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INTELLIGENZA EMOTIVA

ED EMPATIA

L'intelligenza emotiva è un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di


riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed
altrui emozioni.
L'intelligenza emotiva è stata teorizzata per la prima volta nel 1990 dai professori
Peter Salovey e John D. Mayer nel loro articolo “Emotional Intelligence” ed è stata
dagli stessi definite come “La capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie
ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri
pensieri e le proprie azioni”.
Il tema dell'intelligenza emotiva è stato successivamente trattato nel 1995 da
Daniel Goleman nel testo "Emotional Intelligence" tradotto in italiano nel 1997
"Intelligenza emotiva: che cos'è e perché può renderci felici". Grazie a quest’opera
anche in Italia il tema dell'intelligenza emotiva è entrato nelle classi e nelle scuole
(per un approfondimento cfr. dispensa sull’intelligenza).

COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA?

L'intelligenza emotiva è anche nota come quoziente emozionale (QE, o EQ


dall'inglese Emotional Quotient), quoziente di intelligenza emotiva (QIE) e leadership
emotiva (LE).
Può essere descritta come la capacità di un individuo di riconoscere, di
discriminare e identificare, di etichettare nel modo appropriato e,
conseguentemente, di gestire le proprie emozioni e quelle degli altri allo scopo di
raggiungere determinati obiettivi.

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PERCHÈ L’INTELLIGENZA EMOTIVA È IMPORTANTE NELLA DIDATTICA?

Per lungo tempo, la tendenza dominante nel sistema di istruzione è stata quella di
prediligere principi lineari e curriculari, ignorando la complessità degli esseri umani e
la loro peculiarità.
Oggi, grazie a numerosi studi, è stato dimostrato quanto è importante l’aspetto
emotivo e affettivo nella comunicazione, nell’interazione sociale, nell’apprendimento
scolastico, perché si considera l’essere umano come una totalità di razionalità ed
emotività, che in quest’ottica deve essere educato e deve imparare ad apprendere.
In questo senso, particolare importanza hanno le indicazioni che pervengono al
sistema italiano d’istruzione da organismi sovrannazionali → cfr. Raccomandazioni
UE 2006-2018, Life Skills dell’ONU 1992
L’emozione influisce sul processo di apprendimento in quanto agisce come guida
nella presa di decisioni e nella formulazione delle idee.
L’importanza cruciale che rivestono le emozioni nell’apprendimento è messa in
evidenza anche dal collegamento che c’è tra le stesse emozioni e la memoria.
Infatti, le emozioni giocano un importante ruolo nei processi cognitivi legati alla
memoria, in quanto, la forza dei ricordi, dipende dal grado di attivazione emozionale
indotto dall’apprendimento → eventi/esperienze vissute con una partecipazione
emotiva di livello medio-alto vengono catalogati nella nostra mente come
“importanti” grazie al coinvolgimento di strutture cerebrali che fanno parte del
sistema limbico (amigdala e corteccia orbito-frontale) e hanno una buona probabilità
di venire successivamente ricordati.
A fronte di quanto appena esposto, la didattica, per essere efficace, deve
includere la dimensione emozionale ed i suoi processi, ponendo massima attenzione
allo spazio interiore, alla valorizzazione di ogni forma di diversità e alla formazione di
essere umani completi in un clima di libera espressione.
Per questo una didattica emotiva diventa un’occasione per ampliare il ruolo della
scuola: una scuola che fa entrare le emozioni in classe, che prende atto della loro
naturale presenza, diventa un’istituzione che si impegna su un fronte ampio, i cui
obiettivi non riguardano solo l’istruzione in senso stretto, ma la formazione umana.
Trasformare le emozioni in risorsa consente all’insegnante/docente una serie di
vantaggi preziosi, tra i quali:
▪ sintonia nella relazione formatore-allievo;
▪ lavoro più significativo;
▪ coinvolgimento dell’alunno/studente;
▪ partecipazione attiva e collaborativa;
▪ apprendimento personale e condiviso;
▪ clima di gruppo favorevole all’apprendimento e allo sviluppo di relazioni.

