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Intervista a Marshall Rosenberg

Comunicazione Empatica: in contatto con


noi stessi e con gli altri
Molto più che uno strumento di comunicazione, la Comunicazione Empatica o
Nonviolenta è un vero e proprio modo di vivere, di pensare e di agire. Ci aiuta a
diventare consapevoli che ogni giudizio è l’espressione tragica di un bisogno.
Riconosciamo e contattiamo i nostri sentimenti e bisogni così come quelli di chi
ci è vicino, esprimendo e ricevendo quello che è vivo in noi. Impariamo a
distinguere tra osservazione ed interpretazione, tra sentimenti e pensieri, tra
bisogni e strategie.
Tutta la profondità, l’ampiezza, la forza rivoluzionaria di questo processo di
comunicazione provengono da 40 anni di ricerca appassionata ed infaticabile
del suo ideatore: Marshall B. Rosenberg (1936-2015), ex direttore dei Servizi
Educativi del Center for Nonviolent Communication.

Che cos'è esattamente la Comunicazione Empatica e a cosa serve?

Non è facile dare una definizione perché non si tratta solo di uno strumento, un
modello o un linguaggio. E' una visione, una filosofia finalizzata a vivere più in
contatto con noi stessi e con gli altri e con la nostra comune natura empatica e
per dare e ricevere col cuore. La tecnica della Comunicazione empatica,
consiste in quattro passaggi apparentemente facili. Ci risultano difficili perché
non siamo stati educati nella direzione di una comunicazione collegata alla vita.
Allo stesso tempo è qualcosa che ci appartiene. Da piccoli, infatti, tutti
“parlavamo” in maniera naturale questo tipo di linguaggio: facevamo capire
molto chiaramente di cosa avevamo bisogno e lo facevamo in un modo che
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stimolava gli altri a prendersi cura volentieri di noi. L'obiettivo della


Comunicazione empatica è perciò di ricordarci quello che una volta sapevamo
già, attraverso l'uso delle parole e di un modo di pensare diverso. Perché i modi
che abbiamo acquisito nella nostra cultura ci scollegano da questa nostra natura
empatica. La Comunicazione empatica ci invita a concentrare la nostra
attenzione su aree specifiche di informazioni per poterci così ricollegare sia a noi
stessi sia agli altri e creare una connessione reciproca che permette di dare e
ricevere col cuore.

Perché comunicare è così difficile?

Risulta difficile perché le strategie di comunicazione che abbiamo imparato non


aiutano a stabilire e a mantenere la connessione e non sono al servizio dei
nostri bisogni e valori. Quando dentro di noi un bisogno non è soddisfatto,
abbiamo imparato a trasformarlo in etichetta, giudizio o analisi sull'altro e questo
rende difficile intenderci reciprocamente.

E' necessario che entrambi gli interlocutori conoscano questo linguaggio


Comunicazione empatica? E' inoltre necessario che si conoscano, si
vogliano bene e abbiano un obiettivo comune?

Secondo la mia esperienza basta che un solo interlocutore conosca lo


strumento e abbia ben chiaro l'obiettivo di voler essere in connessione con il
modo in cui la vita si manifesta dentro se stesso e dentro l'altro. Questa
intenzione con la quale usa il linguaggio Comunicazione empatica è molto
importante. Se ho allenato la capacità di essere in connessione con me stessa e
sono interessata all’ascolto dell’altro, posso sentire quello che mi vuole dire al di
là dei giudizi. Allenandoci a non sentire solo parole, che possono essere giudizi,
etichette e interpretazioni, possiamo tentare di connetterci alla vita che l'altro ci
porta. Siamo consapevoli che l’altro fa e dice la cosa migliore che sa fare per
prendersi cura di un suo bisogno.

