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I sensi sono indubbiamente più dei soliti 5 che ci insegnano fin dalla nascita:
1. Vista
2. Udito
3. Tatto
4. Olfatto
5. Gusto
6. Propriocezione o kinesthesia--->consapevolezza della posizione del corpo e delle sue
membra in relazione allo spazio esterno e agli altri membri, grazie alla presenza di
appositi recettori di posizione nelle membra.
7. equilibrio
Quando siamo a contatto con uno dei sensi, ci arriva sempre una sensazione. Ma cosa sono le
sensazioni? Si tratta di impressioni soggettive corrispondenti a stimoli fisici di una data
intensità, sono eventi privati e soggettivi che vanno dalla realtà esterna a quella psicologica. La
soggettività della sensazione ha permesso di attuare una distinzione fondamentale tra mondo
fisico e mondo fenomenico; la possibilità di misurare queste impressioni soggettive ha dato
luogo al modello psicofisico che ha contribuito non poco alla nascita della psicologia come
scienza.

L’essere umano non riesce a percepire tutto ciò che esiste nel mondo perché i senso sono in
grado di cogliere tali eventi solo se sono sopra una certa soglia di energia. Le categorie di
riferimento per misurare gli stimoli sono dette categorie di riferimento:
1. Soglia assoluta: livello di energia che discrimina tra la percezione e la non percezione di un
evento fisico, questo valore ottiene una risposta nel 50% dei casi. Segna il confine tra gli
stimoli che vengono recepiti dall’organismo (stimoli sovraliminari) e quelli che non vengono
recepiti (stimoli infraliminari)
2. Soglia differenziale: la differenza minima di intensità che uno stimolo deve avere da un altro
affinché vengano percepiti come diversi.

La percezione è un processo che arriva ben oltre gli stimoli, cioè le presenze fisiche degli
oggetti (stimolo distale), li elabora in unità significative (percetto), permette di segmentare le
spinte sensoriali (stimolo prossimale=tutte le info che si ricavano per capire che cosa stiamo
percependo) in eventi dotati di senso; è un insieme concatenato di processi di raccolta,
elaborazione e organizzazione di tutte quelle informazioni disponibili sia nell’ambiente in cui
viviamo, sia all’interno di ognuno di noi.
STIMOLO ESTERNO SENSAZIONE PERCETTO
In generale, la percezione non è una fedele riproduzione della realtà circostante, non lo è quindi
nemmeno l’osservazione. Questa differenza è misurata dalla catena psicofisica, che permette di
notare lo scarto tra realtà fisica e fenomenica, comportando il superamente di ogni forma di
realismo ingenuo (tendenza a credere che il mondo si presenta a noi così com’è e vi è una
coincidenza tra realtà fisica e fenomenica o percettiva).
Tuttavia ci sono momenti in cui le due realtà non corrispondono (non solo in casi patologici, ma
anche in casi normali). Spesso si percepisce di più di quello che lo stimolo fisico ci suggerisce,
come nel caso del triangolo di Kanizsa. Un altro caso può essere quello delle figure impossibili
come il triangolo di Penrose, figura del tridente, l’elefante impossibile, la porta impossibile, il
tempio impossibile,...
Un’altra possibilità riguarda una minore percezione rispetto a quello che la realtà fisica propone:
è il caso della coppa/volti, il cubo di Necker, la giovane/vecchia, coniglio/anatra, lo stesso Dalì
fa uso di queste illusioni in alcuni suoi dipinti, il mascheramento,...
La terza situazione riguarda una percezione distorta dello stimolo fisico: è il caso delle varie
illusioni ottiche di tipo geometrico (illusioni di parallelismo--->esperimenti di
Zollner). Una delle illusioni più famose è quella di Muller-Lyer o illusioni delle
frecce: due frecce hanno esattamente lo stesso fusto ma uno sembra più
lungo dell’altro. L’illusione di Ponzo è altrettanto famosa, come anche quella di
Poggendorff, passando per le illusioni di movimento di immagini statiche.

Quando si parla di percezione si intende il come ognuno guarda il mondo circostante, ed è


possibile collegare il concetto di vedere con quello di osservare. L’osservare è legato a dei
meccanismi attentivi e a dei processi di memorizzazione, oltre che alla percezione. Quando
questi tre elementi vengono insieme si può parlare di salienza--->vedere e percepire cosa è
ritenuto importante dal soggetto. Tuttavia è un concetto strettamente soggettivo poiché ciò che
è importante per me non lo è per un altro individuo.
OSSERVAZIONE
È alla base di tutti i metodi scientifici, lo stesso Galileo lo costruisce sull’osservare. Dal
vocabolario Treccani si legge: «Guardare, esaminare, considerare con attenzione, anche con
l’aiuto di strumenti adatti, al fine di conoscere meglio, di rendersi conto di qualche cosa, di
rilevare i particolari, o per formulare giudizî e considerazioni di varia natura...Talora fa
riferimento più all’attenzione della mente che a quella dell’occhio. Più genericamente, posare
attentamente lo sguardo su qualche cosa o su persone, sia per semplice curiosità , sia con
intenzione critica , per notare difetti, per cogliere altri in fallo».
Quando l’osservazione si lega all’atto cognitivo, ci sono tre situazioni:
● Vedere: non intenzionale o sistematica
● Guardare: intenzionale, ma non sistematica
● Osservare: intenzionale e sistematica

L’attenzione perché non riguarda un solo concetto unitario, bensì un insieme multidimensionale
e diversificato, è una funzione multicomponenziale che svolge un ruolo di regolatore dei
processi mentali, filtrando ed organizzando le informazioni provenienti dall’ambiente per
consentire di mettere in atto un comportamento idoneo; è vista come un sistema di regolazione
e selezione, un filtro delle informazioni da analizzare. Si distinguono due tipi di attenzione:
● Attenzione selettiva: la percezione consapevole è sempre selettiva. In un’osservazione
concentriamo la nostra attenzione su aspetti specifici del mondo che ci circonda.
● Attenzione sostenuta e vigilata: nello svolgersi di un’osservazione siamo tenuti a
mantenere attenzione costante e prolungata verso elementi e fenomeni che ci siamo
proposti di osservare.

La salienza costituisce un processo di integrazione grazie al quale oggetti e stimoli provenienti


dall’ambiente esterno o dal nostro stato interno raggiungono l’attenzione, acquistando rilevanza
e diventano in grado di influenzare pensieri e comportamenti. Il processo di attribuzione di
salienza ad uno stimolo in un dato punto del tempo e dello spazio coinvolge le percezioni
sensoriali, visive, uditive,... ma non solo! Coinvolge anche fattori interni al soggetto che
costituiscono un richiamo dell’attenzione e cognizione e sono in grado di guidare il
comportamento del soggetto (obiettivi, credenze, storia,...)
Le reti di salienza sono conservate nel cervello e possono essere stimolate da vari elementi. Ci
sono sia aspetti locali (suoni, immagini,...) sia aspetti mentali, ma sono governati da regole
precise.

OSSERVAZIONE SISTEMATICA
Non è una registrazione fedele e diretta della realtà. Non è guardare ma si basa su un'ipotesi di
lavoro o su una curiosità. Non è interpretare, ma piuttosto un momento intermedio tra la
percezione del fenomeno e la sua interpretazione. L’atto di osservare è comunque un atto
mentale umano, pertanto anch’esso introduce sistematicamente dei bias (=distorsione della
realtà da parte del cervello). Ci sono vari tipi di osservazione, come da tabella sotto.

Osservazione ingenua Osservazione sistematica

1. un’osservazione compiuta da chiunque, 1. un’osservazione compiuta


ovunque e in qualsiasi momento, in maniera intenzionalmente, nella quale si osserva per
del tutto non intenzionale; uno scopo ben preciso;

2. un’osservazione completamente soggettiva 2. un’osservazione il più possibile oggettiva;


e legata all’intuizione;

3. soggetta ad interferenze, quali: stereotipi e 3. un’osservazione che appare precisa e


pregiudizi, imprecisioni e lacune; completa;

4. un’osservazione che non consente di 4. un’osservazione che si serve di strumenti


accumulare conoscenze specifiche e che non di rilevazione e anche (se necessario) di più
produce o lascia alcuna documentazione; osservatori nello stesso tempo;

5. un’osservazione che essendo spontanea 5. un’osservazione che avviene in tempi e


non fa uso di determinati strumenti perché luoghi prestabiliti.
l’unico strumento è la mente della persona
che si presta ad osservare.
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Nell’osservazione è sempre bene avere una giusta distanza emotiva dal soggetto osservato
Osservazione partecipe: nata nell’ambito della psicoterapia infantile, ben si adatta alla
situazione delle arti - terapie. In questo contesto, infatti, bisogna comprendere ciò che il
paziente o i pazienti vogliono comunicare attraverso le loro attività espressive. E’ necessaria,
quindi, un’osservazione accurata e valutare bene quanto ogni intervento del terapeuta possa
essere compreso e recepito. Inoltre, mediante l’osservazione è possibile capire a quale tipo di
materiale o produzione artistica un paziente può rivelarsi più sensibile ed interessato e possa
costituire, in definitiva, un valido canale di comunicazione con il terapeuta; a questo proposito,
ad esempio, si possono ricordare per la musicoterapia le “schede di musicoterapia” che sono
dei veri e propri protocolli di rilevazione in cui si evidenziano i gusti e l’ambiente sonoro del
paziente, i suoni sgraditi e quelli sgraditi; protocolli simili possono essere redatti anche in
relazione ad altre attività espressive. Questo approccio è stato usato per studiare il rapporto che
si crea tra madre e figlio: dopo due anni di osservazioni settimanali, si sono stese delle
osservazioni che tendevano ad evidenziare il vissuto emotivo dell’osservatore in relazione agli
eventi osservati, il tutto è stato poi discusso in gruppi. L’osservazione riproduce la falsa riga di
una seduta psicoterapeutica, infatti il rapporto tra osservatore e osservato è analogo a quello tra
paziente e terapeuta---> bisogna trovare la distanza giusta con cui relazionarsi (né troppo
coinvolto, né troppo distaccato). In altre parole attraverso l’osservazione l’osservatore impara ad
osservare le emozioni altrui e proprie (come nel training psicoterapeutico).

Gli strumenti dell’osservazione sono in relazione alla strutturazione dell’osservazione, se


l’osservazione cioè presenta un numero di linee guida a cui attenersi anche le scale usate
saranno più puntuali…la tecnica ha tre livelli di strutturazione:
● Osservazione strutturata--->attraverso una checklist, scale di valutazione e schemi di
codifica
● Osservazione semistrutturata--->griglia di osservazione e osservazioni tramite specimen
● Osservazione a bassa strutturazione--->diario di bordo, videocamere e note sul campo
Dall’alto al basso si passa dalle categorie esplicite a quelle implicite.

Oltre ai processi osservativi che determinano alcuni aspetti importanti dell’atto percettivo e il
fatto che possa essere non un semplice «vedere», ma un’ipotesi di lavoro… Altrettanto
importante può essere evidenziare alcuni errori percettivi comunemente definiti «errori di
aspettativa». Tra i più classici errori ci sono:
● Errore dello stimolo: descrivere ciò che si sa, non ciò che si vede (un bastone in acqua
appare spezzato, ma se dico che è interno dico quello che so)
● Errore dell’esperienza: attribuire alla realtà proprietà percettive (se metto le mani in
acqua gelata e poi in una a temperatura ambiente, sentirò l’acqua come calda anche se
non è vero).
TEORIE PERCEZIONE
Prima di affrontare in maniera precisa le varie teorie percettive, bisogna fare una premessa
rispetto il tipo di elaborazione che l’informazione sensoriale può subire: secondo alcuni la
percezione avviene in maniera diretta poiché tutti gli elementi necessari all’atto percettivo sono
già nella scena visiva, uditiva,...; per altri la percezione è indiretta (o inferenziale) poiché
coinvolge elementi contestuali e relativi all’esperienza pregressa. Queste elaborazioni fanno
riferimento a due processi in particolare:
● Bottom up: vedo l’oggetto e da esso capisco di che cosa si tratta (dai dati ai processi
superiori).
● Top down: le informazioni di ordine superiore influenzano il modo in cui si interpretano gli
input sensoriali.
Questi due processi si integrano a vicenda e compartecipano alla percezione, come si vede
negli studi di Palmer--->se rappresentiamo parti di volto con pochissimi dettagli, essi saranno
riconoscibili solo se contestualizzati in un volto completo. Gli stessi disegni, se bene dettagliati,
sono riconoscibili anche singolarmente.

