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RELAZIONE ASIMMETRICA: La comunicazione tra l’infermiere e il nostro paziente è una comunicazione

asimmetrica: tra me e il paziente c’è una comunicazione che non è alla pari.

Perché il professionista sanitario ha la responsabilità dell’andamento della comunicazione con il paziente.

il professionista sanitario deve possedere le capacita, le abilità e le tecniche per poter comunicare in un
dialogo efficace con il paziente affinché lui raggiunga degli obiettivi, al fine di comprendere il linguaggio e la
mappa mentale del paziente, confrontarla con la propria mappa mentale, con la propria struttura mentale. Tra
noi e l’esperienza esiste uno schermo che non ci fa immediatamente entrare in contatto con la realtà
dell’esperienza ma l’esperienza che viviamo viene mediata da cio che noi siamo, dalle emozioni che viviamo,
dalla nostra personalità.

Tutto cio che ci attraversa viene mediato soggettivamente da ognuno di noi in maniera differente. Il corpo è
una parola molto importante. Non c’è esperienza che non sia simultaneamente vissuta dal punto di vista del
corpo. Senza il corpo non potremmo fare esperienza del mondo, non potremmo attraversare la realtà e
capirla. L’emozione non possiamo verbalizzarla, dirla ad altri se non la sperimentiamo realmente attraverso
alcune sensazioni corporee— battito del cuore accelerato, sudore delle mani. Nella comunicazione, nel
dialogo efficace si deve porre attenzione a dei concetti:

Concetti:

Relazione di tipo asimmetrico— non alla pari, la responsabilità della comunicazione è dell’infermiere.
Cio che ci aiuta a produrre un dialogo efficace è la modalità con la quale scegliamo le parole da utilizzare.

“I pazienti sono confusi” è un tipo di costruzione linguistica sbagliata, è una deformazione— attribuisco
all’altro senza avere dei dati reali, il fatto che lui sia confuso.

Sei viene sottoposti ad un’esperienza a seconda dei suoni, delle immagini, delle parole, che l’esperienza ha,
entra dentro ognuno di noi in maniera completamente diversa.

Le due esperienze ci hanno portato a focalizzare l’attenzione sulla comunicazione.

- la comunicazione avviene a più livelli. Qualunque esperienza è comunicazione, comunicazione con se


stessi, con l’altro, è fatta da una miriade di elementi.

- Dialogo efficace significa comprendere meglio l’altro, me stesso e comprendere quale linguaggio utilizzare
con il paziente, come modularlo in vista di un obiettivo che è quello ad esempio di un cambiamento di
comportamenti disfunzionali alla salute o di una terapia da assumere o di una relazione di aiuto o di cura .

- La comunicazione accompagna ogni nostro atto. Dal punto di vista professionale e nella relazione con i
pazienti l’accento sulla comunicazione è fondamentale per creare alleanza terapeutica, per capire il
paziente, e stabilire obiettivi terapeutici.

- La maggior parte del lavoro dell’infermiere è sulla comunicazione, non solo procedurale.

- L’atto comunicativo ha a che fare con molti elementi. Più aggiungiamo alcuni elementi e più l’esperienza
viene diversificata. Se cambiano i suoni cambia lo stato d’animo con cui affronto l’esperienza, se cambiano
le immagini cambia anche la percezione dell’esperienza, cio che mi rimane più impresso.

- La comunicazione implica sempre un linguaggio che noi scegliamo e una serie di immagini che
trasmettiamo. Nel momento in cui comunichiamo dei concetti la mente viene attraversata da molte
immagini che richiamano a esperienze passate e a connessioni rintracciate personalmente.

- La comunicazione non verbale è sempre soggetta da parte dell’altro ad interpretazioni che possono creare
un conflitto relazionale e una mancanza di dialogo efficace.

- Le emozioni impattano sulla comunicazione che arriva non soltanto tramite contenuti, i contenuti vengono
selezionati in maniera diversa in ognuno di noi. Il primo passaggio per poter essere dei buoni comunicatori
è capire quali sono i meccanismi che contornano la comunicazione, è importante selezionare i contenuti e
trasmetterli in maniera efficace e sia disponibile ad un continua feedback con un interlocutore.

- È fondamentale avere coscienza dei contenuti che il paziente mette in gioco rispetto al suo problema di
malattia che non è mai soltanto un problema fisico.

- Nella comunicazione asimmetrica avvengono processi in continuo divenire, ci sono delle tecniche
comunicative ben precise che passano per una consapevolezza di come si comunica, per l’esperienza e
per l’allenamento ad utilizzare queste tecniche. .

- La flessibilità ha a che fare con la capacità di aprirsi all’ignoto, alla comunicazione con l’altro in modo da
capire qualcosa di più dell’altro, capire di più cosa pensa— esiste l’agenda del paziente — dove ci sono le
sue emozioni, cognizioni, le modalità di far fronte alla malattia, la sua esperienza, i suoi valori. Ha a che fare
con la Capacità di modificare il nostro atto comunicativo laddove non funziona, dove non ha assortito gli
effetti. Una delle caratteristiche importanti da poter allenare è la capacità di modificare i suoni, le immagini,
le parole. È un lavoro che implica il mettersi in gioco rispetto all’agire in maniera comunicativa, aprirsi alla
capacità di dialogare. È un processo— che ha una capacità di trasformazione, ha un suo dinamismo. Basta
cambiare un elemento che tutto l’atto comunicativo si modifica.

