Introduzione
Mentalizzazione: concetto relativamente nuovo, ma in realtà estremamente vecchio; è una forma di
attività mentale immaginativa, cioè la percezione e l’interpretazione del comportamento umano in
termini di stati mentali intenzionali. E’ importante per la comprensione dello sviluppo psicologico e
per interventi di sostegno allo sviluppo. Radicata nel campo della ricerca sullo sviluppo, traendo
origini dalla psicoanalisi e dalla teoria dell’attaccamento, ha fornito idee sullo sviluppo del sé e
sull’abilità di entrare in relazione con gli altri, sul problema dell’attaccamento e il trauma che
influenzano le capacità di pensare alla propria mente.
Teoria della mente: paradigma della psicologia dello sviluppo. Non è da intendersi come la teoria
della mente di Piaget o dei comportamentisti, ma è la capacità che i bambini sviluppano di costruire
una teoria della mente propria e altrui, la psicologia ingenua (capacità dell’uomo di essere uno
psicologo ingenuo). La teoria della mente è quindi la capacità di attribuire a se e agli altri stati
mentali e di spiegare, prevedere, in base ad essi, il comportamento proprio e altrui. Ci
facciamo una teoria della mente per spiegare un comportamento (o prevederlo) per sapere cosa
aspettarsi dalle persone, se prevedo mi adatto in anticipo. Vale soprattutto per se stessi (es: forte
emozione, come gestirla), darsi una spiegazione e autoprevedere il comportamento.
Definizione delle parole: a) spiegare è diverso da comprendere=esplicare un pensiero è diverso
da interpretarlo; b) chiamarla teoria si avvicina alle scienze della natura, allora la chiamano
“mentalizzazione”, l’attività che ci permette di avere una funzione riflessiva sui nostri stati mentali
e altrui. Bruner preferisce definirla “comprensione soggettiva” perché gli stati mentali sono
soggettivi e il mio pensiero non è sempre oggettivamente vero. La comprensione della soggettività
ha implicazioni sull’egocentrismo, quello che è vero per uno può non essere vero per un altro dal
punto di vista dei vissuti (il mondo non è visto da tutti come lo vedo io). Questo ci fa capire che ci
sono teorie diverse sulla capacità di comprendere la mente degli altri e la propria ai fini esplicativo-
interpretativo-previsionale del comportamento.
Cos’è la mentalizzazione?
Quando mentalizziamo siamo impegnati in una forma di attività mentale immaginativa, che ci
consente di cogliere e interpretare il comportamento umano in termini di stati mentali, come
bisogni, desideri, emozioni, credente, obiettivi, intenzioni e motivazioni. La capacità di inferire e
rappresentarsi gli stati mentali altrui potrebbe essere unicamente umana.
ricerca empirica, l’ispirazione per lo sviluppo del concetto di mentalizzazione è stata originata dal
lavoro psicoanalitico. Lo sviluppo ottimale della capacità di mentalizzare dipenda dall’interazione
con menti mature e sensibili.
La mentalizzazione coinvolge una componente autoriflessiva e interpersonale, è basata
sull’osservazione degli altri e sulla riflessione sui loro stati mentali; riguarda sia i sentimenti sia le
cognizioni. I sistemi neuronali alla base di queste componenti permettono al bambino di
rappresentarsi gli stati mentali causali, di distinguere la realtà interna da quella esterna, di inferire
gli stati mentali altrui a partire da sottili indizi comportamentali e contestuali.
Attaccamento e mentalizzazione
John Bowly, padre della teoria dell’attaccamento, aveva proposto che la funzione evolutiva di base
dell’istinto di attaccamento fosse quella di garantire che i bambini venissero protetti dai predatori. I
comportamenti di attaccamento del piccolo sono contraccambiati dai comportamenti di
attaccamento degli adulti che rinforzano il comportamento di attaccamento del bambino verso quel
particolare adulto. I comportamenti di attaccamento del bambino vengono attivati quando qualcosa
nel suo ambiente lo fa sentire insicuro. L’obiettivo del sistema di attaccamento è sperimentare
un’esperienza di sicurezza. L’attaccamento è il principale regolatore di esperienze emotive.
