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Parte introduttiva approccio alla persona

1. RELAZIONE CON IL PZ

Il primo scopo da considerare per entrare in rapporto con il pz è quello di ottenere un determinato
comportamento, importante per far ciò avere chiaro e condiviso un obiettivo e tenere in considerazione le
aspettative che il pz ha nei confronti della relazione.

Il pz infatti, entrano a far parte di un percorso terapeutico, perde la propria autonomia, diventa
necessariamente dipendente, modifica la sua vita e le sue abitudini, riceve poche informazioni per questo
motivo ricercherà nell’operatore una risoluzione ai suoi problemi e una sorta di “risarcimento personale”
nei confronti delle sue esperienze di vita.

L’operatore si troverà necessariamente davanti a situazioni difficili da gestire e che richiedono il confronto
con temi profondi quale la morte e la disperazione dai quali non si può scappare. Importante per
l’operatore è essere consapevole che queste situazioni potrebbero accadere ed essere in grado di
riconoscere i propri limiti e la propria fragilità. Egli potrà trovare conforto all’interno della sua rete
primaria: i colleghi. Il rischio del rapporto con il pz è quello che questo si prolunghi nel tempo con un
investimento di energie sempre minore per mancanza di risultati, l’identificazione con i vissuti del pz e,
vivendone la quotidianità, non riuscire più a distinguere qual è l’agire professionale e quale quello
personale.

La diagnosi psichiatrica

In psichiatria è necessario soffermarsi sia sull’aspetto umano, il quale ci dà una visione soggettiva della
persona, che nell’aspetto scientifico che fornisce invece uno sguardo oggettivo. Spesso la psichiatria viene
vista come una branca separata dalla medicina perché si pasa troppo sull’aspetto umano ma, anche
secondo il fondatore della medicina basata sulle evidenze, è assolutamente necessario porre attenzione ad
entrambi gli aspetti. Per quanto riguarda l’aspetto scientifico è necessario avere competenze che
riguardano 3 aspetti: il sapere (teorico) il saper fare (attività e tecniche) e il saper essere (riconoscere le
proprie e altrui emozioni). Questi 3 approcci si influenzano reciprocamente ma è necessario utilizzarli tutti,
ess gettano le basi per tutte le professioni di aiuto.

Le professioni di aiuto

Condividono caratteristiche comuni tra cui:

- Approccio centrato sulla persona

Secondo Carl Rogers la relazione è una situazione in cui uno dei due interlocutori va a valorizzare le risorse
personali dell’altro incentivandolo all’espressione. La valorizzazione tiene conto di 3 elementi principali

 Empatizzare con l’utente: sia dal punti di vista cognitivo/professionale che


affettivo/umano, attraverso l’empatia diventiamo partecipi di quello che sente l’altro ma è
importante distinguere CONTAGIO EMPATICO tipico dei bambini nel quale c’è piena
immedesimazione e riposta parallela EMPATIA EGOCENTRICA nel quale chi ascolta
trasporta i suoi vissuti in quelli dell’altro ed EMPATIA DIFFERENZIATA nella quale la
differenziazione dei vissuti e l’esperienza di vicinanza consentono il dialogo e l’evoluzione
dello stato emotivo
 Accettazione incondizionata: accogliere e non giudicare l’altro nella sua individualità di
persona
 Congruenza comunicativa: essere consapevoli del nostro modo di essere e di come questo
si rilette sui nostri vissuti. Esempio di questo lo abbiamo nel modello del sociologo Corem
che cerca di mettere in relazione: emozioni, relazioni e comunicazione attraverso la
CONSAPEVOLEZZA. Per consapevolezza intendiamo la capacità di renderci conto di quello
che c’è dentro e fuori di noi; sapere cosa accade dentro di noi (emozioni) ci permette di
comunicare in maniera più efficiente e quindi di relazionarci in modo migliore. La
consapevolezza è un processo in continuo allenamento ed evoluzione attraverso
l’attenzione
- L’asimmetria di relazione

In una relazione il rapporto è necessariamente di tipo asimmetrico, il pz possiede un sapere di tipo


esperienziale mente l’operatore di tipo tecnico. Questo sbilanciamento può essere percepito dal pz come
1. Stick role (ruolo di malato) in cui l’operatore ha più potere o 2. Pz consapevole in cui la relazione è più
bilanciata. Questa asimmetria è accentuata da status (posizione che si occupa in un contesto) e ruolo
(come agiamo il nostro status) spesso i ruoli e di conseguenza i comportamenti e l’aspettativa dell’altro
cambiano all’interno di una relazione di aiuto: a volte è necessario essere più autorevoli mentre altre volte
più amichevoli ma sempre tenendo presente obiettivo e autonomia.

- L’intelligenza emotiva (rapporto basato sulle emozioni)

Secondo Goleman ci sono persone più emotivamente competenti di altre perché queste sono in grado di
riconoscere, nominare e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri. È importante per farlo anche una
forte motivazione in sé stessi.

- Sviluppo di autonomia e adattamento alla malattia

Nel corso degli anni c’è stata una rivoluzione nel concetto di relazione terapeutica passando dal concetto di
cura ì/assistenza ad uno di prendersi cura/accompagnare questo grazie contributi significativi di Freud
(approccio alla cura individuale), Sullivan (collaborazione tra fornitori di servizi e utilizzatori) e Pepalu
(professionisti comprendono meglio loro stessi attraverso l’interazione personale)

!! la relazione con il pz deve quindi essere empatica, orientata al dialogo, alla creazione di un clima di
fiducia senza giudizio, avere funzione di holding ed essere orientata al riconoscimento delle emozioni. È
bene non interpretare quello che il pz ci dice ma andare a creare un ponte tra lui e la sua realtà.

2. TRATTARE CON LE EMOZIONI

Le emozioni in una relazione possono fungere da ostacolo o da facilitatore. È importante considerare che
non tutte le persone esprimono allo stesso modo le proprie emozioni, che queste possono essere così forti
da renderne difficile la comprensione. Anche l’operatore dev’essere in grado di esprimere le proprie
emozioni e di essere contemporaneamente concentrato sia su quello che sente sia su quello che sente
l’altro, si parla a questo punto di comunicazione decentrata in cui sono più concentrato a considerare
quello che l’altro capirà rispetto a quello che sto dicendo, questo processo è possibile solo grazie al role
talking ovvero la consapevolezza e l’accettazione che il mio interlocutore può non avere il mio stesso livello
emotivo/cognitivo ma devo comunque comprendere il suo punto di vista. L’ espressione delle emozioni è
incentivato da un clima di fiducia reciproco, il pz può affrontare vari livelli di fiducia che passano da
regrediti (ribellione, subordinazione) a livelli più maturi di partecipazione collaborativa.

Ostacoli comunicativi

Nella relazione possono presentarsi degli ostacoli caratterizzati da interpretazione soggettiva nella quale si
vanno ad interpretare in maniera automatica gesti e parole dell’interlocutore senza soffermarsi sul reale
significato, giudizio e deformazione interpretativa (effetto alone: aspetto conosciuto condiziona
valutazione di altri aspetti, errore logico: collegamenti non corretti, pregiudizio, effetto indulgenza:
buonismo nella diagnosi e nel giudizio)
3. IL COMPORTAMENTO COMUNICATIVO

un corretto comportamento comunicativo richiede una serie di competenze basate sia sulla predisposizione
verso l’altro che nella gestione tecnica del colloquio, questo attraverso competenze:

- Linguistiche: saper parlare, frasi compiute e semplici


- Paralinguistiche: tono, cadenza
- Cinesiche: abbinare verbale a non verbale
- Prossemiche: saper posizionare il proprio corpo nello spazio
- Performativa: gestire componente verbale e non del messaggio
- Pragmatica: comportamento comunicativo conforme a contesto e intenzioni
- Socioculturale: portare a termine colloquio secondo le norme della cultura di riferimento

L’osservazione

Ci consente di fare una rappresentazione mentale della realtà, è utile al TeRP per raccogliere informazioni
(malattia, cosa è cambiato, risorse) dal pz, familiari e contesto. Nell’osservazione dobbiamo avere
conoscenza della fisiopatologia, conoscere il caso e essere capaci di stare al gioco, in particolare è
importante considerare chi osserva, cosa si osserva e in che modo lo si fa (partecipativi o distaccato).

