessitimia è spesso riscontrata in persone con
emozioni nel mantenimento del più generale equilibrio del funzionamento del nostro organismo.
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