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22/11/2016 ITEMS 

­ La Newsletter del testing psicologico

Il Test di Orientamento Motivazionale (TOM) come
strumento per la misura della motivazione al lavoro
Laura Borgogni
Professore di Psicologia delle organizzazioni e di Valutazione e sviluppo delle risorse umane presso la Facoltà di
Psicologia 2 dell’Università degli Studi “Sapienza” di Roma.

laura.borgogni@uniroma1.it

Laura Petitta
Psicologa del lavoro, consulente delle organizzazioni.

Claudio Barbaranelli
Professore ordinario di Psicometria presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università degli Studi “Sapienza” di Roma.

claudio.barbaranelli@uniroma1.it

Di motivazione al lavoro si parla molto sia nella letteratura scientifica sia nel contesto applicativo.
Comprendere infatti ciò che spinge la persona a mettere in atto un’azione o a raggiungere una meta e a
mantenere l’impegno nel tempo è fondamentale per poter fare delle previsioni e per impostare un programma
di gestione e di sviluppo delle risorse. La letteratura tuttavia offre un quadro teorico vasto e composito, nel
quale vari approcci affrontano diversi livelli di analisi, trattano differenti stati del processo motivazionale
(Locke e Henne, 1986; Caprara e Borgogni, 1988; Landy e Becker, 1987), producendo risultati non sempre
coerenti tra loro.

Uno dei principali problemi nello studio della motivazione attiene proprio alla sua definizione. In questa sede, e
in accordo con gli obiettivi del nostro lavoro, intenderemo la motivazione al lavoro come il processo che inizia,
dirige e sostiene l’azione umana verso una prestazione lavorativa (Steers e Porter, 1987; Baron, 1991). Insieme
alle capacità, ai tratti di personalità, alle conoscenze e alle opportunità situazionali la motivazione è una delle
determinanti del comportamento.

Un’altra problematica riguarda la classificazione degli approcci. Una classificazione che ci pare interessante
proporre, soprattutto in un’ottica di spiegazione e di previsione del comportamento organizzativo, è quella
proposta da Locke e Henne (1986) che sistematizza i vari approcci a seconda della loro specificità e della loro
distanza causale dall’azione. Essi considerano i bisogni, i valori e gli obiettivi tutti determinanti dell’azione ma
indicano l’obiettivo come miglior predittore del comportamento organizzativo o della prestazione.

Secondo gli Autori, più le teorie si riferiscono a concetti vicini all’azione, o più costrutti vengono considerati
contemporaneamente, e più sono valide. In questo senso le teorie sui bisogni sono le più distanti e aspecifiche;
seguono quelle sui valori, che indicano ciò che è importante per la persona, circoscrivono maggiormente la
meta del comportamento e sono quindi più prossime all’azione; le teorie dell’obiettivo sono invece quelle più
strettamente connesse all’azione umana e ci consentono di fare previsioni su di essa, poiché il goalè molto più
specifico e circoscritto rispetto ad un bisogno o ad un valore.

Le teorie dei bisogni  (Maslow,  1954;  Alderfer,  1969;  McClelland,  1985)  fanno  riferimento  a  specifici  bisogni
(fisici  o  psicologici),  il  soddisfacimento  dei  quali  è  fondamentale  per  il  benessere  e  la  sopravvivenza.  Esse  ci
spiegano quindi perché una persona deve agire ma non ci dicono che tipo di azione verrà scelta per soddisfare
quei bisogni. Tali teorie non rendono conto inoltre delle differenze individuali.

Le  teorie  del  valore  (Atkinson,  1958;  Adams,  1965;  McClelland,  1973)  prendono  in  considerazione  ciò  che
l’individuo  vuole  o  desidera  piuttosto  che  ciò  che  è  necessario  per  sopravvivere.  Le  persone  agiscono  per
massimizzare  un  vantaggio.  I  valori  possono  esprimere  una  preferenza  o  avere  un  carattere  morale;  essi
vengono  appresi  tramite  l’esperienza  e  l’interazione  con  l’ambiente  e  differiscono  da  persona  a  persona.  Tali

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teorie  sono  più  vicine  all’azione  delle  teorie  dei  bisogni  ma  sono  ancora  incomplete.  Non  solo  un  certo  valore
può essere espresso in molti modi diversi in situazioni diverse, ma per conoscere ciò che una persona farà in un
particolare compito bisogna sapere come il valore viene tradotto in uno specifico obiettivo.

