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PSICOLOGIA

SEZIONE I: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO, INTELLIGENZA E CREATIVITÀ

1. PERCEZIONE, ATTENZIONE E MEMORIA

Il cervello è l’organo fondamentale delle attività cognitive. La nozione di “plasticità”, riferita al sistema nervoso,
implica la capacità dei circuiti nervosi di mutare le loro caratteristiche funzionali e strutturali in ragione delle
stimolazioni sensoriali esterne e adattarsi progressivamente all’ambiente. Tra la nascita e l’inizio del funzionamento
degli apparati sensoriali si presenta il periodo critico = fenomeno di progressiva sintonizzazione tra mondo cerebrale
e mondo esterno; un evento complesso che implica forme di accomodamento e di selezione di determinati
circuiti cerebrali al fine di generare un comportamento che garantisca la sopravvivenza dell’organismo in un certo
ambiente. La riprova è che l’assenza di stimolazione nel periodo critico produce danni, spesso irreversibili, nello
sviluppo perché numerose competenze non appaiono integralmente determinate da fattori genetici. Anche nel
cervello adulto esistono zone di plasticità: questo fenomeno è alla base della capacità di apprendimento continuo. È
utili un esercizio cerebrale continuo perché circuiti neuronali tenuti inattivi per lungo tempo tendono a perdere in
efficienza e funzionalità sinaptica.

Percezione = processo cognitivo che consente all’individuo di trarre informazioni dal mondo esterno
attraverso l’integrazione tra le sensazioni raccolte mediante gli organi di senso e le esperienze pregresse.
Non è un atto obiettivo. È un fenomeno complesso che implica il concorso di elementi fisiologici e
condizioni soggettive che contribuiscono alla costruzione del nostro mondo, è un meccanismo in cui entrano
in gioco aspetti dell’elaborazione sensoriale, ma anche l’intelligenza, l’affettività, ovvero l’intera personalità
dell’individuo. La percezione è stata oggetto di ricerca delle principali scuole psicologiche:

 Prospettiva psicofisiologica = viene indagata la capacità di discriminare i colori. Hermann von


Helmholtz sostenne l’esistenza nell’uomo di ricettori differenti, sensibili agli spettri cromatici del
rosso, dell’azzurro e del verde. Viene considerata fondamentale per l’esperienza percettiva l’attiva
organizzazione dei dati sensoriali (il cervello opererebbe delle interferenze inconsce).

 Prospettiva gestaltica = la teoria della Gestalt (della forma) sostiene che la percezione non dipende da
singoli elementi, ma dalla strutturazione di questi elementi in un insieme organizzato. L’organizzazione
finale prevale sempre sugli elementi singoli, li struttura in un insieme per cui essi diventano una figura che
si differenzia dal resto. Principi dell’organizzazione percettiva (ogni forma è una figura che si stacca dallo
sfondo in base ad una particolare organizzazione delle parti): principio di vicinanza o prossimità, principio di
somiglianza, principio di chiusura, principio di continuità o destino comune, principio della buona forma o
della pregnanza. A questi si aggiunge il principio dell’esperienza passata.

 Prospettiva funzionalista = aspetto soggettivo della percezione, cioè modo in cui le sensazioni
vengono integrate in relazione alla personalità dell’individuo. La valenza affettiva che un dato oggetto
ha per la persona che lo percepisce influenza fortemente i tempi di riconoscimento: l’individuo elabora
lo stimolo in base al suo vissuto e al suo stato emotivo. Il soggetto interviene attivamente nel processo
percettivo.

 Prospettiva cognitivista = analisi dei processi con cui l’individuo acquisisce le informazioni
dall’esterno, le elabora e le consolida in struttura. Convinzione che la mente umana funzioni come un
elaboratore elettronico.

ILLUSIONI PERCETTIVE. L’esperienza ha un ruolo determinate nelle discriminazioni di certi stimoli e nella
codifica della giusta configurazione.

 Costanza percettiva = ci consente di conservare l’identità degli oggetti ed è un processo che è distinto
rispetto alla grandezza
(un oggetto se si allontana provoca una riduzione dell’immagine visiva, ma l’oggetto viene percepito lo
stesso nella sua interezza), al colore (le variazioni dipendono solo dal tipo di illuminazione diretta e dalla
luce riflessa), alla chiarezza (la percezione varia solo a causa della luce) e alla forma dell’oggetto (anche se
cambia l’angolo di visuale, l’oggetto viene percepito nella sua interezza).

 Organizzazione figura-sfondo = qualsiasi esperienza percettiva implica la capacità di distinguere la


figura dallo sfondo da cui essa emerge. Esistono sempre delle specifiche costanti: si distingue sempre la
forma dell’oggetto, siamo in grado di separare i contorni, lo sguardo viene attratto dalla figura che sembra
avvicinarsi all’osservatore. Nelle cosiddette figure reversibili, invece, ci si trova di fronte a situazione in cui
mantenere stabile una percezione non è facile. Si tratta di un evento che chiarisce come la percezione sia
sostanzialmente un processo attivo che non si limita a cogliere passivamente delle stimolazioni ambientali (si
parla di ipotesi percettive).

 Illusioni ottiche = fenomeni percettivi che presentano una forte discordanza dalla realtà fisica.
Un’illusione consiste in una distorsione di un oggetto esterno reale, accompagnata però da senso critico.

Attenzione = capacità cognitiva di mettere a fuoco specifici contenuti e, all’opposto, inibire informazioni
valutate come irrilevanti. Potente attività di filtro: l’attenzione opera sull’informazione in entrata,
selezionandola in base a interessi e aspettative (finalità, compiti, aspettative del soggetto).
Successivamente, le ricerche della psicologia cognitiva si sono spostate gradualmente dall’attenzione
come selezione di informazione (attenzione selettiva) al problema dell’attenzione distribuita su più
compiti (attenzione divisa). In quest’ultima visione, l’attenzione può essere distribuita più facilmente se i
compiti riguardano abilità diverse o se vengono utilizzate risorse cognitive differenti. L’attenzione allora è
un sistema di organizzazione di risorse cognitive da dislocare in base alla complessità del compito: il
compito che viene privilegiato è detto compito primario; il compito che riceve la quota residua di risorse è
detto compito secondario.

Coscienza. Per indagarla inizialmente veniva usato il metodo dell’introspezione che era legato molto
alla consapevolezza da parte del soggetto riguardo al lavoro psichico che stava eseguendo: questo metodo
però non da dati oggettivi e verificabili. Per molti ricercatori contemporanei la coscienza viene invece
concepita nei termini di un sistema di controllo attenzionale delle operazioni mentali, per il quale sarebbe
necessario il funzionamento dei lobi prefrontali. Un’ulteriore area di ricerca attuale in psicologia cognitiva
riguarda la distinzione tra processi cognitivi consci (manifesti) e processi cognitivi inconsci (non manifesti):
si ritiene che molte operazioni cognitive si verifichino senza che il soggetto ne sia consapevole; in una zona
che è stata definita come “inconscio cognitivo” verrebbero svolte le operazioni implicate nell’esecuzione
automatica di compiti motori.

Prospettiva psicanalitica: la coscienza riveste un ruolo di primaria importanza. Secondo Freud, la


coscienza rappresenta una funzione assimilabile alla percezione, ovvero alla capacità di ricevere le
informazioni sensibili, ed è coinvolta in un perenne conflitto con l’inconscio, il quale tende a nasconderle
tutto ciò che è doloroso e sgradevole.

Memoria = generalmente è la struttura psichica che conserva e organizza le informazioni. Studiare la


memoria significa studiare il modo in cui le tracce vengono incamerate e organizzate: (1) prima fase:
acquisizione informazioni (atto percettivo detto registro sensoriale); (2) seconda fase: ritenzione (capacità
di conservare le tracce per un periodo più o meno lungo: memoria a breve termine codifica memoria a
lungo termine); (3) terza fase: recupero o riattivazione del ricordo. Esistono diversi modelli per spiegare il
funzionamento della memoria umana:
 Modello associativo: la capacità di ricordare viene favorita dalle relazioni associative = le tracce si
ricordano meglio se possono essere associate tra loro per contiguità, per somiglianza o per contrasto.

 Modello “pluri-componenti”: la memoria non ritiene gli stimoli in una traccia univoca, ma ne conserva
anche le differenti componenti. Inoltre, le informazioni a cui sono associate delle immagini sono più
facilmente ricordate (sistema di doppia codifica: verbale + per immagini).

 Modello HIP (Human Information Processing): memoria come funzione psichica attiva e non solo
come contenitore di dati. La memoria opera sull’informazione che proviene dal mondo esterno,
decodificandola, elaborandola e codificandola a sua volta.

LO SVILUPPO COGNITIVO E LE TEORIE SULL’INTELLIGENZA

Tra i tanti compiti, gli insegnanti devono favorire e promuovere il completo sviluppo della personalità dei
bambini, la loro socializzazione e interazione con il mondo, in sintonia con gli obiettivi di educazione e
conoscenza prefissati. La formazione della personalità è il frutto di un percorso di interazione e integrazione
tra fattori innati e fattori acquisiti attraverso un percorso di maturazione inteso come lo svolgimento di
processi stabiliti dalla natura dello sviluppo, determinato dall’influenza reciproca tra l’uomo e l’ambiente
circostante. Le scienze psicologiche vogliono individuare una sequenza di sviluppo costante per tutta l’età
evolutiva, scandita in fasi che risultano unite da un rapporto di continuità dinamica ogni nuova
esperienza vissuta si aggiunge alle precedenti modificandole e venendo a sua volta modificata:
riorganizzazione di ciò che già esiste. Le teorie cognitive concordano nel sostenere che la mente infantile è
differente sia quantitativamente che qualitativamente da quella dell’individuo adulto. Un notevole
contributo alla conoscenza del funzionamento dei processi cognitivi è stato offerto dagli studi condotti da
Piaget, Vygotskij e Bruner.

Jean Piaget

E’ stato uno psicologo, biologo e pedagogista. Ha studiato i suoi figli, da 1 a 3 anni ha applicato
l’osservazione sistematica, dai 4 anni all’adolescenza si è servito del metodo critico in cui creava situazioni
problematiche sottoforma di gioco invitando i bambini a trovare soluzioni ai problemi. Piaget ha usato un
metodo di indagine che combinava l’osservazione e l’intervista, cioè il colloquio clinico. Presentava un
problema ai bambini e attraverso domande mirate cercava di comprendere le dinamiche del ragionamento
che portavano il bambino a produrre risposte giuste o errate che offsero.

Il ruolo dell’insegnamento nel processo di apprendimento

L’educatore non trasmette solo un sapere cristallizzato ma mette gli allievi nelle migliori condizioni di
apprendimento e nel contempo, di comprendere le correlate dinamiche psicologiche del gruppo. Per Piaget
l’intelligenza è frutto del lavoro attivo del bambino.

Una nuova disciplina: l’epstemologia genetica

Dall’embriologia agli stadi di sviluppo

Lo stadio senso-motorio

Lo stadio senso motorio (prima fase)

Lo stadio senso motorio (seconda fase)

Lo stadio senso motorio (terza fase)


Lo stadio senso motorio (quarta fase)

Lo stadio senso motorio (quinta fase)

Lo stadio senso motorio (sesta fase)

Lo stadio preoperatorio

Lo stadio preoperatorio (prima fase)

Lo stadio preoperatorio (seconda fase)

Lo stadio operatorio concreto

Lo stadio operatorio formale

Lev Semenovic Vygotskij

Confronto con Piaget

La zona di sviluppo prossimale e il processo di interiorizzazione

Jerome Seymour Bruner

Bruner e il pensiero narrativo

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 L’educazione non ha luogo solo nelle aule scolastiche, ma anche, e in pari grado, nelle famiglie, per la strada, nei
luoghi di lavoro, cioè ovunque ci sia un incontro e u confronto tra soggetti diversi. La partecipazione a una cultura
si conferma così una condizione imprescindibile per l’attività mentale.
 Bruner in seguito approfondisce lo studio di due tipi di funzionamento cognitivo: il pensiero logico scientifico
(permette di spiegare ciò che succede) e il pensiero narrativo (permette di interpretare). Il pensiero umano deve
la sua ricchezza alla collaborazione e alla integrazione di questi due tipi di pensiero.

Teorie dell’intelligenza.
1) Spearman = ciascuna attività cognitiva viene compita sulla base del fattore g (capacità generale) e del fattore
s (abilità specifiche). Secondo questa teoria bifattoriale, l’individuo ottiene performance migliori quanto più
è alto il suo fattore g.
2) Thurstone = tentativi di misurare l’intelligenza, lavorando sulla psicometria. La sua teoria si basa su sette
abilità primarie (es. comprensione verbale, capacità numerica) che concorrono, a pari grado di importanza, al
lavoro intellettuale individuale.
3) Sternberg = teoria triarchica dell’intelligenza che si basa su tre modalità interagenti (intelligenza analitica,
pratica e creativa). Per un apprendimento efficace, è necessario che il docente stimoli le tre modalità
intellettive.
4) Gardner = sostituisce l’intelligenza con una visione più dinamica e complessa, distinta in sottofattori
differenziati: non una sola intelligenza ma intelligenze multiple: logico-matematica, spaziale, verbale,
musicale, linguistico-verbale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale. Gardner
sostiene anche che i giovani dispongano di cinque canali strategici per affrontare la vita: intelligenza
disciplinare, intelligenza sintetica, intelligenza creativa, intelligenza rispettosa, intelligenza etica. L’attività
mentale è differenziata, anche se le diverse intelligenze operano sinergicamente. Dunque, bisogna distinguere
l’insegnamento e la didattica in campi di esperienza, così da stimolare le diverse funzioni della mente.
5) Goleman = l’intelligenza emotiva è la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo
nonostante le frustrazioni, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di
pensare, di essere empatici e di sperare. Le cinque caratteristiche base dell’intelligenza emotiva:
consapevolezza di sé, dominio di sé, motivazione, empatia, abilità sociale.

CREATIVITÀ E PENSIERO DIVERGENTE. La creatività potrebbe indicare la capacità di inventare e scoprire,


ma ci sono stante altre definizioni. Per Freud la creatività nasce nel desiderio infantile (tutto il processo farebbe da
ponte fra la vita “fantasmatica” del bambino e la realtà). Per Jung, il processo creativo, visto nella sua espressione
artistica, si può sviluppare secondo due modalità, l’una di tipo psicologico e l’altra di tipo visionario. Per Winnicott
la creatività è una funziona dell’attività sana degli individui ed ha una funzione vitale; è un’esperienza al limite tra
l’illusione e la realtà, tra il mondo interiore e il mondo esterno.
Edward de Bono alla fine degli anni Sessanta elabora la teoria del pensiero laterale dove: pensiero verticale = pensiero
logico, selettivo, sequenziale; pensiero laterale = pensiero che genera nuove idee, esplorativo, consente di essere
creativi. Il pensiero laterale è una forma strutturata di creatività che può essere adoperata in modo sistematico e
deliberato con alcune tecniche di utilizzo (ricerca di alternative, entrata casuale di input, provocazione).
A fronte di una determinata problematica, la nostra valutazione cambia a seconda del punto di osservazione: la mente
umana, infatti, è in grado di cambiare a piacimento la maniera di considerare un fatto. I «sei cappelli per pensare» di
cui parla de Bono favoriscono l’attività di differenti settori della mente tecnica metacognitiva utile per scorporare
il flusso di pensieri, permettendo di esaminare le questioni sotto diversi punti di vista: si indossa un cappello di diverso
colore che rappresentano la concentrazione su determinati aspetti del pensiero.
• Cappello bianco = analisi dei dati, raccolta di informazioni essere neutrali, obiettivi.
• Cappello rosso = emotività, istinti e sentimenti soggettivi, no logica pensare con il cuore.
• Cappello giallo = si rilevano gli aspetti positivi, i vantaggi, le opportunità pensiero costruttivo.
• Cappello nero = si rilevano gli aspetti negativi, tentativo di inserire con imparzialità gli elementi negativi
valutazione
pessimistica.
• Cappello verde = sbocchi creativi, nuove idee, analisi e proposte migliorative, visioni insolite pensiero
creativo
(tecniche del pensiero laterale).

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 L’educazione non ha luogo solo nelle aule scolastiche, ma anche, e in pari grado, nelle famiglie, per la strada, nei
luoghi di lavoro, cioè ovunque ci sia un incontro e u confronto tra soggetti diversi. La partecipazione a una cultura
si conferma così una condizione imprescindibile per l’attività mentale.
 Bruner in seguito approfondisce lo studio di due tipi di funzionamento cognitivo: il pensiero logico scientifico
(permette di spiegare ciò che succede) e il pensiero narrativo (permette di interpretare). Il pensiero umano deve
la sua ricchezza alla collaborazione e alla integrazione di questi due tipi di pensiero.

Teorie dell’intelligenza.
1) Spearman = ciascuna attività cognitiva viene compita sulla base del fattore g (capacità generale) e del fattore
s (abilità specifiche). Secondo questa teoria bifattoriale, l’individuo ottiene performance migliori quanto più
è alto il suo fattore g.
2) Thurstone = tentativi di misurare l’intelligenza, lavorando sulla psicometria. La sua teoria si basa su sette
abilità primarie (es. comprensione verbale, capacità numerica) che concorrono, a pari grado di importanza, al
lavoro intellettuale individuale.
3) Sternberg = teoria triarchica dell’intelligenza che si basa su tre modalità interagenti (intelligenza analitica,
pratica e creativa). Per un apprendimento efficace, è necessario che il docente stimoli le tre modalità
intellettive.
4) Gardner = sostituisce l’intelligenza con una visione più dinamica e complessa, distinta in sottofattori
differenziati: non una sola intelligenza ma intelligenze multiple: logico-matematica, spaziale, verbale,
musicale, linguistico-verbale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale. Gardner
sostiene anche che i giovani dispongano di cinque canali strategici per affrontare la vita: intelligenza
disciplinare, intelligenza sintetica, intelligenza creativa, intelligenza rispettosa, intelligenza etica. L’attività
mentale è differenziata, anche se le diverse intelligenze operano sinergicamente. Dunque, bisogna distinguere
l’insegnamento e la didattica in campi di esperienza, così da stimolare le diverse funzioni della mente.
5) Goleman = l’intelligenza emotiva è la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo
nonostante le frustrazioni, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di
pensare, di essere empatici e di sperare. Le cinque caratteristiche base dell’intelligenza emotiva:
consapevolezza di sé, dominio di sé, motivazione, empatia, abilità sociale.
CREATIVITÀ E PENSIERO DIVERGENTE. La creatività potrebbe indicare la capacità di inventare e scoprire,
ma ci sono stante altre definizioni. Per Freud la creatività nasce nel desiderio infantile (tutto il processo farebbe da
ponte fra la vita “fantasmatica” del bambino e la realtà). Per Jung, il processo creativo, visto nella sua espressione
artistica, si può sviluppare secondo due modalità, l’una di tipo psicologico e l’altra di tipo visionario. Per Winnicott
la creatività è una funziona dell’attività sana degli individui ed ha una funzione vitale; è un’esperienza al limite tra
l’illusione e la realtà, tra il mondo interiore e il mondo esterno.
Edward de Bono alla fine degli anni Sessanta elabora la teoria del pensiero laterale dove: pensiero verticale = pensiero
logico, selettivo, sequenziale; pensiero laterale = pensiero che genera nuove idee, esplorativo, consente di essere
creativi. Il pensiero laterale è una forma strutturata di creatività che può essere adoperata in modo sistematico e
deliberato con alcune tecniche di utilizzo (ricerca di alternative, entrata casuale di input, provocazione).
A fronte di una determinata problematica, la nostra valutazione cambia a seconda del punto di osservazione: la mente
umana, infatti, è in grado di cambiare a piacimento la maniera di considerare un fatto. I «sei cappelli per pensare» di
cui parla de Bono favoriscono l’attività di differenti settori della mente tecnica metacognitiva utile per scorporare
il flusso di pensieri, permettendo di esaminare le questioni sotto diversi punti di vista: si indossa un cappello di diverso
colore che rappresentano la concentrazione su determinati aspetti del pensiero.
• Cappello bianco = analisi dei dati, raccolta di informazioni essere neutrali, obiettivi.
• Cappello rosso = emotività, istinti e sentimenti soggettivi, no logica pensare con il cuore.
• Cappello giallo = si rilevano gli aspetti positivi, i vantaggi, le opportunità pensiero costruttivo.
• Cappello nero = si rilevano gli aspetti negativi, tentativo di inserire con imparzialità gli elementi negativi
valutazione
pessimistica.
• Cappello verde = sbocchi creativi, nuove idee, analisi e proposte migliorative, visioni insolite pensiero
creativo
(tecniche del pensiero laterale).
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• Cappello blu = stabilisce priorità, metodi, sequenze funzionali organizzazione del pensiero per
esplorare un
argomento.
Pensare implica una produzione autonoma di contenuti e una filtrazione dei dati provenienti dall’esterno. Le
componenti emotive intervengono: 1) al momento di compiere una scelta, 2) creazione delle idee (l’idea
appare
razionale ma scaturisce da un atto intuitivo e creativo, non da una sequenza deduttiva e logica), 3) quando un’intuizione
originaria, ancora vaga e informe, viene modellata e raffinata fino ad assumere la sembianza pura e razionale dell’idea.
la creatività è un concetto di non facile definizione. Uno degli approcci possibili alla questione consiste nel vedere
la creatività come un modo particolare di pensare, una maniera di pensare che rompe con i modelli esistenti,
introducendo qualcosa di nuovo. Guilford conia l’espressione pensiero divergente = capacità di produrre una gamma
di possibili soluzioni alternative per una data questione, in particolare per un problema che non prevede un’unica
risposta corretta. Ci aspettiamo che un atto creativo riporti anche l’impronta dell’originalità, ma anche in questo caso
il pensiero divergente avrà un suo ruolo, perché più ampia sarà la gamma di possibilità che siamo in grado di produrre,
più alta sarà la probabilità che una di esse dia prova di novità. Per problemi chiusi (unica soluzione), invece, Guilford
conia l’espressione pensiero convergente = gli individui convergono sull’unica risposta accettabile e producono
efficacemente la soluzione.

3. LE NEUROSCIENZE

INTERAZIONE TRA BIOLOGIA E PSICOLOGIA. L’uomo, di fronte alla sua insufficienza biologica in campo
istintuale, può contrapporre una capacità di adattamento che gli proviene dallo sviluppo dei processi psichici superiori
(pensiero, memoria, linguaggio) e che gli permette di intervenire sul mondo e modificarlo. Per questo la specie umana
è quella maggiormente segnata dal fenomeno dell’apprendimento.
Gli influssi fondamentali di biologia e psicologia sulla pedagogia riguardano il piano dei rapporti tra natura
(patrimonio neuro-fisiologico) e apprendimento, e quello dei rapporti tra intelligenza umana e intelligenza artificiale.
Di fronte a questi binomi la pedagogia dovrà ideare percorsi che favoriscano l’interazione e lo scambio.
Verso la metà del Novecento si sviluppano ricerche che approfondiscono anche il tema dell’analogia tra mente e
computer per chiarire meccanismi e processi dell’intelligenza umana. Ogni cervello è un unicum irripetibile molto
difficile da spiegare. Due prospettive: le neuroscienze approfondiscono la struttura fisica del cervello per analizzarne
il funzionamento; la psicologia si occupa del comportamento dell’uomo analizzandone i processi mentali attraverso
la ricerca sperimentale. La psicologia cognitiva è caratterizzata da un approccio interdisciplinare e il suo obiettivo
consiste nello stabilire una connessione tra lo studio dei comportamenti e delle capacità cognitive negli esseri umani
e nella riproduzione di questi in sistemi artificiali. La psicologia cognitiva è uno dei più importanti movimenti della
psicologia contemporanea secondo il quale la mente umana funziona elaborando attivamente informazioni che le
giungono tramite gli organi sensoriali.
Con il tempo psicologia e neuroscienze si sono incontrate: non si tratta più di dividere studio del corpo e studio della
mente, ma di approfondire il complesso sistema mente-corpo il modo in cui un pensiero si determina dipende da
due elementi: la struttura cerebrale geneticamente determinata e l’influsso culturale dell’ambiente esterno sul cervello.
La pedagogia deve giovarsi delle scoperte in questo campo, valorizzando la capacità evolutiva del cervello-mente: in
questo modo è possibile programmare una strategia di formazione che utilizzi l’ambiente per permettere il massimo e
migliore sviluppo del potenziale mentale. Cinque punti:
1) Offerte formative per l’infanzia: fin dalla nascita il cervello deve nutrissi di informazioni; necessario attrezzare
ambienti
che consentano un esercizio del pensiero che permetta di realizzare al meglio le potenzialità di ogni individuo;
2) Offerte formative tempestive per i periodi critici: individuare i periodi critici in cui determinate
capacità cognitive
emergono per organizzare interventi educativi mirati;
3) Offerte formative che valorizzano le differenze: comprendere e valorizzare le differenze già in età precoce.
4) Qualità della formazione: consapevolezza di quanto l’ambiente esterno influisca sulla formazione
neurologica
dell’individuo.
5) Promozione di un pensiero ecologico: particolare modo di intendere il mondo (compartecipazione
dell’uomo
all’ambiente in cui vive).

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4. SVILUPPO DEL LINGUAGGIO

TAPPE DELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO. I bambini nascono con la capacità di distinguere i suoni
linguistici dagli altri suoni o rumori. I neonati hanno una predilezione per il parlato materno rispetto a quello di
estranei. Le vocazioni prelinguistiche, presenti sin dai primi giorni di vita, progrediscono gradualmente in rapporto
allo sviluppo del controllo motorio sui muscoli preposti all’articolazione dei suoni.
• Fine primo mese: forme di vocalizzazione caratterizzate da suoni vocalici;
• 3-4 mesi: suoni consonantici;
• Metà del primo anno: fase della lallazione (gamma di suoni privi di significato);
• 10-20 mesi: il bambino pronuncia le prime parole singole (olofrasi = parole uniche per comunicare un intero
messaggio);
per attribuire un nome alle cose è necessario che il bambino arrivi a comprendere che gli oggetti sono realtà permanenti
che possono essere accumunati per categorie;
• 18-24 mesi: produzione di frasi composte da più parole con una struttura grammaticale basata su due differenti
categorie
di parole (verbi, aggetti, pronomi da una parte e sostantivi dall’altra); in questo periodo c’è anche un’esplosione del
vocabolario;
• 2-3 anni: complessità grammaticale; le emissioni verbali sono costituite da coppie di parole; compaiono anche
termini
funzionali (articoli) e desinenze;
• 5 anni: il bambino ha acquisito le strutture fondamentali della sua lingua madre.

TEORIE SULLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO. Il linguaggio (capacità di associare suoni e significati per
mezzo di regole grammaticali) è uno dei caratteri peculiari e distintivi dell’essere umano. Imparare a parlare è una
delle imprese più complesse compiute dall’uomo, tanto che gli studi effettuati dalla psicologia, dalla linguistica, dalle
neuroscienze ancora non riescono a fornire spiegazioni definitive in merito.
 Burrhus Skinner ritiene che un soggetto impara a parlare in modo del tutto simile a quello con cui apprende
ogni altra tipologia di comportamento, cioè mediante le sue interrelazioni con l’ambiente, quindi tramite rinforzi
e punizioni apprendimento del linguaggio grazie al condizionamento operane degli adulti. Questa teoria è stata
criticata perché considera il bambino un soggetto passivo, capace solo di rispondere agli impulsi stimolativi e ai
rinforzi esterni.
 Secondo Piaget, lo sviluppo del linguaggio si evolve dall’interno verso l’esterno, ovvero dal potenziale
patrimonio genetico-ereditario innato, alla costruzione della dimensione psichica: da linguaggio incentrato
esclusivamente su di sé a linguaggio sociale.
 Vygotskij invece sostiene che il linguaggio del bambino sia già in origine di tipo sociale perché viene assorbito
in modo inconscio in famiglia e nell’ambiente circostante. Il linguaggio da funzione interpsichica diviene
funzione intrapsichica (alla sua originaria funzione comunicativa si correla quella strumentale del pensiero). Dai
due ai sei anni, il linguaggio si espande e si arricchisce nel lessico e, soprattutto, si articola in due piani diversi,
si cui, uno conserva la funzione di contatto sociale e di normale comunicazione con gli altri, mentre l’altro diventa
linguaggio egocentrico. Vygotskij propone anche la tesi delle tre forme di linguaggio: interiore (emittente e
ricevente coincidono), parlato (emittente è diverso da ricevente che però è presente) e scritto (emittente diverso
da ricevente).
 Avram Noam Chomsky è il massimo esponente della teoria innatista del linguaggio (= gli esseri umani sono
predisposti fin dalla nascita allo sviluppo del linguaggio). Poiché il procedimento di acquisizione di una lingua è
frutto di una facoltà per la maggior parte innata, l’indagine della linguistica deve partire dallo studio della
grammatica mentale. Lo studioso distingue tra: competence (capacità di generare e comprendere l’insieme infinito
di frasi di una lingua) e performance (capacità di costruire concretamente le possibilità offerte dalla competence).
Per Chomsky la manifestazione del linguaggio avviene in seguito alla maturazione di un meccanismo specifico
a base innata, così che il momento della sua comparsa è determinato dal patrimonio genetico del soggetto,
indipendentemente dal contesto sociale.
 Ray Jackendoff ritiene che il pensiero possa funziona perfettamente senza linguaggio; tuttavia quest’ultimo
rende possibili modalità di pensiero più complesse. Il linguaggio allora è più di un semplice mezzo di
comunicazione e di trasmissione culturale; è uno strumento che aiuta a pensare. Jackendoff vuole superare la
concezione meramente comunicativa del linguaggio; la sua argomentazione si basa sul fatto che il linguaggio
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madre, mentre l’individuazione riguarda la graduale assunzione da parte del piccolo delle proprie caratteristiche
individuali.
 Daniel Stern coglie e caratterizza le diverse fasi di “sviluppo di Sé”: Sé emergente, Sé nucleare, Sé soggettivo,
Sé verbale.

L’INDIVIDUO E L’AMBIENTE. L’etologia studia la vita degli animali nel loro habitat naturale e non in laboratorio.
 Konrad Lorenz sottolinea le analogie tra uomini e animali e inoltre sostiene che i fattori che determinano
l’evoluzione siano il cambiamento e la selezione. Questi elementi organizzano modelli di comportamento che
sono funzionali alla specie. Per esempio, l’istinto aggressivo o combattivo ha la specifica funzione di garantire la
sopravvivenza e il miglioramento dell’individuo e della specie. L’aggressività è un istinto e perciò non può essere
soppresso, ma può essere contenuto attraverso dei processi di ridirezione.
 John Bowlby ha condotto l’etologia all’attenzione della psicologia dello sviluppo. Studia l’attaccamento sociale
tra il neonato e la persona che si prende cura di lui che appare alla base di un normale sviluppo della persona.
Secondo Bowlby, il conseguimento del durante l’infanzia avviene dall’appagamento del bisogno di instaurare
legami di affetto e non dal soddisfacimento sessuale.
Il punto di partenza per queste riflessioni è l’osservazione del legame tra madre e figlio nei primati:
riconoscimento della componente biologica del legame di attaccamento il neonato ha bisogno di percepire la
vicinanza e il contatto fisico con una persona di riferimento. Con la crescita, l’attaccamento iniziale con la madre
si modifica e si estende ad altre figure. L’attaccamento può essere sicuro o insicuro. Il modello di attaccamento
che si sviluppa durante i primi anni di vita caratterizza la relazione con la figura di riferimento durante l’infanzia,
ma successivamente diviene un aspetto della personalità e un modello relazionale per i futuri rapporti:
fondamentale sviluppare un tipo di attaccamento adeguato.
 Urie Bronfenbrenner è la figura più rappresentativa della scuola ecologica = il soggetto in fase di sviluppo è
concepito non come una tabula rasa plasmata dall’ambiente circostante, ma come entità dinamica che si sviluppa
e agisce in una propria struttura, in interazione vicendevole e bidimensionale con l’ambiente. Distingue
nell’ambiente ecologico una sequenza ordinata di strutture concentriche inserite l’una nell’altra, che egli
identifica come microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema: all’interno di ognuna di esse il ruolo
è dato dal complesso delle attività e delle relazioni delle persone facenti parte di un determinato contesto sociale
e da ciò che viene posto in essere da altri nei confronti di tali persone la crescita del bambino risulta agevolata
dall’interazione con individui che assumono ruoli diversi.

TEORIE DELLO SVILUPPO EMOTIVO. Emozione = reazione fisica e psichica con cui un soggetto risponde sia
alle situazioni reali nelle quali viene a trovarsi, sia alle proprie elaborazioni mentali. L’emozione e il processo di
cognizione interagiscono intensamente, soprattutto nelle emozioni complesse, ponendosi alla base dei processi
dell’empatia e della motivazione.
Competenza emotiva = capacità di gestire le proprie e le altrui emozioni in modo da relazionarsi in maniera adeguata
con l’ambiente. Negli ultimi anni l’attenzione degli educatori si è rivolta all’alfabetizzazione emozionale, ovvero
all’importanza di promuovere negli individui in formazione lo sviluppo di abilità funzionali al benessere socio-
emotivo.
 Alan Sroufe è padre della teoria della differenziazione emotiva = l’individuo possiede fin dalla nascita un
corredo emotivo indifferenziato e le emozioni si differenziano con lo sviluppo dell’individuo stesso. Delinea otto
stadi (0-5 anni). per lo sviluppo delle emozioni, passando da una eccitazione indifferenziata ad una
differenziazione delle emozioni.
 La teoria differenziale di Izard sostiene che il bimbo possiede sin dalla nascita un corredo emotivo, costituito
da emozioni fondamentali quali la rabbia, la tristezza, la gioia, il disprezzo. L’emozione è dunque
un’organizzazione innata che concorre a motivare un comportamento. Izard pone lo sviluppo emotivo in una forte
relazione genetica con lo sviluppo della coscienza.
 Albert Bandura studia l’influenza dei mass media sui bambini in età prescolare alcuni atteggiamenti, come
l’aggressività, risentono del rinforzo sociale, ovvero del verificare se certe azioni compiute da altri vengono
premiate o punite. L’aggressività dunque aumenta se si osserva che le condotte violente vengono ricompensate.

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madre, mentre l’individuazione riguarda la graduale assunzione da parte del piccolo delle proprie caratteristiche
individuali.
 Daniel Stern coglie e caratterizza le diverse fasi di “sviluppo di Sé”: Sé emergente, Sé nucleare, Sé soggettivo,
Sé verbale.

L’INDIVIDUO E L’AMBIENTE. L’etologia studia la vita degli animali nel loro habitat naturale e non in laboratorio.
 Konrad Lorenz sottolinea le analogie tra uomini e animali e inoltre sostiene che i fattori che determinano
l’evoluzione siano il cambiamento e la selezione. Questi elementi organizzano modelli di comportamento che
sono funzionali alla specie. Per esempio, l’istinto aggressivo o combattivo ha la specifica funzione di garantire la
sopravvivenza e il miglioramento dell’individuo e della specie. L’aggressività è un istinto e perciò non può essere
soppresso, ma può essere contenuto attraverso dei processi di ridirezione.
 John Bowlby ha condotto l’etologia all’attenzione della psicologia dello sviluppo. Studia l’attaccamento sociale
tra il neonato e la persona che si prende cura di lui che appare alla base di un normale sviluppo della persona.
Secondo Bowlby, il conseguimento del durante l’infanzia avviene dall’appagamento del bisogno di instaurare
legami di affetto e non dal soddisfacimento sessuale.
Il punto di partenza per queste riflessioni è l’osservazione del legame tra madre e figlio nei primati:
riconoscimento della componente biologica del legame di attaccamento il neonato ha bisogno di percepire la
vicinanza e il contatto fisico con una persona di riferimento. Con la crescita, l’attaccamento iniziale con la madre
si modifica e si estende ad altre figure. L’attaccamento può essere sicuro o insicuro. Il modello di attaccamento
che si sviluppa durante i primi anni di vita caratterizza la relazione con la figura di riferimento durante l’infanzia,
ma successivamente diviene un aspetto della personalità e un modello relazionale per i futuri rapporti:
fondamentale sviluppare un tipo di attaccamento adeguato.
 Urie Bronfenbrenner è la figura più rappresentativa della scuola ecologica = il soggetto in fase di sviluppo è
concepito non come una tabula rasa plasmata dall’ambiente circostante, ma come entità dinamica che si sviluppa
e agisce in una propria struttura, in interazione vicendevole e bidimensionale con l’ambiente. Distingue
nell’ambiente ecologico una sequenza ordinata di strutture concentriche inserite l’una nell’altra, che egli
identifica come microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema: all’interno di ognuna di esse il ruolo
è dato dal complesso delle attività e delle relazioni delle persone facenti parte di un determinato contesto sociale
e da ciò che viene posto in essere da altri nei confronti di tali persone la crescita del bambino risulta agevolata
dall’interazione con individui che assumono ruoli diversi.

