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PSICOLOGIA GENERALE
PROF. ALBERTO COSTA
PROFESSORE ORDINARIO
Corso di Psicologia Generale
Prof. Alberto Costa
Modulo 9
Contenuti:
1. La prospettiva dell’Altro
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Revisione: marzo 2022
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1. Introduzione
Le relazioni con gli “Altri” sono componenti fondamentale della vita dell’uomo. L’interazione
sociale costituisce, infatti, una condizione cruciale per promuovere l’apprendimento, la gratificazione
Per interagire in modo funzionale con gli altri è necessario comprendere che questi possono avere
pensieri e emozioni diversi dai nostri. Questo concetto è apparentemente molto semplice, e può
sembrare ad alcuni persino banale. In realtà, tale capacità include un insieme di operazioni mentali di
alto livello ed è sostenuta dall’attività di reti neurali distribuite cui partecipano diverse regioni
La capacità autoriflessiva (introspezione), grazie alla quale riusciamo a decodificare i nostri stati
prospettiva, sono alla base delle possibilità di agire correttamente nelle relazioni interpersonali. È
grazie a queste capacità che l’individuo può riconoscere sentimenti e credenze e anticipare le
intenzioni dell’altro. In altre parole, sono quelle capacità che ci consentono di acquisire una
“cognizione sociale”, la conoscenza e la consapevolezza circa la relazione con gli altri che richiede
essere utilizzate in modo flessibile dall’individuo al fine di promuovere condotte sociali funzionali al
Questo modulo è incentrato sulla trattazione degli argomenti sopra enunciati con l’obiettivo di
promuovere nello studente una conoscenza dei principali modelli psicologici e neuro-cognitivi dei
2. La prospettiva dell’Altro
I processi che consentono di comprendere che gli altri hanno un punto di vista differente dal nostro,
bisogni e desideri che muovono le loro azioni secondo direttrici diverse dalle nostre, sono complessi
e articolati.
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esperienze degli altri, deve essere considerato come un costrutto multidimensionale che comprende
almeno due componenti: una componente emotivo/affettiva e una componente cognitiva (Baron-
Cohen, 2000; Frith e Frith, 2003). La prima componente indica la risposta emozionale del soggetto
probabilmente la definizione più nota di empatia. Descrive una sorta di “risonanza” emozionale o
contagio emotivo in risposta a contenuti emozionali originariamente non propri. È esperienza comune
“commuoversi” quando una persona ci riporta esperienze personali dolorose, ovvero percepire
direttamente il fastidio, l’imbarazzo o persino il dolore osservando scene particolarmente salienti dal
punto di vista emozionale. Questo può accadere anche osservando un filmato e non avvenimenti della
vita reale.
comprensione che l’Altro ha stati mentali, desideri e credenze proprie. A questa componente ci si
riferisce in genere con il termine “teoria della mente” (“theory of mind” in inglese) o
“mentalizzazione” (Frith e Frith, 1999). Questa capacità evolve con lo sviluppo delle funzioni
cognitive e, in particolare, delle funzioni esecutive raggiungendo la sua naturale maturazione con
componente dell’empatia meno familiare. Si ritiene che in essa siano coinvolte operazioni cognitive
che consentono di “ruotare la prospettiva” attraverso la quale si osserva una determinata situazione.
Le due componenti non devono essere considerate come nettamene separate. Diverse situazioni
richiedono, infatti, un’elaborazione sia cognitiva che emozionale. La distinzione qui proposta facilita
però la comprensione dei meccanismi coinvolti nell’empatia e sarà “adottata” nella discussione che
segue.
l’altro le emozioni e i sentimenti. Alla maggior parte di noi sarà accaduto di ridere osservando un
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altro ridere, o di commuoversi osservando il pianto di un’altra persona. Imitare l’emozione dell’altro
sembra essere un comportamento che avviene in modo quasi automatico nell’uomo. A tale riguardo,
in alcuni studi sono state registrate le modificazioni dell’attività di muscoli facciali coinvolti
modello. Più specificamente, mentre sorridiamo alcuni muscoli si contraggono, altri si rilassano
formando la configurazione somatica caratteristica del sorriso. Gli autori di questi studi ipotizzarono
che l’osservazione del sorriso in un'altra persona potesse provocare variazioni di attività nei muscoli
dell’osservatore implicati in quell’emozione, In effetti, i dati sono in linea con questa ipotesi.