Un esempio concreto

Una persona mi dice: “Sono stufa. Non mi chiami mai, devo sempre chiamarti
io”. Questa persona non conosce la Comunicazione Nonviolenta. Io sono
interessata a una connessione e sposto la mia attenzione dall'interpretazione
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all'osservazione. Poi verifico chiedendo: “Ti riferisci al fatto che gli ultimi due
mesi mi hai chiamato due volte mentre non hai ricevuto chiamate da parte mia”?
Chiarisco molto bene l'osservazione che potrebbe essere lo stimolo, poi mi
sposto sui sentimenti che potrebbe provare: “Rispetto a questo ti senti forse
frustrata e dispiaciuta…? Verifico in forma di domanda perché non possiamo
mai sapere come sta un'altra persona, possiamo sapere solo come stiamo noi.
Dunque verifico i bisogni: “Perché hai bisogno di fiducia nelle mie intenzioni
rispetto alla nostra amicizia”? L'obiettivo non è indovinare la cosa giusta,
l’obiettivo è la connessione. Aspetto come reagisce l'altra persona. Magari mi
dice: “Sì, tu non mi chiami e io non so cosa pensare”. A quel punto sono in
contatto col suo bisogno. Fiducia nell'interesse è un bisogno che ho anch'io. Il
primo passaggio è l'osservazione. Insieme al sentimento e al bisogno mi
permettono di connettermi a come sta l'altra persona, a cos'è vivo nell'altro.
L'ultimo passaggio è la richiesta. Verifico: “Vorresti che ti dicessi come mai non
ti ho chiamato? Esplicito una richiesta che sento potrebbe essere quella che
l'altro vorrebbe farmi. Una possibile risposta potrebbe essere: “No. Voglio
sapere se sei ancora interessato alla nostra relazione”. La nostra attenzione, la
mia insieme a quella dell’altro, è pienamente sulla connessione tra di noi. Se
una persona mi dice che non la chiamo mai e che è sempre lei a chiamarmi,
potrei intendere molto facilmente una critica nelle sue parole. Potrei essere
portata a crederci, a giustificarmi, a scusarmi o a contrattaccare. A quel punto
non sarebbe possibile creare una connessione da cuore a cuore. Con
l'allenamento all'ascolto non è necessario che l'altro conosca il linguaggio
Comunicazione empatica. Sono io che ho la consapevolezza che attraverso
l'attenzione su osservazione, sentimento, bisogno e richiesta posso contribuire
ad attivare un’energia che, circolando, ci metterà in connessione e ci permetterà
di trovare una strategia che piacerà ad entrambi.

Se una delle due parti fosse, per ipotesi, in malafede, che cosa
succederebbe?

Se io ho il pensiero che l'altro sia in malafede, questo mio pensiero indica il mio
bisogno di fiducia non nutrito. Davanti a qualcosa che l'altro ha detto o fatto, io
non sono soddisfatto. Quando diciamo che l'altro è in malafede, in realtà
parliamo della nostra reazione rispetto a qualcosa che gli abbiamo visto fare o
sentito dire.
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Se una delle due persone avesse un fine diverso?

Davanti a qualsiasi messaggio possiamo scegliere come prenderlo. Anche se


una persona mi dice: “Basta. Non voglio più avere a che fare con te”, posso
scegliere di ascoltarlo come l'espressione di un bisogno non soddisfatto. Tutto
dipende dalla nostra scelta. Usando giudizi, noi lasciamo sull'altro qualcosa che
ci riguarda e di conseguenza è difficile riprenderci il nostro potere e anche fare
richieste che stimolano l'altro a voler contribuire volentieri alla nostra vita.

E' molto difficile però essere sempre a contatto con i nostri veri sentimenti
e bisogni. Com’è possibile riuscire ad essere sempre connessi?

Apparentemente è facile, ma è molto difficile perché non siamo affatto allenati.


