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I sensi sono indubbiamente più dei soliti 5 che ci insegnano fin dalla nascita:
1. Vista
2. Udito
3. Tatto
4. Olfatto
5. Gusto
6. Propriocezione o kinesthesia--->consapevolezza della posizione del corpo e delle sue
membra in relazione allo spazio esterno e agli altri membri, grazie alla presenza di
appositi recettori di posizione nelle membra.
7. equilibrio
Quando siamo a contatto con uno dei sensi, ci arriva sempre una sensazione. Ma cosa sono le
sensazioni? Si tratta di impressioni soggettive corrispondenti a stimoli fisici di una data
intensità, sono eventi privati e soggettivi che vanno dalla realtà esterna a quella psicologica. La
soggettività della sensazione ha permesso di attuare una distinzione fondamentale tra mondo
fisico e mondo fenomenico; la possibilità di misurare queste impressioni soggettive ha dato
luogo al modello psicofisico che ha contribuito non poco alla nascita della psicologia come
scienza.
L’essere umano non riesce a percepire tutto ciò che esiste nel mondo perché i senso sono in
grado di cogliere tali eventi solo se sono sopra una certa soglia di energia. Le categorie di
riferimento per misurare gli stimoli sono dette categorie di riferimento:
1. Soglia assoluta: livello di energia che discrimina tra la percezione e la non percezione di un
evento fisico, questo valore ottiene una risposta nel 50% dei casi. Segna il confine tra gli
stimoli che vengono recepiti dall’organismo (stimoli sovraliminari) e quelli che non vengono
recepiti (stimoli infraliminari)
2. Soglia differenziale: la differenza minima di intensità che uno stimolo deve avere da un altro
affinché vengano percepiti come diversi.
La percezione è un processo che arriva ben oltre gli stimoli, cioè le presenze fisiche degli
oggetti (stimolo distale), li elabora in unità significative (percetto), permette di segmentare le
spinte sensoriali (stimolo prossimale=tutte le info che si ricavano per capire che cosa stiamo
percependo) in eventi dotati di senso; è un insieme concatenato di processi di raccolta,
elaborazione e organizzazione di tutte quelle informazioni disponibili sia nell’ambiente in cui
viviamo, sia all’interno di ognuno di noi.
STIMOLO ESTERNO SENSAZIONE PERCETTO
In generale, la percezione non è una fedele riproduzione della realtà circostante, non lo è quindi
nemmeno l’osservazione. Questa differenza è misurata dalla catena psicofisica, che permette di
notare lo scarto tra realtà fisica e fenomenica, comportando il superamente di ogni forma di
realismo ingenuo (tendenza a credere che il mondo si presenta a noi così com’è e vi è una
coincidenza tra realtà fisica e fenomenica o percettiva).
Tuttavia ci sono momenti in cui le due realtà non corrispondono (non solo in casi patologici, ma
anche in casi normali). Spesso si percepisce di più di quello che lo stimolo fisico ci suggerisce,
come nel caso del triangolo di Kanizsa. Un altro caso può essere quello delle figure impossibili
come il triangolo di Penrose, figura del tridente, l’elefante impossibile, la porta impossibile, il
tempio impossibile,...
Un’altra possibilità riguarda una minore percezione rispetto a quello che la realtà fisica propone:
è il caso della coppa/volti, il cubo di Necker, la giovane/vecchia, coniglio/anatra, lo stesso Dalì
fa uso di queste illusioni in alcuni suoi dipinti, il mascheramento,...
La terza situazione riguarda una percezione distorta dello stimolo fisico: è il caso delle varie
illusioni ottiche di tipo geometrico (illusioni di parallelismo--->esperimenti di
Zollner). Una delle illusioni più famose è quella di Muller-Lyer o illusioni delle
frecce: due frecce hanno esattamente lo stesso fusto ma uno sembra più
lungo dell’altro. L’illusione di Ponzo è altrettanto famosa, come anche quella di
Poggendorff, passando per le illusioni di movimento di immagini statiche.
L’attenzione perché non riguarda un solo concetto unitario, bensì un insieme multidimensionale
e diversificato, è una funzione multicomponenziale che svolge un ruolo di regolatore dei
processi mentali, filtrando ed organizzando le informazioni provenienti dall’ambiente per
consentire di mettere in atto un comportamento idoneo; è vista come un sistema di regolazione
e selezione, un filtro delle informazioni da analizzare. Si distinguono due tipi di attenzione:
● Attenzione selettiva: la percezione consapevole è sempre selettiva. In un’osservazione
concentriamo la nostra attenzione su aspetti specifici del mondo che ci circonda.
● Attenzione sostenuta e vigilata: nello svolgersi di un’osservazione siamo tenuti a
mantenere attenzione costante e prolungata verso elementi e fenomeni che ci siamo
proposti di osservare.
OSSERVAZIONE SISTEMATICA
Non è una registrazione fedele e diretta della realtà. Non è guardare ma si basa su un'ipotesi di
lavoro o su una curiosità. Non è interpretare, ma piuttosto un momento intermedio tra la
percezione del fenomeno e la sua interpretazione. L’atto di osservare è comunque un atto
mentale umano, pertanto anch’esso introduce sistematicamente dei bias (=distorsione della
realtà da parte del cervello). Ci sono vari tipi di osservazione, come da tabella sotto.
Oltre ai processi osservativi che determinano alcuni aspetti importanti dell’atto percettivo e il
fatto che possa essere non un semplice «vedere», ma un’ipotesi di lavoro… Altrettanto
importante può essere evidenziare alcuni errori percettivi comunemente definiti «errori di
aspettativa». Tra i più classici errori ci sono:
● Errore dello stimolo: descrivere ciò che si sa, non ciò che si vede (un bastone in acqua
appare spezzato, ma se dico che è interno dico quello che so)
● Errore dell’esperienza: attribuire alla realtà proprietà percettive (se metto le mani in
acqua gelata e poi in una a temperatura ambiente, sentirò l’acqua come calda anche se
non è vero).