TEORIE DELLO SVILUPPO EMOTIVO. Emozione = reazione fisica e psichica con cui un soggetto risponde sia
alle situazioni reali nelle quali viene a trovarsi, sia alle proprie elaborazioni mentali. L’emozione e il processo di
cognizione interagiscono intensamente, soprattutto nelle emozioni complesse, ponendosi alla base dei processi
dell’empatia e della motivazione.
Competenza emotiva = capacità di gestire le proprie e le altrui emozioni in modo da relazionarsi in maniera adeguata
con l’ambiente. Negli ultimi anni l’attenzione degli educatori si è rivolta all’alfabetizzazione emozionale, ovvero
all’importanza di promuovere negli individui in formazione lo sviluppo di abilità funzionali al benessere socio-
emotivo.
 Alan Sroufe è padre della teoria della differenziazione emotiva = l’individuo possiede fin dalla nascita un
corredo emotivo indifferenziato e le emozioni si differenziano con lo sviluppo dell’individuo stesso. Delinea otto
stadi (0-5 anni). per lo sviluppo delle emozioni, passando da una eccitazione indifferenziata ad una
differenziazione delle emozioni.
 La teoria differenziale di Izard sostiene che il bimbo possiede sin dalla nascita un corredo emotivo, costituito
da emozioni fondamentali quali la rabbia, la tristezza, la gioia, il disprezzo. L’emozione è dunque
un’organizzazione innata che concorre a motivare un comportamento. Izard pone lo sviluppo emotivo in una forte
relazione genetica con lo sviluppo della coscienza.
 Albert Bandura studia l’influenza dei mass media sui bambini in età prescolare alcuni atteggiamenti, come
l’aggressività, risentono del rinforzo sociale, ovvero del verificare se certe azioni compiute da altri vengono
premiate o punite. L’aggressività dunque aumenta se si osserva che le condotte violente vengono ricompensate.
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L’esperienza e l’apprendimento sono posti alla base della costruzione della personalità individuale. Il soggetto
apprende attraverso l’esercizio e l’imitazione; quest’ultima corrisponde all’appropriazione rapida di sistemi
articolati e complessi di un sapere o di un saper fare sulla base delle azioni di altri soggetti. I processi cognitivi
svolgono un ruolo chiave nella spiegazione della personalità: ciascun individuo è in grado di agire attivamente
nel mondo attraverso molteplici capacità tra cui la simbolizzazione, l’anticipazione e capitalizzazione
dell’esperienza altrui, l’autoregolazione.

6. ANALISI DELLA PERSONLAITÀ

Personalità le attuali classificazioni diagnostiche risentono della teoria dei tratti (= approccio improntato ad una
visione empirica della personalità), alla cui base c’è la metodica analisi dei fattori.
Gordon Allport considera la personalità un’unità dinamica nella quale si fondono in modo armonico fattori biologici
e psico-sociali che determinano i modi unici di adattamento dell’individuo all’ambiente; secondo questo approccio
bisogna studiare la persona dal punto di vista delle manifestazioni coscienti, dei desideri e delle aspirazioni. Concetti:
• Tratto = permette di descrivere la personalità e l’unicità di un individuo e comprenderne i vari aspetti. I tratti
(cardinali,
centrali, secondari) sono sistemi neuropsichici generalizzati e focalizzati, tendenze determinanti o
predisposizioni
generali che danno coerenza al comportamento.
• Proprium = rappresenta il punto di arrivo dei processi di crescita psichica del soggetto, vale a dire l’ambito
centrale della
personalità in cui è rintracciabile il nucleo dell’identità personale. Non è innato, si sviluppa nel tempo. Sinonimo di
identità personale e corporea, stima di sé, padronanza delle cose, immagine di sé, consapevolezza.

Henry Murray sostiene la necessità di studiare la personalità con un approccio che esalti la complessità e l’unicità
dell’individuo. Egli considera la motivazione come un elemento centrale per lo studio della personalità = è possibile
conoscere l’individuo partendo dalla conoscenza dei diversi bisogni che in vari modi influenzano la stabilità e lo
sviluppo della personalità. I bisogni sono legati tra loro a vari livelli e generalmente la soddisfazione di bisogni
primari/fisici anticipa e condiziona lo sviluppo e la soddisfazione di quelli secondari/psicologici. Indagare la
personalità di un individuo significa anche approfondire la sua biografia per coglierne le esperienze salienti. L’evento
è l’oggetto più reale e utile per indagare l’interazione tra il bisogno dell’individuo e la pressione ambientale. Di Murray
è il test di Appercezione Tematica (TAT): l’appercezione è una distorsione percettiva, in quanto la nuova esperienza
è assimilata e trasformata dalle tracce di esperienze passate.

Abraham Maslow si concentra sull’analisi della motivazione e la questione dell’autorealizzazione dell’individuo


(distinzione tra pulsione istinto). L’organismo si procura l’oggetto del bisogno usando strategie cognitive non
predeterminate biologicamente. Esiste un’articolata gerarchia dei bisogni stessi che si situa alla base dei processi di
motivazione e che genera percorsi di autorealizzazione del sé. Piramide di Maslow: schematizzazione dei cinque tipi
di bisogni fondamentali (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza e affetto, di stima, di autorealizzazione), organizzati
sulla base della maggiore o minore distanza dall’ambito biologico. Mentre i primi 4 tipi di bisogni concernono
motivazioni da carenza e mirano ad una riduzione della tensione, i bisogni di autorealizzazione corrispondono a vere
e proprie motivazioni da crescita che comportano un aumento di tensione. Nell’approccio di Maslow tutte le categorie
conflittuali della psicodinamica classica (timore, ansia, angoscia) cedono il passo a categorie improntate ad una
psicologia del benessere (entusiasmo, serenità, felicità, autoefficacia).

TEORIE FATTORIALI. Hans Eysenck considera la personalità come la somma totale degli schemi di
comportamento, dichiarandosi nettamente ereditarista: le basi genetiche influenzano circa il 60% del temperamento e
l’80% dell’intelligenza. Eysenck elabora uno strumento di misura della personalità partendo da tre “superfattori”:
estroversione-introversione (gli introversi presentano un elevato livello interno di attivazione/eccitazione e tendono
ad evitare la stimolazione esterna; gli estroversi il contrario), nevroticismo (stabilità/instabilità emotiva), psicoticismo
(si raccolgono elementi di impulsività, ricerca di sensazioni, asocialità, irresponsabilità, autonomia, aggressività).
Raymond Bernard Cattel sostiene che la personalità possa essere descritta attraverso i tratti, cioè strutture mentali
dedotte dall’osservazione del comportamento. L’obiettivo di Cattel è quello di giungere alla formulazione di un

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modello strutturale e dinamico della personalità, in grado di rendere ragione degli aspetti motivazionali del
comportamento umano.

TEORIA DEI “BIG FIVE”. Approccio tra i più condivisi e testati che si basa su: analisi fattoriale (dimensioni che
caratterizzano le differenze individuali) + approccio lessicale (vocabolario della lingua comune indicato come deposito
di elementi in grado di descrivere le differenze individuali). Da qui cinque grandi dimensioni lineari di personalità:
1) Estroversione/introversione
2) Gradevolezza/ostilità (fiducia nell’altro, altruismo, gentilezza…)
3) Coscienziosità (senso del dovere, autodisciplina, puntualità)
4) Stabilità/instabilità emotiva (sicurezza, calma, ansietà)
5) Cultura/intelletto/apertura all’esperienza (creatività, originalità, curiosità intellettuale, fantasia).
Il successo e l’attendibilità di questa teoria ne ha determinato l’utilizzo anche ai fini della valutazione della personalità
nei contesti organizzativi e di lavoro. La valutazione della personalità attraverso il modello dei Big Five può avvenire
mediante la compilazione da parte del soggetto di un questionario oppure mediante la valutazione della condotta in un
contesto di simulazione.
TEORIA DEI COSTRUTTI. George Alexander Kelly conferisce risalto alla costante e attiva modalità di
costruzione-ricostruzione la personalità è considerata come un organismo attivo, unitario e integrato in grado di
proporre specifiche costruzioni mentali di cui i comportamenti esteriori dell’individuo costituiscono l’esito.
“Costrutto” = schemi che l’individuo elabora e codifica per conoscere gli eventi; sono modalità di percezione,
interpretazione e anticipazione; sono dinamici e non statici. Secondo Kelly l’individuo costruisce gli eventi della realtà
nella misura in cui mostra una capacità creativa che gli permette di rappresentarsi l’ambiente, di modificarlo, costruirlo
e adattarlo alle proprie esigenze. La realtà esiste come un dato di fatto che può essere modificato o compreso in modo
diverso da individuo a individuo.

Walter Mischel dopo una lunga serie di ricerche dimostra il fallimento del tradizionale assunto circa la presunta
“coerenza comportamentale” in diversi contesti di un individuo in relazione a uno specifico tratto caratteriale. Le due
analisi mostrano piuttosto che il comportamento di qualsiasi individuo risulta fortemente dipendente da contesti
situazionali. Per Mischel c’è un’evidente variabilità, instabilità e incoerenza nel comportamento umano nelle diverse
situazioni.
si passa dallo studio dei tratti globali indicativi all’analisi sistematica delle attività cognitive del singolo. La
personalità è intesa come un sistema cognitivo-affettivo nel quale assumono particolare rilevo unità cognitivo-affettive
in relazione tra loro, che ne mediano il rapporto con l’ambiente.

7. L’ADOLESCENZA: TEORIA E MODELLI INTERPRETATIVI

Dal secondo dopoguerra, adolescenti e giovani sono considerati come gruppo sociale caratterizzato da gusti, interessi
e comportamenti autonomi, disponibilità economica, tempo libero, creatività, recettività e apertura al cambiamento.
Nasce la “questione giovanile”, riconosciuta a tutti gli effetti anche come questione pedagogica.
L’adolescenza presenza caratteristiche biologiche, psicologiche, sociali. Si tratta di dimensioni spesso strettamente
collegate ma non necessariamente parallele: ad esempio, la maturazione fisica può procedere o seguire la maturazione
psicologica; le richieste sociali possono anticipare o seguire con molto ritardo i cambiamenti nelle altre sfere. Si
percepisce una complessità della condizione giovanile: si ritiene essere un periodo altamente critico e conflittuale, ma
in realtà molti aspetti della crisi adolescenziale dipendono dalle modalità sociali ed educative con cui la comunità
interagisce con gli adolescenti, divenendo spesso fonte di ulteriori conflitti.

TEORIE SULL’ADOLESCENZA: APPROCCIO PSICOANALITICO. Si tende a privilegiare e valorizzare le


determinanti biologiche e inconsce dei fenomeni che riguardano l’adolescenza; si considera questo periodo come fase
naturale dello sviluppo umano.
• Ipotesi del determinismo psichico = l’adolescenza non è una fase evolutiva staccata dalle precedenti ma
rappresenta un
passaggio di integrazione e di ristrutturazione di processi ed eventi avvenuti in precedenza. Inoltre, poiché
nell’adolescenza
si producono delle trasformazioni fisiche e sessuali sconvolgenti, l’approccio psicoanalitico ritiene che in questa fase di
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individui dell’organizzazione, fino a creare una mente collettiva. Cooperazione e fiducia sono i termini chiave, a cui
si aggiungono innovazione e apprendimento mediante i quali le risorse conoscitive e le esperienze sono accumulate e
tradotte in vantaggio competitivo. In queste situazioni, lo stile della leadership deve essere partecipato ed orientato
verso la condivisione delle conoscenze.

STILI DI LEADERSHIP. La leadership è un fattore importante per il miglioramento del processo decisionale in un
gruppo. Esistono vari studi:
• Teoria di Fried Fiedler esistono due stili: leadership orientata al compito (è interessata al fatto che il
gruppo
raggiunga determinati risultati) e quella orientata alla relazione (interessata all’esistenza di buoni rapporti all’interno del
gruppo). Uno non è migliore dell’altro, l’efficacia dipende dalla situazione.
• Daniel Goleman punta su un modello di leader in grado di esercitare la sua influenza sugli stati d’animo e
sui
comportamenti di chi lo circonda. La leadership allora crea risonanza e innesca emozioni positive. Sei tipi di leader:
visionario (condivisione di un obiettivo/sogno), coach (aiutare le prestazioni dei singoli), affiliativo (favorire i rapporti
interpersonali), democratico (ambiente partecipativo), battistrada (raggiunge per primo gli obiettivi proposti, facendo da
apripista), autoritario (invio di direttive che non prevedono replica). Il leader risonante è quello che riesce ad orientare
le
emozioni dei suoi collaboratori in senso positivo, facendo esprimere al meglio le capacità di ciascuno; avviene nei casi
del leader visionario, coach e affiliativo.
Nelle istituzioni scolastiche ed educative, si parla di leadership diffusa e collaborativa, in cui tutti i membri del gruppo
sono in qualche modo leader, influenzandosi a vicenda scopi: proiettare l’istituzione scolastica nella direzione del
cambiamento, avere una visione del futuro, orientare le persone verso gli obiettivi educativi prefissati, curare gli aspetti
relazionali e soprattutto motivazionali del personale, valorizzare le competenze professionali esistenti.

Risorse umane = elemento centrale delle nuove organizzazioni di produzione, soprattutto per quanto riguarda la
concezione della partecipazione alle decisioni di impresa. In futuro, i dipendenti di un’organizzazione lavoreranno
sempre più in team inseriti nelle imprese a rete, disponendo di maggiore autonomia nel completare la mansione affidata
loro.
Conflitto. È da ritenere come fisiologico e facente parte dell’esperienza quotidiana. Evitarlo significa rinunciare a
perseguire degli obiettivi. Il conflitto coinvolge sia la sfera razionale sia quella emozionale (conflitto con altri, conflitto
intrapersonale). È importante gestirlo e reagire ad esso, cercando una soluzione: atteggiamento ontocentrico = il
problema è di entrambi gli avversari del conflitto, la comunicazione è continua e insieme si cerca una soluzione. Nella
scuola la conflittualità è quotidiana: diventa fondamentale gestirla nel miglior modo possibile; si ricorre alla
negoziazione e alla mediazione per tenere compatto il gruppo.
Burnout = quadro sintomatologico individuato in certe professioni nelle quali si è costantemente in rapporto con le
persone e i loro problemi e ce richiedono un impegno emotivo. È una perdita progressiva di energia, motivazione e
interesse, come uno stato di fatica o frustrazione. Tre fasi: stress lavorativo, esaurimento, reazione difensiva. Bisogna
prevenire questo stato, migliorando la gestione delle risorse umane e organizzando interventi capaci di rispondere ai
bisogni sociali del territorio.

10. IL SISTEMA DI RELAZIONI NELLA SCUOLA

L’apprendimento è influenzato da componenti cognitiva ma anche da processi affettivi. Il legame che si instaura tra
docenti e studenti viene inquadrato come una relazione di cura che ha ad oggetto la presa in carico del vissuto affettivo
ed emotivo degli studenti degli studenti. Un insegnante affettivo si apre al dialogo, alla reciprocità e all’ascolto attivo;
è una relazione asimmetria perché è orientata all’apprendimento dell’alunno, ma se l’atteggiamento è di comprensione
empatica, negli studenti cresce la sicurezza emotiva l’insegnante (secondo Carl Rogers) allora diventa una guida
autorevole e assertiva, riconosciuta dagli alunni come persona che possiede competenze oggettive; non genera paura
ma promuove fiducia e si rende protagonista di una relazione stimolante e rassicurante; il docente è quindi un
facilitatore dell’apprendimento.
Relazione educativa: è produttrice di conoscenze; costituisce un incontro che arricchisce tutti i soggetti coinvolti e
crea esperienze. Gli elementi fondanti della relazione sono: (1) caratteristiche della personalità dell’insegnante e
dell’alunno, (2) comunicazione (l’atto educativo e didattico è un rapporto comunicativo intenzionale: il messaggio

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individui dell’organizzazione, fino a creare una mente collettiva. Cooperazione e fiducia sono i termini chiave, a cui
si aggiungono innovazione e apprendimento mediante i quali le risorse conoscitive e le esperienze sono accumulate e
tradotte in vantaggio competitivo. In queste situazioni, lo stile della leadership deve essere partecipato ed orientato
verso la condivisione delle conoscenze.
STILI DI LEADERSHIP. La leadership è un fattore importante per il miglioramento del processo decisionale in un
gruppo. Esistono vari studi:
• Teoria di Fried Fiedler esistono due stili: leadership orientata al compito (è interessata al fatto che il
gruppo
raggiunga determinati risultati) e quella orientata alla relazione (interessata all’esistenza di buoni rapporti all’interno del
gruppo). Uno non è migliore dell’altro, l’efficacia dipende dalla situazione.
• Daniel Goleman punta su un modello di leader in grado di esercitare la sua influenza sugli stati d’animo e
sui
comportamenti di chi lo circonda. La leadership allora crea risonanza e innesca emozioni positive. Sei tipi di leader:
visionario (condivisione di un obiettivo/sogno), coach (aiutare le prestazioni dei singoli), affiliativo (favorire i rapporti
interpersonali), democratico (ambiente partecipativo), battistrada (raggiunge per primo gli obiettivi proposti, facendo da
apripista), autoritario (invio di direttive che non prevedono replica). Il leader risonante è quello che riesce ad orientare
le
emozioni dei suoi collaboratori in senso positivo, facendo esprimere al meglio le capacità di ciascuno; avviene nei casi
del leader visionario, coach e affiliativo.
Nelle istituzioni scolastiche ed educative, si parla di leadership diffusa e collaborativa, in cui tutti i membri del gruppo
sono in qualche modo leader, influenzandosi a vicenda scopi: proiettare l’istituzione scolastica nella direzione del
cambiamento, avere una visione del futuro, orientare le persone verso gli obiettivi educativi prefissati, curare gli aspetti
relazionali e soprattutto motivazionali del personale, valorizzare le competenze professionali esistenti.

Risorse umane = elemento centrale delle nuove organizzazioni di produzione, soprattutto per quanto riguarda la
concezione della partecipazione alle decisioni di impresa. In futuro, i dipendenti di un’organizzazione lavoreranno
sempre più in team inseriti nelle imprese a rete, disponendo di maggiore autonomia nel completare la mansione affidata
loro.
Conflitto. È da ritenere come fisiologico e facente parte dell’esperienza quotidiana. Evitarlo significa rinunciare a
perseguire degli obiettivi. Il conflitto coinvolge sia la sfera razionale sia quella emozionale (conflitto con altri, conflitto
intrapersonale). È importante gestirlo e reagire ad esso, cercando una soluzione: atteggiamento ontocentrico = il
problema è di entrambi gli avversari del conflitto, la comunicazione è continua e insieme si cerca una soluzione. Nella
scuola la conflittualità è quotidiana: diventa fondamentale gestirla nel miglior modo possibile; si ricorre alla
negoziazione e alla mediazione per tenere compatto il gruppo.
Burnout = quadro sintomatologico individuato in certe professioni nelle quali si è costantemente in rapporto con le
persone e i loro problemi e ce richiedono un impegno emotivo. È una perdita progressiva di energia, motivazione e
interesse, come uno stato di fatica o frustrazione. Tre fasi: stress lavorativo, esaurimento, reazione difensiva. Bisogna
prevenire questo stato, migliorando la gestione delle risorse umane e organizzando interventi capaci di rispondere ai
bisogni sociali del territorio.

10. IL SISTEMA DI RELAZIONI NELLA SCUOLA

L’apprendimento è influenzato da componenti cognitiva ma anche da processi affettivi. Il legame che si instaura tra
docenti e studenti viene inquadrato come una relazione di cura che ha ad oggetto la presa in carico del vissuto affettivo
ed emotivo degli studenti degli studenti. Un insegnante affettivo si apre al dialogo, alla reciprocità e all’ascolto attivo;
è una relazione asimmetria perché è orientata all’apprendimento dell’alunno, ma se l’atteggiamento è di comprensione
empatica, negli studenti cresce la sicurezza emotiva l’insegnante (secondo Carl Rogers) allora diventa una guida
autorevole e assertiva, riconosciuta dagli alunni come persona che possiede competenze oggettive; non genera paura
ma promuove fiducia e si rende protagonista di una relazione stimolante e rassicurante; il docente è quindi un
facilitatore dell’apprendimento.
Relazione educativa: è produttrice di conoscenze; costituisce un incontro che arricchisce tutti i soggetti coinvolti e
crea esperienze. Gli elementi fondanti della relazione sono: (1) caratteristiche della personalità dell’insegnante e
dell’alunno, (2) comunicazione (l’atto educativo e didattico è un rapporto comunicativo intenzionale: il messaggio
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trasmesso è diretto verso un fine già determinato), (3) formazione culturale e professionale + metodologie didattiche
utilizzate.
La comunicazione è efficace se raggiunge il destinatario in maniera chiara, precisa e completa. Bisogna anche saper
ascoltare attivamente l’interlocutore. Il docente si trova spesso a comunicare con interlocutori difficili, per cui deve
acquisire tutte le tecniche utili per trasmettere il messaggio. Bisogna: instaurare un rapporto empatico, garantire una
migliore comunicazione con la ridondanza, far sempre corrispondere a un contenuto razionale del linguaggio
un’attenta e adeguata risposta di comportamento emotivo, evitare di valutare gli altri con atteggiamenti moralistici.
Il “sistema classe” si configura come uno spazio di crescita in cui lo studente sviluppa le proprie competenze e la
propria identità. La scuola, quindi, deve essere intesa come un sistema di rapporti in cui i vari operatori si muovono
nella prospettiva di lavorare insieme per trovare soluzioni ai problemi per dialogare.
La scuola ha poi il compito di prestare attenzione ai processi formativi e alla maturazione psicologica e relazionale
degli studenti; essa deve favorire il naturale bisogno di conoscere e sperimentare degli studenti attraverso l’accoglienza
e il dialogo.

Ascolto attivo = relazione di scambio e di comprensione dell’alunno nella sua unicità e irripetibilità in virtù della
quale viene incoraggiato ad aprirsi attraverso l’ascolto empatico e stimolato nel suo cammino di scoperta e di
conoscenza di sé; è funzionale a che ogni alunno si senta accettato e ben voluto, indipendentemente dalle sue
prestazioni scolastiche, dal suo aspetto fisico, dal suo carattere.
Inoltre, una efficace gestione delle dinamiche di gruppo è essenziale per la creazione di un clima positivo senza il
quale non è possibile realizzare un processo di crescita cognitivo ed emotivo. Vanno promossi i comportamenti
cooperativi in classe e di gestione degli inevitabili conflitti che originano dalla socializzazione.

Relazione educativa con i genitori. Genitori e docenti condividono un ruolo fondamentale nel processo educativo
dello studente. Nel patto di corresponsabilità educativa la scuola e la famiglia riconoscono comuni responsabilità. La
scuola è tenuta a favorire questa collaborazione, favorendo il coinvolgimento dei genitori. Un’efficace partnership si
fonda sulla comunicazione reciproca. Il rapporto tra genitori e docenti è molto complesso (costante confronto e
continua negoziazione).

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domestico che è la prima scuola del bambino. A partire da sette anni per il fanciullo inizia il periodo di educazione
vera e propria. Dal 451 a.C. nel Foro vengono esposte le Dodici Tavole che costituiscono le leggi fondamentali della
città; attraverso i valori espressi dalle tavole e l’esempio fornitogli dal padre, il giovane viene avviato alla vita sociale,
nella quel entra a pieno titolo a 16 anni (dalla toga praetexta alla toga virile). Questo sistema educativo entra in crisi
a partire dal III secolo a.C. quando Roma entra in contatto con la cultura greca. Catone sarà uno tra i più grandi
oppositori della penetrazione della cultura greca a Roma e fautore di un percorso educativo ideato per formare il
perfetto oratore (vir bonus dicendi peritus).
Ellenizzazione della cultura romana. Sotto l’influsso dell’ellenismo l’attaccamento al mos maiorum comincia ad
apparire qualcosa di anacronistico e di superato. I giovani vengono educati da schiavi greci (es. Livio Andronico);
vengono istituite scuole finanziate dalle famiglie degli alunni. Il curricolo di studi è molto vicino a quello delle scuole
greche e suddiviso in tre fasi: scuola primaria, secondaria e superiore. Le scuole di retorica compaiono dal II secolo
a.C.: il retor (maestro di retorica) esercita un lavoro molto complesso perché deve far sì che i giovani acquisiscano
l’arte della parola, unita alle competenze giuridico-amministrative e a una solida cultura. Una grande opera di
mediazione tra la cultura greca e quella romana è compita da Marco Tullio Cicerone il cui progetto pedagogico prevede
proprio l’innesto del sapere greco su quello romano; il risultato del percorso educativo non è formare il retore, ma
l’oratore (professionista della parola, dotato di grande cultura e sensibilità psicologica). Viene introdotto il concetto
di humanitas = tipo di formazione teso a esaltare il più grande livello di umanità che l’uomo possa raggiungere
attraverso l’educazione interiore e la politica.
Ideale educativo dell’età imperiale. Lo Stato cerca di intervenire in modo sempre più incisivo nell’educazione perché
comprende l’importanza della scuola nella romanizzazione della cultura in un impero sempre più vasto ed eterogeneo.
Cominciano ad essere rilasciati titoli ufficiali a grammatici e retori. Aumentano le scuole primarie in tutte le regioni
occidentali dell’impero per diffondere l’alfabetizzazione. Il nome e la fama di Marco Fabio Quintiliano sono legati
alla composizione dell’Institutio oratoria, un trattato in 12 libri sulla preparazione degli insegnanti. Quintiliano diviene
il primo professore pubblico di eloquenza a Roma; ripropone l’ideale ellenistico di una formazione basata su una
cultura enciclopedica, introducendo però anche delle osservazioni didattiche. Poi si fa promotore di una scuola
pubblica; per quanto riguarda l’insegnamento ritiene che esso debba essere graduale e adeguarsi ai ritmi e alle modalità
di apprendimento dei singoli allievi. Il curricolo scolastico si divide in due gradi: quello della grammatica (carattere
linguistico) e quello di retorica.

Pedagogia del Cristianesimo. Con il Cristianesimo si assiste a una vera e propria rivoluzione culturale. Nasce presto
un nuovo modello di società ispirata e sorretta dai valori del Vangelo che trova nella Chiesa la sua guida. Centrale
diventa la vita religiosa e il processo educativo personale e comunitario: educare significa educare alla charitas,
all’amore per il prossimo. L’educatore deve quindi essere portatore del messaggio di Cirsto, unica autorità e solo vero
maestro. La vera rivoluzione avviene infatti nel modo di concepire la parola, il pedagogo, il maestro, il pensiero.
L’autentica parola, il pensiero, il logos coincidono con Dio, con Cristo: nessuno può dichiararsi tale perché nessuno
può fruire dell’autonomia, della verità e del sapere. La famiglia cristiana tende a diventare un centro di vita spirituale
e a svolgere un ruolo fondamentale nell’educazione dei figli.
 Clemente Alessandrino: elabora un vero e proprio programma educativo che media tra dottrina cattolica e
tradizione
filosofica pagana precedente. Per Clemente il Cristianesimo è portatore di una nuova paideia: l’intero curricolo
delle
discipline ellenistiche viene recuperato, come esercitazione propedeutica alla religione e alla conoscenza interiore.
 Agostino: imbevuto di cultura greco-romana, ha integrato filosofia antica e tradizioni bibliche. Sul piano
pedagogico può
essere considerato il maestro dell’Occidente cristiano; ritiene che l’educazione debba essere un processo di tipo
dialettico
attraverso cui l’uomo penetra nella propria coscienza e vi fa luce, perché in se stesso troverà la verità. Agostino afferma
che
il principio fondamentale dell’educazione è l’autoformazione: operando con le parole e con gli altri segni, si resta
sempre in
un universo fatto di parole (il maestro diventa inutile); la mente dell’uomo deve allora disporsi ad accettare
un’esperienza
diretta della verità (che non avviene attraverso segni), un’esperienza che deve essere vissuta interamente nella
propria
interiorità. L’esperienza diretta della verità è possibile perché la verità sta nella persona, e questa verità è Dio stesso,
non un
corpo di dottrine.
Monachesimo. Tra il IV e il VI secolo la chiesa cattolica assume un ruolo preminente non solo in campo spirituale,
ma anche in campo sociale e politico. Si afferma il monachesimo (prima in Oriente), con la conseguente diffusione di
conventi o monasteri. In Italia e in Europa, i monaci si rendono utili alla comunità attraverso la loro opera lavorativa

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domestico che è la prima scuola del bambino. A partire da sette anni per il fanciullo inizia il periodo di educazione
vera e propria. Dal 451 a.C. nel Foro vengono esposte le Dodici Tavole che costituiscono le leggi fondamentali della
città; attraverso i valori espressi dalle tavole e l’esempio fornitogli dal padre, il giovane viene avviato alla vita sociale,
nella quel entra a pieno titolo a 16 anni (dalla toga praetexta alla toga virile). Questo sistema educativo entra in crisi
a partire dal III secolo a.C. quando Roma entra in contatto con la cultura greca. Catone sarà uno tra i più grandi
oppositori della penetrazione della cultura greca a Roma e fautore di un percorso educativo ideato per formare il
perfetto oratore (vir bonus dicendi peritus).
Ellenizzazione della cultura romana. Sotto l’influsso dell’ellenismo l’attaccamento al mos maiorum comincia ad
apparire qualcosa di anacronistico e di superato. I giovani vengono educati da schiavi greci (es. Livio Andronico);
vengono istituite scuole finanziate dalle famiglie degli alunni. Il curricolo di studi è molto vicino a quello delle scuole
greche e suddiviso in tre fasi: scuola primaria, secondaria e superiore. Le scuole di retorica compaiono dal II secolo
a.C.: il retor (maestro di retorica) esercita un lavoro molto complesso perché deve far sì che i giovani acquisiscano
l’arte della parola, unita alle competenze giuridico-amministrative e a una solida cultura. Una grande opera di
mediazione tra la cultura greca e quella romana è compita da Marco Tullio Cicerone il cui progetto pedagogico prevede
proprio l’innesto del sapere greco su quello romano; il risultato del percorso educativo non è formare il retore, ma
l’oratore (professionista della parola, dotato di grande cultura e sensibilità psicologica). Viene introdotto il concetto
di humanitas = tipo di formazione teso a esaltare il più grande livello di umanità che l’uomo possa raggiungere
attraverso l’educazione interiore e la politica.
Ideale educativo dell’età imperiale. Lo Stato cerca di intervenire in modo sempre più incisivo nell’educazione perché
comprende l’importanza della scuola nella romanizzazione della cultura in un impero sempre più vasto ed eterogeneo.
Cominciano ad essere rilasciati titoli ufficiali a grammatici e retori. Aumentano le scuole primarie in tutte le regioni
occidentali dell’impero per diffondere l’alfabetizzazione. Il nome e la fama di Marco Fabio Quintiliano sono legati
alla composizione dell’Institutio oratoria, un trattato in 12 libri sulla preparazione degli insegnanti. Quintiliano diviene
il primo professore pubblico di eloquenza a Roma; ripropone l’ideale ellenistico di una formazione basata su una
cultura enciclopedica, introducendo però anche delle osservazioni didattiche. Poi si fa promotore di una scuola
pubblica; per quanto riguarda l’insegnamento ritiene che esso debba essere graduale e adeguarsi ai ritmi e alle modalità
di apprendimento dei singoli allievi. Il curricolo scolastico si divide in due gradi: quello della grammatica (carattere
linguistico) e quello di retorica.

Pedagogia del Cristianesimo. Con il Cristianesimo si assiste a una vera e propria rivoluzione culturale. Nasce presto
un nuovo modello di società ispirata e sorretta dai valori del Vangelo che trova nella Chiesa la sua guida. Centrale
diventa la vita religiosa e il processo educativo personale e comunitario: educare significa educare alla charitas,
all’amore per il prossimo. L’educatore deve quindi essere portatore del messaggio di Cirsto, unica autorità e solo vero
maestro. La vera rivoluzione avviene infatti nel modo di concepire la parola, il pedagogo, il maestro, il pensiero.
L’autentica parola, il pensiero, il logos coincidono con Dio, con Cristo: nessuno può dichiararsi tale perché nessuno
può fruire dell’autonomia, della verità e del sapere. La famiglia cristiana tende a diventare un centro di vita spirituale
e a svolgere un ruolo fondamentale nell’educazione dei figli.
 Clemente Alessandrino: elabora un vero e proprio programma educativo che media tra dottrina cattolica e
tradizione
filosofica pagana precedente. Per Clemente il Cristianesimo è portatore di una nuova paideia: l’intero curricolo
delle
discipline ellenistiche viene recuperato, come esercitazione propedeutica alla religione e alla conoscenza interiore.
 Agostino: imbevuto di cultura greco-romana, ha integrato filosofia antica e tradizioni bibliche. Sul piano
pedagogico può
essere considerato il maestro dell’Occidente cristiano; ritiene che l’educazione debba essere un processo di tipo
dialettico
attraverso cui l’uomo penetra nella propria coscienza e vi fa luce, perché in se stesso troverà la verità. Agostino afferma
che
il principio fondamentale dell’educazione è l’autoformazione: operando con le parole e con gli altri segni, si resta
sempre in
un universo fatto di parole (il maestro diventa inutile); la mente dell’uomo deve allora disporsi ad accettare
un’esperienza
diretta della verità (che non avviene attraverso segni), un’esperienza che deve essere vissuta interamente nella
propria
interiorità. L’esperienza diretta della verità è possibile perché la verità sta nella persona, e questa verità è Dio stesso,
non un
corpo di dottrine.
Monachesimo. Tra il IV e il VI secolo la chiesa cattolica assume un ruolo preminente non solo in campo spirituale,
ma anche in campo sociale e politico. Si afferma il monachesimo (prima in Oriente), con la conseguente diffusione di
conventi o monasteri. In Italia e in Europa, i monaci si rendono utili alla comunità attraverso la loro opera lavorativa
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e sociale, organizzando anche delle scuole. I monaci diventano così un vero e proprio punto di riferimento morale per
le popolazioni che vedono la vita civile romana sfaldarsi nella violenza.
Rinascita carolingia. L'obiettivo di Carlo Magno e di restaurare un imperium legittimato dalla continuità con la
tradizione di Roma e sotto l'egida del Cristianesimo. In campo culturale incoraggia la nascita di scuole vescovile dove
si possono formare sacerdoti capaci di interpretare e diffondere la parola di Cristo. Intorno a sé raccoglie un gruppo di
dotti che formano la cosiddetta scuola palatina; presso questa scuola vengono istituiti istruiti ed educati i figli di Carlo
Magno e quelli dei più eminenti personaggi politici. Dal 789 si stabilisce l'istituzione in ogni monastero e sede
vescovile di scuole nelle quali si impari a leggere, si apprendono elementi di grammatica, canto e aritmetica. Risale a
questo periodo l'istituzione degli scriptoria, in cui gli amanuensi trascrivono i manoscritti della letteratura classica.
Università. La trasformazione maggiore verificatesi nell’ambito dell’istruzione superiore del Basso Medioevo è la
nascita delle università intorno all'inizio del XII secolo. Gli studenti cominciano ad affluire da diversi paesi in alcune
città che hanno acquistato fama per gli insegnamenti impartiti nelle loro scuole. Le università sono all'inizio delle
corporazioni di studenti, di docenti, oppure di docenti e studenti insieme, che si uniscono per difendere i propri interessi
in un centro didattico e di ricerca. Le facoltà all'interno di questi centri sono 4: arti liberali, diritto, medicina e teologia.
Tommaso d’Aquino. Opera una sintesi culturale delle tradizioni filosofiche e pedagogiche del suo tempo. Riprende
il tema dell'educazione e il problema di chi sia il maestro rifacendosi ad Agostino e affermando che il maestro è
essenzialmente Cristo. Tommaso riserva alla ragione dell'uomo un posto diverso rispetto alla fede; per Tommaso la
ragione va considerata in modo del tutto autonomo e indipendente dalla fede. Distingue due forme di educazione: la
prima ha un carattere passivo e si ha quando un uomo insegna a un altro attraverso segni (parole); la seconda ha un
carattere attivo e si ha quando un uomo con la propria intelligenza impara da se stesso. La conoscenza per Tommaso
è un processo che si svolge per gradi: l’intelletto del discente possiede la conoscenza ma solo in potenza; è il docente
che riesce a farla passare dalla potenza all'atto.