Cosa osserviamo?

- Aspetto esteriore: biglietto da visita che da info su età, status e cura


- Comportamento spaziale: postura (risultato di eventi di vita, fattori ambientali ed emotivi),
orientamento (collaborazione, gerarchia, intimità), contatto fisico (strette di mano) distanza
interpersonale (diversa nelle culture: 0-45 cm intima, + 3.5 sociale) che ci dà info sulla disponibilità
o meno alla relazione
- Comportamento cinetico: movimento di capo, gambe, mani, busto
- Espressione del volto: utili per comprendere congruenza tra verbale e non verbale, possono essere
manipolate ma capacità viene meno in situazioni stressanti

4. IL COLLOQUIO

Attraverso il colloquio siamo in grado di raccogliere informazioni e di creare un clima di fiducia utile a
migliorare la relazione e l’adesione al trattamento. Il colloquio in psichiatria è di tipo direttivo, ha ben
chiaro obiettivi e scopi, utilizza più tecniche (domande aperte/chiuse) nella raccolta di informazioni,
concede tempo ma lo si sa gestire, tiene conto delle variabili che potrebbero influenzarlo. Importante a
colloquio trovare un equilibrio tra info che devo raccogliere e ciò che il pz porta cercando il modo di fare in
modo di condividere lo stesso concetto di realtà. Nel colloquio si distinguono 3 fasi principali: apertura con
accoglienza e clima di fiducia, centrale con raccolta info a seconda degli obiettivi e chiusura con sintesi e
basi per la relazione.

Il primo colloquio

Importante durante il primo colloquio rassicurare attraverso accoglienza, ambiente scuro e rispettoso della
privacy, concessione dei tempi adeguati a esprimere i propri bisogni e orientare la persona nel servizio
attraverso presentazioni e fornendo tutte le info necessarie. Durante il primo colloquio è bene astenersi da
giudizi e formulazioni di ipotesi, porre obbiettivi chiari e osservare le reazioni del pz mentre si trattano
certi argomenti.
Variabili da considerare

- Età
- Colloquio ha urgenza?
- Consapevolezza: completa, pz è consapevole positivo per l’adesione al trattamento (ansia e
disturbo umore), parziale pz attribuisce causa di malattia all’esterno (abuso sostanze, d.
personalità, d. umore) o nulla con la quale è utile essere molto empatici (psicotici, episodi di deliri o
allucinazioni, cause organiche)
- Stato d’animo: emozioni della persona che è per la prima volta a colloquio
- Motivo del contatto: intrinseco, spesso si avvicina al servizio per avere conferme o per chiedere
altre cose (aiuto economico) più facile l’aggancio, estrinseco per volontà di familiari o su consiglio
medico
- Fare riferimento a modelli teorici: ogni realtà ha la sua scaletta da primo colloquio di solito fatto da
operatori e secondo da medico. Prima parte raccolta dati, seconda analisi domanda e richiesta,
terza parte trattamento dati personali, quarta valutazione cognitiva.

!! al colloquio non bisogna essere insistenti o intrusivi importante saper attendere la risposta e gestire
eventuali silenzi. Attraverso il primo colloquio possiamo avere info su persona, situazione sociale, cognitiva,
stato mentale, strategie

Tecniche utilizzate a colloquio

Domande aperte tante info ma rischiano di essere dispersive, domande chiuse aiutano a raccogliere info
velocemente ma non lasciano spazio alla persona. Bene iniziare con aperte e chiarire aspetti con chiuse.
Utilizzare inoltre tecniche di facilitazione con le quali il pz si sente ascoltato, aiutiamo attraverso sintesi e
riprendendo parte del discorso ad andare avanti nell’esposizione dei vissuti.

Durante il colloquio in psichiatria è importante lasciare tempo per espressione, prendere seriamente,
rassicurare, indagare eventuali pensieri autolesivi o suicidari e mantenere una posizione neutrale. Da non
fare: essere concentrati su di noi rispetto al pz, non indagare per imbarazzo, utilizzare domande chiuse,
colludere con pz e familiari.

Il contatto telefonico

Difficile perché non c’è componente non verbale e la comunicazione è semplificata dal mezzo. Importante
però cogliere bisogno e lasciar esprimere la domanda. Possiamo affidarci al paraverbale considerando
tono, velocità eloquio, manifestazioni organiche, volume.
Disturbi

LE PSICOSI

Sono una serie di condizioni psicopatologiche che portano alla perdita del contatto vitale con la realtà che
si traduce con l’incapacità di comprendere il significato della realtà e mantenere un rapporto di armonia tra
il sé e la realtà stessa. Le cause di insorgenza sono molteplici e una non basta per scatenare una psicosi
(abuso sostanze, disturbi metabolici, nutrizionali, neurologici, psichiatriche, complicanze durante il parto,
basso livello intellettivo) ma queste in relazione alla scarsa vulnerabilità, capacità di adattamento ed
elaborazione delle informazioni e a fattori di rischio situazionali come nascita e infanzia in aree urbane,
traumi infantili, appartenenza a minoranze possono generarle. Insorge infatti quando i fattori stressanti
superano quelli protettivi. I sintomi psicotici insorgono circa tra i 15 e i 25/30 anni attraverso un esordio
acuto con sintomi psicotici importanti che fratturano il passato dal presente o con esordio subdolo
attraverso una progressiva tendenza all’isolamento, perdita relazioni, perdita performance, attenzione,
concentrazione, deliri allucinazioni, ansia e depersonalizzazione.

I sintomi si distinguono in positivi (attivi) e negativi (passivi) i primi sono più sporadici mentre i secondi,
seppur meno visibili, sono quelli che perdurano nel tempo e impattano maggiormente sul funzionamento.

Per sintomi positivi intendiamo:

- Deliri primari (no in riferimento a condizioni reali) secondari (alterazioni in seguito ad eventi
traumatici). I primari generano spesso da uno stato d’animo predelirante che porta il soggetto a
non riconoscere più il mondo che ha attorno, a questo punto egli cerca di colmare questo vuoto
attraverso la generazione di un’idea che sia in grado di rassicurare. Va così a costruirsi un mondo
nel quale rifugiarsi dalla una realtà che non riesce a tollerare in cui è in grado assumere il controllo.
Il delirio, oltre che come sintomo, dev’essere considerato un tentativo disperato di guarigione dalla
malattia. Riconosciamo diversi tipi di delirio: grandezza, nichilistico (movimenti e relazioni
pericolose), gelosia, di riferimento, inserzione (altri innestano pensieri), persecuzione. Il delirio può
essere confuso o lucido e ben strutturato attorno ad elementi plausibili ma che spesso sono
individuati al solo fine di alimentare il delirio stesso. Un delirio si valuta a seconda di quanto
dura/decorso e persistenza, quanto impatta sulla vita e quanto coinvolge emotivamente. Il delirio è
caratterizzato da assoluta certezza, è bene non cercare di riportare alla realtà ma cercare di
sostituire il delirio con qualcos’altro in modo che questa difesa divenga meno necessaria
- Allucinazioni: sono delle false percezioni in assenza di uno stimolo. Le principali sono quelle uditive
nelle quali non si pensa alle voci ma si sentono le voci che possono essere maschili/femminili,
conosciute o non e spesso commentanti, giudicanti e imperative ma anche complimentose se suoni
o musica meno grave. Le voci dialoganti sono uno dei sintomi principali di schizofrenia, condizione
nella quale il soggetto è spettatore di dialoghi riguardanti la sua persona. Importante differenziarle
allucinazioni dalle pseudo allucinazioni perché queste vengono percepite in maniera critica.
- Eloquio disorganizzato: espressione di un disturbo del pensiero che genera un eloquio privo di
nessi logici, logorroico con un’insalata di parole, spesso caratterizzato da preamboli minuziosi e
afinalistici o mutacico nel quale il soggetto risponde a monosillabi.
- Comportamento grossolanamente disorganizzato: riferito a tutti i comportamenti bizzarri che il pz
mette in atto sulla sua persona non curandosi, vestendosi in maniera inadeguata al contesto, essere
impulsivo e agitato e nei confronti delle relazioni spesso caratterizzate da disinibizione sessuale,
agitazione, impulsività o al contrario con catatonia e conseguente immobilismo, stereotipie
(ripetizione schemi, parole,azioni) e negativismo catatonico.

