Sei sulla pagina 1di 10

CAPITOLO 11.

LO SVILUPPO EMOTIVO
Cosa sono le emozioni?
Già dalla fine del 1800, Darwin e James cercarono di definire cosa sia un’emozione e di
trovare i correlati fisiologici e le funzioni adattive. Successivamente, con l'influenza del
comportamentismo, si afferma l'idea che tutti i fenomeni non osservabili o riconducibili a
processi mentali non potevano essere oggetto di analisi, di conseguenza, lo studio delle
emozioni venne trascurato o condotto solo considerandone le manifestazioni
comportamentali.
Dagli anni '60, con il cognitivismo, i processi mentali vennero di nuovo reputati
fondamentali per comprendere lo sviluppo del comportamento umano, tuttavia, le
emozioni occupavano ancora un ruolo inferiore rispetto alle cognizioni e per lungo tempo
si è pensato che potessero disturbare la razionalità dell'individuo e ostacolarne lo
sviluppo delle potenzialità cognitive.
Negli anni '40 invece, vi fu una rinascita dello studio sulle emozioni. Oggi si è
riconosciuto il loro fondamentale ruolo nello sviluppo psicologico umano, il loro legame
con gli aspetti cognitivi e la loro funzione nella regolazione delle interazioni.
L'etimologia del termine emozione è da ricondursi al latino “emovere”, cioè “muovere da,
spostarsi”, che può indicare sia l’agitazione interna determinata dal vissuto emotivo, sia
la tendenza a modificare la situazione esterna.
Le emozioni sono dei vissuti soggettivi, degli stati mentali, complessi e multi
componenziali, che possono essere compresi grazie ai processi sottostanti, come la
tendenza all’azione, la valutazione cognitiva, il desiderio di raggiungere uno scopo, il
coinvolgimento di tutto il corpo e delle energie personali. Le emozioni hanno una durata
nel tempo e un'intensità e svolgono un importante funzione adattiva.
Le emozioni hanno una base biologica nel cervello, anche se non vi è una corrispondenza
biunivoca tra una specifica emozione e la sua localizzazione in una determinata area
cerebrale. Come dimostrano studi di neuroscienza, il cervello umano è predisposto a
rilevare stimoli importanti da un punto di vista emotivo e rispondere in modo
differenziato in base alla loro valenza. Varie aree del cervello attivano diversi circuiti
neurali, che possono dare luogo in modo automatico ad una risposta comportamentale o
emotiva, ad esempio , il sistema cerebrale può rilevare il pericolo e spingerci alla fuga,
prima ancora che ci rendiamo conto di avere paura. In questi casi, la reazione
dell'individuo è efficace e immediata e ha luogo senza necessariamente utilizzare processi
cognitivi coscienti. L'emozione soggettiva comparirebbe quando diventiamo consapevoli di
tale attivazione cerebrale. In altri casi, la risposta può non essere automatica, ma
mediata da cognizioni e motivazioni, cioè lo stimolo viene compreso nella sua natura e
interpretato secondo i propri scopi, affinché produca una reazione emotiva o
comportamentale.
Nonostante le emozioni abbiano questa importante base neurobiologica, risentono
profondamente delle influenze culturali e ambientali, soprattutto nella loro espressione e
regolazione.
Le componenti delle emozioni
Un’emozione nasce da un evento esterno o interno all’individuo, che modifica lo stato
dell'organismo. Tali modificazioni avvengono a livelli diversi e coinvolgono vari sistemi
interconnessi tra di loro:
1. Componente fisiologica.
A livello fisiologico: le emozioni si esprimono attraverso reazioni corporee che
interessano il sistema nervoso e il sistema endocrino. Il cervello reagisce a uno stimolo
inviando dei messaggi ai vari organi del corpo affinché si predispongano a reagire.
Queste reazioni sono per lo più inconsapevoli e più difficili da controllare rispetto a
quelle attivate a livello espressivo-comportamentale. Il nostro corpo reagisce allo stimolo
emotivo con espressioni facciali o con altre manifestazioni corporee, che caratterizzano in
particolare le emozioni primarie. Anche il linguaggio verbale è una modalità con cui le
emozioni vengono espresse.

2. Componente cognitiva:
A livello cognitivo: gli individui attribuiscono un significato sia lo stimolo che ha
provocato la reazione, sia a ciò che stanno provando il riferimento esso, anche se non
sempre avviene in maniera consapevole. L'elaborazione cognitiva di un’emozione indica
che la sfera emotiva e quella cognitiva sono intrecciate l'una con l'altra e sotto intende un
processo evolutivo, per cui, con la crescita, il bambino è sempre più in grado di valutare
ciò che accade e di mettere in atto azioni pianificate per gestire al meglio la situazione.