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LA TEORIA DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA – HOWARD GARDNER

Tra i molteplici studi nel settore dell’intelligenza emotiva, particolarmente


significativi sono quelli dello psicologo e accademico statunitense Howard Gardner e
dello psicologo e giornalista statunitense Daniel Goleman.
Gardner evidenzia il ruolo delle emozioni che chi apprende prova per un percorso
di studio: per questo autore ci si ricollega a quanto già esposto nel testo relativo allo
studio dell’intelligenza.
Lo psicologo statunitense Daniel Goleman riprende il concetto di Intelligenza
emotiva già elaborato nel 1990 dai professori Peter Salovey e John D. Mayer nel loro
articolo “Emotional Intelligence” e dimostra il valore che ha per tutti gli individui,
nell’ambito relazionale, di apprendimento e lavorativo.
Goleman è pienamente convinto che l’Intelligenza emotiva influisce nelle pratiche
di vita quotidiana ed è finanche responsabile dei successi o degli insuccessi della
persona.
Il potenziamento dell’Intelligenza emotiva diventa, quindi, fondamentale per il
benessere psicologico, dato dalla capacità della persona di trovare un equilibrio tra
stati emotivi positivi e negativi.
Sono proprio gli stati emotivi che danno un senso alla vita:

▪ positivi: permettono di apprendere e apprezzare gli aspetti più piacevoli;


▪ negativi: consentono di apprendere, riflettere e reagire.

Per questo, secondo Goleman, gli “insegnamenti emozionali” appresi nell’infanzia


e nell’adolescenza possono plasmare le nostre risposte emozionali: è dunque
necessario intervenire sin dai primi anni di scuola nel modo in cui prepariamo i
bambini alla vita, senza tralasciare l’educazione emozionale.

Daniel Goleman suddivide l'intelligenza emotiva in quattro aree:

 consapevolezza di sé;
 gestione di sé;
 consapevolezza sociale;
 gestione del rapporti Interpersonali.

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CONSAPEVOLEZZA DI SÉ

La consapevolezza di sé o Awareness, è la capacità di riconoscere e monitorare i


propri sentimenti nel momento stesso in cui si presentano e rappresenta le
fondamenta dell’Intelligenza Emotiva.

Nello specifico, essere consapevoli di sé stessi implica una profonda conoscenza


delle proprie emozioni, dei propri punti di forza, di debolezza, dei valori che ci
guidano e di come tutto ciò abbia impatto sia su quello che facciamo, sia sul modo in
cui ci relazioniamo con le altre persone.
Ogni situazione vissuta permette di apprendere i limiti e le abilità che ci
appartengono e di intraprendere, sulla base di essi, determinate decisioni o scelte,
perseguendo azioni coerenti con gli obiettivi che vogliamo raggiungere.
Ciò significa conoscere sé stessi e le proprie sfumature, quindi, essere consapevoli.
Possedere una buona consapevolezza di sé, avendo fiducia nelle capacità
possedute, accresce l’autostima e l’assertività.

AUTOSTIMA

Il concetto di autostima va differenziato dal “concetto di sé”, inteso come insieme


di elementi a cui una persona fa riferimento per descriversi.
L’autostima coincide con la valutazione delle informazioni contenute nel concetto
di sé e deriva dai sentimenti che il singolo ha nei confronti di se stesso.
E’ basata sulla combinazione di una serie di informazioni oggettive riguardo a sé
stesso e di valutazioni soggettive di esse.
Lo psicologo James definiva l’autostima come il rapporto tra il sé reale di una
persona e il sé ideale.
Alcuni studi dimostrano che l’autostima si forma sin dalla prima infanzia
dall’interazione positiva di quattro fattori fondamentali: il rapporto con i genitori,
l’autocontrollo dei sentimenti negativi, l’autoaccettazione, la condotta
interpersonale.