La prima tra le più importanti teorie percettive è la teoria empiristica di Helmholtz del 1870. Egli
riprende la differenza tra sensazione e percezione, sostenendo che le prime sono legate ad
aspetti precisi. Ecco che introduce le sensazioni elementari (cioè dati sensoriali) che, mediante
processi associativi e in virtù dell’esperienza passata, sono sintetizzate nella percezione di
oggetti e eventi. Agisce il principio di inferenza inconscia, una sorta di ragionamento rapido e
inconsapevole grazie al quale si integrano o modificano le sensazioni elementari (legati ad un
processo di un automatismo, infatti se vedo una sedia non penso a tutte le sedie viste in
passato)---->associazionismo.--->L'inferenza inconscia afferma che la nostra percezione retinica
viene continuamente corretta tramite un procedimento creativo della nostra mente aggiungendo
informazioni sulla base di ciò che già sappiamo di un oggetto visualizzato e dell'ambiente che lo
circonda. Quindi la nostra percezione in generale è influenzata e corretta dalla nostra esperienza
pregressa, tramite un processo cognitivo inconscio.

A questa teoria si oppone la teoria della Gestalt, nota anche come scuola di Berlino: i fondatori
sono Wertheimer, Kohler e Koffka (seguiti poi da Lewin). Sostengono che la percezione non è
preceduta da sensazioni, ma è un processo primario e immediato come risultante
dell’organizzazione interna delle forze che si vengono a creare fra le diverse componenti di uno
stimolo--->campo percettivo.
Di conseguenza, gli oggetti appaiono come unità coerenti e come totalità strutturate (cioè, come
Gestalt). In particolare, la scuola della Gestalt ha approfondito i principi di unificazione degli
stimoli, la relazione figura-sfondo e la percezione del movimento.
1. Le nostre esperienze non sono caotiche o somma di parti, ma esperienze strutturate: il
tutto precede le parti, che assumono significati diversi a seconda del tutto di cui sono
parti (passando da una tonalità all’altra, le note cambiano tutte ma l’importante è la
relazione in cui sono tra di esse; fenomeno phi).
2. Percezione e pensiero si auto-organizzano all’interno di un campo. Ciò porta ad una
concezione dinamica dei processi cognitivi (tendenza all’equilibrio e alla pregnanza).
3. Occorre studiare quanto avviene nel mondo fenomenico dell’individuo, in ciò che gli
appare, non nel mondo della realtà, al di là dei fenomeni.
4. Alcuni assumono un isomorfismo, tra mondo fenomenico e accadimenti cerebrali.
5. Lo studio del campo percettivo prevede un’articolazione tra figura e sfondo--->quando
leggo vedo le lettere sopra una base bianca che è il foglio, di conseguenza è naturale
dire che la figura sta sopra lo sfondo. Questo concetto è anche alla base di alcune
illusioni ottiche.

Inoltre, i gestaltisti ritengono che il campo percettivo non è né omogeneo nè caotica, ma è


organizzato secondo unità percettive in funzione delle cosiddette leggi dell’unificazione formale:
● Legge della vicinanza
● Legge della somiglianza
● Legge del destino comune
● Legge della chiusura
● Legge della pregnanza
● Legge dell’esperienza passata
Per individuare e capire il funzionamente dei principi nella determinazione degli oggetti
fenomenici bisogna partire da una situazione “neutra”, come una matrice.
Vicinanza--->in una matrice di punti perfettamente uguali, vengono percepite coppie di colonne
o linee di punti per effetto della vicinanza di tali colonne o linee.
Somiglianza--->l’uguaglianza degli oggetti di una matrice fanno percepire non un insieme ma
bensì una ordinata sequenza di colonne di oggetti uguali.
Pregnanza--->le percezioni vengono organizzate in modo da formare un forte bias (=
predisposizione) verso cose che sono semplici, regolari e simmetriche
Esperienza passata---> presuppone che chi vede riconosca una figura in base alla propria
esperienza, in poche parole una lettera E si riconosce come tale perché abbiamo la conoscenza
dell’alfabeto.
I principi spesso vengono combinati, ma se ne trova sempre uno che prevale sugli altri:
chiusura>vicinanza; orientamento>somiglianza.

Terza teoria è quella della psicologia del New Look, la quale si focalizza sul ruolo del soggetto
rispetto a quello del percetto. Nasce dagli studi di Bruner e Postman: secondo loro, stimoli
identici danno luogo a percetti diversi in base allo status sociale--->legame tra percezione ed
emozione.

La teoria ecologica di Gibson non consiste né in un progressivo “arricchimento” fondato


sull’esperienza, né nell’elaborazione cognitiva del soggetto che “impone” la propria
organizzazione agli stimoli, bensì consiste nella capacità di cogliere le informazioni già
contenute nello stimolo medesimo. La stimolazione non è né caotica né indeterminata, ma offre
un ordine intrinseco grazie a una precisa distribuzione spaziale e temporale di disponibilità detta
affordances (gli oggetti si valutano in base al loro potenziale uso che è intrinseco in loro)--->il
soggetto deve limitarsi a cogliere solo queste informazioni.
Per fare un confronto con le altre due teorie, si avvicina alla percezione diretta della Gestalt, ma
Gibson si basa su come il mondo effettivamente è, cioè come composto da elementi dinamici.
Il gradiente, altro elemento importante, è un po’ lo sfondo e permette di valutare la distanza
degli oggetti dal soggetto. In sintesi, Gibson rifiuta la teoria cognitivista dell’elaborazione delle
informazioni.
Affordance---> deriva dalla parola “offrire” e si tratta dell’ambiente che si rende disponibile al
soggetto. L’oggetto non viene visto nella sua struttura statica, ma nel suo uso dinamico (la sua
forma è legata alla sua funzione).
E’ impossibile studiare processi percettivi e cognitivi indipendentemente dal contesto e dal tipo
di implementazione, c’è un costante nesso tra l’organismo e l'ambiente in cui si trova--->per
ambiente non si intende solo l’ambiente fisico.
C’è il rifiuto della teoria cognitivista dell’elaborazione delle informazioni: le informazioni sono già
presenti nella stimolazione e possono essere colte direttamente. Si può trovare, invece, una
teoria della percezione diretta che vede i sensi come sistemi percettivi diretti con la funzione di
cogliere le invarianti strutturali disponibili nell’ambiente---> l'informazione raccolta dall’occhio è
quella necessaria per percepire.
Tutto questo ci porta sull’aspetto principale della teoria di Gibson, cioè il movimento:
● Assetto ottico statico--------->flusso ottico e dinamico che permette di carpire altre
informazioni con il mutare della scena. È qui che troviamo la differenza tra gli aspetti
mobili e quelli invarianti (ossia i punti di riferimento).
● Il movimento è essenziale per la visione e quello dell’osservatore nel flusso produce
trasformazioni nel flusso ottico. Es. in auto, sguardo rivolto all’orizzonte: costante il punto
fissato, attorno a noi tutto scorre con velocità che aumenta all'avvicinarsi alle ruote.

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COGNITIVISMO E COSTRUTTIVISMO-TEORIE
C’è un carattere inferenziale e mediato della percezione: la percezione avviene attraverso una
mediazione tra ciò che è nella nostra memoria e ciò che avviene nel mondo esterno--->già
espresso da von Helmholtz. La percezione è quindi il risultato di un processo che si compone in
diverse fasi ed è influenzata dal contesto e dai dati sulle aspettative del soggetto.

COGNITIVISMO--->la percezione non è un processo unico ma è composto da almeno 2 stadi


(segmentazione e ricomposizione che dà luogo al riconoscimento):
● Processo primario: organizzazione dell'input sensoriale; non interviene la conoscenza.
● Processo secondario: riconoscimento di configurazioni, interpretazioni e attribuzione del
significato.
Si può fare riferimento ai processi bottom-up e top-down per capire il procedimento della
percezione:
● Nell’approccio di elaborazione bottom up, la percezione inizia dall’input sensoriale, dallo
stimolo. Pertanto, la percezione può essere descritta come basata sui dati. Ad esempio,
c’è un fiore al centro del campo di una persona. La vista del fiore e tutte le informazioni
sullo stimolo vengono trasportate dalla retina alla corteccia visiva nel cervello. Il segnale
viaggia in una direzione.
● L’elaborazione top down è definita come lo sviluppo del riconoscimento di pattern
attraverso l’uso di informazioni contestuali. Ad esempio, leggendo un paragrafo scritto
con una grafia difficile, sarà più semplice capire cosa lo scrittore vuole trasmettere se
leggiamo l’intero paragrafo piuttosto che concentrandoci sulle singole parole. Il cervello
infatti, è in grado di percepire e comprendere l’essenza del paragrafo grazie al contesto
fornito dalle parole circostanti.

Secondo Gregory sono le nostre esperienze e conoscenze su uno stimolo, immagazzinate in


memoria, che ci aiutano a fare delle inferenze. Creiamo cioè un’ipotesi percettiva sullo stimolo
percepito, basata sulla sua memoria e sulle esperienze passate correlate ad esso. Per Gregory
la percezione consiste nel fare la migliore ipotesi su ciò che stiamo vedendo--->Che cos’è
questo? Poi si ipotizza e si cerca di capire cosa sia, facendo la migliore ipotesi.
Gibson, invece, sostiene che la percezione non è soggetta a ipotesi, ma è piuttosto un
fenomeno diretto. Questa disponibilità dello stimolo è l’affordance, cioè le caratteristiche che
definiscono l’uso e le finalità dell’oggetto percepito--->what you see is what you get.
Neisser concilia le due posizioni estreme bottom up (elaborazione guidata dai dati) e top down
(elaborazione guidata dalle conoscenze). I dati in memoria (credenze/aspettative, schemi
anticipatori) guidano la nostra attività di esplorazione (top down), e i nuovi dati acquisiti
provenienti dall’esplorazione a loro volta modificano le nostre aspettative e credenze (bottom
up). Per Neisser percepire non è uguale ad assegnare un oggetto ad una categoria, ma
costruire schemi adatti alle varie situazioni.
Secondo Marr la percezione prevede un livello di elaborazione di tipo bottom up ed un livello
più avanzato che si baserebbe invece sui processi top down. Secondo la sua teoria, la
percezione inizia fin dall’immagine retinica dello stimolo che, attraverso stadi successivi, viene
trasformata in una rappresentazione sempre più complessa. In particolare, per uno stimolo
tridimensionale sarebbero necessari tre distinti stadi per arrivare ad una percezione completa:
l’abbozzo primario, lo schema a 2 dimensioni e mezzo, modelli 3D: lo «schizzo primario
bidimensionale 2-D» dello stimolo visivo che colpisce l’occhio. In particolare, nel primo stadio
non è coinvolta la percezione cosciente; le caratteristiche di forma e grandezza simili vengono
automaticamente accorpate. Lo «schizzo a due dimensioni e mezzo» che aggiungerebbe al
primo stadio gli indizi di profondità e orientamento. Nel secondo stadio lo stimolo comincia a
delinearsi ma soltanto nelle sue parti visibili all’osservatore e, naturalmente, la rappresentazione
cambia cambiando il punto di osservazione. Il «modello tridimensionale 3-D» nel quale si
ottiene la rappresentazione tridimensionale dello stimolo e le relazioni spaziali tra le sue varie
parti. Nel terzo stadio si forma infine la rappresentazione tridimensionale dell’oggetto. In questa
fase la rappresentazione precedente viene integrata dalle conoscenze acquisite nell’esperienza
passata.

