Sei sulla pagina 1di 6

MODULO II SLIDE 7

L’ASCOLTO ATTIVO NEL COUNSELING


LE ABILITÀ DI BASE
L’insieme delle abilità di base può essere racchiuso in una sorta di grande cornice, ovvero, l’essere capace
di un “ascolto attivo” definito, dalla maggior parte degli autori, “ascolto comprensivo”, per sottolineare
l'obiettivo da raggiungere, che viene raggiunto attraverso una processualità che è proprio quello della
comprensione.
Le abilità di base consistono essenzialmente nella capacità di:
 Praticare l’ascolto attivo;
 Utilizzare le strategie e le tecniche di riformulazione per riflettere le emozioni dell’interlocutore e
facilitare la progressiva chiarificazione dei contenuti della consulenza;
 Cogliere i significati insiti nel linguaggio corporeo e nella prossemica;
 Condurre il colloquio prestando attenzione alle fasi di svolgimento e alle attenzioni richieste in
ognuna di queste fasi;
 Monitorare l’evoluzione della relazione nel “qui ed ora” del setting agito.
Altre abilità importante, è quella di essere capaci di condurre il cliente attraverso un processo a poter
identificare man mano gli elementi della situazione che si sta provando ad affrontare, per poterne capire i
contorni ed i sensi. (Questo è il processo di chiarificazione).
È molto importante il saper usare il linguaggio corporeo, perché nell'interazione che si viene a stabilire ci
sono moltissimi modi per poter comunicare oltre alla parola, pertanto, il counselor deve essere capace di
avere questa visione di insieme che non è solo basata sulla parola ma anche sul codice non verbale.
Il counselor deve saper condurre il colloquio e dunque deve imparare a condurre il colloquio. Bisogna
avere preciso e chiaro, il contesto in tutti i momenti del colloquio.
Molto importante, è che il counselor deve essere consapevole del ruolo che sta svolgendo, della finalità, e
quindi non perdere mai di vista gli aspetti differenziali che il counseling propone rispetto altri tipi di aiuto.
Il counselor deve essere capace di capire che cosa sta accadendo nella relazione che ha con il cliente,
perché si tratta di un processo. Pertanto, il counselor deve essere consapevole di ciò che sta accadendo per
poter anche puntualizzare determinati aspetti; deve sapere che cosa accade, perché accade, il momento in
cui sta accadendo, per poterlo poi di volta in volta o verbalizzare o in qualche maniera comunicare anche
attraverso aspetti non verbali.
Secondo molti autori, l’ascolto rappresenta l’attività principale del counseling, riuscire ad ascoltare
significa riuscire a prestare attenzione a quello che l’altro sta dicendo, ed in tal senso si parla di ascolto
comprensivo.
L’ascolto quindi, come attività complessa, costituisce il fulcro del colloquio di counseling ed è finalizzato
alla comprensione; bisogna riuscire a raggiungere un atteggiamento di reale interesse nei confronti
dell’altro, che deve essere aperto, ossia libero da qualunque forma di pregiudizio.
Bisogna arrivare attraverso una terapia personale ed un adeguato training a capire quelli che sono i
pregiudizi che si hanno al proprio interno per poi riuscire a modificarli e scioglierli, altrimenti sarebbe
impossibile raggiungere il reale interesse per l'altro.
Un altro atteggiamento importante è quello di non giudicare quello che l’altro dice. (una persona può
portare qualunque tipo di vicenda, e se abbiamo dentro di noi un forte schema mentale che ci dice cosa è
bene e cosa è male in maniera assolutamente rigida, è ovvio che scatterà il giudizio nei confronti della
persona che abbiamo di fronte, e si finisce con il creare una distanza proprio perché l'altro si sente
giudicato).
È necessario invece, avere un atteggiamento di non direttività, poiché non siamo degli investigatori.
Pertanto, non dobbiamo cercare di sapere assolutamente tutto quello che il cliente sa, ma dobbiamo
invece realmente ascoltare quello che il cliente ha liberamente intenzione di dire, per valutare insieme e