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GESTIONE DI SÉ

Le emozioni possono essere molto intense e a volte possono costituire un fattore


di disturbo nel quotidiano. La consapevolezza di sé è il primo passo per comprendere
le proprie emozioni e riuscire a gestirle, che si traduce nel riuscire a capire come
dominare le emozioni e gli impulsi fonte di turbamento ed incanalarli verso fini
costruttivi.
Goleman evidenzia come la mancata gestione di sé possa degenerare nel
sequestro emozionale: reazione emotiva immediata e sproporzionata in relazione
allo stimolo che l’ha scatenata. Accade che lo stimolo, percepito come un pericolo,
lascia che l’emozione prenda il sopravvento sul sistema limbico, mandando in “black-
out” la mente. Questo sequestro avviene in pochi secondi e crea una reazione
immediata di mancato controllo razionale, l’amigdala si scollega dal resto del cervello
e viene meno la capacità di dare un significato emotivo a quello che si prova.
Nell’area della gestione del sé, rientra un concetto fondamentale per la didattica:
la motivazione.

LA MOTIVAZIONE

La parola motivazione indica ciò che porta ad un individuo a compiere una certa
azione. La persona motivata ha un obiettivo e prova dunque stati d'attrazione,
d'irrequietezza, di tensione verso l’obiettivo stesso. Tuttavia, questa osservazione
non permette di cogliere la motivazione di un individuo ma solo indizi di essa nel suo
comportamento.

Le motivazioni si dividono in:


 motivazioni estrinseche: un comportamento è messo in atto per ottenere
qualcosa che va al di là dell'attività realizzata;
 motivazioni intrinseche: la motivazione ad affrontare un compito di sé per
stesso e non per finalità esterne.

Secondo Freud, la motivazione è pulsione innata, istinto biologico che porta


l'individuo a comportarsi in un certo modo sotto la spinta di comportamenti consci e
non.
Una delle prime teorie della motivazione fondata su prove empiriche è quella
basata sull'idea dei bisogni. Secondo lo psicologo Abraham Maslow, la motivazione è
la manifestazione di alcuni bisogni primari che vengono rinforzati o ostacolati
dall'ambiente.

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Si sono sviluppate delle nuove prospettive sulla ricerca della motivazione.
Secondo la prospettiva cognitivista, la motivazione è influenzata dalle convinzioni
dell'individuo circa il suo valore e le sue abilità, gli obiettivi che si pone, i sentimenti
che prova etc.
La teoria sociocognitiva sostiene che il rapporto con gli altri e l'ambiente
circostante influenzino tutti i fattori indicati. In questa prospettiva la motivazione è
come un insieme di componenti cognitive, affettive ed emotive che interagiscono tra
loro.
Nelle teorie cognitive e sociocognitive la motivazione è una configurazione
d'esperienze soggettive che può spiegare l'inizio, la direzione, la persistenza di un
compito finalizzato ad un determinato obiettivo.
La motivazione al successo rappresenta la necessità di agire al meglio per il
desiderio di raggiungere un successo, evitando il fallimento.
Già dai primi anni di vita, i bambini hanno la necessità di fare bene anche quando
non ricevono rinforzi dai genitori, vogliono essere competenti e lo dimostrano già con
il camminare. Molti studiosi sostengono che vi è nell’uomo una motivazione
intrinseca ad esplorare e conoscere.
Negli anni 30 del secolo scorso, gli psicologi Atkinson e McClellad posero le basi
per un ricerca sulla motivazione prendendo le mosse dal teorico Kurt Lewin secondo
il quale il comportamento di un individuo è determinato dal suo spazio vitale.
Secondo Atkinson la motivazione alla riuscita risulta da due opposte tendenze:
▪ ottenere il successo
▪ evitare il fallimento.
Atkinson ha dimostrato che le differenze individuali legate alla motivazione alla
riuscita si manifestano nella scelta di compiti di differente difficoltà. Il modello di
Atkinson spiega in che modo una persona, spinta da due opposte motivazioni, sceglie
se affrontare o meno il compito. La ricerca sulle differenze individuali ha dimostrato
che le due tendenze motivazionali ad ottenere il successo e ad evitare il fallimento
sono tra loro indipendenti e che possono esistere quattro tipi di categorie di
individui:

▪ Sovramotivati: con alta tendenza sia a ricercare il successo sia ad evitare il


fallimento.
▪ Orientati al successo: con alta tendenza al successo e bassa tendenza a
evitare il fallimento.
▪ Orientati ad evitare il fallimento: con bassa tendenza al successo e alta
tendenza a evitare il fallimento.
▪ Orientati al fallimento: con bassa tendenza sia al successo sia a evitare il
fallimento.

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Nella nostra cultura la misura della motivazione al successo predice il successo
stesso. Una forma precoce di questo tipo di motivazione, che è stata chiamata
motivazione di competenza si può osservare nel “voler far da sé” del bambino.
Il bambino di sente più competente e se viene scoraggiato, tende a sviluppare un
costante bisogno d’approvazione esterna e di rinforzo da parte dell’adulto.
Sin da piccolo, l’uomo, manifesta il bisogno di conoscere e di sentirsi competente
e secondo quanto dimostrato dalla teorie dell’autodeterminazione, necessita di
scegliere le attività da svolgere.
L’autodeterminazione consiste nel realizzare le proprie scelte nei tempi e nei
modi voluti.
Successi e fallimenti hanno effetti diversi a seconda delle cause a cui vengono
attribuiti. Una prima distinzione fondamentale è quella tra le cause interne(quali
abilità personale e l’impegno profuso) e le cause esterne (come quelle legate alla
situazione, al caso, o all’aiuto di altri).
Gli effetti dell’attribuzione variano a seconda che riguardino azioni proprie
(autoattribuzione) o di altri (eteroattribuzione).
La relazione tra apprendimento e componenti motivazionali si basa sul fatto che
la motivazione ad apprendere sarà maggiore se l’individuo conosce e applica
strategie di apprendimento ragionate e flessibili.
Secondo il modello aspettative-valore la motivazione è determinata dal valore del
compito, cioè l’importanza che questo assume per il soggetto che apprende.
Le aspettative di riuscita sono influenzate da quanto ci si ritiene abili in quelle
situazioni e da quanto le stesse si ritengono affrontabili.

CONSAPEVOLEZZA SOCIALE

Al livello della consapevolezza sociale compare l’empatia, concetto spesso confuso


ma molto diverso dall’intelligenza emotiva.
Sulla consapevolezza sociale come competenza, diverse sono le risposte che i
diversi ordini e gradi di scuola devono dare:
▪ scuola dell’infanzia e primaria: hanno il compito di agevolare
l’assimilazione di concetti che permettano ai più piccoli di comprendere
attraverso gli indicatori verbali, corporei e situazionali come gli altri si
sentono in circostanze differenti;
▪ scuola secondaria di primo grado: competenze emotive congrue sono
quelle che aiutano i ragazzi ad instaurare relazioni sane ed a desumere stati
d’animo e punti di vista delle altre persone;
▪ scuola secondaria di secondo grado: gli studenti dovrebbero saper
valutare la propria capacità di essere empatici.
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COS’È L’EMPATIA?