Nessuno nasce con la capacità di regolare le emozioni, quindi quando inizia a esserne sopraffatto
cercherà il caregiver nella speranza di essere consolato. Verso la fine del primo anno il
comportamento del bambino sembra essere basato su specifiche aspettative. Le sue esperienze
passate con le figure di attaccamento vengono aggregate nei sistemi rappresentazionali, che Bowlby
chiama modelli operativi interni (MOI).
Bowlby ipotizzò che i MOI si sé e degli altri fossero i prototipo per tutte le relazioni successive. I
meccanismi che fanno si che madri e padri con attaccamento sicuro sviluppino relazioni di
attaccamento sicuro con i figli sono difficili da identificare. L’attaccamento insicuro infantile e
disorganizzato è un fattore di rischio per lo sviluppo emotivo e sociale. Il maggior vantaggio
evolutivo dell’attaccamento nell’uomo è l’opportunità che viene data al bambino di sviluppare
l’intelligenza sociale.
azioni possono portare a cambiamenti sia nelle menti sia nei corpi. I bambini cominciano ad
acquisire un linguaggio sugli stati interni e la capacità di ragionare in maniera non egocentrica
sui sentimenti e desideri degli altri. Il bambino non è ancora in grado di rappresentarsi gli
stati mentali in modo indipendente dalla realtà fisica e non è stata ancora pienamente
raggiunta la distinzione tra interno ed esterno, apparenza e realtà.
3. Intorno ai tre-quattro anni il bambino comincia a cogliere che le azioni delle persone sono
causate dalle loro credenze. Verso i quattro anni le abilità di mentalizzazione compiano un salto
di qualità. Da questo momento il bambino può comprendere se stesso e gli altri come agenti
rappresentazionali. Egli sa che le persone non sempre provano ciò che in apparenza sembrano
provare e che le loro reazioni emotive a un evento sono influenzate dallo stato d’animo del
momento oppure da pregrese esperienze emotive vissute in eventi simili. La comprensione
delle emozioni è associata a un comportamento empatico e a relazioni più positive tra pari.
La nuova abilità del bambino di attribuire credenze errate a se stesso e agli altri arricchisce il
suo repertorio di interazione sociale: ora può fare trucchi, scherzi e inganni. Questo
cambiamento porta a termine il periodo in cui la mentalizzazione è stata acquisita attraverso la
mediazione di una mente adulta e apre a una fase di ricerca di miglioramento delle capacità di
comprendere se stessi e gli altri in termini di stati mentali attraverso legami con le persone che
condividono i propri interessi e inclinazioni.
4. Durante il sesto anno di vita vediamo ulteriori progressi, come la capacità del bambino di
mettere in relazione ricordi delle sue attività ed esperienze intenzionali all’interno di
un’organizzazione causale-temporale coerente che conduce alla costruzione del sé esteso nel
tempo. Quando queste abilità vengono acquisite, la necessità di utilizzare la violenza fisica
comincia a diminuire e aumenta l’aggressività relazionale.
di abusi sessuali, di fronte al ricordo dei propri stati di impotenza, di rabbia o vergogna può perdere
temporaneamente la capacità di mentalizzare.
Una modalità non mentalizzante viene portata all’interno della famiglia da un genitore che può
essere temporaneamente assorto in importanti questioni concrete di vita (es: crisi lavorativa). Altro
problema familiare per la mentalizzazione può essere quando il bambino non rende inaccessibile il
proprio stato mentale. Possiamo individuare alcune condizioni che aumentano la frequenza di
interazioni familiari non mentalizzanti. Problemi di salute mentale di lunga data possono
compromettere la mentalizzazione nelle famiglie in vari modi. Quando un genitore soffre di
depressione maggiore, il bambino potrebbe adottare un comportamento iperattivo per stimolare il
genitore, non tanto per un’attitudine alla mentalizzazione, quando per creare, attraverso
comportamenti oppositivi, una connessione con lui, anche se solo per via disciplinare e di altre
azioni non mentalizzanti.