- Ci sono 5 elementi che entrano in gioco all’interno della comunicazione. Domanda d’esame

1. LOGOS : il nostro sistema di pensiero, cio che noi pensiamo, rispetto alla malattia, rispetto alla salute, alla
professione. Abbiamo sempre un logos attraverso il quale affrontiamo una determinata realtà. A seconda
del logos dal quale partiamo, delle nostre convinzioni affermiamo un certo tipo di realtà. Il logos sono i
nostri sistemi di pensiero che abbiamo costruito nella nostra crescita. il logos sono i nostri sistemi di
pensiero che abbiamo costruito nella nostra evoluzione, Il modo con cui guardiamo la realtà e percepiamo
a livello sensoriale le esperienze che ci sono di fronte. Noi facciamo esperienza della realtà che è mediata
dal nostro sistema sensoriale, dal nostro corpo, dal sistema di pensiero personale. Costruiamo nel nostre
conoscenze crescendo, con le esperienze. Il nostro sistema di pensiero è mediato dai nostri sistemi
sensoriali.

2. ETHOS : etica dei nostri comportamenti, cio che è giusto e cio che è sbagliato. Sono i valori che noi
possediamo come individui, come persone che hanno una loro storia di vita e struttura di personalità.

3. METHODOS: modo di attraversare la realtà, modo di scegliere i nostri comportamenti.

4. PATHOS— emozioni che connotano il nostro rapporto con la realtà, ogni esperienza è emotivamente
connotata. Come io percepisco l’esperienza alla quale sono difronte e fa riferimento a tutto il mondo
emotivo personale. Accompagnano la vicenda somato-psichica-relazionale-sociale del paziente.

5. AISTHESIS: ha a che fare con la percezione dei sensi. Il modo con cui vediamo la realtà attraverso i sensi.
Cosa consideriamo bello o non bello, L’ideale a cui noi tendiamo. Lo stare all’interno del mondo nella sua
pienezza ed ha a che fare anche con il concetto di salute— stessa radice (olos— tutto, pienezza) vivere la
vita pienamente. La malattia rappresenta un’interruzione del fluire della vita.

È fondamentale che questi cinque elementi siano tutti collegati. E questi cinque elementi sono in ogni
comunicazione.

Sistema sensoriale: il nostro corpo è dato per scontato, ci serve per vivere, per attraversare la realtà. il punto
di vista antropologico e il punto di vista medico rispetto al corpo sono abbastanza differenti. La definizione di
salute che aveva dato l’OMS assomigliava più al concetto di felicità che di salute. Negli anni 80
l’organizzazione mondiale della sanità aggiunge alla definizione “ottenibile” : perfetto equilibrio psico-fisico,
relazionale, ambientale e sociale ottenibile. Il corpo ci serve per stare al mondo, per vivere per percepisco, ma
sia il nostro sistema di pensiero, sia il nostro corpo non ci fanno contattare la realtà cosi come essa è perché
è mediata soggettivamente dalle nostre esperienze, dalle nostre soggettività sia dalle nostre culture di
appartenenza. La cultura alla quale si appartiene fa selezionare alcuni dati della realtà piuttosto che altri.
Siamo sempre in una situazione di percezione selettiva. Anche le sensazioni che si provano con il corpo
selezionano i dati della realtà che è difronte a noi. L’informazione sulla realtà non passa solo attraverso il
sistema cognitivo ma è tangibilmente presente nel nostro corpo che porta i segni delle nostre esperienze, dei
nostri vissuti.

Differenza tra COERPER e LEIB domanda d’esame

Dal punto di vista della medicina abbiamo il COERPER— ha la radice latina “corpus”, corpo oggettivo della
medicina, l’insieme degli organi e funzioni che il nostro corpo ha. Questo corpo è più o meno per tutti
identico, quello che posso vedere tramite una strumentazione.

Dall’altra parte esiste un LEIB — ha come radice Life (vita): un corpo vissuto soggettivamente e
soggettivamente percepito. Il senso tattile è molto importante nella relazione con il paziente.

L’essere sano o malato per l’antropologo non è soltanto una questione legata alla medicina, riguarda come io
mi percepisco, come io mi sento. Quando la malattia irrompe nella vita della persona interrompe una
biografia. Per affrontare la malattia entra in gioco la struttura di personalità del paziente, il contesto familiare,
il senso di auto-efficacia della persona. L’antropologia ha a che fare con le parole, come noi parliamo, quali
termini scegliamo per descrivere la realtà . Esistono 3 livelli di malattia :

- desease— malattia dal punto di vista della biomedicina, alterazione oggettivamente attestatile di più organi
e funzioni. Ha a che fare con il Coerper — corpo oggetto della medicina.

- Illness: ha a che fare con il LEIB — con il vissuto soggettivo della malattia.