muscoli del volto mentre i soggetti osservavano dei modelli esprimere delle emozioni definite. Pur
non riproducendo il quadro completo dell’emozione osservata, si potevano apprezzare, nel soggetto
sperimentale, variazioni di potenziale elettrico nei muscoli in modo congruo con l’emozione
osservata nel modello. In particolare, emozioni negative quali la rabbia risultarono essere associate a
variazioni di attività del muscolo corrugatore del sopracciglio, mentre l’osservazione di emozioni
positive quali la gioia furono trovate associate all’attività della muscolatura zigomatica (Dimberg e
coll., 2000). Queste evidenze sono alla base dell’ipotesi del contagio emotivo quando parliamo di
empatia, cioè quel particolare fenomeno per cui, in modo quasi implicito, l’emozione dell’altro viene
Fare degli esempi al riguardo è molto semplice. Pensiamo a situazioni in cui abbiamo osservato
altre persone rimettere di stomaco (disgusto). In queste situazioni non è infrequente che anche
nell’osservatore si attivi in modo automatico un comportamento simile. Oppure può esserci capitato
corpo, come accade, ad esempio, nelle distorsioni gravi delle caviglie degli atleti in seguito a scontri
caratteristico dell’emozione probabilmente provata dalla persona osservata, ovvero di adottare dei
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possedere un apparato che gli consente di “attivarsi” implicitamente al verificarsi di eventi emozionali
che coinvolgono gli altri. Abbiamo discusso nel modulo precedente dell’importanza delle emozioni
situazione in cui è necessario attuare un’azione immediata. Questo può essere vero anche per le
emozioni provate da un altro. Abbiamo fatto l’esempio dell’emesi associata al disgusto. Il disgusto
indica probabilmente che lo stimolo con cui si entra in contatto è potenzialmente nocivo per
l’organismo. Lo stimolo deve essere quindi allontanato. L’osservazione di un altro che rimette di
stomaco può fornire questa informazione all’osservatore in modo tale che organismo si prepari per
Le emozioni sono però anche fondamentali per instaurare e sostenere interazioni sociali valide e
durature. Pensiamo all’importanza della condivisione dell’esperienza del sorriso nelle relazioni
quotidiane con le diverse persone con cui entriamo in contatto e, in particolare, nei legami affettivi
significativi. La condivisione della tristezza e della gioia tra i genitori e il bambino è un elemento
cruciale per il corretto sviluppo del bambino stesso e per la formazione di relazioni funzionali. La
tendenza a riprodurre gli stati emozionali dell’altro può essere talmente forte che potremmo avere
difficoltà a inibirla pur provandoci intensamente. Il sistema sembra dunque possedere delle
dato molto interessante riguarda l’evidenza che queste variazioni avvengono anche quando si osserva
una persona mentre questa prova dolore, in particolare se si tratta di una persona cui siamo legati da
un legame affettivo. A chi è capitato di fare questa esperienza avrà potuto verificare la difficoltà di
Le reazioni di fronte al dolore dell’altro possono essere diverse in funzione di fattori, biologici,
è stato possibile documentare che l’osservazione del dolore dell’altro produce anche delle variazioni
di attività cerebrale in regioni che partecipano all’esperienza del dolore personale, cioè relativo a se
stessi.
L’esperienza del dolore derivante dal contatto con uno stimolo esterno ovvero da una variazione
di una condizione interna implica l’analisi di diverse componenti. La componente sensoriale, che si
si aggiungono le modifiche degli indici neurofisiologici e del comportamento che abbiamo più volte
presenti quando percepiamo il dolore. In termini neurocognitivi, l’esperienza del dolore è mediata
dall’attività di un network neurale articolato denominato “la matrice del dolore” (Melzack 1999).
di aree discrete e differenziabili. Le regioni parietali del giro post-centrale e, in particolare, le cortecce
sarebbe, invece, particolarmente sottesa dall’attività di aree frontali quali la corteccia anteriore del
cingolo e un’area collocata tra il lobo frontale e temporale, la corteccia dell’insula (Melzack, 1999).