Un’altra prospettiva sistemica sul fallimento della mentalizzazione è l’esperienza dell’individuo di
fronte a menti non responsive. Quando siamo di fronte a familiari che non sanno rispondere alle
richieste di una mente indagatrice e curiosa, la persona si arrenderà, rafforzando così la disperazione
di tutte le persone coinvolte, con una conseguente mancanza di speranza ciclica. All’interno del
contesto familiare, la mentalizzazione genera ulteriore mentalizzazione, mentre la non
mentalizzazione può portare a un’ulteriore non mentalizzazione.
Un altro uso improprio della mentalizzazione è la coercizione dei pensieri del bambino. Il genitore
mina la capacità del bambino di pensare, umiliandolo nei suoi pensieri e sentimenti. Tali fenomeni
sono più nocivi in un contesto di abuso. L’abuso può indebolire la capacità del bambino di
mentalizzare.
Conclusione
La mentalizzazione potrebbe essere vista come uno dei diversi fattori che accomunano le
psicoterapie. Tutte le psicoterapie, qualunque sia il loro focus, condividono il potenziale di ricreare
una matrice relazionale di attaccamento, in cui la mentalizzazione può svilupparsi e fiorire. La
mentalizzazione è un costrutto evolutivo. Tutto ciò apre la possibilità di attuare un lavoro di
prevenzione durante l’infanzia. Siccome la mentalizzazione è un processo psicologico fondamentale
e ha a che fare con tutti i principali disturbi mentali, gli approcci centrati sulla mentalizzazione
possono avere il potenziale di migliorare il benessere delle persone che soffrono di diversi disturbi.
Una tassonomia dei fallimenti nella mentalizzazione nei bambini e negli adolescenti
Possiamo dire che la mentalizzazione distorta si riferisce a un’interpretazione errata o a una lettura
distorta della mente. La pseudomentalizzazione riguarda quella lettura della mente che
assomiglia alla mentalizzazione, ma manca di alcune delle caratteristiche essenziali della vera e
propria mentalizzazione. Passeremo in rassegna i problemi di mentalizzazione nei bambini e negli
adolescenti.
L’assenza di mentalizzazione
Il termine mentalizzazione è spesso usato in modo intercambiabile con il concetto di teoria della
mente. L’ambito di studio della ToM è uno di quelli che in psicologia, negli ultimi trent’anni, hanno
visto la più rapida crescita di ricerche empiriche ed è al suo interno che è stata studiata l’ipotesi di
un’assenza di mentalizzazione sottostante ai disturbi dello spettro autistico. Gli autori hanno
concluso che i bambini autistici potrebbero non avere la capacità di costruire teorie sui
contenuti (credenze o false credenze) della mente altrui, un deficit che è stato definito, con il
termine cecità mentale.
Una teoria della mente cattiva: la mentalizzazione distorta nei disturbi esternalizzanti
Un recente studio epidemiologico ha individuato una presenza nei più giovani del 19% di problemi
comportamentali esternalizzanti. Una delle caratteristiche distintive dei problemi esternalizzanti
sono le difficoltà interpersonali. I bambini con questi comportamenti tendono ad avere scarsi
rapporti con i coetanei e con i genitori. I bambini con problemi di condotta tendono ad avere deficit
in tutti gli aspetti dell’elaborazione delle informazioni sociali. È interessante la tendenza dei
bambini con problemi di condotta ad attribuire agli altri intenzioni ostili nelle situazioni ambigue.