Nelle  teorie  dell’obiettivo  esso  rappresenta  un  concetto  simile  nel  significato  al  valore,  ma  è  più  specifico.
Come i valori, infatti, gli obiettivi rappresentano qualcosa di importante per la persona ma sono più specifici nel
contenuto,  che  circoscrive  la  meta  ed  indirizza  più  finemente  il  comportamento.  Nella  teoria  del  goal  (Locke  e
Latham, 1984, 1990) l’obiettivo è il mezzo per concretizzare un valore ovvero è il meccanismo grazie al quale il
valore  è  tradotto  in  azione.  Quando  un  obiettivo  è  stato  scelto  dalla  persona,  i  processi  di  simbolizzazione,
anticipazione, autoriflessione, ecc., ne consentono la realizzazione, guidando l’investimento di tempo ed energie
nelle attività dirette al suo raggiungimento (Locke, 1968; Bandura, 1977, 1986; Locke e Latham, 2002).
Come si evince dai diversi approcci, la motivazione chiama in causa livelli diversi ed integra una serie di aspetti
sia intrinseci dell’individuo che legati alla relazione con l’ambiente (Caprara, 1996). Per affrontare la tematica
della  motivazione,  l’orientamento  più  realistico  non  sembra  tanto  quello  di  considerare  una  teoria
omnicomprensiva ma di considerare l’efficacia della teoria in relazione all’oggetto di studio specifico.

La teoria di McClelland e il TOM

La teoria di McClelland(1985), tuttavia, fa un passo avanti rispetto alle altre teorie dei bisogni: ne propone una
definizione più precisa, tiene conto delle differenze individuali, individua un metodo di misurazione del costrutto
e  ha  pertanto  orientato,  insieme  a  quella  di  Berlyne  (1966),  la  costruzione  del  Test  di  Orientamento
Motivazionale  (TOM)  (Borgogni,  Petitta  e  Barbaranelli,  2004),  un  questionario  self­report  che  consente  di
delineare  un  profilo  motivazionale  dell’individuo  in  ambito  organizzativo  ovvero  di  individuare  le  situazioni
lavorative che consentono alla persona di dare il meglio di sé.

Tale teoria prende in considerazione il livello relativo alle inclinazioni motivazionali e si può collocare al confine
tra  le  teorie  dei  bisogni  e  quelle  dei  valori.  McClelland  (1985)  ipotizza  infatti  l’esistenza  di  tre  bisogni
fondamentali – successo (achievement), potere (power), affiliazione (affiliation) – ognuno dei quali è presente e
attivo  nella  persona,  sebbene  uno  in  particolare  spicchi  rispetto  agli  altri.  Ad  esempio,  se  la  persona  è
prevalentemente  motivata  al  successo  sarà  spinta  a  comportarsi  in  modo  da  assecondare  la  necessità  di
eccellere e di riuscire ad ogni costo in quello che fa, e attribuirà anche “valore” a situazioni nelle quali i risultati
delle prestazioni sono dovuti ai suoi sforzi o nelle quali può avere dei feedback per migliorarsi costantemente.

Il motivo è il concetto di base della teoria e rappresenta una forte associazione tra specifici stimoli ed esperienze
passate  di  piacere  o  dolore.  Sinteticamente,  se  lo  stimolo  richiama  memorie  spiacevoli  la  persona  tenderà  ad
evitarlo  anticipatamente,  se  invece  richiama  ricordi  piacevoli  la  persona  anticiperà  una  tendenza  ad
avvicinarlo.  L’intensità  di  una  tendenza  all’avvicinamento,  o  motivo,  dipende  non  soltanto  dalla  situazione  in
cui  viene  evocata  la  speranza  di  un  piacere,  ma  anche  dalla  percezione  della  possibilità  di  raggiungere
quell’incentivo.  Con  esso  infatti  McClelland  (1985)  intende  una  caratteristica  stabile  dell’ambiente  che  attiva
emozioni sia positive che negative. Con il tempo, l’esperienza e l’apprendimento un numero sempre maggiore di
situazioni  si  associa  a  questi  forti  incentivi.  Quando  una  varietà  di  segnali  è  costantemente  associato  e  attiva
una  specifica  classe  di  incentivi,  si  può  considerare  formato  un  motivo.  Secondo  l’Autore,  ognuno  dei  motivi
identificabili  nella  letteratura  può  essere  misurato  con  il  metodo  di  analisi  del  contenuto  immaginativo  dei
pensieri,  sebbene  egli  si  sia  soffermato  in  particolare  sullo  studio  delle  caratteristiche  e  dei  comportamenti
associati a tre bisogni o motivi:

motivazione al successo (achievement);

motivazione al potere (power);

motivazione all’affiliazione (affiliation).

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Oltre ai tre motivi, McClelland (1987) considera una sfaccettatura del bisogno di successo, il bisogno di
innovazione, che trova conferma, pur con presupposti teorici diversi, nella teoria di Berlyne (1966). Secondo
quest’ultimo, i comportamenti esplorativi, o di curiosità percettiva, fanno parte del patrimonio umano e
insorgono quando la persona è esposta a stimoli nuovi, molto complessi o ambigui ed aumentano i livelli di
arousal del sistema nervoso centrale. La persona cerca attivamente questi stimoli che possono essere usati per
guidare azioni successive finalizzate al raggiungimento di vantaggi concreti più immediati. Ciò che motiva il
comportamento non sono solo variazioni ambientali o viscerali ma anche la risoluzione delle incongruenze che
si attivano a livello cognitivo in situazioni di conflitto o di incertezza.
 

La misura della motivazione

Secondo McClelland (1985) per misurare i motivi è importante trovare i comportamenti che rappresentano un
effetto tipico del motivo cui si associano. Già Henry Murray nel 1938 aveva sistematizzato i possibili motivi più
frequentemente  riportati  nella  letteratura  con  un  metodo  di  misurazione  basato  sul  giudizio  di  un  collegio  di
esperti  e  il  suo  lavoro  di  differenziazione  e  di  accurata  definizione  dei  diversi  bisogni  ha  costituito  un  punto  di
riferimento  per  il  lavoro  di  McClelland.  Attraverso  l’analisi  sistematica  di  libere  associazioni  e  del  contenuto
immaginativo  di  storie  prodotte  dai  soggetti  delle  sue  sperimentazioni,  Murray  ha  messo  a  punto  il  Test  di
Appercezione Tematica (TAT; 1992) per la rilevazione dei principali motivi umani.

Un  altro  contributo  determinante  per  la  misurazione  dei  motivi  si  deve  a  Raymond  B.  Cattell  (1957,  1965),  il
quale,  per  arrivare  all’identificazione  e  alla  misurazione  di  un  motivo  prevalente  nell’individuo,  ha  impiegato,
diversamente  dai  metodi  qualitativi  di  Murray  basati  sul  giudizio  di  esperti,  i  metodi  quantitativi  dell’analisi
fattoriale  per  l’estrazione  delle  dimensioni  in  grado  di  spiegare  la  maggior  quantità  di  varianza  in  un  dato
insieme  di  misurazioni.  Tali  metodi  variano:  dagli  inventari  dei  motivi  alle  liste  di  affermazioni  rispetto  alle
quali affermare il proprio grado di accordo per esprimere quanto la persona vi si riconosce.

In generale, i motivi individuati con il self­report sono definiti “espliciti” o “autoattribuiti”, mentre quelli raccolti
dai  pensieri  immaginativi  sono  considerati  “impliciti”  perché  la  persona  non  li  descrive  consapevolmente  ed
esplicitamente.  I  primi  sono  cognitivamente  più  elaborati,  i  secondi  inconsci  e  più  strettamente  legati  alle
emozioni ed agli incentivi naturali. I motivi impliciti, inoltre, predicono più efficacemente il comportamento in
situazioni  prive  di  costrizioni;  tendono  a  predire  meglio  nel  tempo  i  trend  dell’azione;  sono  particolarmente
sensibili  agli  incentivi  esterni  legati  intrinsecamente  al  tipo  di  attività  lavorativa  svolta  perché  più  profondi  e
meno  condizionati  da  pressioni  sociali.  I  motivi  autoattribuiti,  come  rilevati  negli  inventari,  predicono  invece
più accuratamente gli atteggiamenti e le scelte che la persona tende a fare; sono sensibili agli incentivi sociali,
cioè  influenzano  più  probabilmente  la  prestazione  se  nella  situazione  sono  presenti  figure  con  caratteristiche
affini ai motivi dichiarati, le quali agiscono da rinforzo di questi ultimi.