Treisman, nel 1986, si concentra sulla costruzione dell'oggetto ed evidenzia il ruolo


dell’attenzione per la selezione dell’informazione che si deve poi elaborare. Ci sono delle fasi:
● Fase preattiva: la scomposizione in tratti.
● Teoria dell’integrazione delle caratteristiche: nella fase pre attentiva emergono
spontaneamente (pop out) tratti (movimento forma colore ecc.) (es. direzione lettere) su
cui si basa la costruzione dell’oggetto.
Secondo il modello di Marr del 1982, il sistema visivo analizzerebbe in maniera sequenziale 3
tipi di rappresentazione prima di identificare l’oggetto: immagine+primal sketch+ schema 2D e
mezzo schema 3D---> ogni forma è composta da un insieme di primitivi (p).
Immagine---> rappresenta l’intensità della luce e il p= intensità della luce
Abbozzo primario---> rappresenta le variazioni dell’intensità della luce e il p= linee, angoli,
contorni. Rappresentazione in cui sono ricavate informazioni sulle caratteristiche bidimensionali
dell’immagine (luminosità, linee, macchie) e si struttura la prima organizzazione spaziale delle
superfici.
Abbozzo 2D e mezzo---> rappresenta le superfici visibili e il p= superfici con orientamento
diverso. Organizza l’informazione visiva considerando contorni, tessitura, discontinuità di luce e
distanza dell'immagine, informazioni sulla profondità e l'orientamento delle superfici.
Abbozzo 3D--->rappresentazione che specifica le caratteristiche tridimensionali delle
componenti dell'oggetto e la loro relazione reciproca. Ogni schema 3D possiede assi principali,
che ne definiscono anche la prospettiva prototipica.

Sistema di descrizione strutturale---> Repertorio di


descrizioni in formato proposizionale circa l’apparenza
visiva degli oggetti Se lo schema 3D combacia con uno
dei modelli immagazzinati si ha l’identificazione
dell’oggetto e la possibilità` di accedere al sistema
semantico (informazioni funzionali, enciclopediche,
episodiche). Biederman parla di geoni e ognuno è
caratterizzato da 3 proprietà:
-bordi (dritti o curvi)
-assi (dritti o curvi)
-lati (costanti o espansi)

Le teorie sulla percezione pongono l’accento su come avviene l’elaborazione dell’informazione


visiva. I problemi posti spesso superano le domande iniziali. Si può dire tuttavia che per certe
teorie (Gestalt e Gibson) l’informazione presente nella scena percettiva è sufficiente Per altre
teorie (cognitivismo, costruttivismo) per vedere noi dobbiamo imparare a vedere e a costruire gli
oggetti con cui ci sembra interagiamo con naturalezza Al di là di molte altre questioni bisogna
dire che non è solo importante vedere il visibile, ma anche l’invisibile, ciò che attiene alle nostre
emozioni, desideri. Sebbene quest’ultimo aspetto sia stato evidenziato abbastanza rozzamente
dal new look è, come vedremo di grande importanza per comprendere la forza comunicativa
delle immagini, la psicologia dell’arte.

I SENSI
Nel parlare del rapporto tra i nostri sensi e la percezione bisogna considerare i recettori
periferici dei nostri sensi e la via che dalla periferia va al cervello. Questa via consiste nel
passaggio tra lo stimolo distale e il percetto secondo il modello psicofisico. Sia la funzionalità
dei recettori periferici sia l'integrità delle zone cerebrali deputate all’elaborazione dei dati
sensoriali sono necessarie per tutte le attività percettive conseguenti.
Affinché noi possiamo vedere gli oggetti del mondo sono necessarie tre condizioni:
● La presenza di luce che illumina gli oggetti
● La presenza di recettori sensoriali
● L’elaborazioni dell’informazione visiva da parte del cervello

Mondo esterno---Pupilla---Retina---
Tratto ottico--- Cito genicolato
laterale---Radiazioni ottiche---Regione
occipitale

I neuroni costituiscono le unità


funzionali del sistema nervoso
centrale, sono composte dal corpo
cellulare, assoni e dendriti e
comunicano grazie alle sinapsi:
l’impulso nervoso è un temporaneo
cambiamento del potenziale elettrico
tra l’interno e l’esterno del neurone e
causa il rilascio di una piccola quantità
di neurotrasmettitori. Tale sostanza può avere un effetto eccitatorio o inibitorio nel neurone
ricevente.
OCCHIO---> il globo oculare è trattenuto nella cavità orbitaria da sei muscoli estrinseci che
servono a muoverlo in ogni direzione. Al loro fianco ci sono muscoli intrinseci tra cui l’iride, che
controlla l’allargamento e il restringimento del
foro pupillare.
L’occhio esterno è composto da tessuti che
sono altamente differenziati per rispondere a
diverse esigenze La cornea è la lente esterna
caratterizzata dalla mancanza di vasi sanguigni
L’umore acqueo si trova tra la cornea e il
cristallino viene secreto di continuo e rinnovato
ogni 4 ore Tra la cornea e il cristallino troviamo
anche l’iride che può essere variamente colorata
e la pupilla (nera).
L’occhio interno è composto dal cristallino, il
quale regola l’accomodazione alla distanza,
cambia forma e diventa convessa per la visione
degli oggetti vicini. Tra il cristallino e il fondo dell’occhio c’è una sostanza gelatinosa detta umor
vitreo; sul fondo c’è la retina, un'estroflessione del cervello dove si trovano i fotorecettori e la
sua parte centrale si chiama fovea (contiene i recettori per i dettagli fini).
Sulla retina l’immagine dell’oggetto esterno viene proiettata capovolta e rimpicciolita.
I fotorecettori sono di due tipi: i coni servono per la visione dei dettagli fini e a colori, i bastoncelli
(più piccoli e numerosi) servono per la visione in condizioni di scarsa luminosità. Ci sono altri
recettori, le cellule orizzontali, bipolari, amacrine e gangliari, che servono per il trasferimento
dell’immagine al cervello.
Esistono due vie che dai fotorecettori vanno alle cellule gangliari Una via diretta coni-cellule
bipolari-cellule gangliari Una via indiretta che si avvale delle sinapsi con le cellule amacrine o
con le cellule orizzontali.

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Ogni cellula gangliare ha il suo campo recettivo e ognuno interagisce e si sovrappone con il
campo percettivo di altre cellule.
Dagli esperimenti negli anni 50 di Kuffler sulla retina di un gatto si poté capire che esistono due
tipi di cellule gangliari. Alcune si attivano se uno stimolo luminoso colpisce il centro del loro
campo recettivo (centro on) Altre invece si attivano se uno stimolo luminoso colpisce le zone
periferiche del loro campo percettivo (centro off).
Nel percorso che porta l’immagine retinica al
cervello bisogna ricordare che l’immagine di
metà retina (retina temporale) va direttamente al
cervello nell’emisfero corrispondente. L’altra metà
dell’immagine (retina nasale) va invece
nell’emisfero cerebrale opposto. I percorsi delle
due emiretine nasali si incrociano nel chiasma
ottico.
Retina---Nervo ottico---Corpo genicolato
laterale---Corteccia

Nell’esame delle stazioni del corpo genicolato


laterale e della corteccia visiva troviamo:
-neuroni a campi circolari simmetrici
-cellule semplici
-cellule complesse
-cellule ipercomplesse
Teli cellule rispondono in modo differenziato alla
stimolazione luminosa, al suo orientamento e al
suo movimento. Emerge un’organizzazione della
corteccia visiva e , più in generale, dell’intero
sistema visivo come dei circuiti distinti, relativamente indipendenti nelle loro elaborazioni che
analizzano diversi aspetti dei percetti visivi. L’aspetto modulare dell’organizzazione visiva può
però essere temprato da aree in cui avvengono integrazioni tra diverse informazioni visive.
La sindrome di Neglect---> ci sono persone che vedono solo metà della realtà, pur non avendo
problemi di vista ( si mangia solo dalla metà destra del piatto, disegnano solo la metà destra di
una riga,...tutto ciò che è a sinistra non è considerato). Chi soffre di questa sindrome tende a
perdere attenzione verso tutti gli stimoli provenienti dal lato opposto a quello di un emisfero
lesionato. Si tratta in genere di un danno all’emisfero destro e coinvolge il lobo parietale
inferiore che presiede i processi visuo-spaziali. Il disturbo coinvolge il mondo esterno ma anche
ciò che è vicino (si pettinano metà dei capelli, si fanno la barba a metà,...), fino ad arrivare ad
intaccare le immagini mentali. I pazienti possono fare più fatica a rappresentare gli eventi
passati---> come dimostrato da uno studio di Arnaud Sai a Ginevra, sulla linea del tempo, gli
eventi passati sono collocati a sinistra.

Nella descrizione che si è fatta delle cellule gangliari, dei meccanismi on e off che le regolano
abbiamo una prima risposta di alcuni fenomeni percettivi che possiamo quotidianamente
osservare. Nella nostra osservazione quotidiana abbiamo di certo potuto realizzare che la
visione delle cose è in relazione con le altre cose che appiano vicine Così il carbone sulla neve
a mezzogiorno ci sembrerà più nero che in altre situazioni o occasioni. Tale effetto di contrasto
può essere ricondotto ai meccanismi on e off delle cellule gangliari e alla nozione di campo
recettivo prima descritta.
Ogni neurone ha un campo recettivo, una sua piccola area, ed esso non è uniforme ma
organizzato secondo meccanismi on e off. Gli stimoli che illuminano uniformemente il campo
recettivo risultano meno efficaci rispetto agli effetti di contrasto. Le penombre rendono il
contrasto meno evidente e quindi meno forte.

UDITO
Per l’udito lo stimolo ambientale che produce la sensazione sonora è una rapida variazione
della pressione dell’aria che giunge all’organo. Tali variazioni di pressione dell’aria sono causate
dalla vibrazione della superficie di un oggetto e si propaga ad una velocità di circa 330 m/s, in
modo tale che una configurazione di variazione simile, ma più debole, si produca in prossimità
degli organi recettori uditivi.
Onda sonora---> Il suono è una variazione della pressione atmosferica registrata dall’organo
dell’udito. Queste variazioni hanno la forma d'onda che, di solito, si propagano nell’aria. Un
oggetto, passando da uno stato di quiete ad uno stato di vibrazione, produce una serie di
compressione (quando l’oggetto si muove verso l’esterno) e rarefazioni (quando l’oggetto si
muove verso l’interno). Per vibrazione s’intende il passaggio dallo stato di quiete ad
un’estremità e poi all’altra dell’oscillazione, per giungere infine al punto di partenza. Essa è
detta periodo e si caratterizza principalmente in base alla frequenza e l’ampiezza. La frequenza
è il numero di periodi per secondi o hertz (Hz) e determina la tonalità o altezza (il suono appare
grave se la frequenza è bassa, acuto se è
alta). L’ampiezza (la grandezza delle
vibrazioni), dipende dall’energia che mette in
moto il corpo stesso e determina l’attributo
dell’intensità (il suono appare debole o forte).
Più le vibrazioni si allontanano dalla
sorgente, maggiore sarà la superficie che
coprono e minore sarà la loro ampiezza.
L’intensità di un suono è inversamente
proporzionale al quadrato della distanza dalla
sorgente.
La maggior parte delle persone può sentire toni di frequenza variabile fra i 20 e i 20.000 Hz, e la
sensibilità ai toni compresi entro questa gamma può differire da un individuo ad un altro. La
scrittura delle rilevazioni della gamma di toni che normalmente siamo in grado di udire è nota
come funzione audiometrica. Tale funzione mostra i valori liminari (soglia assoluta inferiore)
dell’energia udibile in funzione d’ogni frequenza. La curva superiore mostra i valori massimi
d’energia sonora tollerabile (valori superiori provocano dolore e danneggiano l’orecchio).
L’energia sonora è espressa in decibel (dB). Per un tono di 20 Hz il valore liminare dell’energia
sonora supera gli 80 dB. L’esposizione prolungata a suoni superiori a 80 o 90 dB può produrre
danni permanenti all’udito.
Vibrazione---> Esistono vibrazioni semplici e composte. Quelle di cui abbiamo parlato
precedentemente sono vibrazioni che producono i toni puri. Nell’ambiente che ci circonda
abbiamo a che fare con vibrazioni composte che possono avere un’identica fase, avere una
fase opposta o essere fra loro sfasate. I suoni composti da strumenti musicali in genere
producono vibrazioni composte. In essi è possibile distinguere la frequenza fondamentale
(ovvero, la frequenza più bassa corrispondente alla vibrazione dell’oggetto nel suo insieme), le
armoniche che sono multiple della frequenza fondamentale e che sono prodotte dalle vibrazioni
parziali delle diverse parti dell’oggetto o dello strumento musicale. Il timbro, a sua volta, è
determinato dalla combinazione fra la frequenza fondamentale e le armoniche. I suoni devono
essere distinti dai rumori. I rumori sono composti da vibrazioni aperiodiche irregolari.