- Sickness : le malattie hanno un impatto, una valutazione da parte della società. Come si guarda la
malattia, se la malattia è dicibile o non dicibile. Ci sono malattie che portano dentro loro uno stigma sociale:
tutte le malattie che hanno uno stigma sociale sono collegate ad un comportamento dell’individuo, tutte le
malattie che hanno una compartecipazione del comportamento negativo e quindi che mi fa ammalare
hanno una attribuzione di colpa e quindi uno stigma. l’Antropologia dice: non tutte le malattie sono dicibili,
quelli che portano uno stigma hanno più difficoltà ad esprimersi, ci sono persone che anche a seconda del
proprio ruolo sociale non dicono di essere ammalati. Non solo tutte le malattie non sono dicibili perché la
persona facendo parte di quella cultura sa che nel modello di pensiero, nel logos della cultura alla quale
appartiene, la malattia non è ben vista, offre un atto di accusa. Nelle malattie in cui c’è la
compartecipazione comportamentale del singolo individuo offrono un atto d’accusa anche dal punto
di vista medico, ed entra un senso di colpa. Questa cosa che gli antropologi hanno affermato molto tempo
fa, sta tornando a causa del covid. Per gli antropologi specializzati in antropologia medica al di la che
sia una malattia infettiva o non infettiva, qualunque malattia contiene in se l’idea di contagio. Gli
studi di antropologia medica hanno dimostrato che nel momento in cui una persona si ammala, confessa il
suo male , c’è un allontanamento corporeo involontario, la malattia porta in se l’idea di allontanamento
anche se non contagiosa. Nello stesso momento esiste il mondo della compartecipazione dove il taccing
diventa empatico, di sostegno alla persona ammalata. Il senso della colpa per le malattie infettive è molto
forte ci sono società e culture in cui la responsabilità dell’individuo verso il contesto sociale al quale
appartiene è molto sviluppata. Tutto cio non riguarda solo il singolo ma tutti, c’è una narrazione sociale che
sostiene tutto cio. È l’antropologia che fa da significante e che spiega il senso di colpa. Ci sono società in
cui la raccolta differenziata non riguarda solo il singolo ma il contesto. Il contesto è sempre presente nelle
azioni comportamentali in alcune società. Nella nostra cultura gli italiani vengono definiti degli individualisti
creativi— alla fine il nostro senso di responsabilità sociale non è cosi alto come in svezia ad esempio—il
loro corpo possedeva già questa prossemica— per loro era la normalità. Ci siamo dovuti riappropriare di
una prossemica: lo studio della posizione che noi utilizziamo nella nostra cultura, nella nostra società, dello
spazio corporeo, di come il corpo sta nello spazio. Studio della comunicazione che riguarda la distanza
accettabile tra i corpi. Gli studi testimoniano che quando si è in sintonia con un’amica si assume la stessa
posizione— neuroni a specchio. La prossemica studia in che modo noi ci muoviamo all’interno della
società con il nostro corpo. L’infermiere che entra in contatto con il corpo del paziente, entra in una
distanza intima— avviene quando si sente l’odore, il calore della pelle, - sensi prossimali: tatto e olfatto.

- In tutte le narrazioni raccolte dagli antropologi di antropologia medica, una delle costanti che si rintraccia è
uno spartiacque tra un prima e un dopo. Ad esempio c’è sempre il ricordo della data esatta in cui al
paziente viene comunicata una diagnosi. Cio che costituisce una parte del racconto è uno spartiacque tra
un prima e un dopo— la rottura di una biografia—mentre la vita ha un andamento progressivo, nel
momento in cui arriva una diagnosi c’è uno stop. il momento esatto della diagnosi che viene ricordato, e
viene ricordato il contesto, la percezione.

- I pazienti quando raccontano ed entrano in contatto con noi, sceglieranno le parole da comunicare, cio che
vogliono comunicare, perché nella comunicazione selezioniamo gli elementi che vogliamo comunicare
all’altro a seconda della relazione, a seconda del contatto che si vuole stabilire con l’altro— il paziente
seleziona gli elementi che vuole comunicare, quelli che lui pensa siano importanti. Altri li vuole nascondere
volontariamente per la paura di essere abbandonato, per il senso di colpa. Le parole che i pazienti
utilizzano contengono spesso similitudini, metafore. Il dolore è incomunicabile ed ha bisogno di similitudine
per spiegarlo.

- Quando il paziente inizia a percepire in maniera indistinta e che non sa definire una serie di sintomi, di
malesseri, e quando narra di questi sintomi, non lo fa dal punto di vista medico, non li connette a dei dati
scientifici, il paziente avverte qualcosa di indefinibile e che non sa che cosa sia.

- Parlami del processo di narrazione di una malattia: rottura di una biografia, lo spartiacque, l’uso delle
metafore o delle similitudini , la percezione indistinta dei sintomi iniziali e che non si sa bene come
identificarli. Che peso dargli.

- Racconto di un episodio : epilessia. Evento, come qualunque malattia, traumatico nel momento in cui ci si
rende conto che un ospite inquietante sta arrivando a possedere il proprio corpo.

- Miriam descrive l’esordio della malattia, il momento in cui si palesa e non descrive gli aspetti fisiopatologici
dell’epilessia ma le sensazioni: l’ottundimento, l’allontanamento e allo stesso tempo l’amplificazione dei
suoni. I pazienti comunicano cio che sentono dal punto di vista dell’illness e del LEIB.

- Mentre il raconto che un professionista sanitario puo fare, sarà incentrato sulla disease e sul coerper.