TEORIE PERCEZIONE
Prima di affrontare in maniera precisa le varie teorie percettive, bisogna fare una premessa
rispetto il tipo di elaborazione che l’informazione sensoriale può subire: secondo alcuni la
percezione avviene in maniera diretta poiché tutti gli elementi necessari all’atto percettivo sono
già nella scena visiva, uditiva,...; per altri la percezione è indiretta (o inferenziale) poiché
coinvolge elementi contestuali e relativi all’esperienza pregressa. Queste elaborazioni fanno
riferimento a due processi in particolare:
● Bottom up: vedo l’oggetto e da esso capisco di che cosa si tratta (dai dati ai processi
superiori).
● Top down: le informazioni di ordine superiore influenzano il modo in cui si interpretano gli
input sensoriali.
Questi due processi si integrano a vicenda e compartecipano alla percezione, come si vede
negli studi di Palmer--->se rappresentiamo parti di volto con pochissimi dettagli, essi saranno
riconoscibili solo se contestualizzati in un volto completo. Gli stessi disegni, se bene dettagliati,
sono riconoscibili anche singolarmente.
La prima tra le più importanti teorie percettive è la teoria empiristica di Helmholtz del 1870. Egli
riprende la differenza tra sensazione e percezione, sostenendo che le prime sono legate ad
aspetti precisi. Ecco che introduce le sensazioni elementari (cioè dati sensoriali) che, mediante
processi associativi e in virtù dell’esperienza passata, sono sintetizzate nella percezione di
oggetti e eventi. Agisce il principio di inferenza inconscia, una sorta di ragionamento rapido e
inconsapevole grazie al quale si integrano o modificano le sensazioni elementari (legati ad un
processo di un automatismo, infatti se vedo una sedia non penso a tutte le sedie viste in
passato)---->associazionismo.--->L'inferenza inconscia afferma che la nostra percezione retinica
viene continuamente corretta tramite un procedimento creativo della nostra mente aggiungendo
informazioni sulla base di ciò che già sappiamo di un oggetto visualizzato e dell'ambiente che lo
circonda. Quindi la nostra percezione in generale è influenzata e corretta dalla nostra esperienza
pregressa, tramite un processo cognitivo inconscio.
A questa teoria si oppone la teoria della Gestalt, nota anche come scuola di Berlino: i fondatori
sono Wertheimer, Kohler e Koffka (seguiti poi da Lewin). Sostengono che la percezione non è
preceduta da sensazioni, ma è un processo primario e immediato come risultante
dell’organizzazione interna delle forze che si vengono a creare fra le diverse componenti di uno
stimolo--->campo percettivo.
Di conseguenza, gli oggetti appaiono come unità coerenti e come totalità strutturate (cioè, come
Gestalt). In particolare, la scuola della Gestalt ha approfondito i principi di unificazione degli
stimoli, la relazione figura-sfondo e la percezione del movimento.
1. Le nostre esperienze non sono caotiche o somma di parti, ma esperienze strutturate: il
tutto precede le parti, che assumono significati diversi a seconda del tutto di cui sono
parti (passando da una tonalità all’altra, le note cambiano tutte ma l’importante è la
relazione in cui sono tra di esse; fenomeno phi).
2. Percezione e pensiero si auto-organizzano all’interno di un campo. Ciò porta ad una
concezione dinamica dei processi cognitivi (tendenza all’equilibrio e alla pregnanza).
3. Occorre studiare quanto avviene nel mondo fenomenico dell’individuo, in ciò che gli
appare, non nel mondo della realtà, al di là dei fenomeni.
4. Alcuni assumono un isomorfismo, tra mondo fenomenico e accadimenti cerebrali.
5. Lo studio del campo percettivo prevede un’articolazione tra figura e sfondo--->quando
leggo vedo le lettere sopra una base bianca che è il foglio, di conseguenza è naturale
dire che la figura sta sopra lo sfondo. Questo concetto è anche alla base di alcune
illusioni ottiche.
Terza teoria è quella della psicologia del New Look, la quale si focalizza sul ruolo del soggetto
rispetto a quello del percetto. Nasce dagli studi di Bruner e Postman: secondo loro, stimoli
identici danno luogo a percetti diversi in base allo status sociale--->legame tra percezione ed
emozione.
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COGNITIVISMO E COSTRUTTIVISMO-TEORIE
C’è un carattere inferenziale e mediato della percezione: la percezione avviene attraverso una
mediazione tra ciò che è nella nostra memoria e ciò che avviene nel mondo esterno--->già
espresso da von Helmholtz. La percezione è quindi il risultato di un processo che si compone in
diverse fasi ed è influenzata dal contesto e dai dati sulle aspettative del soggetto.
I SENSI
Nel parlare del rapporto tra i nostri sensi e la percezione bisogna considerare i recettori
periferici dei nostri sensi e la via che dalla periferia va al cervello. Questa via consiste nel
passaggio tra lo stimolo distale e il percetto secondo il modello psicofisico. Sia la funzionalità
dei recettori periferici sia l'integrità delle zone cerebrali deputate all’elaborazione dei dati
sensoriali sono necessarie per tutte le attività percettive conseguenti.
Affinché noi possiamo vedere gli oggetti del mondo sono necessarie tre condizioni:
● La presenza di luce che illumina gli oggetti
● La presenza di recettori sensoriali
● L’elaborazioni dell’informazione visiva da parte del cervello
Mondo esterno---Pupilla---Retina---
Tratto ottico--- Cito genicolato
laterale---Radiazioni ottiche---Regione
occipitale
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Ogni cellula gangliare ha il suo campo recettivo e ognuno interagisce e si sovrappone con il
campo percettivo di altre cellule.
Dagli esperimenti negli anni 50 di Kuffler sulla retina di un gatto si poté capire che esistono due
tipi di cellule gangliari. Alcune si attivano se uno stimolo luminoso colpisce il centro del loro
campo recettivo (centro on) Altre invece si attivano se uno stimolo luminoso colpisce le zone
periferiche del loro campo percettivo (centro off).