Questionari  e  test  proiettivi,  che  misurano  rispettivamente  motivi  espliciti  e  motivi  impliciti,  vanno  quindi
considerati  come  misure  distinte  della  motivazione  al  lavoro  e,  al  fine  di  ottenere  una  migliore  comprensione
della motivazione al lavoro oltre che un maggiore potere predittivo degli strumenti utilizzati, è raccomandabile
adottare un approccio multi­metodo e considerare le due tipologie di motivi come differenti ma complementari
ed  entrambe  utili  per  massimizzare  la  comprensione  del  comportamento  (McClelland,  Koestner  e  Weinberger,
1989; Koestner, 2001).
 

Struttura

Il  TOM  intende  misurare,  nel  contesto  culturale  italiano,  le  inclinazioni  che  orientano  le  preferenze  in  ambito
lavorativo con il metodo self­report. Le affermazioni del TOM misurano le scelte che le persone tendono a fare,
le  preferenze,  ciò  che  amano  fare  e,  in  definitiva,  ciò  che  ne  orienta  i  comportamenti.  Per  formulare  le
affermazioni  sono  state  considerate  le  preferenze  personali  ed  i  comportamenti  distintivi,  indicati  dalla
letteratura  come  strettamente  associati  ai  diversi  motivi.  Esse  sono  raggruppate  in  quattro  dimensioni  che
misurano:  l’orientamento  all’obiettivo,  l’orientamento  all’innovazione,  l’orientamento  alla  leadership  e
l’orientamento alla relazione.
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Scala di Orientamento all’Obiettivo (OO). Nel lavoro la persona dà il meglio di sé se può
misurarsi con compiti di difficoltà sempre maggiore, se ha l’opportunità di mettersi alla prova e se
riceve dei feedback sulla prestazione resa. È attratta da attività difficili e sfidanti e consegue
l’eccellenza per il piacere di esprimere al meglio le proprie possibilità. È composta da affermazioni
come, ad esempio, “Nel mio lavoro sono spinto/a a ricercare tutte le occasioni per potermi mettere
alla prova”.

Scala di Orientamento all’Innovazione (OI). La persona dà il meglio di sé sul lavoro quando
può sperimentare cose sempre nuove, esplorare situazioni poco conosciute e lavorare su più attività
contemporaneamente piuttosto che su attività ripetitive. Le piace modificare le soluzioni
consolidate, cambiare frequentemente e pensa in modo creativo e divergente rispetto agli altri. È
composta da affermazioni come, ad esempio, “Mi piacciono soprattutto situazioni, idee e persone
originali”.

Scala di Orientamento alla Leadership (OL). Sul lavoro la persona dà il meglio di sé se può
assumere posizioni influenti e di controllo, guidare gli altri e distribuire compiti e responsabilità al
gruppo. È spinta ad imporre le sue scelte e a stare al centro dell’attenzione, le piace prendere
decisioni anche per conto di altri e trascinarli nelle sue iniziative. È composta da affermazioni
come, ad esempio, “Mi piace guidare il gruppo”.

Scala di Orientamento alla Relazione (OR). La persona dà il meglio di sé se può lavorare in
gruppo e in un buon clima, con colleghi che sono anche amici e se può ricevere dagli altri sostegno
affettivo. È spinta a collaborare, ad evitare ogni tipo di conflitto e ad essere solidale con i colleghi. È
composta da affermazioni come, ad esempio, “Amo lavorare con gli altri”.

Poiché, come anticipato, i motivi autoattribuiti sono tendenzialmente influenzabili da incentivi sociali è stata
messa a punto un’apposita scala di Desiderabilità Sociale(DS) per controllare la tendenza a dare un’immagine di
sé migliorata, da impiegare in situazioni lavorative di valutazione o competitive.