Le funzioni della regione dell’insula non sono del tutto chiarite. Sembra però implicata in un insieme
Bufalari e coll. (2007; “empathy for pain and touch in the human somatosensory cortex”, Cerebral
Cortex, 17: 2553-2561) hanno esaminato proprio il ruolo svolto dalla corteccia somatosensoriale nei
processi empatici relativi al dolore. Più specificamente, gli autori presentavano ai soggetti dei video
in tre condizioni principali: a) una siringa che penetrava il dorso di una mano, b) un bastoncino che
esercitava una pressione nel punto in cui nella condizione a) e c) una mano in posizione statica. La
mano era sempre la destra. Durante la visione era registrata l’attività cerebrale tramite
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attraverso l’applicazione di una stimolazione non dolorosa del nervo mediano del polso. La propria
In estrema sintesi, i risultati dello studio hanno evidenziato che nella condizione a), quella
condizione in cui viene simulata una potenziale situazione dolorosa per l’altro, determina un
incremento dell’ampiezza dei potenziali evocati a livello della corteccia somatosensoriale primaria
potenziali evocati è, inoltre, risultato correlato con l’intensità del dolore attribuito dall’osservatore al
modello. I risultati di questo studio sono particolarmente interessanti poiché documentano, per la
prima volta, come l’osservazione del dolore altrui sia associata ad una “facilitazione” dell’attivazione
In un altro studio, Singer e coll. (2004) hanno registrato l’attività cerebrale tramite la risonanza
magnetica funzionale di soggetti mentre questi facevano esperienza diretta di uno stimolo doloroso e
mentre osservano un segnale indicativo del fatto che una persona alla quale erano legati da un legame
affettivo, presente nella stessa stanza, stava per ricevere una stimolazione dolorosa. Anche in questo
caso riporto i risultati dello studio in estrema sintesi. I ricercatori hanno trovato alcune aree cerebrali
sperimentali erano caratterizzate dal fatto che in una era il soggetto sperimentale a sperimentare lo
stimolo doloroso, nell’altra era il proprio caro/a. Le aree cerebrali individuate erano la corteccia
dell’insula e la corteccia anteriore del cingolo. Abbiamo in precedenza visto che queste aree sembrano
particolarmente implicate nella mediazione della componente affettiva dell’esperienza del dolore.
Inoltre, nella condizione di osservazione del “dolore dell’Altro”, l’attivazione delle aree su
I risultati degli studi che vi ho presentato qui in breve, mettono in luce un aspetto di grande
interesse. La condivisione dell’esperienza del dolore sul piano soggettivo sembra corrispondere anche
ad una “condivisione” del network cerebrale stesso implicato nella percezione e nell’elaborazione di
tale esperienza.
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Il Mulino. Nel volume l’autrice propone una discussione analitica sulle caratteristiche qualitative e
Alcuni anni fa, il gruppo di ricerca guidato da Rizzolatti (Gallese, Fadiga, Fogassi, Rizzolatti,
1996; Brain, 119), fece una scoperta che avrebbe in seguito cambiato radicalmente il modo in cui
cerebrale di uno scimpanzé. Nell’eseguire l’esperimento, i ricercatori si accorsero che alcuni neuroni
erano attivi, cioè erano rilevate modificazioni dei potenziali d’azione, quando la scimmia osservava
lo sperimentatore eseguire un’azione finalizzata alla prensione di un oggetto. Questi neuroni non
erano attivati semplicemente dall’osservazione del movimento generico della mano. La variazione di
potenziale era, infatti, associata al momento in cui l’oggetto era effettivamente afferrato dallo
sperimentatore. Il dato importante è che questi neuroni si attivano anche quando la scimmia esegue
la stessa azione. Il gruppo di ricerca ha eseguito una serie di lavori per comprendere meglio la ragione
di questa attivazione indifferenziata dei neuroni (Gallese e coll., 1996; Fogassi e coll., 2005). I
ricercatori rilevarono inizialmente che l’attività neuronale in questi neuroni, collocati nelle aree
motorie frontali (le aree premotorie), variavano la propria attività quando la mano assumeva la
postura corretta per prendere lo stimolo, sia quando l’azione era osservata sia quando era eseguita
direttamente dall’animale. I ricercatori hanno dunque individuato dei neuroni, i neuroni specchio, che
sono probabilmente connessi in modi intrinseco non tanto con le caratteristiche fisiche degli stimoli,
ma, piuttosto, con l’interazione tra l’attore e un determinato stimolo. Interazione che ha uno scopo
preciso, afferrare (o manipolare) un oggetto (Craighero, 2010. “I neuroni specchio”. Ed. Il Mulino).