Sintomi negativi: Spesso sottovalutati perché meno visibili e più controllabili caratterizzati da appiattimento
affettivo, anedonia, ritiro sociale, isolamento. Generalmente sono questi sintomi che avvicinano la persona
ai servizi (es. abbandono scolastico)

Sintomi cognitivi: hanno base neurologica e intaccano tutti i processi cognitivi con riduzione
concentrazione, attenzione, memoria, pensiero logico e generale compromissione del senso di sé.

Diagnosi: nel DSM disturbi psicotici sono tra i primi capitoli questo a dimostrare come possano avere un
certo collegamento con patologie neurologiche e quindi essere di natura biologica. Si fa diagnosi di psicosi
se sono presenti sintomi negativi o positivi per un mese con sintomi associati come ridotta capacità di
funzionamento per più di 6 mesi. Diagnosi differenziale: da disturbo bipolare, depressione maggiore, da
disturbi psicotici indotti da sostanze, depressione post-parto e sintomi psicotici non altrimenti specificati. È
possibile diagnosticare diversi spettri psicotici a seconda del numero e deficit presenti:

- Disturbo delirante: persona con comportamento normale fino a manifestazione delirio, non c’è
compromissione aree
- Disturbo psicotico breve: improvviso esordio psicotico che rientra entro un mese da
manifestazione, c’è compromissione
- Disturbo schizofreniforme: sintomi = schizofrenia ma dura meno di 6 mesi con meno
compromissioni
- Disturbo schizoaffettivo: tra disturbo dell’umore (depressione-mania) e schizofrenia con psicosi.
Compromissione ma non tanto come schizofrenia

Decorso:

- 25%: estinzione sintomi ma generalmente ritorno con livello inferiore di funzionamento


- 48%: diminuzione significativa di sintomi con buon funzionamento
- 27%: no remissione solo qualche intervento con farmaci

Il decorso è generalmente molto invalidante con riduzione dell’autonomia e peggioramento dei sintomi
psicotici, il decorso è cronico e varia da persona a persona anche se generalmente è più grave nei maschi.
Cure adeguate e diagnosi precoce (programma 2000 Milano) possono incidere positivamente sulla malattia

Trattamento puntare alla recovery

Obiettivi del trattamento devono essere quelli di trattare sintomi più gravi, evitare ricadute e rallentare
deterioramento delle funzioni cognitive. Per un buon trattamento è importante la corretta diagnosi, risulta
utile ridurre le stimolazioni soprattutto in fasi acute, riabilitare all’acquisizione di capacità + intervento
farmacologico con antipsicotici per trattare sintomi positivi (scarsa efficacia per quelli negativi). Il
trattamento farmacologico ha però diversi effetti collaterali extrapiramidali con spasmi (risolti con
somministrazione intramuscolo di antiparkinsoniani), persona in continuo movimento con bocca e labbra,
sudorazione, ipotensione. Farmaci alternativi possono essere le DEPO intramuscolo che hanno lento
rilascio e coprono 30gg, utile per chi non aderisce al trattamento. Per l’adesione è importante costruire
una relazione significativa che sia in grado di fornire strategie che possano essere utilizzate anche fuori dal
setting clinico. Importante fornite uno schema concettuale che consenta di dare una spiegazione plausibile
e idea di trattamento al soggetto. Per costruite una buona relazione è importante porre attenzione alla
persona e all’ambiente, ascoltare e creare un clima di fiducia con i quale affiancare il pz nella risoluzione
dei problemi senza proporre soluzioni. È importante normalizzare i sintomi e gli stati emotivi, rinforzare
feedback e il collegamento tra gli eventi.
Finalità degli interventi assistenziali da io frammentato a io sostitutivo per consentire prosecuzione
intervento terapeutico, recupero abilità sociali, relazionali, interventi cognitivi e di reinserimento

Interventi con i familiari utile come supporto, riduzione carico emotivo, apprendimento di strategie utili a
far fronte alle difficoltà. Interventi a lungo termine con diverse modalità di trattamento: muto-aiuto,
psicoeducazione, incontro con altri pz/familiari/operatori.

Come si manifesta

Visibile alterazione dei processi cognitivi, discorsi e atteggiamenti bizzarri, presenti temi deliranti più o
meno organizzati, alterazioni del tono dell’umore, difficoltà nell’intraprendere attività finalizzate.

Come relazionarsi

Fornire costante disponibilità all’ascolto, dimostrarsi empatici, non negare né rafforzare delirio cercare anzi
di aiutare il pz a distinguere ciò che è reale e ciò che non lo è, non essere impulsivi e frettolosi, non
sottovalutare né ironizzare. In caso di delirio persecutorio cercare di coinvolgere il più possibile la persona
nel suo processo di cura. In caso di eloquio disorganizzato parlare lentamente con frasi chiare, chiedere di
riformulare il pensiero per soffermarsi su uno alla volta, non fingere di aver capito e non minimizzare.

Gestione del colloquio

1. Preparazione

Essere consapevoli che possono essere messi in atto comportamenti imprevedibili quindi è importante
saper cogliere momenti di difficoltà e risultare tranquilli e sicuri. Avere chiaro dove avverrà il colloquio
preferibilmente a domicilio

2. Presentazione

Presentarsi alla persona ed essere sicuri abbia capito le nostre intenzioni

3. Raccolta di informazioni

Durante la raccolta è importante che la persona possa essere libera di esprimersi rispondendo a domande
aperte e che non risultino troppo intrusive. Può essere utile inizialmente focalizzarsi su aspetti ESTERNI alla
persona (lavoro, studio) per poi calarsi più sul personale. Importante costruire una visione condivisa di ciò
che sta accadendo (+info familiari conoscenti se si può). Che info raccogliere

- Motivo di colloquio e negoziazione dell’agenda: ponendola dal punto di vista del pz


- Deliri e allucinazioni : può essere difficile perché generano reali preoccupazioni nel pz, si può
chiedere di raccontare quello che sta vivendo
- Valutare consapevolezza di malattia: attraverso segnali verbali e non verbali per capire quanto
aderirà al trattamento
- GESTIRE SITUAZIONI DIFFICILI: il pz può pensare che facciamo parte di un complotto è importante
chiarire il nostro ruolo di operatori sanitari e se non vuole dare info chiedere di chiarire la
situazione in modo che possa parlare liberamente dei sintomi

4. Costruire relazione

Dobbiamo porci in maniera serena senza bruschi movimenti per non agitare, avere uno sguardo flessibile,
evitare atteggiamenti giudicanti o di stupore. Attenzione a contatto fisico ed ironia, empatia credibile e
modulata.
DISTURBI DEL TONO DELL’UMORE- DEPRESSIONE

Nell’approccio con persone con disturbo dell’umore è importante andare a distinguere emozione come
risposta positiva o negativa ad uno stimolo, è momentanea; affettività manifestazione esteriore del
contenuto emozionale, quale aggettivo la persona una per percepire la realtà; umore stato emozionale
interno con il quale determiniamo il nostro livello di energia. Le oscillazioni del tono dell’umore sono
fisiologiche e vanno a determinare il nostro comportamento, risultano essere patologiche quando sono
eccessivamente marcate.