3. Tendenza all’azione:
Un'altra componente importante del processo motivo è la tendenza all’azione, cioè una
spinta a fare o pensare qualcosa di specifico. Uno stimolo che genera emozioni positive
induce ad avvicinarsi, mentre un evento percepito come negativo o pericoloso spinge ad
allontanarsi. Non sempre la tendenza all’azione è effettivamente associata ad un’azione
vera e propria, ma può indicare uno stato di preparazione. Inoltre, la tendenza all’azione
viene è mediata dalle influenze ambientali e dall’intervento educativo, che agiscono
sull’effettiva messa in atto di un comportamento. La messa in atto di un’azione è per
tanto influenzato dalla motivazione del soggetto, che guida il comportamento in base a
ciò che egli ritiene più adattivo in quel momento e in quella situazione.
4. Componente esperienziale
Essa fa riferimento al vissuto soggettivo interno e consapevole, provocato da ciascuna
emozione, cioè l'interpretazione di come ci si sente quando si è felici, tristi o arrabbiati. A
volte è difficile distinguere in maniera netta emozioni della stessa tonalità che vengono
esperite insieme. Altre volte è difficile anche definire la tonalità emotiva, perché si
provano emozioni miste o ambivalenti nello stesso momento. Sebbene le emozioni
ambivalenti siano presenti fin dall'infanzia, è solo verso i 7/8 anni che il bambino ne
diventa consapevole.
Le emozioni sono dunque, il risultato di un processo complesso che scaturisce
dall’insieme di tutti questi componenti: una situazione e uno stimolo (interno esterno)
attirano l'attenzione dell'individuo e attivano reazioni corporee (componente fisiologica),
la persona valuta varie opzioni di risposta e sceglie la strategia che reputa migliore in
quel momento (componente cognitiva ed esperienziale), eventualmente mettendola in atto
(tendenza all’azione). Tutto ciò si riflette in un'esperienza soggettiva alla quale diamo il
nome di un’emozione specifica.
Queste componenti sono influenzate dalle esperienze passate, dalla cultura, dagli
obiettivi che si desidera raggiungere, dalle caratteristiche personali e dal temperamento.
Inoltre, la valutazione della situazione dipende dal significato che ciascuno di noi
attribuisce allo stimolo. Le modalità e l'intensità con cui si reagisce a uno stimolo a
livello corporeo o comportamentale non sono le stesse in tutti gli individui e non sono
stabili nello stesso individuo. È possibile, inoltre, che le risposte fisiologiche siano più
salienti in alcune persone, mentre le espressioni facciali siano più caratteristiche per
altre.
L'emozione dipende anche dalla novità dell'evento o dalla variazione della situazione e
sarà tanto più intensa quanto più il cambiamento è saliente o inatteso. Le reazioni
emotive sono pertanto flessibili e si adattano all’individuo e alla situazione, con l'obiettivo
di salvaguardare i propri desideri, interessi e le relazioni sociali.
A cosa servono le emozioni?
Campos e Barrett evidenziarono il ruolo fondamentale delle emozioni nel regolare i
processi psicologici interni e i comportamenti sociali. Secondo tale approccio
funzionalista, la finalità delle emozioni è sovraordinata rispetto alle loro caratteristiche e
alla loro natura, o intensità; per cui le emozioni possono essere raggruppate in famiglie
di emozioni in base al ruolo che svolgono.
1. Funzione adattiva e biologica:
Le emozioni contribuiscono all’adattamento all'ambiente e consentono all’individuo di
rispondere in modo flessibile ed efficace alle varie situazioni. Fin dalla nascita, le
emozioni hanno una funzione biologica, contribuiscono alla sopravvivenza e proteggono
da potenziali pericoli. per esempio, il disgusto evita l’ingerimento di sostanze nocive.
2. Ruolo di autoregolazione
Le emozioni regolano i processi psicologici interni che si attivano di fronte a uno stimolo,
attraverso la selezione di informazioni, l'attribuzione di un significato allo stimolo e la
valutazione del tipo di risposta da fornire. Le risposte fisiologiche attivate da un’emozione
(come l’aumento del battito cardiaco dovuto alla rabbia) ci permettono autoregolare
l’arousal, ovvero il livello di allerta o di tensione di un individuo, l’eccitazione e la
reattività innescate da uno stimolo specifico o intenso) es, l'aumento del battito
cardiaco dovuto alla rabbia può condurre l'individuo a tentativi di ridurlo, cosa che può
riflettersi in una diminuzione del comportamento aggressivo.