Nel percorso che porta l’immagine retinica al
cervello bisogna ricordare che l’immagine di
metà retina (retina temporale) va direttamente al
cervello nell’emisfero corrispondente. L’altra metà
dell’immagine (retina nasale) va invece
nell’emisfero cerebrale opposto. I percorsi delle
due emiretine nasali si incrociano nel chiasma
ottico.
Retina---Nervo ottico---Corpo genicolato
laterale---Corteccia
Nella descrizione che si è fatta delle cellule gangliari, dei meccanismi on e off che le regolano
abbiamo una prima risposta di alcuni fenomeni percettivi che possiamo quotidianamente
osservare. Nella nostra osservazione quotidiana abbiamo di certo potuto realizzare che la
visione delle cose è in relazione con le altre cose che appiano vicine Così il carbone sulla neve
a mezzogiorno ci sembrerà più nero che in altre situazioni o occasioni. Tale effetto di contrasto
può essere ricondotto ai meccanismi on e off delle cellule gangliari e alla nozione di campo
recettivo prima descritta.
Ogni neurone ha un campo recettivo, una sua piccola area, ed esso non è uniforme ma
organizzato secondo meccanismi on e off. Gli stimoli che illuminano uniformemente il campo
recettivo risultano meno efficaci rispetto agli effetti di contrasto. Le penombre rendono il
contrasto meno evidente e quindi meno forte.
UDITO
Per l’udito lo stimolo ambientale che produce la sensazione sonora è una rapida variazione
della pressione dell’aria che giunge all’organo. Tali variazioni di pressione dell’aria sono causate
dalla vibrazione della superficie di un oggetto e si propaga ad una velocità di circa 330 m/s, in
modo tale che una configurazione di variazione simile, ma più debole, si produca in prossimità
degli organi recettori uditivi.
Onda sonora---> Il suono è una variazione della pressione atmosferica registrata dall’organo
dell’udito. Queste variazioni hanno la forma d'onda che, di solito, si propagano nell’aria. Un
oggetto, passando da uno stato di quiete ad uno stato di vibrazione, produce una serie di
compressione (quando l’oggetto si muove verso l’esterno) e rarefazioni (quando l’oggetto si
muove verso l’interno). Per vibrazione s’intende il passaggio dallo stato di quiete ad
un’estremità e poi all’altra dell’oscillazione, per giungere infine al punto di partenza. Essa è
detta periodo e si caratterizza principalmente in base alla frequenza e l’ampiezza. La frequenza
è il numero di periodi per secondi o hertz (Hz) e determina la tonalità o altezza (il suono appare
grave se la frequenza è bassa, acuto se è
alta). L’ampiezza (la grandezza delle
vibrazioni), dipende dall’energia che mette in
moto il corpo stesso e determina l’attributo
dell’intensità (il suono appare debole o forte).
Più le vibrazioni si allontanano dalla
sorgente, maggiore sarà la superficie che
coprono e minore sarà la loro ampiezza.
L’intensità di un suono è inversamente
proporzionale al quadrato della distanza dalla
sorgente.
La maggior parte delle persone può sentire toni di frequenza variabile fra i 20 e i 20.000 Hz, e la
sensibilità ai toni compresi entro questa gamma può differire da un individuo ad un altro. La
scrittura delle rilevazioni della gamma di toni che normalmente siamo in grado di udire è nota
come funzione audiometrica. Tale funzione mostra i valori liminari (soglia assoluta inferiore)
dell’energia udibile in funzione d’ogni frequenza. La curva superiore mostra i valori massimi
d’energia sonora tollerabile (valori superiori provocano dolore e danneggiano l’orecchio).
L’energia sonora è espressa in decibel (dB). Per un tono di 20 Hz il valore liminare dell’energia
sonora supera gli 80 dB. L’esposizione prolungata a suoni superiori a 80 o 90 dB può produrre
danni permanenti all’udito.
Vibrazione---> Esistono vibrazioni semplici e composte. Quelle di cui abbiamo parlato
precedentemente sono vibrazioni che producono i toni puri. Nell’ambiente che ci circonda
abbiamo a che fare con vibrazioni composte che possono avere un’identica fase, avere una
fase opposta o essere fra loro sfasate. I suoni composti da strumenti musicali in genere
producono vibrazioni composte. In essi è possibile distinguere la frequenza fondamentale
(ovvero, la frequenza più bassa corrispondente alla vibrazione dell’oggetto nel suo insieme), le
armoniche che sono multiple della frequenza fondamentale e che sono prodotte dalle vibrazioni
parziali delle diverse parti dell’oggetto o dello strumento musicale. Il timbro, a sua volta, è
determinato dalla combinazione fra la frequenza fondamentale e le armoniche. I suoni devono
essere distinti dai rumori. I rumori sono composti da vibrazioni aperiodiche irregolari.
OLFATTO
La funzione olfattiva nell'uomo si realizza per mezzo di strutture specifiche: i recettori degli
stimoli, che si trovano nella mucosa nasale in numero variabile tra i 10 ed i 20 milioni,
trasducono l'informazione chimica in un impulso nervoso che percorre gli assoni emergenti
dall'estremità basale delle cellule recettoriali, il segnale giunge ai bulbi olfattori, collocati al di
sopra delle cavità nasali, qui avviene il contatto con il secondo neurone della via olfattiva, il
quale proietta il proprio assone al sistema limbico, all' ipotalamo, all'amigdala ed alla cosiddetta
corteccia olfattiva primaria dove vengono interpretati i segnali olfattivi. I recettori hanno
un'elevata sensibilità discriminativa che arriva a distinguere 10.000 diversi odori. L’olfatto è in
grado di percepire i profumi perchè le sostanze odorose sono volatili. La "circonvoluzione
dell'Ippocampo“ è un'area di materia grigia responsabile della sensibilità olfattiva e gustativa: si
può considerare l'archivio delle nostre memorie organolettiche e degustative. L’olfatto è in grado
di percepire gli odori in due modi: per aspirazione diretta (nasale) o per via indiretta
(retronasale).