2. DALL’UMANESIMO AL POSITIVISMO

Il Rinascimento ha segnato il passaggio dall’età medievale all’età moderna, ponendo al centro dell’universo l’uomo.
Gli studiosi ritengono che la centralità del rapporto con i classici in campo culturale sia l’elemento che unisce
l’Umanesimo al Rinascimento: le hamanae litterae e gli studia humanitatis sono considerati strumenti che formano
l’uomo completo. La centralità dell’individuo ha determinato l’affermarsi di criteri dell’educazione già moderni:
aderenza alla psicologia dell’alunno, gradualità, viene riconosciuta la specificità del bambino. Numerosi intellettuali
hanno elaborato piani educativi, programmi e metodi di studio, tesi allo sviluppo armonico di tutte le virtualità con
l’intento di formare un uomo completo.
 Francesco Petrarca: ha inaugurato la stagione dell’Umanesimo letterario. È il primo a sintetizzare il pensiero
educativo
dell’Umanesimo: l’uomo diviene tale attraverso la costruzione morale di sé che si realizza nella cultura (= cura animi).
Educazione degli adulti = autoformazione che si realizza attraverso lo studio delle opere letterarie degli antichi (metro
di
paragone per confrontarsi con se stessi).
 Pier Paolo Vergerio: la formazione del principe, cui è rivolta l’attenzione di Vergerio, è basata sull’impegno
educativo
dei genitori e su un’educazione liberale. L’educatore deve osservare le tendenze più naturali del fanciullo e impostare su
di esse la propria azione educativa.
 Scuola giocosa: fondata da Vittorino da Feltre che propone un apprendimento delle arti in forma ludica.
La sua
concezione pedagogica si basa su una chiara sintesi del messaggio cristiano e del pensiero educativo classico. Gli alunni
sono educati con una pratica severa ma amorosa; lo studio è alternato al gioco e a esercizi fisici; il corso è diviso in
grammatica, dialettica e retorica.
 Guarino Guarini: l’educazione ha il solo scopo di rendere l’uomo partecipe di umanità = un “tutto
armonico” da
perseguire attraverso gli esercizi ginnici e quelli per la mente. Spetta ai genitori e poi al maestro il compito di guidare i
bambini verso questo percorso. È importante che i maestri siano preparati. La Scuola di Ferrara da lui fondata
comprende
tre corsi: elementare, grammaticale, retorico.
 Leon Battista Alberti: la condizione indispensabile dell’educazione è la famiglia. Il ruolo fondamentale
nell’educazione
dei figli spetta al padre. In questo nuovo clima culturale, alcuni maestri cominciano a tenere lezioni a piccoli gruppi di
allievi, dando vita alle prime scuole-convitto; nascono le prime accademie per la divulgazione e la formazione.
 Maffeo Vegio: sostiene l’importanza dell’acquisizione da parte dei fanciulli delle buone pratiche, le uniche che
possano
rendere l’uomo felice: cura intellettuale, virtù e preparazione fisica. È compito dei genitori istruire i figli nelle lettere e

22
nelle belle arti. L’educazione ha anche una finalità civile, in nome dell’utilità della socializzazione, e il lavoro è una
forma di educazione morale.
La pedagogia umanistica europea appare profondamente influenzata dalla Riforma protestante che propone un
progetto pedagogico che include una revisione globale della figura dell’educatore, dei metodi e delle concezioni.
 Erasmo da Rotterdam: delinea la figura del perfetto educatore = maestri adeguati culturalmente e
psicologicamente. Il
ruolo della filosofia è centrale nella formazione di uomini liberi.
 François Rabelais: condanna la disciplina imposta e ogni forma di regola e sostiene che le facoltà del fanciullo
devono
essere sviluppate tutte al massimo livello (libera espressione della personalità individuale).
 Michel de Montaigne: concezione pedagogica che mira a un’educazione intesa come formazione di una
personalità
autonoma. L’errore è nel modo in cui si apprende, non nel contenuto: non è importante la quantità di nozioni apprese,
ma la qualità. Il metodo educativo allora deve adeguarsi alle capacità di ragionamento dell’allievo e non a quanto sia
capace di ricordare.

PEDAGOGIA DELLA RIFORMA. La Riforma protestante ha fatto cadere l ruolo di mediazione della Chiesa
cattolica, promuovendo un movimento di alfabetizzazione popolare dettato dalla necessità di mettere i credenti in
condizione di accostarsi direttamente alla parola di Dio scritta nella Sacra Bibbia.
 Martin Lutero: la libera interpretazione dei testi presuppone la capacità di leggere, per cui occorre fornire a
tutti
un’istruzione elementare, obbligatoria e gratuita. È necessario anche che nella scuola si apprenda con piacere.
 Melantone: artefice di un’intensa opera di riforma della scuola germanica. Ha avuto il merito di elaborare la
struttura
del curricolo delle scuole, il quale prevedeva tre cicli e attribuiva grande valore formativo allo studio dei testi classici.
Veniva introdotto lo studio della matematica nelle università e della filosofia nel programma delle superiori.
 Giovanni Calvino: in Svizzera prescrive la frequenza scolastica per tutti. Attribuisce ampio valore formativo allo
studio
delle lingue e delle scienze secolari.
PEDAGOGIA DELLA CONTRORIFORMA. Per ribadire l’autorità della Chiesa e combattere la diffusione
dell’eresia, vengono fondati nuovi ordini religiosi insegnanti. Si diffonde maggiore attenzione alla formazione del
clero e della classe dirigente; sono riaffrontati i grandi problemi dell’educazione popolare e femminile. Si presenta
l’esigenza di creare nuove scuole.
 Ignazio di Loyola: l’educazione serve per orientare le anime verso il loro destino ultraterreno. La cultura è uno
strumento
adatto a favorire la fede in Dio; la cultura diventa il mezzo per favorire l’obbedienza assoluta alla fede cristiana. Gli
studi
letterari e filosofici sono condotti a opera dell’insegnante secondo la gradualità del percorso. L’approccio allo studio è
fondato sull’interesse attivo da parte dei discenti, sul massimo profitto e sull’eccellenza. I Gesuiti (di cui Ignazio è
fondatore) danno molta importanza agli studi superiori (non alla scuola primaria): il corso umanistico è costituito da
cinque classi (tre di grammatica, una di humanitas e una di retorica). La cultura umanistica, però, viene purificata dai
contenuto non propriamente religiosi. La scuola gesuitica attribuisce un ruolo centrale all’emulazione e al possesso
personale delle nozioni, ma ritiene fondamentale anche lo sviluppo dell’iniziativa personale.
 Padri Somaschi e Barnabiti sono due ordini fondati tra il 1532 e il 1533 in Lombardia e dedicati all’educazione
popolare
e all’assistenza ai poveri. Propongono un programma di alfabetizzazione e di educazione al lavoro (ritenuto un valore
formativo). Per l’educazione femminile c’è l’istituzione delle Orsoline.
 Carlo Borromeo: realizza numerose iniziative per l’istruzione superiore; rivolge la sua attenzione alla formazione
del
clero (all’indomani del Concilio di Trento). Riprende precetti pedagogici quali: il dovere educativo dei
genitori,
l’importanza della continuità fra famiglia e scuola, la subordinazione fra educazione privata ed educazione pubblica e
l’importanza sociale di una ortodossa formazione religiosa.
METODOLOGIA EDUCATIVA DEL SEICENTO. L’inglese Francis Bacon sostiene che la costruzione di un
sapere fondato sull’esperienza e la testimonianza dei sensi abbia il suo presupposto fondamentale nella liberazione
della mente dal pregiudizio (solo mediante un metodo induttivo e sperimentale è possibile una conoscenza profonda
della natura). La concezione baconiana (sapere è potere) porta a una revisione del piano pedagogico: i curricoli e
l’organizzazione scolastica si pongono come obiettivo la formazione di uomini capaci di agire efficacemente nella
propria società.
COMENIO E L’EDUCAZIONE PROTESTANTE. Comenio è l’ultimo e più grande erede dello spirito religioso
della Riforma protestante; vero innovatore della pedagogia del XVII secolo. Ha ideato un piano organico delle
istituzioni scolastiche e della didattica. Ha individuato nella diffusione universale del sapere (pansofia) una palingenesi
dell’umanità: dal momento che tutto trae origine da un unico creatore, è naturale una unitarietà del sapere che trova in
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e la vita stessa del bambino. Affinché l'azione educativa possa assecondare e sviluppare le potenzialità inespresse e le
modalità vitali dell'educando, è necessario elaborare una teoria dello sviluppo. A fondamento di tale teoria vi è la
continuità, in quanto ogni fase successiva si costruisce su ciò che è stato appreso nella fase precedente, e ogni
interruzione netta risulterebbe dannosa. Secondo Fröbel, Il vero compito dell'educatore consiste nel fungere da
mediatore fra l'allieva e la natura interiore ed esteriore, aiutando l'allieva a scoprire la propria legge interiore e a
sottomettervisi.
IL PROGETTO PEDAGOGICO DI JOHANN PESTALOZZI. Secondo Pestalozzi, l’educando deve essere
guidato all’acquisizione della socialità e della moralità. L’attività educativa deve trovare soprattutto nella famiglia il
centro per la formazione sociale e morale. Natura e società, nella pedagogia di Pestalozzi, diventano termini che
interagiscono tra loro: soltanto lo stato sociale può disciplinare e rendere armoniche le contraddizioni e gli egoismi
dello stato di natura e rendere possibile il fine ultimo dell’educazione, ovvero la conquista dello stato morale. Il metodo
di insegnamento (naturale ed intuitivo) si basa su tre principi (necessità meccanica, organicità e continuità, vicinanza
e lontananza) e su tre forme (forza del cuore, forza dell’intelletto, forza dell’arte). Queste tre forme dell’intuizione
sono inseparabili nel processo educativo. L’educatore ha il compito non solo di sviluppare le attività morali,
intellettuali e pratiche già in possesso dall’educando, ma anche di trasformare le intuizioni oscure in rappresentazioni
chiare e in concetti distinti.
EDUCAZIONE DELLA DONNA. ALBERTINA DE SAUSSURE, esponente del movimento pedagogico svizzero
della prima metà dell’Ottocento, ritiene che l’educazione debba essere una conquista della libertà interiore attraverso
obbedienza e rinuncia, essendo la natura umana incline alla corruzione. L’educazione deve essere progressiva e
integrale; il fine del percorso educative consisterà nel dare all’allievo la volontà e i mezzi per pervenire un giorno alla
perfezione di cui sarà capace. A proposito dell’educazione femminile, de Saussure rivendica per il genere femminile
un cammino educativo di perfezionamento parallelo a quello maschile.
HERBART E L’ISTRUZIONE EDUCATIVA. Pone le basi della pedagogia contemporanea; sostiene la necessità
di una sistemazione generale del sapere pedagogico, che ne garantisca nella pratica la validità, creando una scienza
dell'educazione. Herbart sostiene che la formazione del carattere dipenda dall'educatore, ma anche dalle circostanze
esteriori e dai mezzi a disposizione. Il controllo da parte di educatore è indispensabile nell’attività educativa:
l'educatore avrà un doppio compito, ovvero quello di osservare e dirigere da un lato la parte oggettiva, dall'altro la
parte soggettiva del carattere. Il curricolo scolastico deve tenere sempre presenti i due cardini su cui si fonda
l’educazione: umanità (storia e letteratura) e scienza (matematica). Herbart ha suggerito l’idea di predisporre itinerari
didattici per episodi (unità didattiche) che hanno il merito di sviluppare l’interesse multilaterale, dando anche la
possibilità di approfondimento.

IL RISORGIMENTO COME PROBLEMA EDUCATIVO. Durante il Risorgimento si verifica un importante


collegamento fra il momento educativo religioso e la realtà sociopolitica italiana. Ci sono nuove sperimentazioni
metodologiche e il problema dell’educazione popolare diventa centrale.
 Gian Domenico Romagnosi: pone l’educazione tra i fattori che favoriscono la socialità e la convivenza civile.
Obiettivo
dell’educazione è formare l’uomo in quanto essere razionale, in modo tale da permettere alla mente di svolgere le
proprie
funzioni. Sostiene che, per essere proficua, l’azione educativa deve tener presenti tre “opportunità”: logica (le nozioni
devono
essere comunicate in successione e proposte secondo il principio della continuità), morale (le nozioni devono rimanere
impresse nell’animo dell’alunno) e fisica (le nozioni devono essere proporzionate al grado di maturità e di sviluppo
mentale
dell’alunno). Nel legame tra rinnovamento scolastico e benessere dello Stato è evidente l’influsso del pensiero
illuministico.
 Antonio Rosmini: sacerdote e teologo, sostiene che il fine supremo dell’educazione sia Dio: la conoscenza e
l'amore di Dio devono costituire la parte essenziale dell'educazione; le altre discipline avranno dunque nella
religione il loro fondamento e coronamento. Propone una pedagogia cattolica e il principio a fondamento del suo
metodo è la legge della gradualità: l'alunno deve apprendere secondo un processo naturale, partendo da ciò che
sa per poi passare a ciò che non conosce (dall’universale al particolare).
 Giuseppe Mazzini: inserisce il problema dell'educazione popolare nazionale in un discorso più ampio di
educazione
dell'umanità: senza educazione nazionale non esiste moralmente la nazione. Solo con la elevazione morale e
politica del popolo, mediante il perfezionamento dell’intelletto pubblico, è possibile il Risorgimento italiano.
Mazzini ha concepito il suo ideale di nazione come prodotto di un processo educativo.
 Don Bosco e i Salesiani: Don Bosco sostiene che il problema dell'educazione popolare debba essere affrontato
con
spirito caritatevole, come necessità di assicurare ai giovani un'istruzione, ma anche il soddisfacimento di tutti i

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e la vita stessa del bambino. Affinché l'azione educativa possa assecondare e sviluppare le potenzialità inespresse e le
modalità vitali dell'educando, è necessario elaborare una teoria dello sviluppo. A fondamento di tale teoria vi è la
continuità, in quanto ogni fase successiva si costruisce su ciò che è stato appreso nella fase precedente, e ogni
interruzione netta risulterebbe dannosa. Secondo Fröbel, Il vero compito dell'educatore consiste nel fungere da
mediatore fra l'allieva e la natura interiore ed esteriore, aiutando l'allieva a scoprire la propria legge interiore e a
sottomettervisi.
IL PROGETTO PEDAGOGICO DI JOHANN PESTALOZZI. Secondo Pestalozzi, l’educando deve essere
guidato all’acquisizione della socialità e della moralità. L’attività educativa deve trovare soprattutto nella famiglia il
centro per la formazione sociale e morale. Natura e società, nella pedagogia di Pestalozzi, diventano termini che
interagiscono tra loro: soltanto lo stato sociale può disciplinare e rendere armoniche le contraddizioni e gli egoismi
dello stato di natura e rendere possibile il fine ultimo dell’educazione, ovvero la conquista dello stato morale. Il metodo
di insegnamento (naturale ed intuitivo) si basa su tre principi (necessità meccanica, organicità e continuità, vicinanza
e lontananza) e su tre forme (forza del cuore, forza dell’intelletto, forza dell’arte). Queste tre forme dell’intuizione
sono inseparabili nel processo educativo. L’educatore ha il compito non solo di sviluppare le attività morali,
intellettuali e pratiche già in possesso dall’educando, ma anche di trasformare le intuizioni oscure in rappresentazioni
chiare e in concetti distinti.
EDUCAZIONE DELLA DONNA. ALBERTINA DE SAUSSURE, esponente del movimento pedagogico svizzero
della prima metà dell’Ottocento, ritiene che l’educazione debba essere una conquista della libertà interiore attraverso
obbedienza e rinuncia, essendo la natura umana incline alla corruzione. L’educazione deve essere progressiva e
integrale; il fine del percorso educative consisterà nel dare all’allievo la volontà e i mezzi per pervenire un giorno alla
perfezione di cui sarà capace. A proposito dell’educazione femminile, de Saussure rivendica per il genere femminile
un cammino educativo di perfezionamento parallelo a quello maschile.
HERBART E L’ISTRUZIONE EDUCATIVA. Pone le basi della pedagogia contemporanea; sostiene la necessità
di una sistemazione generale del sapere pedagogico, che ne garantisca nella pratica la validità, creando una scienza
dell'educazione. Herbart sostiene che la formazione del carattere dipenda dall'educatore, ma anche dalle circostanze
esteriori e dai mezzi a disposizione. Il controllo da parte di educatore è indispensabile nell’attività educativa:
l'educatore avrà un doppio compito, ovvero quello di osservare e dirigere da un lato la parte oggettiva, dall'altro la
parte soggettiva del carattere. Il curricolo scolastico deve tenere sempre presenti i due cardini su cui si fonda
l’educazione: umanità (storia e letteratura) e scienza (matematica). Herbart ha suggerito l’idea di predisporre itinerari
didattici per episodi (unità didattiche) che hanno il merito di sviluppare l’interesse multilaterale, dando anche la
possibilità di approfondimento.

IL RISORGIMENTO COME PROBLEMA EDUCATIVO. Durante il Risorgimento si verifica un importante


collegamento fra il momento educativo religioso e la realtà sociopolitica italiana. Ci sono nuove sperimentazioni
metodologiche e il problema dell’educazione popolare diventa centrale.
 Gian Domenico Romagnosi: pone l’educazione tra i fattori che favoriscono la socialità e la convivenza civile.
Obiettivo
dell’educazione è formare l’uomo in quanto essere razionale, in modo tale da permettere alla mente di svolgere le
proprie
funzioni. Sostiene che, per essere proficua, l’azione educativa deve tener presenti tre “opportunità”: logica (le nozioni
devono
essere comunicate in successione e proposte secondo il principio della continuità), morale (le nozioni devono rimanere
impresse nell’animo dell’alunno) e fisica (le nozioni devono essere proporzionate al grado di maturità e di sviluppo
mentale
dell’alunno). Nel legame tra rinnovamento scolastico e benessere dello Stato è evidente l’influsso del pensiero
illuministico.
 Antonio Rosmini: sacerdote e teologo, sostiene che il fine supremo dell’educazione sia Dio: la conoscenza e
l'amore di Dio devono costituire la parte essenziale dell'educazione; le altre discipline avranno dunque nella
religione il loro fondamento e coronamento. Propone una pedagogia cattolica e il principio a fondamento del suo
metodo è la legge della gradualità: l'alunno deve apprendere secondo un processo naturale, partendo da ciò che
sa per poi passare a ciò che non conosce (dall’universale al particolare).
 Giuseppe Mazzini: inserisce il problema dell'educazione popolare nazionale in un discorso più ampio di
educazione
dell'umanità: senza educazione nazionale non esiste moralmente la nazione. Solo con la elevazione morale e
politica del popolo, mediante il perfezionamento dell’intelletto pubblico, è possibile il Risorgimento italiano.
Mazzini ha concepito il suo ideale di nazione come prodotto di un processo educativo.
 Don Bosco e i Salesiani: Don Bosco sostiene che il problema dell'educazione popolare debba essere affrontato
con
spirito caritatevole, come necessità di assicurare ai giovani un'istruzione, ma anche il soddisfacimento di tutti i
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bisogni fondamentali del singolo. Nell'Oratorio da lui fondato l'attività prevalente è il gioco che attrae i giovani
e li mantiene attaccati all’ambiente educativo; l’istruzione, elementare e professionale, formerà poi utili cittadini.
IL PENSIERO PEDAGOGICO DI RAFFAELLO LAMBRUSCHINI. Lambruschini è un esponente del
cattolicesimo liberale durante il Risorgimento italiano. per lui la religione rappresenta la condizione fondamentale
dell'educazione: bisogna educare religiosamente, in quanto solo così viene salvaguardata la libertà del credente e la
spontaneità della coscienza religiosa del fanciullo. Lambruschini, sebbene abbia sottolineato il dovere da parte dello
Stato di istituire scuole gratuite che abbiano un personale adeguato a svolgere la propria opera educativa, non esclude
il valore delle scuole private, autonome rispetto ai controlli dello Stato, la cui qualità è garantita dalla necessità di
attirare gli allievi. Per Lambruschini l'educatore deve esercitare sull’educando la propria autorità: il principio di
autorità considera l'educatore come modello rigidamente autorevole; il principio di libertà invece esclude le autorità
dell'educatore. Secondo Lambruschini ambedue i termini possono trovare un punto di incontro ed essere conciliati in
funzione dell'amore e della diversità sociale, trasformando l'educatore in un cooperatore dell'educazione. L'educazione
può essere indiretta e diretta: la prima consiste nel preparare predisporre un ambiente favorevole all’educando; la
seconda è rappresentata dall'influsso personale dell'educatore; l’una e l'altra sono necessarie perché senza l'educazione
indiretta non ha efficacia quella diretta.
LA PEDAGOGIA DI FERRANTE APORTI. È una delle figure più importanti della pedagogia italiana
dell'Ottocento. Nel campo pedagogico ha posto una netta distinzione tra l'educazione (arte di sviluppare e perfezionare
le facoltà naturali) e l'istruzione (arte di comunicare cognizioni ed abilità tecniche). Il pedagogista ha sottolineato che
l'istruzione è in funzione dell'educazione, in quanto senza possesso di cognizioni e abilità non è possibile sviluppare e
perfezionare alcune facoltà. Dalla sintesi di istruzione ed educazione avrà luogo uno sviluppo armonico e graduale
della personalità infantile.

3. DAL POSITIVISMO ALL’ATTIVISMO IN EUROPA

Positivismo = corrente portatrice di nuovi problemi educativi: la richiesta di un aumento della cultura di base per la
formazione del cittadino ha posto il problema urgente della scolarizzazione di massa. Si ha l’urgenza di rifondare
tutto l’apparato teorico e prativo della pedagogia, ancorandola al dato scientifico.
 Conte Saint-Simon: nei suoi scritti ha criticato la discriminazione sociale del sistema educativo e ha sottolineato
l’inefficacia
intellettuale. Ha rivendicato il diritto di tutti all’educazione, intesa come uno strumento politico fondamentale
per la
trasformazione della società (l’educazione va potenziata da un punto di vista scientifico per contribuire al progresso
della
società industriale).
 Auguste Comte: ha auspicato l’affermazione di un’educazione “positiva”, caratterizzata dall’insegnamento delle
scienze e
propensa a favorire la solidarietà fra gli esseri umani e a formare al raziocinio. Ha anche affermato che un’educazione
di tipo
umanistico-letterario deve bilanciare la cultura scientifica. Comte ha prospettato l’idea di una “educazione permanente”,
cioè
di un processo educativo che non termina con l’inserimento dell’individuo nella società adulta, ma dura tutta la vita.
 Robert Owen: sostiene la concezione pedagogica fondata sull’idea dell’educazione come
condizionamento. Secondo il
pensatore inglese, il contesto socio-culturale condiziona la formazione della personalità dell’individuo. La nuova
scuola
ipotizzata da Owen è organizzata in edifici funzionali, aperti a tutti; gli allievi possono usufruire di utili servizi e
alternare lo
studio al lavoro.
Roberto Ardigò è una delle figure più rappresentative della pedagogia positivistica in Italia. La qualità dell’educazione
è l’acquisizione di sane abitudini sociali, utili a sé e alla società. L’educazione scaturisce soprattutto dalla famiglia e
dalla scuola. Ardigò afferma che conosciamo attraverso l’intuizione il metodo intuitivo è quello attraverso cui
s’insegna a vedere: metodo intuitivo diretto e naturale (conosciamo le cose del mondo; l’ambiente forma l’oggetto
della prima intuizione dell’individuo) e metodo intuitivo diretto e artificiale (ci consente di conoscere
attraverso
l’esperienza compiuta dagli altri; si può apprendere a scuola, luogo nel quale l’alunno può acquisire il linguaggio delle
varie discipline).
Aristide Gabelli ha tradotto in pratica i principi del Positivismo nell’organizzazione scolastica. Il Positivismo di
Gabelli coincide con una vera e propria metodologia d’indagine e con l’interesse volto alla formazione della mente e
del carattere, non al numero delle nozioni apprese. La regola è: partire dal particolare, dal noto; la scuola deve insegnare
a pensare, partendo dall’osservazione dei fatti; è necessario elaborare un metodo fondato sull’interesse dell’allievo, che
stimoli di continuo la sua curiosità. Scopo primario dell’insegnamento è la formazione di abitudini e il fine più alto è
quello morale.

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ATTIVISMO PEDAGOGICO E “SCUOLE NUOVE”: già nella seconda metà dell’Ottocento i modelli educativi
tradizionali erano apparsi in netto ritardo rispetto alle esigenze di una società che si avviava a una profonda
trasformazione in senso industriale. Alla fine del secolo si diffusero allora in Europa una serie di nuove proposte
provenienti dal cosiddetto movimento delle “scuole nuove” = scuole accumunate dal bisogno di rispondere ai nuovi
problemi sociali e dalla necessità di un’impostazione scientifica del lavoro, superando il tradizionale dualismo tra
formazione umanistica e addestramento tecnico-professionale. Alle scuole nuove è associato il concetto di attivismo
pedagogico: concezione dell’educazione come processo dinamico di formazione della personalità, e non come
trasmissione di un sapere oggettivo e statico. Si sviluppa anche il concetto di puerocentrismo, cioè una riscoperta
dell’infanzia come età qualitativamente diversa rispetto alle altre fasi della vita di un individuo, dotata di caratteristiche
specifiche e autonome verso le quali si deve procedere avvalendosi delle nuove scoperte psicopedagogiche. Il
movimento attivista, nel suo complesso, recupera aspetti formativi tradizionalmente trascurati (lavoro manuale, co-
educazione dei sessi, ruolo dell’insegnante come supporto degli allievi nel processo di auto-educazione).

ATTIVISMO IN EUROPA: le prime esperienze di scuole nuove sono considerate oggi più come l’esito di esperienze
concrete che di intenzionali ipotesi teoriche: Lev Tolstoj e la sua scuola popolare per i figli dei contadini (rifiuto del
concetto di autorità, libero sviluppo della personalità dell’allievo, soppressione dei tradizionali vincoli imposti dalla
didattica); Robert Baden Powell, fondatore del movimento dei Boy Scuot, dirige le sue attenzioni verso aree non
popolari (educare, con un percorso parallelo a quello scolastico, una classe di giovani in grado di mantenere lo spirito
e la tradizione imperiale britannica proponendo elementi pedagogicamente nuovi come il contatto con la natura, la vita
di gruppo, lo spirito di avventura, l’organizzazione gerarchica di ispirazione militare.
In Germania: Hermann Lietz fonda istituti noti come Case di educazione in cui si offre un’educazione aristocratica
centrata sui valori del nazionalismo, culto degli eroi e amore per la patria. L’individuo deve essere orientato a
partecipare alla vita collettiva inserendosi a pieno titolo nelle istituzioni fondative della società (Stato, Chiesa) nei cui
confronti è richiesta obbedienza e devozione. Gustav Wyneken è critico dei valori borghesi tradizionali; sostituisce
all’obbedienza allo Stato e alla Chiesa il principio del rispetto della “cultura giovanile”; vuole costituire comunità
scolastiche libere da controlli, gestita da istituti di auto-governo. Robert Seidl fonda la “Scuola del lavoro”, teorizzando
la centralità della capacità formativa del lavoro per una didattica innovativa. Secondo Seidl il lavoro non possiede più
le caratteristiche di sintesi tra apprendistato professionale e dimensione teorica; una pedagogia alternativa dovrebbe
dunque far centro sulle funzioni formative dell’attività lavorativa, al fine di riprogettare complessivamente le strutture
sociali esistenti in senso esplicitamente socialista. Georg Kerschensteiner propone una riforma della scuola orientata
su una diversa strutturazione dei piani didattici: anche per lui l’educazione al lavoro dovrebbe possedere un carattere
liberatorio dalla schiavitù della materia. Su queste basi, la scuola del lavoro doveva in primis incaricarsi di formare il
senso etico, l’autocontrollo, il rispetto delle leggi naturali e politiche e soprattutto la subordinazione degli interessi
egoistici a quelli della comunità.
In Italia: l’attivismo assume un profilo parzialmente autonomo. Tutte le iniziative di rinnovamento educativo si
rivolgono principalmente all’istruzione primaria e infantile e all’educazione popolare, piuttosto che alla classe
dirigente. L’opera e la pratica educativa delle sorelle Agazzi è improntata al concetto di semplicità: attenzione ai
bisogni
e alla situazione concreta del bambino; quest’ultimo è considerato come essere attivo. Quello che la storia
della
pedagogia ha ribattezzato “metodo Agazzi” parte dal contatto diretto con i bambini e con le loro famiglie, individuando
alcuni temi e orientamenti teorico-pratici adottati negli asili infantili (es. concetto di “contrassegni”: il fine
dell’educatore è agevolare le operazioni quotidiane che richiedono lo spostamento degli oggetti esistenti; i bambini
sono spinti a raccogliere qualsiasi oggetto risulti per loro emotivamente importante e funzionale alla loro conoscenza).
MARIA MONTESSORI: con la sua opera l’Italia si colloca nella grande linea del movimento attivista europeo. Il
metodo Montessori, la cui particolarità è l’impronta scientifica, viene considerato come uno dei capisaldi dell’attivismo
novecentesco. Secondo Montessori l’intervento pedagogico deve essere modificato e migliorato attraverso l’uso di
metodi e mezzi ricavati dalla sperimentazione condotta sui bambini in condizioni di vita reale. Attraverso i suoi studi,
Maria Montessori scopre la grande serie di distorsioni, errori e pregiudizi che gravavano sull’educazione infantile;
rivaluta l’energia latente di ogni individuo che, secondo lei, si sviluppa secondo modalità autonome e che può essere
stimolata ma non generata da interventi didattici l’educazione autentica è solo l’autoeducazione (la pedagogia, la
metodologia, il ruolo del personale insegnante, le istituzioni scolastiche nel loro complesso vanno considerati come
mezzi preparatori e ausiliari per la realizzazione di un autentico io interiore).
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L’educatore deve avere rispetto per l’anima del fanciullo; ha il dovere e la responsabilità di guidare l’allievo alla sua
libertà di individuo. Di massima importanza è l’impostazione del rapporto con l’allievo e l’approccio del metodo
educativo. Inoltre, la formazione teorica deve di necessità accompagnarsi all’educazione alle attività pratiche, facendo
ad un tempo percepire ai fanciulli il valore liberatorio delle virtù intellettuali.
Per Maritain la sola pedagogia possibile è quella cristiana. L’educazione liberale è il fine di questo approccio formativo
che deve fornire allo studente una conoscenza generale di base, non di tipo nozionistico ma secondo verità e bellezza.
L’inclinazione tecnico-professionale resta secondaria rispetto alla formazione liberale che investe l’uomo nella sua
interezza e globalità. Il personalismo ritiene elementi decisivi dell’approccio educativo i valori etici piuttosto che la
prassi, contrastando di fatto qualsiasi approccio pragmatista o attivista di una pedagogia ispirata agli scopi della società
democratica e liberale. Il possesso della scienza è sempre, secondo Maritain, acquisizione di un sapere tecnico, inferiore
a quello della sapienza autentica, che si configura invece come pieno godimento della verità, del bene e della bellezza,
cui deve tendere ogni insegnamento.

IL PERSONALISMO IN ITALIA. Nel dopoguerra si assiste allo sviluppo di scuole di pensiero impegnate in
un’opera di progettazione finalizzata al rinnovamento democratico del paese attraverso la riforma delle istituzioni
educative. Le tendenze della pedagogia italiana seguono tre indirizzi: cristiano e cattolico; socialista e marxista; laico
e democratico. L’attenzione è indirizzata al rapporto tra istruzione ed educazione, all’esigenza di individualizzazione
dell’insegnamento, alla valorizzazione dell’alunno nell’ambito scolastico, al rapporto tra sapere e fare e al rapporto tra
scuola e società.
Gli esponenti dell’attivismo cattolico riprendono l’attivismo europeo per rielaborarlo in una prospettiva nuova, in cui
la difesa della libertà infantile assume nuovo senso all’interno di una visione cristiana della vita. Nasce inoltre
l’esigenza di riformare la scuola dell’obbligo per renderla capace di offrire a tutti una solida formazione di base,
valorizzando anche la personalità dell’alunno. Compito della scuola è quello di educare al vero (contesto in cui il
bambino vive: società ed epoca storica; ma anche l’eterno e l’infinito: Dio) e al bene. Accanto alle discipline e alla
tecnica trova spazio, nei programmi degli attivisti cattolici, la saggezza, ossia la parola evangelica.
All’interno dell’attivismo cristiano alcuni studiosi spostano l’attenzione e la riflessione sulla figura del fanciullo in
formazione, inteso come persona: l’uomo è un’unità di intelligenza e di carattere, libera e destinata a realizzare la
salvezza oltre la vita terrena. L’esponente più significativo del personalismo italiano è il filosofo e pedagogista Luigi
Stefanini: la sua proposta è quella si offrire una pedagogia personalista, incentrata sulla sostanza spirituale della
persona, sulla sua razionalità e singolarità; secondo Stefanini, l’educatore dovrebbe seguire un vero e proprio codice di
formazione magistrale, aggiungendo al proprio sapere un tono personale dettato dalla forte attenzione per
l’insegnamento. L’apporto di sapere fine a se stesso non può avere efficacia educativa.

DON LORENZO MILANI. Figura controversa della Chiesa cattolica degli anni Sessanta/Settanta, è oggi pienamente
rivalutato in ragione del suo impegno civile nell’educazione dei poveri e per il valore pedagogico della sua esperienza
di maestro nell’ambito della scuola di Barbiana. La Lettera a una professoressa (1967) è un durissimo atto di accusa
nei confronti della scuola italiana dell’epoca: viene rimesso in discussione l’impianto classista della scuola italiana =
scuola che riproduce e consolida le diseguaglianze socioeconomiche e culturali presenti nella società, impedisce la
mobilità sociale, non fornisce mezzi adeguati affinché studenti diversi abbiano comunque successo a scuola.
Nonostante gli articoli della Costituzione e i relativi diritti enunciati, la scuola continua ad espellere gli allievi poveri.