Le 70 affermazioni che compongono il TOM sono valutate su una scala likert a 7 posizioni (da 1 = “Molto in
disaccordo”, 2 = “Abbastanza in disaccordo”, 3 = “Leggermente in disaccordo”, 4 = “Né in disaccordo né in
accordo”, 5 = “Leggermente d’accordo”, 6 = “Abbastanza d’accordo”, 7 = “Molto d’accordo”). Tutte le
affermazioni delle scale sono formulate al positivo e sono state randomizzate per evitare fenomeni di response
set.

Proprietà psicometriche

Il TOM è stato somministrato a 1408 soggetti, dei quali il 52.6% maschi e il 47.4% femmine.

L’età media del gruppo totale è risultata pari a 37.52 anni (DS = 10.6), quella del gruppo dei maschi pari a 37.8
(DS = 10.7), quella delle femmine pari a 37.2 (DS= 10.6). Il 55.7% dei soggetti proviene da Enti o servizi pubblici,
il 25.7% da servizi privati e il 18.6% dalle grandi distribuzioni.

Le proprietà psicometriche del TOM sono state esaminate attraverso due diverse strategie: l’analisi fattoriale

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esplorativa e confermativa, che ha esaminato la validità interna dello strumento; il calcolo dei coefficienti alfa
di Cronbach, che ha esaminato l’attendibilità delle scale intesa come coerenza interna.

Validità. Quattro fattori spiegano complessivamente il 59% circa della varianza totale: il primo fattore spiega
il 15.73% circa di varianza ed è saturato dagli item relativi alla dimensione Orientamento alla Leadership; il
secondo spiega poco più del 14.84% di varianza ed è saturato dagli item relativi alla dimensione Orientamento
alla Relazione; il terzo spiega il 14.59% circa di varianza ed è saturato dagli item relativi alla dimensione
Orientamento all’Obiettivo; il quarto fattore, infine, spiega il 12.92% circa di varianza ed è saturato dagli item
relativi alla dimensione Orientamento all’Innovazione. Tutti gli item presentano saturazioni superiori a .30 sul
fattore ipotizzato e saturazioni secondarie (ovvero su fattori diversi da quello atteso) inferiori a .30 in valore
assoluto. Dall’esame delle saturazioni fattoriali è possibile riscontrare una forte conferma della struttura a
quattro dimensioni ipotizzata.

La corrispondenza della struttura ipotizzata con la struttura fattoriale ottenuta empiricamente è stata
esaminata calcolando i coefficienti di correlazione tra i punteggi fattoriali relativi a ciascuno dei quattro fattori
estratti e il punteggio totale nelle quattro scale “teoriche” ricavate sommando i punteggi negli item relativi a
ciascuna dimensione. Questo punteggio viene definito “coefficiente di validità fattoriale” (Cattell e Tsujioka,
1964). Le correlazioni sono risultate pari a .99 per tutte e quattro le dimensioni del TOM, attestando quindi una
chiarissima sovrapposizione tra punteggi nei fattori estratti e punteggi “teorici”. La struttura fattoriale
teoricamente ipotizzata risulta quindi corroborata empiricamente.

I  quattro  fattori  risultano  moderatamente  correlati.  In  particolare  solamente  due  correlazioni  risultano
maggiori di .30: quella tra Orientamento alla Relazione e Orientamento  all’Obiettivo,  che  è  pari  a  .33,  e  quella
tra Orientamento all’Obiettivo e Orientamento all’Innovazione, che è pari a .46.