L’aspirazione diretta si attua annusando ripetutamente per una completa individuazione delle
sensazioni. La percezione per via retronasale si compie quando, eliminata una certa sostanza
dalla bocca (come il vino), si espira in modo che le sostanze volatili colpiscano la mucosa per
via retronasale. Si definiscono sensazioni olfattive o nasali quelle ottenute per inspirazione e
gusto-olfattive o retronasali quelle determinate dall’espirazione di una certa quantità di aria
presente in bocca attraverso il naso. I profumi riscontrabili per via retronasale possono essere
simili a quelli nasali (corrispondenza naso-bocca) o differenti.
GUSTO
Il sistema gustativo è capace di distinguere cinque sapori
fondamentali: dolce, amaro, salato, aspro e umami (quest'ultimo
scoperto di recente: un gusto umani e' per esempio il glutammato
monosodico presente nei dadi e nel Parmigiano Reggiano). Ognuno
di queste tipologie sottostà ad una particolare via di trasduzione del segnale dalle papille
gustative al cervello.
TATTO
Il Tatto o sensibilità tattile rende l'uomo e gli animali capaci di rilevare con una straordinaria
precisione, la presenza di stimoli dovuti al contatto della superficie cutanea con oggetti esterni. I
meccanismi con cui la sensibilità tattile si realizza sono in buona sostanza uguali in tutti i
Mammiferi, compreso l'uomo.
La pelle è particolarmente sensibile a ogni forma di contatto. L'uomo può distinguere
empiricamente sensazioni tattili di diversa natura, come il caldo, il freddo, la pressione e il
dolore grazie a varie specie di organi terminali, attraverso i quali i diversi stimoli si ricollegano
per formare le sensazioni. Nella fisiologia classica il tatto viene spesso annoverato tra i
cosiddetti "sensi minori"; si tratta tuttavia di una erronea semplificazione. Ciascun movimento,
soprattutto l'afferrare e il tenere in mano gli oggetti, si realizza grazie alla collaborazione
finemente coordinata di sensibilità e mobilità. Al tatto spetta il compito di verificare la forza e la
velocità della presa e di regolare conseguentemente la contrazione muscolare.
I recettori tattili sono presenti in gran numero nelle dita e sulle labbra, mentre sono
relativamente rari nel tronco. Le fibre sensoriali che portano ai centri nervosi gli impulsi dai
recettori tattili e pressori formano nel midollo spinale il fascio spinotalamico ventrale, oppure
risalgono nelle colonne dorsali fino al bulbo. Data l’esistenza di due vie ascendenti per il tatto,
questa forma di sensibilità viene abolita solo da lesioni molto estese del midollo spinale. Nel
derma,distribuiti su tutto il corpo, con addensamento regionale prevalentemente di una
categoria piuttosto che di un’ altra, troviamo i recettori corpuscolati, che sono di vari tipi.
Un punto di partenza importante, quindi, per definire l’oggetto percettivo può essere quello di far
riferimento al rapporto figura sfondo, esaminato ampiamente nell’ambito delle figure
reversibili--->l’oggetto è quindi la “figura”.
Definito l’oggetto nei termini di figura possiamo applicare ad esso le principali caratteristiche
della figura La figura appare sopra lo sfondo, più vicina a noi.
Per rispondere alle domande prima formulate si suole suddividere gli indizi di profondità (cioè
quegli elementi che ci fanno capire la tridimensionalità di una scena) in non pittorici e pittorici.
Questi ultimi sono legati alla possibilità di riprodurre su un disegno bidimensionale la distanza.
● Indizi non pittorici--->1. L’accomodamento del cristallino (indizio fisiologico)
2. Visione binoculare (grazie alla posizione frontale degli occhi)
3. Parallasse di movimento (quando noi ci muoviamo)
● Indizi pittorici--->1. Grandezza relativa (a distanze relativamente grandi la grandezza
relativa di un’immagine dipende dalla sua distanza)
2. Convergenza apparente di rette parallele (come nella
rappresentazione dei binari)
3. Altezza rispetto all’orizzonte (più è lontano un oggetto più è alta la
sua immagine nel nostro campo visivo
4. Gradienti (successioni di oggetti tutti uguali tra di loro di dimensioni
decrescenti)
La prospettiva frontale o lineare quale noi la conosciamo si sviluppò nel Rinascimento italiano
con Leonardo prima e Brunelleschi poi… Nell’arte antica si hanno diverse rappresentazioni
spaziali. Nell’Egitto dominava il dislocamento orizzontale e verticale. Alcuni elementi prospettici
vennero introdotti nell’arte greca e romana. Nell’arte bizantina la rappresentazione spaziale
divenne, invece meno rilevante. Nel 1300 da Giotto in poi, con la rappresentazione di scorcio
vennero reintrodotti degli elementi che portarono poi allo sviluppo dello spazio prospettico Ma
la rappresentazione prospettica rinascimentale è la sola giusta? E fino a che punto gli artisti
l’applicarono?
Una prima domanda da porsi è perché è difficile dipingere la distanza. In effetti la nostra visione
non corrisponde affatto a quella suggerita dall’immagine retinica. L’occhio non è una macchina
fotografica e nel processo di visione sono intervenuti notevoli adattamenti alla realtà. La nostra
visione si adatta a ciò che la pratica quotidiana suggerisce. Il principio di costanza domina la
nostra visione--->Costanza di grandezza: entro i 10 metri le persone non ci sembrano mutare
come dovrebbero in base alla proiezione retinica.
--->Costanza della forma: una forma, quadrato, rettangolo non muta in relazione al nostro punto
di vista.