3. Funzione sociale
Le emozioni vengono esperite quasi sempre in contesti sociali, per cui una delle loro
funzioni principali è quella di gestire in modo efficace le relazioni con gli altri. La
comunicazione con gli altri si basa spesso su scambi emotivi: un aspetto emotivo tipico
della relazione madre-figlio è il fenomeno del riferimento sociale, che implica la capacità
del bambino, dai 12 mesi di vita, di comprendere le espressioni emotive del caregiver e di
utilizzarlo come un punto di riferimento che lo guida e gli fornisce importanti
informazioni sulla situazione e sul comportamento da mettere in atto. Se il bambino, per
esempio, osserva che il caregiver ha un'espressione spaventata di fronte a un oggetto
nuovo, non si avvicinerà all’oggetto. Questo fenomeno supporta l'importanza della
funzione comunicativa delle emozioni e del ruolo del caregiver nella regolazione del
bambino nei primi anni di vita.
Lo sviluppo delle emozioni
Le emozioni primarie sono quelle emozioni che hanno uno specifico substrato neurale e
una natura innata, che si esprimono attraverso diversi canali e hanno una funzione
adattiva specifica. Le emozioni primarie sono presenti fin dalla nascita e vengono
espresse e comprese in modo simile in ogni popolazione umana, indipendentemente dai
processi cognitivi, dall'apprendimento e della cultura. Tuttavia, con l'età, i bambini
diventano in grado di esprimerle e organizzarle in modo sempre più complesso per
raggiungere i propri obiettivi e far fronte alle richieste dell'ambiente.
Vi sono due prospettive dominanti riguardo allo sviluppo delle emozioni:
1. La teoria differenziale
Secondo la teoria differenziale le emozioni hanno una base biologica e si sviluppano
secondo un programma maturativo innato e universale, indipendentemente dallo
sviluppo cognitivo e sociale. ogni emozione farà la sua comparsa secondo specifiche
tappe, in base al momento in cui sarà più funzionale all’adattamento all'ambiente.
2. La teoria della differenziazione
Al contrario, per la teoria della differenziazione, i meccanismi cognitivi hanno un ruolo
importante per spiegare come le emozioni si sviluppano a partire da uno stato iniziale di
eccitazione indifferenziata. Secondo questa teoria i processi cognitivi vengono utilizzati
dal bambino per valutare e interpretare lo stimolo.
Entrambe le teorie concordano nel ritenere che nei primi due mesi di vita vi siano delle
manifestazioni emotive regolate da meccanismi fisiologici e riflessi, in genere come
risposta alle variazioni nell’intensità della stimolazione ambientale. In questo periodo, è
preminente il ruolo dei processi biologici e dei bisogni fisiologici nel controllare le
emozioni. Le espressioni corporee non sono ancora specifiche di determinate emozioni e
spesso sono comuni a più sensazioni. Il neonato mostra interesse, disgusto, sconforto,
trasalimento, tutti i sentimenti che, anche se non sono ancora utilizzati in modo
intenzionale, servono per proteggersi da stimoli negativi, per comunicare i propri bisogni
e per costruire un legame con il caregiver.
Per la teoria differenziale (1), dal terzo mese, le manifestazioni emotive diventano più
articolate e compaiono le emozioni di gioia, sorpresa, tristezza, collera e paura. Intorno
agli 8-9 mesi, si presenta una paura specifica, quella dell'estraneo, che segnala che si sta
consolidando il legame affettivo preferenziale con una figura di attaccamento.
Secondo la teoria della differenziazione, verso i 3-4 mesi si osservano dei precursori delle
emozioni, mentre è nella seconda metà del primo anno che le emozioni vere e proprie
comparirebbero, grazie allo sviluppo cognitivo e all'influenza dell'ambiente, con cui il
bambino valuta il significato dello stimolo. Gli stimoli si caratterizzano quindi, prima per
l'intensità, poi per il contenuto e infine per il significato che viene loro attribuito.
Sistema piacere-gioia: all’interno di questo sistema si sviluppa:
1, sorriso endogeno: (0-2 mesi) Il bambino produce il sorriso endogeno, ovvero una
manifestazione di uno stato di benessere interiore, non indirizzato all’esterno,
indipendente da stimoli esterni e presente anche del sonno,
2, sorriso sociale non selettivo (2 mesi) il sorriso esogeno viene prodotto in risposta a
stimoli acustici o visivi indifferenziati, e prende il nome di sorriso sociale non selettivo.
3, sorriso sociale selettivo: (3 mesi); segnala uno stato emotivo positivo come risposta
specifica a determinate persone e ha il ruolo fondamentale di iniziare e mantenere uno
scambio sociale. Da questo momento il sorriso diventa un’espressione fondamentale
nella comunicazione non verbale.
4, gioia: (4 mesi) si assiste alla comparsa dell'emozione vera e propria della gioia.
Sorriso endogeno sorriso sociale non selettivo sorriso sociale selettivo gioia
Sistema circospezione-paura:
Con il sistema di circospezione-paura, il bambino, nelle prime settimane di vita,
sperimenta forme di disagio indifferenziato, attraverso cui scarica la tensione dovuta a
stimoli intensi. Verso i tre mesi, il bambino mostra circospezione (precursore della paura)
verso stimoli non familiari, dopo i sei mesi, compare la paura vera e propria, come
reazione a stimoli valutati come minacciosi.