OLFATTO
La funzione olfattiva nell'uomo si realizza per mezzo di strutture specifiche: i recettori degli
stimoli, che si trovano nella mucosa nasale in numero variabile tra i 10 ed i 20 milioni,
trasducono l'informazione chimica in un impulso nervoso che percorre gli assoni emergenti
dall'estremità basale delle cellule recettoriali, il segnale giunge ai bulbi olfattori, collocati al di
sopra delle cavità nasali, qui avviene il contatto con il secondo neurone della via olfattiva, il
quale proietta il proprio assone al sistema limbico, all' ipotalamo, all'amigdala ed alla cosiddetta
corteccia olfattiva primaria dove vengono interpretati i segnali olfattivi. I recettori hanno
un'elevata sensibilità discriminativa che arriva a distinguere 10.000 diversi odori. L’olfatto è in
grado di percepire i profumi perchè le sostanze odorose sono volatili. La "circonvoluzione
dell'Ippocampo“ è un'area di materia grigia responsabile della sensibilità olfattiva e gustativa: si
può considerare l'archivio delle nostre memorie organolettiche e degustative. L’olfatto è in grado
di percepire gli odori in due modi: per aspirazione diretta (nasale) o per via indiretta
(retronasale).
L’aspirazione diretta si attua annusando ripetutamente per una completa individuazione delle
sensazioni. La percezione per via retronasale si compie quando, eliminata una certa sostanza
dalla bocca (come il vino), si espira in modo che le sostanze volatili colpiscano la mucosa per
via retronasale. Si definiscono sensazioni olfattive o nasali quelle ottenute per inspirazione e
gusto-olfattive o retronasali quelle determinate dall’espirazione di una certa quantità di aria
presente in bocca attraverso il naso. I profumi riscontrabili per via retronasale possono essere
simili a quelli nasali (corrispondenza naso-bocca) o differenti.

GUSTO
Il sistema gustativo è capace di distinguere cinque sapori
fondamentali: dolce, amaro, salato, aspro e umami (quest'ultimo
scoperto di recente: un gusto umani e' per esempio il glutammato
monosodico presente nei dadi e nel Parmigiano Reggiano). Ognuno
di queste tipologie sottostà ad una particolare via di trasduzione del segnale dalle papille
gustative al cervello.

TATTO
Il Tatto o sensibilità tattile rende l'uomo e gli animali capaci di rilevare con una straordinaria
precisione, la presenza di stimoli dovuti al contatto della superficie cutanea con oggetti esterni. I
meccanismi con cui la sensibilità tattile si realizza sono in buona sostanza uguali in tutti i
Mammiferi, compreso l'uomo.
La pelle è particolarmente sensibile a ogni forma di contatto. L'uomo può distinguere
empiricamente sensazioni tattili di diversa natura, come il caldo, il freddo, la pressione e il
dolore grazie a varie specie di organi terminali, attraverso i quali i diversi stimoli si ricollegano
per formare le sensazioni. Nella fisiologia classica il tatto viene spesso annoverato tra i
cosiddetti "sensi minori"; si tratta tuttavia di una erronea semplificazione. Ciascun movimento,
soprattutto l'afferrare e il tenere in mano gli oggetti, si realizza grazie alla collaborazione
finemente coordinata di sensibilità e mobilità. Al tatto spetta il compito di verificare la forza e la
velocità della presa e di regolare conseguentemente la contrazione muscolare.
I recettori tattili sono presenti in gran numero nelle dita e sulle labbra, mentre sono
relativamente rari nel tronco. Le fibre sensoriali che portano ai centri nervosi gli impulsi dai
recettori tattili e pressori formano nel midollo spinale il fascio spinotalamico ventrale, oppure
risalgono nelle colonne dorsali fino al bulbo. Data l’esistenza di due vie ascendenti per il tatto,
questa forma di sensibilità viene abolita solo da lesioni molto estese del midollo spinale. Nel
derma,distribuiti su tutto il corpo, con addensamento regionale prevalentemente di una
categoria piuttosto che di un’ altra, troviamo i recettori corpuscolati, che sono di vari tipi.

LA PERCEZIONE DEGLI OGGETTI E DELLA DISTANZA


Per poter affrontare tale argomento, bisogna capire quali sono le problematiche che si sono
poste gli studiosi:
1) L’emergere dell’oggetto: aspetti percettivi e attentivi
2) Articolazione figura-sfondo
3) Oggetto reale e oggetto fenomenico
4) La costanza di grandezza e della forma
5) La rappresentazione della distanza

In linea teorica è possibile distinguere due situazioni:


▪ Un fenomeno soggettivo; una ricerca attenta nel mondo esterno di un oggetto che possieda
determinate caratteristiche (ad esempio ricerco nella folla il volto di una persona cara).
▪ Un oggetto per le sue stesse caratteristiche si impone alla mia attenzione (vedo tra la folla,
improvvisamente una bandiera gialla).
Quando parliamo di percezione di oggetti ci riferiamo a questa seconda situazione. Tuttavia in
molti casi è estremamente difficile dire quanto possono giocare caratteristiche dello stimolo che
si sono imposte come un insieme percettivo e quanto invece contino disposizioni interiori del
soggetto (ad esempio guardando un cartellone pubblicitario). Certamente molte volte ci si è
chiesto e si continua a chiedere quale sia il ruolo che fattori inerenti allo stimolo oppure
all’esperienza presente o passata di chi vede, giochino nell’atto percettivo. Tuttavia è indubbio
che alcune caratteristiche inerenti allo stimolo lo impongono come “oggetto percettivo” (es.Se
odo un colpo di cannone individuerò bene questo stimolo anche fra altri rumori).

Un punto di partenza importante, quindi, per definire l’oggetto percettivo può essere quello di far
riferimento al rapporto figura sfondo, esaminato ampiamente nell’ambito delle figure
reversibili--->l’oggetto è quindi la “figura”.
Definito l’oggetto nei termini di figura possiamo applicare ad esso le principali caratteristiche
della figura La figura appare sopra lo sfondo, più vicina a noi.

Le figure reversibili, come quella a fianco, si basano sulla


reversibilità del primo piano della figura.

Altro fenomeno percettivo è quello del completamento amodale:


due regioni distinte e separate di un’immagine sono viste
completarsi dietro a un occludente e formare una singola
superficie. Il completamento sopperisce alle perdite di informazioni
circa le superfici degli oggetti interessati, che si verificano con
frequenza per via dell’occlusione di queste da parte di altri oggetti e
superfici: il sistema visivo è in grado di completare le figure occluse
anche quando le forme completate non sono familiari.

Da quanto si è detto finora si può vedere come la percezione degli


stessi anche su una superficie bidimensionale sia legata alla rappresentazione della profondità
e della distanza e ciò apre un duplice problema:
1. Come possiamo noi valutare e vedere la distanza fra gli oggetti?
2. Come possiamo rappresentare su un piano bidimensionale la tridimensionalità e la
profondità?

Per rispondere alle domande prima formulate si suole suddividere gli indizi di profondità (cioè
quegli elementi che ci fanno capire la tridimensionalità di una scena) in non pittorici e pittorici.
Questi ultimi sono legati alla possibilità di riprodurre su un disegno bidimensionale la distanza.
● Indizi non pittorici--->1. L’accomodamento del cristallino (indizio fisiologico)
2. Visione binoculare (grazie alla posizione frontale degli occhi)
3. Parallasse di movimento (quando noi ci muoviamo)
● Indizi pittorici--->1. Grandezza relativa (a distanze relativamente grandi la grandezza
relativa di un’immagine dipende dalla sua distanza)
2. Convergenza apparente di rette parallele (come nella
rappresentazione dei binari)
3. Altezza rispetto all’orizzonte (più è lontano un oggetto più è alta la
sua immagine nel nostro campo visivo
4. Gradienti (successioni di oggetti tutti uguali tra di loro di dimensioni
decrescenti)

La prospettiva frontale o lineare quale noi la conosciamo si sviluppò nel Rinascimento italiano
con Leonardo prima e Brunelleschi poi… Nell’arte antica si hanno diverse rappresentazioni
spaziali. Nell’Egitto dominava il dislocamento orizzontale e verticale. Alcuni elementi prospettici
vennero introdotti nell’arte greca e romana. Nell’arte bizantina la rappresentazione spaziale
divenne, invece meno rilevante. Nel 1300 da Giotto in poi, con la rappresentazione di scorcio
vennero reintrodotti degli elementi che portarono poi allo sviluppo dello spazio prospettico Ma
la rappresentazione prospettica rinascimentale è la sola giusta? E fino a che punto gli artisti
l’applicarono?
Una prima domanda da porsi è perché è difficile dipingere la distanza. In effetti la nostra visione
non corrisponde affatto a quella suggerita dall’immagine retinica. L’occhio non è una macchina
fotografica e nel processo di visione sono intervenuti notevoli adattamenti alla realtà. La nostra
visione si adatta a ciò che la pratica quotidiana suggerisce. Il principio di costanza domina la
nostra visione--->Costanza di grandezza: entro i 10 metri le persone non ci sembrano mutare
come dovrebbero in base alla proiezione retinica.
--->Costanza della forma: una forma, quadrato, rettangolo non muta in relazione al nostro punto
di vista.
Sul principio di costanza si basano gran parte delle teorie percettive di matrice empirista
Adalbert Ames fece due famosi esperimenti:
▪ La camera distorta
▪ La finestra rotante

Sullo stesso principio della camera di Ames si basa una particolare forma di prospettiva,
l’anamorfosi, in cui il punto di vista viene ad essere fortemente di sbieco. Alcuni autori hanno
avvicinato la prospettiva anamorfica alla prospettiva rallentata e accelerata che si ritrova
nell’osservare un edificio dal basso verso l’alto La prospettiva accelerata sarebbe alla base di
un fenomeno come la camera di Ames.
25/11
Camera di Ames ->congegnata secondo una nuova forma di prospettiva che si ricorda con il
nome di anamorfosi. Studiata a partire dal 1500 da Leonardo, ma nel 1600 si fanno altri studi a
riguardo. Il principio della camera ci permette di rettificare cosa è all’interno.
Anamorfosi Erhard Schön (1535 )---->quadro di un mercante che incontra una prostituta, viene
dilatato e la scena si può ricostruire solo guardandolo da una prospettiva.
Le anamorfosi ricostruiscono cose che sono fluidi e che vengono ricomposti solo da una
prospettiva specifica (no costanza della forma)--->affresco di Meignan nel corridoio anamorfico:
si vede un ulivo e un santo, mano a mano che si cammina, il santo scompare e si palesano altre
figure, come un villaggio.
Gli ambasciatori di Holbein--->le due figure sono contornate da oggetti comuni del mondo, ma
hanno delle particolarità: ognuno ha un difetto. Il teschio sul pavimento può essere visto solo da
un’angolo di visione particolare.
Alcune anamorfosi sono state realizzate anche in forme cilindriche o in sculture come in quella
di Horowitz
LA LUCE
Newton è il primo a studiare la luce e si interroga su come si propaga la luce.
Teoria corpuscolare--->proposta da Newton nel XVII secolo e suggerisce che la luce è
composta da piccole particelle di materia (corpuscoli), che vengono emesse in ogni direzione.
Suppone che la velocità della luce aumenti quando passa attraverso una sostanza più densa, a
causa della maggiore spinta gravitazionale. Il fenomeno della diffrazione della luce, invece,
dimostra come la teoria newtoniana non sia giusta: se un raggio passa da un buco, il quale
viene ristretto periodicamente, ad un certo punto il raggio si allarga in ogni direzione---->allora la
luce non si propagano in linea retta.
Teoria ondulatoria---> proposta da Christian Huygens nel XVII secolo. Suppone che la luce è
emessa come onde diffuse in tutte le direzioni, esse non sono influenzate dalla gravità e quindi
rallentano quando attraversano sostanze dense. Le onde possono interferire tra di loro (fatto
notare da Thomas Young nel XVIII secolo]) e possono essere polarizzate. Supponeva che la
luce avesse bisogno di un mezzo per essere trasmessa (come l'aria per il suono)--->spiega la
diffrazione luminosa.
Teoria elettromagnetica--->proposta da Maxwell alla fine del XIX secolo, sostiene che le onde
luminose sono elettromagnetiche e non necessitano di un mezzo per la trasmissione, ma
mostra che la luce visibile è una parte dello spettro elettromagnetico.
Teoria quantistica--->sviluppata alla fine del XIX secolo e combina le teoria precedenti. Nel 1900
Planck propose che le onde luminose sono composte di pacchetti di energia detti quanta o
fotoni. La luce si comporta sia come onda che come particella.

