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COMUNICARE IN MODO EFFICACE

Si parla spesso di comunicazione interpersonale efficace. Ma sappiamo esattamente cosa si intende per
comunicazione? La parola ha origine da due altre parole: comune azione. Quindi la comunicazione è quel
processo che permette di ottenere delle azioni comuni fra due o più individui perché si è ben compreso il
da farsi.

La parola efficace invece identifica qualcosa ci da un risultato tangibile, concreto e che corrisponde a ciò
che si desiderava.

Quindi se io desidero qualcosa che deve essere realizzato con altre persone e comunico in maniera efficace
ciò che desidero sia fatto, quando viene fatto ho concluso il ciclo ed ho ottenuto il risultato desiderato.

Ecco perché è utile la comunicazione efficace!

Ci sono delle altre motivazioni che ci suggeriscono di applicare le nostre energie in questa direzione
piuttosto che continuare a comunicare come già sappiamo fare con risultati magari alterni?

Ci piace spendere energie per richiedere azioni che poi nessuno compie o non compie nella maniera giusta
generando quindi per noi un surplus di lavoro, di fatica o talvolta anche dei problemi da risolvere?

Vediamo quindi quali sono le altre motivazioni più importanti!

 SIAMO PROGRAMMATI PER CONNETTERCI

 I RISULTATI MIGLIORI SI OTTENGONO COMUNICANDO E SUDDIVIDENDO I COMPITI

 IL SISTEMA WIN – WIN EVITA DI CREARE STRESS SE OPPORTUNAMENTE PREPARATI

 LASCIARE UN’ALTRA PERSONA CON IL PIACERE DI AVERMI INCONTRATO – A PRESCINDERE


DALL’ARGOMENTO DELLA COMUNICAZIONE

Innanzitutto l’essere umano è predisposto per vivere in gruppi. Lo sviluppo delle comunità di essere umani,
la fisiologia che ci caratterizza, l’uso della comunicazione verbale, in poche parole la nostra stessa natura
dimostra che SIAMO PROGRAMMATI PER CONNETTERCI.
Un altro fattore importante è che questa tendenza alla connessione, alla condivisione di progetti, idee,
manodopera permette di ottenere dei risultati che il singolo non potrebbe assolutamente neanche
immaginare. In effetti se andiamo a vedere intorno a noi possiamo essere certi che I RISULTATI MIGLIORI SI
OTTENGONO COMUNICANDO E SUDDIVIDENDO I COMPITI.

Vi è poi un’altra ragione altrettanto importante: molte volte comunicando efficacemente riusciamo ad
avere un vantaggio per noi ed un vantaggio anche per l’interlocutore. Questo sistema, definito win – win (io
vinco – tu vinci) rappresenta il miglior sistema di crescita e sviluppo per le aziende e le organizzazioni: la
propria utilità e sopravvivenza economica viene garantita dal fatto che troviamo sempre persone che
hanno bisogno dei nostri prodotti e servizi e che sono soddisfatti di noi perché traggono anche loro un
percepibile vantaggio da essi.

Siamo nella sfera d’azione in cui io, svolgendo il mio lavoro che mi serve per guadagnare e vivere, soddisfo
dei bisogni altrui in maniera completa ed efficiente.

Oltretutto IL SISTEMA WIN – WIN EVITA DI CREARE STRESS SE OPPORTUNAMENTE PREPARATI: la


soddisfazione reciproca infatti permette spesso di superare con facilità la eventuale fatica sopportata per
raggiungere il risultato.

Quando aiutiamo gli altri e questi raggiungono un risultato infatti siamo gratificati: l’essere umano ama
sentirsi utile per le altre persone quando è in uno stato di equilibrio.

Un altro aspetto che ha a che vedere con questa particolare attitudine all’aiuto dell’essere umano
corrisponde al piacere di avere una buona comunicazione con un’altra persona. Sono quelle situazioni in cui
fra due persone si instaura una situazione in cui ci si comprende bene, c’è empatia e feeling, e c’è accordo.
Per accordo si intende che anche se abbiamo delle opinioni diverse o magari non siamo riusciti ad essere
utili all’altra persona, questa situazione viene accettata da entrambi e quindi non va a intaccare il processo
comunicativo efficace.

In poche parole, il risultato tangibile della comunicazione efficace è LASCIARE UN’ALTRA PERSONA CON IL
PIACERE DI AVERMI INCONTRATO – A PRESCINDERE DALL’ARGOMENTO DELLA COMUNICAZIONE.