Provare empatia per qualcuno significa: comprendere le emozioni che sta vivendo
e viverle a propria volta, capendo le sue ragioni e le sue intenzioni; vuol dire creare
nel proprio mondo interiore uno spazio su misura per accogliere il mondo dell’altro.
Lo studio dell’empatia ha interessato diverse aree della psicologia. Provare
empatia significa mettersi nei panni degli altri e condividere lo stato emotivo in
maniera vicaria: provare una emozione uguale o simile a quella dell’altro, con la
consapevolezza che la causa del proprio vissuto è l’emozione dell’altro.
L’ empatia è una capacità fondamentale per la costruzione di relazioni
interpersonali positive e la promozione di comportamenti pro sociali:

▪ essere in grado di condividere i punti di vista e i sentimenti altrui


▪ favorire la comunicazione e gli scambi sociali
▪ incoraggiare l’accoglienza della diversità
▪ facilitare la cooperazione nell’ ambiente lavorativo
▪ regolare il flusso delle emozioni negative e delle condotte aggressive.

In psicologia lo studio dell’empatia è stato caratterizzato da due differenti modi di


concettualizzarla:

 un’esperienza di partecipazione/condivisione delle emozioni vissute


dall’altro (attribuendole, dunque, una natura primariamente affettiva);
 la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro (attribuendole una
natura innanzitutto cognitiva).

L’EMPATIA COME PARTECIPAZIONE/CONDIVISIONE EMOTIVA

Il ruolo dell’empatia nelle relazioni interpersonali è centrato sulla dimensione


affettiva dell’empatia. Secondo questo approccio l’empatia è descritta come un
processo di attivazione emotiva più o meno volontario, innato, implicato nella
condivisione ai vissuti dell’altro. Empatizzare con qualcuno significa
partecipare/condividere l’emozione che l’altro vive provando la stessa emozione.

L’EMPATIA COME COMPRENSIONE DEL PUNTO DI VISTA DELL’ALTRO

All’interno di questo approccio, molti autori hanno di fatto identificato l’empatia


con la capacità di sapersi decentrare cognitivamente per “mettersi nei panni
dell’altro” in modo da poter adeguatamente comprendere il loro modo di valutare e
vivere una certa situazione da una prospettiva prettamente cognitivista.

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Per tali autori empatizzare significa comprendere i pensieri dell’altro, le sue
intenzioni, riconoscere le sue emozioni e riuscire a vedere la situazione dalla
prospettiva dell’altro.

L’EMPATIA COME COMPRENSIONE E CONDIVISIONE

A partire dagli anni ‘80, l’empatia è stata considerata un’esperienza affettiva, in


cui tuttavia i processi cognitivi giocano un ruolo importante.
I modelli teorici più recenti, detti “multidimensionali”, integrano entrambe le
componenti.
La persona empatica non solo comprende (componente cognitiva) ma anche
condivide e partecipa (componente affettiva) allo stato emotivo dell’altro.

TEORICI DELL’EMPATIA

HOFFMAN

HOFFMAN si qualifica come lo studioso più autorevole sull’argomento: l’empatia è


definita in termini funzionali (cioè orientati a esplicitare i processi sottostanti alle
reazioni empatiche) come la scintilla che fa scaturire la preoccupazione umana per
altri, la colla che rende possibile la vita sociale.
L’empatia consiste in «una risposta affettiva più appropriata alla situazione di un
altro che alla propria».
Provare empatia non significa sperimentare esattamente ciò che l’altro vive, ma
comprendere e condividere in modo vicario l’emozione altrui.
Per Hoffman una partecipazione/condivisione può avvenire attraverso diversi
processi, il cui fondamento è lo sviluppo progressivo della capacità di differenziare il
sé dall’altro, così da comprendere sempre più chiaramente che la causa del proprio
vissuto consiste nell’emozione dell’altro.
Nel modello di Hoffman si può essere empatici fin dalle primissime fasi della
nostra vita ma è necessario lo sviluppo psicofisico dell’individuo.

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DAVIS
Davis descrive l’empatia come una serie di fattori che entrano in gioco ogni
qualvolta si assiste all’esperienza emotiva di qualcuno.
Il teorico propone un approccio integrato in cui entrano in gioco sia cognizione
che affetti: gli elementi cognitivi e quelli affettivi presenti nell’empatia concorrono
congiuntamente a definire i processi empatici.
Tutto nasce dall’episodio prototipico empatico, costituito da tre vertici:

 il soggetto che osserva;


 il soggetto osservato mentre sperimenta una situazione emotiva;
 la risposta dell’osservatore.