Sul principio di costanza si basano gran parte delle teorie percettive di matrice empirista
Adalbert Ames fece due famosi esperimenti:
▪ La camera distorta
▪ La finestra rotante
Sullo stesso principio della camera di Ames si basa una particolare forma di prospettiva,
l’anamorfosi, in cui il punto di vista viene ad essere fortemente di sbieco. Alcuni autori hanno
avvicinato la prospettiva anamorfica alla prospettiva rallentata e accelerata che si ritrova
nell’osservare un edificio dal basso verso l’alto La prospettiva accelerata sarebbe alla base di
un fenomeno come la camera di Ames.
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Camera di Ames ->congegnata secondo una nuova forma di prospettiva che si ricorda con il
nome di anamorfosi. Studiata a partire dal 1500 da Leonardo, ma nel 1600 si fanno altri studi a
riguardo. Il principio della camera ci permette di rettificare cosa è all’interno.
Anamorfosi Erhard Schön (1535 )---->quadro di un mercante che incontra una prostituta, viene
dilatato e la scena si può ricostruire solo guardandolo da una prospettiva.
Le anamorfosi ricostruiscono cose che sono fluidi e che vengono ricomposti solo da una
prospettiva specifica (no costanza della forma)--->affresco di Meignan nel corridoio anamorfico:
si vede un ulivo e un santo, mano a mano che si cammina, il santo scompare e si palesano altre
figure, come un villaggio.
Gli ambasciatori di Holbein--->le due figure sono contornate da oggetti comuni del mondo, ma
hanno delle particolarità: ognuno ha un difetto. Il teschio sul pavimento può essere visto solo da
un’angolo di visione particolare.
Alcune anamorfosi sono state realizzate anche in forme cilindriche o in sculture come in quella
di Horowitz
LA LUCE
Newton è il primo a studiare la luce e si interroga su come si propaga la luce.
Teoria corpuscolare--->proposta da Newton nel XVII secolo e suggerisce che la luce è
composta da piccole particelle di materia (corpuscoli), che vengono emesse in ogni direzione.
Suppone che la velocità della luce aumenti quando passa attraverso una sostanza più densa, a
causa della maggiore spinta gravitazionale. Il fenomeno della diffrazione della luce, invece,
dimostra come la teoria newtoniana non sia giusta: se un raggio passa da un buco, il quale
viene ristretto periodicamente, ad un certo punto il raggio si allarga in ogni direzione---->allora la
luce non si propagano in linea retta.
Teoria ondulatoria---> proposta da Christian Huygens nel XVII secolo. Suppone che la luce è
emessa come onde diffuse in tutte le direzioni, esse non sono influenzate dalla gravità e quindi
rallentano quando attraversano sostanze dense. Le onde possono interferire tra di loro (fatto
notare da Thomas Young nel XVIII secolo]) e possono essere polarizzate. Supponeva che la
luce avesse bisogno di un mezzo per essere trasmessa (come l'aria per il suono)--->spiega la
diffrazione luminosa.
Teoria elettromagnetica--->proposta da Maxwell alla fine del XIX secolo, sostiene che le onde
luminose sono elettromagnetiche e non necessitano di un mezzo per la trasmissione, ma
mostra che la luce visibile è una parte dello spettro elettromagnetico.
Teoria quantistica--->sviluppata alla fine del XIX secolo e combina le teoria precedenti. Nel 1900
Planck propose che le onde luminose sono composte di pacchetti di energia detti quanta o
fotoni. La luce si comporta sia come onda che come particella.
La migliore misurazione della velocità della luce è stata calcolata da Roemer nel 1676: ci arrivò
studiando Giove e una delle sue lune con un telescopio. Grazie al fatto che la luna veniva
eclissata da Giove a intervalli regolari, calcolò il periodo di rivoluzione della luna in 42,5 ore,
quando la Terra era vicina a Giove. Il fatto che il periodo di rivoluzione si allungasse quando la
distanza tra Giove e Terra aumenta, indicava che la luce impiega più tempo a raggiungere la
Terra. La velocità della luce venne calcolata analizzando la distanza tra i due pianeti in tempi
differenti. Roemer calcolò una velocità di 227.000 km/s.
La misura esatta è 2999.792.458 m/s, ma viene ridotta quando passa in sostanze trasparenti. È
una misura finita.
Il movimento crea dei rapporti all’interno del campo percettivo; il movimento congruente delle
figure può essere interpretato in termini di causalità, come negli esperimenti di Michotte
(--->animazioni di due punti che si inseguono e uno che attiva motoriamente l’altro)
La rappresentazione del movimento nelle opere grafiche è avvenuta sfruttando alcuni
espedienti: la scia nel fumetto, l’instabilità in opere come il Discobolo e le Ballerine di Degas.
Con l’invenzione della fotografia è stato possibile fotografare il movimento in maniera chiara ed
evidente. I primi esperimenti sono avvenuti alla fine del 1800, a partire dal fucile fotografico di
Marey, il quale riprendeva 12 fotogrammi in rapida sequenza. Grazie ad esso, lo stesso Marey,
con la collaborazione di Muybridge, sperimentano la cronofotografia ed effettuano una serie di
studi osservando il galoppo dei cavalli. Si trovò che il movimento reale degli animali era molto
diverso da quello spesso rappresentato per convenzione nei quadri sotto la forma di galoppo
volante in quanto l’animale sollevava le 4 zampe da terra, ma non nella configurazione prevista
dalla convenzione pittorica. Si tratta di movimenti di organismi viventi che sono estremamente
complessi rispetto ai movimenti di oggetti inanimati.
Al movimento biologico ha dedicato una serie di studi famosi lo svedese Johansson: gli attori
erano in calzamaglia scura così da farli confondere con lo sfondo ma vi erano dei punti luminosi
sugli abiti. Se gli attori si muovevano era possibile individuarli immediatamente e attribuirne
correttamente anche alcune caratteristiche come il sesso (da fermi eano del tutto invisibili).