Nello studio della comunicazione umana interpersonale sono state dimostrate delle modalità che valgono
in senso assoluto a prescindere dall’appartenenza culturale dei soggetti coinvolti nel processo
comunicativo.

Questi vengono definiti assiomi della comunicazione e in questo corso approfondiremo alcuni di essi che ci
servono per comprendere a fondo molti aspetti della comunicazione su cui non tutti mettono la propria
attenzione.

Vediamo innanzitutto la definizione di assioma:

ASSIOMA È UNA PROPOSIZIONE O UN PRINCIPIO CHE VIENE ASSUNTO COME VERO PERCHÉ RITENUTO
EVIDENTE O PERCHÉ FORNISCE IL PUNTO DI PARTENZA DI UN QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO

Detto così può sembrare incomprensibile, ma già nelle prossime righe verificheremo la semplicità intrinseca
di questi concetti.
Molti assiomi della comunicazione derivano dall’opera di Paul Watzlavick. Paul Watzlawick (Villach, 25
luglio 1921 – Palo Alto, 31 marzo 2007) è stato uno psicologo austriaco naturalizzato statunitense, primo
esponente della statunitense Scuola di Palo Alto.

È stato il massimo studioso della pragmatica della comunicazione umana, delle teorie del cambiamento e
del costruttivismo radicale.

Figura di spicco dell'approccio sistemico e della terapia breve, si deve alle sue opere la diffusione
dell'approccio allo studio della comunicazione e dei problemi umani della Scuola di Palo Alto.

Il primo assioma ci dice che “LA MAPPA NON È IL TERRITORIO”. Nelle prossime pagine affronteremo nel
dettaglio questo concetto. Per ora vorrei che suggerirvi un esempio pratico di questo assioma.

Mi viene sempre in mente la situazione che si crea quando con gli amici decidiamo di fare una gita in
montagna. Siamo li a guardare una mappa che identifica dei sentieri e delle quote di partenza e di arrivo,
con i relativi dislivelli.

Se poi qualcuno di noi ha già fatto quella gita ha un proprio ricordo personale e una propria esperienza
personale del percorso.

A quel punto la mappa di due persone, anche se sembra uguale, porta ad una idea diversa della stessa
situazione, poiché legata alle proprie esperienze personali.

Quando ci troveremo fisicamente a fare l’esperienza (saremo sul territorio non sulla mappa) ognuno di noi
proverà delle diverse sensazioni ma, stavolta lo scenario sarà uguale per tutti.

Da questo esempio a breve trarremo un insegnamento fondamentale per procedere nella comprensione
della comunicazione nostra e dell’altro.

Il secondo assioma è molto più semplice: NON SI PUÒ NON COMUNICARE.

Significa che il nostro corpo, la nostra voce e le nostre parole danno continuamente dei segnali verso
l’esterno che diventano dei messaggi comunicativi.

Pensate a quando siete indignati con una persona: potete arrivare alla NON COMUNICAZIONE
massima,cioè togliergli il saluto e ignorarlo.

In quel momento siete d’accordo che, non comunicando, state proprio comunicando la vostra indignazione
e il vostro risentimento.

Il terzo assioma esprime semplicemente il concetto che la comunicazione viene realizzata appunto per una
“comune azione” quindi il motivo per cui esiste è proprio questo: ottenere un risultato.

Non è parlare da soli come fa il soggetto logorroico che incontreremo in un prossimo modulo, ma riuscire
ad ottenere qualche cosa di tangibile a livello pratico ma anche talvolta, solo al livello emozionale. Quindi IL
SIGNIFICATO DELLA COMUNICAZIONE È IL RISULTATO CHE SI OTTIENE.

Per concludere l’assioma che più spesso suscita reazioni contrastanti: OGNUNO È RESPONSABILE AL 100%
DEI RISULTATI CHE OTTIENE O NON OTTIENE NEL PROCESSO COMUNICATIVO.

Questo significa che, quando non ottengo ciò che desideravo, a meno che la cosa sia impossibile, io devo
sentirmi responsabile di questa situazione.
Se penso che “l’altro non capisce” oppure “con lui qualsiasi parola non serve, resta sempre lo stesso” perdo
infatti qualsiasi potere comunicativo.