Le componenti cognitive e affettive dell’empatia che caratterizzano le risposte


empatiche dell’osservatore, secondo Davis, sono quattro:

▪ l’abilità di adottare il punto di vista di un’altra persona (abilità cognitive)


▪ la tendenza a immaginarsi in situazioni fittizie.(abilità cognitive)
▪ la condivisione dell’esperienza emotiva dell’altro, detta considerazione
empatica (reazione emotiva)
▪ la comprensione dei propri stati di ansia e di preoccupazione in situazioni
relazionali (disagio personale).

GESTIONE DEI RAPPORTI INTERPERSONALI

La capacità di gestire rapporti interpersonali può esplicitarsi attraverso le seguenti


abilità:

▪ Influenza: impiego di tattiche di persuasione efficienti


▪ Comunicazione: invio di messaggi chiari e convincenti
▪ Leadership: capacità di ispirare e guidare gruppi e persone
▪ Avvio del cambiamento: capacità di iniziare o dirigere il cambiamento
▪ Gestione del conflitto: capacità di negoziare o risolvere situazioni di
disaccordo
▪ Costruzione di legami: capacità di favorire e alimentare relazioni utili
▪ Collaborazione e cooperazione: capacità di lavorare con altri verso
obiettivi comuni
▪ Lavoro in team: capacità di creare una sinergia di gruppo nel perseguire
obiettivi comuni

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LE EMOZIONI

L’esperienza emotiva è come un processo con un decorso temporale articolato in


più componenti; questo differenzia le emozioni da altri tipi di fenomeni psicologici.
Nelle concezioni classiche, l’emozione era da evitare e da controllare.
I greci chiamavano pathèma quel che noi chiamiamo emozione e che deriva dal
termine passione: di passione e non di emozione parlano i filosofi greci fino a
Cartesio, il quale introdusse il termine EMOZIONE allo scopo di aggiungere i concetti
di disturbo, eccitazione, incontrollabilità e patimento.
Oggi è stata studiata la razionalità delle emozioni che garantiscono
comportamenti ottimali in tutti i casi in cui le stesse sono implicate.
Fino agli anni ‘50, si pensava che le emozioni rispondessero a fenomeni fisiologici.
L’esperienza emotiva è suscitata da un evento, da un cambiamento; le emozioni sono
fenomeni complessi che trattano di problemi diversi, servendosi dei propri metodi e
dando origine a dei modelli parziali.
Dietro ogni emozione c’è un individuo che ha a cuore qualcosa, questo è un
motivo, un valore. È il beneficio o il danno di questo interesse che rende un evento
emotivamente rilevante e spiega perché questo sia emotigeno per un individuo
piuttosto che per un altro.
Gli interessi individuali costituiscono predisposizioni emotive e le emozioni
permettono di tenere sotto controllo la congruenza tra interessi e realtà del
momento.
La cultura in cui un individuo vive aiuta a definire gli eventi che susciteranno in lui
emozioni. La variabilità delle emozioni è dovuta al fatto che la valutazione di un
evento è un processo complesso, multidimensionale.
Un evento emotigeno, non riguarda solo il benessere dell’individuo, ma anche la
capacità dell’individuo di farvi fronte. La valutazione dell’evento si basa su un
qualche livello di conoscenza dello stesso.
Se non fosse così, non saremmo in grado di giudicarne la rilevanza per i nostri
interessi.
L’emozione senza la cognizione non potrebbe esibire tendenze all’azione
specifiche, direzionali o tradursi in comportamenti funzionali agli scopi dell’individuo.
Il significato di un evento può essere il risultato di valutazioni automatiche della
realtà.
Ad esempio: ci sentiamo imbarazzati senza sapere che è il nostro desiderio di
essere giudicati competenti sul piano sociale, o il nostro desiderio di accettazione ad
essere minacciato.
Il processo di valutazione può essere consapevole o automatico: questo fa sì che
esistano sia emozioni deliberate, sia emozioni risultanti da processi di pensiero poco
strutturati.
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Un metodo usato per studiare i legami tra emozioni ed eventi che le generano
consiste nel chiedere ad un soggetto di descrivere un evento che abbia provocato
loro una data emozione. I resoconti ottenuti vengono analizzati cercando di stabilire
cosa accomuna gli specifici eventi. Le risposte ottenute dimostrano che gli eventi
emotigeni sono dei casi riconducibili ad un ristretto numero di categorie o tipi.