Sono stati esaminati diversi modelli di analisi fattoriale confermativa secondo le indicazioni di Jöreskog (1979),
utilizzando  il  metodo  di  massima  verosimiglianza  del  programma  EQS  (Bentler,  1995).  In  particolare,  è  stato
inizialmente  esaminato  un  modello  di  struttura  semplice,  M1,  che  ipotizzava  saturazioni  secondarie  uguali  a  0
per  tutti  gli  item.  Come  era  lecito  attendersi,  questo  modello  ha  evidenziato  indici  di  bontà  dell’adattamento
parzialmente adeguati. Sono stati quindi esaminati nuovi modelli, nei quali le saturazioni secondarie sono state
stimate per tutti gli item tranne che per un item “àncora” per ogni fattore (questi modelli vengono definiti “EFA
in CFA” o “Unrestricted CFA”) e nei quali sono state stimate anche le covarianze tra gli errori relativi ad item
(il  10,  il  55  e  il  57)  che  presentavano  forti  similarità  per  quanto  riguarda  le  parole  utilizzate  nella  loro
formulazione  (modelli  M2,  M3,  M4).  È  stato  infine  stimato  un  modello  finale,  M5  (cfr.  Tabella  2),  quello  che  è
risultato  nel  miglior  adattamento  rispetto  ai  dati  osservati,  nel  quale  sono  state  fissate  a  zero  le  saturazioni
secondarie e le correlazioni tra i fattori che non risultavano statisticamente significative nei precedenti modelli.

Il  modello  finale  presenta  un  adeguato  livello  di  adattamento  per  quanto  riguarda  gli  indici  SRMR  e  RMSEA,
mentre l’adattamento può essere considerato solamente marginale per quanto riguarda gli indici NNFI e CFI. È
bene  notare  che  l’indice  SRMR  viene  considerato  da  Hu  e  Bentler  (1998)  come  quello  più  sensibile  a  cattive
specificazioni del modello; gli Autori suggeriscono un valore soglia di .08 per discriminare modelli caratterizzati
da un buon adattamento ai dati rispetto a modelli meno buoni. Nel nostro caso il valore di .035 è ampiamente
al  di  sotto  di  tale  soglia.  Inoltre,  anche  i  valori  del  RMSEA  rimangono  sotto  la  soglia  consigliata  dagli  Autori
(che è pari a .06).

Bisogna  infine  considerare  che  l’elevato  valore  del  chi­quadrato  dipende  sicuramente  dal  gran  numero  di
soggetti  considerato  (quasi  1500)  e  dal  gran  numero  di  elementi  non­ridondanti  nella  matrice  di  varianze  e
covarianze (uguale a 1770).

Poiché le stime delle saturazioni fattoriali e delle correlazioni tra i fattori sono risultate estremamente simili a
quelle ottenute nelle analisi esplorative non verranno riportate.

Attendibilità.  L’attendibilità  delle  scale  per  la  misura  delle  quattro  dimensioni  del  TOM  è  stata  esaminata
mediante il coefficiente alfa di Cronbach e mediante i coefficienti di correlazione item­scala totale corretti. Nella
tabella 1 vengono riportati i risultati di tali analisi, che attestano una forte attendibilità di tutte le scale.
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  Alfa di Cronbach Coeff. item totali medi

Orientamento all'Obiettivo .95 .72

Orientamento all'Innovazione .94 .69

Orientamento alla Leadership .96 .76

Orientamento alla Relazione .95 .73

Tabella 1. Coefficienti di attendibilità alfa di Cronbach relativi alle dimensioni del TOM

Relazioni tra le scale. Nella tabella 2 vengono presentate le correlazioni tra le dimensioni del TOM. Tutte le
scale presentano una correlazione positiva. In particolare le scale che risultano più correlate sono
Orientamento all’Obiettivo e Orientamento all’Innovazione. Questo risultato conferma quanto riscontrato nelle
correlazioni tra i punteggi fattoriali.

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  OO OI OL OR

Orientamento all'Obiettivo ­      

Orientamento all'Innovazione .431** ­    

Orientamento alla Leadership .274** .244** ­  

Orientamento alla Relazione .277** .250** ­.047 ­

* p < o.1 (2­code)

Legenda:

OO = Orientamento all'Obiettivo; OI = Orientamento all'Innovazione; OL = Orientamento alla
Leadership; OR = Orientamento alla Relazione.

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Tabella 2. Coefficienti di correlazione tra le dimensioni principali del TOM

Il TOM in condizioni competitive. Il TOM è stato anche somministrato a 493 soggetti (44.6% maschi,
55.4% femmine) esaminati in situazione competitiva. Per quanto riguarda le proprietà psicometriche della scala
Desiderabilità Sociale (DS), è stata effettuata un’analisi fattoriale con il metodo della massima verosimiglianza,
che ha evidenziato la presenza di un’unica dimensione principale che ha spiegato il 47.34% della varianza delle
variabili osservate. La monodimensionalità della scala è inoltre sostanziata dal coefficiente alfa di Cronbach
che è risultato pari a .87.