5. L’ATTIVISMO NEGLI STATI UNITI

STRUMENTALISMO DI JOHN DEWEY. All’inizio del Novecento negli Stati Uniti, l’attivismo ricevette un
impulso grazie all’opera rilevante di Dewey: elemento costante della sua filosofia è la centralità dell’esperienza
considerata come l’unica dimensione reale in cui tutto si costruisce in modo processuale. Un’altra tesi peculiare della
teoria di Dewey è quella secondo cui l’esperienza sia un metodo, non un contenuto oggettivo. Alla
dimensione
metodologica è strettamente connessa quella sperimentale: lo sperimentalismo di Dewey si profila come risoluzione
dei problemi posti dall’esperienza. La conoscenza è lo strumento più potente di cui l’uomo dispone per raggiungere
nel mondo un ordine; il valore della teoria della conoscenza consiste nel risolvere problemi o nel fornire metodi di
azione Dewey attribuisce grande valore alle discipline educative: l’insegnamento non deve immettere dogmi, ma

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L’educatore deve avere rispetto per l’anima del fanciullo; ha il dovere e la responsabilità di guidare l’allievo alla sua
libertà di individuo. Di massima importanza è l’impostazione del rapporto con l’allievo e l’approccio del metodo
educativo. Inoltre, la formazione teorica deve di necessità accompagnarsi all’educazione alle attività pratiche, facendo
ad un tempo percepire ai fanciulli il valore liberatorio delle virtù intellettuali.
Per Maritain la sola pedagogia possibile è quella cristiana. L’educazione liberale è il fine di questo approccio formativo
che deve fornire allo studente una conoscenza generale di base, non di tipo nozionistico ma secondo verità e bellezza.
L’inclinazione tecnico-professionale resta secondaria rispetto alla formazione liberale che investe l’uomo nella sua
interezza e globalità. Il personalismo ritiene elementi decisivi dell’approccio educativo i valori etici piuttosto che la
prassi, contrastando di fatto qualsiasi approccio pragmatista o attivista di una pedagogia ispirata agli scopi della società
democratica e liberale. Il possesso della scienza è sempre, secondo Maritain, acquisizione di un sapere tecnico, inferiore
a quello della sapienza autentica, che si configura invece come pieno godimento della verità, del bene e della bellezza,
cui deve tendere ogni insegnamento.

IL PERSONALISMO IN ITALIA. Nel dopoguerra si assiste allo sviluppo di scuole di pensiero impegnate in
un’opera di progettazione finalizzata al rinnovamento democratico del paese attraverso la riforma delle istituzioni
educative. Le tendenze della pedagogia italiana seguono tre indirizzi: cristiano e cattolico; socialista e marxista; laico
e democratico. L’attenzione è indirizzata al rapporto tra istruzione ed educazione, all’esigenza di individualizzazione
dell’insegnamento, alla valorizzazione dell’alunno nell’ambito scolastico, al rapporto tra sapere e fare e al rapporto tra
scuola e società.
Gli esponenti dell’attivismo cattolico riprendono l’attivismo europeo per rielaborarlo in una prospettiva nuova, in cui
la difesa della libertà infantile assume nuovo senso all’interno di una visione cristiana della vita. Nasce inoltre
l’esigenza di riformare la scuola dell’obbligo per renderla capace di offrire a tutti una solida formazione di base,
valorizzando anche la personalità dell’alunno. Compito della scuola è quello di educare al vero (contesto in cui il
bambino vive: società ed epoca storica; ma anche l’eterno e l’infinito: Dio) e al bene. Accanto alle discipline e alla
tecnica trova spazio, nei programmi degli attivisti cattolici, la saggezza, ossia la parola evangelica.
All’interno dell’attivismo cristiano alcuni studiosi spostano l’attenzione e la riflessione sulla figura del fanciullo in
formazione, inteso come persona: l’uomo è un’unità di intelligenza e di carattere, libera e destinata a realizzare la
salvezza oltre la vita terrena. L’esponente più significativo del personalismo italiano è il filosofo e pedagogista Luigi
Stefanini: la sua proposta è quella si offrire una pedagogia personalista, incentrata sulla sostanza spirituale della
persona, sulla sua razionalità e singolarità; secondo Stefanini, l’educatore dovrebbe seguire un vero e proprio codice di
formazione magistrale, aggiungendo al proprio sapere un tono personale dettato dalla forte attenzione per
l’insegnamento. L’apporto di sapere fine a se stesso non può avere efficacia educativa.

DON LORENZO MILANI. Figura controversa della Chiesa cattolica degli anni Sessanta/Settanta, è oggi pienamente
rivalutato in ragione del suo impegno civile nell’educazione dei poveri e per il valore pedagogico della sua esperienza
di maestro nell’ambito della scuola di Barbiana. La Lettera a una professoressa (1967) è un durissimo atto di accusa
nei confronti della scuola italiana dell’epoca: viene rimesso in discussione l’impianto classista della scuola italiana =
scuola che riproduce e consolida le diseguaglianze socioeconomiche e culturali presenti nella società, impedisce la
mobilità sociale, non fornisce mezzi adeguati affinché studenti diversi abbiano comunque successo a scuola.
Nonostante gli articoli della Costituzione e i relativi diritti enunciati, la scuola continua ad espellere gli allievi poveri.

5. L’ATTIVISMO NEGLI STATI UNITI

STRUMENTALISMO DI JOHN DEWEY. All’inizio del Novecento negli Stati Uniti, l’attivismo ricevette un
impulso grazie all’opera rilevante di Dewey: elemento costante della sua filosofia è la centralità dell’esperienza
considerata come l’unica dimensione reale in cui tutto si costruisce in modo processuale. Un’altra tesi peculiare della
teoria di Dewey è quella secondo cui l’esperienza sia un metodo, non un contenuto oggettivo. Alla
dimensione
metodologica è strettamente connessa quella sperimentale: lo sperimentalismo di Dewey si profila come risoluzione
dei problemi posti dall’esperienza. La conoscenza è lo strumento più potente di cui l’uomo dispone per raggiungere
nel mondo un ordine; il valore della teoria della conoscenza consiste nel risolvere problemi o nel fornire metodi di
azione Dewey attribuisce grande valore alle discipline educative: l’insegnamento non deve immettere dogmi, ma
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definire un metodo di apprendimento incentrato sulla ricerca e sullo sviluppo delle capacità critiche, dei valori etici e
sociali dei giovani. La scuola deve diventare una scuola-comunità e una scuola-laboratorio in cui si possono sviluppare
democraticamente i rapporti intersoggettivi.
L’ambiente scolastico viene definito da Dewey come un ambiente speciale caratterizzato da compiti e funzioni ben
precisi, tra i quali rientra quello di offrire ad ogni bambino un’ampia gamma di occasioni di incontro, di scambio, di
partecipazione. La scuola diventa il luogo dove si apprende facendo: l’allievo è un soggetto partecipe al processo di
crescita, non un “vaso” da riempire; in quest’ottica cambia radicalmente anche la figura del maestro.
 Dopo Dewey, William Heard Kilpatrick cerca di tradurre operativamente i principi pedagogici nella prassi
didattica,
provando a superare i tradizionali schemi didattici. Kilpatrick propone il metodo dei progetti: ciascuna tipologia di
progetto funziona come strumento di crescita pragmatico-cognitiva = scuola attiva e pragmatica significa che l’allievo
diventa l’autentico protagonista del proprio iter formativo.
 Helen Parkhust: assistente di Maria Montessori, nel 1920 avvia a Dalton un’innovativa esperienza didattica
fondata
sulle linee guida dell’attivismo internazionale (rispetto dell’autonomia dell’allievo, elaborazione di curricoli formativi
personali, libertà del fanciullo, sviluppo potenzialità innate) e su programmi innovativi (libertà di scelta disciplinare,
libertà di gestione del tempo in laboratorio, abolizione della classe tradizionale, insegnanti intesi solo come ausilio degli
studenti).
ESITI ESTREMI DELL’ATTIVISMO. A partire dagli anni Sessanta del Novecento si assiste a nuovi e intensi
tentativi di spingere i principi-chiave dell’attivismo e pragmatismo in direzione sempre più marcatamente non direttiva
e sovversiva. L’elemento comune di queste esperienze è l’atteggiamento critico nei confronti della scuola tradizionale,
accusata di inadeguatezza: di cui l’ipotesi di una rottura radicale nei metodi e nei modelli educativi con evidenti
ricadute di tipo rivoluzionario sul piano socio-politico.
 Carl Rogers: la crisi del sistema scolastico è dovuta all’incapacità di rispondere alle necessità sociali e formative
di un
mondo in crescente e rapidissima trasformazione strutturale. Pedagogia “non-direttiva” significa allora “tensione verso
il raggiungimento di modalità di apprendimento sovvertite rispetto alla tradizione”: l’alunno deve potersi trasformare
autonomamente nell’atto stesso in cui apprende.
 Paulo Freire: lo studioso brasiliano mira alla diffusione di una nuova metodologia di alfabetizzazione di
massa e
soprattutto con i suoi lavori veicola una pervasiva critica al contesto sociale. Spetta agli oppressi effettuare
quella
rivoluzione politico-educativa teorizzata solo astrattamente in molti ambienti intellettuali libertari. La pedagogia
dell’oppresso si articolerà in due momenti specifici: presa di coscienza della propria condizione e conseguente tentativo
di abbattimento del potere oppressivo + funzione della pedagogia come stimolo ad un processo di permanente
liberazione
politica e individuale.
 Ivan Illich: massimo esponente dei movimenti di descolarizzazione. Il punto di partenza è la disuguaglianza
economica
che caratterizza la realtà in contrapposizione con il mito dello sviluppo civile e dell’uguaglianza. La scuola in questo
senso è vista come istituzione centrale per la produzione dell’ideologia oppressiva della società tardo-
industriale:
nell’impossibilità di una riforma, la scuola andrebbe abolita. Attaccare la scuola significherebbe attaccare il sistema
stesso: il progetto pedagogico di Illich tende a fondersi con un più generale disegno di rivoluzione politico-sociale.

SEZIONE II: FORMAZIONE, EDUCAZIONE, APPRENDIMENTI E ORIENTAMENTO

6. TEORIE SULL’APPRENDIMENTO

Apprendimento = modificazione del comportamento più o meno stabile che consegue a un’interazione con
l’ambiente; questo processo è il risultato di esperienze che determinano nuovi schemi di risposta agli stimoli esterni.
A uno stimolo, l’organismo offre una risposta che poi produce un mutamento. L’apprendimento è essenziale anche in
termini di adattamento della specie all’ambiente; il comportamento umano e animale non è predeterminato totalmente
dall’eredità genetica, ma si modifica per effetto dell’esperienza.

TEORIE. Comportamentismo = prospettiva di analisi introdotta da John Watson e centrata sullo studio del
comportamento osservabile per spiegare i processi mentali. È una teoria che approfondisce i legami che esistono tra
un determinato stimolo e la risposta che ne consegue.
 Condizionamento classico = studi di Pavlov si basano sull’osservazione del comportamento. Uno stimolo
incondizionato
(SI) può determinare un riflesso incondizionato (RI), cioè una risposta che dipende solo dalle condizioni
naturali
dell’individuo (inserendo uno stimolo neutro, dopo varie ripetizioni si ottiene la risposta incondizionata (riflesso

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condizionato) anche in assenza dello stimolo incondizionato (es. pezzo di carne, cane e campanello) il
condizionamento
consiste in un processo di sostituzione dello stimolo, per cui uno stimolo neutro diventa capace di produrre la risposta
originariamente prodotta dallo stimolo incondizionato.
 Condizionamento operante (o strumentale) = prima viene osservato il comportamento spontaneo e poi vengono
offerti
premi o punizioni al fine di ottenere una data risposta. Thorndike studia l’apprendimento per prove ed errori (si procede
per
tentativi finché non si trova il comportamento giusto) e formula la legge dell’effetto: si tende a ripetere quei
comportamenti
che producono un risultato vincente, cioè funzionale al nostro scopo. Skinner, invece, amplia lo studio
dimostrando
l’influenza dei premi e delle punizioni sul comportamento (condizionamento operante; es. topi) il comportamento è
funzionale al procurarsi i premi o all’evitare le punizioni. Skinner studia anche il fenomeno del modellamento che
consiste
nel premiare in maniera progressiva tutte le azioni che portano al comportamento voluto dallo sperimentatore.
mentre il condizionamento classico sembra realizzarsi indipendentemente dalla volontà del soggetto, nel
condizionamento
operante l’individuo produce volontariamente quella risposta.
Cognitivismo = l’oggetto di studio sono i processi cognitivi, cioè le modalità attraverso le quali l’uomo riceve
informazioni dal mondo, le elabora e le controlla. La mente è immaginata come un computer che elabora
contemporaneamente più informazioni. Tolman conduce una serie di esperimenti sui topi chiusi in un labirinto allo
scopo di valutare la capacità degli animali di elaborare delle mappe mentali utili a portare a termine più velocemente
il percorso (nota che un animale, lasciato libero di esplorare un luogo, apprende una mappa cognitiva, cioè riesce a
farsi una rappresentazione mentale del modo in cui era strutturato il labirinto). Il lavoro di Tolman ha permesso di
elaborare anche la teoria dell’apprendimento latente (un apprendimento che non necessariamente si traduce in un
comportamento), caratterizzato dal fatto che non necessita di alcuna ricompensa per realizzarsi e che quanto appreso
può non esprimersi e restare a lungo silente.
- Apprendimento per insight o intuizione. Molte volte possiamo risolvere rapidamente un problema attraverso
un’intuizione.
Apprendere in questo modo significa individuare soluzioni creative per risolvere i problemi.
Costruttivismo = (seconda metà del ‘900) l’apprendimento è inteso come un processo dinamico e non più come una
pura accumulazione di informazioni. L’individuo acquisisce abilità e conoscenze mediante l’interazione con gli altri
e con la situazione educativa, mettendo in campo le proprie esperienze precedenti e il proprio modo di rappresentarsi
la realtà esterna.
- Sociocostruttivismo = pone l’accento sul ruolo che le relazioni sociali rivestono nell’apprendimento.
L’interazione consente
di arricchire la propria prospettiva attraverso il punto di vista altrui, e da ciò scaturisce un miglioramento delle
performance
e abilità. L’apprendimento dell’individuo è il risultato di due fattori: la cooperazione con gli altri e le caratteristiche del
compito da svolgere. La conoscenza è quindi una costruzione che scaturisce dal confronto e dallo scambio sociale, cioè
dalla
condivisione di informazioni con coloro che si trovano a fronteggiare lo stesso problema. Il lavoro di gruppo
diventa
fondamentale.

INTERAZIONE SOCIALE. Willem Doise ha studiato i processi psicosociali mediante i quali l’uomo costruisce la
sua personalità e orienta il suo atteggiamento verso gli altri. Egli sostiene che l’interazione tra individuo e contesto
possa essere studiata su 4 dimensioni: 1) analisi intraindividuale (come la singola persona apprende le info), 2) analisi
interindividuale (come e quanto il confronto con gli altri influenza l’apprendimento), 3) analisi posizionale (come la
posizione sociale degli individui influenzi l’apprendimento), 4) analisi relativa alle norme sociali (se e come si
modificano le abilità individuali in base all’adesione a determinate ideologie) tutti questi aspetti concorrono alla
formazione della personalità dell’individuo e nella strutturazione delle sue competenze.

APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO. David Ausubel ha concentrato i propri studi sulla qualità degli
apprendimenti da parte degli studenti: solo l’apprendimento significativo è degno di attenzione = apprendimento che
richiede la messa in campo di percorsi cognitivi complessi e non riconducibili alla mera accumulazione mnemonica
di nozioni; è necessario che le nuove informazioni vadano ad “agganciarsi” a esperienze e cognizioni pregresse dal
discente; da questa relazione nascono delle reti che sostengono e alimentano la conoscenza. L’apprendimento
significativo avviene per scoperta: il docente non deve limitarsi a trasferire contenuti, bensì è opportuno che egli induce
lo studente a comprendere da sé i processi e le dinamiche che regolano i fenomeni oggetto di studio.

APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE. David Kolb ritiene che si impari a partire dalla pratica, e l’apprendimento
si realizza a seguito della teorizzazione dell’esperienza fatta, in un processo circolare: esperienza concreta,
osservazione riflessiva, concettualizzazione astratta, sperimentazione attiva. Il docente ha il ruolo di predisporre

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- Linee guida per l’orientamento permanente centrato sulla persona (2014);
- Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente (2013);
- Nota n. 2627/14 sulle azioni di accompagnamento e monitoraggio dei progetti in materia di apertura delle
scuole
e prevenzione della dispersione scolastica.
Di grande rilievo sono anche tutte le indicazioni e le norme relative agli ordinamenti scolastici e le numerose
indicazioni europee in materia di orientamento.

Linee guida per l’orientamento permanente centrato sulla persona (2014) = sono un importante documento che
fa dell’orientamento non più solo lo strumento per gestire la transizione tra scuola, formazione e lavoro, ma assume
un valore permanente nella vita di ogni persona, garantendone lo sviluppo e il sostegno nei processi di scelta e
decisione, con l’obiettivo di promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale.
l’orientamento lungo tutto il corso della vita è riconosciuto come diritto permanente di ogni individuo, che si
esercita in forme e modalità diverse e specifiche a seconda dei bisogni, dei contesti e delle situazioni.
in funzione di un orientamento permanente deve, altresì, prevalere una visione moderna della formazione
professionale che garantisca il massimo accesso all’apprendimento permanente.
La L. 128/2013 prevede il rafforzamento delle attività di orientamento nelle scuole secondarie di primo e secondo
grado per sostenere gli studenti nell’elaborazione di progetti formativi e/o professionali adeguati alle proprie capacità
e aspettative, anche attraverso collegamenti stabili con gli enti del territorio. Servono azioni coordinate e aperte alla
collaborazione di tutti i soggetti coinvolti e competenti. Il documento del 2014 intende contribuire allo sforzo
congiunto avviato da più parti per la definizione di un coerente sistema integrato, unitario e responsabile di
orientamento centrato sulla persona e sui suoi bisogni, finalizzato a prevenire e contrastare il disagio giovanile e
favorire la piena e attiva occupabilità, l’inclusione sociale e il dialogo interculturale. Serve allora un’attenta riflessione
sui servizi di orientamento in ogni territorio.
punto di partenza è la centralità del sistema scolastico nella sua interezza che costituisce il luogo dove ogni giovane
deve acquisire e potenziare le competenze di base e trasversali per l’orientamento, necessarie a sviluppare la propria
identità, autonomia e progettualità. Poi vi è la necessità di articolare i percorsi scolastici con esperienze reali di lavoro
a concreta valenza orientativa.

L’ORIENTAMENTO A SCUOLA. L'orientamento è considerato come un insieme di attività che mette in grado i
cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita, di identificare le proprie capacità, competenze, interessi;
prendere decisioni consapevoli in materia di istruzione, formazione, occupazione; gestire i propri percorsi personali
di vita nella situazione di apprendimento, di lavoro e in qualunque altro contesto in cui tali capacità e competenze
vengono acquisite e/o sviluppate.
In questo campo alla scuola è riconosciuto un ruolo centrale e ad essa spetta il compito di realizzare attività di
orientamento, finalizzate alla costruzione e al potenziamento di specifiche competenze orientative, che si sviluppano
attraverso un orientamento formativo o una didattica per lo sviluppo delle competenze orientative di base. Per garantire
funzionalità e sistematicità ai processi, è opportuno che ogni istituto scolastico, fin dalla scuola primaria, individui
specifiche figure di sistema con il compito di organizzare/coordinare le attività interne di orientamento. La figura
dedicata all’orientamento nella scuola dovrebbe attivare e coordinare le attività di accompagnamento dei giovani
svolte dai docenti, interfacciarsi con l’esterno per accogliere tutte quelle proposte e le risorse presenti sul territorio e
metterle a disposizione della scuola in una logica effettiva di rete. Affinché l'orientamento diventi parte integrante del
curricolo scolastico e patrimonio culturale di ogni insegnante, e auspicabile prevede per tutti coloro che intraprendono
la carriera docente, moduli di formazione iniziale obbligatoria sul significato di orientamento permanente, sulla
didattica orientativa, sulle azioni di accompagnamento lungo tutto il percorso scolastico. Inoltre, le azioni necessarie
a realizzare l'orientamento permanente non possono non tenere conto dell’attuale scenario sociale ed economico.
L'orientamento, nel mondo della scuola e della formazione, non può essere infatti limitato alla dimensione psicologica
individuale della conoscenza di sé, ma deve estendersi ha una proiezione sociale culturale, con riferimento alla
comunità di appartenenza, all’identità sociale professionale, alla memoria storica, ai valori condivisi all'etica del
lavoro. Per garantire la continuità e la trasparenza nei processi, ciascuna istituzione scolastica dovrebbe documentare
le attività sull’orientamento al fine di mantenere e diffondere modelli e pratiche interne, scambiando informazioni ed
esperienze.

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- Linee guida per l’orientamento permanente centrato sulla persona (2014);
- Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente (2013);
- Nota n. 2627/14 sulle azioni di accompagnamento e monitoraggio dei progetti in materia di apertura delle
scuole
e prevenzione della dispersione scolastica.
Di grande rilievo sono anche tutte le indicazioni e le norme relative agli ordinamenti scolastici e le numerose
indicazioni europee in materia di orientamento.

Linee guida per l’orientamento permanente centrato sulla persona (2014) = sono un importante documento che
fa dell’orientamento non più solo lo strumento per gestire la transizione tra scuola, formazione e lavoro, ma assume
un valore permanente nella vita di ogni persona, garantendone lo sviluppo e il sostegno nei processi di scelta e
decisione, con l’obiettivo di promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale.
l’orientamento lungo tutto il corso della vita è riconosciuto come diritto permanente di ogni individuo, che si
esercita in forme e modalità diverse e specifiche a seconda dei bisogni, dei contesti e delle situazioni.
in funzione di un orientamento permanente deve, altresì, prevalere una visione moderna della formazione
professionale che garantisca il massimo accesso all’apprendimento permanente.
La L. 128/2013 prevede il rafforzamento delle attività di orientamento nelle scuole secondarie di primo e secondo
grado per sostenere gli studenti nell’elaborazione di progetti formativi e/o professionali adeguati alle proprie capacità
e aspettative, anche attraverso collegamenti stabili con gli enti del territorio. Servono azioni coordinate e aperte alla
collaborazione di tutti i soggetti coinvolti e competenti. Il documento del 2014 intende contribuire allo sforzo
congiunto avviato da più parti per la definizione di un coerente sistema integrato, unitario e responsabile di
orientamento centrato sulla persona e sui suoi bisogni, finalizzato a prevenire e contrastare il disagio giovanile e
favorire la piena e attiva occupabilità, l’inclusione sociale e il dialogo interculturale. Serve allora un’attenta riflessione
sui servizi di orientamento in ogni territorio.
punto di partenza è la centralità del sistema scolastico nella sua interezza che costituisce il luogo dove ogni giovane
deve acquisire e potenziare le competenze di base e trasversali per l’orientamento, necessarie a sviluppare la propria
identità, autonomia e progettualità. Poi vi è la necessità di articolare i percorsi scolastici con esperienze reali di lavoro
a concreta valenza orientativa.

L’ORIENTAMENTO A SCUOLA. L'orientamento è considerato come un insieme di attività che mette in grado i
cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita, di identificare le proprie capacità, competenze, interessi;
prendere decisioni consapevoli in materia di istruzione, formazione, occupazione; gestire i propri percorsi personali
di vita nella situazione di apprendimento, di lavoro e in qualunque altro contesto in cui tali capacità e competenze
vengono acquisite e/o sviluppate.
In questo campo alla scuola è riconosciuto un ruolo centrale e ad essa spetta il compito di realizzare attività di
orientamento, finalizzate alla costruzione e al potenziamento di specifiche competenze orientative, che si sviluppano
attraverso un orientamento formativo o una didattica per lo sviluppo delle competenze orientative di base. Per garantire
funzionalità e sistematicità ai processi, è opportuno che ogni istituto scolastico, fin dalla scuola primaria, individui
specifiche figure di sistema con il compito di organizzare/coordinare le attività interne di orientamento. La figura
dedicata all’orientamento nella scuola dovrebbe attivare e coordinare le attività di accompagnamento dei giovani
svolte dai docenti, interfacciarsi con l’esterno per accogliere tutte quelle proposte e le risorse presenti sul territorio e
metterle a disposizione della scuola in una logica effettiva di rete. Affinché l'orientamento diventi parte integrante del
curricolo scolastico e patrimonio culturale di ogni insegnante, e auspicabile prevede per tutti coloro che intraprendono
la carriera docente, moduli di formazione iniziale obbligatoria sul significato di orientamento permanente, sulla
didattica orientativa, sulle azioni di accompagnamento lungo tutto il percorso scolastico. Inoltre, le azioni necessarie
a realizzare l'orientamento permanente non possono non tenere conto dell’attuale scenario sociale ed economico.
L'orientamento, nel mondo della scuola e della formazione, non può essere infatti limitato alla dimensione psicologica
individuale della conoscenza di sé, ma deve estendersi ha una proiezione sociale culturale, con riferimento alla
comunità di appartenenza, all’identità sociale professionale, alla memoria storica, ai valori condivisi all'etica del
lavoro. Per garantire la continuità e la trasparenza nei processi, ciascuna istituzione scolastica dovrebbe documentare
le attività sull’orientamento al fine di mantenere e diffondere modelli e pratiche interne, scambiando informazioni ed
esperienze.

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Le condizioni necessarie per garantire il successo nel processo di orientamento permanente sono:
- Istruzione attraverso un più forte accento sullo sviluppo delle competenze di base di quelle trasversali;
- potenziare l'apprendimento delle lingue straniere;
- innalzare i livelli di apprendimento in ambito lavorativo e costruire costituire sistemi di istruzione e
formazione
professionale di eccellenza;
- formare i docenti motivati;
- potenziare l'utilizzo delle tecnologie digitali, per facilitare l'apprendimento attraverso risorse educative
aperte e
collaborative;
- prevedere una più stretta integrazione fra le istruzioni, formazione professionale, istruzione superiore, le
università e le
imprese.
La scuola è il luogo nel quale si acquisiscono le competenze orientative di base. Anche la famiglia però dà un
contributo essenziale all’educazione dei ragazzi ed è corresponsabile nelle azioni di orientamento promosse dalla
scuola. Il MIUR sostiene le istituzioni scolastiche nell’attivazione di corsi di formazione rivolti ai genitori, finalizzati
all’accompagnamento dei figli nei percorsi di scelta e transizione per realizzare un efficace sistema integrato di
orientamento è infatti necessario costruire una comunità orientativa educante, caratterizzata da una forte responsabilità
sociale di tutti gli attori coinvolti.
Fornire un’informazione e una formazione orientante/orientativa di qualità costituisce un fattore importante anche per
migliorare la trasparenza delle qualifiche e delle competenze e, di conseguenza, l’accesso all’occupazione.

ORIENTAMENTO E TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE (TIC). La


conoscenza e l'innovazione sono ritenuti i motori di una crescita sostenibile. C'è la necessità di sviluppare una società
dell’informazione basata sull’inclusione e sull’utilizzo generalizzato delle TIC nei diversi settori: istruzione,
formazione e lavoro. Le risorse TIC costituiscono uno strumento necessario nelle azioni di orientamento e la loro
efficacia è fondamentale. Occorre garantire a tutti gli studenti l'accesso al web e a risorse tecnologiche di qualità per
favorire l'apprendimento di competenze di orientamento al lavoro. L'uso delle tecnologie deve essere incentivato e
sostenuto. La scuola deve superare l'idea di un orientamento informativo, per esplorare invece le dimensioni formative
dell’orientamento in una società che cambia rapidamente e che è sempre più fondata sull’espansione delle tecnologie
digitali.

ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO, STAGE E TIROCINI. Per la gestione dell’alternanza scuola-lavoro,


centrale nella L. 107/15, è prevista dalla normativa la figura di tutor interno: si tratta di uno specialista con apposita
formazione con compiti molto diversi da quelli dei tutor di stage e da quelli di tirocinio. Lo stage è un'attività di primo
inserimento negli ambienti di lavoro; l’alternanza è una metodologia didattica che consente a tutti gli studenti delle
scuole secondarie di secondo grado di realizzare il proprio percorso di studio alternando periodi di scuola il periodo
di lavoro. La L. 107/15 Si occupa di alternanza scuola-lavoro, introducendo e regolamentando l’obbligo di alternanza
da svolgersi per tutti gli alunni nell'ultimo triennio delle scuole secondarie di secondo grado. A partire dall'anno
scolastico 2018 2019, i percorsi in alternanza scuola lavoro vengono rinominati Percorsi per le competenze trasversali
per l'orientamento e sono attuati per una durata complessiva non inferiore a 210 ore nel triennio terminale del percorso
di studi degli istituti professionali; non inferiore a 150 ore nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi
degli istituti tecnici; non inferiore a 90 ore nel secondo biennio e nel quinto anno dei licei.

PORTALI DEDICATI ALL’ORIENTAMENTO. Un possibile strumento per promuovere l'integrazione delle


risorse e dei soggetti e la realizzazione di portali online dedicati all'orientamento, in grado di raccogliere e fornire
informazioni e collegamenti alle risorse per l'orientamento. Lo strumento dovrebbe essere aperto ai contributi della
comunità professionale dell’orientamento e dovrebbe essere moderato gestito da un gruppo di esperti individuati dalle
principali istituzioni che hanno competenza in materia di orientamento e istruzione. I portali dovrebbero consentire di
conoscere e accedere alle migliori risorse digitali già disponibili e ad un glossario nazionale sull'orientamento, pensato
proprio per facilitare la scelta di risorse in base ai bisogni specifici.

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SEZIONE III: AMBIENTE DI APPRENDIMENTO, RELAZIONI EDUCATIVE E DIMENSIONE
INTERCULTURALE DELLA SCUOLA

9. GLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO

Ambiente di apprendimento = approccio finalizzato a promuovere un apprendimento di tipo significativo ed efficace


in termini di acquisizione delle competenze; i contenuti didattici vengono utilizzati per costruire conoscenza e non per
replicarla la metafora di ambiente designa dunque un contesto in cui l’apprendimento viene attivato, sostenuto e
costruito e in cui ciascuno è in grado di attribuire al proprio processo di conoscenza un significato. Si tratta di una
pratica intenzionale, attiva e costruttiva: il soggetto apprende in un luogo in cui si muove e agisce, usando strumenti,
raccogliendo informazioni, interpretandole, interagendo con gli altri. L’ambiente di apprendimento è un sistema
flessibile e dinamico, un luogo fisico e virtuale; è uno spazio mentale e culturale, organizzativo, emotivo ed affettivo.
La conoscenza, dunque, si costruisce, non si trasmette; essa avviene proprio attraverso l’attività, è ancorata al contesto
in cui l’attività si svolge.
In questo ambiente, il docente/formatore è chiamato a svolgere il ruolo di facilitatore, poiché sostiene l’apprendimento,
ma non per controllarlo e dirigerlo, bensì per stimolarlo: gli allievi possono giungere a determinare i propri obiettivi
di apprendimento, scegliendo le attività da svolgere, le risorse informative cui attingere e gli strumenti con cui lavorare.
Gli elementi imprescindibili per costituire un ambiente di apprendimento sono: spazio fisico, insieme di attori che
interagiscono tra loro (studenti, insegnanti), serie di comportamenti concordati e di regole assegnate, compiti ed attività
da svolgere.
 Ambiente costruttivista = gli studenti sono in condizione di agire in uno spazio, reale o virtuale, usando strumenti,
raccogliendo ed interpretando informazioni, interagendo con gli altri; l’apprendimento viene incoraggiato e
stimolato e non controllato e diretto in maniera rigida e restrittiva; rispetto a quello tradizionale, è un ambiente
meno strutturato, poco definito e pertanto potrebbe apparire più caotico. Gli allievi imparano ad utilizzare gli
strumenti della propria cultura in vista della costruzione sociale della conoscenza. È un modello che si basa
sull’interpretazione e sulla costruzione dei significati, non sulla semplice trasmissione del sapere. Le strategie
usate non basate sul reale e sono verificate empiricamente.
 Ambiente tradizionale = concetto di istruzione centrato sulla trasmissione della conoscenza. Modello teorico,
oggetti, fisso, decontestualizzato. In questa visione, la scuola è un soggetto separato che perpetua il proprio sapere.

AMBIENTE DI APPRENDIMENTO (SCUOLE DI SECONDARIE DI PRIMO GRADO). L’organizzazione


degli spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativa; serve progettazione.
Importanti sono le Indicazioni Nazionali per il Curricolo (2012).
- Predisporre spazi accoglienti e curati;
- Stili educativi centrati sull’osservazione, ascolto, progettualità, partecipazione;
- Documentare i percorsi attivati (per riprogettare eventuali correttivi);
- Importante è la biblioteca scolastica;
- Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni per ancorarvi nuovi contenuti;
- Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità per evitare disuguaglianze;
- Progettare e realizzare percorsi didattici specifici per rispondere ai bisogni educativi degli allievi (per
esempio: alunni
stranieri);
- Favorire l’esplorazione e la scoperta;
- Incoraggiare l’apprendimento collaborativo (la dimensione sociale dell’apprendimento svolge un ruolo
significativo);
- Favorire l’utilizzo di nuove tecnologie;
- Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere (al fine di “imparare ad imparare”);
- Ogni alunno va posto nelle condizioni di capire il compito assegnato e i traguardi da raggiungere e di
riconoscere le
difficoltà, stimolando le abilità;
- È opportuno realizzare attività didattiche in forma di laboratorio (incoraggiamento alla ricerca e alla
progettualità).
AMBIENTE DI APPRENDIMENTO (SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO). Nelle Indicazioni
Nazionali per i Licei si afferma che la competenza di natura metacognitiva (imparare ad apprendere), relazionale
(sapere lavorare in gruppo) o attitudinale (autonomia e creatività) costituiscono un esito indiretto del processo di
apprendimento, il cui conseguimento dipende dalla qualità del processo stesso attuato nelle istituzioni scolastiche.
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Secondo Carl Rogers, l’apprendimento dipende in buona parte dal comportamento dell’insegnante, che deve favorire
un clima positivo di accettazione e assenza di tensioni. Si suggerisce all’insegnante di raggiungere una serie di mete
educative, la cui realizzazione consente di sviluppare in maniera armonica e globale la personalità degli alunni. Inoltre,
le modalità di comportamento che si richiedono all’insegnante devono sempre essere relative al tipo di attività didattica
da attuare. L’apprendimento diventa veramente significativo quando il contenuto è vissuto dallo studente come
rilevante per la soddisfazione dei suoi bisogni e delle sue finalità personali (coinvolgimento globale della personalità
degli allievi).
l’educazione centrata sulla persona richiede che qualsiasi metodo di lavoro e di valutazione sia esente da una
minacciosità e rinunci all’uso coercitivo del potere senza però sfociare nel permissivismo. In questo modo l’insegnante
diventa una risorsa per gli allievi.
Insegnante. Svolgere un ruolo educativo nella società della formazione o della conoscenza significa penetrare a fondi
on processi socio-pedagogici dalle molte acce e di fronte ai quali si deve ricorrere ad un insieme oltremodo articolato
di saperi. Quindi, da solo il sapere nozionistico non basta; c’è bisogno anche della capacità di ripensare e
contestualizzare costantemente il proprio agire educativo e i suoi fondamenti teorici, pratici e ideologici (pedagogia
critica). Il docente da un lavoro di metacognizione perché riflette sulle pratiche e da queste trae spunto per orientare il
suo lavoro.