I risultati di queste ricerche sugli animali hanno spinto gli studiosi a verificare se anche nell’uomo
Alcune ricerche (Fadiga e coll, 1992) hanno documentato come l’osservazione di azioni eseguite
con la mano dirette ad afferrare oggetti producevano nell’osservatore una facilitazione dei potenziali
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evocati motori registrati nei muscoli necessari per eseguire quel movimento. Questi ricerche hanno
modificare l’attività elettrica dei neuroni corticali attraverso l’induzione di campi magnetici.
Stimolando, attraverso questa tecnica, le regioni della corteccia motoria primaria responsabili del
movimento della mano si può ottenere una variazione del potenziale d’azione a livello dei muscoli
movimento non finalizzato, indica una sorta di “pre-attivazione” delle aree cerebrali deputate al
movimento. Il soggetto mentre osserva l’azione, infatti, non esegue il movimento. L’ipotesi è, anche
in questo caso, che possa esistere un sistema di neuroni dedicato alla rappresentazione dell’azione, la
cui attività “pre-allerta” I neuroni della corteccia motoria primaria responsabili del movimento
effettivo. Studi di risonanza magnetica funzionale hanno documentato che all’interno della corteccia
programmazione delle azioni, sono attivate sia dall’osservazione delle azioni (in genere eseguite
attraverso la mano e la bocca) sia dall’esecuzione delle azioni stesse. Il circuito comprende inoltre
I dati disponibili in letteratura e, in parte, discussi in questo paragrafo mettono in luce che anche
nell’uomo sembra essere presente un sistema neuromotorio che “prepara” l’individuo a riprodurre
azioni e schemi comportamentali quando questi sono finalizzati e che, secondo alcuni ricercatori,
potrebbe essere alla base dei meccanismi d’imitazione. Dunque, anche a livello dell’azione sembra
esistere una “condivisione” di rappresentazioni che si riflettono nell’attività di circuiti neurali simili
quando siamo noi stessi a eseguire un gesto finalizzato e quando quel gesto è osservato in un altro.
sistema consenta all’individuo di anticipare le azioni e, pertanto, le intenzioni dell’altro. Questi aspetti
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Woodruff (1978) per indicare quella capacità di attribuire gli stati mentali in modo differenziale a se
e agli altri. Numerose ricerche sono state condotte nel corso degli ultimi anni. Il costrutto della ToM
è stato particolarmente studiato nei soggetti affetti dalla sindrome autistica e dalla sindrome di
Asperger, due disturbi pervasivi dello sviluppo associati a deficit cognitivi, affettivi e
comportamentali. Baron-Cohen e coll., (1985), Baron-Cohen (2000) e Baucher (2012) sono gli autori
che più si sono occupati di questo argomento e i risultati delle loro ricerche hanno permesso di
Le osservazioni durante l’età evolutiva hanno permesso di rilevare che i processi di ToM si
adolescenziale (Flavell, 2000). In particolare, l’età compresa tra i 2-5 anni si ritiene sia critica per
l’iniziale sviluppo della capacità di comprendere che la prospettiva degli altri può essere molto
compiti/situazioni più complesse che richiedono la comprensione che l’acquisizione delle conoscenze
sull’esistenza nell’altro d’intenzioni, desideri e, più in generale, di una prospettiva diversa dalla
propria si fonda su un processo interpretativo. Tra i 10-13, con lo sviluppo del pensiero ipotetico –
sarebbero essenziali per lo sviluppo nel bambino delle abilità di ToM. Secondo l’autore il bambino
sistema per rilevare l’orientamento dello sguardo (Eye-Direction Detector) e un sistema per la
condivisione dell’attenzione (Shared Attention System). I tre sistemi operano all’interno della
relazione con l’altro e consentono, nel loro complesso, di percepire e rappresentare l’intenzione
Disturbi della capacità di ToM si riscontrano anche in altre popolazioni con disturbi
psicopatologici e neurologici. Proprio dallo studio di questi ultimi e dall’applicazione delle moderne
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particolarmente importanti per sostenerne l’integrità. Questi circuiti includono diverse regioni frontali