 Il profilo motivazionale: un esempio

I punti T ottenuti dal soggetto nelle dimensioni del TOM possono essere riportati nel grafico predisposto (foglio
di profilo), che consente di visualizzarle contemporaneamente e facilitarne l’interpretazione.

Di seguito riportiamo un esempio di profilo TOM (cfr. figura 1) relativo ad un soggetto estratto dal campione di
studio: un creativo. Si tratta di un responsabile di 34 anni del reparto Creativi di un’agenzia di pubblicità. In
questo profilo i valori dell’orientamento all’innovazione risulta molto alto e alto quello alla leadership, mentre
risultano nella media l’orientamento all’obiettivo e alla relazione. La persona dà il meglio di sé in situazioni che
stimolano la sua curiosità, che le consentono di sperimentare cose sempre nuove, di cambiare frequentemente.
In situazioni di gruppo tende a primeggiare, ad assumere posizioni di influenza e di coordinamento, anche se
tiene abbastanza in considerazione le esigenze degli altri. È mediamente interessata a perseguire le mete
prefissate. La scala Desiderabilità Sociale rientra nella fascia alta. Il soggetto può aver falsato positivamente le
dimensioni più alte, ovvero l’orientamento alla leadership, ma soprattutto all’innovazione, mostrandosi molto
più interessato ad influenzare gli altri sul lavoro e molto più orientato al cambiamento di quanto non sia
effettivamente nella realtà.

Figura 1. Esempio di profilo TOM relativo ad un creativo

Ambiti applicativi

Il TOM è stato costruito considerando principalmente come modelli teorici di riferimento la teoria dei bisogni di

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McClelland  (1985)  e  gli  studi  di  Berlyne  (1966)  sul  pensiero  creativo  e  misura  complessivamente  quattro
inclinazioni  motivazionali:  orientamento  all’obiettivo,  all’innovazione,  alla  leadership  e  alla  relazione.  Le
caratteristiche  psicometriche  confermano  la  validità  e  l’attendibilità  dello  strumento:  i  fattori  estratti
coincidono con le scale definite teoricamente e la loro coerenza interna è risultata elevata.

Lo  strumento,  come  già  anticipato,  consente  di  evidenziare  in  poco  tempo  le  inclinazioni  motivazionali
prevalenti  dell’individuo,  le  sue  preferenze  e  quindi  come  orientarlo  nel  lavoro  per  valorizzare  a  pieno  i  suoi
talenti. Dal punto di vista gestionale questa è la premessa per valutare l’integrazione tra le caratteristiche della
persona e le opportunità del contesto, per valorizzare le potenzialità dell’individuo, mettendolo in condizione di
esprimere i propri talenti e favorendo al tempo stesso lo sviluppo dell’organizzazione. Il TOM può quindi essere
utilizzato nei processi di selezione, nei percorsi di sviluppo e formazione, nelle attività di supporto e di coaching,
negli assessment per la valutazione del potenziale o per definire strategie di retaining.

Nella  selezione  può  contribuire  a  definire  e  valutare  più  approfonditamente  il  profilo  motivazionale  del
candidato.  Test  e  colloquio,  se  ancorati  al  medesimo  modello  teorico,  possono  consentire  di  rilevare  le
inclinazioni motivazionali prevalenti del candidato e di confrontarle con quelle attese ed in linea con la cultura
organizzativa. Richiedendo poco tempo per la compilazione, lo strumento può essere distribuito sia durante un
colloquio di gruppo, ad integrazione con altri strumenti di rilevazione della personalità, sia prima del colloquio
individuale.