Il principale disturbo dell’umore è la depressione maggiore nella quale il soggetto prova tristezza, lutti,
disturbi di personalità/psicotici/somatici e difficoltà a adattarsi. Il pz si presenta con una pervasiva riduzione
del tono dell’umore, perdita di interesse, riduzione del livello energetico, faticabilità, minor attività
quotidiana, voce flebile, movimenti lenti, pensieri pessimistici di morte o rovina e incapacità di proiettarsi
nel futuro. L’eziologia della depressione è da considerarsi multifattoriale essa ha una componente
genetica/biologica caratterizzata da un’alterazione dei neurotrasmettitori dopamina/serotonina,
componente genetica e condizionamento familiare; perdite precoci (perdite tra 0-3 anni non
adeguatamente sostituite possono aggravare il quadro); eventi di vita più o meno impattanti come lutti,
perdita relazioni, lavoro, difficoltà economiche.

Diagnosi: per fare diagnosi di depressione devono essere presenti 5 dei seguenti sintomi, 1: umore
depresso e 2: marcata diminuzione di interesse sempre presenti. Associati a diminuzione/aumento peso,
insonnia/ipersonnia, agitazione, affaticamento, svalutazione. (sono in contrasto perché è da valutare lo stile
di vita della persona e se i sintomi non sono indotti da condizioni fisiologiche). Se è presente un solo
sintomo si parla di “non caso” nel 25% dei casi ma deve comunque essere monitorato perché il rischio che
si vada incontro a depressione maggiore è alto. Insorge tra infanzia e senilità ma maggiore rischio tra 25 e
40, prevalentemente donne in rapporto 2:1 per maggiore tendenza ad interiorizzare e per aspetti ormonali.
Uomini generalmente single

Clinica del disturbo depressivo maggiore (=disturbo unipolare)

- Esordio: improvviso o graduale con sintomi legati all’umore depresso, mancanza di piacere,
rallentamento cognitivo, concentrazione, inappetenza. Può coincidere con eventi stressanti
- Periodo di stato: sintomi sono uniformi e stabili
- Complicanze: associate ad abuso di alcol, sostanze, benzodiazepine a scopo auto curativo che
inducono insorgenza di malattie fisiche
- Durata: variabile se adeguatamente seguita remissione sintomi in 4/6 mesi
- Fase di risoluzione: brusca con episodio di maniacalità (bipolare) può essere grave perché pz
interrompe le cure o graduale con umore che varia nell’arco della giornata
- Esiti: ci saranno sempre sintomi residui ma il soggetto cambia percezione di sé stesso e
dell’ambiente

Trattamento
Utile stabilire un’alleanza terapeutica sia con il pz, incoraggiando ad esprimerre le preoccupazioni, che con
i familiari facendo sentire entrambi parte attiva del cambiamento e valorizzando le esperienze positive del
pz. Importante consigliare al pz di non compiere scelte che potrebbero essere dettate da idee
pessimistiche, chiedere di fare quello che ci si sente e di svolgere attività semplici come mangiare, dormire
e muoversi con regolarità. Importante è dare supporto e strategie alla famiglia in modo che questa non
colpevolizzi il pz, che non lo consideri pigro e senza volontà di guarire, che sia in grado di sopportare i
continui rifiuti da parte del soggetto che non si crede in grado di saper fare cose che ha sempre fatto.

Prognosi e complicanze

L’estinzione parziale dei sintomi, con un’adeguata terapia, possono notarsi già dopo 4/6 mesi ma con
possibilità di ricadute e possibile cronicizzazione. I sintomi della depressione portano ad una riduzione
delle capacità relazionali, lavorative e familiari gli stessi familiari possono non sopportare le continue
ricadute del congiunto. Importante la psicoterapia associata a quella farmacologica che diventa terapia a
vita dopo il 2/3 episodio di ricaduta.

Come relazionarsi

Il rischio per gli operatori è quello di dimostrarsi via via insofferenti al pz o al contrario a sovrastimolare
cosa che potrebbe accrescere il senso di inadeguatezza provato dalla persona. È utile quindi andare a capire
quali sono le risorse del pz in modo da proporre attività per lui positive e che possano accrescere la sua
autostima. Utile è accettare il pz nella sua ambivalenza (aiuto-svalutazione) non giudicarlo e concedergli di
regredire (assistenza diretta) nella speranza che questa possa essere una spinta al miglioramento. Essere
empatici e disponibili all’ascolto senza essere intrusivi ed essere attenti a captare eventuali segnali di
autolesionismo/suicidio. La presa in carico dev’essere globale e territoriale.

Interventi con la famiglia può essere ostile nei confronti della perdita di ruolo del pz, importante lavorare
per far recuperare ruolo al pz, gestire le dinamiche interne e informare sulla malattia.

DISTURBI DEL TONO DELL’UMORE- DISTURBO BIPOLARE

Si parla di disturbo bipolare quando c’è un’oscillazione del tono dell’umore da fasi depressive a episodi
maniacali. I sintomi della depressione sono simili a quelli della depressione maggiore ma sono appunto
intervallati da episodi maniacali o ipomaniacali. Per episodio maniacale si intende un periodo di umore
persistentemente elevato, espansivo ed irritabile per almeno una settimana associato a 3 dei sintomi:
autostima elevata, meno bisogno di sonno, fuga delle idee, distraibilità, agitazione psicomotoria, eccessivo
coinvolgimento. Mentre per episodio ipomaniacale si intende umore elevato per almeno 4 giorni con stessi
sintomi della mania ma senza compromissione, senza episodi psicotici ed escludendo
intossicazione/condizioni organiche.

Stadi della mania

Durante un episodio maniacale la persona sopravvaluta sé stessa e il pericolo con conseguente difficoltà di
valutazione della realtà, esistono 3 stadi di mania per aspetti legati all’umore (euforia, aumento disforia,
disforia) ideazione (grandiosità, fuga idee + delirio, delirio di persecuzione) comportamento (aumento
attività psicomotoria, agitazione con logorrea, attività frenetica e bizzarra).

Clinica del disturbo bipolare

Si distingue bipolarismo di tipo 1 quando gli episodi di eccitamento sono sempre di tipo maniacale con
conseguente alterazione del funzionamento e necessità di ospedalizzazione o TSO, mentre per bipolarismo
di tipo 2 quando le fasi espansive sono in ipomania quindi di intensità lieve o moderata e senza
compromissione importante del funzionamento sociale e lavorativo, risulta quasi piacevole.

Insorgenza e fattori di rischio

L’esordio di malattia avviene intorno ai 20-28 anni (1-5% popolazione, 42.6 per 10.000 abitanti, è
considerata una delle patologie più invalidanti) in ugual percentuale tra maschi e femmine, esso può essere
graduale attraverso gli stadi o direttamente da uno dei tre. Gli esordi sono molto variabili tra gli individui
mentre c’è una certa ripetitività di schemi nell’insorgenza delle crisi. È stata riscontrata la possibilità che il
disturbo bipolare possa essere una malattia familiare non direttamente trasmissibile ma cumulativa infatti
nei soggetti sono stati individuati una serie di geni alterati (tra cui il DAT trasportatore di dopamina) che
potrebbero influenzare negativamente l’equilibrio di diversi neurotrasmettitori rendendo così più
vulnerabile il SN del soggetto che, in situazioni altamente stressanti, potrebbe precipitare in una crisi.

Fattori precipitanti del disturbo maniacale

Eventi di vita stressanti, le condizioni di luce alterata che altera il pattern del sonno, le stagioni
(depressione autunno, maniacali in estate), abuso di alcol/droghe/antidepressivi, bassi valori di litio, fattori
ormonali (donne post-parto che hanno sofferto di episodio maniacale 50% probabilità di riaverlo).