11. LA RELAZIONE SCUOLA-FAMIGLIA E LE AGENZIE EDUCATIVE

Attraverso l’apprendimento, l’individuo impara a interpretare un preciso ruolo nella società in cui vive e ad assimilarne
il sistema di valori. Questo processo è detto socializzazione ed inizia nella prima infanzia. Questo apprendimento dura
tutta la vita e si innesta sulla struttura della personalità. In quest’ottica è importante la sociologia che studia l’influsso
dei sistemi sociali sui modelli di socializzazione e sul contrasto tra autorità (vincolo istituzionale) e libertà (autonomia
del soggetto), evidenziando come la famiglia, la scuola e il territorio si manifestino sia col volto dell’autorità, sia come
luoghi in cui esplicare e acquisire libertà. La socializzazione è dunque una forma di interazione con l’ambiente
socioculturale che porta l’individuo ad assumere dei modelli ai quali adattarsi: questo non implica, comunque, la
perdita di personalità e individualità da parte del soggetto.
 Ruolo della famiglia. Negli ultimi decenni la famiglia ha subito trasformazioni strutturali, ma nonostante ciò non
ha perso la
propria importanza nel processo di socializzazione. L’istituzione familiare è caratterizzata da una molteplicità di forme
e da
una grande adattabilità ai diversi contesti in cui essa si sviluppa. Lo stesso rapporto tra genitori e figli tende a cambiare
in
base ai valori sociali di riferimento. Ci sono almeno tre modelli educativi parentali che producono a loro volta diversi
comportamenti infantili: stile repressivo (valorizza l’obbedienza, il rispetto dell’ordine = ripercussioni negative sui figli
che
crescono privi di autonomia), stile indulgente/permissivo (no castighi ma esigente nelle aspettative di
maturazione e
responsabilità del figlio), stile autorevole (reciprocità, dialogo, comunicazione). Quest’ultimo è da privilegiare
perché
favorisce l’autostima e il controllo; determina una particolare attitudine verso il vivere sociale e una spiccata
competenza
cognitiva, di controllo e di attenzione. Se le regole non sono arbitrare, ma razionali e giustificate, hanno effetti positivi
sulla
socializzazione infantile; mentre la permissività totale o l’autoritarismo irrazionale danno risultati negativi.
 Scuola. È diventata un punto cruciale del processo formativo. L’impostazione di un modello scolastico è spesso
combattuta
tra una volontà di stabilizzazione e conformità alle idee della classe sociale dominante e una tendenza
all’emancipazione
sociale. Si dibatte anche sull’effettiva capacità di garantire l’uguaglianza delle opportunità formative e sulle
forme di
discriminazione che possono rimanere anche quando sia garantito a tutti l’accesso alla formazione scolastica. Per
raggiungere
l’uguaglianza serve un adeguamento del modello scolastico alle esigenze di ogni singolo alunno che assume un ruolo da
protagonista nella costruzione di una società democratica. Ale istituzioni scolastiche spetta il compito di valorizzare la
peculiarità di ciascuno e di guidare i singoli verso il rispetto delle differenze. L’apprendimento è condiviso e legato alla
socializzazione poiché nel contesto scolastico l’imparare a ragionare e l’imparare a stare insieme vanno di pari passo.
è fondamentale la continuità formativa tra i vari luoghi e le diverse istituzioni in cui avviene la socializzazione.
Tutti questi luoghi favoriscono la conquista dell’autonomia intellettuale ed etico-sociale. È importante che la famiglia,
la scuola e la società siano consapevoli di questa duplice possibilità e cooperino nella realizzazione di un modello
improntato alla crescita democratica e responsabile del singolo. La pedagogia deve valorizzare l’apporto che ciascuna
struttura formativa può offrire.
 Rapporto genitori-insegnanti. Bisogna sviluppare l’interazione con le famiglie. I genitori si sentono più coinvolti
se le scuole
stabiliscono programmi che includono forme di collaborazione. Anche gli alunni si mostrano più positivi se le famiglie
partecipano. In realtà il rapporto tra genitori e insegnanti è molto complesso: possono infatti esserci genitori che
mostrano

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Secondo Carl Rogers, l’apprendimento dipende in buona parte dal comportamento dell’insegnante, che deve favorire
un clima positivo di accettazione e assenza di tensioni. Si suggerisce all’insegnante di raggiungere una serie di mete
educative, la cui realizzazione consente di sviluppare in maniera armonica e globale la personalità degli alunni. Inoltre,
le modalità di comportamento che si richiedono all’insegnante devono sempre essere relative al tipo di attività didattica
da attuare. L’apprendimento diventa veramente significativo quando il contenuto è vissuto dallo studente come
rilevante per la soddisfazione dei suoi bisogni e delle sue finalità personali (coinvolgimento globale della personalità
degli allievi).
l’educazione centrata sulla persona richiede che qualsiasi metodo di lavoro e di valutazione sia esente da una
minacciosità e rinunci all’uso coercitivo del potere senza però sfociare nel permissivismo. In questo modo l’insegnante
diventa una risorsa per gli allievi.
Insegnante. Svolgere un ruolo educativo nella società della formazione o della conoscenza significa penetrare a fondi
on processi socio-pedagogici dalle molte acce e di fronte ai quali si deve ricorrere ad un insieme oltremodo articolato
di saperi. Quindi, da solo il sapere nozionistico non basta; c’è bisogno anche della capacità di ripensare e
contestualizzare costantemente il proprio agire educativo e i suoi fondamenti teorici, pratici e ideologici (pedagogia
critica). Il docente da un lavoro di metacognizione perché riflette sulle pratiche e da queste trae spunto per orientare il
suo lavoro.

11. LA RELAZIONE SCUOLA-FAMIGLIA E LE AGENZIE EDUCATIVE

Attraverso l’apprendimento, l’individuo impara a interpretare un preciso ruolo nella società in cui vive e ad assimilarne
il sistema di valori. Questo processo è detto socializzazione ed inizia nella prima infanzia. Questo apprendimento dura
tutta la vita e si innesta sulla struttura della personalità. In quest’ottica è importante la sociologia che studia l’influsso
dei sistemi sociali sui modelli di socializzazione e sul contrasto tra autorità (vincolo istituzionale) e libertà (autonomia
del soggetto), evidenziando come la famiglia, la scuola e il territorio si manifestino sia col volto dell’autorità, sia come
luoghi in cui esplicare e acquisire libertà. La socializzazione è dunque una forma di interazione con l’ambiente
socioculturale che porta l’individuo ad assumere dei modelli ai quali adattarsi: questo non implica, comunque, la
perdita di personalità e individualità da parte del soggetto.
 Ruolo della famiglia. Negli ultimi decenni la famiglia ha subito trasformazioni strutturali, ma nonostante ciò non
ha perso la
propria importanza nel processo di socializzazione. L’istituzione familiare è caratterizzata da una molteplicità di forme
e da
una grande adattabilità ai diversi contesti in cui essa si sviluppa. Lo stesso rapporto tra genitori e figli tende a cambiare
in
base ai valori sociali di riferimento. Ci sono almeno tre modelli educativi parentali che producono a loro volta diversi
comportamenti infantili: stile repressivo (valorizza l’obbedienza, il rispetto dell’ordine = ripercussioni negative sui figli
che
crescono privi di autonomia), stile indulgente/permissivo (no castighi ma esigente nelle aspettative di
maturazione e
responsabilità del figlio), stile autorevole (reciprocità, dialogo, comunicazione). Quest’ultimo è da privilegiare
perché
favorisce l’autostima e il controllo; determina una particolare attitudine verso il vivere sociale e una spiccata
competenza
cognitiva, di controllo e di attenzione. Se le regole non sono arbitrare, ma razionali e giustificate, hanno effetti positivi
sulla
socializzazione infantile; mentre la permissività totale o l’autoritarismo irrazionale danno risultati negativi.
 Scuola. È diventata un punto cruciale del processo formativo. L’impostazione di un modello scolastico è spesso
combattuta
tra una volontà di stabilizzazione e conformità alle idee della classe sociale dominante e una tendenza
all’emancipazione
sociale. Si dibatte anche sull’effettiva capacità di garantire l’uguaglianza delle opportunità formative e sulle
forme di
discriminazione che possono rimanere anche quando sia garantito a tutti l’accesso alla formazione scolastica. Per
raggiungere
l’uguaglianza serve un adeguamento del modello scolastico alle esigenze di ogni singolo alunno che assume un ruolo da
protagonista nella costruzione di una società democratica. Ale istituzioni scolastiche spetta il compito di valorizzare la
peculiarità di ciascuno e di guidare i singoli verso il rispetto delle differenze. L’apprendimento è condiviso e legato alla
socializzazione poiché nel contesto scolastico l’imparare a ragionare e l’imparare a stare insieme vanno di pari passo.
è fondamentale la continuità formativa tra i vari luoghi e le diverse istituzioni in cui avviene la socializzazione.
Tutti questi luoghi favoriscono la conquista dell’autonomia intellettuale ed etico-sociale. È importante che la famiglia,
la scuola e la società siano consapevoli di questa duplice possibilità e cooperino nella realizzazione di un modello
improntato alla crescita democratica e responsabile del singolo. La pedagogia deve valorizzare l’apporto che ciascuna
struttura formativa può offrire.
 Rapporto genitori-insegnanti. Bisogna sviluppare l’interazione con le famiglie. I genitori si sentono più coinvolti
se le scuole
stabiliscono programmi che includono forme di collaborazione. Anche gli alunni si mostrano più positivi se le famiglie
partecipano. In realtà il rapporto tra genitori e insegnanti è molto complesso: possono infatti esserci genitori che
mostrano
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esigenze eccessive (troppa ingerenza nella scuola), mentre altri possono mostrare scarsa motivazione e partecipazione.
La
collaborazione è utile, ma difficile da costruire. Sono auspicabili le esperienze di pratiche educative parentali che
consentano
di sostenere le famiglie e gli insegnanti nella ricerca di confronto e dialogo. Si parla di partenariato e tra le tipologie di
rapporto: relazione up-down (l’insegnante offre ai genitori un prodotto finito; i genitori sono utenti passivi); la scuola si
relaziona con la famiglia-cliente (costruzione di un progetto educativo adeguato; visione intersoggettiva della
conoscenza);
famiglia come partner.

Gruppo di pari = collettività i cui membri hanno la caratteristica comune di avere la stessa età: tra gli adolescenti è
in genere caratterizzato da un’elevata solidarietà sociale e da un codice di comportamento in genere estraneo ai valori
degli adulti, che dimostra un marcato senso di appartenenza e che sembra fortemente necessario per lo sviluppo
dell’autostima e per la costruzione della personalità e dell’identità. Si inizia con la scuola dell’infanzia per poi
proseguire nella scuola elementare. Con il progredire dell’età le relazioni tra pari evolvono nella direzione dello
sviluppo delle competenze sociali = capacità di interagire con gli altri, di comunicare e di risolvere i conflitti. Tale
progressione consente il superamento della dipendenza emotiva verso i genitori, in direzione di una maggiore
autonomia personale.
Contesto ambientale. L’ambiente è considerato un elemento in grado di condizionare lo sviluppo psico-fisico del
bambino e dell’adolescente. Gli stimoli provenienti dall’esterno incidono profondamente sullo sviluppo
dell’individuo. Lo stile di vita della società attuale è spesso causa, infatti, di disagio psico-fisico per i giovani. Con
l’urbanizzazione e la conseguente limitazione degli spazi fruibili dai bambini, la scuola rappresenta il principale luogo
d’incontro e di gioco collettivo, mentre le ore pomeridiane vengono trascorse a casa con televisione o tablet. Questa
situazione non giova all’espressione della creatività dello studente. La scuola allora rimane il luogo dove il bambino
ha le maggiori possibilità di relazionarsi con gli altri, di sperimentare e di sviluppare se stesso.

12. LA SCUOLA DELLE RELAZIONI INTERCULTURALI

Multiculturalità = presenza di diverse culture nello stesso spazio (processo statico). Quindi una scuola/classe
multiculturale è quella formata da alunni che hanno appartenenze linguistiche, etniche o religiose diverse.
Interculturalità = scambio tra culture che ha come risultato un arricchimento reciproco (processo dinamico). Se si
parla di educazione interculturale ci si riferisca a un progetto pedagogico basato sul confronto e sullo scambio tra
culture diverse che si sviluppa nella prospettiva di una convivenza democratica e implica un arricchimento reciproco.
la pedagogia interculturale si sviluppa come pedagogia compensativa, volta a facilitare il recupero di abilità e
capacità da parte di un individuo per renderne più rapido il percorso di inserimento; è un approccio da realizzare
analizzando singolarmente ciascuna situazione anche se si basa su alcune fondamentali consapevolezze
(riconoscimento dell’alterità, l’incontro tra culture necessità di strategie.

PANORAMA CULTURALE E GIURIDICO. Dal dopoguerra ad oggi si è andata specificando un’idea di protezione
dell’infanzia che si articola in diversi aspetti.
• Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) = diritto all’istruzione come diritto fondamentale della
persona.
• Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959, ONU) = il diritto all’istruzione viene riconosciuto e tutelato come
fondamentale
+ diritto del bambino a una positiva socializzazione.
• Trattato di Maastricht (1992) = elaborato il concetto di una dimensione europea della formazione.
• Strategia di Lisbona (2000, UE) = viene attribuito un ruolo significativo alla scuola ed alla formazione come
perno per lo
sviluppo di competenze significative nel mercato del lavoro; si punta a facilitare per tutti l’accesso all’istruzione e alla
formazione, favorendo cittadinanza attiva, pari opportunità e coesione sociale).
• Europa 2020 (2010) = tra gli obiettivi c’è quello di colmare le lacune per creare le condizioni per una crescita
più intelligente,
sostenibile e solidale.
• In ITALIA, Costituzione (fondamentale è il diritto allo studio e all’istruzione, art. 33 e 34) + Circolare
ministeriale 205/1990
(si introduce per la prima volta il concetto di educazione interculturale, intesa come prevenzione e contrasto del
razzismo e
dell’intolleranza) + Circolare ministeriale 160/2001 (attivazione di corsi e iniziative di formazione per minori stranieri e
per
le loro famiglie, tesi a realizzare concretamente i diritto allo studio) + Circolare ministeriale 24/2006 (prime Linee guida
per
l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, rinnovate nel 2014 e volte a ribadire la necessità di
un’educazione
interculturale centrata sul dialogo e sul reciproco riconoscimento e arricchimento) + (MIUR, 2014) Osservatorio
nazionale

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per l’integrazione degli studenti stranieri e per l’intercultura (obiettivo di individuare soluzione per un effettivo
adeguamento
delle politiche di integrazione scolastica).
La Circolare ministeriale 205/1990 introduce per la prima volta il termine “educazione interculturale”, fornendo
indicazioni per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni immigrati e proponendo il tema dell’educazione
interculturale per tutti. A questa circolare sono seguiti altri diversi interventi oggi, le coordinate di politica educativa
alle quali le istituzioni scolastiche devono fare riferimento per realizzare in autonomia i propri progetti di accoglienza,
di integrazione e di educazione interculturale sono ormai delineate e si fondano su precise scelte pedagogiche
(valorizzazione delle diversità). La sfida è di educare alla comprensione seguendo un piano cognitivo (conoscenza del
mondo degli altri) e un piano affettivo (attenzione alla storia di ciascuno).

PROGETTI DI EDUCAZIONE INTERCULTURALE. Il problema del razzismo richiede capacità di osservazione


e soprattutto di responsabilità che si concretizzino poi in progetti. Le strategie adottate dovranno essere mirate alla
ricerca dell’inclusione. In tale prospettiva, l’educazione interculturale può elaborare strategie di relazione o curricoli
in cui siano presenti sia l’azione contro il pregiudizio, sia la difesa dei diritti umani, sia l’esperienza diretta. I progetti
di istruzione interculturale intendono sviluppare la tolleranza e la comprensione reciproca tra gli allievi e gli insegnanti
di contesti linguistici e socioculturali diversi, contribuendo alla lotta contro la xenofobia e il razzismo.
l’educazione interculturale non è una disciplina aggiuntiva che trova spazio in un momento prestabilito e definito
dell’orario scolastico, ma è un approccio diverso ai curricoli formativi, agli stili comunicativi, alla gestione educativa
delle differenze e dei bisogni di apprendimento. Il progetto interculturale nella scuola può assumere diverse forme e
articolazioni: la scuola realizza un evento o un’attività interculturale; la scuola pratica l’intercultura attraverso la
didattica di una disciplina inserendo contenuti nuovi; la scuola rifonda i curricoli in chiave interculturale (rivisitazione
di obiettivi, contenuti, metodologie, modalità di trasmissione delle conoscenze); la scuola programma attività
aggiuntive.

ISCRIZIONE A SCUOLA DI ALUNNI STRANIERI. La normativa sui BES include nell’area dei bisogni speciali
gli alunni con svantaggio socio-economico, linguistico o culturale. Si tratta di difficoltà che possono insorgere in
qualsiasi fase del ciclo scolastico e che hanno carattere transitorio; in ogni caso tale stato di svantaggio richiede
un’attenzione particolare da parte della scuola che è chiamata a promuovere l’integrazione culturale e la valorizzazione
della cultura di appartenenza, allo scopo di favorire lo scambio produttivo delle diversità come valori e occasioni
formative. I ragazzi con cittadinanza italiana hanno diritto all’istruzione alle stesse condizioni degli alunni italiani;
pertanto hanno l’obbligo di iscriversi e frequentare le scuole statali o paritarie e il dovere di conformarsi alle
disposizioni nazionali in materia di istruzione.
Per gli alunni stranieri con BES è possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati oltre che adottare
strumenti compensativi e misure dispensative. La Circolare Ministeriale 8/2013 ha chiarito che gli alunni con
cittadinanza non italiana necessitano di interventi didattici relativi all’apprendimento della lingua ma solo in via
eccezionale di un Piano Didattico Personalizzato. La L. 107/2015 ha previsto che nelle aree con forte componente
degli alunni stranieri siano realizzati dei piani di integrazione, oltre a laboratori linguistici per perfezionare l’italiano.

Le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri emanate nel 2014, a sostituzione di quelle
del 2006, regolamentano le attività di accoglienza e integrazione. Il presupposto di partenza è che l’esperienza
scolastica di uno studente che è stato scolarizzato esclusivamente nelle scuole italiane è senza dubbio diversa da quella
di un alunno appena arrivato in Italia, soprattutto se adolescente. Le Linee allora si occupano nel dettaglio delle diverse
situazioni che si possono presentare: alunni con cittadinanza non italiana; alunni con ambiente familiare non italofono;
minori non accompagnati; alunni figli di coppie miste; alunni arrivati per adozione internazionale; alunni Rom, Sinti
e Caminanti.
In Italia, soprattutto al Nord, la percentuale di alunni stranieri nelle scuole è molto alta. Si cerca di favorire
l’eterogeneità delle cittadinanze nella composizione delle classi, piuttosto che formare classi omogenee per
provenienza territoriale o religiosa degli stranieri. È importante coinvolgere le famiglie. Sono comunque previsti dei
limiti massimi di presenza di studenti stranieri nelle singole classi, soprattutto se con ridotta conoscenza della lingua
italiana (non più del 30%).
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L’UE assume un ruolo attivo per promuovere, nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, la specificità culturale
europea e valorizzare il retaggio culturale comune. Sono state individuate 4 aree di intervento: 1) tutela del patrimonio
architettonico, 2) promozione della creatività culturale e artistica, 3) promozione dei libri e della lettura, 4) promozione
del settore audiovisivo europeo.
Educazione permanente. Nell’ambito delle strategie dedicate all’istruzione dall’UE spicca la grande questione
dell’apprendimento permanente, che è diventato una sorta di principio guida per l’elaborazione della politica in materia
di istruzione formazione. Apprendimento permanente = insieme delle opportunità educative formali e non formali ai
fini personali, civici e sociali nonché occupazionali. L’obiettivo è offrire a persone di ogni età l’opportunità di accedere
a offerte di istruzione di alta qualità e ad un ampio ventaglio di esperienze di apprendimento non formale.
Sono diverse le prospettive teoriche che attraversano il campo dell’educazione degli adulti. Rispetto alla definizione
degli scopi della formazione continua, la pluralità di approcci può essere ricondotta all’interno di due
principali
paradigmi: il paradigma neo-liberale (= l’educazione degli adulti è finalizzata ad assicurare la disponibilità di capitale
umano adeguatamente formato per contribuire al progresso; l’eguaglianza delle opportunità è considerata una
necessaria condizione di partenza comune a tutti) e l’approccio critico-radicale (= la formazione continua è considerata
anche dal punto di vista dei rischi potenziali come possibile strumento di dominio e conferma).
Lo sforzo di dare conferme scientifiche alla possibilità di formarsi lungo il corso di tutta l’esistenza inizia nei primi
decenni del XX secolo. I successivi sviluppi delle scienze fisiologiche e delle neuroscienze (plasticità del cervello)
porteranno definitive conferme sul continuo sviluppo della capacità di apprendere nel corso dell’età adulta e sui fattori
di deficit derivanti dalle condizioni fisiologiche e sociali del soggetto, cui si oppongono gli effetti compensatori
dell’esperienza accumulata durante la vita.

Pluralità come fondamento della democrazia. L’introduzione de concetto di cittadinanza europea, avvenuto in modo
esplicito con il Trattato di Maastricht (1992) mira a rafforzare e a promuovere l’identità europea, coinvolgendo sempre
più i cittadini nel processo di integrazione comunitaria. L’UE è una realtà complessa, la cui peculiarità è la pluralità
di culture e di lingue. Per cui l’educazione alla cittadinanza comporta la possibilità di vivere l’esperienza della pluralità
quale fondamento della democrazia che vive anche grazie all’apporto di conoscenze, saperi e mezzi intellettuali (es.
plurilinguismo = esercizio concreto della cittadinanza attiva che permette di comprendere il profilo culturale altrui).
Educazione globale. L’ipotesi della “Cittadinanza globale” sostiene un nuovo modello di cittadinanza basato sulla
piena consapevolezza della dignità insita in ogni essere umano, sulla sua appartenenza ad una comunità locale e globale
e sull’impegno per ottenere un mondo equo e sostenibile. Il cittadino globale è colui che è in grado di apprendere
connettendo (mettere in relazione con altri soggetti le proprie competenze), di agire pensando, di convivere
riconoscendo (percepire la propria esistenza necessariamente insieme ad altre persone, anche molto diverse da sé), di
essere divenendo (non fermarsi ad una visione di sé come esclusivamente legata allo status sociale o al ruolo ricoperto).

14. EDUCAZIONE AMBIENTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Solo nella seconda metà del Novecento si è cominciato a prendere coscienza della limitatezza delle risorse naturali,
molte delle quali una volta consumate non hanno la capacità di rigenerarsi. Sfruttarle in maniera incontrollata significa,
pregiudicarne la disponibilità alle generazioni future. Nel 1972 le Nazioni Unite organizzano a Stoccolma la prima
Conferenza mondiale sull’ambiente umano; viene creato l’UNEP (Programma ambientale delle Nazioni Unite) per
elaborare strategie per la tutela delle risorse naturali. Nel 1983 l’ONU istituisce la Commissione mondiale per
l’ambiente e lo sviluppo. Quattro anni dopo viene pubblicato il Rapporto Brundtland in cui si formula per la prima
volta il principio dello sviluppo sostenibile (= ogni generazione dovrebbe lasciare alle successive tutto ciò che può
servire ad avere una qualità della vita almeno pari alla propria, così che ogni generazione possa comportarsi allo stesso
modo nei confronti di chi arriva dopo).
Impronta ecologica = area biologica produttiva necessaria per le coltivazioni agricole, i pascoli, le infrastrutture, le
aree di pesca e i prodotti degli ambienti forestali. Include anche l’area di foresta necessaria ad assorbire le emissioni
addizionali di biossido di carbonio che non possono essere assorbite dagli oceani. La maggiore componente
dell’impronta ecologica è costituita dalle emissioni di carbonio derivanti dall’’utilizzo dei combustibili fossili.

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L’UE assume un ruolo attivo per promuovere, nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, la specificità culturale
europea e valorizzare il retaggio culturale comune. Sono state individuate 4 aree di intervento: 1) tutela del patrimonio
architettonico, 2) promozione della creatività culturale e artistica, 3) promozione dei libri e della lettura, 4) promozione
del settore audiovisivo europeo.
Educazione permanente. Nell’ambito delle strategie dedicate all’istruzione dall’UE spicca la grande questione
dell’apprendimento permanente, che è diventato una sorta di principio guida per l’elaborazione della politica in materia
di istruzione formazione. Apprendimento permanente = insieme delle opportunità educative formali e non formali ai
fini personali, civici e sociali nonché occupazionali. L’obiettivo è offrire a persone di ogni età l’opportunità di accedere
a offerte di istruzione di alta qualità e ad un ampio ventaglio di esperienze di apprendimento non formale.
Sono diverse le prospettive teoriche che attraversano il campo dell’educazione degli adulti. Rispetto alla definizione
degli scopi della formazione continua, la pluralità di approcci può essere ricondotta all’interno di due
principali
paradigmi: il paradigma neo-liberale (= l’educazione degli adulti è finalizzata ad assicurare la disponibilità di capitale
umano adeguatamente formato per contribuire al progresso; l’eguaglianza delle opportunità è considerata una
necessaria condizione di partenza comune a tutti) e l’approccio critico-radicale (= la formazione continua è considerata
anche dal punto di vista dei rischi potenziali come possibile strumento di dominio e conferma).
Lo sforzo di dare conferme scientifiche alla possibilità di formarsi lungo il corso di tutta l’esistenza inizia nei primi
decenni del XX secolo. I successivi sviluppi delle scienze fisiologiche e delle neuroscienze (plasticità del cervello)
porteranno definitive conferme sul continuo sviluppo della capacità di apprendere nel corso dell’età adulta e sui fattori
di deficit derivanti dalle condizioni fisiologiche e sociali del soggetto, cui si oppongono gli effetti compensatori
dell’esperienza accumulata durante la vita.

Pluralità come fondamento della democrazia. L’introduzione de concetto di cittadinanza europea, avvenuto in modo
esplicito con il Trattato di Maastricht (1992) mira a rafforzare e a promuovere l’identità europea, coinvolgendo sempre
più i cittadini nel processo di integrazione comunitaria. L’UE è una realtà complessa, la cui peculiarità è la pluralità
di culture e di lingue. Per cui l’educazione alla cittadinanza comporta la possibilità di vivere l’esperienza della pluralità
quale fondamento della democrazia che vive anche grazie all’apporto di conoscenze, saperi e mezzi intellettuali (es.
plurilinguismo = esercizio concreto della cittadinanza attiva che permette di comprendere il profilo culturale altrui).
Educazione globale. L’ipotesi della “Cittadinanza globale” sostiene un nuovo modello di cittadinanza basato sulla
piena consapevolezza della dignità insita in ogni essere umano, sulla sua appartenenza ad una comunità locale e globale
e sull’impegno per ottenere un mondo equo e sostenibile. Il cittadino globale è colui che è in grado di apprendere
connettendo (mettere in relazione con altri soggetti le proprie competenze), di agire pensando, di convivere
riconoscendo (percepire la propria esistenza necessariamente insieme ad altre persone, anche molto diverse da sé), di
essere divenendo (non fermarsi ad una visione di sé come esclusivamente legata allo status sociale o al ruolo ricoperto).

14. EDUCAZIONE AMBIENTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Solo nella seconda metà del Novecento si è cominciato a prendere coscienza della limitatezza delle risorse naturali,
molte delle quali una volta consumate non hanno la capacità di rigenerarsi. Sfruttarle in maniera incontrollata significa,
pregiudicarne la disponibilità alle generazioni future. Nel 1972 le Nazioni Unite organizzano a Stoccolma la prima
Conferenza mondiale sull’ambiente umano; viene creato l’UNEP (Programma ambientale delle Nazioni Unite) per
elaborare strategie per la tutela delle risorse naturali. Nel 1983 l’ONU istituisce la Commissione mondiale per
l’ambiente e lo sviluppo. Quattro anni dopo viene pubblicato il Rapporto Brundtland in cui si formula per la prima
volta il principio dello sviluppo sostenibile (= ogni generazione dovrebbe lasciare alle successive tutto ciò che può
servire ad avere una qualità della vita almeno pari alla propria, così che ogni generazione possa comportarsi allo stesso
modo nei confronti di chi arriva dopo).
Impronta ecologica = area biologica produttiva necessaria per le coltivazioni agricole, i pascoli, le infrastrutture, le
aree di pesca e i prodotti degli ambienti forestali. Include anche l’area di foresta necessaria ad assorbire le emissioni
addizionali di biossido di carbonio che non possono essere assorbite dagli oceani. La maggiore componente
dell’impronta ecologica è costituita dalle emissioni di carbonio derivanti dall’’utilizzo dei combustibili fossili.
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Gli stili di vita contemporanei comportano l’impiego di beni naturali in quantità di gran lunga superiore a quelli
disponibili. Gli Stati tecnologicamente più avanzati dovrebbero correggere le proprie abitudini e i propri consumi per
alleggerire la pressione esercitata sull’equilibrio del pianeta.
 Vertice della Terra (Rio de Janeiro, 1992) = punto di svolta nelle politiche ambientali: i rappresentanti dei
governi di 178
paesi si sono riuniti con lo scopo di individuare strategie utili a salvaguardare la salute del pianeta. È stato stilato un
documento, l’Agenda XXI, che contiene proposte dettagliate su come ridurre i consumi e combattere la povertà, così da
costruire un modello di sviluppo sostenibile e durevole.
 Vertice del Millennio (New York, 2000) = prende corpo la Dichiarazione del Millennio, un documento
attraverso il quale
i leader mondiali ammettono le proprie responsabilità nel garantire il benessere non soltanto delle popolazioni dei
rispettivi
parsi, ma dell’intera specie umana. Vengono fissati gli 8 Obiettivi di sviluppo del Millennio (es. dimezzare povertà e
fame).
 Conferenza ONU sulla biodiversità (Nagoya, Giappone, 2010) = intesa storica per lavorare alla protezione di
almeno il
17% delle aree di terra e il 10% degli oceani per il 2020.
 Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio de Janeiro, 2012) = si elabora un documento in
cui sono
contenuto gli impegni da parte degli Stati partecipanti a favore dello sviluppo sostenibile. Particolare attenzione viene
riservata al concetto di green economy, vale a dire un’economia finalizzata a incrementare il livello di benessere e
l’equità
sociale, riducendo contemporaneamente i rischi per l’ambiente e promuovendo l’utilizzo di risorse non inquinanti.
In Italia. La Costituzione all’articolo 9 afferma che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione. La nozione di paesaggio si riferisce all’ambiente naturale così come modificato dall’uomo. La tutela
dell’ambiente viene avvertita a livello globale come un’esigenza fondamentale per assicurare il benessere e il
progresso della società.
 Leggi. Il Parlamento italiano ha affrontato con molto ritardi il problema dell’inquinamento e della tutela
ambientale. Solo
nel 1986 con la Legge n. 349 si affrontano in maniera armonica tutti gli aspetti relativi alla tutela dell’ambiente. Nasce
il
Ministero dell’Ambiente; si cominciano ad individuare e punire i comportamenti che violano l’integrità ambientale.
Sono
considerati delitti contro l’ambiente e come tali punibili: l’inquinamento, la distruzione del patrimonio naturale, il
traffico
illecito di rifiuti, la frode ambientale. L’esigenza sempre più sentita di assicurare una valida tutela all’ambiente e la
necessità
di adeguarsi alla normativa europea in materia spingono la legge italiana con il D. Lgs. 152/2006 a dotarsi di un Codice
dell’Ambiente = corpus normativo finalizzato a disciplinare, in maniera ordinata e sistematica, i molteplici aspetti di
quella
che costituisce ormai una materia giuridica a tutti gli effetti.
 Patrimonio storico-artistico. Si fa riferimento all’insieme dei beni e delle attività posti in opera da un
popolo, creati e
potenziati nel corso dei secoli, protetti e custoditi dalle generazioni che si susseguono. Recentemente il concetto si è
ampliato
fino ad includere l’architettura, i costumi e la vita quotidiana della gente comune. Anche determinati beni immateriali
sono
oggi considerati parte del patrimonio culturale di una popolazione o di un territorio conservare la memoria del passato
rappresenta un’ottima soluzione per tentare d’arginare lo sfruttamento selvaggio delle risorse ambientali e culturali
dei
singoli e delle comunità.
 Associazioni ambientaliste. L’attenzione crescente verso i problemi ha portato all’enorme diffusione delle
associazioni
ecologiste che svolgono un ruolo fondamentale nell’opera di denuncia delle offese ambientali e di sensibilizzazione
dei
cittadini:
• Greenpeace = organizzazione indipendente, il cui campo d’azione va dalle campagne contro i test nucleari a
quelle
contro la caccia commerciale alle balene e alle foche;
• WWF = Fondo Mondiale per la Natura, è la più grande associazione ambientalista del mondo; obiettivi:
protezione
della natura e dei processi ecologici. In Italia dal 1966.
• Legambiente = associazione senza fini di lucro; opera per la tutela e la valorizzazione della natura e
dell’ambiente,
delle risorse naturali, della salute collettiva, delle specie animali e vegetali, del patrimonio storico, artistico e culturale,
del territorio e del paesaggio. Cerca soluzioni contro l’inquinamento urbano;
• FAI = fondazione privata senza scopo di lucro che riceve per donazione, eredità o in gestione per un
tempo
determinato beni di valore artistico, storico e naturalistico; la proprietà diretta di un bene ne consente
un’amministrazione attenta e un’efficace tutela.
SEZIONE IV: BES, DISABILITÀ E PROBLEMATICHE GIOVANILI

15. BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E DISABILITÀ

BES = Bisogni educativi speciali; costituiscono una macrocategoria comprendente (1) lo svantaggio
socioeconomico/linguistico/culturale, (2) disturbi evolutivi specifici, (3) diversabilità. Tutti gli studenti sono portatori

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di BES quando vivono condizioni di particolare difficoltà in grado di arrecare danni, impedimenti o svantaggi al loro
sviluppo: si tratta di una condizione di difficoltà complessiva dell’allievo spesso provvisoria e reversibile.
Alla base di un BES possono esserci fattori ambientali (famiglia problematica, pregiudizio, contesti educativi
inadeguati), fattori personali (scarsa autostima, problemi emozionali, scarsa motivazione). Tali fattori possono
apportare sia limitazioni alle attività personali del soggetto (comunicazione, apprendimento), sia difficoltà a rivestire
ruoli nei contesti di vita nel nido, nelle successive attività scolastiche e nella società.
Lo svantaggio (situazione di sofferenza) genera disadattamento sociale ed affettivo, investendo sia la sua vita di
relazione, sia la percezione che egli ha di se stesso. L’alunno svantaggiato è quello che soffre di ritardi di origine
socio-culturale, ma conserva intatte le capacità sensorie, il sistema nervoso e la completa funzionalità fisica. Il soggetto
svantaggiato proviene spesso da famiglie che vivono in ambienti sociali assai carenti (nuclei familiari con diverse
problematiche, violenza, mancanza di affetto). Situazioni di disagio socioculturale portano il soggetto ad esprimersi
un linguaggio scarno (= codice linguistico ristretto); ciò è dovuto dal fatto che l’individuo ha meno possibilità di
arricchimento culturale rispetto ai pari.
Gli insegnanti possono rispondere ai BES con prassi didattiche ed educative consuete, rivolte a tutti, ma al tempo
stesso speciali perché arricchite di specificità tecniche non comuni, fondate sui dati più recenti della ricerca scientifica
in ambito psicologico, pedagogico, didattico: la specialità va ad arricchire le normali azioni educative, le modifica, le
rende più inclusive e rispondenti ai bisogni di ogni singolo alunno. SI parla di didattica metacognitiva, apprendimento
cooperativo e tutoring.