Se invece considero semplicemente che quella comunicazione è stata inefficace e che devo MODIFICARE E
MIGLIORARE la mia comunicazione per ottenere un risultato diverso, allora io resto nel potere di fare le
cose e non di subirle.

Con questo, sia chiaro, che riusciremo a dire quasi tutto a quasi tutti, nel senso che vi saranno i casi in cui
effettivamente non si riesce ad ottenere che risultati scarsi, ma io avrò provato in ogni maniera
(specialmente se la cosa mi sta a cuore) e avrò una serenità d’animo che molte volte è impagabile come
sensazione.

Dopo questa introduzione andiamo ad approfondire gli assiomi …

Come dicevamo poco fa LA MAPPA NON È IL TERRITORIO!

In questo assioma c’è davvero tantissimo materiale per capire se stessi, gli altri e per poter comunicare al
meglio.

Cosa vuol dire la mappa non è il territorio? Se una persona deve venire nel nostro ufficio e non è pratico
delle strade della nostra città, sarà sicuramente utile l’utilizzo di una piantina che, altro non è,
una rappresentazione della città. Bene, cosa vuol dire rappresentazione? Che non è la città vera e propria,
con tutti i particolari del caso, ma bensì una semplice rappresentazione, anche perché non sarebbe
possibile riportare i milioni di dati presenti in una città vera!

La piantina, o la mappa, quindi, non coincidono con il territorio.

Il parallelo è che anche la nostra mappa personale, che usiamo per interagire con il mondo, non è la realtà
stessa, ma solamente una rappresentazione filtrata e soggettiva della realtà!

Significa quindi che ogni fatto reale viene interpretato personalmente da ognuno degli interlocutori.

Anche se la realtà è una, esiste l’INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA DELLA REALTÀ che da dei diversi punti di
vista, diverse emozioni, si collega a diversi ricordi, per cui possono manifestarsi delle incomprensioni fra chi
sta comunicando.

È molto importante quindi spiegare la propria mappa personale … il senso delle parole che stiamo usando,
le emozioni che proviamo, la dinamica dei fatti che noi abbiamo percepito per alzare il livello della
comunicazione.

Oltre a ciò dovremo isolare i pregiudizi sull’altra persona e procedere a indagare con domande precise la
sua mappa, il suo punto di vista.

Occupando punti dello spazio diversi ognuno di noi avrà sempre un punto di vista differente, siete
d’accordo?

Se il concetto non è ancora chiaro, provate a sostituire la parola mappa con “punto di vista” e vedrete che
tutto risulta comprensibile.

Per una corretta comunicazione dobbiamo prima di tutto scambiarci i punti di vista e capire le eventuali
differenze che ci sono e che ci fanno pensare di non riuscire a portare a termine una comune azione.
Dobbiamo inoltre ricordare che, a seconda del proprio carattere, del proprio atteggiamento positivo o
negativo, ognuno di noi ad uno stesso fatto può applicare delle modifiche o percepire solo una parte di
esso.

È questo il caso in cui si parla di GENERALIZZAZIONI, CANCELLAZIONI, DEFORMAZIONI.

La GENERALIZZAZIONE è un processo mentale con il quale una certa esperienza viene estesa al punto tale
da valere sempre e comunque. Se per esempio, veniamo trattati male da uno straniero, noi generalizziamo
fino a sostenere che tutti gli stranieri sono maleducati. In realtà la generalizzazione ha una grande utilità. Se
si pensa ad un bambino che tocca il fuoco e si scotta, la sua generalizzazione sarà: il fuoco scotta

È vero che si è scottato con un solo fuoco e non con tutti, ma non sarebbe certo sensato toccare tutti i
fuochi per vedere se scottano.

Eppure nonostante questo suo valore positivo, talvolta può essere un grande limite personale.

Per fare degli esempi pratici, una generalizzazione potrebbe essere … “in questo ufficio ogni pratica è più
lenta” oppure “chi serve allo sportello è sempre arrabbiato perché lavora a contatto con persone esigenti”
oppure ancora ”ogni volta che ho chiesto qualcosa non mi hanno mai saputo rispondere”.

Dal punto di vista personale “non mi ascolti mai quando parlo” oppure “hai sempre da fare quando voglio
parlarti” oppure “con tutti sei gentile con me mai che sorridessi”.

Come avrete intuito quando si utilizzano sempre, mai, ogni volta, ci si trova di fronte ad una
generalizzazione, si considera quindi che non ci sono possibilità di comportamenti o situazioni diverse e si
preclude ogni possibilità di comunicazione e di soluzione.