(la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia orbitofrontale e il polo frontale), temporali (polo
del sistema limbico. Anche l’attività dei circuiti fronto-striatali, circuiti di connessione tra le strutture
frontali e alcune strutture sottocorticali (il corpo striato) è ritenuta critica per sostenere le attività di
ToM (Costa e coll., 2013; Parkinsonian patients with deficits in the dysexecutive spectrum are
In uno studio di qualche hanno fa, che possiamo considerare pioneristico poiché fu il primo in cui
abbiamo esaminato il ruolo svolto dalle regioni corticali prefrontali e posteriori (la giunzione
temporo-parietale) dell’encefalo nelle funzioni di ToM (Costa A. e coll., 2008; “Prefrontal and
2008;19:71-74). In questo studio, a soggetti giovani senza disturbi neurologici furono somministrati
dei compiti di ToM in diverse condizioni sperimentali. Alcune condizioni sperimentali prevedevano
la somministrazione dei compiti di ToM dopo stimolazione con TMS delle aree cerebrali su
menzionate. In altre condizioni la somministrazione dei compiti era eseguita dopo stimolazione
placebo (inefficace) delle stesse aree. Il confronto tra le diverse condizioni sperimentali permise di
rilevare che la TMS applicata sulle regioni prefrontali e temporo-parietali determina un’interferenza
significativa sulle prestazioni dei soggetti al test. Questo dato documentò l’importanza dell’attività di
queste regioni corticali per la mediazione dei processi di ToM. Il dato è stato confermato in seguito
esiti di trauma cranico (Johnstone e coll., 2015; Functional and structural indices of empathy:
2015 May;29(3):463-72).
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prospettiva teorica, le persone si formerebbero una vera e propria teoria sul funzionamento dell’altro
eseguendo un’analisi cognitiva dei diversi elementi a disposizione. In particolare, attraverso l’esame
delle relazioni tra i diversi stimoli e in base alle regole che legano in termini causali gli eventi – regole
note al soggetto - l’individuo formulerebbe delle ipotesi sugli stati mentali delle persone. Ipotesi che
guidano il proprio comportamento nella relazione. Questo approccio è denominato “Theory theory”
(Carruthers e Smith, 1996), terminologia che enfatizza il fatto che l’attribuzione di intenzioni e
dati.
Diversa è l’ipotesi delineata dal modello denominato “simulation theory” (teoria della
simulazione; Davies e Stone, 1995). In base a questo modello, le persone utilizzerebbero le proprie
“autoriflessioni” per individuare e predire le intenzioni degli altri. È il concetto del “mettersi nei panni
dell’altro” (e immaginare come ci si sentirebbe con quei panni indosso) per comprendere come
sarebbe la prospettiva nella posizione dell’altro. La teoria della simulazione prevede che il soggetto
per poterla visualizzare e prendere una decisione (formulare delle previsioni) sul comportamento
dell’altro. E’ evidente come questo modello sia diverso dal precedente in cui la comprensione delle
intenzioni e credenze dell’altro avverrebbe attraverso la messa in atto di operazioni cognitive astratte.
I due modelli sono illustrati schematicamente nelle Figura 1. Per comprendere le caratteristiche
funzionali del primo modello considerate come esempio la prima storia del compito delle false
È probabile che entrambi i modelli su esposti siano in parte corretti. È stato, infatti, osservato che
i processi cognitivi e i circuiti cerebrali coinvolti nella ToM variano considerevolmente in funzione
del compito utilizzato. Questa evidenza ha condotto alla formulazione dell’ipotesi che la ToM non
sia un meccanismo unitario ma che, piuttosto, ne debbano essere distinte diverse sub-componenti.
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Prima di addentrarci in questa discussione, è utile presentare alcuni dei compiti che sono
usualmente utilizzati per esaminare le capacità di ToM. In sostanza, tre tipologie di compiti sono tra
le più frequentemente usati: false credenze (false believes) di primo ordine, false credenze di secondo
ordine e passi falsi (faux-passes). In questi compiti sono narrate delle storie con diversi personaggi.