DSA = Disturbi specifici dell’apprendimento; rientrano nei BES; si tratta di disturbi evolutivi (l’individuo non
apprende in misura adeguata alla propria età). La L. 170/2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolastico) ha riconosciuto come disturbi specifici che possono limitare alcune attività legate
all’apprendimento scolastico:
• Dislessia = difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segnali linguistici; si
manifesta attraverso
una minore correttezza e velocità di lettura ad alta voce in relazione all’età anagrafica (es. lettura lenta e stentata,
difficoltà
nel riconoscere suoni simili o grafemi diversamente orientati nello spazio, omissione di grafemi e sillabe,
ripetizioni,
omissione doppie…). La dislessia può essere confusa all’inizio con un semplice rallentamento del regolare processo
di
apprendimento della lettura; non è comunque causata da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o
psicologici, o
da deficit sensoriali/neurologici. Il soggetto dislessico può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo impegnando al
massimo
le proprie capacità perché non ci riesce in maniera automatica.
• Disgrafia = disturbo specifico della scrittura che si manifesta nella difficoltà di realizzazione grafica. È un
disturbo collegato
al momento motorio della prestazione (es. scrittura irregolare, impugnatura scorretta, posizione del corpo non corretta,
difficoltà nel gestire lo spazio grafico, dimensione lettere molto irregolare…).
• Disortografia = disturbo specifico della scrittura che si manifesta nella difficoltà di realizzare processi
linguistici di
transcodifica. Viene attribuito a un deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo di scrittura,
responsabili
della transcodifica del linguaggio orale nel linguaggio scritto. Si manifesta con errori fonologici (capacità compromessa
di
far corrispondere il suono al segno) e non fonologici (separazioni e fusioni illecite di parole).
• Discalculia = difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri. Riguarda l’abilità di
calcolo, sia
nell’area dell’intelligenza numerica basale (riconoscimento immediato di piccole quantità), sia nei meccanismi
di
quantificazione, seriazione, comparazione, strategie di composizione e scomposizione di quantità, strategie di calcolo a
mente (errori di conteggio, errori nel recupero dei fatti aritmetici).
• Comorbilità = in un soggetto con DSA sono presenti più disturbi del neurosviluppo che interessano l’area del
linguaggio,
la coordinazione motoria, l’attenzione, la sfera emotiva e il comportamento.
La L. 107/2010 tutela il diritto allo studio concentrando l’attenzione su interventi didattici personalizzati e su strumenti
compensativi, su misure dispensative e su adeguate forme di verifica e valutazione.
Approccio didattico e metodologico. Qualsiasi approccio non può prescindere da una corretta analisi della situazione
di partenza che si può attuare anche analizzando i documenti clinici riguardanti i disturbi dell’alunno e i programmi
adottati negli anni precedenti; anche conoscere la famiglia e i terapisti diventa importante. Segue la conoscenza
dell’alunno nel contesto classe attraverso l’osservazione partecipata e non partecipata, attività didattiche strutturate,
studio delle competenze acquisite dall’allievo da un punto di vista disciplinare.
acquisiti i dati, si può procedere con la stesura del Piano Didattico Personalizzato (personalizzato per metodologie,
tempi, strategie didattiche e strumenti compensativi e misure dispensative, ma non per obiettivi che devono essere gli
stessi del gruppo classe) redatto dal team dei docenti della classe. Gli spunti didattici e i suggerimenti metodologici
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questo percorso è compito della famiglia delle istituzioni, prima fra tutte la scuola, all’interno della quale esistono
delle professionalità in grado di cogliere i primi segni di disagio e intervenire con tempestività ed efficacia.

Bullismo = comportamento aggressivo ripetuto nel tempo contro un individuo con l’intenzione di ferirlo fisicamente
o moralmente; una persona tenta di esercitare potere su un’altra. È un fenomeno sociale alquanto diffuso che spesso
si sviluppa proprio in ambito scolastico e che quindi necessita di interventi diretti da parte delle istituzioni scolastiche.
È un problema che non riguarda solo la condotta dei singoli, ma anche il gruppo dei pari nel suo insieme. Gli atti di
bullismo possono essere di varia natura (fisica/verbale, psicologica) e configurare dei veri e propri reati (diffamazione,
percosse), ma si ha bullismo solo quando l’azione aggressiva del bullo è continua e sistematica e deliberatamente volta
a danneggiare sempre la stessa vittima. Esistono due forme: 1) bullismo diretto = sono evidenti le prepotenze fisiche
e/o verbali; 2) bullismo indiretto = il bullo non affronta direttamente la vittima ma agisce diffondendo dicerie, calunnie
e pettegolezzi, isolandola socialmente.
Nel bullismo vi è una relazione diretta tra bullo e vittima, una interdipendenza. Il bullo è un soggetto apparentemente
sicuro di sé che tende a ostentare la propria supremazia di fronte al gruppo dei coetanei. La vittima invece è un soggetto
con un basso livello di autostima; può isolarsi dal gruppo evitando di rispondere alle provocazioni del bullo (vittima
passiva) o in alcuni casi provocare essa stessa le azioni aggressive nei suoi confronti (vittima provocatrice).
La scuola è chiamata in prima linea a contrastare ogni forma di bullismo le Linee di orientamento per il contrasto
al bullismo e cyberbullismo (nota MIUR 2015, rinnovata poi nel 2017) impongono alla scuola di adottare misure atte
a prevenire e combattere tali fenomeni.
Cyberbullismo = è una forma di bullismo indiretto, in costante aumento, la cui diffusione va di pari passo con la
diffusione delle nuove tecnologie. È un particolare tipo di aggressività intenzionale che si manifesta attraverso i social:
è una forma di prevaricazione particolarmente insidiosa perché non consente a chi la subisce di sfuggire, e inoltre ha
un’immediatezza e una capacità di diffusione di cui spesso lo stesso bullo non ha contezza. Nel 2017 è entrata in
vigore la nuova legge sul cyberbullismo (Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del
fenomeno del cyberbullismo): la normativa impone a tutte le scuole il compito di promuovere l’educazione all’uso
consapevole della rete Internet.
I primi a poter accorgersi del perpetrarsi di atti di bullismo sono proprio gli insegnanti. Ai primi segnali di
comportamenti sospetti, il docente deve intraprendere alcune attività: 1) sensibilizzare il gruppo o la classe sul tema,
2) somministrare un questionario per individuare bulli/vittime, 3) vigilare sul comportamento degli studenti, 4)
organizzare incontri con le famiglie, 5) prevedere progetti extracurricolari.

Gruppo di pari. Alcune forme di disagio e devianza sono spesso condizionati dal contesto in cui il ragazzo vive. A
partire dall’infanzia, l’appartenenza al gruppo fa sì che accanto alle attività di gioco si costruiscono progressivamente
forme di condivisione di sentimenti, segreti, interessi e problemi. Il gruppo fornisce uno status, una difesa contro la
marginalità sociale e può giungere anche ad involvere in forme di devianza. Spesso c’è anche un’assenza di luoghi
adeguati come punto d’incontro e di attività comuni. In questo senso, la nuova offerta educativa del territorio si
accentra su “punti d’incontro” fornite di materiali idonei: si cerca di favorire la socializzazione positiva intorno ad
attività arricchenti e coinvolgenti. L’alternativa più formale e più tradizionale a questo riguardo è costituita
dall’associazionismo educativo.

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questo percorso è compito della famiglia delle istituzioni, prima fra tutte la scuola, all’interno della quale esistono
delle professionalità in grado di cogliere i primi segni di disagio e intervenire con tempestività ed efficacia.

Bullismo = comportamento aggressivo ripetuto nel tempo contro un individuo con l’intenzione di ferirlo fisicamente
o moralmente; una persona tenta di esercitare potere su un’altra. È un fenomeno sociale alquanto diffuso che spesso
si sviluppa proprio in ambito scolastico e che quindi necessita di interventi diretti da parte delle istituzioni scolastiche.
È un problema che non riguarda solo la condotta dei singoli, ma anche il gruppo dei pari nel suo insieme. Gli atti di
bullismo possono essere di varia natura (fisica/verbale, psicologica) e configurare dei veri e propri reati (diffamazione,
percosse), ma si ha bullismo solo quando l’azione aggressiva del bullo è continua e sistematica e deliberatamente volta
a danneggiare sempre la stessa vittima. Esistono due forme: 1) bullismo diretto = sono evidenti le prepotenze fisiche
e/o verbali; 2) bullismo indiretto = il bullo non affronta direttamente la vittima ma agisce diffondendo dicerie, calunnie
e pettegolezzi, isolandola socialmente.
Nel bullismo vi è una relazione diretta tra bullo e vittima, una interdipendenza. Il bullo è un soggetto apparentemente
sicuro di sé che tende a ostentare la propria supremazia di fronte al gruppo dei coetanei. La vittima invece è un soggetto
con un basso livello di autostima; può isolarsi dal gruppo evitando di rispondere alle provocazioni del bullo (vittima
passiva) o in alcuni casi provocare essa stessa le azioni aggressive nei suoi confronti (vittima provocatrice).
La scuola è chiamata in prima linea a contrastare ogni forma di bullismo le Linee di orientamento per il contrasto
al bullismo e cyberbullismo (nota MIUR 2015, rinnovata poi nel 2017) impongono alla scuola di adottare misure atte
a prevenire e combattere tali fenomeni.
Cyberbullismo = è una forma di bullismo indiretto, in costante aumento, la cui diffusione va di pari passo con la
diffusione delle nuove tecnologie. È un particolare tipo di aggressività intenzionale che si manifesta attraverso i social:
è una forma di prevaricazione particolarmente insidiosa perché non consente a chi la subisce di sfuggire, e inoltre ha
un’immediatezza e una capacità di diffusione di cui spesso lo stesso bullo non ha contezza. Nel 2017 è entrata in
vigore la nuova legge sul cyberbullismo (Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del
fenomeno del cyberbullismo): la normativa impone a tutte le scuole il compito di promuovere l’educazione all’uso
consapevole della rete Internet.
I primi a poter accorgersi del perpetrarsi di atti di bullismo sono proprio gli insegnanti. Ai primi segnali di
comportamenti sospetti, il docente deve intraprendere alcune attività: 1) sensibilizzare il gruppo o la classe sul tema,
2) somministrare un questionario per individuare bulli/vittime, 3) vigilare sul comportamento degli studenti, 4)
organizzare incontri con le famiglie, 5) prevedere progetti extracurricolari.

Gruppo di pari. Alcune forme di disagio e devianza sono spesso condizionati dal contesto in cui il ragazzo vive. A
partire dall’infanzia, l’appartenenza al gruppo fa sì che accanto alle attività di gioco si costruiscono progressivamente
forme di condivisione di sentimenti, segreti, interessi e problemi. Il gruppo fornisce uno status, una difesa contro la
marginalità sociale e può giungere anche ad involvere in forme di devianza. Spesso c’è anche un’assenza di luoghi
adeguati come punto d’incontro e di attività comuni. In questo senso, la nuova offerta educativa del territorio si
accentra su “punti d’incontro” fornite di materiali idonei: si cerca di favorire la socializzazione positiva intorno ad
attività arricchenti e coinvolgenti. L’alternativa più formale e più tradizionale a questo riguardo è costituita
dall’associazionismo educativo.

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ANTROPOLOGIA

1. STORIA DELL’ANTROPOLOGIA

ANTROPOLOGIA = disciplina che si iscrive all’interno delle scienze sociali; studia gli aspetti biologici e culturali
dell’uomo analizza i fatti umani dal punto di vista culturale, dell’evoluzione storico-sociale e dell’adattamento
naturale, indagando fatti di matrice biologica, fisiologica, etnologica e linguistica. Il campo di indagine è vasto e
diversificato, tant’è che oggi si preferisce parlare di scienze demoetnoantropologiche. La nascita dell’antropologia
si fa risalire alla seconda metà dell’Ottocento durante l’espandersi della teoria dell’evoluzionismo.
- antropologia fisica = evoluzione biologica dell’uomo;
- antropologia sociale o culturale = l’essere umano nella società e i suoi comportamenti.

L’interesse antropologico è nato con l’uomo: raccontare le differenze e le somiglianze riscontrabili tra gli esseri umani,
spiegarle secondo teorie prodotte dalla cultura di origine e dall’esperienza accumulata; gli studiosi con uno sguardo
distaccato hanno “visto” gli altri come entità culturali autonome, portatori addirittura di elementi di civiltà in molti
casi più avanzati di quelli della loro cultura di provenienza. Tutte le società sin dall’antichità hanno destato un interesse
etnografico.
Nei secoli passati numerosi erano i viaggi (per svariati motivi). E il substrato culturale comune all’Occidente
considerava chiunque al di fuori del mondo greco, romano o cristiano, come un barbaro (un incivile). Ma il
viaggiatore, proprio come l’antropologo, superate le resistenze culturali, si accorgeva anche del valore della loro civiltà
rispetto alla propria; li accettava come simili nella loro differenza, riconoscendo loro il diritto di esistere nella propria
specificità.
• Storie di Erodoto (484-425 a.C.) esempio di riflessione antropologica nel mondo antico (egli stesso presenta
la sua
opera come un’esposizione di un’indagine). Lo storico greco ritiene l’osservazione personale il mezzo principale per
capire la realtà. Inoltre, i dati forniti dalla propria esperienza e dalle testimonianze di altri costituiscono una materia che
offre risultati utili solo attraverso una valutazione critica, ossia una decodificazione antropologica. In Erodoto si
possono
già individuare due concetti fondamentali:
Etnocentrismo = (Sumner 1906) atteggiamento di chi considera la propria cultura superiore alle altre per modi, stili,
abitudini e tradizioni. Ogni popolo tende a giudicare i valori morali, religiosi e sociali di una comunità in base ai propri
perché considerati “migliori”.
Relativismo culturale = atteggiamento di chi nel rapporto con l’altro non adopera alcuna unità di misura per
la
comprensione dei valori culturali; ogni società è unica e diversa dalle altre e le usanze e i costumi di un popolo trovano
giustificazione nel loro contesto specifico.
• De bello gallico di Cesare sette libri di letteratura memorialistica che contengono descrizioni dei
costumi dei
“barbari” e ricerche storiche sui popoli da sottomettere. Oltre a diverse fonti, Cesare fornisce informazioni di prima
mano, basate sull’osservazione diretta: egli riconosce il valore del nemico, oltre che in campo militare, anche dal punto
di vista culturale (i barbari non sono poi tanto barbari quando li si conosce a fondo).
• Germania di Tacito considerata la prima monografia antropologica dell’antichità. Obiettivo: offrire ai
corrotti
Romani degli esempi di sani costumi attraverso la descrizione di usanze diffuse presso altri popoli; in realtà si tratta di
uno studio geografico, etnografico, antropologico di grande precisione e rigore.
• Il Milione di Marco Polo documento antropologico di eccezionale valore. Il centro della ricerca è l’uomo, la
sua
cultura, le varie civiltà che incontra sul proprio cammino.
Successivamente, con il Rinascimento si hanno progressi nelle scoperte geografiche e nelle invenzioni tecniche. La
navigazione oceanica compie progressi; vengono scoperte delle umanità fino ad allora sconosciute. La genesi della
riflessione antropologica è contemporanea alla scoperta dell’America. Si iniziano ad elaborare discorsi e riflessioni
sugli abitanti dei nuovi territori. Si diffondono anche i primi racconti dei missionari; trova spazio lo studio della lingua
degli indios e dei loro costumi. La figura dell’”altro” comincia ad assumere presso gli europei due significati: 1) l’altro
= antico saggio dotato di una sapienza maggiore e di un’esperienza arcaica; 2) l’altro = selvaggio semi-umano. La
colonizzazione tende a distruggere molte culture, ma c’è chi raccoglie le tradizioni e i costumi dei popoli
delle
Americhe.
• Padre Bartolomeo de las Casas, Garcilao de la Vega e Giuseppe d’Acosta.
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fenomeni). Frazer era convinto che la magia e la scienza fossero due fasi legate dalla comune volontà di scoprire le
relazioni di causa ed effetto che legano tra loro i fenomeni naturali; la magia invece si caratterizza per la confusione e
l’ignoranza.
Frazer ha lasciato una produzione sterminata che culmina in un’opera in 12 volumi: Il ramo d’oro studia una grande
quantità di miti, approfondisce i concetti di totemismo (= pratica religiosa tribale basata sul culto di un oggetto,
concreto o astratto, dal forte valore simbolico, detto totem) e il cosiddetto “sacrificio del re divino”. Attraverso un
metodo caratterizzato da un comparativismo estremo l’autore mette sullo stesso piano usanze, riti e credenze
appartenenti a epoche e popoli differenti.

FRANZ BOAS (1858-1942). È il fondatore dell’antropologia americana. Dimostra la fragilità teorica degli
evoluzionisti con un saggio del 1896 con cui propone una contestazione radicale delle tesi evoluzioniste. In questo
testo, l’antropologo nega qualsiasi valore allo sforzo di costruire una storia sistematica e uniforme dell’evoluzione
della cultura. Proprio a partire da questa critica al paradigma dell’evoluzionismo, l’antropologia ridefinisce i suoi
oggetti di indagine e le sue finalità, rivolgendo il proprio lavoro non più a determinare i confini e le fasi di un’ipotetica
storia della cultura umana, ma indirizzando la propria analisi verso singole culture, caratterizzate dalla diversità sociale
e culturale, innanzitutto in contesti extraeuropei. Boas quindi valorizza la dimensione storica dei fenomeni culturali e
questo lo porta ad avere una posizione ostile nei confronti di ogni teorizzazione estrema; studia i fatti umani concreti,
le lingue e la mitologia, raccogliendo un’enorme quantità di dati. Boas sostiene che un fenomeno culturale può avere
ragioni e motivazioni totalmente diverse anche se compare in varie culture.

DIFFUSIONISMO. Questa corrente mira ad analizzare i fenomeni culturali in base alla loro diffusione in aree
geografiche e, in contrapposizione all’evoluzionismo, parte dalla constatazione che la presenza di aspetti culturali
simili in zone diverse del pianeta non sarebbe rilevatrice di un processo di evoluzione culturale quanto piuttosto alla
comune origine in un determinato luogo e alla successiva diffusione e differenziazione. Viene stabilita l’importanza
dei contatti fra popoli; inoltre si hanno i primi studi scientifici relativi alla circolazione di tratti culturali.

3. L’ANTROPOLOGIA NEL ‘900

BRONISLAW MALINOWSKI (1884-1942). È considerato uno dei maggiori studiosi del XX secolo soprattutto per
l’attività nel settore della ricerca etnografica, e padre del funzionalismo. Teorizza una nuova modalità conoscitiva nei
riguardi delle società umane. La sua opera (Argonauti del Pacifico occidentale che studia la vita dei villaggi
melanesiani e la pratica di scambio della kula) rappresenta un punto di rottura rispetto al passato e sancisce la nascita
di un nuovo modo di concepire l’antropologia. Malinowski considera la ricerca sul campo un momento fondamentale
per la raccolta dei dati; è fondatore anche di un nuovo metodo di analisi per la lettura scientifica delle società esotiche.
L’osservazione partecipante (= atteggiamento di profonda partecipazione alla vita comunitaria della società che si
studia) diverrà un topos dell’antropologia.
Malinowski pensa alla società come a un insieme di elementi interrelati tra loto. Lo studio dei rapporti esistenti nello
scambio del kula fa nascere il concetto di reciprocità, secondo cui tutte le varie pratiche connesse allo scambio servono
per garantire coesione tra i membri l’agire sociale viene a configurarsi come un insieme di comportamenti finalizzai
a garantire ordine e coesione all’interno di un gruppo.
All’interno della società (sistema complesso di fenomeni per Malinowski), la famiglia elementare assume un ruolo
decisivo per quanto riguarda il funzionamento del gruppo. La famiglia nucleare è la più praticata e la più diffusa perché
è la cellula originaria della società, in quanto è il luogo della riproduzione biologica e dell’educazione culturale
(momento di trasmissione della cultura tra generazioni successive; è vietato l’incesto). La società risulta allora essere
il prodotto dell’estensione dei rapporti familiari e della pratica dell’esogamia (= sposarsi fuori dal proprio gruppo di
parenti stretti per costruire una rete di rapporti di affinità con membri estranei al proprio gruppo). Negli ultimi anni di
vita, però, Malinowski per l’idea di società propone una teoria a sfondo biologico società = sistema funzionale ai
bisogni fondamentali dell’uomo. Ogni istituzione culturale creata dall’uomo assolve a una funzione specifica.

ÉMILE DURKHEIM (1858-1917). È il fondatore della scuola etnosociologica francese: studi sulla relazione tra
individuo e società. Si batte per dare autonomia alla nascente sociologia facendo sì che si fondi solo su basi scientifiche

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fenomeni). Frazer era convinto che la magia e la scienza fossero due fasi legate dalla comune volontà di scoprire le
relazioni di causa ed effetto che legano tra loro i fenomeni naturali; la magia invece si caratterizza per la confusione e
l’ignoranza.
Frazer ha lasciato una produzione sterminata che culmina in un’opera in 12 volumi: Il ramo d’oro studia una grande
quantità di miti, approfondisce i concetti di totemismo (= pratica religiosa tribale basata sul culto di un oggetto,
concreto o astratto, dal forte valore simbolico, detto totem) e il cosiddetto “sacrificio del re divino”. Attraverso un
metodo caratterizzato da un comparativismo estremo l’autore mette sullo stesso piano usanze, riti e credenze
appartenenti a epoche e popoli differenti.

FRANZ BOAS (1858-1942). È il fondatore dell’antropologia americana. Dimostra la fragilità teorica degli
evoluzionisti con un saggio del 1896 con cui propone una contestazione radicale delle tesi evoluzioniste. In questo
testo, l’antropologo nega qualsiasi valore allo sforzo di costruire una storia sistematica e uniforme dell’evoluzione
della cultura. Proprio a partire da questa critica al paradigma dell’evoluzionismo, l’antropologia ridefinisce i suoi
oggetti di indagine e le sue finalità, rivolgendo il proprio lavoro non più a determinare i confini e le fasi di un’ipotetica
storia della cultura umana, ma indirizzando la propria analisi verso singole culture, caratterizzate dalla diversità sociale
e culturale, innanzitutto in contesti extraeuropei. Boas quindi valorizza la dimensione storica dei fenomeni culturali e
questo lo porta ad avere una posizione ostile nei confronti di ogni teorizzazione estrema; studia i fatti umani concreti,
le lingue e la mitologia, raccogliendo un’enorme quantità di dati. Boas sostiene che un fenomeno culturale può avere
ragioni e motivazioni totalmente diverse anche se compare in varie culture.

DIFFUSIONISMO. Questa corrente mira ad analizzare i fenomeni culturali in base alla loro diffusione in aree
geografiche e, in contrapposizione all’evoluzionismo, parte dalla constatazione che la presenza di aspetti culturali
simili in zone diverse del pianeta non sarebbe rilevatrice di un processo di evoluzione culturale quanto piuttosto alla
comune origine in un determinato luogo e alla successiva diffusione e differenziazione. Viene stabilita l’importanza
dei contatti fra popoli; inoltre si hanno i primi studi scientifici relativi alla circolazione di tratti culturali.

3. L’ANTROPOLOGIA NEL ‘900

BRONISLAW MALINOWSKI (1884-1942). È considerato uno dei maggiori studiosi del XX secolo soprattutto per
l’attività nel settore della ricerca etnografica, e padre del funzionalismo. Teorizza una nuova modalità conoscitiva nei
riguardi delle società umane. La sua opera (Argonauti del Pacifico occidentale che studia la vita dei villaggi
melanesiani e la pratica di scambio della kula) rappresenta un punto di rottura rispetto al passato e sancisce la nascita
di un nuovo modo di concepire l’antropologia. Malinowski considera la ricerca sul campo un momento fondamentale
per la raccolta dei dati; è fondatore anche di un nuovo metodo di analisi per la lettura scientifica delle società esotiche.
L’osservazione partecipante (= atteggiamento di profonda partecipazione alla vita comunitaria della società che si
studia) diverrà un topos dell’antropologia.
Malinowski pensa alla società come a un insieme di elementi interrelati tra loto. Lo studio dei rapporti esistenti nello
scambio del kula fa nascere il concetto di reciprocità, secondo cui tutte le varie pratiche connesse allo scambio servono
per garantire coesione tra i membri l’agire sociale viene a configurarsi come un insieme di comportamenti finalizzai
a garantire ordine e coesione all’interno di un gruppo.
All’interno della società (sistema complesso di fenomeni per Malinowski), la famiglia elementare assume un ruolo
decisivo per quanto riguarda il funzionamento del gruppo. La famiglia nucleare è la più praticata e la più diffusa perché
è la cellula originaria della società, in quanto è il luogo della riproduzione biologica e dell’educazione culturale
(momento di trasmissione della cultura tra generazioni successive; è vietato l’incesto). La società risulta allora essere
il prodotto dell’estensione dei rapporti familiari e della pratica dell’esogamia (= sposarsi fuori dal proprio gruppo di
parenti stretti per costruire una rete di rapporti di affinità con membri estranei al proprio gruppo). Negli ultimi anni di
vita, però, Malinowski per l’idea di società propone una teoria a sfondo biologico società = sistema funzionale ai
bisogni fondamentali dell’uomo. Ogni istituzione culturale creata dall’uomo assolve a una funzione specifica.

ÉMILE DURKHEIM (1858-1917). È il fondatore della scuola etnosociologica francese: studi sulla relazione tra
individuo e società. Si batte per dare autonomia alla nascente sociologia facendo sì che si fondi solo su basi scientifiche
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(osservazione empirica dei fenomeni + eliminazione pre-nozioni causa di fraintendimenti sulla conoscenza della
società) si considerano i fenomeni sociali come «cose» aventi una vita propria, la cui esistenza sarebbe garantita
indipendentemente dall’apporto delle singole coscienze.
= diventare scientifica, significa per la sociologia studiare i fatti sociali, quegli aspetti della vita quotidiana e sociale
che influenzano le azioni degli individui con gli stessi metodi con cui si studiano i fenomeni scientifici. La sociologia
per D. ha una funzione concreta di diagnosi e cura dei mali della società. La società è un’entità a sé stante (sistema
con vita propria) che detta le regole dall’alto, costringendo i suoi membri a conformarsi ad esse.
Durkheim tenta di definire il tipo di solidarietà (grado di coesione che vige presso i gruppi umani), individuandone
due tipi: 1) solidarietà meccanica, 2) solidarietà organica (ogni singolo membro assolve ad una particolare funzione).
Il lavoro è considerato come il principale fondamento della coesione sociale, ancora prima della religione; con la
divisione delle attività gli individui diventano sempre più dipendenti gli uni dagli altri ogni società è caratterizzata
dall’esistenza di una coscienza collettiva, quell’insieme di credenze, norme e sentimenti comuni alla media dei membri
che la costituiscono. La coscienza collettiva è ciò che determina la condotta dell’individuo in società (l’individuo è un
prodotto della società).
Suicidio come fatto sociale = il suicidio può essere determinato dall’influenza di fattori sociali, pur sembrando in
apparenza un atto soggettivo; la forza che determina il suicidio non è psicologica, bensì sociale. Il suicidio va
analizzato come indicatore del livello di coesione di un gruppo: più un individuo è inserito all’interno del gruppo,
meno ha probabilità di suicidarsi. Tre tipi: 1) suicidio egoistico (scarsa integrazione sociale), 2) suicidio anomico
(spaesamento dell’individuo per temporanee disfunzioni tra le varie parti della società – es. crisi economica), 3)
suicidio altruistico (grande attaccamento, ma senso di inutilità verso gli altri).
Religione = fatto sociale obiettivo; negli elementi della religione si ritrova l’espressione della volontà sociale che si
concretizza nel concetto di sacro. Per D. la religione è un sistema di credenze e pratiche relative a cose sacre (separate
dalla realtà) che uniscono in una comunità sociale coloro che vi aderiscono.

RADCLIFF BROWN (1881-1955). Elabora il paradigma scientifico del struttural-funzionalismo, in continuità con
Durkheim) = ricerca dell’oggetto specifico dell’antropologia che Radcliff rintraccia nello studio dei fenomeni sociali
in quanto tali. La società costituisce un aggregato coerente e funzionale le cui parti devono contribuire a mantenere in
equilibrio l’intero sistema, grazie a una complessa rete di relazioni reciproche e correlate la ricerca antropologica
deve concentrarsi sui meccanismi che operano all’interno della società. Il metodo da utilizzare è quello induttivo e i
procedimenti devono essere quelli di comparazione e generalizzazione dei risultati.
struttura sociale (trama di rapporti tra individui), funzione sociale (rapporto esistente tra il processo e la struttura
sociale), processo sociale (moltitudine di azione degli esseri umani) formano tre apparati teorici con cui pensare alla
società come a un insieme coordinato e funzionale di attività, riconducibili all’idea di gruppo come sistema organizzato
e in perenne equilibrio.

MARCEL MAUSS (1872-1950). Fondatore dell’etnologia francese. Le sue opere sono i primi tentativi di definizione
di nuove branche del sapere antropologico. Mauss è famoso per il suo oggetto teorico «fatto sociale totale»: specifici
fatti in grado da soli di convogliare una gran quantità di altri fenomeni di natura analoga (diventa possibile porre
l’attenzione non su una serie di rappresentazioni collettive, quanto su un singolo fenomeno, in grado di dar conto del
modo in cui veniva strutturata la società da parte dei suoi membri); punto di partenza per spiegare i differenti aspetti
sociali di un gruppo. Nella sua opera Mauss studia Il diverso modo che hanno le società eschimesi di strutturarsi sul
territorio a seconda delle differenti stagioni dell'anno, viste in stretta dipendenza con l'organizzazione delle attività
economiche. Tale forma di organizzazione viene intesa da Mauss come un fenomeno a partire dal quale è possibile
gettare uno sguardo sulla diversa intensità sociale del gruppo nei vari periodi.
Circolazione dei doni = presenza, presso tutte le società “primitive”, dell’esistenza della triplice obbligazione morale
del dare, riceve e ricambiare l’intero fenomeno della circolazione è subordinato e regolato da questi tre principi
morali. Semplici doni convogliano in complesse trame di relazioni sociali (il fenomeno dello scambio è un fatto sociale
totale in virtù della complessa rete di rapporti che sottintende).

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DIFFUSIONISMO (inizio XX secolo). Corrente basata sull’idea che una cultura possa migrare e diffondersi
geograficamente secondo una dinamica che si ripete continuamente nella storia dell'umanità, dove l’incontro tra realtà
diverse porta un continuo e inarrestabile flusso di conoscenze.
Il diffusionismo europeo introduce il concetto dei «cerchi culturali» = serie di tratti culturali rintracciabili in diversi
punti del globo, la cui presenza in luoghi distanti tra di loro sarebbe da imputare alle migrazioni di elementi avvenute
in un passato più o meno remoto. A ciò si collega il tema degenerazionista = tendenza a considerare l’allontanamento
di un tratto culturale dal luogo d’origine come indice della propria decadenza rispetto alla sua primigenia perfezione.
Negli USA si diffonde il concetto di area culturale = area geografica delimitata all’interno della quale sono presenti
certi tratti cui è possibile assegnare una specifica identità. Carl Wissler considera l’idea di area culturale come un
ambito di diffusione di elementi culturali simili, a partire da un centro di irradiazione (centro culturale) = i tratti più
distanti dal centro devono essere i più antichi e quindi appartenere al nucleo originario. Critica: i tratti non si
diffondono in maniera uniforme in tutte le direzioni, mentre i tempi possono essere diversi in rapporto a diversi fattori
contingenti; e anche l’idea di centro culturale pone dei limiti perché il centro può modificarsi e passare da un luogo
geografico all’altro a causa di modificazioni storico-culturali.

CLAUDE LÉVI-STRAUSS (1908-2009). La sua opera rappresenta la più coerente applicazione di temi e metodi
dell’indagine strutturale all’analisi della cultura e all’antropologia. Con il termine “struttura” generalmente si intende
un insieme di fatti di eventi o di organismi in cui le singole parti sono correlate in maniera sistematica, tanto da non
poter essere considerate separatamente. Strutturalismo = si considera la realtà come un sistema di relazioni i cui
termini costituenti non esistono di per se stessi ma soltanto in connessione tra loro.
Lévi-Strauss ridefinisce l’antropologia culturale come scienza specifica ed autonoma finalizzata all’analisi delle
proprietà generali della vita sociale il compito dell’antropologia è individuare le strutture universali e invariabili
che sottostanno alle diverse pratiche culturali dell’uomo. Dunque: le differenze tra le culture come variabili di temi
costanti nelle società umane (quindi natura umana sempre uguale a se stessa). Questo tipo di approccio porta a una
frattura con la storia, ossia con l’analisi diacronica dei fatti che considera questi secondo il loro divenire nel tempo. I
campi principali dello studio di Lévi-Strauss sono i legami di parentela (sistema orizzontale di comunicazione per
creare legami fra gruppi diversi proibizione dell’incensto = possibilità di scambio delle donne che assume il
significato di primo fenomeno comunicativo = fondazione stessa della cultura) e i miti (non frutto della fantasia, ma
struttura di pensiero).

NEO-EVOLUZIONISMO (anni ’40). Riprende la prospettiva più generale dell’evoluzionismo del XIX secolo.
Centrale è il fenomeno dell’interazione di livelli di integrazione socio-culturale che caratterizza la natura multilineare
dell’evoluzione. L’obiettivo è scoprire le leggi e la regolarità del cambiamento culturale, organizzando l’evoluzione
attorno a modelli paralleli di sviluppo che riflettono le specifiche strategie adattive appropriate a differenti condizioni
ambientali.

4. LA SCUOLA: METODO ETNOGRAFICO, SCHOOLING E DISPERSIONE SCOLASTICA

Etnografia applicata alla scuola e all’educazione (antropologia dell’educazione). La ricerca etnografica può riguardare:
- Studi comunità = indagini condotte all’interno di piccole comunità sociali che comportano il
trasferimento del
ricercatore nella comunità studiata, nella quale si appresta a vivere per un certo periodo.
- Studi delle subculture;
- Studi delle organizzazioni = considerare delle organizzazioni stesse come delle culture. L’oggetto è
la cultura
organizzativa (simboli, regole non scritte, modelli di interpretazione della realtà) e dai modi in cui essa si manifesta
nell’interazione sociale.
- Studi delle culture dei bambini.
La scuola, in quanto luogo sociale, ben si presta ad una ricerca etnografica, nella quale l’interazione pratica, simbolica
e relazionale è molto concentrata; inoltre essa è un luogo in cui le abitudini quotidiane diventano spesso ritualizzate e
cristallizzate.
Si parla di etnografia applicata alla scuola dalla metà del ‘900: G. e L. Splinder parlano di entnografia dello schooling:
osservazione dei contesti reali di insegnamento con lo scopo di far emergere i presupposti culturali impliciti, sfuggiti
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evoluzionistica, che trova il suo campo d’indagine sul concetto della microevoluzione (trasmissione differenziale di
geni da una generazione a quella successiva) = se specie diverse sono evolutivamente vicine e si assomigliano
nell’anatomia, così sarà anche per i loro geni.
le ipotesi evoluzioniste hanno avuto precursori già nei secoli XVIII e XIX, ma è con la tesi di Darwin che si
affermano dalla metà del XIX secolo come fondamento dell’antropologia biologica. All’inizio del XX secolo si
contrappongono sue correnti di pensiero: 1) monogeista (= fa discendere l’uomo attuale in linea diretta da un solo tipo
di Ominide comparso in una determinata regione dell’Africa); 2) poligenista (= ritiene le diverse razze esistenti come
qualcosa di derivato da specie evolutesi ciascuna nel proprio territorio di origini).
lo sviluppo dell’antropologia sociale e culturale, ponendo l’attenzione sulle relazioni storiche e culturali e sullo
studio delle interrelazioni tra le differenti istituzioni di una società, ha causato il progressivo distacco dalla prospettiva
evoluzionista.

Famiglie linguistiche. Lo studio dell’origine della lingua costituisce un valido strumento conoscitivo (informazioni su
usi, costumi dei popoli). Famiglie linguistiche = i linguisti hanno riconosciuto che alcune lingue hanno tali
somiglianze lessicali, strutturali, morfologiche e fonetiche da dover necessariamente discendere da un antenato
comune. Nasce la linguistica storica (comparazione).
La diffusione delle lingue sarebbe avvenuta secondo 4 processi: migrazione in nuovi territori, espansione demografica
di agricoltori, insediamento in zone subartiche, conquiste a grande scala. Le ricerche paleontologiche e quelle
archeologiche relative alle mutazioni culturali e alle migrazioni hanno fornito elementi di conferma delle ipotesi di
diffusione delle lingue.
dati genetici, paleoantropologici e archeologici hanno ritenere che l’uomo moderno sia emerso in Africa tra 200
mila e 100 mila anni fa, e dall’Africa abbia iniziato una lenta migrazione negli altri continenti. Le testimonianze delle
migrazioni sopravvivono in certe lingue isolate e in famiglie linguistiche i cui territori di diffusione sono caratterizzati
da un’elevata diversità linguistica. La dispersione di popoli avviene per l’introduzione dell’agricoltura o per
cambiamenti climatici.