TEMPO
Il tempo presenta una definizione complessa ed la sua definizione è sempre stata al centro di
un vasto dibattito culturale. Per via della sua natura immateriale è difficile avere una
rappresentazione mentale del tempo. Spesso, infatti, in modo improprio diciamo frasi del tipo “il
tempo scorre” attribuendo al tempo delle qualità che in realtà appartengono a degli oggetti
esterni (incluso il nostro stesso corpo): i cambiamenti di stato degli oggetti – i processi di
crescita e d’involuzione – ci danno l’idea che un certo periodo di tempo sia trascorso.
Tuttavia, non è il tempo ad essere passato, ma sono gli oggetti ad aver modificato il loro stato
originario. Senza dubbio il concetto di successione e di relazione prima-dopo ha a che fare con
il tempo, ma il concetto di tempo che elaboriamo in base all’osservazione della realtà esterna è
per sua natura inferenziale: non è il tempo a muoversi, sono gli oggetti a farlo. Misuriamo le
modificazioni del mondo esterno e diamo a loro il nome di tempo.
Tempo psicologico---> il tempo non appartiene solo agli oggetti ma anche al soggetto. La
nozione di tempo riferita al soggetto (tempo soggettivo) riguarda le sensazioni e le emozioni
soprattutto nella dimensione del presente, i ricordi che appartengono al passato e i desideri, i
piani elaborati per il futuro. Il tempo soggettivo è il tempo delle intenzioni (Jacques, 1982),
mentre il tempo inteso come successione degli eventi appartiene agli oggetti: è il tempo
cronologico.
Tempo biologico--->le risposte adattative dell’organismo ai ritmi dell’ambiente.
La cronemica fa parte della cronobiologia ed è influenzata dai ritmi circadiani (cicli fisiologici e
psicologici del soggetto nel periodo delle 24 ore). Ci sono cicli che durano più di 24h (cicli
infradiani) e cicli che durano meno e si ripetono nelle 24 h (cicli ultradiani). Essi sono influenzati
dall’azione di un orologio biologico interno (orologio circadiano, dura 25h) che va più lentamente
quando non è governato da fattori ambientali--->una prova è l’alzarsi prima della sveglia. Sono
anche influenzati da fattori socioculturali.
Ogni soggetto è portatore di uno specifico ritmo personale, che dà per scontato essere uguale a
quello degli altri; in realtà, la comunicazione con soggetti che hanno ritmi biologici e psicologici
differenti può generare distonie, sfasamenti e condizioni di disagio.
Gli studi sul tempo in quanto fenomeno hanno evidenziato la differenza tra una dimensione
percettiva del tempo e il tempo reale. I fenomeni di successione, simultaneità e durata possono
essere diversi al livello di esperienza interna individuale da come appaiono nel mondo esterno
(Vicario, 1973). Uno dei tanti esperimenti riguarda il dislocamento temporale--->se sentiamo tre
suoni di altezza diversa (A e C di altezza simile, B molto più basso), distanti circa 100 ms,
sentiamo A e C come un unico suono e poi arriva B, segregato rispetto agli altri. I risultati relativi
al fenomeno del dislocamento temporale ci danno l’idea che a livello percettivo un’idea di
tempo cronologico fatta di momenti discreti non può sussistere. E’ opportuno ipotizzare invece
un presente fenomenico, la cui durata, variabile, (per l’esperimento precedente a 300 msec la
dislocazione non avviene) può estendersi in alcuni casi fino a 1,5 o 2,0 secondi.
Nell’ambito del presente fenomenico possiamo inquadrare altri effetti che riguardano sia la
visione sia l’udito.
Effetto Tunnel---> nella sua presentazione visiva rappresenta un’estensione del completamento
amodale in una situazione dinamica. Un piccolo oggetto si muove verso un rettangolo opaco
(tunnel) e poi fuoriesce da esso. Per qualunque osservatore, senza eccezioni, il movimento
dell’oggetto è perfettamente continuo e «reale» dietro allo schermo quando ha luogo con una
velocità di 600 mm/sec., essendo il tunnel lungo 40 mm, e l’intervallo EU (entrata-uscita) di circa
15 millisecondi. Fuori di questi parametri viene a perdersi l’effetto di continuità.
Tunnel acustico---> si compongono una serie di pezzi di nastro secondo una schema preciso:
LA a 440- suono bianco- LA a 440. Il secondo segmento di suono si unisce perfettamente al
primo; anzi, una descrizione adeguata potrebbe essere questa: il primo La entra nel rumore, si
sente benissimo attraverso il rumore, poi il rumore cessa e si continua a risentire il La
nitidamente, senza disturbi. La soluzione della continuità si ha in certe situazioni particolari.
Vicario, variando sistematicamente i differenti aspetti della situazione, trovò che il rumore bianco
non deve avere una intensità troppo bassa rispetto a quella del suono se si vuole che l’effetto
abbia luogo. Semplificando le cose, se il primo La è forte, il rumore bianco molto debole, e il
secondo La forte come il primo, ciò che si sente è una nota che viene a cessare
improvvisamente, un rumore che comincia da quel momento, poi cessa di colpo mentre una
nota uguale alla precedente inizia a risuonare. Il confronto tra questa situazione e la
precedente mostra con efficacia la differenza che c’è tra la discontinuità e la continuità. La
discontinuità contiene margini con funzione bilaterale; cessa una cosa e comincia un’altra. La
continuità è caratterizzata dal fatto che il margine interveniente a un certo punto (inizio del
rumore) non è margine temporale del suono, il quale mantiene la sua identità ininterrotta.
L’idea della continuità può produrre fenomeni particolari in campo acustico: in una linea di suoni
alternati tra alti e bassi, se l’intervallo di tempo è piccolo allora sentiamo i suoi acuti unificati tra
loro e i suoni bassi unificati tra loro (dissociazione per altezza tonale).
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Come poter rappresentare il tempo nella staticità? Uno fra i metodi più usati consiste in una
sequenza di immagini (illustrazioni grafiche, fumetti). Elementi importanti in questo tipo di
rappresentazioni sono:
▪ Il titolo emblematico e riassuntivo del contenuto
▪ La presenza di segmenti verbali che accompagnano ogni
tavola
▪ Il riferimento a concetti, idee, condivise
▪ Elementi in comune tra le varie rappresentazioni.