Questi bambini rispondono in maniera aggressiva agli altri perché si aspettano di essere aggrediti. I
bambini con problemi di condotta hanno mostrato uno stile di mentalizzazione eccessivamente
positivo nell’interpretare i pensieri che gli altri fanno in relazione a loro.
In un altro studio abbiamo dimostrato la presenza di un deficit nella comprensione delle emozioni in
bambini di sette-undici anni con problemi di comportamenti esternalizzanti, utilizzando un compito
che richiede ai bambini di leggere le emozioni espresse nella regione oculare del viso.
La mentalizzazione, che è l’intenzionalità umana esercitata in contesti sociali, sta dunque alla
base del comportamento di fiducia. Dati i nostri problemi di mentalizzazione associati ai disturbi
esternalizzanti, non sorprende che i ragazzi con tali problemi abbiano mostrato anomalie nel
comportamento di fiducia.
La pseudomentalizzazione
Hanno evidenziato che i bulli, che in genere mettono in atto violente aggressioni indirette e
proattive, possiedono in realtà una capacità di mentalizzazione avanzata. Hanno ipotizzato che
questi bambini diventino abili lettori della mente in risposta ad ambienti ostili, caratterizzati da una
disciplina severa e incoerente. Questa tendenza a impegnarsi nella lettura della mente, che
assomiglia alla mentalizzazione ma manca di alcune delle sue caratteristiche essenziali, viene
definita pseudomentalizzazione. La pseudomentalizzazione implica l’utilizzo della mentalizzazione
per manipolare o controllare il comportamento, al contrario della mentalizzazione genuina, che
riflette una reale curiosità e un rispetto generale per le menti altrui.
Uno dei migliori esempi di pseudomentalizzazione è il caso della psicopatia. Gli adolescenti e gli
adulti psicopatici sono in grado di leggere la mente, ma questa lettura è a carico delle regioni
celebrali del pensiero, piuttosto che di quelle delle emozioni. L’empatia comporta una risposta
emotiva allo stato altrui, può essere vista come una conseguenza dell’assunzione di prospettiva.
L’empatia è perciò una risposta emotiva alla rappresentazione di uno stato interno altrui. Gli
psicopatici indossano una maschera di sanità mentale: sembrano mentalizzare, ma in verità stanno
pseudomentalizzando.
Conclusione
all’ansia dell’insegnante in relazione alle sue responsabilità verso gli altri studenti. Ma le ansie
dell’insegnante compromettono la sua capacità di rappresentarsi gli stati mentali e vanno
oltre l’interazione di Billy. Il suo fallimento nel considerare le motivazioni alternative per il
comportamento di Billy può essere legato alla minaccia sperimentale in relazione alla madre di
Billy e a tutte le madri e i padri che manipolano in modo aggressivo gli insegnanti e rendono
impossibile pensare a convinzioni e desideri. Billy sperimenta il rimprovero come un attacco da
parte di un’altra mente ostile, che semplicemente convalida il suo bisogno di interrompere, far
rumore, disturbare, proteggere se stesso da ciò che è insopportabilmente doloroso. Considerare
Billy come un agente la cui razionalità è limitata dall’impoverita capacità di mentalizzare, ci aiuta a
rivalutare in maniera diversa il comportamento e la sua storia. Billy appare carente nella capacità di
sintonizzarsi con i pari, reagendo in modalità che essi trovano disturbanti.
Come possiamo aiutare Billy? Tentare di spiegare gli intricati modelli di comunicazione sarebbe
impraticabile. L’esperienza dimostra che ragazzi come Billy sono scarsamente responsivi a tali
tentativi. Per questo riteniamo che si dovrebbe anche nella scuola e nella classe, modificare il
comportamento della classe piuttosto che imporre delle conseguenze a Billy.
Commento del caso secondo la prospettiva delle dinamiche di potere nel sistema sociale
La ricerca ha dimostrato che negli episodi di aggressività la sottomissione incoraggia una risposta
grandiosa di controllo, attraverso l’identificazione proiettiva di parti ripudiate di se nel persecutore.