- Miriam vive uno shock — evento che stravolge la sua vita e fa cambiare traiettorie. Si ridisegnano ordini
precostituiti. Le relazioni si ridisegnano, vengono modificate. L’antropologia medica si occupa della malattia
dal punto di vista della persona che ne soffre, dei suoi racconti, di cio che significa in un determinato
contesto essere malati.

- Noi siamo anche le metafore che utilizziamo— tramite per comunicare il proprio vissuto. Il dolore puo
essere comunicato solo metaforicamente.

- “la mia storia si è rotta” il mondo degli altri puo spiegarsi solo attraverso la narrazione— proposta
relazionare verso chi ascolta.

- “noi siamo le parole che utilizziamo”. Ogni malattia contiene un valore simbolico.

- La differenza tra LEIB e COERPER è anche il fatto che mentre io in una condizione di salute, utilizzo il mio
corpo per vivere nel mondo, per attraversare la vita, quando la rottura di una biografia arriva ad
interrompere il flusso di una vita, il corpo finisce per avere attenzione sul “corpo”— finisco per avere la
percezione costante del corpo. Verso la parte del corpo che si ammala, finisce per diventare totalizzante sia
nella percezione che il soggetto ha, sensoriale del suo corpo, sia da parte dei professionisti sanitari che
spesso non guardano l’insieme della persona. Le narrazioni dei pazienti sono pieni della spiegazione dei
loro sintomi. Sintomo: qualcosa che ancora non si vede. I pazienti nel momento dell’esordio della malattia,
hanno una percezione indistinta, il paziente non sa catalogare cio che gli succede, spesso lo fa attraverso
similitudini e metafore per descrivere qualcosa che non si vede. Il sintomo non è tangibile. Il sintomo è
descritto soltanto attraverso l’esperienza soggettiva del paziente personale. Attraverso esami strumentali, il
processo diagnostico, si deve arrivare ad individuare dei segni tangibili per arrivare ad una diagnosi.
Succede spesso che queste due fasi della diagnosi, non sono concatenate o si da poca importanza alla
narrazione del paziente— cadono nel buio le informazioni che invece sono importantissime per arrivare ad
una diagnosi. Spesso queste informazioni sono sottovalutate. Dati oggettivi e dati soggettivi sono
importanti entrambi.

- Modello PATIENT CENTERED— modello centrato sul paziente, modello DESEASE CENTERED —
modello cenato sulla malattia. Nel modello patient centered è il connubio, l’implementazione di dati
oggettivi con i dati soggettivi del paziente. La persona nel dialogo con l’altro co-costruisce il racconto.
Quando siamo immersi all’interno di un problema di qualunque natura esso sia, il problema lo vediamo
soltanto dal nostro punto di vista, e siamo talmente immersi che non riusciamo a vedere gli spazi che sono
intorno di soluzione al problema. Nel dialogo con l’altro, mentre narriamo all’altro del nostro problema lo
rendiamo più chiaro anche a noi stessi — co-costruire. Nel dialogo con l’altro, la mia mente si apre e vede
dei possibili spazi di soluzione o vede anche delle caratteristiche che non pensava avere quel problema.
Quindi co-costruzione significa mettere in comune un problema, e proprio nel metterlo in comune mi fa
arrivare a percepire cose che non riuscivo a vedere. Quindi il professionista sanitario deve fare da specchio.
Contatto attraverso domande con quella che è l’esperienza del paziente contenuta nell’agenda del
paziente, Dettata di vissuti. I due modelli non sono in opposizione ma in integrazione.

- Fasi di accettazione della malattia. La prima fase è quella dello SHOCK— la persona non è in grado di
ascoltare, ne di vedere, di percepire i sistemi rappresentazionali, vista, udito, la percezione corporea
nell’analisi di realtà. Nella fase dello shock la persona non è in grado ne di ascoltare, ne di capire e
nemmeno di entrare in contatto con le proprie emozioni. In questa fase esiste un distanziamento dalle
parole. Invece in medicina non si tiene conto che nella fase dello shock, avendo queste caratteristiche di
spersonalizzazione, allontanamento, incapacità di ascoltare vedere e percepire, i professionisti parlano,
danno diagnosi, ma in questa fase non siamo in grado di recepire informazioni. Poi c’ala fase della
RABBIA, fase più attiva, spesso contro il professionista, contro se stesso, nei confronti del proprio
contesto, col destino. È una fase reattiva, fase di presa di coscienza del problema. Poi c’è la fase
dell’ACCETTAZIONE— capacità di lottare, trovare un sistema di adattamento in una nuova situazione e di
raccogliere le forze, con la capacità di reazione a quello che succede.

- Acuità sensoriale —- quando siamo in contatto con un’esperienza di realtà di un’altra persona e
soprattutto quando siamo in una relazione asimmetrica si deve stare attenti ad allenare l’acuità sensoriale—
nel momento in cui ci arriva il racconto di un’altra persona ci arriva già selezionato e spesso si tende ad
interpretare, il racconto non arriva nella sua realtà, è mediato dal proprio quadro interpretativo. Spesso non
riusciamo ad entrare in contatto con il racconto dell’altro perché è come se ci fossero dei filtri che fanno
attraversare solo alcune cose. Altre non riusciamo a comprenderle. Aumentare l’acuità sensoriale significa
attivare il livello visivo, il livello auditivo, il livello percettivo sensoriale corporeo, per avere più elementi
possibili di conoscenza della realtà. Allenare i sistemi rappresentazionali. Quando siamo in un rapporto di
simmetria uno degli elementi che ci puo far comunicare meglio con l’altro e comprenderlo è fondamentale
allenare la capacità di sentire attraverso i 5 sensi.