Possiamo avere eventi di trasformazione, di crescita o
diminuzione.
Un po’ come accade per il movimento, anche nel tempo si
trovano delle interazioni casuali; si può anche visualizzare il
tempo di degrado.
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Gli stimoli sono:
● Immaginabilità: facilità con cui le parole suscitano un’immagine mentale; tale facilità è
maggiore per parole concrete che per quelle astratte.
● Concretezza: grado in cui una parola si riferisce ad oggetti concreti, persone, luoghi o a
cose che possono essere udite, gustate, annusate, toccate. Si riferisce al grado con cui
una parola si riferisce a qualcosa che può essere percepito per mezzo dei sensi.
La nostra mente può anche manipolare delle immagini: possiamo riconoscere le lettere
rovesciate perché la nostra mente è in grado di ruotarla in senso corretto. Shepard and Metzler
hanno dimostrato che la mente è in grado di manipolare le immagini: i soggetti dovevano
decidere se due figure geometriche fossero uguali o diverse, si misurava il tempo di reazione
(TR). Questi sono direttamente proporzionali alla differenza di orientamento tra i due stimoli:
tanto maggiore è la rotazione che deve essere fatta mentalmente per effettuare il confronto
tanto più lungo sarà il tempo necessario per dare la risposta.
Kosslyn sperimenta sull’esplorazione di una mappa: si chiedeva ai soggetti di andare da un
punto all’altro, memorizzando tale mappa e i vari luoghi segnati. Il tempo necessario per
spostarsi dipende dalla distanza reale tra i vari luoghi: più sono lontani, più il TR è maggiore.
IMMAGINI E VISIONE
Le immagini - la loro natura e le loro caratteristiche - rivestono un ruolo privilegiato per tracciare
gli snodi cruciali di un percorso che porta alla conoscenza di sé. Molti elementi di questo
percorso sono già presenti nella tradizione filosofica (da Platone ai neoplatonici, soprattutto nel
Rinascimento italiano). Non necessariamente questo processo si limita alla visione. Esistono
delle immagini musicali che si riferiscono ad esperienze sonore interiorizzate. Il rapporto tra
immagini e processo psicoterapeutico come «svelamento» (ovvero rivelazione) all’interno della
relazione terapeutica.
Le emozioni si dividono in:
-Big emotions per definire gli aspetti «infiniti» della relazione terapeutica (Matte Blanco, 1975).
-Micro emotions per descrivere gli aspetti attuali del percorso terapeutico (Huron,
2007)--->importanti nelle arti terapie.
Un altro aspetto studiato da Meffei e Fiorentini è quello del linguaggio del segno: prendono
come riferimento i dipinti rupestri. Ma perché il cacciatore delle epoche preistoriche sentì il
bisogno di raffigurare l’immagine dell’animale cacciato? Tali figure hanno una grande forza
comunicativa, ma da dove viene la forza? Bisogna fare un passo verso l’organizzazione del
cervello: segno e contorno sono segnali efficaci per il cervello. Le immagini vengono ridotte a
invarianti, a concetti visivi e simbolizzate nell’attività di certi neuroni, così tutti possono
interpretare la stessa cosa. Hubel e Wiesel hanno registrato le risposte delle cellule della
corteccia visiva del gatto e della scimmia e hanno dimostrato che queste cellule rispondono solo
a stimoli visivi rappresentati da linee o bordi di particolare orientamento e dimensioni. Vi sono
cellule che rispondono a stimoli orizzontali, altre a stimoli verticali, altri ancora a quelli obliqui o
a quelli di una particolare lunghezza. Nel passaggio dalla retina al cervello sembra proprio che
le immagini vengano ridotte ai loro contorni e successivamente rielaborate. E’ forse un po’
azzardato, ma ugualmente suggestivo chiedersi se il linguaggio del segno, o meglio il
linguaggio visivo neurale, non rappresenti qualcosa di molto simile a quella che Chomsky
chiamava per il linguaggio verbale la “struttura profonda”.
Sé corporeo---> può essere vista come scaturente da quella di:
▪ Schema corporeo (schema percettivo legato al processo di localizzazione spaziale compiuto
dal sistema nervoso), fa riferimento a un processo inconscio.
▪ Immagine corporea (include le componenti soggettivo-cognitivo-affettive delle rappresentazioni
corporee), si riferisce ad una rappresentazione cosciente del corpo.
Entrambi lo schema corporeo e l’immagine corporea contribuiscono alla formazione del sé
corporeo, come nel riconoscimento della propria immagine allo specchio.
Quanto si parla di autoconsapevolezza ci si riferisce al proprio pensiero (in particolare): se sono
consapevole del mio pensiero allora posso esserlo anche rispetto al pensiero altrui--->studi
sull’empatia e sui neuroni specchio. Da queste osservazioni è nata la TOM (=teoria della
mente).
Rappresentazione primaria--->neuroni specchio: io vedo una persona agire e capisco come fa,
c’è un rapporto diretto.
Rappresentazione secondario--->io posso intuire cosa una persona penso perchè lo conosco,
c’è un processo di immedesimazione.
Un lavoro di Rochat (2003) ben descrive 6 fasi all’interno del processo che porta
all’autoconsapevolezza. C’è una prima fase chiamata livello 0 in cui predomina la confusione,
ovvero la non differenziazione tra immagine speculare e realtà, l’immagine speculare viene
confusa con un’altra presenza nell’ambiente, il bambino o l’animale non umano non riconosce la
propria immagine speculare, ma pensa ci sia un’altra persona o un altro animale non umano di
fronte a lui; appartiene a questa fase anche la reazione patologica di un adulto che non
riconosce nello specchio la propria immagine, ma un estraneo minaccioso.