Ve ne riporto alcuni esempi qui di seguito tratti da diversi lavori che abbiamo recentemente condotto
e pubblicato (Bivona U, Riccio A, Ciurli P, Carlesimo GA, Delle Donne V, Pizzonia E, Caltagirone
C, Formisano R, Costa A. Low self-awareness of individuals with severe traumatic brain injury can
lead to reduced ability to take another person's perspective. J Head Trauma Rehabil. 2014;29:157-
Costa A. Theory of mind impairment after severe traumatic brain injury and its relationship with
Storia stimolo
“Marta compra la cioccolata che piace tanto a Luigi. Giunta a casa Luigi ne mangia una parte,
dopo di che la ripone nel pensile della credenza ed esce dalla cucina. Marta prende la cioccolata per
farne un dolce e la conserva successivamente nel cassetto del tavolo. Dopo alcuni minuti Luigi entra
Storia stimolo
“La signora che si occupa della pulizia delle scale è solita riporre la scopa nell’armadio del
seminterrato. Un giorno, mentre la signora sta lavando a terra, dei bambini vanno nel seminterrato e
spostano la scopa dall’armadio in una cassapanca. I bambini non sanno, però, che la signora li sta
b) Nella cassapanca
c) Nell’armadio
a) Nell’armadio
b) Nella cassapanca
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Passi falsi
Storia stimolo
“Clara in segno di amicizia regalò a Marco un vaso antico. I due hanno perso i contatti per diversi
anni fino a ritrovarsi ad una festa a casa di Marco. Durante la festa Clara urta contro il vaso
rompendolo. Clara è molto dispiaciuta e Marco le si avvicina dicendole di non preoccuparsi poiché
a) Si
b) No
a) Marco
b) Clara
a) Marco
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b) Gianni
c) Clara
d) Alfredo
Un'altra tipologia di compito generalmente utilizzato è denominato “reading in the eyes test” e
richiede di individuare lo stato mentale di un altro attraverso la decodifica dell’espressione degli occhi
Osservando analiticamente le tre tipologie di compito illustrati sopra, le false credenze di primo
e secondo ordine e i passi falsi, emergono alcune differenze. I compiti di false credenze richiedono
informazioni a disposizione del personaggio della storia e quelle di colui che ascolta o osserva (il
soggetto cui è somministrato il test). L’esaminato, infatti, deve “ruotare” la propria prospettiva per
differenziare la propria esperienza (la conoscenza dell’esatta collocazione della cioccolata nel primo
compito) dall’esperienza dell’altro (che non ha l’informazione sulla collocazione esatta della
cioccolata). Le domande poste hanno l’obiettivo di verificare questa abilità (la prima domanda) e di
esaminare la capacità di compiere un esame di realtà corretto e il funzionamento della memoria (le
domande successive).
della gaffe in cui può incorrere ciascuno di noi affermando un concetto ovvero compiendo un’azione
non tenendo conto che nel fare ciò si può “urtare” la sensibilità dell’altro. Spesso questo avviene
poiché l’attore si dimentica di un’informazione circa qualcosa che riguarda l’altro. Informazione
appresa in un precedente contatto intercorso con l’altro. Le domande poste hanno l’obiettivo di
valutare l’abilità dell’esaminato di individuare il passo falso (la prima), di definirlo in modo compiuto
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Le due tipologie di compiti (false credenze e passi falsi) sembrano, dunque, reclutare processi
parzialmente differenziabili. Alla luce di questa evidenza, e di altre osservazioni, è stato ipotizzato
che la ToM sia costituita da almeno due componenti. Una prima componente cognitiva, impegnata
particolarmente nelle situazioni di false credenze, e una componente affettiva aggiuntiva, necessaria
coll., 2006). Queste due componenti sono state definite la prima “cold” social cognition poiché vi
sono implicate operazioni puramente cognitive e, la seconda, “hot” social cognition, poiché è richiesta
l’elaborazione delle emozioni dell’altro. Sebbene non vi sia un accordo generale sulla dissociazione
tra le due componenti (vedi Brothers, 1995 e 1997 per un punto di vista divergente sull’argomento),
questa appare sostenuta dai dati di una serie di studi con popolazioni di pazienti con disturbi
neurologici (Shamay-Tsoory e Aharon- Peretz, 2007; Shamay-Tsoory e coll., 2006). Inoltre, alcuni
dati evidenziano che nelle persone con sociopatia è maggiormente compromessa la componente
affettiva della ToM, mentre negli individui con autismo cembra che ad essere deficitaria sia, in
Numerosi sono in realtà i modelli concepiti per spiegare il funzionamento della ToM. In una
recente revisione della letteratura sull’argomento, Schurtz e Perner (2015) ne prendono in esame nove
(si rimanda al lavoro di questi autori per un approfondimento della tematica). Qui ne ho discussi
solamente alcuni che ritengo chiariscano, in sostanza, gli elementi principali di questa complessa
funzione.