Il  profilo  motivazionale  può  contribuire  alla  riflessione  sul  tipo  di  cultura  che  l’organizzazione  intende
promuovere.  A  grandi  linee,  e  solo  a  scopo  esemplificativo,  data  la  complessità  dell’argomento,  se
l’organizzazione intende puntare sulla valorizzazione delle relazioni interpersonali e sulla cooperazione (cultura
cooperativa; Enriquez, 1970), si orienterà ad inserire al proprio interno persone con uno spiccato orientamento
alle relazioni; diversamente, se intende mantenere uno stile di leadership autoritario, dovrà tenere presente la
dinamica  che  si  stabilisce  (McClelland,  1985)  tra  chi  è  motivato  al  potere,  e  quindi  orientato  alla  leadership,  e
chi è motivato all’affiliazione, e quindi orientato alla relazione, o ancora se l’organizzazione intende dare meno
peso  alle  relazioni  tra  le  persone  concentrandosi  sul  conseguimento  di  obiettivi  e  standard  di  livello  sempre
maggiore  (cultura  tecnocratica),  per  i  quali  è  preferibile,  a  parità  di  competenze,  selezionare  le  persone
fortemente motivate al successo e quindi orientate all’obiettivo.
Il  TOM  può  essere  anche  impiegato  nei  programmi  di  valutazione  delle  risorse  umane  e  soprattutto  per  la
valutazione del potenziale nei programmi di sviluppo. In linea con quanto detto per la selezione, la valutazione
delle  inclinazioni  motivazionali  può  facilitare  l’inserimento,  la  valorizzazione  dei  talenti  e  quindi  contribuire
all’espressione della miglior prestazione. Ad esempio, la persona che, crescendo professionalmente, è destinata
a  coordinare  e  gestire  un  gruppo  di  persone,  è  importante  che  abbia  un  buon  orientamento  alla  leadership
sebbene  esso  debba  essere  accompagnato  da  un  certo  grado  di  orientamento  alle  relazioni  per  evitare  di
assumere  caratteristiche  autoritarie.  Parimenti  la  persona  che  si  trova  a  ricoprire  un  ruolo  di  gestione  e
coordinamento, se non possiede uno spiccato orientamento alla leadership, avrà difficoltà a farsi rispettare dai
collaboratori ed a prendere decisioni e potrà facilmente essere messa in discussione.

Interessante  inoltre  il  suo  impiego  per  l’inserimento  o  lo  spostamento  di  personale  da  un  gruppo  ad  un  altro
(team di progetto, gruppi di lavoro, ecc.) per comprendere e quindi anticipare potenziali conflitti o disarmonie.
Ad  esempio,  persone  estremamente  orientate  alla  leadership  avranno  difficoltà  ad  andare  d’accordo  con  chi  è
motivato nella stessa direzione perché entrambi sono desiderosi di imporsi, mentre si troveranno bene con chi
è  orientato  alla  relazione  perché  il  desiderio  di  influenzare  gli  altri  e  quello  di  essere  protetti  e  guidati  si
appagano  reciprocamente.  Ancora,  persone  orientate  all’eccellenza  si  troveranno  in  sintonia  con  quelle
orientate  all’innovazione  perché  in  entrambi  i  casi  esse  sono  concentrate  più  sulle  attività  (ricerca
dell’eccellenza  o  di  nuovi  stimoli)  che  sulla  relazione  con  gli  altri  e  procedono  in  modo  reciprocamente
indipendente ed autonomo.

Sia nella formazione più tradizionale d’aula che nei percorsi di coaching ad personam, pensati per un sopporto
personalizzato all’apprendimento, l’identificazione del profilo motivazionale contribuisce alla diagnosi dei punti
di  forza  e  delle  aree  di  miglioramento  della  persona  e  costituisce  la  premessa  per  l’identificazione  dei  suoi
obiettivi di sviluppo e cambiamento (Borgogni e Petitta, 2003).

Sapere  che  un  individuo  sul  lavoro  può  dare  il  meglio  di  sé  in  relazione  alle  sue  specifiche  inclinazioni
contribuisce  a  scegliere  le  persone  più  adatte  rispetto  ad  una  posizione  di  lavoro  e  ad  orientarle  efficacemente
nei percorsi di crescita professionale.

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L’ articolo è apparso in versione più ampia su Bollettino di Psicologia Applicata, 243, maggio­agosto 2004.

I link sono stati apposti dalla Redazione; i siti cui essi rimandano erano in atto al momento della pubblicazione dell’articolo.
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Registrazione Tribunale di Firenze n° 5514 del 6 settembre 2006  
ISSN: 1970­0466  

 
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