Decorso e trattamento

Il disturbo bipolare, come altre malattie croniche, ha un impatto sul funzionamento sociale e lavorativo a
causa, nel 90% dei casi, di un andamento ricorrente di episodi di entrambe le polarità. È necessario per
questo accettare la malattia e il trattamento.

Il trattamento per il disturbo bipolare è di tipo integrato:

- Farmacologico con stabilizzanti, principale litio utilizzato quando c’è consapevolezza e adesione al
trattamento o in fasi molto acute di malattia questo perché dì va a stabilizzare l’umore ma allo
stesso tempo porta effetti collaterali quali ipertiroidismo, problemi cardiaci e ai reni.
Anticonvulsivanti e antiepilettici per ridurre ipereccitabilità neuronale, antipsicotici, benzodiazepine
- Psicoriabilitazione: per prevenire esordi di mania/depressione, prevenire il suicidio, occuparsi
dell’uomo e della sua sensazione di fallimento intervallata da grandiosità nei confronti del suo
progetto di vita, individuare trattamento adeguato alla persona e trattate condizioni mediche oltre
che psichiatriche
- Psicoeducazione: sia in forma individuale che gruppale per andare ad aumentare consapevolezza
ed informare sulla malattia, sui farmaci/effetti collaterali, individuare e imparare a fronteggiare
eventi stressanti, igiene
- Interventi con la famiglia: al fine di dare supporto, consentire di individuare segnali di allarme,
individuare elementi disfunzionali e fornire soluzioni per farvi fronte. La persona infatti tende a
colpire gli altri nelle loro parti più vulnerabili per accrescere la propria autostima questo può
generare paura e disperazione.

Sintomatologia

Comportamento aggressivo, ridotto senso di fatica, trascuratezza, no concentrazione, ricerca di continue


soddisfazioni, alterazione sonno, ideazione accelerata, aumento autostima/grandiosità onnipotenza,
perdita delle inibizioni sociali, perdita di concezione di passato e futuro il pz vive il presente

Come approcciarsi al pz

Nell’approccio è bene evitare contraddizioni dirette per evitare rabbia, accettare la distrazione del pz
senza farci coinvolgere, aiutare a prendere consapevolezza della malattia nonostante la sua nostalgia per
episodi maniacali, evitare che l’umore e il comportamento altalenante del pz vada a dividere l’equipe di
lavoro. La grande sfida dev’essere quella di aumentare la compliance farmacologica perché risulta essere
efficace e una brusca interruzione potrebbe far riprendere episodi maniacali (50% dei soggetti che
interrompe litio) che se non adeguatamente trattati possono durare dai 4 ai 13 mesi. In caso di sospetto
suicidio (maschi, eventi stressanti, storia in famiglia di suicidio, vivere da soli, non adesione alla terapia) è
importante non eludere il problema, non giudicare o fare la morale, coinvolgere i familiari, valutare
l’ospedalizzazione e aiutare il pz a costruire un progetto di vita.

Lo scopo della relazione dev’essere quello di fornire un confine a quello che la persona mette in atto
favorendo quindi il contatto con la realtà. Importante nei comportamenti e nella comunicazione avere
finalità chiare, decise e assertive con frasi brevi ma con tono deciso (no aggressivo). Utile aiutare il pz a
recuperare le priorità perché tende a voler che tutti i suoi bisogni vengano soddisfatti subito. Importante
comunicazione con equipe e famiglia perché comportamenti e comunicazione devono essere coerenti.

MALATTIA PSICHICA E SUICIDIO

Il malato psichico è una persona che ha momentaneamente perso i propri punti di riferimento e il proprio
senso di sé. Essere coscienti di sé significa essere lucidi e quindi essere in grado di organizzare la propria
percezione, affettività, esperienza, memoria, volontà mentre per immagine di sé si intende la percezione
della propria identità come separata da quella degli altri, riconoscere gli altri come simili, definire il proprio
ruolo sociale, avere un’immagine coerente del proprio valore e del proprio corpo, attribuire a sé stesso e
agli altri pensieri e sentimenti. Il paradigma della complessità vede il nostro sé entrare in relazione con
quello degli altri e questo porta necessariamente ad una visione più approfondita della persona con la
necessità di indagare i tratti del carattere, il suo contesto familiare/sociale/ambientale, analizzare la
domanda e la storia del singolo.

Questo è possibile grazie ad un approccio multidisciplinare, grazie a questo tipo di approccio siamo in
grado di OSSERVARE la totalità del pz e di confrontarci con l’equipe per integrare i punti di vista, gestire
l’ansia di un rapporto ravvicinato e cogliere bisogni differenti. Durante l’osservazione è importante non
formulare ipotesi che potrebbero essere confutate, ascoltare la persona per dargli dignità con la
consapevolezza della sua individualità e l’impossibilità di quantificare concretamente ciò che porta,
importante tenere in considerazioni i suoi bisogni e analizzare tutti gli aspetti della sua vita.

Fattori di rischio e protezione

Riconosciamo tra i fattori di rischio individuali quelli legati alla componente biologica (vulnerabilità) e quelli
della componente psicologica collegati direttamente ai fattori di rischio ambientali come ruolo all’interno
della società, possibilità di accedere precocemente ai servizi e condizioni abitative. L’OMS definisce fattori
di rischio tutti quelli che ESCLUDONO la persona (disoccupazione, minoranze, solitudine, tensioni) mentre
come fattori protettivi tutti quei fattori che la INCLUDONO (partecipazione sociale, integrazione delle
minoranze, presenza di reti sociali)

Suicidio

Le maggiori cause di suicidio sono legate all’avvelenamento, ferite da taglio e abuso di alcol/droga. I
soggetti maggiormente a rischio sono uomini +40 con storia familiare di suicidio, isolati, disoccupati, che
abusano di sostanze, con mancanza di speranza e con ideazioni suicidarie e di morte. Distinguiamo suicidio
(c’è intenzionalità e mezzo adeguato, se c’è imprevisto parliamo di mancato suicidio) da tentato suicidio
(c’è intenzionalità ma mezzo non adeguato spesso per ricatto o vendetta).

Idea minaccia e velleità suicidaria


Per idea si intende l’insieme di idee e fantasie sulla propria morte intese come una soluzione migliore
rispetto alla condizione attuale del soggetto. Per minaccia la verbalizzazione dell’intento di suicidio mentre
nella velleità suicidaria il soggetto ha solo un’idea abbozzata di togliersi la vita e la traduce in
autolesionismo a scopo di allontanarsi dalla situazione ma non devono comunque essere sottovalutati.

Autolesionismo

Può essere attivo (tagli, mutilazioni) o passivo (rifiutare farmaci, bere, mangiare) molto importante tenerlo
monitorato (chi arriva con tagli all’ospedale tornerà entro un anno e 1% si suicida), in questo caso è
importante ospedalizzazione in reparto o in unità psichiatrica per monitoraggio, seguire la persona sul
territorio, fare valutazione psicosociale, collaborare con altre equipe (medici, educatori).

Soggetti ad alto rischio; schizofrenici, depressione maggiore, abuso sostanze

Soggetti basso rischio: problemi sociali/interpersonali senza supporto o vittime di abusi e trascuratezza

!! valutare motivazione, circostanze del tentativo, disturbo, problemi precipitanti, strategie adattamento,
rischio

Epidemiologia

Il suicidio rappresenta l’1% delle cause di morte nel mondo. In Europa dal 2015 si è registrata una
diminuzione del fenomeno ma è ancora molto presente nei paesi dell’est e in Francia/Germania. Spesso
collegate a concetto di morte della cultura di appartenenza. In Italia c’è un tasso di 6.2 decessi ogni 10.000
abitanti, più probabili al nord. Suicidi aumentano in primavera per aumento della disperazione, più alti tra
carcerati e circa 2/3 di chi si suicida l’ha comunicato a qualcuno.