Conoscete forse qualcuno che spesso parla per generalizzazioni?

Alle generalizzazioni si risponde con delle domande poste ad individuare l’esperienza, la situazione, il
momento in cui il fato è successo, per poi dimostrare come un singolo accadimento non sia poi una regola.

Sarebbe come dire che ogni persona di grande statura è naturalmente aggressivo e violento.

È ovvio che non è così e analizzando i fatti la persona alla fine converrà di avere esagerato.

Prendiamo un altro esempio:

Ad esempio, l’affermazione: “Tutti gli stranieri sono dei delinquenti”, contiene una generalizzazione che
può essere chiarita attraverso alcune domande: “quali stranieri? Tutti gli stranieri? Anche tu quando vai in
un’altra nazione sei straniero? Cosa intendi per straniero? .............”

Queste domande possono far capire all’interlocutore la limitatezza delle sue affermazioni.

La CANCELLAZIONE è invece un processo mentale per il quale una parte della nostra esperienza viene
accantonata o eliminata. Per esempio una donna convinta di non essere degna di affetto si lamenterà
continuamente perché il marito non le manda mai messaggi affettuosi. In realtà il marito gliele manda, ma
siccome entrano in conflitto con il suo concetto di sé, frutto di una generalizzazione, lei non li sente.

Le CANCELLAZIONI avvengono quando di un discorso o di un fatto si prende solo una parte e si cancellano
le altre. In genere le persone con una nota di pessimismo o di negatività possono concentrare la loro
attenzione solo su una parte negativa di un fatto (ad esempio un ritardo rispetto alle aspettative) piuttosto
che sulla parte positiva (ad esempio la soluzione ad un problema inizialmente molto complesso).

Cancellano la notizia che il problema è risolto e si concentrano invece sulle giornate di attesa necessarie
all’effettiva soluzione.

DEFORMAZIONE è il procedimento che ci permette di operare dei cambiamenti nella esperienza dei dati
sensoriali. Per esempio, la donna ricordata prima (che aveva operato la generalizzazione di non essere
degna di affetto) ricevendo i messaggi dal marito li deforma immediatamente. Se poi udiva messaggi
affettuosi che di solito cancellava, sosteneva: ‘dice così perché vuole qualcosa’. In questo modo riusciva ad
evitare che la propria esperienza contraddicesse con il modello che aveva creato e impediva a se stessa
di avere una rappresentazione più ricca.

Le DEFORMAZIONI servono quindi a manipolare la realtà per adattarla alla nostra mappa, attraverso false
giustificazioni, compromessi, esagerazione del valore di parti di un fatto rispetto alla sua valenza reale.

Per Watzlawick (1971) la comunicazione è un "processo di interazione tra le diverse persone che stanno
comunicando". Per lo studioso "non si può non comunicare”. Non può esistere una non-comunicazione, in
quanto non può esistere un non-comportamento. Perché vi sia comunicazione non vi è bisogno quindi di
intenzionalità.

“NON SI PUÒ NON COMUNICARE” è un assioma talmente semplice quanto basilare e quotidiano, sotto gli
occhi di tutti ma non per questo sempre identificato. Il punto di partenza è che ogni comportamento, di
qualunque genere, veicola un messaggio, un’informazione, o più precisamente una comunicazione. E dato
che non è possibile assumere un non-comportamento, non è neanche possibile non comunicare.

Watzlawick ci riporta l’esempio di due passeggeri d’aereo seduti accanto, dove A non ha nessuna voglia di
parlare, mentre B vuole a tutti i costi intrattenere una conversazione. Di fronte a questa situazione, dalla
quale A non può andarsene (a meno che, per non sentire più B, decida di scendere dall’aereo in volo – e
questa, in realtà, sarebbe già una chiara comunicazione di come si sente), le possibili risposte
comportamentali sono, appunto, quattro.

Il passeggero A potrebbe rifiutare la comunicazione, esplicitando di non voler conversare con B. Il rifiuto,
però, implica comunque un’accettazione della relazione, poiché bisogna dire all’altro, in modo più o meno
brusco, più o meno chiaro, che non si ha voglia di conversare. Inoltre Watzlawick ricorda che per le regole
dell’educazione non tutti se la sentirebbero di esprimere tale rifiuto!