La migliore misurazione della velocità della luce è stata calcolata da Roemer nel 1676: ci arrivò
studiando Giove e una delle sue lune con un telescopio. Grazie al fatto che la luna veniva
eclissata da Giove a intervalli regolari, calcolò il periodo di rivoluzione della luna in 42,5 ore,
quando la Terra era vicina a Giove. Il fatto che il periodo di rivoluzione si allungasse quando la
distanza tra Giove e Terra aumenta, indicava che la luce impiega più tempo a raggiungere la
Terra. La velocità della luce venne calcolata analizzando la distanza tra i due pianeti in tempi
differenti. Roemer calcolò una velocità di 227.000 km/s.
La misura esatta è 2999.792.458 m/s, ma viene ridotta quando passa in sostanze trasparenti. È
una misura finita.

Le dimensioni fisiche della luce sono:


-La luminanza ovvero la quantità di luce che colpisce una determinata superficie.
-La riflettanza ovvero la proprietà che una superficie ha di riflettere una maggiore o minore
quantità di luce.
Le dimensioni fenomeniche della luce sono:
-La chiarezza o luminanza apparente (l’intensità dei mutamenti della luce percepiti).
-La bianchezza o riflettanza apparente (il diverso colore osservato in situazioni acromatiche a
parità di illuminazione).
COLORI E LUCE
Considerando l'aspetto ondulatorio della luce possiamo dire che la luce è: Energia radiante che
diffonde onde nello stesso modo in cui una roccia gettata nell'acqua produce onde circolari. I
diversi tipi di energia radiante creano onde di differente lunghezza. Alcune hanno onde corte
mentre altre producono onde molto lunghe. Onde corte possono essere inferiori ad un
bilionesimo di metro. Onde molto lunghe, come onde radio possono raggiungere il chilometro. Il
Range di queste onde e' chiamato Spettro Energetico Elettromagnetico.
L'occhio umano non riesce a percepire tutte le onde di energia radiante. Non riesce a percepire
le onde radio ad esempio. La parte visibile viene chiamata Spettro Visibile. Le onde di luce sono
misurate in lunghezze d'onda o wavelength. La lunghezza di un'onda di luce ne determina il suo
colore. Lo spettro si misura in nanometri (nm): un nanometro corrisponde ad un bilionesimo di
metro. La lunghezza d'onda visibile si trova tra i 380 nm ai 760nm. Lo Spettro Visibile visto
come una lunghezza d'onda separata accade naturalmente in natura nell'arcobaleno. Può
essere duplicato facendo passare uno stretto fascio di luce attraverso un vetro o un prisma.
Come quando la luce del sole passa attraverso delle gocce di pioggia creando l'arcobaleno.
Sir Isaac Newton in un famoso esperimento fece passare la luce attraverso un prisma e la
scompose in quelli che lui riteneva essere i sette colori fondamentali: rosso, arancione, giallo,
verde, blu, indaco e violetto. Inoltre vide che se si faceva passare (isolandola con una fenditura)
una piccola porzione dello spettro attraverso un altro prisma, questo non si disperde
ulteriormente e mantiene invariato il colore.
Il colore non è una proprietà intrinseca della luce o dell’oggetto. E’ il nostro sistema visivo che
attribuisce un colore alla luce e agli oggetti. E’una qualità della nostra sensazione anche se
dipende dalle proprietà fisiche della sorgente e degli oggetti.
Le qualità del colore sono:
-Tinta o tonalità: è l’attributo in virtù del quale la sorgente luminosa (o l’oggetto riflettente la luce)
è definita rossa, verde, blu, gialla, magenta, ecc.. E’ determinata dalla lunghezza d’onda
dominante (ld) emessa dalla sorgente. Ad esempio se una sorgente emette luce con lunghezza
d’onda dominante pari a 540 nm la tinta di tale sorgente è verde.
-Saturazione: è la componente del colore che permette di valutare quanto lo stimolo cromatico
si avvicina alla percezione della lunghezza d’onda dominante (ld) pura rispetto ad un grigio della
stessa luminosità. Le variazioni di saturazione fanno apparire un colore più o meno sbiadito (ad
esempio il rosa è meno saturo del rosso) o più o meno ingrigito. Può quindi essere definita
come il rapporto tra il flusso luminoso monocromatico dominante (ld) e il flusso luminoso totale
emesso (o riflesso o trasmesso) dal corpo in esame. La saturazione sarà 100% se il flusso
luminoso è monocromatico, sarà 0% se il flusso luminoso è completamente acromatico cioè
grigio.
-Chiarezza: la luminosità di un colore stampato dipende dalle condizioni di illuminazione
dell’ambiente e dalla capacità del sistema foglio/inchiostri di riflettere la luce. Se un colore
qualsiasi stampato su un foglio viene illuminato da una lampada alla quale è possibile -tramite
un potenziometro - far variare l’intensità della radiazione luminosa emessa, il nostro occhio
percepirà differenti stimoli cromatici che saranno caratterizzati dagli stessi valori di tinta e
saturazione, ma che avranno diverse caratteristiche di luminosità.
La modalità con cui le onde di luce viaggiano dipende dagli oggetti con cui vengono in contatto.
Le onde di Luce possono essere: riflesse (speculate o diffuse), assorbite o trasmesse attraverso
gli oggetti.
La luce quando colpisce un oggetto può essere in parte riflessa e in parte assorbita. Il colore è
dato da questa proporzione. Il colore nero è dato dal completo assorbimento. Il colore bianco
dalla completa riflessione (riflessione diffusa). Al principio dell''800 il fisico inglese Thomas
Young propose una teoria della visione in cui si sosteneva la presenza di tre differenti tipi di
recettori, ognuno dei quali in grado di percepire un particolare colore: dalla combinazione delle
sensazioni provenienti da ciascuno di essi, risulterebbe la percezione dei colori nello spettro
visibile. Nella sua ipotesi iniziale, Young indicò come colori primari - cioè quelli alla base di ogni
possibile combinazione - il rosso, il giallo e il blu. Successivamente modificò la sua teoria
indicando come primari il rosso, il verde e il violetto. Le tesi di Young furono riprese circa mezzo
secolo dopo da Helmholtz. Da allora la cosiddetta teoria tricromatica della visione, basata cioè
sull'azione combinata di tre diversi tipi di recettori fotosensibili, è nota anche come teoria di
Young-Helmholtz. Si dovette aspettare ancora, però, circa un secolo, per avere – grazie alle
rilevazioni effettuate nel 1964 - la conferma sperimentale dell'esistenza
di questi tre diversi tipi di recettori e delle loro specifiche sensibilità nei
confronti della lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica. Il
diagramma nella successiva diapositiva illustra appunto le curve di
sensibilità dei tre tipi di coni sperimentalmente individuati.
Le differenti posizioni, rispetto alla lunghezza d'onda, dei picchi di
assorbimento della luce da parte dei tre tipi di coni dipende dalle
differenti caratteristiche del pigmento - la iodopsina – in essi contenuto.
I coni-S (in inglese S-cone, ovvero short-wavelength sensitive cone)
hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 437 nm; la loro massima
sensibilità è per il colore blu-violetto; il pigmento in essi contenuto è
detto cianolabile. Il fatto che la loro curva di assorbimento sia molto più
bassa di quella degli altri due tipi di coni dipende dal ridotto numero di
coni -S presenti nella retina: costituiscono meno del 10% del totale
complessivo e sono quasi del tutto assenti dalla fovea, che è la parte
della retina più sensibile alla visione del colore. I coni-M (in inglese M-cone: middle-wavelength
sensitive) hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 533 nm; sono sensibili principalmente al
colore verde; il pigmento in essi contenuto è detto clorolabile. I coni-L (L-cone: long-wavelength
sensitive) hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 564 nm; sono sensibili principalmente
nella gamma dei rossi; il pigmento in essi contenuto è detto eritrolabile.
Dato un simile modello tricromatico di percezione dei colori, la visione, ad esempio, del colore
giallo è l'effetto di una situazione in cui i coni-M (sensibili al verde) ed i coni-L (sensibili al rosso)
sono massimamente stimolati, mentre l'eccitazione dei coni-S (sensibili al blu) è del tutto
trascurabile. La visione del bianco si ha, invece, quanto tutti e tre i tipi di coni risultano
massimamente stimolati.
Ci sono fenomeni che la teoria tricromatica non può spiegare:
● L'esistenza di due coppie di colori complementari, una costituita dal giallo e dal blu,
l'altra dal rosso e dal verde: i colori che formano ciascuna coppia non possono essere
visti simultaneamente nello stesso posto; mescolati in proporzioni uguali formano il
grigio; la presenza di uno dei due colori in una zona (ad es. il blu), rende più vivo il
colore complementare (il giallo) nelle zone circostanti.
● Lo status del giallo, che sembra godere di proprietà analoghe a quelle dei colori primari
rosso, verde e blu.
● La visione di colori consecutivi, costituiti sempre dal complementare del colore
precedentemente osservato (se si guarda per trenta secondi un cerchio blu e si fissa poi
lo sguardo su una superficie neutra, ci apparirà un cerchio giallo – l'immagine
consecutiva – la cui visione è stimolata dalla stessa porzione della retina
precedentemente impressionata dal cerchio blu).
Per spiegare simili fenomeni, il fisiologo tedesco Ewald Hering propose nel 1878 una teoria,
definita dei processi opposti di colore, che postulava, ad un livello di elaborazione successivo
rispetto ai coni, la presenza di tre canali percettivi:
● un canale specializzato nella visione alternativa del giallo e del blu . Quando
l'eccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del blu in una certa zona, è
inibita in quella stessa zona la visione del giallo, e viceversa;
● un canale specializzato nella visione alternativa del rosso e del verde.Quando
l'eccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del rosso in una certa zona,
è inibita in quella stessa zona la visione del verde e viceversa;
● un canale specializzato nella visione della componente di bianco o di nero . Questo
canale non è basato su meccanismi antagonisti, come i due precedenti, ma sul
presupposto di un'eguale stimolazione dei tre tipi di coni: a stimolazioni di bassa
intensità corrispondono grigi molto scuri; a stimolazioni della massima intensità
corrisponde la visione del bianco.
Gli studi sulle cellule gangliari, sui loro meccanismi centro on e centro off, hanno infatti rilevato
che l’opposizione tra i colori complementari ha la sua ragion d’essere in particolari cellule
gangliari definite doppio opponenti--->base fisiologica della teoria di Hering.
Doppio opponenti: se nel centro on c’è il rosso, allora il centro off è il verde
e tale colore non passa.
Sintesi additiva--->nelle pagine web i colori si formano attraverso la
cosiddetta sintesi additiva: qui la luce non viene riflessa, bensì proiettata
dal monitor, che combina i suoi colori primari additivi – rosso, verde e blu – per costituire
migliaia di combinazioni cromatiche (RGB). Unendo i tre colori si ottiene il bianco.
Sintesi sottrativa--->il colore che vediamo è ciò che rimane nello spettro dopo che i pigmenti ne
hanno sottratto una parte, si utilizza nella stampa (CMYK). Il nero corrisponde al totale
assorbimento dello spettro luminoso.
● Nero: assorbe la luce
● Bianco: riflette la luce
● Giallo: assorbe la luce blu, riflettendo la luce rossa e verde
● Magenta: a assorbe la luce verde, riflettendo la luce rossa e blu
● Ciano: assorbe la luce rossa, riflettendo la luce verde e blu
Combinando la quantità di ogni colore primario e quindi variando l'assorbimento della luce si
ottiene una grande varietà di tonalità. La stampa che utilizza i colori primari più il nero (Cyan,
Magenta, Yellow, BlacK - CMYK) è definita quadricromia.
Nella figura è rappresentato l'albero dei colori nel
quale: l’asse centrale è formato da campioni neutri
cioè non cromatici, ordinati secondo una scala di
gradazione chiaroscuro i fogli contengono campioni
della stessa tinta (rosso, verde...)in ognuno dei fogli i
campioni sono disposti dall’asse verso l’esterno in
una scala di saturazione, con le tinte più sature
lontane dall’asse.
In condizioni normali noi non vediamo mai un colore
isolato. Lo stesso colore agisce su di noi in modo
diverso a seconda dei colori a cui è accostato.
Contrasto di tonalità--->lo stesso colore appare in
modo diverso, a seconda dei colori adiacenti. Ad esempio, l'arancione apparirà più giallo su uno
sfondo rosso, e più rosso se lo sfondo è giallo.
Contrasto di colori complementari---> i colori complementari sono coppie di colori contrastanti
che producono un colore neutro quando vengono combinati in determinate proporzioni.
Adottando la stessa logica, collocando un grigio neutro sopra un particolare sfondo si otterrà
che esso tenda verso il suo colore complementare. Ad esempio, se la stessa scala di grigio
viene posta su uno sfondo blu, sembrerà che tenda all'arancione; su uno sfondo arancione
sembrerà che tenda al blu.
Contrasto luminoso---> quando un grigio naturale viene posto prima contro uno sfondo grigio
brillante e poi contro uno sfondo nero, sembrerà più chiaro nel secondo caso.
Contrasto cromatico---> quando un arancione a basso livello cromatico viene posto prima
contro uno sfondo arancio con alto livello cromatico e poi contro un grigio senza colore,
sembrerà più brillante (maggiore cromaticità) nel secondo caso.
Assimilazione cromatica--->i colori tendono ad unirsi e ad essere meno vivi.
Altre proprietà del colore sono la sua costanza (percepiamo la tinta anche in diverse condizioni
di luminosità).
26/11
MOVIMENTO
La percezione del movimento è essenziale alla sopravvivenza dell’organismo. I recettori sono
collegati alle parti periferiche dell’occhio. Il movimento non si percepisce solo mediante la vista
ma anche attraverso il corpo. Del movimento si è occupato Gibson, in particolare la parallasse
di movimento: indizio non pittorico di profondità che richiede il movimento, gli oggetti vicini si
muovono più rapidamente rispetto a quelli lontani.
Gregory--->individua due situazioni in cui noi osserviamo con gli occhi il movimento, due
situazioni che fanno capo a due sistemi:
1. Possiamo rimanere fermi e guardare un oggetto in movimento. In questo caso sulla
nostra retina avremo una serie diversa di immagini (sistema immagine-retina).
2. Possiamo seguire l’oggetto in movimento muovendo la nostra testa e il nostro sguardo.
In questo caso l’immagine retinica non muta (sistema occhio-testa).
Questi due sistemi interagiscono e a volte sono in conflitto tra di loro. Ciò spiega, secondo
Gregory, alcune illusioni di movimento, come l’effetto cascata che prevede che l’osservatore
tenga fissi gli occhi sull’oggetto in movimento. Oppure il fenomeno dell’autocinesi in cui i
movimenti muscolari degli occhi provocati dopo una lunga fissazione simulano quanto avviene
nel sistema occhio-testa. Ma perchè il mondo non ci segue quando ci muoviamo? Questi due
sistemi interagiscono e a volte sono in conflitto tra di loro. Ciò spiega, secondo Gregory, alcune
illusioni di movimento, come l’effetto cascata che prevede che l’osservatore tenga fissi gli occhi
sull’oggetto in movimento Oppure il fenomeno dell’autocinesi in cui i movimenti muscolari degli
occhi provocati dopo una lunga fissazione simulano quanto avviene nel sistema occhio-testa.
Movimento phi--->descritto da Wertheimer nel 1912: 2 luci vicine si accendono e spengono
dando luogo a diverse soluzioni a seconda dell’intervallo dell’accensione tra di loro. Se
l’intervallo è maggiore di 200 msec allora ci appare come una sequenza, se l’intervallo è tra 50
e 150 msec allore vediamo una luce che salta e si sposta, se l’intervallo è minore di 20msec
allora vediamo due luci in contemporanea. È come se i due momenti di accensione e spensione
si fondessero in un solo movimento.
Movimento indotto--->una macchia luminosa proiettata su uno schermo in movimento sembra
muoversi, mentre lo schermo appare fermo (Duncker). L’effetto si manifesta quando la parte che
realmente si muove è più grande o presumibilmente stazionaria rispetto a quella che viene vista
muoversi. Un caso di movimento indotto è quello che fa apparire la luna in movimento rispetto
alle nuvole (in realtà è il contrario, perchè la luna è più piccola delle nuvole, cioè il soggetto è
più piccolo dello sfondo). Siamo propensi a vedere la figura muoversi rispetto allo sfondo.