Nella finestra di dialogo 1. è presentato e discusso un lavoro che abbiamo recentemente concluso
e pubblicato sulla relazione tra disturbi di ToM e qualità di vita nelle persone con esiti di trauma
cranioencefalico.
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Figura 1. Illustrazione schematica dei due modelli proposti per la spiegazione dei
should use its own concepts to study ‘‘theory of mind’’. Cognition, 107: 266-283.
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La ricerca che vi presento è stata eseguita allo scopo di esaminare i fattori che incidono sulla
qualità di vita in coloro i quali assistono (in particolare i familiari del malato) le persone con esiti di
trauma cranioencefalico grave (TCE). Le persone con TCE hanno spesso, infatti, disturbi cognitivi e
comportamentali che influiscono sul benessere proprio e dei familiari. Anche le capacità di ToM a
volte sono ridotte, e la ricerca si proponeva di valutare quanto la ridotta efficienza di questi processi
potesse determinare variazioni significative della qualità di vita nei caregiver (coloro i quali si
Prima di illustrare in concreto la ricerca, è importante mettere a fuoco cosa s’intende per qualità
di vita e, in particolare, per qualità di vita connessa con la salute (in inglese: Health Related Quality
of Life - HRQoL)
Cito testualmente la World Health Organization (WHO; “Organizzazione Mondiale della Salute”;
1952; 1995) che definisce la salute: “…come uno stato di pieno benessere fisico, mentale e sociale, e
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non esclusivamente come l’assenza di malattia o d’infermità”. La qualità di vita è intesa come “La
percezione individuale della propria posizione nella vita nel contesto culturale e di valori di
dunque una dimensione complessa sulla quale incidono fattori economici, biologici, psicologici,
politici e sociologici.
l’impatto della malattia e del trattamento sulle dimensioni fisiche, emozionali e sociali, valutato dalla
prospettiva del paziente (Doward et al., 2004). La HRQoL deriva, pertanto, da un’integrazione tra
Veniamo ora alla presentazione della ricerca. Si tratta di un lavoro che ho già citato in precedenza
dal titolo “Theory of mind impairment after severe traumatic brain injury and its relationship with
caregivers' quality of life” (2015; “disturbi di ToM nel trauma cranioencefalico grave e relazione con
In questo studio abbiamo esaminato venti persone con TCE e 20 caregiver. Ai soggetti con TCE
sono stati somministrati dei compiti di ToM del genere dei passi falsi (un esempio di questo compito
è riportato sopra). Per valutare la prestazione è stata considerata l’accuratezza delle risposte. Ai
caregiver è stato somministrato un questionario (il QOLIBRI: Quality of Life After Brain Injury)
ideato per valutare la qualità di vita connessa con la salute. Ai dati è stato applicato un modello
statistico di regressione lineare che ha consentito di esaminare il contributo relativo di diversi fattori
sulle variazioni dei valori della variabile di interesse (variabile dipendente). Il primo risultato della
ricerca ha documentato una minore accuratezza della prestazione dei soggetti con TCE al compito di
passi falsi rispetto a un gruppo di controllo di soggetti sani comparabili per età e scolarità. Questo
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risultato è in linea con i dati di altri studi i quali hanno evidenziato una difficoltà di queste persone
Il risultato principale dello studio è quello derivato dalle analisi della regressione. Queste analisi
hanno messo in evidenza che la prestazione dei soggetti con TCE al compito di ToM prediceva in
misura significativa la HRQoL dei rispettivi caregiver. Più specificamente, ad una peggiore
prestazione dei soggetti con TCE nei passi falsi era significativamente associato un punteggio dei
I risultati dello studio appaiono particolarmente interessanti poiché sono i primi a documentare
l’esistenza di una relazione significativa tra le suddette variabili e mettono in evidenza come una
riduzione di questa componente dell’empatia, la ToM, possa esercitare un impatto rilevante sulla
percezione del proprio benessere e, quindi, sulla qualità di vita del familiare che si prende cura del
malato.
graduale nel bambino, il cui sviluppo procede parallelamente con la maturazione di altre funzioni
cognitive.