Sistema frustrazione-rabbia
Il sistema di frustrazione-rabbia indica un’iniziale manifestazione di agitazione e reazioni
di disagio dovute all’intensità dello stimolo. Dal terzo mese, comprare il precursore della
rabbia, la frustrazione, che si svilupperà, dopo la metà del primo anno di vita, in risposte
sempre più organizzate di rabbia e collera verso uno stimolo considerato di ostacolo ai
propri obiettivi.
Il pianto
Sia il sistema di circospezione-paura che quello di frustrazione-rabbia possono elicitare il
pianto che, come il sorriso, può diventare un’importante segnalatore emotivo con valenza
comunicativa. Il pianto serve per richiamare l'attenzione del caregiver e per segnalare
uno stato di disagio, rabbia , paura o una necessità fisiologica. Una risposta contingente
e coerente, da parte del caregiver, al pianto del bambino contribuisce al suo senso di
fiducia e allo sviluppo di un attaccamento sicuro. Con il tempo, il bambino comprende il
valore comunicativo del pianto e verso la fine del primo anno lo utilizza in modo
intenzionale per regolare gli scambi sociali e per ottenere ciò che desidera.
Le sequenze di sviluppo delle emozioni sono molto simili nella teoria differenziale e in
quella della differenziazione, in quanto entrambe si basano su dati oggettivi. Ciò che
maggiormente le distingue, è che nella prima gli aspetti emotivi prevalgono su quelli
cognitivi, le emozioni sono già presenti alla nascita e dipendono da meccanismi neurali
specifici. Nella teoria della differenziazione, invece lo sviluppo emotivo è subordinato e si
intreccia a quello cognitivo e sociale.
In ogni caso, si osserva che il bambino, crescendo, risponde non solo a stimoli biologici,
ma anche sociali. Con l'acquisizione del linguaggio, i bambini cominciano a parlare di
emozioni, anche se all'inizio distinguono solo la valenza positiva o negativa, per arrivare
negli anni prescolari a etichettare correttamente alcune emozioni, le loro cause e le loro
conseguenze.
Dopo il primo anno, grazie allo sviluppo cognitivo e a quello sociale, emergono anche le
emozioni secondarie e il ruolo del contesto diventa via via preponderante nell’influenzare
il modo in cui le emozioni vengono espresse in accordo alle regole sociali e nel
determinare la competenza emotiva.
Le emozioni secondarie
Si chiamano secondarie, o sociali, o autocoscienti, quelle emozioni che non vengono
espresse fin dalla nascita, ma che compaiono dal secondo anno di vita e necessitano di
autoconsapevolezza, introspezione e di una base di sviluppo cognitivo che consenta di
riconoscere, valutare e interiorizzare norme e standard sociali e di comportarsi di
conseguenza. Rispetto alle emozioni primarie, sono influenzate maggiormente
dall'apprendimento, dal contesto e dalla cultura e non sono caratterizzate da pattern di
attivazione fisiologica specifici e distintivi.
Possiamo includere tra le emozioni secondarie: l'imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa,
l'orgoglio, la superbia, la empatia, l'invidia e la gelosia.
Secondo alcuni studiosi (tra cui Lewin) le prime emozioni autocoscienti compaiono tra i
15 e i 24 mesi e necessitano che si sia sviluppata la consapevolezza di sé. Solo quando il
bambino inizia pensarsi con caratteristiche categoriche e ad osservare il proprio
comportamento da un punto di vista esterno, allora riesce a sperimentare le prime
emozioni autocoscienti, come l'imbarazzo e l’empatia.
Successivamente, intorno ai 30 mesi, grazie ad un ulteriore sviluppo di abilità cognitive
relative alla comprensione di regole e scopi, emergono anche emozioni più complesse
come la vergogna, il senso di colpa, l'orgoglio e la superbia. Affinché il bambino possa
provare qualche emozione, è necessario che riconosca la propria individualità e che abbia
sviluppato più sofisticate capacità sociali e cognitive fondamentali per comprendere
alcuni aspetti del contesto e valutare sé stesso e il proprio comportamento in base a
norme o standard interiorizzati.
I bambini diventano sempre più abili a distinguere le emozioni primarie da quelle
secondarie, a regolare le loro risposte in base al contesto, e sviluppano un maggiore
senso di responsabilità e una migliore comprensione delle regole. Il processo di sviluppo
che coinvolge la consapevolezza e la verbalizzazione di tali emozioni è tuttavia molto
lungo. In alcuni studi riportati da Harris, fino a 5 anni i bambini riferiscono di sentirsi
genericamente felici o tristi in situazioni in cui invece l'orgoglio e il senso di colpa
sarebbero state, rispettivamente, le emozioni adeguate. Dopo questa comparirebbe la
capacità di individuare gli effetti fondamentali delle emozioni autocoscienti, quali la
responsabilità personale, il confronto con le norme e l’interiorizzazione del giudizio altrui.