Il movimento crea dei rapporti all’interno del campo percettivo; il movimento congruente delle
figure può essere interpretato in termini di causalità, come negli esperimenti di Michotte
(--->animazioni di due punti che si inseguono e uno che attiva motoriamente l’altro)
La rappresentazione del movimento nelle opere grafiche è avvenuta sfruttando alcuni
espedienti: la scia nel fumetto, l’instabilità in opere come il Discobolo e le Ballerine di Degas.
Con l’invenzione della fotografia è stato possibile fotografare il movimento in maniera chiara ed
evidente. I primi esperimenti sono avvenuti alla fine del 1800, a partire dal fucile fotografico di
Marey, il quale riprendeva 12 fotogrammi in rapida sequenza. Grazie ad esso, lo stesso Marey,
con la collaborazione di Muybridge, sperimentano la cronofotografia ed effettuano una serie di
studi osservando il galoppo dei cavalli. Si trovò che il movimento reale degli animali era molto
diverso da quello spesso rappresentato per convenzione nei quadri sotto la forma di galoppo
volante in quanto l’animale sollevava le 4 zampe da terra, ma non nella configurazione prevista
dalla convenzione pittorica. Si tratta di movimenti di organismi viventi che sono estremamente
complessi rispetto ai movimenti di oggetti inanimati.
Al movimento biologico ha dedicato una serie di studi famosi lo svedese Johansson: gli attori
erano in calzamaglia scura così da farli confondere con lo sfondo ma vi erano dei punti luminosi
sugli abiti. Se gli attori si muovevano era possibile individuarli immediatamente e attribuirne
correttamente anche alcune caratteristiche come il sesso (da fermi eano del tutto invisibili).

TEMPO
Il tempo presenta una definizione complessa ed la sua definizione è sempre stata al centro di
un vasto dibattito culturale. Per via della sua natura immateriale è difficile avere una
rappresentazione mentale del tempo. Spesso, infatti, in modo improprio diciamo frasi del tipo “il
tempo scorre” attribuendo al tempo delle qualità che in realtà appartengono a degli oggetti
esterni (incluso il nostro stesso corpo): i cambiamenti di stato degli oggetti – i processi di
crescita e d’involuzione – ci danno l’idea che un certo periodo di tempo sia trascorso.
Tuttavia, non è il tempo ad essere passato, ma sono gli oggetti ad aver modificato il loro stato
originario. Senza dubbio il concetto di successione e di relazione prima-dopo ha a che fare con
il tempo, ma il concetto di tempo che elaboriamo in base all’osservazione della realtà esterna è
per sua natura inferenziale: non è il tempo a muoversi, sono gli oggetti a farlo. Misuriamo le
modificazioni del mondo esterno e diamo a loro il nome di tempo.
Tempo psicologico---> il tempo non appartiene solo agli oggetti ma anche al soggetto. La
nozione di tempo riferita al soggetto (tempo soggettivo) riguarda le sensazioni e le emozioni
soprattutto nella dimensione del presente, i ricordi che appartengono al passato e i desideri, i
piani elaborati per il futuro. Il tempo soggettivo è il tempo delle intenzioni (Jacques, 1982),
mentre il tempo inteso come successione degli eventi appartiene agli oggetti: è il tempo
cronologico.
Tempo biologico--->le risposte adattative dell’organismo ai ritmi dell’ambiente.
La cronemica fa parte della cronobiologia ed è influenzata dai ritmi circadiani (cicli fisiologici e
psicologici del soggetto nel periodo delle 24 ore). Ci sono cicli che durano più di 24h (cicli
infradiani) e cicli che durano meno e si ripetono nelle 24 h (cicli ultradiani). Essi sono influenzati
dall’azione di un orologio biologico interno (orologio circadiano, dura 25h) che va più lentamente
quando non è governato da fattori ambientali--->una prova è l’alzarsi prima della sveglia. Sono
anche influenzati da fattori socioculturali.
Ogni soggetto è portatore di uno specifico ritmo personale, che dà per scontato essere uguale a
quello degli altri; in realtà, la comunicazione con soggetti che hanno ritmi biologici e psicologici
differenti può generare distonie, sfasamenti e condizioni di disagio.
Gli studi sul tempo in quanto fenomeno hanno evidenziato la differenza tra una dimensione
percettiva del tempo e il tempo reale. I fenomeni di successione, simultaneità e durata possono
essere diversi al livello di esperienza interna individuale da come appaiono nel mondo esterno
(Vicario, 1973). Uno dei tanti esperimenti riguarda il dislocamento temporale--->se sentiamo tre
suoni di altezza diversa (A e C di altezza simile, B molto più basso), distanti circa 100 ms,
sentiamo A e C come un unico suono e poi arriva B, segregato rispetto agli altri. I risultati relativi
al fenomeno del dislocamento temporale ci danno l’idea che a livello percettivo un’idea di
tempo cronologico fatta di momenti discreti non può sussistere. E’ opportuno ipotizzare invece
un presente fenomenico, la cui durata, variabile, (per l’esperimento precedente a 300 msec la
dislocazione non avviene) può estendersi in alcuni casi fino a 1,5 o 2,0 secondi.
Nell’ambito del presente fenomenico possiamo inquadrare altri effetti che riguardano sia la
visione sia l’udito.
Effetto Tunnel---> nella sua presentazione visiva rappresenta un’estensione del completamento
amodale in una situazione dinamica. Un piccolo oggetto si muove verso un rettangolo opaco
(tunnel) e poi fuoriesce da esso. Per qualunque osservatore, senza eccezioni, il movimento
dell’oggetto è perfettamente continuo e «reale» dietro allo schermo quando ha luogo con una
velocità di 600 mm/sec., essendo il tunnel lungo 40 mm, e l’intervallo EU (entrata-uscita) di circa
15 millisecondi. Fuori di questi parametri viene a perdersi l’effetto di continuità.
Tunnel acustico---> si compongono una serie di pezzi di nastro secondo una schema preciso:
LA a 440- suono bianco- LA a 440. Il secondo segmento di suono si unisce perfettamente al
primo; anzi, una descrizione adeguata potrebbe essere questa: il primo La entra nel rumore, si
sente benissimo attraverso il rumore, poi il rumore cessa e si continua a risentire il La
nitidamente, senza disturbi. La soluzione della continuità si ha in certe situazioni particolari.
Vicario, variando sistematicamente i differenti aspetti della situazione, trovò che il rumore bianco
non deve avere una intensità troppo bassa rispetto a quella del suono se si vuole che l’effetto
abbia luogo. Semplificando le cose, se il primo La è forte, il rumore bianco molto debole, e il
secondo La forte come il primo, ciò che si sente è una nota che viene a cessare
improvvisamente, un rumore che comincia da quel momento, poi cessa di colpo mentre una
nota uguale alla precedente inizia a risuonare. Il confronto tra questa situazione e la
precedente mostra con efficacia la differenza che c’è tra la discontinuità e la continuità. La
discontinuità contiene margini con funzione bilaterale; cessa una cosa e comincia un’altra. La
continuità è caratterizzata dal fatto che il margine interveniente a un certo punto (inizio del
rumore) non è margine temporale del suono, il quale mantiene la sua identità ininterrotta.
L’idea della continuità può produrre fenomeni particolari in campo acustico: in una linea di suoni
alternati tra alti e bassi, se l’intervallo di tempo è piccolo allora sentiamo i suoi acuti unificati tra
loro e i suoni bassi unificati tra loro (dissociazione per altezza tonale).