I risultati di diversi studi condotti con persone sane e con soggetti affetti da patologie
psicopatologiche e neurologiche, hanno messo in evidenza come le funzioni esecutive siano molto
importanti nel sostenere le abilità di ToM. Tenendo presente la discussione proposta finora e le
ToM richiedano abilità di alto livello quali, ad esempio, la memoria di lavoro, l’inibizione (della
l’integrazione (delle informazioni dalla memoria a lungo termini con quelle contestuali relative
all’altro). La prestazione in queste condizioni può, quindi, essere influenzata da una riduzione
Uno studio molto interessante al riguardo è quello condotto da Fish e Happe (2005) con bambini
affetti da autismo (un disturbo generalizzato dello sviluppo caratterizzato principalmente da deficit
della comunicazione, disturbi cognitivi e dell’interazione interpersonale). Gli autori mostrarono che
sensibilmente le prestazioni di ToM nei bambini esaminati. Questo dato sembra, pertanto, indicare
una relazione causale tra l’effettuazione del training esecutivo (la variabile indipendente “funzioni
Una revisione della letteratura sui dati disponibili in diverse popolazioni neurologiche mette in
rilievo, però, dei dati non pienamente convergenti. Aboulafia-Brakha e coll. (2011) hanno esaminato
nel loro lavoro i risultati di 24 studi condotti sull’argomento. L’analisi eseguita dagli autori ha
permesso di rilevare che in 22 degli studi presi in considerazione si documentava una compresenza
del deficit esecutivo accanto al deficit delle abilità di ToM. Questo dato è in linea con i risultati dello
studio di Fish e Happe (2005) sopra menzionato, laddove evidenzia una relazione “robusta” tra
In realtà, a rendere meno attendibile tale conclusione sono i dati emersi da altri studi. In particolare,
in due di questi studi, è stato dimostrato che pazienti con deficit delle funzioni esecutive esibivano
prestazioni nella norma in compiti di ToM (Igliori e Damasceno, 2006; Tager-Flusberg, 2000).
Un’altra ricerca ha documentato che un soggetto che presentava una riduzione della abilità di ToM
non mostrava deficit delle funzioni esecutive (Fine e coll., 2001). Questi dati indicano probabilmente
che la prestazione di test di ToM non può essere spiegata completamente dalle abilità esecutive.
Recentemente, abbiamo condotto uno studio sull’argomento mettendo in luce come, nelle persone
con malattia di Parkinson, sia presente una relazione significativa tra abilità di ToM e funzioni
esecutive (Costa e coll., 2013; “Parkinsonian patients with deficits in the dysexecutive spectrum are
ricerca un gruppo di trenta persone con malattia di Parkinson (MP) è stato diviso in due sotto-gruppi
in relazione alla loro prestazione ai test esecutivi: un gruppo (n=15) con prestazioni basse e un altro
gruppo (n=15) con prestazioni elevate ai test. Abbiamo anche incluso un gruppo di controllo
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Revisione: marzo 2022
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Corso di Psicologia Generale
Prof. Alberto Costa
composto da soggetti sani comparabile per età e anni di educazione scolastica ai due sotto-gruppi di
persone con MP. A tutti i partecipanti è stata somministrata una procedura di ToM del genere dei
“passi falsi”. I risultati sono stati particolarmente interessanti laddove hanno documentato che il
gruppo con MP con bassi livelli prestazionali ai test esecutivi, otteneva punteggi significativamente
inferiori nella procedura di ToM rispetto sia al gruppo di controllo, sia al gruppo MP come prestazioni
esecutive elevate. Quest’ultimo gruppo, invece, non mostrava differenze significative di accuratezza
Se da un lato, dunque, l’analisi della letteratura non consente di trarre una conclusione univoca
sulla relazione tra funzioni esecutive e abilità di ToM, dall’altro lato, diversi dati sono indicativi
dell’esistenza di un’interazione. Tale osservazione è anche sostenuta dai risultati di alcuni studi i quali
hanno evidenziato come l’attività delle regioni corticali prefrontali e, in particolare della corteccia
prefrontale dorsolaterale, della corteccia orbitofrontale e della corteccia anteriore del cingolo sia
critica per il sostenimento dei processi di ToM (Costa e coll.,2008; Hynes e coll., 2006; Vollm e coll.,
2006). Abbiamo discusso nel modulo 7 dell’importanza di queste regioni cerebrali nella mediazione
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