Controvoglia, il passeggero A potrebbe allora accettare la comunicazione. L’accettazione, com’è evidente,


implica anch’essa l’accettazione di una relazione. Inoltre, una volta che avrà iniziato a rispondere alle
domande di B, A si renderà conto di quanto divenga sempre più difficile fermarsi, finendo magari per odiare
se stesso e l’altra persona.

La terza modalità di risposta è quella della squalificazione della comunicazione. “È una tecnica importante a
cui A può ricorrere per difendersi: egli può comunicare in modo da invalidare le proprie comunicazioni o
quelle dell’altro. Rientra in questa tecnica una vasta gamma di fenomeni della comunicazione: contraddirsi,
cambiare argomento o sfiorarlo, dire frasi incoerenti o incomplete, ricorrere a uno stile oscuro o usare
manierismi, fraintendere, dare una interpretazione letterale delle metafore e una interpretazione
metaforica di osservazioni letterali, ecc.”.
Si tratta di una gamma di comunicazioni che invalidano la comunicazione stessa, propria o altrui, a cui le
persone possono far ricorso nel momento in cui vogliono evitare l’impegno della comunicazione in una
situazione in cui si sentano obbligate a comunicare.

Queste comunicazioni fanno contento l’interlocutore – quantomeno quello più superficiale – poiché dicono
niente dicendo qualcosa.

Watzlawick, laureatosi presso la veneziana Ca’ Foscari, individua una comunicazione di questo tipo in un
nostro particolare modo di dire: “Mah!”.

Gli italiani, notò, possono usare questa esclamazione “per esprimere dubbio, consenso, dissenso,
perplessità, noncuranza, biasimo, disprezzo, rabbia, rassegnazione, sarcasmo, diniego e forse un’altra
decina di cose per cui alla fine si svuota di contenuto e non significa più nulla”.

Mah! Rappresenta quindi la quintessenza di una comunicazione svalutante, poiché dice niente dicendo
qualcosa!

Al di là di quest’esempio particolare, potremmo ritrovare la svalutazione in quelle situazioni in cui


cambiamo d’improvviso argomento perché finiti su un ambito troppo scottante, o in cui utilizziamo
tecnicismi complessi per non dare una risposta chiara (o perché la risposta chiara sarebbe che non
sappiamo rispondere), o quando fraintendiamo di proposito qualcuno che affronti temi per noi sensibili, e
così via.

La quarta modalità comunicativa è il sintomo, l’interlocutore “può far finta di aver sonno, di essere sordo o
ubriaco, di non conoscere la lingua, o può simulare qualunque altro stato di incapacità o qualunque difetto
che giustifichino l’impossibilità di comunicare. In tutti questi casi, dunque, il messaggio è sempre lo stesso;
vale a dire: ‘Non mi dispiacerebbe parlare con lei, ma c’è qualcosa più forte di me (e quindi non posso
essere biasimato) che me lo impedisce”.

Quindi il discorso del non si può non comunicare viene esteso dalla comunicazione verbale a quella non
verbale, intesa come gestuale e paraverbale. Nelle pagine successive analizzeremo tutti i dettagli delle
rispettive forme di comunicazione, in questo momento ė importante sapere che ad esempio, quando
pensiamo di non trasmettere un giudizio negativo con le nostre parole potremmo trasmetterlo con il tono
della voce o con il nostro corpo.

Da qui si evidenzia che la comunicazione efficace è soprattutto comunicazione congruente: il messaggio che
stiamo trasmettendo deve essere lo stesso in tutte le tre aree umane della comunicazione per la ottenere
un effetto convincente, sereno e foriero di una buona comunicazione.

Quando le parole mentono rispetto al corpo, i nostri sensi, abituati da sempre a percepire il linguaggio
verbale e non verbale nella sua interezza, si accorgono che c'è qualche incongruenza e proviamo la strana
sensazione che qualcosa non ci convince.

Quando una persona ė addestrata a riconoscere i segnali di ansia e di piacere nel non verbale, raccontargli
delle menzogne sarà estremamente difficile.

Lo stesso avverrà nel caso in cui l'incongruenza sia fra le parole ed il tono della voce con cui vengono
pronunciate anche in questo caso il nostro cervello riconoscerà la differenza e le parole suoneranno false.
Se l’obiettivo di una comunicazione è un comportamento, il risultato sarà l’unico giudice della maggiore o
minore efficacia del nostro messaggio.

Non ha alcuna importanza quello che noi crediamo di aver comunicato. Esiste un solo significato nella
nostra comunicazione, ed è quello che il nostro interlocutore ha ricevuto.