Ci sono molte sfumature per esprimere come ci sentiamo ma non ne sappiamo
esprimere più di due o tre: sto bene, male o sono normale. Iniziamo sempre da
noi stessi, da come ci sentiamo noi. A questo proposito, esiste un elenco di
parole sentimento. E' utile in alcuni casi, scorrere quell'elenco e trovare una
parola che risuona e che esprime come mi sento. La parola ci aiuta ad entrare in
contatto con come ci sentiamo e la stessa cosa vale per i bisogni. Rispetto ai
sentimenti il nostro modo abituale di parlare e pensare ci permette di dire per
esempio “mi sento sfruttata”. Questo non è un sentimento, è un giudizio che ho
nei confronti dell'altro. Se dico che mi sento sfruttata sto dicendo che penso che
l'altro mi sfrutti e nella comunicazione con l'altro, qualsiasi parola che suoni
come una critica renderà molto difficile la connessione perché stimola nell'altro
l'autodifesa o il contrattacco. Se ci viene un pensiero di questo tipo, chiediamoci
come ci sentiamo quando pensiamo che l'altro ci sfrutti. In questo modo
entreremo in connessione col nostro sentimento che ci rende chiaro ciò che
avviene in noi, lo colleghiamo col nostro bisogno che è la causa del sentimento.
La causa dei nostri sentimenti sono i nostri bisogni. Faccio riferimento a bisogni
umani universali, indipendentemente da sesso, etnia, età o origine. Si tratta di
bisogni come cibo, acqua e riposo insieme a bisogni come ascolto,
collaborazione, fiducia, ecc. E' bene distinguere tra i bisogni e le strategie che
usiamo per soddisfarli. Il bisogno di cibo, ad esempio, è un bisogno che
abbiamo tutti ma le strategie per soddisfarlo sono diverse nel mondo: chi mangia
carne, chi no, chi mangia insetti, ecc. Questo vale per ogni bisogno. Il bisogno è
condiviso con tutti gli esseri umani e abbiamo tante strategie diverse a
disposizione per prendercene cura.
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Come si fa a distinguere tra osservazione e interpretazione?

Siamo abituati a mescolare osservazione ed interpretazione senza esserne


consapevoli e all’inizio può essere una sfida di rendercene conto. Una volta
compresa la differenza, l’interpretazione ci può aiutare a individuare sia
l’osservazione che i nostri sentimenti e bisogni. Il giudizio è come uno scrigno
che possiamo aprire. Tendiamo a considerare la nostra visione come verità
mentre si tratta solo di una nostra valutazione. L'interpretazione nell’esempio di
prima poteva essere: “Non sei più interessata alla nostra amicizia “, mentre
l’osservazione era “Ti ho chiamato tre volte negli ultimi due mesi e non ho
ricevuto chiamate da parte tua”. Vedete la differenza? L'osservazione è quello
che una telecamera può registrare e riguarda tutto ciò che possiamo percepire
con i sensi. L'obiettivo è la connessione con me e con l'altro. Mettendo in chiaro
la mia osservazione permetto di chiarire di cosa sto parlando.

Che cos'è esattamente il linguaggio giraffa e il linguaggio sciacallo?

Uso delle marionette per rendere chiaro in un modo divertente la differenza tra
linguaggio abituale e linguaggio naturale. Lo sciacallo rappresenta un modo di
comunicare scollegato dalla vita, mentre la giraffa comunica con l'intenzione di
connettersi a sé e all’altro.

Ogni sciacallo è una giraffa con problemi di comunicazione. Ci tengo a


sottolineare che non si tratta di definire cosa è giusto o sbagliato, la
Comunicazione empatica ci stimola ad uscire da questo modo di pensare e ci
spinge a chiarire i nostri bisogni che non sono mai in contrapposizione. Ho
scelto la giraffa perché è l'animale terrestre con il cuore più grande e ha il collo
lungo, quindi ha una visione più ampia.
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Quando usiamo la Comunicazione empatica, anche la nostra visione è più


ampia. L'obiettivo non è far fare all'altro quello che voglio io, l’obiettivo è entrare
in una connessione reciproca da cuore a cuore.

Non stiamo dando per scontato, però, che gli esseri umani siano tutti
buoni, con ottime intenzioni e con bisogni “buoni”? Se non fosse sempre
così?

Credo che tutti gli esseri umani facciano quello che sanno fare per prendersi
cura dei loro bisogni. Alla base della Comunicazione empatica c'è la visione
dell'essere umano come tendente alla vita. L'essere umano in ogni momento fa
la cosa migliore che sa fare. Questa visione è diversa da quella molto diffusa,
che considera l'essere umano un po' difettoso e pensa che a volte debba soffrire
per imparare ad essere migliore. In questa visione, quello che è giusto o
sbagliato, lo sanno le autorità.