Esiste un
significativo legame
emozione-evento.
Ciò vale per le
emozioni di tristezza,
ma anche per le
emozioni
“complesse”, come
imbarazzo, invidia,
gelosia.
Possiamo
affermare che certi
tipi di eventi sono
prototipici di certe
emozioni: la perdita
suscita tristezza, il
pericolo la paura etc.
I legami evento-
emozione sono
probabilistici e non
assoluti: è l’evento
come percepito a
provocare emozione
e no l’evento in sé.

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La grande varietà di termini che designano emozioni ci induce ad ipotizzare che il
lessico emozionale codifichi vari aspetti delle emozioni. I termini specificano il tipo di
evento emotigeno, come sorpresa, paura, etc. Alcuni ne specificano anche l’agente:
es. nel caso dell’indignazione o della gelosia l’agente non è mai il sé ma qualcun altro
che offende i nostri valori morali.
Solo il sé agente suscita rimorso e colpa e solo l’altro agente suscita gratitudine,
rabbia, gratificazione, imbarazzo, vergogna e orgoglio designando emozioni che
possono essere anche empatiche, ossia provate anche quando l’agente è qualcun
altro.
I termini stabiliscono anche la prospettiva temporale dell’individuo, come in
nostalgia, rammarico e rimpianto che riguardano oggetti del passato.
Il lessico emozionale codifica vari aspetti dell’esperienza emotiva, in particolare
l’intensità e la valenza. Questo processo di codifica è disomogeneo in quanto i singoli
termini non codificano tutte le componenti.
L’esperienza emotiva comprende una struttura intenzionale, cioè l’insieme di
piani che il soggetto sviluppa per far fronte all’evento. Es: il rimorso comporta il
desiderio di fare qualcosa per rendere la propria colpa meno severa.
La struttura intenzionale estende lo stato momentaneo di tendenza d’azione e
definisce la natura di un’emozione, differenziandone l’esperienza soggettiva.
Le emozioni differiscono anche per il loro decorso temporale, in alcuni casi le
emozioni hanno un inizio e una fine, altri casi la durata non è definibile perché
l’esperienza è discontinua. Anche se alcune emozioni hanno una durata maggiore
rispetto alle altre, la durata reale dipende dall’impatto dell’evento etimogeno
sull’individuo e dai processi di regolazione che questi mette in atto.
Un’emozione può insorgere in qualunque momento, indipendentemente da
quello che sta facendo l’individuo, perché egli è comunque recettivo agli stimoli
emotivi.

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TEORIE DELLE EMOZIONI

Appreso che le emozioni altro non sono che stati mentali e fisiologici associati a
modificazioni psicologiche e a stimoli interni o esterni, naturali o appresi, possiamo
proseguire la trattazione analizzando le principali teorie riguardanti le emozioni.

ROBERT PLUTCHIK – CONO DELLE EMOZIONI

Lo psicologo statunitense R. Plutchik ha teorizzato negli anni ’80 una prima


classificazione delle emozioni di base.
Queste si distinguono in quattro coppie di emozioni, di seguito indicate

Questo modello è passato alla storia come “ruota/cono delle emozioni”.