- Sono le parole che ci dicono gli altri che costruiscono il nostro modo di stare al mondo e di sentire noi
stessi, sono gli sguardi che costruiscono noi stessi. È nella relazione con l’altro che si sviluppa il proprio se,
la percezione di se.

“la mappa non è il territorio”— in questa immagine, ripresa dalla prima proiezione del primo film in 3D. Noi
della realtà abbiamo una visione mediata dai nostri sensi, dai nostri valori, dalle nostre condizioni, dai nostri
bias cognitivi —- convinzioni inconfutabili che ci portano ad approcciare un qualunque elemento della realtà
con le convinzioni precedenti. Se ci succede un avvenimento che sconvolge la nostra vita, che dobbiamo
interpretare, ci vengono in aiuto o sono ostacolanti i fattori che sono determinati dalle nostre convinzioni
precedenti. Man mano che attraversiamo le nostre esperienze, formano dentro di noi delle mappe che ci
orientano nel territorio della realtà. Soltanto che le mappe che noi costruiamo, le crediamo come realtà, verità
assoluta. La nostra vita è fatta da mappe geografiche, il modo in cui approcciamo qualunque aspetto della
realtà è determinato sia dalle esperienze precedenti, sia dall’avvenimento in se, sia dalle nostre convinzioni,
che sono talmente radicate da considerarle assolutamente reali. Questo da una parte ha dei vantaggi perché
ci servono, nello stesso tempo il problema è che queste mappe, costruita con la nostra educazione vengono
considerate immodificabili. Il cambiamento è molto importante, quando dobbiamo affrontare un cambiamento
di posizione nella nostra geografia esistenziale, tutto cio ci comporta uno sforzo enorme, perché mettere in
discussione le nostre convinzioni è qualcosa di molto complesso. Quando noi abbiamo costruito il nostro
mondo di convinzioni, costruiamo anche il nostro modo di rapportarci alle nostre capacità, cio che possiamo
fare e cio che non possiamo fare. Questo tipo di processo determina anche il nostro comportamento rispetto
alla realtà. Quando affrontiamo una nuova situazione, attiviamo le nostre amate mentali, le nostre convinzioni
che influiscono sul nostro atteggiamento nell’affrontare un determinato compito sia con il comportamento
conseguente. Il linguaggio che utilizziamo per parlare a noi stessi delle nostre convinzioni, determina i nostri
mondi possibili.

“profezia che si autoavvera” — comporta un’energia a livello di mappa mentale, il fatto che io dica a me
stesso “non ce la farò mai” — tutte le energie fisiche sono concentrate sull’aspetto negativo e sulla mancanza
di risorse per affrontare quella situazione e cio determina che le cose vadano in questa direzione. Le
convinzioni radicate ci comportano un auto-sabotaggio della nostra capacità di reagire a delle situazioni di
difficoltà.

Questo sistema di convinzioni che noi possediamo ha degli effetti sia sul nostro sistema neurologico, sia sul
nostro linguaggio, il cervello opera delle selezioni di alcune soluzioni. A causa di questi processi è difficile
attuare un cambiamento. Siamo continuamente immersi nel nostro attraversamento della realtà. Ogni
esperienza induce dei cambiamenti dei quali molto spesso non siamo consapevoli e finiamo per attivare
sempre le stesse convinzioni che non sono funzionali al cambiamento che vogliamo ottenere.

Primo passo: A livello di logos si inizia a comprendere quali siano i meccanismi che inconsapevolmente ci
dominano.

Uno dei meccanismi che operiamo più costantemente è che se una determinata soluzione ad un problema
non ha funzionato non è perché è sbagliata ma perché non l’abbiamo perseguita abbastanza— stesse
soluzioni ad un problema — sbagliato. A causa di queste mappe mentali rimaniamo nella convinzione che
l’atteggiamento verso il problema non vada modificato ma che non l’abbiamo perseguito abbastanza, quindi
si ripete lo stesso comportamento. Quando qualcosa non funziona ci si deve interrogare su come si puo
modificare l’atteggiamento nei confronti del problema.

Bias cognitivi— le nostre convinzioni che per noi sono la realtà. Ma questa realtà e mediata dai nostri processi
e on è la realtà vera. I conflitti di tipo relazionale sono determinati da questi processi. Sono presenti i 5
elementi della comunicazione— affronto un pezzo di realtà attraverso il logos, cio che conosco, attraverso il
modo in cui affronto un aspetto della realtà, a seconda delle emozioni, a secondo di cio che per me è giusto o
no— etica. Da questi atteggiamenti abbiamo dei comportamenti conseguenti.

“nessuna cosa è buona o cattiva, è solo il pensiero che la rende tale” Amleto, Shakespeare. La valutazione
della realtà è sempre qualcosa di soggettivo. Il conflitto nasce nel momento in cui non ci si pone in un
possibile spazio di negoziazione dell’altro. Quando si arriva ad un confronto, si ha la necessità di trovare dei
punti di incontro tra la propria mappa mentale e quella dell’altro. Nel conflitto con i pazienti è il professionista
che deve essere in grado di interrogarsi sulla mappa mentale che ha il paziente rispetto alla sua diagnosi.