Supponiamo il caso di due etnie che si facciano la guerra e che una di


queste voglia tutto per sé, che voglia vincere, che non voglia ascoltare.

Le parole che stai usando indicano che probabilmente i bisogni di ascolto e di


condivisione non sono soddisfatti. La nostra stessa idea, la nostra stessa
immagine di “nemico” ci impedisce di entrare in contatto con l'altro. Non è facile
comprendere questo perché siamo abituati a pensare in termini di giudizio.
Prima di poter entrare in connessione con l’altro ritengo sia utile tradurre la
nostra immagine di “nemico” in parole che parlano dei nostri bisogni. Solo allora
possiamo vedere l’altro come un essere umano ed interessarci dei suoi bisogni
tanto quanto dei nostri.

Se i due bisogni fossero inconciliabili?

Non esistono due bisogni inconciliabili, non ci sono bisogni in contrapposizione.


Quelle che possono essere in contrapposizione sono le strategie. Con la
Comunicazione empatica impariamo a lasciar andare la strategia che avevamo
in testa e a metterci in contatto con i bisogni, da lì emergeranno strategie che
terranno conto di tutti.
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Perché è così impegnativa la Comunicazione empatica?

Inizialmente è come imparare un’altra lingua, non siamo abituati e ci vuole


tempo per formare anche solo una frase. Poi credo che la Comunicazione
empatica metta in discussione molti meccanismi che finora pensavamo fossero
gli unici a nostra disposizione e questo può far paura. Lo scopo non è diventare
perfetti; è accogliersi pienamente qui dove ci troviamo ora, con i nostri giudizi,
chiedendoci di quali bisogni ci parlano. Quando ho iniziato ad esplorare la
Comunicazione empatica ho fatto molta fatica con le parole, nello stesso tempo
ho quasi subito visto grandi benefici nelle relazioni con amici, in famiglia e al
lavoro. Intraprendere questo percorso insieme ad altri può essere molto d’aiuto.

Quanto tempo ci vuole per imparare questa nuova lingua?

Non si finisce mai di imparare. E' una continua ricerca. Io stesso continuo ad
imparare da ogni singola esperienza ed è proprio questo l’aspetto che mi piace
di più.

Ci sono popolazioni che usano naturalmente la Comunicazione


Nonviolenta?

Ho conosciuto un gruppo etnico della Malesia che si rivolse a me per risolvere


un conflitto con una multinazionale che aveva iniziato a deforestare il territorio
dove vivevano. Mi resi conto che la loro lingua era pura Comunicazione
empatica.

In questo caso, c'è il bisogno della multinazionale di guadagnare soldi


deforestando e il bisogno della tribù di preservare la loro terra. I due
bisogni si equivalgono?

Sono entrambe strategie, non bisogni. I soldi non sono un bisogno, sono una
strategia che a volte ci permette di soddisfare diversi bisogni: autonomia,
sicurezza, riconoscimento, ecc. E’ chiaro che nel momento in cui mi trovo davanti
persone che operano nel nome di un organizzazione, andare verso una
connessione reciproca diventa più difficile. Possiamo influenzare organizzazioni,
multinazionali e anche governi che hanno una visione che definisce l'essere
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umano come giusto o sbagliato e che di conseguenza usano il potere sulle


persone e non con le persone. Ho usato la Comunicazione empatica per entrare
in connessione attraverso singole persone che lavorano all’interno di queste
organizzazioni e che hanno potere decisionale. Ovviamente qui la cosa si fa più
complessa e personalmente credo che questa sia la sfida del momento: come
creare organizzazioni al servizio della vita, cioè che tengano conto di tutti i bisogni
delle persone coinvolte. Credo che se come specie vogliamo sopravvivere è ora
di iniziare seriamente questa ricerca a tutti i livelli. Allora forse insieme potremmo
ancora trovare strategie diverse per affrontare le guerre in corso, la povertà, il
cambio climatico e la distruzione dell’ambiente, temi che riguardano tutta la specie
umana e non solo.

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