Eziopatogenesi

Il suicidio è la risultante di diversi fattori genetici, biologici, psicologici, sociali e ambientali infatti sono a
rischio soggetti isolati, in condizioni economiche sfavorevoli, con crisi esistenziali, vittime di violenza.
Riconosciamo tra i fattori clinici: storia personale o familiare di autolesionismo, malattie fisiche e mentali

Come intervenire?

Importante la valutazione precoce attraverso interviste strutturate e scale di valutazione (esempio P4


SCREENER) con le quali si va ad indagare eventuali idee o tentativi di suicidio. Al momento della crisi creare
ambiente sicuro con pochi stimoli (considerare SPDC) osservare il pz ma con atteggiamento non giudicante
e senza paura di indagare aspetti riguardanti suicidio ed autolesionismo. Post-crisi rinforzare autostima,
strategie di coping e problem solving ed essere accoglienti.

Interventi con i familiari supportare per far emergere le preoccupazioni, educare al problema per far
apprendere corrette modalità relazionali.

DISTURBI D’ANSIA
Definiamo l’ansia come un’anticipazione apprensiva di un pericolo futuro percepito proveniente sia da
mondo esterno che da quello interno. L’ansia diventa patologica quando viene percepita proveniente dal
mondo esterno e in assenza di reale pericolo (paura senza oggetto) e questa va a compromettere la vita
del soggetto. Importante distinguere ansia da paura, anche se hanno gli stessi sintomi, perché paura è
risposta ad un evento reale ed imminente.
I disturbi d’ansia vengono classificati dal DSM divisi in 3 capitoli: disturbi d’ansia specifici, ossessivo
compulsivo+ correlati, eventi traumatici e stress. Questi disturbi insorgono precocemente e sono molto
frequenti infatti si stima che 1 soggetto su 5 può svilupparlo nel corso della vita (+ donne 2:1) difficilmente
arrivano a servizi perché non compromettono significativamente il funzionamento. Questi potrebbero
essere dovuti da fattori genetici, alterazioni neurochimiche e fattori ambientali. (psicoanalisi traumi e
perdite, cognitivo-comportamentale inappropriati processi di pensiero che provocano distorsioni cognitive
con terapia sulla ristrutturazione del pensiero).
L’ansia è riconoscibile da manifestazioni fisiche caratterizzate da aumentata vigilanza, aumento pressione,
sudorazione, tensione; cognitive con difficoltà di concentrazione, sonno, senso di oppressione e impotenza;
psichiche con blocco del pensiero, sottovalutazione proprie capacità e quelle dei curanti; comportamentali
con evitamento di situazioni, iper-controllo.
Disturbo da attacchi di panico
Il panico viene vissuto come una sensazione di malessere e incredulità che va a ripercuotersi sia a livello
fisico (battito cardiaco e dolore toracico, respiro affannoso, nausea, formicolii, sudorazione, tremori) che a
livello cognitivo generando perdita di controllo, pensiero di follia, alimentazione della paura, sensazione di
essere un osservatore esterno. L’attacco è spesso preceduto da cardiopalmo, brividi, affanno e altri
elementi soggettivi, raggiunge velocemente l’apice e dura circa 10 min anche se viene riferito di più perché
vengono contati segni premonitori e malessere post attacco. L’attacco di panico è seguito da volontà di
andarsene dal luogo del fatto per sensazione di fragilità e vulnerabilità, sentimenti che possono andare a
modificare in modo significativo la vita della persona che metterà in atto atteggiamenti evitanti e spesso
depressione.
Gli attacchi di panico sono prodotti dalla ridotta ossigenazione di tessuti muscolari (aumento battito,
formicolii) cerebrali (capogiri, confusione, strangolamento) dovuta ad iperventilazione.
Diagnosi
Fondamentale la presenza di attacchi di panico imprevedibili seguiti da un mese di preoccupazione
persistente che possa riaccadere e sulle implicazioni che questo potrebbe comportare. È utile differenziarlo
da attacchi di panico correlati ad abuso di sostanze o esordio di malattia psichiatrica. Può essere presente
agorafobia (paura luoghi aperti e affollati) per paura che possa accadere in un luogo non sicuro e senza
essere assistiti da conoscenti questo porta la persona ad evitare uscite o pensare a percorsi alternativi.
Soluzione sembra essere quella di venire accompagnati.
Cura
Intervento farmacologico con benzodiazepine + antidepressivi ma solo questa può portare a dipendenza
quindi utile intervenire con approccio psicoterapico della teoria cognitivo comportamentale per andare
alla base del problema e concentrarsi sul qui e ora.
Interventi con familiari supporto per scarico emozioni, tecniche per la gestione e aiutare ad accettare il
problema
!! prevalenza 2-5% esordio tra i 20-24 anni cronico e oscillatorio. Come relazionarsi? Intervento finalizzato
all’interruzione dell’iperventilazione quindi accompagnare respiro se grave dare terapia al bisogno, parlare
lentamente portando esempi concreti
Fobia specifica
Paura marcata e persistente data dall’attesa o dalla presenza di un oggetto o situazione specifica (animali,
altezze, sangue, volare) questa diventa patologica quando associata ad attacco di panico e paura
eccessiva/irragionevole. Generalmente la persona eviterà l’esposizione o la vivrà in un continuo stato di
disagio, è da escludere malattia mentale perché è una fobia consapevole e non legata a deliri/allucinazioni
Fobia sociale
Come la specifica è una condizione di paura marcata e persistente nei confronti delle situazioni sociali nelle
quali sono presenti persone non familiari che potrebbero giudicare il suo essere imbarazzante o fuori
luogo. Anche in questo caso abbiamo atteggiamenti evitanti ed è da escludere la malattia mentale perché
c’è consapevolezza.
!! disturbi fobici prevalenza del 12% della popolazione + donne, approccio orientato alla gestione delle crisi
acute attraverso tecniche di rallentamento respiro e desensibilizzazione sistematica
Disturbo ossessivo-compulsivo
Caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi e ripetitivi accompagnati da ansia e disagio. Questi
vengono vissuti dal pz come fuori controllo ed estranei dalla propria persona per questo egli cerca di
neutralizzarli attraverso comportamenti ripetitivi che vanno a ridurre lo stato di disagio avvertito, le
compulsioni. Queste possono essere osservabili (overt: lavaggio mani, spegnere luci) o non osservabili
(covert: contare cose, ripetere parole). 80% ossessione e compulsione, 20% uno dei due
Riconosciamo diversi sottotipi di ossessivo compulsivo: WASHER con ossessione di essere contaminato e di
contaminare, ammalarsi gravemente e morire mette in atto comportamenti di evitamento CHECKERS
ossessione che il disordine e la mancata ripetizione possa andare a danneggiare sé stessi e gli altri o essere
motivo di vergogna ODERING compulsione di ordine, simmetria di oggetti RIPETIZONE E CONTEGGIO senza
contare o ripetere si rischia di danneggiare,
Esordio e terapie
Esordio graduale prima dei 30 anni spesso riconosciuto in persone estremamente ordinate, decorso
cronico e altamente invalidante anche se con adeguata terapia 60-80% migliora funzionamento grazie a
minor pervasività di sintomi. Viene utilizzata la terapia farmacologica (benzodiazepine, antipsicotici,
antidepressivi) associati a terapie cognitivo comportamentale, psicoeducazione per informare sulla
malattia e ridurre senso di vergogna, esposizione con previsione della risposta in soggetti giovani (ERP)
efficace 60-80%, messa in discussione degli avvenimenti consequenziali e ristrutturazione cognitiva
valorizzando le emozioni.
!! prevalenza del 2-3% popolazione con esordio tardivo e altamente invalidante. Come approcciarsi?
Cercare di gestire ansia e comportamenti senza rafforzarli, non interrompere rituali perché potrebbe
alimentarli. Utile programmare attività che distraggano la persona dall’esecuzione
Disturbo post traumatico da stress
Inizialmente riconosciuto con sintomi legati alla sola paura di morire ora anche a traumi forti. Per
sviluppare questo disturbo la persona deve aver vissuto o assistito ad un evento che ha prodotto morte,
minaccia, lesioni e orrore con conseguenti sentimenti di ansia e paura, l’evento viene persistentemente
rivissuto con sogni, flashback, allucinazioni o in situazioni che ricordano l’evento traumatico. Il soggetto
arriva così ad evitare stimoli associati al trauma che potrebbero farglielo ricordare (luoghi, pensieri,
conversazioni, amnesia di dettali importanti del trauma) con conseguenti atteggiamenti evitanti, alta
distraibilità, perdita di interesse generale, eccessiva vigilanza e risposta a stimoli di poco conto, irritabilità,
difficolta a dormire. Il disturbo dev’essere presente per almeno un mese associato a disfunzione sociale,
relazionale, lavorativa e di aree importanti.
Disturbo d’ansia generalizzato
Ansia e preoccupazioni eccessive legate ad un’ambia serie di eventi per quasi tutti i giorni per almeno sei
mesi con difficoltà di controllo, ridotte capacità di memoria e concentrazione, irritabilità, tensione e
alterazioni del sonno. Questi sintomi provocano quindi disagio che riducono il funzionamento sociale.
Dev’essere differenziato da abuso sostanze e condizioni mediche. Molto diffuso in persone che abusano di
alcol, droghe e in alcune patologie organiche.
!! ha prevalenza del 5-7% con manifestazione prima dei 30 anni e andamento cronico e altalenante. Come
approcciarsi? Creare clima di fiducia che rispetta i tempi, essere comprensivi e contenitivi, non
interrompere ma lasciare sfogare sentimenti negativi per poi porre attenzione su meccanismi messi in atto,
situazioni che scatenano ansia e strategie per farvi fronte. Non farsi contagiare da ansia.
DISTURBI DI PERSONALITA’
Definiamo questi disturbi come un’alterazione dell’aspetto cognitivo riguardanti le strutture cognitive
(info), i contenuti cognitivi (percepiti ed interpretati) e i processi cognitivi (come queste info vanno a
costituire la nostra realtà), attraverso la lettura di questo sistema cognitivo siamo in grado di percepire la
realtà e costituire la nostra personalità. Dunque, non c’è distacco dalla realtà ma una differente
percezione di questa.
Per personalità si intende l’espressione di tratti emozionali e comportamentali che la persona ha verso il
mondo in condizioni ordinarie. Essa è relativamente stabile e prevedibile, si stabilizza nell’età adulta in cui si
stabilizzano anche i processi cognitivi e di conseguenza la nostra modalità di descrizione della realtà.
Parliamo di disturbo di personalità quando i tratti della personalità e le risposte agli stimoli dell’ambiente
sono inflessibili, standardizzati e vanno a compromettere il comportamento, il modo di pensare e percepire
l’ambiente e il relazionarsi con esso, questa alterazione incide fortemente sul funzionamento sociale e
personale del soggetto.