Infine, i bambini diventerebbero in grado di utilizzare le etichette linguistiche appropriate
solo intorno ai 9 anni.
Lo sviluppo della competenza emotiva
Lo sviluppo emotivo si basa su un insieme di abilità con cui i bambini nascono, ma che
si evolvono nel contesto sociale e culturale. La competenza emotiva è un termine che
include molte e diverse capacità riferite alle emozioni, tra queste capacità vi sono:
1. il riconoscimento delle emozioni in sé stessi, chiamato consapevolezza emotiva.
2. il riconoscimento delle emozioni negli altri
3. la capacità di comunicare le proprie emozioni agli altri
4. la capacità di gestire il livello della propria attivazione emotiva.
5. La capacità di comprendere e rispondere in modo attivo alle emozioni degli altri;
affinché ciò si sviluppi è necessaria una buona teoria della mente ed empatia.
6. La consapevolezza dei comportamenti corretti all'interno della società.
L'ambiente sociale si compone di diversi livelli:
1. Livello sociale familiare
2. Livello sociale dei pari: un importante ruolo nello sviluppo delle mozioni dipende
dal contatto con i pari; soprattutto durante il gioco libero, che favorisce
l'espressione spontanea l'interazione tra pari, i bambini imparano molto riguardo
le emozioni, a come leggerle negli altri bambini e reagire in modo appropriato, qua
come regolare le proprie. Durante l'adolescenza, il ruolo dei genitori diventa meno
importante e i ragazzi si rivolgono sempre più agli amici e al gruppo dei pari per la
condivisione emotiva il supporto.
Oltre all'ambiente sociale, anche il contesto culturale influenza lo sviluppo della
competenza emotiva nei bambini. La maggior parte degli studi sullo sviluppo emotivo e
sulla competenza emotiva si basa su ricerche effettuate su con campioni occidentali
(cultura individualista), cosa che può dare luogo a errori di interpretazione o a
generalizzazioni.
Consapevolezza emotiva e comunicazione delle emozioni
Dal momento che una reazione emotiva è un processo attivo dovuto a uno stimolo
proveniente dall’ambiente, è fondamentale comprendere che tale esperienza soggettiva è
legata all'evento emotigeno, e cioè sviluppare consapevolezza emotiva.
La consapevolezza emotiva è una componente della competenza emotiva e include varie
abilità, tra cui: distinguere ed etichettare le emozioni che si provano, identificarne le
cause, comunicarle agli altri e riconoscere la loro importanza nel fornire informazioni
utili su sé stessi e sulle relazioni con gli altri.
I bambini non imparano tutto ciò in modo automatico e spesso possono confondere i
segnali fisici, che sono parte del processo emotivo e preparano l'individuo ad agire.
Spesso gli adulti guidano i bambini nella comprensione dell'associazione tra un evento e
una reazione fisica ed emotiva e forniscono loro le etichette emotive appropriate,
insegnando quindi ai bambini un vocabolario emotivo. Oltre che direttamente, i bambini
imparano anche ascoltando le conversazioni degli altri.
Anche se non esistono emozioni buone o cattive, in quanto tutte le emozioni sono
semplicemente una reazione adattiva i cambiamenti del contesto, i bambini hanno
bisogno di imparare quando esprimere una certa emozione e quanto intensamente
comunicare i loro sentimenti. Avere una buona consapevolezza emotiva è un prerequisito
fondamentale anche per un efficace comunicazione delle emozioni che tenga conto dei
bisogni e dei desideri individuali, ma anche degli obiettivi sociali.
Per una comunicazione attiva delle emozioni, i bambini devono apprendere le display
rules, cioè le regole di esibizione delle emozioni, che sono determinate dal contesto della
cultura e che facilitano la comunicazione tra gli individui, la comprensione reciproca e
l'accettazione nel gruppo. Le emozioni possono pertanto essere nascoste, minimizzate,
massimizzate, dissimulate esprimendo un’emozione diversa da quella sperimentata
internamente, o mascherate.
Anche se i bambini sono capaci fin dai primi anni di aumentare o diminuire l'intensità di
un'emozione, è solo verso i sei anni di età che tali tecniche diventano consapevoli: i
bambini comprendono la distinzione tra (1) emozione che si prova ed (2)emozione che si
comunica, accettando tale discrepanza in nome di convenzioni sociali condivise.