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Come poter rappresentare il tempo nella staticità? Uno fra i metodi più usati consiste in una
sequenza di immagini (illustrazioni grafiche, fumetti). Elementi importanti in questo tipo di
rappresentazioni sono:
▪ Il titolo emblematico e riassuntivo del contenuto
▪ La presenza di segmenti verbali che accompagnano ogni
tavola
▪ Il riferimento a concetti, idee, condivise
▪ Elementi in comune tra le varie rappresentazioni.
Possiamo avere eventi di trasformazione, di crescita o
diminuzione.
Un po’ come accade per il movimento, anche nel tempo si
trovano delle interazioni casuali; si può anche visualizzare il
tempo di degrado.

Nel rapporto che si instaura tra tempo oggettivo e tempo


soggettivo gli aspetti emozionali ed affettivi assumono un
grande rilievo. Il concetto di tempo è strettamente legato
alla maniera in cui i singoli individui reagiscono ed
elaborano le proprie emozioni. Non sarebbe, pertanto, corretto parlare del tempo nei termini
riservati ad una categoria assoluta. Le persone hanno atteggiamenti diversi nei confronti del
tempo: i ritmi biologici, le esperienze fenomenologiche e i processi di socializzazione sono
differenti in vari gruppi di individui. Le differenze individuali sono di estrema importanza quando
si vuole determinare quale è il ruolo della dimensione temporale nel determinare lo stile di vita
quotidiano. Il tempo soggettivo, a differenza di quello oggettivo e cronologico, non si basa su dei
processi irreversibili: il passato, il presente e il futuro partecipano alla sua definizione, spesso
sovrapponendosi, e determinano insieme quello che è l’atteggiamento individuale nei confronti
della dimensione temporale. Il concetto di “prospettiva temporale” secondo la formulazione
originaria di Frank (1939) rappresenta una maniera di considerare il tempo soggettivo come un
processo in cui l’interazione con l’ambiente sociale (che rappresenta il presente) è modulata
dall’esperienza del passato e dalle aspettative verso il futuro. La prospettiva temporale non è
sempre la stessa nell’arco dell’esistenza individuale. Nella prima infanzia la prospettiva
temporale appare molto limitata: secondo Lewin (1946) lo “spazio di vita” di un neonato include
soltanto il presente. Grazie al processo di socializzazione (Janet, 1928) la prospettiva temporale
diviene più ampia ed include la capacità di programmare una serie di attività per il
conseguimento di determinati scopi nel futuro. L’opposizione, descritta da Freud, tra principio
del piacere e principio della realtà (Freud, 1905) va nella medesima direzione. Le persone solo
gradualmente acquistano il senso dell’esperienza temporale. Parlando della prospettiva
temporale si devono considerare diversi aspetti (Hoornaert, 1973):
1. L’atteggiamento verso il tempo e le fasi temporali della propria esperienza. Si tratta, cioè,
di individuare come le persone reagiscono emotivamente all’esperienza temporale –
alcune persone amano il proprio passato, altre no; alcune hanno un atteggiamento
positivo e ottimistico verso il futuro, altre sono pessimiste oppure hanno un
atteggiamento negativo.
2. La direzione della prospettiva temporale che costituisce l’orientamento o “centraggio
preferenziale” sulle diverse fasi temporali – alcuni individui sono orientati verso il
passato, altri verso il presente, altri ancora verso il futuro.
3. La densità che corrisponde alla quantità di contenuti cognitivi che vengono collocati nelle
diverse fasi della prospettiva temporale – le esperienze individuali possono essere molto
diverse, alcune persone in determinati periodi delle loro esistenze sono pieni di cose da
fare, di progetti da realizzare, mentre in altri momenti sono meno creativi e possono
avere un numero limitato di impegni.
4. L’estensione (o profondità della prospettiva temporale) – l’estensione della prospettiva
temporale può in alcuni casi andare dal passato più remoto al futuro più lontano, in altri
casi l’estensione può essere molto più ristretta e includere solo il presente e il futuro
immediato.
5. La coerenza che si riferisce al grado di organizzazione e articolazione degli eventi
accaduti o che accadranno – gli eventi passati, presenti e futuri possono essere
consonanti oppure dissonanti tra loro.
Tutti gli aspetti della prospettiva temporale sono importanti per determinare le differenze
individuali in relazione ai diversi contesti sociali e alle differenze esperienze di vita. I dati
empirici non sono così numerosi come i modelli teorici formulati nel tempo. I dati presenti in
letteratura seguono due direzioni
-:cambiamenti generazionali che sono intervenuti sulla maniera in cui gli individui o gruppi di
individui valutano il proprio atteggiamento nei confronti del tempo.
-differenze esistenti tra diversi gruppi di persone relative alle preferenze espresse in ordine a
fasi specifiche della prospettiva temporale--->Zimbardo ha illustrato il rapporto che esiste tra
diversi comportamenti e abitudini e il differente orientamento temporale. Le strategie cognitive al
pari dei valori morali delle persone che sono maggiormente orientate verso il presente sono del
tutto differenti da quelli espressi da persone che hanno un diverso orientamento temporale,
verso il futuro o il passato. Tali differenze possono avere delle conseguenze sociali importanti
(es, le campagne di prevenzione sono percepite diversamente in base all’attitudine nei confronti
del tempo). Alcuni valori possono essere più importanti per persone che privilegiano
l’orientamento al passato (senso dell’onore o mantenere la parola data), l'età influenza
altrettanto. Comunque l’orientamento temporale risulta correlato con i tratti della personalità.
Bitti, Rossi e Sarchelli hanno mostrato in uno studio longitudinale che l’atteggiamento del
mondo giovanile nei confronti del tempo è profondamente cambiato nel corso di 20 anni. In
Italia, una nuova figura di adolescenti, nasce negli anni ‘80: ha maggiore paura e pessimismo
verso il futuro, minore controllo degli eventi esterni. Rampanzi attribuisce a questo mondo
giovanile una certa perdita della dimensione futura, privilegiando il presente.
Alcuni casi studio hanno mostrato alcune ipotesi sul carattere dinamico rispetto al ruolo del
tempo nell’adolescenza--->Winnicott e i suoi paradossi: per crescere bisogna tornare indietro e
guardare al passato.
Gli aspetti temporali psicologici sono importanti per gli psicologi, sono fenomeni dimostrabili e
riguardano il sé sociale e il sé privato. Infine c’è una forte connessione tra tempo psicologico,
espressività e vissuto emotivo.

PENSIERO, PERCEZIONE E CREATIVITA’


È un tema che è stato affrontato da molti punti di vista e che va al cuore della definizione stessa
di percezione e in che misura essa si rapporta all’elaborazione cognitiva e ai meccanismi
attentivi.
Il modello di Kanisza--->ci sono modi diversi di percepire e vedere, ciò che si percepisce è già
filtrato attraverso le nostre categorie. Il passaggio dalla percezione delle qualità immediate a
qualità e (nella visione: forme e colori) a qualità “terziarie” è sottile. Una distinzione che calca la
separazione tra vedere e pensare è quella tra processi primari (visione pre-attentiva= tutto ciò
che viene immediatamente colto nell’atto della percezione) e processi secondari (= processo
attentivo). La differenza dei due casi è qualitativa: abbiamo un limite nel percepire con
immediatezza la quantità--->studiato da Miller nel suo studio sulla teoria del numero 7 (+- 2),
numero massimo di elementi che possiamo percepire nel processo pre-attentivo. Un terzo livello
della percezione richiede le conoscenze apprese dall’esperienza e dalla cultura (es.riconoscere
le lettere).
La capacità di risolvere un problema percettivo dipende anche da fattori determinati dal
contesto. Il completamento modale è un fenomeno molto forte, il completamento amodale è
sempre un fenomeno percettivo ma viene visto come qualcosa che non ha la natura di una
percezione, ma di una “aggiunta”.
Nel processo secondario, l’elaborazione dell’info visiva comporta la possibilità di completamento
figurale solo sul piano mentale, ma ciò potrebbe avvenire anche sul piano percettivo.
Le immagini mentali--->per pensare ricorriamo alle immagini, gli studi sperimentali sulle
immagini mentali ci fanno vedere come noi usiamo le immagini in situazioni cognitive
complesse.
Teoria del doppio codice: imagery= immaginabilità, cioè la facilità con cui qualcosa suscita
immagini mentali, le quali si riferiscono a esperienze come quelle di una figura o un suono che
si producono nella mente. Lo studio di Paivio postula l’esistenza di due sistemi di codifica
indipendenti: un evento può essere rappresentato in memoria mediante un codice verbale o un
codice immaginifico. Il sistema verbale contiene le info di cui ci serviamo quando usiamo le
parole (logogens). Il sistema non verbale contiene informazioni necessarie per generare le
immagini: queste info corrispondono ad oggetti naturali o a loro raggruppamenti (imagens). I
logogens operano in maniera sequenziale: quando si ascolta una frase le parole vengono
presentate una dopo l’altra.Gli imagens operano in sincronia: le parti che contengono sono
simultaneamente disponibili all’esplorazione. L’informazione presente in uno dei sistemi di
codifica può attivare un processo nell’altro sistema--->Gli individui possono rappresentarsi il loro
studio o la stanza d’albergo in cui hanno trascorso le vacanze, mediante un’immagine e
descriverli, anche se sono lontani da quegli ambienti. Ciò significa che i due sistemi sono
interconnessi: la descrizione verbale di un oggetto può suscitare l’immagine corrispondente a
ciò che è stato descritto e, a sua volta, un’immagine può suscitare la descrizione verbale di ciò
che è stato immaginato.

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Gli stimoli sono:
● Immaginabilità: facilità con cui le parole suscitano un’immagine mentale; tale facilità è
maggiore per parole concrete che per quelle astratte.
● Concretezza: grado in cui una parola si riferisce ad oggetti concreti, persone, luoghi o a
cose che possono essere udite, gustate, annusate, toccate. Si riferisce al grado con cui
una parola si riferisce a qualcosa che può essere percepito per mezzo dei sensi.
La nostra mente può anche manipolare delle immagini: possiamo riconoscere le lettere
rovesciate perché la nostra mente è in grado di ruotarla in senso corretto. Shepard and Metzler
hanno dimostrato che la mente è in grado di manipolare le immagini: i soggetti dovevano
decidere se due figure geometriche fossero uguali o diverse, si misurava il tempo di reazione
(TR). Questi sono direttamente proporzionali alla differenza di orientamento tra i due stimoli:
tanto maggiore è la rotazione che deve essere fatta mentalmente per effettuare il confronto
tanto più lungo sarà il tempo necessario per dare la risposta.
Kosslyn sperimenta sull’esplorazione di una mappa: si chiedeva ai soggetti di andare da un
punto all’altro, memorizzando tale mappa e i vari luoghi segnati. Il tempo necessario per
spostarsi dipende dalla distanza reale tra i vari luoghi: più sono lontani, più il TR è maggiore.