- evento esterno— quando ci arriva un evento esterno, nuovo, inaspettato o anche un evento che richiama
cose vissute, all’interno della nostra mente ci sono delle mappe mentali, bias cognitivi, cassetti della
memoria che andiamo a riaprire, e abbiamo una rielaborazione mentale dell’avvenimento che ci sta
succedendo, un processamento. A parte i processi neurologici presenti, una tra le cose che influenza
maggiormente il nostro modo di approcciare la realtà è il linguaggio che si utilizza per descriverla. Il
linguaggio che io utilizzo o che gli altri utilizzano mi determina il mio modo di vedere la realtà. Nella
rielaborazione, oltre che dal punto di vista cognitivo, determina in noi una reazione emotiva a
quell’avvenimento, paura, disperazione, felicità, rabbia. Ognuno di noi a seconda della rielaborazione
mentale, vivrà un particolare stato d’animo. Le emozioni non si toccano, sono impalpabili, non si vedono,
ma si sentono. La persona che vive un’emozione sente nel proprio corpo un’emozione, viene descritta
attraverso le sensazioni corporee—- risposta fisiologica.

- Da qui arriviamo a delle decisioni, rispetto all’evento esterno, alla rielaborazione mentale, la reazione
emotiva, la risposta fisiologica, e decidiamo di comportarci in un certo modo e non in un altro che è ancora
una risposta di tipo cognitivo. Dopo arriva l’azione vera e propria. Se l’azione porta dei risultati inefficaci è
importante ripercorrerlo.

Il linguaggio è uno degli elementi chiave con cui costruiamo le nostre mappe/modelli di rappresentazione
della realtà. I nostri comportamenti dono determinati anche da strategie (programmi) mentali (neurologici) e
verbali. Le parole sono in grado dia di riflettere che di influenzare le esperienze. Le parole determinano le
nostre reazioni emotive, una fisiologia, una decisione e un’azione e reazione ad un determinato
comportamento. Il linguaggio è un comportamento, il modo in cui comunichiamo le parole, sia il parafernale
che il verbale. Mettere una particolare qualità caratteristica che è momentanea, porta man mano a costruire
dentro di noi un nostro modo di rappresentare se stessi. Il fatto di prendere una caratteristica e mettere
insieme al verbo essere crea un’identità rispetto a quella qualità. Le parole e la costruzione delle frasi, i verbi
che scegliamo e le parole che adottiamo fanno la differenza.

Originariamente parole e magia erano una cosa sola e, ancora oggi, la parola ha conservato molto del suo
antico potere magico. Con le parole ognuno di noi puo rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione;
attraverso le parole l’insegnate trasmette il suo sapere agli allievi; con le parole l’oratore trascina con se
l’uditorio e ne determina giudizi e decisioni. Le parole suscitano emozioni e sono il mezzo comune con il
quale gli uomini si influenzano tra loro — Freud.

“ I nostri sensi sono le nostre finestre sul mondo”. Neutralità oggettiva e soggettiva; pensiamo di essere neutri
nella comunicazione, ma invece portiamo il nostro modo di stare al mondo attraverso le nostre modalità
corporee. Attraverso l’acuità sensoriale abbiamo la possibilità di stare al mondo e di percepirlo.

Sistemi sensoriali— sistemi rappresentazionali — sistemi attraverso i quali ci rappresentiamo la realtà, la


conosciamo, l’attraversiamo, la immagazziniamo. I sistemi rappresentazionali sono 3. Ognuno di noi ha tutti e
tre i sistemi rappresentazionali, il visivo, l’auditivo e il cinestetico. A seconda delle esperienze e del momento
in cui viviamo una determinata situazione attiviamo maggiormente un canale, piuttosto che un altro. Quando
approcciamo una esperienza, l’approcciamo attraverso i nostri sensi. Ognuno di noi poi sviluppa
maggiormente un senso. Se si ha un canale prevalente di approccio alla realtà di tipo visivo, si ha la necessità
di poter accedere anche a dati che riguardano gli altri canali. Ognuno di noi ha un canale preferenziale con il
quale affronta. Immagazzina, elabora un evento esterno. Il modo in cui selezioniamo le informazioni saranno
processate e selezionate a seconda del sistema rappresentazione che noi utilizziamo prevalentemente.

- il visivo è fortemente ritratto dai rumori, hanno bisogno di immagini, di uno spazio fisico davanti dove vede
scorrere immagini riferite ai contenuti, le immagini vanno molto più velocemente delle parole.

- Canale auditivo: chiamano le cose con il loro nome senza indicare, sono molto descrittivi, pronunciano
tutte le parole con ritmo e volume adeguati, postura asimmetrica. Testa spesso piegata di lato. Amano il
times new roman, le liste e i report dettagliati. Il loro apprendimento e ragionamento è logico sequenziale .
Muovono spesso gli occhi da un lato all’altro, il respiro è regolare e ritmico all’altezza del petto. Limitano
suoni e rumori, parlano con linguaggio musicale, fanno descrizioni dettagliate, parlano spesso da soli,
imparano ascoltando, amano farsi spiegare a parole procedure. A seconda del linguaggio che utilizzo, sto
attivando maggiormente un canale al posto dell’altro. Per comunicare bene con l’altro, è necessario essere
consapevoli di questo e essere in grado di attivare quella particolare flessibilità comunicativa che dobbiamo
allenare ed attivare nel momento in cui entriamo in contatto con pazienti diversi.