Lingua e cultura. L’antropologia cognitiva studia il rapporto tra cultura e il pensiero umano; si occupa del modo in cui
questi processi vengono concettualizzati dagli individui, dei processi mentali che determinano il comportamento. Si
tratta di comprendere quello che la gente fa, e per farlo è necessario utilizzare le categorie linguistiche della cultura di
riferimento esiste un rapporto stretto tra lingue e cultura (intesa in senso antropologico: complesso di elementi non
biologici attraverso i quali i gruppi umani si adattano all’ambiente e organizzano la loro vita sociale): secondo de
Saussure la lingua è un prodotto sociale del linguaggio, un insieme di convenzioni usate da un popolo per esercitare
la facoltà del linguaggio a scopo comunicativo. Inoltre, una lingua comune esprime appartenenza. E la lingua, oltre ad
essere forma associata ad un significato culturalmente determinato e pragmatico, è soprattutto espressione della
struttura profonda dell’io, del suo mondo interiore.
Il rapporto tra lingua e cultura è indissolubile: per poter acquisire la sua prima lingua, un bambino deve prima imparare
a relazionarsi con il mondo, cioè deve prima imparare le norme culturali che gli permettono di interagire con le persone
che lo circondano e con l’ambiente circostante la lingua è il sistema di simboli più potente a disposizione degli
esseri umani per trasmettere e modificare un sistema concettuale che la cultura stessa rappresenta. Quindi apprendere
una nuova lingua significa imparare a vedere la realtà con gli occhi del popolo straniero o secondo i modelli culturali
a cui la lingua straniera fa riferimento.

Genere, sesso e relazioni sociali. La parola genere ha subito profondi cambiamenti di significato, perdendo il suo
legame univoco con il sesso biologico. Sesso = appartenenza ad una delle due categorie biologiche
(maschio/femmina); genere = tutto ciò che è sovrapponibile al biologicamente dato, quindi l’esperienza psicologica,
relazionale e culturale.
A partire dagli anni ’90, un certo filone di studi di genere inizia a inquadrare le identità di genere come un insieme di
pratiche sociali e quotidiane, attraverso le quali si costruisce e si interpreta l’essere uomo o donna, in un rapporto di
coerenza non necessaria con l’appartenenza sessuale.
Ciò che è stato considerato ovvio fino a prima, viene oggi messo in discussione da correnti di pensiero che nella
concezione dell’identità sessuale ritengono determinante non la natura biologica, ma la cultura sociale il genere

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evoluzionistica, che trova il suo campo d’indagine sul concetto della microevoluzione (trasmissione differenziale di
geni da una generazione a quella successiva) = se specie diverse sono evolutivamente vicine e si assomigliano
nell’anatomia, così sarà anche per i loro geni.
le ipotesi evoluzioniste hanno avuto precursori già nei secoli XVIII e XIX, ma è con la tesi di Darwin che si
affermano dalla metà del XIX secolo come fondamento dell’antropologia biologica. All’inizio del XX secolo si
contrappongono sue correnti di pensiero: 1) monogeista (= fa discendere l’uomo attuale in linea diretta da un solo tipo
di Ominide comparso in una determinata regione dell’Africa); 2) poligenista (= ritiene le diverse razze esistenti come
qualcosa di derivato da specie evolutesi ciascuna nel proprio territorio di origini).
lo sviluppo dell’antropologia sociale e culturale, ponendo l’attenzione sulle relazioni storiche e culturali e sullo
studio delle interrelazioni tra le differenti istituzioni di una società, ha causato il progressivo distacco dalla prospettiva
evoluzionista.

Famiglie linguistiche. Lo studio dell’origine della lingua costituisce un valido strumento conoscitivo (informazioni su
usi, costumi dei popoli). Famiglie linguistiche = i linguisti hanno riconosciuto che alcune lingue hanno tali
somiglianze lessicali, strutturali, morfologiche e fonetiche da dover necessariamente discendere da un antenato
comune. Nasce la linguistica storica (comparazione).
La diffusione delle lingue sarebbe avvenuta secondo 4 processi: migrazione in nuovi territori, espansione demografica
di agricoltori, insediamento in zone subartiche, conquiste a grande scala. Le ricerche paleontologiche e quelle
archeologiche relative alle mutazioni culturali e alle migrazioni hanno fornito elementi di conferma delle ipotesi di
diffusione delle lingue.
dati genetici, paleoantropologici e archeologici hanno ritenere che l’uomo moderno sia emerso in Africa tra 200
mila e 100 mila anni fa, e dall’Africa abbia iniziato una lenta migrazione negli altri continenti. Le testimonianze delle
migrazioni sopravvivono in certe lingue isolate e in famiglie linguistiche i cui territori di diffusione sono caratterizzati
da un’elevata diversità linguistica. La dispersione di popoli avviene per l’introduzione dell’agricoltura o per
cambiamenti climatici.

Lingua e cultura. L’antropologia cognitiva studia il rapporto tra cultura e il pensiero umano; si occupa del modo in cui
questi processi vengono concettualizzati dagli individui, dei processi mentali che determinano il comportamento. Si
tratta di comprendere quello che la gente fa, e per farlo è necessario utilizzare le categorie linguistiche della cultura di
riferimento esiste un rapporto stretto tra lingue e cultura (intesa in senso antropologico: complesso di elementi non
biologici attraverso i quali i gruppi umani si adattano all’ambiente e organizzano la loro vita sociale): secondo de
Saussure la lingua è un prodotto sociale del linguaggio, un insieme di convenzioni usate da un popolo per esercitare
la facoltà del linguaggio a scopo comunicativo. Inoltre, una lingua comune esprime appartenenza. E la lingua, oltre ad
essere forma associata ad un significato culturalmente determinato e pragmatico, è soprattutto espressione della
struttura profonda dell’io, del suo mondo interiore.
Il rapporto tra lingua e cultura è indissolubile: per poter acquisire la sua prima lingua, un bambino deve prima imparare
a relazionarsi con il mondo, cioè deve prima imparare le norme culturali che gli permettono di interagire con le persone
che lo circondano e con l’ambiente circostante la lingua è il sistema di simboli più potente a disposizione degli
esseri umani per trasmettere e modificare un sistema concettuale che la cultura stessa rappresenta. Quindi apprendere
una nuova lingua significa imparare a vedere la realtà con gli occhi del popolo straniero o secondo i modelli culturali
a cui la lingua straniera fa riferimento.

Genere, sesso e relazioni sociali. La parola genere ha subito profondi cambiamenti di significato, perdendo il suo
legame univoco con il sesso biologico. Sesso = appartenenza ad una delle due categorie biologiche
(maschio/femmina); genere = tutto ciò che è sovrapponibile al biologicamente dato, quindi l’esperienza psicologica,
relazionale e culturale.
A partire dagli anni ’90, un certo filone di studi di genere inizia a inquadrare le identità di genere come un insieme di
pratiche sociali e quotidiane, attraverso le quali si costruisce e si interpreta l’essere uomo o donna, in un rapporto di
coerenza non necessaria con l’appartenenza sessuale.
Ciò che è stato considerato ovvio fino a prima, viene oggi messo in discussione da correnti di pensiero che nella
concezione dell’identità sessuale ritengono determinante non la natura biologica, ma la cultura sociale il genere
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diventa un carattere appreso; è un carattere sistematico, sociale e variabile. Descrivere il genere di una persona
comporta far riferimento ad un piano non evidente e più interiore della persona stessa, lì dove risiedono la sua
personalità, il suo carattere, le inclinazioni e le passioni.
L’antropologa Scott attribuisce al concetto di genere il ruolo di protagonista tra le relazioni sociali e la responsabilità
della
manifestazione dei rapporti di potere. Si ha l’opportunità di riscrivere il genere, che non significa eliminare le differenze
e andare
verso la neutralità, ma implica impegnarsi nella creazione eventuale di un’idea diversa, che esca dalla concezione
dualistica attuale
maschio/femmina.
Margaret Mead è la prima studiosa che dedica la propria indagine alle differenze tra i sessi (in alcuni popoli molto
marcata, in
altri sparisce) portando una svolta nel panorama dello studio antropologico delle società. Durante i suoi studi
comprende come la
definizione di ciò che è maschile e di ciò che è femminile sembri essere un principio base dell’organizzazione sociale e
della
distribuzione di compiti e risorse, piuttosto che una determinazione legata all’appartenenza biologica. Mead, dopo aver
confrontato
queste società con quelle occidentali, arriva alla conclusione che quelle che sono ritenute delle caratteristiche innate
nelle società
occidentali (passività della donna, aggressività maschile), in realtà sono frutto di rapporti sociali e culturali la
disuguaglianza
e le differenze tra uomo e donna non è dovuta ad inclinazioni naturali ma è determinata dalla cultura.
la stessa antropologia è messa in discussione perché tutti i valori antropologici elaborati fino agli studi di Mead
sono di matrice androcentrica.
L’antropologa statunitense esperta di studi di genere Rubin parla di sistema sesso/genere per indicare l’insieme dei
processi,
adattamenti, modalità di comportamento e di rapporto con i quali ciascuna società trasforma la sessualità biologica in
prodotti
dell’attività umana. Quindi il genere è innanzitutto un principio ordinatore.
uno dei compiti più complessi per un genitore, un insegnante è educare l’individuo ai concetti di equità e di rispetto
tra i generi, al di là dei costrutti sociali legati al femminile e al maschile. Molto spesso la scuola diventa luogo dove
gli stereotipi, invece di essere studiati in maniera critica, sono enfatizzati. La scuola per prima deve creare delle vere
relazioni sociali e assumere il compito di diventare luogo di dialogo e apertura; occorre una scuola in cui sia presente
un’ottica di genere nei contenuti disciplinari e nei libri di testo.

6. IMMIGRAZIONE, CULTURA E IDENTITÀ

Immigrazione = è il trasferimento permanente o temporaneo di singoli individui o gruppi di persone in un paese o


luogo diverso da quello di origine. È uno dei fenomeni sociali mondiali più problematici e controversi per cause e
conseguenze. Ogni migrante parte dalla stessa necessità: abbandonare in maniera indifferibile ed urgente le modalità
fallimentari ed oppressive abituali, per sperimentare possibilità alternative esistono svariati motivi per cui si emigra;
esiste un’ampia varietà di realtà esistenziali.
L’egoismo del gruppo e la xenofobia sono costanti antropologiche che connotano tale fenomeno. Se le etnie sono sorte
quasi naturalmente, le nazioni sono strutture create consapevolmente e spesso del tutto artificiali che non possono
prescindere da una specifica ideologia. Non esistono nazioni con una popolazione omogenea e compatta; per questo
motivo, all’etnia maggioritaria di norma riesce difficile rassegnarsi all’esistenza di minoranze e ogni flusso migratorio
diventa in quel paese un problema politico.
I grandi movimenti migratori portarono sempre a lotte per la ripartizione del territorio. Le migrazioni odierne si
distinguono da essi in più di un aspetto: negli ultimi duecento anni è enormemente aumentata la mobilità; 2) con la
globalizzazione del mercato mondiale anche i movimenti migratori acquisiscono una nuova qualità (pubblicità dei
nuovi media).
Sin dai tempi antichi in Francia, Inghilterra, Irlanda e Germania ci sono stati continui scambi di popolazione (che
proprio qui le ideologie della razza e del sangue abbiano conquistato il dominio politico, si piò intendere in senso
compensatorio). In generale, inevitabili conflitti provocati da una migrazione di massa si sono inaspriti solo da quando
la disoccupazione nei paesi di accoglienza è cronica. Nelle fasi di piena occupazione furono reclutati milioni di
immigrati come manodopera. Ora le uniche prospettive che rimangono agli immigrati sono il lavoro in nero e la
criminalità.

Appartenenze culturali e identità etnica. Rispetto al passato si è passati dalla concezione di gruppo etnico quale sistema
sociale chiuso all’etnicità intesa come risultato dell’interazione sociale e dello scambio tra diversi gruppi. Identità
etnica = processo di costruzione che non avviene all’interno dell’individuo in condizioni di isolamento, bensì ha natura
sociale, ovvero si definisce nell’interazione con altri membri della società e nel contesto culturale in cui ognuno vive;

62
indica i valori, gli atteggiamenti e i sentimenti per cui il soggetto sente di appartenere a una realtà (ed estraneo ad altre)
il senso di appartenenza scatta con l’aggregazione del soggetto in un gruppo. L’identità etnica si acquisisce
mediante un processo di confronto che attiva valutazioni e conduce a definire, sia la posizione del proprio gruppo
all’interno del contesto sociale, sia il significato che assume l’appartenenza a tele gruppo all’interno del più generale
concetto di sé.
Attraverso le tradizioni popolari si possono riscoprire le proprie radici: in passato gli immigrati facevano di tutto per
mimetizzarsi con il nuovo popolo che li accoglieva, mentre ora cercano di recuperare le proprie origini. L’UE nel suo
insieme è attualmente un miscuglio di etnie e culture che fanno di essa un mosaico di realtà sociali in costante
movimento, alla ricerca di nuovi equilibri culturali, sociali e identitari. Ma da un punto di vista antropologico la
variabilità è un vantaggio rispetto all’omogeneità.

Concetto di sé e appartenenze etnico-culturali. Vari sono gli ambiti disciplinari che studiano e affrontano le tematiche
delle appartenenze etnico-culturali e dei processi di identificazione sociale in una società multietnica: pedagogia
(progettazione educazione interculturale), sociologia (studio degli effetti macrostrutturali legati ai processi migratori),
psicologia (effetti legati ai processi di adattamento dei migranti al contesto ospitante). Del resto, l’identità personale
deriva dall’esperienza propria del soggetto del sentirsi esistere e del sentirsi riconosciuto dagli altri. L’identità
personale si correla dunque a quella sociale, destinata ad esplicarsi nella partecipazione a gruppi ed istituzioni. Nella
persona l’identità personale coesiste con l’identità etnica che è un concetto più ampio. Questa allora deve essere
concepita come una sensazione di appartenenza ad una comunità: ha una dimensione biologica (tratti somatici) ma
anche sociale; è un processo mediante il quale l’individuo acquisisce la consapevolezza di essere membro di un
determinato gruppo. Non è un’adesione passiva ma richiede un posizionamento di tipo psicologico. Tre sono le
componenti in quanto identità socio-culturale: componente cognitiva (consapevolezza di appartenere a un gruppo),
componente affettiva (significato emotivo), componente valutativa (connotazione positiva o negativa).
nei fenomeni di immigrazione, il processo di ricostruzione dell’identità personale e culturale dell’individuo può
incontrare ostacoli non indifferenti. Gli stranieri immigrati devono confrontarsi con diverse ipotesi di identità (quella
originaria, quella del Paese d’arrivo, quella che nel Paese d’arrivo è ritenuta l’etnicità presente nel Paese di partenza,
quella che la famiglia ritiene essere l’etnicità del Paese d’immigrazione).

7. LA RELAZIONE SOCIALE E IL PREGIUDIZIO

Modelli teorici di riferimento. Per l’impostazione della ricerca relativa alle relazioni tra l’individuo e l’ambiente sono
i modelli teorici della psicologia sociale:
- Teoria del campo di Lewin = la struttura della personalità è un campo che comprende un ambiente
psicologico, una
regione percettivo motoria, zone centrali e periferiche della personalità. È un approccio dinamico: l’individuo non è un
organismo avulso da qualsiasi contesto e l’ambiente provoca modificazioni delle aree della personalità. Le
diverse
interazioni sociali che vanno prospettandosi all’immigrato e che l’immigrato si rappresenta saranno
diversamente
elaborate anche in relazione all’interazione con l’ambiente familiare, sociale, lavorativo.
- Teoria dell’attribuzione = abitudine di scoprire le cause del comportamento altrui per comprenderne le
motivazioni; le
attribuzioni sono spesso connesse a stereotipi e pregiudizi presenti nel contesto sociale di appartenenza con il fine di
esemplificare la complessa realtà sociale (anche se facendo ciò c’è il rischio di non considerare la specificità dei singoli
individui).
- Studi sull’interazione tra gruppi = ogni persona tende ad individuare tratti positivi nel proprio gruppo e
negativi nel
gruppo altro. Caratterizzare positivamente il proprio gruppo di appartenenza significa valorizzare gli aspetti positivi
della
propria identità sociale, aspetti da cui trarre soddisfazione.

Percezione dello straniero. Nel contesto attuale, il rapporto con il diverso è una costante. Si prova paura: è solito della
specie umana temere ciò che non si conosce (modo per tutelarsi). Il problema nasce quando da una semplice paura si
passa all’intolleranza o ad una vera e propria xenofobia. La visione dello straniero è cambiata nel corso della storia.
Studio di Michels:
1. Straniero integrato: coloro che con un processo di adattamento individuale entrano in contatto e recepiscono i
valori
culturali del nuovo paese.
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formazione scolastica con l’aspirazione di autonomia economica dei ragazzi (soprattutto quelli che giungono in Italia a
14 anni).
4) Figli delle coppie miste = situazione familiare problematica.
5) Ragazzi che arrivano per adozione internazionale = sono ragazzi portatori di una sofferenza psichica di notevole
identità, legata alla loro precedente storia di vita e alle condizioni che hanno portato al loro stato di adottabilità.
6) Minori rom.
I minori inclusi in queste tipologie sono soggetti accumunati da una serie di problematiche che vanno da condizioni
di marginalità sociale a difficoltà di inserimento scolastico. La migrazione di un minore, inoltre, non è mai un progetto
che il ragazzo elabora in prima persona. È importante allora per il minore poter contare nel Paese d’arrivo su solide
figure di riferimento: la famiglia (quando c’è), l’ambiente scolastico e le istituzioni del territorio.
migrare è un’esperienza difficile, e ancora di più lo è in adolescenza perché comporta il dover affrontare sfide ed
esperienze nuove in un momento del percorso evolutivo già di per sé complesso di costruzione della propria identità.
Il processo identitario passa attraverso diversi momenti di crisi e di revisione, attraverso una serie di fasi psicosociali.
Nel 1997, Portera ha condotto una serie di ricerche per indagare sulle condizioni psicosociali degli adolescenti in un
nuovo contesto multiculturale; ha individuato alcuni fattori essenziali per lo sviluppo della personalità: 1) bisogno di
rapporti sociali e di appartenenza, 2) bisogno di attenzione emotiva positiva, 3) bisogno di attaccamento, 4) bisogno
di separazione, 5) bisogno di partecipazione attiva.
È necessario dunque un lungo periodo di elaborazione e inoltre all’interno della scuola è importante proporre
un’educazione interculturale che insegni ai ragazzi la possibilità di una sana convivenza tra culture diverse del mondo.
Imparare a vivere insieme: accettare l’altro è anche accettare se stessi.
A scuola c’è il problema dell’inserimento dei ragazzi stranieri nel contesto. Si segue il modello interrelazionale,
secondo cui si accetta la coesistenza di più culture e dove la pluralità è vista come occasione di arricchimento (scuola
multietnica e multiculturale).

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formazione scolastica con l’aspirazione di autonomia economica dei ragazzi (soprattutto quelli che giungono in Italia a
14 anni).
4) Figli delle coppie miste = situazione familiare problematica.
5) Ragazzi che arrivano per adozione internazionale = sono ragazzi portatori di una sofferenza psichica di notevole
identità, legata alla loro precedente storia di vita e alle condizioni che hanno portato al loro stato di adottabilità.
6) Minori rom.
I minori inclusi in queste tipologie sono soggetti accumunati da una serie di problematiche che vanno da condizioni
di marginalità sociale a difficoltà di inserimento scolastico. La migrazione di un minore, inoltre, non è mai un progetto
che il ragazzo elabora in prima persona. È importante allora per il minore poter contare nel Paese d’arrivo su solide
figure di riferimento: la famiglia (quando c’è), l’ambiente scolastico e le istituzioni del territorio.
migrare è un’esperienza difficile, e ancora di più lo è in adolescenza perché comporta il dover affrontare sfide ed
esperienze nuove in un momento del percorso evolutivo già di per sé complesso di costruzione della propria identità.
Il processo identitario passa attraverso diversi momenti di crisi e di revisione, attraverso una serie di fasi psicosociali.
Nel 1997, Portera ha condotto una serie di ricerche per indagare sulle condizioni psicosociali degli adolescenti in un
nuovo contesto multiculturale; ha individuato alcuni fattori essenziali per lo sviluppo della personalità: 1) bisogno di
rapporti sociali e di appartenenza, 2) bisogno di attenzione emotiva positiva, 3) bisogno di attaccamento, 4) bisogno
di separazione, 5) bisogno di partecipazione attiva.
È necessario dunque un lungo periodo di elaborazione e inoltre all’interno della scuola è importante proporre
un’educazione interculturale che insegni ai ragazzi la possibilità di una sana convivenza tra culture diverse del mondo.
Imparare a vivere insieme: accettare l’altro è anche accettare se stessi.
A scuola c’è il problema dell’inserimento dei ragazzi stranieri nel contesto. Si segue il modello interrelazionale,
secondo cui si accetta la coesistenza di più culture e dove la pluralità è vista come occasione di arricchimento (scuola
multietnica e multiculturale).

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METODOLOGIE E TECNOLOGIE DIDATTICHE
1. L’OFFERTA FORMATIVA E LA PROGRAMMAZIONE

PIANO TRIENNALE DELL’OFFERTA FORMATIVA (PTOF). Autonomia didattica delle scuole =


realizzazione della propria offerta formativa. Il POF (Piano dell’Offerta Formativa) dal 2015 è stato sostituito dal
PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) la progettazione formativa deve riguardare un triennio
(progettazione curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa).
Il PTFO = strumento di programmazione e gestione interna atto a rilevare la situazione di partenza della scuola,
evidenziare
le linee di sviluppo e individuare possibili scostamenti dagli obiettivi; è una sorta di contratto formativo stipulato tra la
scuola
e l’utente; strumento che connota, contraddistingue e diversifica ciascuna realtà scolastica rispetto alle altre (la scuola
presenta
le proprie attività, i propri obiettivi); le istituzioni scolastiche lo devono predisporre entro il mese di ottobre dell’anno
scolastico
precedente al triennio di riferimento (il piano può essere rivisto annualmente entro il mese di ottobre); contiene anche la
programmazione delle attività formative rivolte al personale docente e ATA; è elaborato dal Collegio dei docenti sulla
base
degli indirizzi dati dal Dirigente scolastico; il piano è poi approvato dal Consiglio di circolo o di istituto ed è pubblicato
sul
sito.
Struttura PTFO = si può articolare in 4 parti: [1] fonti (quadro preciso della situazione della scuola), [2] offerte e
programmi
(didattica, orario, curricula), [3] regolamento (rapporti interpersonali tra i vari soggetti), [4] valutazione (metodi e
modalità
di verifica).
Nel PTFO le scuole determinano il curricolo obbligatorio per gli alunni = è il piano di studi della singola scuola che
deve
essere elaborato nel rispetto del monte-ore stabilito a livello nazionale (discipline fondamentali + discipline
alternative
integrative); deve mantenersi il carattere unitario del sistema di istruzione ma deve emergere anche il pluralismo
culturale e le
diverse finalità dei molteplici gradi di scuola.
curricolo = parte obbligatoria + parte integrativa (quota riservata alla scuola) per ampliare l’offerta
formativa (questa parte può prevedere accordi per progetti a livello nazionale, regionale o locale).

Programmazione nella scuola = processo circolare/ciclico che inizia con l’analisi del contesto e della situazione di
partenza degli alunni, prosegue con la definizione degli obiettivi e delle attività da proporre, definizione dei tempi e
delle metodologie, con l’osservazione dei processi di apprendimento e infine con la verifica e valutazione del processo
didattico attuato.
Una volta definito il curricolo, l’attività di programmazione di una scuola si esplica in 3 momenti:
[1] programmazione d’istituto (Consiglio di istituto) = analisi del territorio + analisi integrativa di carattere più
specificatamente didattico, che a sua volta si intreccia con un’analisi interna dei bisogni e delle risorse della scuola; poi
segue
il lavoro di lettura ed interpretazione dei dati; è necessario dunque acquisire e valutare le informazioni e le conoscenze
che
si ritiene possano avere qualche rapporto con le scelte didattiche da effettuare.
[2] programmazione educativa (Collegio dei docenti) = inizia il 1° settembre di ogni anno; le finalità educative vengono
tradotte in obiettivi generali (educativi e didattici).
[3] programmazione didattica (Consiglio di intersezione, interclasse o di classe) = analisi realistica della situazione di
partenza degli alunni (inizialmente ci deve essere una verifica dei prerequisiti e delle abilità, dopodiché occorre
individuare
interventi didattici mirati); è una serie di operazioni compiute dall’insegnante per organizzare il proprio lavoro didattico
all’interno della scuola in cui opera. La programmazione didattica è sottoposta sistematicamente a momenti di verifica e
valutazione dei risultati, al fine di adeguare l’azione didattica alle esigenze formative che emergono in itinere.
1) conoscenza della realtà, 2) definizione degli obiettivi, 3) scelta degli strumenti, 4) scelta dell’oggetto e delle
procedure
di verifica.
Nella pratica didattica vale il principio della gradualità dell’apprendimento: avviene attraverso le lezioni, ciascuna
delle quali prevede la verifica dei propri obiettivi e consente di recuperarli (se mancanti), in modo da evitare il deficit
cumulativo. Lo strumento individuato per scandire le fasi della programmazione didattica è l’Unità di apprendimento
(UdA) = tiene conto non solo degli aspetti contenutistici della disciplina, ma anche del contesto specifico in cui essa
verrà calata; afferma la centralità della persona, dei suoi bisogni, selle sue motivazioni, aumenta la flessibilità della
programmazione aprendosi alla personalizzazione dei percorsi formativi la programmazione didattica allora si
organizzerà in un processo di apprendimento delineato in “moduli”, che affrontano temi specifici delle discipline, i
quali a loro volta si articolano in UdA che individuano un argomento e organizzano l’attività didattica in vista del
conseguimento di obiettivi formativi e operativi (si suddividono in conoscenze, abilità, competenze). Nel corso delle

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Ci sono vantaggi nell’uso della lezione frontale (es. trasferimento dei contenuti in maniere logica e consequenziale,
maggior
controllo degli allievi), ma anche svantaggi, come per esempio l’impossibilità di verificare il feedback
dell’apprendimento
da parte della classe in quanto agli allievi non sempre è permesso interagire.
• DIDATTICA MOTIVAZIONALE. L’apprendimento è un processo attraverso il quale il soggetto,
elaborando le proprie
esperienze, modifica il proprio comportamento e le proprie conoscenze per adattarsi in maniera autonoma alle
sollecitazioni
provenienti dal suo stato personale e dell’ambiente. Esistono numerosi fattori che condizionano l’apprendimento, il
primo
dei quali è la motivazione (un buon insegnante è quello che coniugare attività di progettazione, programmazione,
valutazione
con attività di motivazione, animazione, gratificazione degli alunni e di gestione della classe. Il docente nell’attività di
insegnamento deve tenere conto della specificità di ogni alunno, vero protagonista del processo educativo una corretta
metodologia didattica deve partire sempre dall’alunno e dalle sue conoscenze pregresse su cui innestare i nuovi
contenuti.
La didattica motivazionale dedica perciò molta attenzione al contesto della scuola e della classe in cui l’alunno è
inserito. Le
esperienze di apprendimento più motivanti per gli studenti sono quelle più attive.
• INDIVIDUAZIONE DELL’INSEGNAMENTO. La modalità di apprendimento degli individui varia sia in
rapporto al
tempo che ciascuno impiega per pervenire all’acquisizione di nuove nozioni, sia in rapporto alla modalità. Allo scopo di
individualizzare l’insegnamento, ritornano utili le didattiche metacognitive, l’apprendimento cooperativo e il tutoring
la
promozione del successo formativo per tutti gli alunni, indipendentemente dalle condizioni di partenza siano esse socio
economiche o individuali, richiede un approccio multidimensionale fondato principalmente sulla qualità delle
relazioni
interpersonali, sull’individuazione dei metodi didattici in rapporto alle differenze di ciascuno, sulla flessibilità
dell’organizzazione didattica. [si rimanda a cap. 6]
PERSONALIZZAZIONE EDUCATIVA. Si differenzia dall’individualizzazione dell’insegnamento perché, mentre
quest’ultima attiene soprattutto alle strategie che possono portare al perseguimento degli obiettivi comuni alla classe, la
personalizzazione attiene anche agli obiettivi formativi del singolo alunno. La personalizzazione prevede una
declinazione
dell’intervento educativo sulle esigenze della persona per garantire il successo formativo è necessaria una scuola su
misura, in cui venga realizzata la personalizzazione degli obiettivi formativi e delle metodologie educative e didattiche.
Si punta sulla centralità della persona; il modello didattico si fonda su tre elementi: [1] obiettivi formativi di
apprendimento
personalizzati (adattati ai ritmi di ciascun allievo); [2] pluralismo delle metodologie (integrazione e differenziazione
degli
interventi didattici); [3] processo di orientamento del soggetto in apprendimento (sviluppare le potenzialità cognitivo
del
singolo, incoraggiando le prime manifestazioni attitudinali). L’obiettivo è quello di creare itinerari differenziati, attenti
alle
esigenze ma anche alle capacità personali.
• DIDATTICA PER COMPETENZE. Si tratta di una didattica attiva e partecipata, in quanto il sapere
appreso viene
immediatamente messo in gioco e diventa risorsa operativa. Le competenze implicano didattiche che rendano il sapere
concreto e spendibile quotidianamente. Varie metodologie e pratiche didattiche, derivate anche da approcci psico-
pedagogici
differenti, si ispirano direttamente o indirettamente allo sviluppo di competenze di diverso tipo e facilitano il
loro
raggiungimento da parte dell’allievo.
• ISTRUZIONE PROGRAMMATA. Diffusasi intorno agli anni ’50, sulla scia delle teorie behavioriste
dell’apprendimento,
l’istruzione programmata trovò il suo più naturale ambito applicativo nel campo dell’organizzazione e
dell’ottimizzazione
delle sequenze di istruzione da impartirsi mediante le teaching machines [ideate dallo psicologo Skinner, si tratta di
visori di tipo
meccanico, considerati mezzi ottimali per un insegnamento individualizzato. Skinner presentava, tramite la macchina,
singole e brevi unità
didattiche, con verifica dell’apprendimento e passaggio all’unità successiva solamente se veniva conseguito
l’obiettivo previsto,
realizzando in questo modo, un sistema di apprendimento individuale e controllato].
Il processo didattico: suddivisione del materiale da apprendere in unità di apprendimento, organizzazione e
presentazione
delle unità in una progressione “a piccoli passi”, conoscenza immediata del risultato ottenuto dallo studente,
notevole
adattività del processo didattico al ritmo e alle possibilità di apprendimento del discente.
• DIDATTICA MODULARE. La didattica modulare costituisce oggi una modalità operativa
particolarmente diffusa e
sostenuta dagli operatori della formazione, in quanto rende possibile l’adeguamento dei contenuti alla formae mentis
di
ciascun allievo. La modularità rende possibile la scomposizione e la ristrutturazione delle conoscenze in sistemi
concettuali
aperti, collegabili tra loro, sulla base delle esigenze degli alunni il modulo è una modalità di lavoro flessibile,
altamente
strutturata, in cui è resa possibile la composizione personalizzata di segmenti di insegnamento/apprendimento che
hanno
contenuti e ampiezza variabili. La progettazione modulare va articolata in modo che l’allievo possa procedere
gradualmente
per tappe successive all’acquisizione di contenuti, conoscenze e competenze, individuando le eventuali interconnessioni
tra
moduli e propedeuticità rispetto agli apprendimenti successivi. Dal punto di vista organizzativo la didattica modulare
rende
possibile il “ritorno” sui moduli di base anche in momenti diversi o nel corso di anni successivi.
• DIDATTICA PER CONCETTI. Modalità operativa che fonda le sue radici nella psicologia cognitivista e in
particolare
nell’idea dell’apprendimento inteso come processo continuo di rielaborazione di nuovi elementi, grazie al ruolo attivo
del
soggetto. Questa didattica si avvale di uno strumento: la mappa concettuale = rappresentazione grafica della
conoscenza;
uno strumento utile per far emergere i significati insiti nei materiali da apprendere che raccoglie una rete di
informazioni