Sta a noi, sulla base dei risultati ottenuti, modificare il nostro messaggio in modo tale da ottenere la
risposta desiderata.

SIAMO NOI I RESPONSABILI DELLA NOSTRA COMUNICAZIONE.

LE DOMANDE NELLA COMUINICAZIONE

CHI? COSA? COME? DOVE? PERCHÉ? QUANDO?

Il procedimento da seguire per una buona comunicazione efficace passa attraverso un utilizzo accentuato
rispetto agli standard delle domande per chiarire la mappa dell'altra persona e verificare le eventuali
incongruenze che si riscontrassero nella comunicazione verbale e non verbale. Affidarsi solo alla
comunicazione verbale sarebbe un errore. Come vedremo l'incidenza del ruolo della comunicazione verbale
nella trasmissione di un messaggi, nella comunicazione diretta è inferiore a quanto ci aspetteremmo.

Mentre invece la capacità comunicativa delle domande è delle successive risposte permette molto spesso
di elevare il livello di efficacia della comunicazione.

LA CADUTA DELLA COMUNICAZIONE

voglio dire...
recepisce..
ascolta... . 20
100
dico...
70 40
ricorda!

10

Un elemento molto importante è legato alla cosiddetta caduta della comunicazione. Quando si va ad
illustrare questa immagine molto spesso le persone si rendono conto che questo messaggio e i loro
tentativi di trasmettere messaggi complessi in un solo momento comunicativo sono miseramente falliti
proprio per questo fenomeno. Andiamo quindi ad approfondire l'analisi. Io sono nella mia mente e sto
pensando a un cosa che vorrei dire ad un'altra persona. Questo messaggio è completo, ha dentro di sé
l'emozione, il calore, la profondità che un pensiero complesso contiene. Quando devo esprimerlo a parole
si è verificato che già il 30 % del contenuto va perso. Pensate solo a quante volte vorreste dire qualcosa
ma... non trovate le parole adatte per descrivere esattamente il vostro pensiero. Bene questo 70% del
pensiero iniziale attraverso la forma verbale raggiunge l'altra persona, che per una oca di disattenzione
oppure dei rumori di sottofondo, perde circa il 30% del contenuto. Ne arriva quindi solo il 40% all'orecchio:
esatto dal 100% di partenza soltanto il 40% raggiunge il destinatario.
Qui interviene un altro fattore: la comprensione del messaggio da parte di chi ascolta: in questo passaggio
un'altra parte se ne va, si perde un 20% secco e viene recepito soltanto il 20% del messaggio iniziale.

A questo punto la persona pone nel cassetto della memoria la parte del messaggio che, quando verrà
estratta ancora sotto forma di ricordo, arriva al misero 10%.

Siete ancora convInti che spiegare una volta con calma a qualcuno qualcosa sia sufficiente ad avere
un’esecuzione perfetta?

Ma perché avviene la caduta della comunicazione nella nostra comunicazione standard?

A questo punto, ipotizzando che il valore del messaggio sia 100, è molto importante sapere qual è il perso
del linguaggio verbale e qual è quello del linguaggio non verbale.

Molto spesso infatti diamo troppo peso, questo ve l’ho già anticipato, alle parole quando invece sono i gesti
del corpo e le sfumature della voce a trasmettere la maggior parte del messaggio.

Provate a scrivere su un foglio la percentuale che assegnate al linguaggio verbale.

Avete scritto?

La differenza da 100 è quindi il peso che assegnate al linguaggio non verbale.

Scrivetela.

Sveliamo le cifre?

LINGUAGGI VERBALI 7%

Esatto, solo il 7 % del messaggio passa attraverso le parole.

Se ci pensiamo bene in effetti un attore che interpreti dei pezzi scritti da Carmelo Bene con una voce in
falsetto otterrà l’effetto scenico desiderato dal grande maestro, noto per la sua voce profonda ed intensa?

E una dichiarazione tipo “Mi hai fatto arrabbiare!” esclamata con la voce di Topo Gigio, magari guardando a
terra con le braccia distese lungo il corpo, farà trasalire e cambiare atteggiamento al vostro interlocutore?

Per evitare il fenomeno della caduta della comunicazione dobbiamo quindi utilizzare nella comunicazione il
potere del linguaggio non verbale, mettere in campo una serie di accorgimenti che ci permettano di
trasmettere un messaggio completo, coerente e di impatto.