Diagnosi
La diagnosi di questo tipo di disturbo risulta spesso difficile perché spesso i sintomi portati sono comuni a
tutti e si avvicinano molto al concetto di “normalità”, diventano patologici quando si riscontra un
discostamento marcato rispetto a quelle che sono le aspettative rivolte ad una data persona all’interno
della sua cultura di appartenenza. I sintomi spesso insorgono nell’adolescenza/giovane età adulta ma è
importante considerare se questi perdurano nel tempo e quanto questi incidono sulla capacità/incapacità
dell’individuo di adattarsi a situazioni sociale e quanta sofferenza questi provochino nel soggetto. Il pz
spesso non riconosce i suoi sintomi come problematici e anzi tende ad attribuire la colpa del suo malessere
all’esterno per questo sarà difficile intraprendere un percorso di trattamento e cura (utile farmacologica
con trattamento ansia depressione ma impossibile controllare comportamento)
!! importante differenziare da: schizofrenia, abuso sostanze, malattie organiche, depressione
Prevalenza ed esordio
I disturbi di personalità stanno aumentando, prevalenza attuale attorno al 10-15%. Prevalenza nei maschi di
disturbo antisociale, paranoide, narcisistico, schizotipico mentre nelle donne: istrionico, borderline,
dipendente. Hanno un esordio precoce ma spesso non subito diagnosticato perché consentono di
mantenere studio/lavoro fino a che non si aggravano. Sono patologie ad alto rischio per abuso sostanze,
comportamenti violenti, autolesivi e suicidi 9%
Cluster
A comportamenti strani ed eccentrici (differenziare da psicosi)
- PARANOIDE: pz è diffidente, sospettoso, pensa che verrà ingannato e danneggiato. Non esprime
emozioni ed ha atteggiamenti di ipervigilanza alla ricerca i segnali minacciosi. Il contatto con la
realtà è mantenuto infatti la sospettosità è legata a fatti obiettivi interpretati però secondo uno
schema di valutazione differente. Tende ad isolamento e non cerca aiuto se non spinto da altri,
sarà diffidente anche con operatore.
Diagnosi diffidenza e sospettosità + 4 tra: dubbi lealtà amici/moglie, fraintendimento parole altrui, paura
di confidarsi, rancore
Differenziare da schizofrenia paranoide perché non sono presenti deliri e la sospettosità è pervasiva
quindi non rivolta ad eventi specifici
Trattamento capire se tutto viene considerato minaccioso, se comprende differenza tra stimoli interni ed
esterni e come vive le sue relazioni emotive (umilianti, ostili?). Meglio intervento in forma individuale che
gruppale cercare di comprenderne le angosce per entrare in relazione. Utile la RET (terapia relazionale
emotiva: idea che comportamenti ed emozioni dipendano dall’interpretazione della realtà) + training delle
abilità sociali
- SCHIZOIDE: difficoltà e assenza di desiderio nello stabilire relazioni, evita ogni tipo di contatto con
gli altri, predilige lavori in solitaria, no a relazioni affettive/famiglia. Sono freddi, distaccati, non
esprimono emozioni e non vengono incentivati o scherniti da critiche e lodi.
Diagnosi 4 o più: non prova piacere nelle relazioni, nelle attività, non ha amici o confidenti, affettività
appiattita, distacco
Differenziare da disturbo d’ansia a carattere evitante perché qui la solitudine è ricercata e non sofferta e
da schizofrenia perché sintomi sono gli stessi ma nello schizoide viene mantenuto il contatto con la realtà e
la consapevolezza
Trattamento a colloquio freddi e distaccati per paura di venir assorbiti dalla relazione terapeutica, buona
idea terapia individuale/gruppale, RET, social skill training, training affettivo per far provare emozioni
diverse dalla quotidianità, tecniche espressive e psicodinamiche
- SCHIZOTIPICO: isolamento sociale con comportamento stano e insolito caratterizzato da
linguaggio stravagante, idee di riferimento (collega insieme eventi), percezione di presenze,
pensiero magico, sospettosità e ideazione paranoide (complotti). In situazioni stressanti possono
avere brevi episodi psicotici, viene considerata una forma leggera di schizofrenia facile da
individuare difficile da trattare. Esordio prima età adulta e può evolvere in schizofrenia
Diagnosi 5 sintomi: idee di riferimento, esperienze percettive, credenze insolite, pensiero magico,
affettività ridotta, mancanza di relazioni e ansia sociale. (simile a schizoide ma più marcati sintomi
psicotici)
Differenziare da non dev’essere in concomitanza con schizofrenia, disturbi dell’umore a carattere
psicotico
Trattamento farmacologico+ RET, social skills per inserimento sociale e riduzione dei comportamenti
dannosi, psicoterapie di gruppo
B drammatici e imprevedibili (spesso aggressivi indagare abuso di sostanza, traumi infanzia, carcerazioni,
violenza pubblico/privata)
- BORDERLINE: problemi legati a paura dell’abbandono, instabilità emotiva e nelle relazioni
interpersonali che risultano essere tumultuose e quando vengono interrotte generanno crisi di
aggressività, rabbia e atteggiamenti autolesivi, instabilità legata alla propria identità, forte
impulsività e non tolleranza delle ambivalenze o suddivisione rigida di categorie. Spesso presente
oscillazione tra depressione e normalità. Il disturbo riguarda aree affettive, cognitive e
comportamentali con problematiche che si manifestano nell’adolescenza e nella prima età adulta
ma se patologiche sono pervasive e perdurano nel tempo.
Diagnosi 5+ sintomi: oscillazioni umore, instabilità relazioni e immagine di sé, senso cronico di vuoto,
paura abbandono, comportamenti impulsivi e a rischio, oscillazione tra estremi
Differenziare da depressione, bipolare, post-traumatico per para allucinazioni, antisociale, narcisistico,
abuso sostanze
Trattamento difficile perché pensano che gli altri siano colpevoli e non in grado di aiutare, utile
riorganizzazione del funzionamento psicologico e psicosociale + interventi con la famiglia per gestione
rabbia, autolesione e suicidi
- ISTRIONICO: caratterizzati da emotività pervasiva ed eccessiva con comportamenti volti alla ricerca
di attenzioni. Continua ricerca di approvazioni e di instaurare relazioni superficiali e immature che
loro però considerano estremamente profonde. Persone seduttive che esprimono la loro
sessualità in modo grossolano, disinibiti e manipolatori. Possono avere scoppi di rabbia eccessivi
causati dall’ambivalenza tra bisogno di vicinanza ed evitamento, probabile autolesione e suicidio.
Le donne cercano relazioni intime che spesso peggiorano la patologia, uomini non controllano
impulsi e cercano in tutti i modi di non esprimere emozioni, no obiettivi ed abuso di sostanze.
Diagnosi 5+ sintomi: disagio se non al centro dell’attenzione, seducenti, provocanti, superficiali,
drammatici, teatrali, eloquio senza dettagli, facilmente influenzabili
Differenziare da depressione e personalità dipendente, 75% dei casi in concomitanza a borderline
Trattamento nella relazione sono seducenti e hanno aspettative irreali, RET e social skills per empatia e
comportamenti
- NARCISISTICO: quadro pervasivo di grandiosità, sopravvalutazione del proprio sé con sentimenti di
onnipotenza. La persona si pone obiettivi molto alti, pretende ammirazione ma non è soddisfatta
dei propri traguardi. Manipola gli altri per raggiungere i propri obiettivi, non riesce a mantenere
relazioni stabili (affettività di tipo predatorio), mancanza di empatia e disprezzo per gli altri anche
se è presene senso di colpa e consapevolezza che le norme sociali esistono.
Diagnosi 5 sintomi: senso grandioso, manipolazione, sopravvalutazione, preoccupazione e invidia per
status elevati, no empatia, desiderio di ammirazione
Differenziare da narcisismo alla base di molte patologie psichiatriche
Trattamento possono distruggere la relazione terapeutica, bisogna incentivare la persona a fare
esperienze positive di relazione, RET e cambiamento di percezione dei confronti del proprio sé.
- ANTISOCIALE: caratterizzato da patologico disprezzo per l’individuo, la società, norme e leggi.
Sono incapaci di assumersi responsabilità e sono inosservanti rispetto ai sentimenti degli altri.
Diagnosticato dopo i 18 anni ma preceduto da disturbi di condotta prima dei 15 anni. I sintomi
sono più comportamentali che psicologici. Prevalenza uomini alto tasso tra giovani e alto rischio
comorbidità con abuso sostanze
Diagnosi 3 sintomi: non conformi alle norme sociali, disonestà, impulsività, aggressività, irresponsabilità e
mancanza di rimorso
Differenziare da narcisismo perché narcisista ha senso di colpa e conosce le norme
Trattamento non sono di facile approccio perché irritabili, sfruttano persone
C ansiosi, evitanti differenziare da ansia e depressione
- DIPENDENTE: pervasiva ed eccessiva necessità di essere accuditi e dipendenti dagli altri, la
persona ha continui bisogni di rassicurazione e conforto. La separazione viene vista come
abbandono, incapacità di prendere decisioni autonome e responsabilità. C’è il bisogno costante di
sentirsi fondamentali per le persone care, non esprime dissenso e non porta a termine compiti se
non aiutato.
Differenziare da borderline che hanno in comune paura di abbandono ma qui non c’è caos nelle relazioni
e instabilità emotiva e da istrionici perché il dipendente cerca attenzioni da persone specifiche no da tutti.
Trattamento rischio che diventi dipendente da operatore, necessaria consapevolezza ed eventuale presa
in carico di più operatori. RET, ridurre comportamenti dipendenti, self-efficacy per imparare a contare su sé
stessi e problem solving per trovare soluzioni da soli
- ANDSIOSO EVITANTE: caratterizzato da sentimenti di inadeguatezza, inibizione sociale e
ipersensibilità alle critiche. La persona evita qualsiasi contesto sociale per paura di essere respinto
o ridicolizzato, non si sente socialmente competente e pensa che ogni suo comportamento
potrebbe essere inadeguato e imbarazzante, ha paura di dire cose inappropriate o di non saper
rispondere a delle domande. Ha bassa autostima, vede possibili percoli nella routine, non ha amici
a meno che non sia sicuro di essere totalmente accettato, evita situazioni che potrebbero implicare
relazioni interpersonali.
Diagnosi 4 sintomi: evitare attività che implicano contatto, no coinvolgimento se non certo di essere
accettato, freno relazioni per paura di essere ridicolizzato, preoccupazione per rifiuti, sentirsi socialmente
incapaci, no impegno in cose che potrebbero imbarazzare
Differenziare da disturbo antisociale perché isolamento viene ricercato e non avviene per inibizione,
disturbo d’ansia e ossessivo-compulsivo perché ansia pervasiva per tutta la struttura di personalità no solo
per una cosa/situazione. Questi sintomi possono trovarsi anche nel borderline, fobia sociale, agorafobia,
ansia generalizzata
Trattamento con operatore ansia e paura di esprimere vissuti per paura di essere ridicolizzato.
Importante gestire l’ansia indagandone cause profonde. RET, training abilità sociali, training affermativi,
esposizione