Le quattro coppie, mescolandosi tra


loro, possono produrre una varietà di
esperienze emozionali infinite. Non a
caso il professor Plutchik è stato uno
dei più grandi studiosi di emozioni,
suicidio, violenza e psicoterapia.

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PAUL EKMAN – EMOZIONI PRIMARIE E SECONDARIE

Altra classificazione possibile è quella proposta da Paul Ekman nel 2008,


attraverso i suoi studi condotti insieme a Friesen.
Riprendendo gli studi condotti da Damasio, Ekman suddivide le emozioni in
primarie e secondarie.

Le emozioni primarie (di base) sono 7:

o RABBIA: generata dalla frustrazione che si può manifestare attraverso


l’aggressività;
o PAURA: emozione dominata dall’istinto che ha come obiettivo la
sopravvivenza del soggetto ad una situazione pericolosa;
o TRISTEZZA: si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non
raggiunto;
o GIOIA: stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri
desideri;
o SORPRESA: si origina da un evento inaspettato, seguito da paura o gioia;
o DISPREZZO: sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e
disdegnato rifiuto verso persone o cose, considerate prive di dignità
morale o intellettuale;
o DISGUSTO: risposta repulsiva caratterizzata da un’espressione facciale
specifica.

Queste sono emozioni innate, riscontrabili in qualsiasi popolazione, e per questo


vengono definite primarie, ovvero universali.

Le emozioni secondarie, invece, sono quelle che originano dalla combinazione


delle emozioni primarie, si sviluppano con la crescita dell’individuo, con l’interazione
sociale e sono:

o ALLEGRIA: sentimento di piena e viva soddisfazione dell’animo;


o INVIDIA:stato emozionale in cui un soggetto sente un forte desiderio di
avere ciò che l’altro possiede;
o VERGOGNA: reazione emotiva che si prova in conseguenza alla trasgressione
di regole sociali;
o ANSIA: reazione emotiva dovuta al prefigurarsi di un pericolo ipotetico,
futuro e distante;
o RASSEGNAZIONE: disposizione d’animo di chi accetta pazientemente un
dolore, una sfortuna;

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o GELOSIA: , stato emotivo che deriva dalla paura di perdere qualcosa che
appartiene già al soggetto;
o SPERANZA: tendenza a ritenere che fenomeni o eventi siano gestibili e
controllabili e quindi indirizzabili verso esiti sperati come migliori;
o PERDONO: sostituzione delle emozioni negative che seguono un’offesa
percepita (es. rabbia, paura) con delle emozioni positive (es. empatia,
compassione)
o OFFESA: danno morale che si arreca a una persona con atti o con parole;
o NOSTALGIA: stato di malessere causato da un acuto desiderio di un luogo
lontano, di una cosa o di una persona assente o perduta, di una situazione
finita che si vorrebbe rivivere;
o RIMORSO: stato di pena o turbamento psicologico sperimentato da chi
ritiene di aver tenuto comportamenti o azioni contrari al proprio codice
morale;
o DELUSIONE: stato d’animo di tristezza provocato dalla constatazione che le
aspettative, le speranze coltivate non hanno riscontro nella realtà.

Lo studioso Gerrod Parrot ha poi integrato l’elenco aggiungedo anche le emozioni


terziarie, classificate e connesse per come riportato nell’elenco che segue:

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FOCUS – METODOLOGIE DIDATTICHE

QUALI METODOLOGIE DIDATTICHE ADOPERARE PER PROMUOVERE L’ALFABETIZZAZIONE


EMOTIVA A SCUOLA?

Di seguito elencate alcune metodologie:


• Metodo RET
• Ascolto attivo (rapporto insegnante/alunno)
• Circle time (rapporto alunno/alunno)
• Diario delle emozioni (rapporto con sé stesso)
• Role playing

NB: Consultare la dispensa sulle Metodologie didattiche per approfondirne i singoli aspetti.

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