Infatti, se qualcuno non avesse ancora fatto il calcolo a mente, il peso è il seguente:

LINGUAGGI NON VERBALI 93%

Ma quali sono nel dettaglio gli aspetti di questi due linguaggi? Andiamo a vederli: sarà importante per
renderci conto effettivamente delle nostre capacità di comunicazione.

Esatto

LINGUAGGI NON VERBALI


Sulla base degli studi svolti sulla comunicazione umana, definiamo la comunicazione non verbale
(analogica) come la comunicazione che comprende la MIMICA, i GESTI, la POSTURA, i comportamenti
paralinguistici (VOCE, SILENZIO), la PROSSEMICA e l’ABBIGLIAMENTO.

La funzione del linguaggio analogico è di sostenere, completare, rinforzare o contraddire (rivelando la sua
ambiguità, come nella menzogna) il messaggio verbale differenziandosene per il suo maggior impatto.

Infatti come abbiamo evidenziato in precedenza, se vi sono contraddizioni esplicite tra il linguaggio verbale
e quello non verbale significa che ci sono delle aree di dubbio o di malafede nelle parole che pronunciamo.

Sono molto noti a proposito gli studi del dott. Paul Ekman, che hanno dato vita poi alla trasmissione
televisiva LIE TO ME, dove l’interprete, il dott. Lightman e il suo staff, utilizzavano le domande giuste per
sollecitare delle incongruenze fra il comportamento non verbale, con particolare riguardo alle
microespressioni facciali, e le dichiarazioni verbali delle persone interrogate.

Il messaggio che voglio darvi è che quando mentite, consapevolmente o inconsapevolmente l’altra persona
ha sempre la possibilità di trovare delle incongruenze fra i due linguaggi e sentire che “c’è qualcosa che non
va”.

Quindi la comunicazione non verbale è considerata un linguaggio di relazione, un mezzo che segna i
mutamenti nelle relazioni interpersonali, che sostiene e completa la comunicazione verbale fungendo da
canale di dispersione, in quanto, essendo meno facile da controllare rispetto alla comunicazione verbale,
lascia filtrare contenuti profondi, esprimendosi come il linguaggio non sa parlare.

Il comportamento non verbale acquista un ruolo comunicativo nel fluire del comportamento, che è a
disposizione quando si tratta di manifestare un atteggiamento che viene assunto nei confronti degli eventi
in corso.

I linguaggi silenziosi vengono inviati più o meno consapevolmente dall’emittente della comunicazione, e
allo stesso modo il ricevente con o senza consapevolezza li investe di significato.

Andiamo ad analizzarli:

ABBIGLIAMENTO: l’importanza comunicativa dell’abbigliamento dipende dalla sua visibilità, dal fatto che gli
abiti possono essere letti a distanza maggiore di quella che serve per percepire altri segnali inviati dal
corpo, e perché i messaggi che l’abbigliamento ci invia riguardo a sesso, status, ruolo, ecc… ci mettono in
condizione di adattare il comportamento molto prima di quanto non potrebbero permettercelo ad esempio
l’analisi dell’espressione del viso o del modo di parlare.

Basti pensare all’importanza della divisa e alla nostra reazione di fronte all’immediata identificazione del
ruolo e delle funzioni di un soggetto che la indossa rispetto alla difficoltà di identificare un addetto quando
tutti sono vestiti “in borghese”.

POSTURA: il modo in cui le persone si atteggiano sia quando sono in piedi che quando camminano ecc..; gli
individui possono anche manifestare il diverso grado di accessibilità consentito all’altro tramite
l’atteggiamento posturale (ad esempio tenendo le braccia aperte o conserte).
Se sto in posizione chiusa, come ad esempio messo in un angolo in disparte con le braccia incrociate e un
piede appoggiato al muretto in un giardino durante una cerimonia, sarà improbabile che a qualcuno venga
voglia di chiedermi come va … specie se anche il mio sguardo resta basso o vaga nel vuoto.

ORIENTAMENTO SPAZIALE: il modo in cui le persone si situano rispettivamente nello spazio e’ indice di
atteggiamenti interpersonali (di fronte, laterale, ecc..). Pensate a quando avete fretta e qualcuno, magari
anche un po’ insensibile e logorroico vi incontra per strada e vi ferma. In questa situazione potrete
osservare come inconsapevolmente i vostri piedi non staranno belli paralleli di fronte al vostro
interlocutore ma, insieme a tutto il corpo, tenderete a rivolgervi verso una direzione laterale di fuga dalla
sosta imprevista.