Attraverso l'esperimento del regalo sgradito, Saarni mostro che le capacità di dissimulare
la delusione dopo avere ricevuto un regalo insignificante o non apprezzato era minore nei
bambini di sei anni, in cui si notava lo sforzo di controllarsi ma era ancora evidente
l’emozione reale, rispetto ai bambini di 10 anni, che invece riuscivano bene a mostrare
contentezza e gratitudine e a nascondere la delusione. Crescendo, pertanto, i bambini
imparano a comunicare le emozioni in modo sempre più flessibile e articolato.
Differenze culturali nell’espressione delle emozioni:
Esistono importanti differenze culturali nell’espressione nella comunicazione delle
emozioni. Uno studio ha dimostrato che, mentre i bambini olandesi esprimevano
apertamente la loro rabbia in una situazione conflittuale con i pari, i bambini cinesi
erano meno aggressivi e addirittura arrivavano a scusarsi con il compagno che aveva
fatto loro del male, nonostante il loro livello iniziale di rabbia fosse simile a quello dei
bambini olandesi. Tali risultati sono coerenti con l'idea che i bambini di culture
collettiviste attribuiscono maggiore importanza all’armonia nel gruppo e alla
salvaguardia delle relazioni.
Molti bambini crescono in contesti con una doppia cultura. Per esempio, sono stati
condotti vari studi sull’espressione e sulla comunicazione delle emozioni in bambini e
adolescenti marocchini (con un retroterra culturale di tipo collettivistico), che vivevano
nei Paesi Bassi (cultura individualistica dominante). Gli adolescenti marocchini che
vivono nei Paesi Bassi tendono a esprimere la rabbia sia in modo indiretto, come i
coetanei che vivono in Marocco, che in modo diretto, come gli adolescenti olandesi. Tali
risultati evidenziano un pattern di comunicazione della rabbia funzionale perché
appartiene a due culture, ma sottolineano anche l'importanza dei modelli culturali
collettivistici che valorizzano i buoni rapporti nel gruppo
La regolazione emotiva
La consapevolezza emotiva è un prerequisito per la regolazione emotiva; a volte è meglio
regolare il livello di arousal emotivo prima di esprimere un’emozione. Un motivo per
regolare il livello di arousal è il fatto che le emozioni possono diventare travolgenti e
durature; essere sopraffatti dalle emozioni e non riuscire a gestirle può portare allo
sviluppo di disturbi psicopatologici, come la depressione. Pertanto, è necessario saper
controllare il livello di attivazione emotiva: questa forma di regolazione prende il nome di
coping e indica la capacità dell'individuo di adattarsi alle situazioni di stress in modo
efficace.
Vi sono diverse strategie di coping:
1. In bambini di pochi mesi una di queste strategie è il tentativo di evitare uno
stimolo negativo, ad esempio, distogliendo lo sguardo da qualcosa che non
gradiscono o, verso la fine del primo anno, ad allontanarsi fisicamente da una
situazione indesiderata.
2. La ricerca di supporto sociale: in bambini di pochi mesi si esprime come ricerca di
vicinanza e conforto affettivo, mentre i bambini più grandi chiedono direttamente
aiuto agli adulti del loro ambiente e gli adolescenti cominciano a rivolgersi al loro
gruppo di pari per discutere argomenti emotivamente importanti per loro.
3. Il problem solving: strategia di coping fondamentale durante tutta la vita che
consiste nel tentare di capire e risolvere un problema che suscita emozioni
negative.
4. Il re-appraisal: strategia cognitiva di livello superiore, che si affianca a quelle
comportamentali e che si sviluppa nei preadolescenti. Invece di mettere in atto un
comportamento, i preadolescenti possono pensare alla situazione e provare a
cambiare il loro punto di vista su di essa. Tali strategie non servono tanto a
cambiare il problema, quanto piuttosto a modificare i pensieri e le emozioni
dell’individuo relativi al problema.
L’empatia
L’empatia è una risposta affettiva a uno stato interiore altrui, è la capacità di sentire ciò
che sente l'altro. Chi prova empatia ha a cuore il benessere di un altro ed è spinto ad
aiutare e sostenere la persona che ha bisogno. L’empatia è un'emozione fondamentale
per gli esseri umani e rafforza il legame tra i membri di un gruppo e la cura reciproca.
L’empatia è costituita da diversi aspetti, che mostrano dei pattern di sviluppo. Nel primo
anno di vita, quando un bambino comincia a piangere, un altro bambino che lo sente
inizia a piangere anche lui. A questa età, sembra che gli esseri umani siano programmati
neurologicamente per sentire le emozioni degli altri, che diventano contagiose. Il provare
ciò che prova l'altra persona si sviluppa da semplice “contagio emotivo” a “empatia
affettiva”, che, tuttavia, non è molto utile nel confortare il primo bambino che piange.