- Canale cinestestico— sentono e parlano lentamente perché devono accedere ad informazioni


immagazzinate nel profondo. Dicono spesso non so come spiegarlo, tendono a toccare la parte del corpo
dove hanno la sensazione, la postura è rilassata, parlano tendendo a guardare verso il basso, respirazione
addominale che cambia a seconda dei sentimenti che sta provando, il tono è basso, la voce profonda e
vellutata, la postura è chiusa e ricurva, si muovono lentamente, amano il contatto fisico e la vicinanza,
hanno emozioni molto profonde.

Nella relazione comunicativa entrano in gioco il grafico, i sistemi rappresentazionali e gli accessi oculari, cioè
il sistema attraverso il quale noi muoviamo, a seconda del sistema rappresentazionale che attiviamo, il
movimento degli occhi.

Tre meccanismi comunicativi che ci appartengono e che creano confusione nel momento in cui vengono
attivati:

- generalizzazione: quando noi prendiamo le caratteristiche di una piccola parte e la estendiamo a tutto il
resto. In genere utilizziamo la generalizzazione perché è un meccanismo di accorciamento di
comunicazione. È determinata da uno stereotipo. Generalizzando si assolutizza. Per poter comunicare
meglio è stare attenti a non fare delle generalizzazioni.

- Cancellazione: quando noi di una affermazione diamo solo la cornice, l’interlocutore inserirà all’interno del
quadro degli elementi che non sono stati detti veramente. Infiliamo delle informazioni perché queste non
sono presenti in quello che l’altro ci sta dicendo.

- Deformazione: ha a che fare con la lettura del pensiero altrui. Una deformazione che operiamo è quando
diciamo all’altro è “tu non hai capito quello che io ho detto”. Non si hanno elementi per definirlo. La
deformazione ha a che fare con la valutazione del comportamento altrui. Quando operiamo le
deformazione operiamo una sensazione di escalation di conflitto, di rabbia esplosiva.

La visualizzazione è uno degli strumenti che ci aiuta ad affrontare il problema— visualizzazione del problema e
superamento dello stesso. Attraverso la visualizzazione si supera il limite precedente, e si riesce con lo stesso
esercizio a superarlo. Risveglia dentro di noi delle capacità che sono sopite, del rafforzamento di potenzialità
che pur essendoci dentro noi non riusciamo a risvegliare. Il senso di auto efficacia puo essere modificato.

La ruota del cambiamento J.Di Clemente

Stadi del cambiamento:

- precontemplazione : in questa fase rispetto al cambiamento siamo immobili, non ci interessa modificare,
desideriamo rimanere nella stessa situazione, continuano a perpetrare un comportamento disfunzionale;
nessuna intenzione di cambiare, non consapevolezza della propria condizione patologica o a rischio, gli
altri vedono il problema, la persona lo ignora o lo minimizza, meccanismi di negazione e proiezione
maggiormente presenti. Uno stadio di precontemplazione in un processo di cambiamento di
comportamenti dura anche tutta la vita. Non si ritiene disfunzionale il comportamento che si sta adottando,
sono tutti gli altri che devono cambiare e modificare il loro atteggiamento.

- Contemplazione — si comincia a desiderare la necessità di cambiare, percezione degli aspetti positivi del
comportamento e contemporaneamente, delle sue conseguenze negative, meccanismi di ambivalenza. Per
capire se il paziente è in uno stadio o in un’altro si deve prestare attenzione al linguaggio utilizzato dal
paziente. Se il paziente fa delle negazioni nella precontemplazione, mentre nella contemplazione si prende
in considerazione che qualcosa si deve fare. Uno dei problemi che si presenta è che non si sa da dove
partire. Si ha un’azione bivalente, da una parte si è spinti verso un’azione diversa, dall’altra si è ancora
tentato di ritornare indietro. Il cambiamento dicono gli antropologi, è sempre e comunque ecologico. Anche
la contemplazione puo essere molto lunga. Ci si rimane spesso perche non si prende in esame la
dimensione ecologica del problema: tutto cio che ruota intorno al problema. È importante capire il tipo di
domande da fare al paziente. Una tecnica è quella della visualizzazione del raggiungimento dell’obbiettivo
“come ti sentirai una volta raggiunto l’obiettivo, come ti vedrai, che cosa sentirai…” provare ad utilizzare
tutti e tre i sistemi rappresentazionali.

- Determinazione o preparazione : si raggiunge la decisione di cambiare. Pregnanza emotiva degli aspetti


positivi del comportamento smorzata, la consapevolezza degli aspetti negativi domattina, ambivalenza
attenuata; apertura versi suggerimenti, fondamentale anche qui il consueling. Stadio di minore durata
rispetto ai precedenti, ma si puo tornare indietro o andare avanti— il cerchio non va solo in una direzione.