MIMICA (SGUARDI ED ESPRESSIONI FACCIALI): la funzione essenziale delle espressioni facciali è quella di
rinforzare ciò che viene detto e fornito dai feedback quando sono gli altri a parlare. In alcune occasioni la
discrepanza tra il messaggio verbale e non verbale viene utilizzato per forme di comunicazioni specifiche
come l’ironia o il sarcasmo.

Le emozioni principali (tristezza, gioia, rabbia, disgusto … etc) hanno tutte delle ben precise espressioni
facciali che le trasmettono INVOLONTARIAMENTE a prescindere dalle appartenenze razziali dei soggetti.

DISTANZA INTERPERSONALE O PROSSEMICA: Hall, nei suoi studi sulla prossemica, ossia sul modo in cui le
persone per convenzione si dispongono nello spazio, ha individuato quattro diverse distanze: la distanza
intima (0-35 cm) la distanza persona-causale (35-100 cm) la distanza sociale (1-3 mt) la distanza pubblica
(dai 3 mt in su).

La distanza interpersonale varia anche in rapporto alla cultura, all’ambiente, alle situazioni.

L’esempio che mi piace sempre citare in questo caso è l’ascensore di ridotte dimensioni con 4 persone
schiacciate dentro. È il tipico disagio di essere in una distanza prossemica intima (0-35 cm) quando invece la
situazione appartiene ad una distanza sociale (1-3 mt) ma lo spazio non la permette …. Come avviene anche
in un autobus o una metropolitana affollata.

GESTI cioè i MOVIMENTI DELLE BRACCIA E DELLE MANI.

Le mani parlano troppo e dicono tutto a chi le sa interpretare. Si tratta di qualcosa di involontario, quasi
inevitabile: le mani tendono a rivelare lo stato d’animo, le idee e addirittura le intenzioni di chi sta
parlando. Questo linguaggio può permetterci di individuare un rivale o smascherare un bugiardo o
denunciare un traditore. Le mani sono spesso uno specchio che riflette ciò che non si vorrebbe far sapere.

Quanto più una persona è colta e dotata di un carattere fermo, tanto meno il suo volto rivelerà sentimenti
in disaccordo con ciò che sta dicendo e con il modo in cui lo sta dicendo.

Le mani invece sono incontrollabili: sarà dunque molto interessante, e soprattutto utile, analizzarne il
significato caratterologico.

VOCE intesa come VOLUME E TONALITÀ, come RITMO DELLA PARLATA

In quest’area sono compresi tutti i tratti non verbali attinenti alla modulazione della voce; rumori,
tamburellare, rumori viscerali o corporei

SILENZIO inteso come PAUSE E NON PAROLE


Pensiamo ad un attore teatrale: la maestria nelle pause permette l’accrescimento della capacità
comunicativa delle parole.

LINGUAGGI VERBALI

Per i linguaggi verbali l’elenco delle componenti è più semplice, e in un certo senso può essere la somma
degli aspetti che venivano valutati quando a scuola ricevevamo un voto sulle capacità di espressione orale e
scritta nella lingua madre:

PROPRIETÀ DI LINGUAGGIO – sono le capacità di parlare con frasi comprensibili e parole appropriate

PAROLE IMMAGINE – sono le parole che evocano un’immagine, ad esempio grande come un castello, lento
come una tartaruga

CHIAREZZA ESPOSITIVA – rappresenta la capacità di rendere comprensibile un ragionamento

SINTESI – è la capacità di essere sintetici non logorroici

DIZIONE – rappresenta la capacità di scandire bene le parole con la giusta lettura degli accenti e senza
intonazione dialettale

STRUTTURA LOGICA - la capacità di strutturare frasi logicamente correlate ed efficaci

Se andiamo a identificare nello specifico il peso della comunicazione paraverbale (voce e silenzi) e quella
non verbale, come si suddivide secondo voi il 93% che abbiamo identificato in precedenza?

Quale dei due canali di comunicazione ha il 33% ovvero pesa molto più delle parole ma è poco più della
metà del valore di impatto dell’altra serie di linguaggi?

Avete scelto?

Bene, sappiate che il 33% è il valore del linguaggio paraverbale mentre il corporeo raggiunge il 60%
dell’impatto.

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