Così è necessario che i bambini apprendano diverse abilità affinché i loro comportamenti
siano adeguati e di reale supporto a chi sta male. Essi devono imparare che la
sensazione che stanno provando non è la loro reazione affettiva a un evento, ma
l’emozione dell’altra persona e, soprattutto, devo imparare come regolare il loro livello di
attivazione,
Solo dal secondo anno di vita, i bambini diventano consapevoli della distinzione tra sé e
l’altro e cominciano a regolare le emozioni in modo più consapevole. ma ciò non basta. È
molto utile che i bambini capiscano anche la causa del disagio altrui, in modo tale che il
supporto che offrono sia davvero efficace.
I bambini più grandi e in particolare gli adolescenti tendono a parlare delle loro emozioni
più che a mostrarle, questo aspetto dell’empatia si chiama “empatia cognitiva”, per la
quale è necessaria una teoria della mente: la comprensione che i desideri e le credenze
possono differire da persona a persona si sviluppa pienamente intorno ai quattro anni.
Quindi a questa età, assistiamo anche un livello superiore di empatia cognitiva, che,
tuttavia, continua a svilupparsi via via che la teoria della mente si fa più sofisticata.
In realtà, all'inizio della pubertà, si nota spesso una diminuzione dell'empatia,
probabilmente perché in questo periodo i preadolescenti devono far fronte a così tanti
cambiamenti a livello fisico, emotivo, sociali e cognitivo, che la preoccupazione per gli
altri diventa temporaneamente meno importante.

Le emozioni morali di senso di colpa e vergogna


Il senso di colpa e la vergogna sono comunemente definite come emozioni morali, perché
contribuiscono alla valutazione di cosa sia giusto e cosa sbagliato e implicano la
tendenza ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni; hanno la funzione di
segnalare e interrompere una violazione norme morali o sociali, regolando così il
comportamento morale e le relazioni interpersonali.
il senso di colpa e la vergogna presentano aspetti distintivi: il focus della vergogna e sul
sé, per cui l'individuo si sente svalutato come persona, inferiore e carente rispetto alle
regole e a modelli sociali, assumendo un “identità non voluta”. Al contrario, nel caso del
senso di colpa, l'oggetto di valutazione è il comportamento agito o non agito, per cui
l’immagine di sé non subisce una svalutazione.
Si è visto che i genitori che rimproverano il figlio per caratteristiche personali, piuttosto
che per comportamenti specifici, contribuiscono ad elicitare la vergogna invece dal senso
di colpa, a minare l'autostima dei bambini e ad inibire comportamenti di riparazione che
sono invece ritenuti funzionali alla relazione.
La vergogna prevede la presenza di un pubblico, reale o immaginario, che viene percepito
come giudicante o derisore. Si tende a non mostrare il proprio sentimento di vergogna,
che, se reso pubblico, tende ad associarsi ad un senso di umiliazioni e a reazioni ostili.
Invece, il senso di colpa può essere condiviso con gli altri, cosa che contribuisce ad
alleviarlo, ma può essere vissuto anche come un'emozione più privata. Il senso di colpa
è maggiormente correlato alla preoccupazione dell’effetto del sé sugli altri.
A livello comportamentale ed espressivo, quando ci si vergogna si ha la sensazione di
sentirsi piccoli e insignificanti e il desiderio di sparire o scappare. Le reazioni del senso di
colpa, invece, includono movimento, confessione, mortificazione e desiderio di
riparazione, che implicano una notevole produzione di comportamenti verbali.
Il senso di colpa è maggiormente legato alla moralità perché scaturisce in seguito a una
trasgressione di cui ci si sente responsabili. La vergogna, invece, ha un carattere morale
quando viene elicitata da un'azione che causa un danno a qualcuno, ma può emergere
anche indipendentemente dalla moralità, quando il proprio comportamento non è
approvato, ma non causa del male ad altri. Olthof e collegi hanno ipotizzato che ciò che
caratterizza l'emergere di queste emozioni sono i contesti e le situazioni: le situazioni
morali elicitano senso di colpa e vergogna, mentre le situazioni non morali elicitano
vergogna.
Nonostante la vergogna regoli il comportamento per renderlo appropriato al contesto,
questa emozione può presentare dei risvolti maladattivi, in particolare nelle culture
occidentali, e può provocare reazioni disfunzionali legate a comportamenti interiorizzati,
come il ritiro sociale, il disagio a stare con gli altri e a gestire le relazioni, disturbi
emotivi, ansia e depressione. In altri casi, le reazioni associate alla vergogna solo di tipo
esternalizzato. Alcuni studiosi suggeriscono che la rabbia per sentirsi svalutati può
portare le persone a scaricare tale ostilità sugli altri attraverso accuse, risentimento e
comportamenti aggressivi, con l'obiettivo di difendere la propria autostima e
riguadagnare un senso di controllo e superiorità.