Il pensiero produttivo di Wertheimer e il pensiero visivo di Arnheim--->Il lavoro degli psicologi


della Gestalt non si limitò all’elaborazione delle leggi di percezione visiva, ma si estese anche
allo studio del pensiero produttivo, cioè di quei processi che portano la mente a produrre
procedure nuove rispetto a ciò che è stato imparato precedentemente. Wertheimer conclude le
sue ricerche in questo campo ipotizzando che il risultato di un pensiero produttivo si ottenga
essenzialmente attraverso una ristrutturazione del campo cognitivo. Rifacendosi al concetto di
pensiero produttivo di Wertheimer e agli esempi visivi citati dallo stesso Wertheimer, Arnheim
sottolinea il valore delle immagini visive nel pensiero e rivaluta il ruolo dell’intuizione nei
processi cognitivi per superare la fissità funzionale.Secondo Arnheim noi pensiamo attraverso le
immagini. L’attività percettiva è sempre una ricerca attiva, selettiva: esiste una vera e propria
intelligenza nella percezione. Le forme sono “concetti”. La percezione consiste nell’adattare il
materiale di stimolo a stampi di forma relativamente semplice, definiti concetti visivi o categorie
visive. Il pensiero visivo non è una forma di pensiero più primitivo. La dicotomia
concreto-astratto presenta degli aspetti fuorvianti per capire il valore comunicativo delle
immagini. In sostanza, la forza delle immagini visive nasce proprio dalla loro capacità di essere
uno strumento di conoscenza del mondo, dal loro grado di astrazione e generalizzazione, dalla
loro capacità di essere dei simboli. Anche le parole, quando hanno queste caratteristiche,
rinviano in qualche maniera alle immagini. Gli esperimenti storici di Kohler su Maluma e Takete
possono essere visti anche in questa direzione: c’è un’associazione tra i due termini con delle
immagini (la m che ricorda la rotondità, i suoni r,t che ricordano segmenti spezzati).
E’ soprattutto nel campo dell’arte visiva il modello di Arnheim trova una valida applicazione. La
visione di un’opera d’arte nei suoi aspetti unitari e in dettaglio implica un saper vedere,
riconoscere delle forme, delle configurazioni d’ordine percettivo che ne orientano la lettura. E’
proprio in questo esercizio alla visione che riusciamo a cogliere il significato profondo che una
determinata opera può avere. In sostanza quando Arnheim parla di pensiero visivo ha in mente
qualcosa di assai più complesso di quanto suggerito dagli studi sulle immagini mentali Il suo
concetto riprende quello di pensiero produttivo di Wertheimer ed assume le connotazioni quasi
neoplatoniche dell’imago mundi o dell’imago fabulosa che ritroviamo in Leone Ebreo come
forma in cui imprimere la conoscenza, mediata dall’affetto. Le immagini sono una signatura
rerum e in quanto tali strumenti di conoscenza esteriore ed interiore.

IMMAGINI E VISIONE
Le immagini - la loro natura e le loro caratteristiche - rivestono un ruolo privilegiato per tracciare
gli snodi cruciali di un percorso che porta alla conoscenza di sé. Molti elementi di questo
percorso sono già presenti nella tradizione filosofica (da Platone ai neoplatonici, soprattutto nel
Rinascimento italiano). Non necessariamente questo processo si limita alla visione. Esistono
delle immagini musicali che si riferiscono ad esperienze sonore interiorizzate. Il rapporto tra
immagini e processo psicoterapeutico come «svelamento» (ovvero rivelazione) all’interno della
relazione terapeutica.
Le emozioni si dividono in:
-Big emotions per definire gli aspetti «infiniti» della relazione terapeutica (Matte Blanco, 1975).
-Micro emotions per descrivere gli aspetti attuali del percorso terapeutico (Huron,
2007)--->importanti nelle arti terapie.
Un altro aspetto studiato da Meffei e Fiorentini è quello del linguaggio del segno: prendono
come riferimento i dipinti rupestri. Ma perché il cacciatore delle epoche preistoriche sentì il
bisogno di raffigurare l’immagine dell’animale cacciato? Tali figure hanno una grande forza
comunicativa, ma da dove viene la forza? Bisogna fare un passo verso l’organizzazione del
cervello: segno e contorno sono segnali efficaci per il cervello. Le immagini vengono ridotte a
invarianti, a concetti visivi e simbolizzate nell’attività di certi neuroni, così tutti possono
interpretare la stessa cosa. Hubel e Wiesel hanno registrato le risposte delle cellule della
corteccia visiva del gatto e della scimmia e hanno dimostrato che queste cellule rispondono solo
a stimoli visivi rappresentati da linee o bordi di particolare orientamento e dimensioni. Vi sono
cellule che rispondono a stimoli orizzontali, altre a stimoli verticali, altri ancora a quelli obliqui o
a quelli di una particolare lunghezza. Nel passaggio dalla retina al cervello sembra proprio che
le immagini vengano ridotte ai loro contorni e successivamente rielaborate. E’ forse un po’
azzardato, ma ugualmente suggestivo chiedersi se il linguaggio del segno, o meglio il
linguaggio visivo neurale, non rappresenti qualcosa di molto simile a quella che Chomsky
chiamava per il linguaggio verbale la “struttura profonda”.
Sé corporeo---> può essere vista come scaturente da quella di:
▪ Schema corporeo (schema percettivo legato al processo di localizzazione spaziale compiuto
dal sistema nervoso), fa riferimento a un processo inconscio.
▪ Immagine corporea (include le componenti soggettivo-cognitivo-affettive delle rappresentazioni
corporee), si riferisce ad una rappresentazione cosciente del corpo.
Entrambi lo schema corporeo e l’immagine corporea contribuiscono alla formazione del sé
corporeo, come nel riconoscimento della propria immagine allo specchio.
Quanto si parla di autoconsapevolezza ci si riferisce al proprio pensiero (in particolare): se sono
consapevole del mio pensiero allora posso esserlo anche rispetto al pensiero altrui--->studi
sull’empatia e sui neuroni specchio. Da queste osservazioni è nata la TOM (=teoria della
mente).
Rappresentazione primaria--->neuroni specchio: io vedo una persona agire e capisco come fa,
c’è un rapporto diretto.
Rappresentazione secondario--->io posso intuire cosa una persona penso perchè lo conosco,
c’è un processo di immedesimazione.
Un lavoro di Rochat (2003) ben descrive 6 fasi all’interno del processo che porta
all’autoconsapevolezza. C’è una prima fase chiamata livello 0 in cui predomina la confusione,
ovvero la non differenziazione tra immagine speculare e realtà, l’immagine speculare viene
confusa con un’altra presenza nell’ambiente, il bambino o l’animale non umano non riconosce la
propria immagine speculare, ma pensa ci sia un’altra persona o un altro animale non umano di
fronte a lui; appartiene a questa fase anche la reazione patologica di un adulto che non
riconosce nello specchio la propria immagine, ma un estraneo minaccioso.
In una seconda fase, chiamata livello 1 in cui predomina la differenziazione, ovvero l’inizio del
processo che porta a distinguere il Sé dal mondo esterno: nell’immagine speculare si avverte
che c’è qualcosa di particolare che non appartiene del tutto al mondo esterno. Si capisce che lo
specchio ha proprietà riflessive, ma non si è in grado di stabilire bene come si articolino. Nella
terza fase, chiamata livello 2, ovvero della situazione, i movimenti percepiti nello specchio sono
attribuiti al proprio corpo e quindi si attua una prima autoesplorazione dei confini fisici del
proprio Sé corporeo. La quarta fase, chiamata livello 3, ovvero dell’ identificazione, corrisponde
a quanto già si è detto a proposito del test della macchia e cioè al pieno riconoscimento della
propria immagine riflessa che, però, non è l’unico punto di arrivo nel processo che porta
all’autoconsapevolezza, come dimostrano le successive due fasi. Nella quinta fase, chiamata
livello 4, predomina la permanenza dell’oggetto, per cui il riconoscimento della propria
immagine corporea va al di là della situazione contingente del rispecchiamento, ma si estende
nel tempo. Viene percepita correttamente come immagine di Sé una fotografia anche
appartenente al passato. Nella sesta e ultima fase, il livello 5 prevalgono gli elementi
metarappresentativi dell’autoconsapevolezza, come cioè l’immagine corporea di una persona
possa essere presente nei pensieri e nei sistemi di riferimento altrui. Questo aspetto
dell’immagine corporea riguarda sia le caratteristiche più propriamente legate alla
presentazione sociale della propria immagine corporea (Goffman, 1959), l’idea che gli altri
hanno di noi e che noi contribuiamo a evidenziare, sia altri aspetti dell’autoconsapevolezza
come il sapere individuare come propri una serie di valori e la possibilità di condividerli con gli
altri immedesimandosi nei pensieri altrui.

Il tema dell’immagine speculare e il suo riconoscimento è stato oggetto di studio, come è noto,
anche da parte di due famosi psicoanalisti, Lacan e Winnicott. Mentre in Lacan (1949)
l’elemento visivo insito nel test dello specchio viene esaltato e posto a mo’ di baluardo per
stabilire la permanenza dell’identità a dispetto di tutte le immagini parziali e bizzarre contenute
nell’inconscio, in Winnicott (1967) il rispecchiamento prevede un contatto con un altro, che nel
caso specifico è la madre dove il bimbo ritrova la propria immagine, contatto che richiede
l’impiego di molteplici canali sensoriali, non solo quello visivo, ma anche quello olfattivo,
acustico e, naturalmente, tattile. Il ritrovamento della propria immagine avviene attraverso uno
scambio emotivo ed affettivo con la madre: è la madre lo specchio del figlio. Questo
rispecchiamento non crea dei confini invalicabili, ma, proprio come nel mito della ninfa Eco,
un’identità che si basa sul contatto reciproco e su un’immagine visiva o sonora di se stessi che
va progressivamente costruita confrontando l’esperienza percettiva con il ricordo del passato.
Non ha senso tuttavia parlare di sé senza fare riferimento all’altro. Un po’ come nella famosa
frase di Winnicott: «L’infante non esiste» perché bisogna considerare sempre la coppia
madre-bambino. Dal rapporto sé-altro derivano diverse tradizioni di studio: tra le più importanti,
il modello delle relazioni oggettuali in psicoanalisi e quello relativo agli aspetti fenomenologici
dell’intersoggettività.
Quando interagiamo con il mondo intorno a noi i diversi sistemi di rappresentazione spaziale,
corporea e motoria contribuiscono fortemente all’esperienza cosciente di un sé come un corpo
che agisce (Gallese, 2009). C’è una riappropriazione del corpo nel concetto di sé. Ma il sé si
può estendere con degli strumenti: uno studio recente ha mostrato che, in soggetti sani, l’uso
attivo di uno strumento può modulare la rappresentazione della lunghezza del braccio,
estendendola (Sposito et al., 2012). Quando usiamo uno strumento è come se diventasse parte
di noi; è questo che si intende quando parliamo di plasticità del sé, estremamente flessibile e
dinamico, in continuo divenire nell’intreccio con l’ambiente in cui è situato (Varela, 2000).
Il corpo è “un oggetto” che normalmente non ci lascia mai (Merleau-Ponty, 1945). Tuttavia, tale
consapevolezza può essere drammaticamente alterata in seguito a lesioni cerebrali, portando
alcuni pazienti ad essere convinti che un braccio o una gamba non sia più loro. Questo è
l’intrigante caso della somatoparafrenia (Vallar & Ronchi, 2009).
Anche in persone sane, una manipolazione sperimentale chiamata illusione della mano di
gomma è in grado di produrre temporaneamente un fenomeno simile (Botwinick & Cohen,
1998). Che cosa cambia durante quest’illusione nell’esperienza corporea del soggetto che la
vive? Guardare una mano di gomma che viene toccata contemporaneamente alla propria
mano, nascosta alla vista, genera l’illusione sensoriale che il tocco sentito (sulla propria mano)
provenga dalla mano di gomma; ciò crea la sensazione che la mano artificiale sia diventata
parte del proprio corpo, mentre la vera mano viene lasciata in uno stato di abbandono, come se
venisse esclusa dalla propria esperienza per lasciare il suo posto a quella nuova.
L’Arte Terapeuta non è tenuto a proporre soluzioni, essendo piuttosto chiamato a svolgere il
compito di facilitare l’emersione di proposte da parte dell’utente, di rispecchiarle ed amplificarle
L’arte Terapeuta è, dunque, un facilitatore che aiuta il paziente (o facilitato) a costruire, anche,
un nuovo schema corporeo, mettendo insieme ciò che, come diceva Novalis è tuo e mio. In
sostanza, anche grazie alle arti terapie, si evidenzia l’importanza del sé corporeo e di tutte
quelle circostanze e occasioni interattive che ne ampliano l’estensione

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