Quest’ultimo viene imprigionato nell’odio, che diminuisce la capacità di pensare e aumenta la
tendenza a stereotipare l’altro. Da tale prospettiva, il problema fondamentale di Billy è sistemico.
La forza o il potere del sistema, che mette Billy in un ruolo dominante, deriva dall’incapacità di
affrontare la dinamica di potere che lo sostiene. Nella posizione di vittima, l’insegnante è
sopraffatta e scoraggiata e va dal dirigente per chiedere aiuto. La lotta di potere nel sistema sociale
patologico peggiora,l perché il dirigente scolastico ha perso il suo potere divenendo il babysitter di
Billy, molto probabilmente veicolando a Billy il messaggio che sta tenendo sotto controllo il
dirigente, l’insegnante e l’intera scuola.
Tutte le persone nella vita di Billy hanno adottato i ruoli di bullo, vittima spettatore, la prospettiva
delle dinamiche di potere nel sistema sociale vede tutto questo come un processo dissociativo: il
bullo, dissocia la vittima dalla comunità scolastica. Ogni rimedio per questo stato di cose richiede
una concettualizzazione chiara del compito del gruppo, da una prospettiva che permetta
l’assunzione del capro espiatorio, responsabilizzi gli spettatori in un ruolo di aiuto e non enfatizzi
l’importanza dell’impegno terapeutico con la vittima o il persecutore. Il sintomo non è solo il
problema da risolvere, ma una soluzione o un adattamento che oscura il contesto sociale
disfunzonante.
Gestione del gruppo classe: supporta gli sforzi dell’insegnante rispetto alla disciplina attraverso
la focalizzazione dei problemi da correggere. Se un bambino offende la classe, la classe compila
una nota relativa alla lotta di potere. I bambini coinvolti poi vengono visti dal consulente
scolastico per ulteriore comprensione di quanto sta avvenendo. Così l’ambiente contribuisce al
pensiero all’interno del contesto di una relazione di un counselling psicologico che incoraggia la
mentalizzazione. L’obiettivo è incoraggiare il bambino a pensare dal punto di vista degli altri.
Tutoraggio tra pari e con l’adulto: tutoraggio è il tentativo di rispecchiare all’esterno il piano di
gestione della classe che avviene all’interno dell’aula. Guardare al tutoraggio da una prospettiva
mentalizzante richiede il punto di vista terzo, che consente all’analista di occuparsi del paziente
e di pensare a lui.
Il programma di educazione fisica del guerriero gentile: quest’approccio soddisfa i requisiti per
l’educazione fisica, impegnando una combinazione di giochi di ruolo, rilassamento e tecnica di
difesa tratte dalle arti marziali. L’approccio aiuta i bambini a proteggere se stessi e gli altri con
strategie fisiche e cognitive non aggressive.
Tempo per la riflessione: un gruppo sociale non ha il diritto alcun membro. La ferita narcisistica
messa in scena dal bullo o dalla vittima è un tentativo di riconquistare l’accesso a quel gruppo o
di essere accettato. L’obbiettivo di Peaceful School è che gli insegnanti diventino attivamente
coinvolti nel mentalizzare il bambino.
Conclusione
Nel presente capitolo abbiamo tentato di sintetizzare una prospettiva teorica e filosofica sulla
mentalizzazione e sulle dinamiche di potere.
Conclusione
Abbiamo concluso che il programma TiM suscita un sufficiente interesse presso professionisti e
genitori. La mentalizzazione è uno dei fattori più importanti sottostanti alla salute mentale e al
comportamento. I risultati del progetto TiM indicano che è possibile sviluppare programmi di
gruppo utili nel rendere le idee mentalizzanti quanto più ampiamente disponibili tra coloro che
si occupano di bambini. Il progetto TiM è fra i primi studi sulla mentalizzazione su larga scala e
incoraggia i ricercatori a sviluppare ulteriori idee in questo campo.