- Azione: interruzione del comportamento problematico; adozione del nuovo comportamento ;


incorporazione del comportamento nello stile di vita. Dopo un po di tempo il comportamento diventa
embodiment — incorporato, naturale— quando non ci riflettiamo più.

- Mantenimento : uscita definitiva dal problema; rischio di ricaduta, fenomeno “fisiologico” nel processo di
cambiamento comportamentale. Tanto più si colpevolizza la ricaduta tanto più è difficile ricominciare il
ciclo. Bisogna capire cosa non ha funzionato e invece quello che è funzionato, quale è stato il momento in
cui le cose si sono interrotte.

Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore per venirle in aiuto non è quello di dirle cosa fare, quanto
piuttosto quello di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema prendendo da sola e
pienamente le responsabilità delle scelte individuali. Quando i professionisti sanitari prendono decisioni per i
pazienti, il paziente spesso ci ascolta, ma nel momento in cui le cose non funzionano la responsabilità sarà di
chi ha dato il consiglio. Il progressista deve accompagnare il paziente. Nel momento in cui questo intervento
fallisce la responsabilità è del professionista sanitario.

Autoefficacia— ognuno di noi possiede un senso di autoefficacia, se si è in grado di fare una determinata
cosa, se si hanno le capacità, le qualità per.. l’autoefficacia corrisponde alla convinzione che ognuno di noi
possiede rispetto ad un determinato cambiamento, di poterla mettere in atto. Il senso di autoefficacia è
collegato a uno specifico comportamento. Molto spesso sono le relazioni con le altre persone che minano il
senso di auto-efficacia.

Counseling
Insieme di tecniche comunicative per agevolare il cambiamento delle persone; riguarda le domande di tipo
chiuso, che hanno come un algoritmo ad albero. Le domande chiuse non agevolano il cambiamento, la
possibilità di modificare un cambiamento comportamentale.

Tutti noi soffriamo dei cosiddetti comportamenti-trappola : azioni disfunzionali o dannose che la persona
reitera nel tempo e con le stesse modalità per la risoluzione di problemi, fino a quando si trasformano in un
copione inevitabile, ma inefficace allo scopo.

- la persona replica cio che ha funzionato una o più volte.

- Il problema varia nel tempo e in circostanze diverse, ma la persona non ne tiene conto.

- La persona pensa che una strategia non funzioni perché non la si è perseguita abbastanza e non perché
non è, o non è mai stata, efficace.

- I meccanismi della reiterazione disfunzionale sono inconsapevoli.

- La costruzione dei comportamenti trappola risponde all’esigenza di ridurre il dispendio di energia (un
comportamento se ha funzionato per un tipo di problema, funzionerà anche per altri simili).

- Meccanismo dell’omeostasi di ogni sistema che vuole mantenere l’equilibrio raggiunto. Tendiamo a cercare
di mantenere in equilibrio un sistema perché per modificarlo dovremmo attivare tutta una serie di energie e
di risorse. Inoltre siamo spesso irrigiditi sui nostri schemi.

Evitare o rimandare un’azione

- conferma alla persona l’incapacità di affrontare una situazione, a poter far fronte ad un problema, il fatto
che noi rimandiamo la soluzione di un problema porta ad un meccanismo di tipo circolare. Più
procrastiniamo un’azione e più aumenta l’ansia per poterla affrontare.

- Aumenta il timore nei confronti della situazione

- Non consente la scoperta di risorse possibili

- La capacità decisionale e di fronteggiare la realtà viene danneggiata.

Problem solving strategico

- si inciampa su un problema

- Si studiano tutti i tentativi messi in atto come soluzioni

- Si cercano soluzioni alternative

- Le si applicano

- Si misurano gli effetti

- Si aggiusta la strategia fino a renderla efficace, fino a trovare la soluzione per raggiungere gli obiettivi
specifici. Chiedersi cosa si vuole ottenere. Gli obiettivi devono essere misurabili, avere una tempistica, ed
essere raggiungibili.

Il modello Problem soling strategico

- spesso sia con noi stessi che con un paziente stiamo tanto tempo sulla spiegazione del problema senza
avviarci alla sua soluzione. Il modello non ricerca la spiegazione del problema, ma la sua soluzione.

- L’attenzione non è sul perche esiste il problema, ma “su come funziona” e sulle soluzioni possibili. È
importante capire cosa c’è intorno ad un particolare tipo di problema comportamentale.

- Sono le soluzioni che permettono di spiegare i problemi e non viceversa. Si deve guardare il problema
dall’esterno e rispetto alle soluzioni possibili.

Definire il problema e le sue caratteristiche è un procedimento rigoroso, basato su uno sguardo multifocale
del problema.

Concordare l’obiettivo: la domanda che bisogna farsi è “quali sarebbero i cambiamenti concreti che una volta
realizzati, farebbero affermare che il problema è stato risolto?(obiettivo da raggiungere). Cio permette di
individuare il focus dell’intervento, riduce la resistenza al cambiamento e crea alleanza con il professionista.

La valutazione delle tentate soluzioni fornisce l’accesso privilegiati al funzionamento del problema da
risolvere, cosi come della sua possibile soluzione: cosa NON fare, cosa ha avuto successo e se la soluzione
puo essere riproducibile ora.

Quando qualcuno ci dice “devi fare così” — ci manda in reattanza psicologica— collegata ad uno specifico
comportamento.

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