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Ci sono vantaggi nell’uso della lezione frontale (es. trasferimento dei contenuti in maniere logica e consequenziale,
maggior
controllo degli allievi), ma anche svantaggi, come per esempio l’impossibilità di verificare il feedback
dell’apprendimento
da parte della classe in quanto agli allievi non sempre è permesso interagire.
• DIDATTICA MOTIVAZIONALE. L’apprendimento è un processo attraverso il quale il soggetto,
elaborando le proprie
esperienze, modifica il proprio comportamento e le proprie conoscenze per adattarsi in maniera autonoma alle
sollecitazioni
provenienti dal suo stato personale e dell’ambiente. Esistono numerosi fattori che condizionano l’apprendimento, il
primo
dei quali è la motivazione (un buon insegnante è quello che coniugare attività di progettazione, programmazione,
valutazione
con attività di motivazione, animazione, gratificazione degli alunni e di gestione della classe. Il docente nell’attività di
insegnamento deve tenere conto della specificità di ogni alunno, vero protagonista del processo educativo una corretta
metodologia didattica deve partire sempre dall’alunno e dalle sue conoscenze pregresse su cui innestare i nuovi
contenuti.
La didattica motivazionale dedica perciò molta attenzione al contesto della scuola e della classe in cui l’alunno è
inserito. Le
esperienze di apprendimento più motivanti per gli studenti sono quelle più attive.
• INDIVIDUAZIONE DELL’INSEGNAMENTO. La modalità di apprendimento degli individui varia sia in
rapporto al
tempo che ciascuno impiega per pervenire all’acquisizione di nuove nozioni, sia in rapporto alla modalità. Allo scopo di
individualizzare l’insegnamento, ritornano utili le didattiche metacognitive, l’apprendimento cooperativo e il tutoring
la
promozione del successo formativo per tutti gli alunni, indipendentemente dalle condizioni di partenza siano esse socio
economiche o individuali, richiede un approccio multidimensionale fondato principalmente sulla qualità delle
relazioni
interpersonali, sull’individuazione dei metodi didattici in rapporto alle differenze di ciascuno, sulla flessibilità
dell’organizzazione didattica. [si rimanda a cap. 6]
PERSONALIZZAZIONE EDUCATIVA. Si differenzia dall’individualizzazione dell’insegnamento perché, mentre
quest’ultima attiene soprattutto alle strategie che possono portare al perseguimento degli obiettivi comuni alla classe, la
personalizzazione attiene anche agli obiettivi formativi del singolo alunno. La personalizzazione prevede una
declinazione
dell’intervento educativo sulle esigenze della persona per garantire il successo formativo è necessaria una scuola su
misura, in cui venga realizzata la personalizzazione degli obiettivi formativi e delle metodologie educative e didattiche.
Si punta sulla centralità della persona; il modello didattico si fonda su tre elementi: [1] obiettivi formativi di
apprendimento
personalizzati (adattati ai ritmi di ciascun allievo); [2] pluralismo delle metodologie (integrazione e differenziazione
degli
interventi didattici); [3] processo di orientamento del soggetto in apprendimento (sviluppare le potenzialità cognitivo
del
singolo, incoraggiando le prime manifestazioni attitudinali). L’obiettivo è quello di creare itinerari differenziati, attenti
alle
esigenze ma anche alle capacità personali.
• DIDATTICA PER COMPETENZE. Si tratta di una didattica attiva e partecipata, in quanto il sapere
appreso viene
immediatamente messo in gioco e diventa risorsa operativa. Le competenze implicano didattiche che rendano il sapere
concreto e spendibile quotidianamente. Varie metodologie e pratiche didattiche, derivate anche da approcci psico-
pedagogici
differenti, si ispirano direttamente o indirettamente allo sviluppo di competenze di diverso tipo e facilitano il
loro
raggiungimento da parte dell’allievo.
• ISTRUZIONE PROGRAMMATA. Diffusasi intorno agli anni ’50, sulla scia delle teorie behavioriste
dell’apprendimento,
l’istruzione programmata trovò il suo più naturale ambito applicativo nel campo dell’organizzazione e
dell’ottimizzazione
delle sequenze di istruzione da impartirsi mediante le teaching machines [ideate dallo psicologo Skinner, si tratta di
visori di tipo
meccanico, considerati mezzi ottimali per un insegnamento individualizzato. Skinner presentava, tramite la macchina,
singole e brevi unità
didattiche, con verifica dell’apprendimento e passaggio all’unità successiva solamente se veniva conseguito
l’obiettivo previsto,
realizzando in questo modo, un sistema di apprendimento individuale e controllato].
Il processo didattico: suddivisione del materiale da apprendere in unità di apprendimento, organizzazione e
presentazione
delle unità in una progressione “a piccoli passi”, conoscenza immediata del risultato ottenuto dallo studente,
notevole
adattività del processo didattico al ritmo e alle possibilità di apprendimento del discente.
• DIDATTICA MODULARE. La didattica modulare costituisce oggi una modalità operativa
particolarmente diffusa e
sostenuta dagli operatori della formazione, in quanto rende possibile l’adeguamento dei contenuti alla formae mentis
di
ciascun allievo. La modularità rende possibile la scomposizione e la ristrutturazione delle conoscenze in sistemi
concettuali
aperti, collegabili tra loro, sulla base delle esigenze degli alunni il modulo è una modalità di lavoro flessibile,
altamente
strutturata, in cui è resa possibile la composizione personalizzata di segmenti di insegnamento/apprendimento che
hanno
contenuti e ampiezza variabili. La progettazione modulare va articolata in modo che l’allievo possa procedere
gradualmente
per tappe successive all’acquisizione di contenuti, conoscenze e competenze, individuando le eventuali interconnessioni
tra
moduli e propedeuticità rispetto agli apprendimenti successivi. Dal punto di vista organizzativo la didattica modulare
rende
possibile il “ritorno” sui moduli di base anche in momenti diversi o nel corso di anni successivi.
• DIDATTICA PER CONCETTI. Modalità operativa che fonda le sue radici nella psicologia cognitivista e in
particolare
nell’idea dell’apprendimento inteso come processo continuo di rielaborazione di nuovi elementi, grazie al ruolo attivo
del
soggetto. Questa didattica si avvale di uno strumento: la mappa concettuale = rappresentazione grafica della
conoscenza;
uno strumento utile per far emergere i significati insiti nei materiali da apprendere che raccoglie una rete di
informazioni
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riguardanti la struttura della conoscenza. Scegliere la logica grafica significa abbandonare la logica lineare del
linguaggio
verbale e scritto e adottare la logica reticolare e ipertestuale che si presenta sottoforma di ramificazione di elementi
• LAVORO DI GRUPPO. Il gruppo classe è per l’alunno un importante punto di riferimento affettivo,
psicologico e
relazionale. La coesione del gruppo-classe non è perciò né un punto di partenza, né una tappa naturale, ma costituisce
un
obiettivo che deve essere intenzionalmente perseguito perché il gruppo è l’ambito nel quale gli individui
tendono
naturalmente a collocarsi e a riconoscersi; è il luogo in cui avvengono i processi attraverso i quali il fanciullo costruisce
la
propria identità, percezione di sé e degli altri. Una strategia didattica è quindi il lavoro di gruppo (insieme di persone in
interazione psico-sociale che sono in reciproca dipendenza e agiscono in ruoli specifici con l’obiettivo di realizzare fini
o
interessi comuni), ma affinché il gruppo esista è necessario che tra i suoi partecipanti ci sia un’influenza reciproca.
• DIDATTICA METACOGNITIVA. Si applica con risultati positivi sia in ambito scolastico sia nella
formazione
professionale. Perché un alunno raggiunga il successo scolastico è necessario che acquisisca non solo
conoscenze ma
soprattutto abilità e competenze (padronanza di una serie di consapevoli strategie per un apprendimento permanente).
La
metacognizione è la capacità di riflettere sulle proprie capacità cognitive. L’approccio metacognitivo
rappresenta una
modalità privilegiata per trasmettere contenuti e strategie, a qualsiasi età, poiché mira alla costruzione di una mente
aperta.
Si dà importanza al “come un alunno apprende” e non a cosa apprende. La didattica metacognitiva richiede allo
studente di
acquisire un atteggiamento attivo e responsabile rispetto all’apprendimento. Strategie didattiche: selezione (scelta delle
info
ritenute rilevanti), organizzazione (connessione fra i vari pezzi di informazione con riassunto orale o mappa concettuale
scritta), elaborazione (legame della nuova info con conoscenze pregresse), ripetizione (ripetizione dell’informazione
fino
alla sua padronanza; memorizzazione).
• DIDATTICA DEL LABORATORIO. Rende possibile la partecipazione attiva degli alunni al processo di
formazione e
consente ai docenti la suddivisione dei compiti, in riferimento alle specifiche competenze e alle esperienze realizzate. Il
laboratorio rappresenta un importante luogo d’incontro operativo in cui gli allievi confrontano le loro competenze per la
realizzazione di un lavoro condiviso e di tipo collaborativo. All’interno del laboratorio è possibile strutturare
percorsi,
elaborare manufatti e concretizzare idee progettuali attraverso l’uso di materiali e di specifiche tecniche; il
laboratorio
costituisce un ambiente educativo e didattico che ribalta l’organizzazione tradizionale dello spazio-aula, della
metodologia
e del ruolo dell’insegnante. Nello spazio-laboratorio, però, è necessario prevedere, accanto ad attività di
elaborazione,
momenti di formalizzazione e di rielaborazione, affinché i percorsi realizzati possano essere documentati e socializzati,
accrescendo così il patrimonio esperienziale di ciascun alunno.
• DIDATTICA PER PROGETTI. L’attività laboratoriale (come sopra) può essere svolta come progetto
disciplinare,
interdisciplinare, transdisciplinare, come ricerca, come sperimentazione e osservazione diretta di fenomeni su cui poi si
innesta una fase di riflessione metacognitiva. Nel lavoro per progetti, il singolo studente viene coinvolto al di là della
disciplina e viene chiamato a realizzare un prodotto finale in cui sono in gioco le sue competenze, il suo saper fare, il
suo
saper essere soggetto attivo in un lavoro di gruppo. Il lavoro per progetti è incentrato sullo studente; l’insegnante
assume il
ruolo di chi incoraggia, facilità e coordina senza ordinare.
• MASTERY LEARNING. È l’apprendimento per padronanza (elaborazione di Bloom e Carrol). Il nucleo di
questa teoria: se
si offre a ciascun alunno il tempo di apprendimento che gli è necessario sarà possibile per ogni alunno raggiungere la
padronanza degli obiettivi preposti. Il ML mira a portare tutti gli alunni di una classe al massimo livello di
apprendimento
attraverso l’autocontrollo e l’autoverifica dell’apprendimento. Il buon apprendimento è visto come risultante
dell’ottimizzazione del tempo necessario per l’apprendimento di ciascun alunno, della motivazione ad apprendere,
della
possibilità di superare al momento giusto le difficoltà che si presentano.
• PROBLEM SOLVING. Metodologia didattica che collega il piano delle conoscenze disciplinari con
quello della
gratificazione individuale, consentendo di rilevare e risolvere situazioni problematiche in contesti vissuti è favorito
l’approccio alla ricerca nel processo conoscitivo, potenziando lo sviluppo del pensiero critico e del ragionamento: si
realizza
presentando un argomento in forma problematica, così da sollecitarne la risoluzione; ciò comporta negli alunni
motivazione,
attenzione, riflessione e discussione. Processo: definizione e analisi del problema, ricerca delle soluzioni, scelta
della
soluzione migliore, implementazione e valutazione della scelta.
• TUTORING E RELAZIONE D’AIUTO. Tecnica di lavoro individualizzato che consente di organizzare
un contesto
apprenditivo in cui gli alunni, con ruolo scambievole, esercitano la funzione di tutore ed allievo; con questo metodo sia
uno
sviluppo del senso di solidarietà e una più efficace comunicazione didattica. Il peer tutoring (istruzione fra pari) ha
avuto
origine in Inghilterra tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 ed è una tecnica didattica in cui gli alunni sono sollecitati a
insegnare un determinato concetto o argomento ai loro compagni, imparando a loro volta. L’interazione
comporta
miglioramenti significativi tanto nello sviluppo cognitivo quanto nella sfera emotivo-razionale. Ma affinché il processo
vada
a buon fine, è necessario che si svolga nell’ambito di un progetto ben strutturato nei modi, nei tempi e negli obiettivi
fissati
dal docente.

72
• DIDATTICA PER SCOPERTA. Strumento che consente di tradurre in azioni le intenzioni teoriche. L’alunno
è posto nelle
condizioni di esplorare territori fisici, comportamenti umani, campi disciplinari, si sorprenda e si motivi a riesplorare e
ad
affrontare nuovi campi di indagine.
• RICERCA-AZIONE. Mira a fornire delle risposte efficaci ed efficienti ad un problema percepito dagli
operatori in un dato
contesto; prende avvio dall’individuazione di criticità nell’attività concreta di chi opera sul campo e consente di
sperimentare
linee di intervento adeguate a quel contesto. Ci si affida a una comunicazione simmetrica fra i protagonisti con lo scopo
di
eliminare il rapporto soggetto-oggetto fra i ricercatori ed i loro cooperatori attività di ricerca come agente di
cambiamento.
• METODOLOGIA DELLA FLIPPED CLASS ROOM. Consente di invertire il tradizionale schema di
insegnamento e
apprendimento, collocando al centro l’alunno e le sue competenze piuttosto che il docente e le mere conoscenze
trasmesse
in maniera univoca. L’idea è di capovolgere la classe, rendendo l’aula non più il luogo di trasmissione di conoscenze da
parte
del docente ma lo spazio di discussione, in cui si impara a utilizzarle nel confronto con i pari e con l’insegnante. Ogni
alunno,
singolarmente o in piccolo gruppo, nel rispetto dei propri tempi, realizza esperienze di apprendimento attivo.
• MICROLEARNING. Ambito didattico basato sulla creazione di piccole unità di conoscenza, pillole di
insegnamento su
uno specifico argomento (si danno poche informazioni per volta). È una metodologia efficace nel campo della
formazione e
aggiornamento professionale, dove le logiche di efficienza e produttività impongono di ottenere il massimo risultato con
il
minimo investimento di tempo e di risorse.
• DIDATTICA LUDICA. È usata particolarmente nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria. Le attività
ludiche si
usano per l’accoglienza, per stimolare la capacità di lavorare in gruppo, o per l’orientamento, valorizzando in
modo
consapevole quelle proprietà che rendono un gioco “utile” in senso educativo. Le attività ludiformi sono assimilabili ai
giochi
didattici perché il fine che si persegue non è interno, ma rimane esterno al giocare. Il gioco consente di stimolare abilità
che
altrimenti sarebbe molto difficile attivare e consente a livello immediato di acquisire conoscenze. La didattica ludica ha
trovato applicazione soprattutto nell’apprendimento linguistico (ludolinguistica).

4. TECNICHE DIDATTICHE

TECNICHE ATTIVE = tecniche didattiche che coinvolgono attivamente lo studente nel processo di apprendimento
(partecipazione vissuta dello studente, controllo sull’apprendimento, formazione in situazione, formazione in gruppo).
Tipologie:
[1] tecniche simulative:
1. ROLE PLAYING (gioco o interpretazione dei ruoli): simulazione dei comportamenti e degli atteggiamenti adottati
generalmente nella vita reale. L’obiettivo è acquisire la capacità di impersonare un ruolo e si comprendere in
profondità ciò che il ruolo richiede; il docente è tenuto a rispettare gli studenti nelle loro scelte e reazioni senza
giudicare. Deve avere delle sequenze strutturate e deve concludersi con una verifica degli apprendimenti (scopo
formativo).
2. ACTION MAZE (azione nel labirinto): l’allievo fa ricerca in Rete e deve prendere continue decisioni sulle strade
da intraprendere o da scartare. Lo scopo è sviluppare strategie di problem solving e decisionali; servono anche
competenze orientative e autovalutative. È un’attività che può essere svolta interamente in lingua straniera.
[2] tecniche operative:
1) LEARNING BY DOING: imparare facendo (dimostrazioni ed esercitazioni in laboratorio.
[3] tecniche di produzione cooperativa
1) COOPERATIVE LEARNING: la variabile significative è la cooperazione; vengono utilizzati piccoli gruppi in cui
gli studenti lavorano insieme per migliorare reciprocamente il loro apprendimento. In questo modo gli studenti
ottengono migliori risultati, realizzano una maggiore capacità di integrazione sociale e di benessere psicologico,
migliorano le competenze sociali e una maggiore capacità di affrontare le difficoltà e lo stress. Il risultato è che
l’efficacia complessiva del gruppo è superiore alla somma di quella delle sue parti e che tutti gli studenti forniscono
prestazioni scolastiche migliori di quelle che avrebbero dato lavorando da soli. Elementi necessari: interdipendenza
positiva, interazione promozionale faccia a faccia, condivisione della “leadership distribuita” (tutti gli alunni del
gruppo esercitano le competenze di leadership quando è necessario), raggruppamento eterogeneo, acquisizione delle
competenze sociali, responsabilità individuale e di gruppo (lo scopo è rafforzare la competenza individuale di ogni
membro), valutazione di gruppo e riflessione sul processo (discussione dei progressi raggiunti in direzione
dell’obiettivo prefissato).
2) BRAIN STORMING: è una tecnica di creatività di gruppo per far emergere idee tese alla risoluzione del problema
(creata da Osboru nel 1938). Dato un problema, ciascuno propone liberamente soluzioni di ogni tipo senza censura;
la critica e la selezione intervengono in un secondo momento. Uno strumento metodologico che facilita l’impiego di
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altrimenti a causa della distanza; [2] crea una comunità virtuale; [3] fa crescere in tutti i soggetti coinvolti una cultura
della rete come elemento di arricchimento individuale; [4] valorizza la qualità delle azioni informative e di
condivisione; [5] determina l’acquisizione di consapevolezza degli obiettivi e delle finalità dell’organizzazione.

• LIM (Lavagna Interattiva Multimediale): lavagna che permette l’interazione strumento/utente e che
sfrutta la
multimedialità (più codici). Tecnicamente è una periferica del computer, ma è sensibile al tocco, quindi i
contenuti
visualizzati sulla LIM sono oggetti attivi che possono essere editati, cliccati, spostati. Ci sono vantaggi
(interattività,
interfaccia semplice e intuitiva, internet fruibile in classe, lavoro collaborativo, multimedialità, multisensorialità,
memorizzazione e riutilizzo lezioni) e svantaggi (costo, possibili problemi tecnici, difficoltà di controllo della classe).
La
LIM offre grandi possibilità per lo sviluppo di lezioni coinvolgenti. Si possono anche creare quiz interattivi per studenti
da
somministrare in classe e utilizzabili con la LIM. SI possono visionare video direttamente online (il docente ha
l’opportunità
di creare apposite lezioni con link): fare esperienza diretta di quanto appreso mediante dei video digitale che migliorino
la
partecipazione degli alunni.
• E-book: opera edita in formato digitale. Ha numerosi vantaggi ed è indispensabile in tutti quei casi in cui uno
studente ha
limitate capacità sensoriali o presenta disturbi dell’apprendimento. Negli ultimi anni il legislatore ha tentato di avviare
un
processo di trasformazione del libro di testo che da esclusivamente cartaceo ora deve essere scelto solo nella versione
mista.
Scostarsi dalla logica del libro tradizionale non è semplice e immediato, né per la scuola né per i professionisti
dell’editoria.
• Blog: diario in rete gestito da blogger. L’insieme di tutti i blog viene definito blogsfera. I blog didattici
diventano un
interessante strumento di lavoro nel momento in cui favoriscono una indubbia gratificazione per gli alunni, derivante
dal
pubblicare articoli personali o realizzati in gruppo.
• Wiki: sito web che permette ad ogni utilizzatore di aggiungere contenuti, come in forum, ma anche di
modificare i contenuti
esistenti inseriti da altri utilizzatori. È uno strumento di editoria personale sul web, molto simile al blog: la sua funzione
principale è la condivisione di conoscenze oltre che lo scambio e l’immagazzinamento di informazioni e contenuti. Una
caratteristica distintiva della tecnologia wiki è la facilità con cui le pagine possono essere create e aggiornate. È uno
strumento
utilizzabile a scuola per creare progetti di collaborazione tra studenti (interazione collaborativa).
• Podcast: risorsa audio o video che richiede un collegamento ad Internet solo in fase di download e non anche
durante la fase
di ascolto. La caratteristica brevità temporale lo rende facilmente fruibile, gradevole da ascoltare, essenziale, variegato
come
i videoclip o i trailer televisivi. È un sistema utilizzato a scuola specialmente nell’insegnamento delle lingue straniere.
• Piattaforma e-learning: consente ai docenti di creare una classe virtuale alla quale iscrivere i propri studenti.
Questo
permette di avere un luogo alternativo in cui comunicare in modo sincrono e/o asincrono tra di loro e/o con il docente,
di
scambiarsi messaggi, di scaricare materiali didattici che l’insegnante o loro stessi inseriscono nel repository
della
piattaforma. Il materiale didattico viene organizzato in cartelle; oltre alle competenze disciplinari gli studenti in questo
modo
acquisiscono utili competenze in ambito tecnologico, abituandosi ad usare in maniera più strutturata gli strumenti che
già
usano nella loro quotidianità. Nei sistemi più evoluti è possibile anche l’erogazione della lezione a distanza, realizzando
dei
veri e propri corsi online.

6. DIDATTICA PER I BISOGNI DI TUTTI E DI CIASCUNO

La garanzia del diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo, nonché il riconoscimento e la
valorizzazione dei talenti di ognuno costituiscono l’obiettivo principale del sistema scuola del nostro Paese. Si mira
dunque ad adottare, nell’intento di assicurare un intervento educativo e didattico che tenga conto delle diversità degli
alunni, percorsi individualizzati e/o personalizzati.
Didattica individualizzata = finalizzata a favorire l’apprendimento seguendo le peculiarità degli studenti verso il
perseguimento di obiettivi che sono comuni alla classe.
Didattica personalizzata = è quella dove anche gli obiettivi, i contenuti e le attività sono specifiche per il singolo.
l’attività è individualizzata se costruita sul singolo anziché sull’intera classe e diviene personalizzata quando è
diretta ad un particolare alunno.
DIDATTICA INTEGRATA. Non sempre individualizzazione e personalizzazione significano inclusione. Il
percorso
didattico deve tener conto delle diversità dei singoli ferma restando la loro appartenenza al gruppo classi. Ai fini
dell’inclusione
(didattica integrata) è necessario tener conto di due dimensioni tra le quali serve equilibrio: 1) la cura e il dovere di
riconoscere
l’unicità delle persone e rispettarne l’originalità; 2) capacità di progettare percorsi educativi e di istruzione
personalizzati
nell’ambito del contesto classe. L’integrazione è un processo di continuo scambio e condivisione tra l’alunno
diversamente abile
e il gruppo classe; l’eterogeneità diviene normalità e la diversità non è solo accettata ma valorizzata divenendo
arricchimento a
vantaggio di tutti.

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altrimenti a causa della distanza; [2] crea una comunità virtuale; [3] fa crescere in tutti i soggetti coinvolti una cultura
della rete come elemento di arricchimento individuale; [4] valorizza la qualità delle azioni informative e di
condivisione; [5] determina l’acquisizione di consapevolezza degli obiettivi e delle finalità dell’organizzazione.

• LIM (Lavagna Interattiva Multimediale): lavagna che permette l’interazione strumento/utente e che
sfrutta la
multimedialità (più codici). Tecnicamente è una periferica del computer, ma è sensibile al tocco, quindi i
contenuti
visualizzati sulla LIM sono oggetti attivi che possono essere editati, cliccati, spostati. Ci sono vantaggi
(interattività,
interfaccia semplice e intuitiva, internet fruibile in classe, lavoro collaborativo, multimedialità, multisensorialità,
memorizzazione e riutilizzo lezioni) e svantaggi (costo, possibili problemi tecnici, difficoltà di controllo della classe).
La
LIM offre grandi possibilità per lo sviluppo di lezioni coinvolgenti. Si possono anche creare quiz interattivi per studenti
da
somministrare in classe e utilizzabili con la LIM. SI possono visionare video direttamente online (il docente ha
l’opportunità
di creare apposite lezioni con link): fare esperienza diretta di quanto appreso mediante dei video digitale che migliorino
la
partecipazione degli alunni.
• E-book: opera edita in formato digitale. Ha numerosi vantaggi ed è indispensabile in tutti quei casi in cui uno
studente ha
limitate capacità sensoriali o presenta disturbi dell’apprendimento. Negli ultimi anni il legislatore ha tentato di avviare
un
processo di trasformazione del libro di testo che da esclusivamente cartaceo ora deve essere scelto solo nella versione
mista.
Scostarsi dalla logica del libro tradizionale non è semplice e immediato, né per la scuola né per i professionisti
dell’editoria.
• Blog: diario in rete gestito da blogger. L’insieme di tutti i blog viene definito blogsfera. I blog didattici
diventano un
interessante strumento di lavoro nel momento in cui favoriscono una indubbia gratificazione per gli alunni, derivante
dal
pubblicare articoli personali o realizzati in gruppo.
• Wiki: sito web che permette ad ogni utilizzatore di aggiungere contenuti, come in forum, ma anche di
modificare i contenuti
esistenti inseriti da altri utilizzatori. È uno strumento di editoria personale sul web, molto simile al blog: la sua funzione
principale è la condivisione di conoscenze oltre che lo scambio e l’immagazzinamento di informazioni e contenuti. Una
caratteristica distintiva della tecnologia wiki è la facilità con cui le pagine possono essere create e aggiornate. È uno
strumento
utilizzabile a scuola per creare progetti di collaborazione tra studenti (interazione collaborativa).
• Podcast: risorsa audio o video che richiede un collegamento ad Internet solo in fase di download e non anche
durante la fase
di ascolto. La caratteristica brevità temporale lo rende facilmente fruibile, gradevole da ascoltare, essenziale, variegato
come
i videoclip o i trailer televisivi. È un sistema utilizzato a scuola specialmente nell’insegnamento delle lingue straniere.
• Piattaforma e-learning: consente ai docenti di creare una classe virtuale alla quale iscrivere i propri studenti.
Questo
permette di avere un luogo alternativo in cui comunicare in modo sincrono e/o asincrono tra di loro e/o con il docente,
di
scambiarsi messaggi, di scaricare materiali didattici che l’insegnante o loro stessi inseriscono nel repository
della
piattaforma. Il materiale didattico viene organizzato in cartelle; oltre alle competenze disciplinari gli studenti in questo
modo
acquisiscono utili competenze in ambito tecnologico, abituandosi ad usare in maniera più strutturata gli strumenti che
già
usano nella loro quotidianità. Nei sistemi più evoluti è possibile anche l’erogazione della lezione a distanza, realizzando
dei
veri e propri corsi online.

6. DIDATTICA PER I BISOGNI DI TUTTI E DI CIASCUNO

La garanzia del diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo, nonché il riconoscimento e la
valorizzazione dei talenti di ognuno costituiscono l’obiettivo principale del sistema scuola del nostro Paese. Si mira
dunque ad adottare, nell’intento di assicurare un intervento educativo e didattico che tenga conto delle diversità degli
alunni, percorsi individualizzati e/o personalizzati.
Didattica individualizzata = finalizzata a favorire l’apprendimento seguendo le peculiarità degli studenti verso il
perseguimento di obiettivi che sono comuni alla classe.
Didattica personalizzata = è quella dove anche gli obiettivi, i contenuti e le attività sono specifiche per il singolo.
l’attività è individualizzata se costruita sul singolo anziché sull’intera classe e diviene personalizzata quando è
diretta ad un particolare alunno.
DIDATTICA INTEGRATA. Non sempre individualizzazione e personalizzazione significano inclusione. Il
percorso
didattico deve tener conto delle diversità dei singoli ferma restando la loro appartenenza al gruppo classi. Ai fini
dell’inclusione
(didattica integrata) è necessario tener conto di due dimensioni tra le quali serve equilibrio: 1) la cura e il dovere di
riconoscere
l’unicità delle persone e rispettarne l’originalità; 2) capacità di progettare percorsi educativi e di istruzione
personalizzati
nell’ambito del contesto classe. L’integrazione è un processo di continuo scambio e condivisione tra l’alunno
diversamente abile
e il gruppo classe; l’eterogeneità diviene normalità e la diversità non è solo accettata ma valorizzata divenendo
arricchimento a
vantaggio di tutti.
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Nell’ambito delle attività proposte, gli obiettivi fondamentali da perseguire per una scuola inclusiva, che attua tale tipo
di didattica,
dovranno mirare ad integrare gli alunni diversamente abili favorendo la relazione tra i compagni, sviluppando la
comunicazione
mediante canali diversi e valorizzando come strumento di apprendimento la capacità di senso-percezione.
Per valorizzare la diversità è necessario sviluppare la capacità metacognitiva (imparare ad imparare) dell’alunno, sia
per il
riconoscimento della diversità altrui (differenza dell’altro), sia per il riconoscimento della propria diversità (differenza
dall’altro).
Sul piano didattico si usano molteplici codici di comunicazione.
DIDATTICA INCLUSIVA. La disabilità rappresenta un universo complesso che richiede la capacità di ripensare
l’agire
didattico costruendo nuovi linguaggi, metodologie di lavoro, strumenti e strategie a vantaggio di tutti. È necessario un
approccio
multidimensionale, capace di intervenire mediante una molteplicità di input, attraverso diverse modalità sensoriali e
motorie,
cognitive e metacognitive, mettendo in relazione le funzionalità del discente con gli obiettivi da raggiungere. È
necessario
coinvolgere più canali percettivi favorendo una conoscenza sovrabbondante dell’oggetto in questo senso va favorita la
capacità
di senso-percezione dello studente che permette di interpretare la realtà circostante attraverso gli stimoli che
percepiamo.
La scuola intesa come ambiente educativo di esperienze concrete si fonda sull’intreccio di codici espressivi e simbolici
tra cui
quello corporeo e motorio. Mediante il movimento, l’individuo esplora e conosce il mondo; mediante l’attività motoria
l’individuo
costruisce l’immagine di sé come persona fisica e come individuo dotato di capacità e potenzialità. Il corpo è alla base
dello
sviluppo dell’identità perché tutto ciò che gli individui sperimentano e assimilano in modo significativo passa attraverso
i sensi e
il corpo il corpo e il movimento costituiscono le dimensioni chiave di accesso nei processi di sviluppo
dell’autonomia di
soggetti diversamente abili.
STRATEGIE DI INSEGNAMENTO ALTERNATIVE. La didattica inclusiva prende le mosse dai bisogni e dalle
risorse
personali: l’alunno diventa protagonista e costruttore del percorso di apprendimento. Fare scuola inclusiva significa
differenziare
la didattica, si tratta di guardare la persona diversamente abile con un vero approccio scientifico, partendo
dall’esplorazione delle
risorse inespresse, potenziando i meccanismi di autoapprendimento, facilitando le possibili modalità soggettive di
approccio ai
problemi. Prendendo in considerazione le diverse intelligenze (Gardner), è preliminare individuare quale forma di
intelligenza
(logico-matematica, linguistica, spaziale, corporea/cinestesica, interpersonale, intrapersonale, musicale, naturalistica)
l’alunno è
disponibile ad utilizzare, se è possibile favorire un’interazione tra le intelligenze e quale forma intellettiva usa in
maniera
privilegiata. Nel caso di disabilità sensoriali, le diverse intelligenze avranno bisogno di piste diverse per esprimersi,
modalità
originali per interagire efficacemente.
L’attenzione ai bisogni di tutti e di ciascuno necessita anche dell’utilizzo, da parte dei docenti, di modalità diverse di
presentazione
dei contenuti ovvero di strumenti che consentono di mediare tra la realtà e l’alunno per facilitarne la rappresentazione.
Mediatori
didattici (attivi, iconici, analogici, simbolici) = ciò che agisce da tramite tra soggetto e oggetto nella produzione di
conoscenza,
essi consentono di ricostruire la realtà e di trasferirla. È opportuno utilizzare più mediatori contestualmente; un uso
complementare
e integrato favorisce, infatti, i vari stili cognitivi e di apprendimento. Tutti i mediatori però sono relativi in quanto
ciascuno di essi
ha una sua modalità di richiamare la realtà ma nessuno di per sé è sufficiente per comprenderla appieno.
APPROCCI INCLUSIVI. Secondo le Indicazioni nazionali, le pratiche didattiche devono essere tese a
valorizzare
l’esperienza e le conoscenze egli studenti per ancorarvi nuovi contenuti. Il docente deve:
[1] attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità, per fare in modo che non diventino disuguaglianze;
[2] favorire l’esplorazione e la scoperta (ricerca di nuove conoscenze);
[3] incoraggiare l’apprendimento collaborativo.
Al centro della didattica vi è l’alunno e il ruolo dell’insegnante consiste prevalentemente nell’individuare metodi e
strategie
funzionali a fornire a ciascuno gli strumenti necessari alla costruzione del proprio sapere. Il docente stesso assume le
vesti di
mediatore didattico.

7. PRINCIPALI TEORIE PER LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI E DEI PROCESSI


FORMATIVI

La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curriculari: è l’effetto del valutare e dell’attribuire un valore.
Nella scuola assume una funzione formativa, di accompagnamento nei processi di apprendimento e di stimolo al
miglioramento. Lo scopo della valutazione non è quello di classificare gli alunni, ma quello di supportarli
adeguatamente, mediante un’attenta riflessione sui risultati ottenuti e la costante regolazione dell’azione didattica.

DOCIMOLOGIA. Uno dei problemi fondamentali dei processi di valutazione è quello delle procedure e dei metodi
utilizzati, che possono condizionare l’attendibilità del giudizio. Per tale ragione, all’inizio del XX secolo si sviluppò
la ricerca docimologica per individuare il ragionamento scientifico sotteso ai processi di valutazione, in modo da
renderli attendibili e introvertibili. Scopo: studiare i metodi in cui vengono espressi i giudizi di valutazione per
verificarne l’attendibilità, sia dal punto di vista concettuale che metodologico e tecnologico.

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VALUTAZIONE. Il concetto di valutazione è ampio e la sua evoluzione segue quella delle teorie relative ai processi
di apprendimento e al curricolo. Queste ultime sono state influenzate da due approcci teorici:
1) Approccio funzionalista: nato dall’esigenza di abolire pratiche didattiche basate sulla casualità,
sull’improvvisazione e
sull’ambiguità. Per giungere ad una valutazione, secondo questo approccio, bisogna progettare un piano
educativo
programmando obiettivi e contenuti (teoria del curricolo). Si tratta però di un modello che sovrastima la possibilità di
prevedere gli esiti ed è orientato ai risultati, con scarsa attenzione ai processi di apprendimento: l’attenzione è centrata
sui risultati di tipo quantitativo.
2) Approccio fenomenologico: si interroga non sulla rispondenza tra obiettivi e risultati, ma sull’accertamento del
valore
sociale ed educativo di un’azione formativa. I risultati della ricerca devono costituire un mezzo per prevedere azioni di
miglioramento. Secondo questo metodo ogni individuo deve realizzare il proprio potenziale, per cui la pratica educativa
coglie ciò che emerge e costruisce al momento. L’educazione si lega alla qualità della vita dell’individuo, pertanto
prevedere comportamenti finali perde qui ogni significato.
3) Approccio positivista-sperimentale: si pensa che i programmi siano articolati in obiettivi da raggiungere, mezzi
tramite
cui raggiungerli e risultati attesi. Il compito della valutazione consiste nel verificare e misurare se gli obiettivi sono stati
raggiunti e se ciò dipende veramente dal programma o da altra concausa; non si indaga il processo di attuazione.
4) Approccio pragmatista-qualitativo: si dà giudizio su un programma in base a un’idea di valore. La logica del
valutare
di compone delle fasi di: stabilire criteri di merito e standard, misurare la performance dei singoli programmi, dare un
punteggio, ordinare più programmi in una graduatoria, sintetizzare i risultati in un giudizio finale di valore. La qualità
diventa quindi la proprietà positiva da rilevare.
5) Approccio costruttivista: si rifà a una serie di modelli. Pone attenzione al contributo dei vari attori e a
cosa un
programma diventa mentre viene attuato. La valutazione deve tener conto del fatto che ogni volta che si attua
un
programma esso muta a contatto con il contesto. Il valutatore dovrà fare appello alla propria esperienza per confrontare
il caso analizzato con altri, più o meno simili. Dal confronto nasceranno giudizi e lezioni che potranno poi essere
reinterpretate in altri contesti.

Oggi la valutazione degli apprendimenti si concentra sugli stili di insegnamento e di apprendimento ed è un processo
molto complesso che non ha solo lo scopo di comprendere il livello di apprendimenti raggiunto dagli studenti, ma
anche quello di verificare l’efficacia dell’intervento didattico-educativo.
occorre definire perché si valuta, quando si valuta e come si valuta. La ricerca docimologica ha evidenziato che la
percezione del giudizio del docente valutatore può essere influenzata da fattori psicologici ed emotivi. Per misurare in
maniera abbastanza attendibile è necessario stabilire: parametri, indicatori, prestazioni, punteggi, giudizi.
Valutazione autentica = necessità di fare uso di forme di valutazione degli apprendimenti più vicine alla realtà rispetto
ai test tradizionali e più efficaci nella capacità di incidere sull’autoformazione dello studente; il limite della valutazione
tradizionale sarebbe in ciò che essa riesce a valutare: valutando ciò che uno studente sa, si valuta la sua capacità di
riproduzione, ma non quella di costruzione e di sviluppo della conoscenza e neppure la capacità di applicazione reale
della conoscenza posseduta.
la valutazione autentica ha lo scopo di valutare le abilità degli studenti in contesti operativi reali, mettendo realmente
a prova le competenze cognitive e metacognitive acquisite.

La valutazione è diretta non solo a verificare se certe conoscenze e competenze sono state acquisite, ma anche a
diagnosticare il
livello di significatività e di utilizzabilità che esse hanno raggiunto. Ciò serve per realizzare interventi formativi
adeguati ai singoli
allievi. Anche per questo la valutazione costituisce un importante ambito di riflessione e di confronto fra i docenti: il
confronto
dovrebbe mirare a individuare delle modalità esplicite e condivise di rappresentazione dell’intervento formativo
e della
valutazione per realizzare tra i docenti un effettivo patto didattico.

8. SISTEMA DI VALUTAZIONE NELLA SCUOLA ITALIANA

Tipologie: valutazione strettamente didattica (processi ed esiti dell’apprendimento), valutazione di istituto


(relativa alle caratteristiche del servizio scolastico erogato) e valutazione del sistema scuola.
Gli istituti autonomi sono tenuti a dotarsi di strumenti e procedure per verificare i risultati ottenuti in riferimento agli
standard nazionali, autovalutandosi: valutazione interna (coinvolge i soggetti stessi che compiono l’attività) ed una
valutazione di sistema (condotta da soggetti esterni) l’obiettivo ultimo è agire per il miglioramento. Si tratta di un
processo nazionale e sovranazionale, che ha visto coinvolti sistemi scolastici nazionali nelle indagini internazionali
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