In una seconda fase, chiamata livello 1 in cui predomina la differenziazione, ovvero l’inizio del
processo che porta a distinguere il Sé dal mondo esterno: nell’immagine speculare si avverte
che c’è qualcosa di particolare che non appartiene del tutto al mondo esterno. Si capisce che lo
specchio ha proprietà riflessive, ma non si è in grado di stabilire bene come si articolino. Nella
terza fase, chiamata livello 2, ovvero della situazione, i movimenti percepiti nello specchio sono
attribuiti al proprio corpo e quindi si attua una prima autoesplorazione dei confini fisici del
proprio Sé corporeo. La quarta fase, chiamata livello 3, ovvero dell’ identificazione, corrisponde
a quanto già si è detto a proposito del test della macchia e cioè al pieno riconoscimento della
propria immagine riflessa che, però, non è l’unico punto di arrivo nel processo che porta
all’autoconsapevolezza, come dimostrano le successive due fasi. Nella quinta fase, chiamata
livello 4, predomina la permanenza dell’oggetto, per cui il riconoscimento della propria
immagine corporea va al di là della situazione contingente del rispecchiamento, ma si estende
nel tempo. Viene percepita correttamente come immagine di Sé una fotografia anche
appartenente al passato. Nella sesta e ultima fase, il livello 5 prevalgono gli elementi
metarappresentativi dell’autoconsapevolezza, come cioè l’immagine corporea di una persona
possa essere presente nei pensieri e nei sistemi di riferimento altrui. Questo aspetto
dell’immagine corporea riguarda sia le caratteristiche più propriamente legate alla
presentazione sociale della propria immagine corporea (Goffman, 1959), l’idea che gli altri
hanno di noi e che noi contribuiamo a evidenziare, sia altri aspetti dell’autoconsapevolezza
come il sapere individuare come propri una serie di valori e la possibilità di condividerli con gli
altri immedesimandosi nei pensieri altrui.
Il tema dell’immagine speculare e il suo riconoscimento è stato oggetto di studio, come è noto,
anche da parte di due famosi psicoanalisti, Lacan e Winnicott. Mentre in Lacan (1949)
l’elemento visivo insito nel test dello specchio viene esaltato e posto a mo’ di baluardo per
stabilire la permanenza dell’identità a dispetto di tutte le immagini parziali e bizzarre contenute
nell’inconscio, in Winnicott (1967) il rispecchiamento prevede un contatto con un altro, che nel
caso specifico è la madre dove il bimbo ritrova la propria immagine, contatto che richiede
l’impiego di molteplici canali sensoriali, non solo quello visivo, ma anche quello olfattivo,
acustico e, naturalmente, tattile. Il ritrovamento della propria immagine avviene attraverso uno
scambio emotivo ed affettivo con la madre: è la madre lo specchio del figlio. Questo
rispecchiamento non crea dei confini invalicabili, ma, proprio come nel mito della ninfa Eco,
un’identità che si basa sul contatto reciproco e su un’immagine visiva o sonora di se stessi che
va progressivamente costruita confrontando l’esperienza percettiva con il ricordo del passato.
Non ha senso tuttavia parlare di sé senza fare riferimento all’altro. Un po’ come nella famosa
frase di Winnicott: «L’infante non esiste» perché bisogna considerare sempre la coppia
madre-bambino. Dal rapporto sé-altro derivano diverse tradizioni di studio: tra le più importanti,
il modello delle relazioni oggettuali in psicoanalisi e quello relativo agli aspetti fenomenologici
dell’intersoggettività.
Quando interagiamo con il mondo intorno a noi i diversi sistemi di rappresentazione spaziale,
corporea e motoria contribuiscono fortemente all’esperienza cosciente di un sé come un corpo
che agisce (Gallese, 2009). C’è una riappropriazione del corpo nel concetto di sé. Ma il sé si
può estendere con degli strumenti: uno studio recente ha mostrato che, in soggetti sani, l’uso
attivo di uno strumento può modulare la rappresentazione della lunghezza del braccio,
estendendola (Sposito et al., 2012). Quando usiamo uno strumento è come se diventasse parte
di noi; è questo che si intende quando parliamo di plasticità del sé, estremamente flessibile e
dinamico, in continuo divenire nell’intreccio con l’ambiente in cui è situato (Varela, 2000).
Il corpo è “un oggetto” che normalmente non ci lascia mai (Merleau-Ponty, 1945). Tuttavia, tale
consapevolezza può essere drammaticamente alterata in seguito a lesioni cerebrali, portando
alcuni pazienti ad essere convinti che un braccio o una gamba non sia più loro. Questo è
l’intrigante caso della somatoparafrenia (Vallar & Ronchi, 2009).
Anche in persone sane, una manipolazione sperimentale chiamata illusione della mano di
gomma è in grado di produrre temporaneamente un fenomeno simile (Botwinick & Cohen,
1998). Che cosa cambia durante quest’illusione nell’esperienza corporea del soggetto che la
vive? Guardare una mano di gomma che viene toccata contemporaneamente alla propria
mano, nascosta alla vista, genera l’illusione sensoriale che il tocco sentito (sulla propria mano)
provenga dalla mano di gomma; ciò crea la sensazione che la mano artificiale sia diventata
parte del proprio corpo, mentre la vera mano viene lasciata in uno stato di abbandono, come se
venisse esclusa dalla propria esperienza per lasciare il suo posto a quella nuova.
L’Arte Terapeuta non è tenuto a proporre soluzioni, essendo piuttosto chiamato a svolgere il
compito di facilitare l’emersione di proposte da parte dell’utente, di rispecchiarle ed amplificarle
L’arte Terapeuta è, dunque, un facilitatore che aiuta il paziente (o facilitato) a costruire, anche,
un nuovo schema corporeo, mettendo insieme ciò che, come diceva Novalis è tuo e mio. In
sostanza, anche grazie alle arti terapie, si evidenzia l’importanza del sé corporeo e di tutte
quelle circostanze e occasioni interattive che ne ampliano l’estensione