- D. PERSONALITA’ OSSESSIVO-COMPULSIVA: il soggetto è soggetto ad ansia per mancanza di


ordine e per non poter avere assoluto controllo sulla realtà, è molto fermo sulle sue supposizioni
etiche e morali, non accetta critiche e prova invidia per le persone che raggiungo risultati e
riconoscimenti. Faticano ad esprimere emozioni e preferiscono dedicarsi al lavoro che alle
relazioni, sono instancabili e hanno forte difficoltà a delegare agli altri i compiti.
Diagnosi preoccupazione eccessiva per ordine, non delegano, perfezionismo che rallenta lavoro, rigidità,
fermezza etica e morale, incapacità di gettare oggetti anche se privi di affetto
Differenziare da ossessivo compulsivo perché in questo caso i sintomi sono egodistonici quindi
riconosciuti come qualcosa da cui liberarsi mentre per la personalità ossessivo-compulsiva i sintomi sono
egosintonici e quindi ritenuti utili per il corretto funzionamento della persona
Trattamento RET, tecniche c-c per modificare condizioni caratteriali e quindi comportamenti
Come relazionarsi?
Importante prevenire agiti aggressivi e sostituirli con agiti assertivi, far sviluppare alla persona un senso di
sé, gestire ansia e aiutare a trovare strategie di coping aumentando la probabilità di sviluppare
comportamenti adattivi e socialmente accettabili.
Bisogna stare attenti a possibile manipolazione, gestire l’ambivalenza, mantenere giusta distanza emotiva,
mantenere coerenza e compattezza nell’equipe, assicurare giusta distanza.

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