Le diverse reazioni sono fortemente influenzate dalla cultura e da come vengono vissute
le emozioni morali nelle società individualistiche e in quelle collettivistiche. Nelle prime,
la vergogna è in genere percepita come un’emozione negativa e indesiderabile, associata a
una diminuzione dell'’autostima e all’evitamento delle interazioni sociali, mentre, il senso
di colpa risulta funzionale come meccanismo di controllo sociale. Infatti, questa
emozione consente all’individuo di assumersi la responsabilità personale delle sue azioni
e genera il desiderio di riparare. Nelle società collettivistiche, invece, la vergogna ha un
maggiore ruolo adattivo nell’inibire le trasgressioni e uniformarsi alle norme del gruppo.
L’orgoglio e la superbia
L'orgoglio e la superbia indicano un'esaltazione del sé e una valorizzazione della propria
immagine. così come nel senso di colpa si assiste a una valutazione del proprio
comportamento, anche l'orgoglio si focalizza su un comportamento che esalta la persona,
indica successo e il compimento di un'azione lodevole. comunemente si considera
l'orgoglio come un'emozione positiva che scaturisce dal raggiungimento di un obiettivo.
Invece, la superbia, come la vergogna, coinvolge l'intero sé, che si sente superiore agli
altri ed estremamente gratificato. indica “un eccesso di fiducia in sé stessi, arroganza,
insolenza e presunzione” (Lewin). L'individuo che vuole mantenere questa emozione, che
non è legata a un’azione specifica, deve modificare costantemente i propri obiettivi, i
criteri di successo e i modelli di condotta.
La competenza socio-emotiva: il legame tra emozioni e relazioni interpersonali
Le emozioni svolgono un ruolo fondamentale per la comunicazione e le relazioni sociali,
di conseguenza non stupisce che vi sia una stretta correlazione tra lo sviluppo emotivo e
quello sociale e tra competenza emotiva e sociale. A questo proposito Denham parla di
competenza socio-emotiva per indicare la stretta interdipendenza tra questi domini, in
cui la competenza emotiva precede la competenza sociale e contribuisce a definirla.
La competenza sociale include la capacità del bambino di raggiungere gli obiettivi sociali,
considerando il benessere altrui, e di relazionarsi con adulti e coetanei in base alle
richieste e al contesto, in modo che tale interazione risulti positiva per entrambe i
partner coinvolti.
Il modo di esprimere, comprendere e regolare le emozioni ha delle conseguenze sul
comportamento che viene messo in atto e influenza i rapporti tra le persone. Così, i
bambini che sanno comunicare con chiarezza i propri stati emotivi, che comprendono
meglio i messaggi emotivi degli altri, e che riescono a gestire le loro relazioni emotive,
hanno relazioni più soddisfacenti, un maggiore successo sociale e sono più apprezzati
dai compagni.
Una buona regolazione emotiva è un altro importante predittore della consapevolezza
sociale e consente anche ai bambini isolati e poco socievoli di essere apprezzati dai pari,
mentre, avere difficoltà nella gestione delle emozioni, porta a difficoltà nella soluzione di
problemi e a reazioni iper- o ipo-controllate.
Un recente studio longitudinale ha indagato le relazioni reciproche tra alcune emozioni
primarie e secondarie e il coinvolgimento del bullismo e nella vittimizzazione. È emerso
che la paura e la vittimizzazione hanno una relazione reciproca nel tempo, per cui una
predice l'altra, e viceversa. La rabbia, invece, è antecedente e conseguenza sia del
bullismo che della vittimizzazione.
Le emozioni morali intervengono nella regolazione dei rapporti sociali e sono funzionali a
un vivere civile. Il disagio prodotto da queste emozioni induce l'individuo a cercare di
porre rimedio a un comportamento dannoso (senso di colpa) o a salvaguardare una
buona immagine di sé (vergogna), cose che contribuiscono a mantenere o migliorare
buone relazioni con gli altri. Il senso di colpa e la vergogna sono associati alla pro-
socialità, alla responsabilizzazione e all’interiorizzazione delle norme, in definitiva
costituiscono una base per la coscienza.
Vari studi sono stati condotti per approfondire le emozioni morali di bambini adolescenti
coinvolti nel bullismo. I risultati sono concordi nel rilevare un’associazione tra basso
livello di senso di colpa e bullismo; il fatto di non assumersi la responsabilità delle
proprie azioni facilita ulteriori azioni aggressive perché elimina eventuali freni inibitori
forniti dal rimorso e dalla coscienza di avere trasgredito delle regole. Al contrario, i
bambini che tendono ad aiutare e a difendere i compagni vittima, e quindi sono
riconosciuti come empatici e competenti socialmente, mostrano elevati livelli di senso di
colpa, cosa che sottolinea la funzione adattiva di questa emozione.

Potrebbero piacerti anche