per poter in qualche maniera chiarire insieme.
Comprendere l'altro pensando con le sue parole è difficile, perché il counselor deve sospendere in qualche
modo il proprio punto di vista, il proprio sistema cognitivo, il proprio quadro dei valori, per riuscire a capire
la situazione dal punto di vista, dall’angolatura con cui il cliente gliela sta presentando.
Il modo che il cliente ha di vivere una certa situazione è anche ciò che ha determinato la sua difficoltà, ed è
ciò per cui chiede aiuto. Pertanto, soltanto se si fa questa operazione, di porsi dal punto di vista dell’altro,
si può cominciare a cogliere i significati che quella situazione vissuta ha per il cliente.
Il counselor, mentre fa tutte queste, deve rimanere obiettivo perché deve saper controllare, deve avere la
cognizione di quello che sta accadendo in modo tale da poter anche cogliere i rischi di uno slittamento di
contesto, o, se si sono verificati degli ostacoli, di poter anche porre rimedio a tutto questo. Riuscire a far
questo, significa evitare i rischi di invalidazione del processo stesso di aiuto.
Definiamo tutto questo “abilità di base”, in quanto ci si riferisce a tutte quelle tecniche specifiche che il
counselor deve apprendere, avendo già un corredo personale abbastanza favorente insieme ad una
predisposizione individuale.
L’ASCOLTO ATTIVO
L’ascolto attivo o comprensivo si basa fondamentalmente sul saper osservare e saper condurre
un’osservazione attenta, non soltanto su quello che la persona dice ma molto spesso anche su quello che
la persona o non dice oppure a cui semplicemente allude.
L’ascolto deve essere pieno di empatia, che però si deve in maniera complementare contenere attraverso
la capacità di saper vigilare sulla nostra implicazione affettiva.
In altre parole io posso mantenere una possibilità di guidare l'altro su questo processo di chiarificazione
della sua situazione, purché rimanga protagonista, nel senso di rimanere sufficientemente vicino a lui per i
suoi stati d'animo, sentirli per comprendere i significati delle cose che sta vivendo, ma allo stesso tempo
sufficientemente distaccato per poter mantenere la mia soggettività, altrimenti sono inevitabili delle forme
di distorsione.
A proposito del tener conto degli obiettivi del lavoro che stiamo facendo, non dobbiamo mai perdere di
vista il concetto che nel counseling il cliente che viene a chiedere aiuto, è una persona che normalmente è
integrata, funziona a livello sociale ed affettivo, ma che in quel momento sta vivendo una situazione
contingente che l’ha messa in difficoltà, e non riesce da solo ad uscirne fuori, ci ha provato ma non ci
riesce.
Questo vuol dire che normalmente mantiene una capacità di riflessione, una capacità di saper comunicare,
situazione ben diversa da quella che incontriamo in un contesto psicoterapeutico dove si va a cercare una
ristrutturazione in termini di personalità.
A tal proposito dunque, il counselor non può pensare di poter adoperare delle soluzioni precostituite,
perché ogni situazione presenta delle peculiarità, ogni persona/cliente ha la sua unicità.
Dobbiamo aiutare il cliente ad esprimersi liberamente, per far questo bisogna che il cliente si senta
costantemente ascoltato e compreso; ciò non significa che non si possa contemplare la possibilità
dell'errore, tuttavia, l'errore capito, l'errore gestito, in qualche maniera diventa foriero di un'utilità.
Pertanto, può accadere di sbagliare ma il counselor deve sapervi porre rimedio, ed aiutandosi con tale
errore può arrivare ad evidenziare qualcosa di più utile.
Possiamo porci sempre questa domanda: << Qual è il significato di quello che stiamo ascoltando? Che cosa
effettivamente ci sta dicendo questa persona? Come ce lo sta dicendo? Come reagisce ad esempio alle
cose che noi a nostra volta gli portiamo?>>
Il counselor inoltre, deve essere consapevole e quindi deve apprendere e saper gestire le regole della
comunicazione, ovvero, capire cosa sta accadendo nella comunicazione tra sé e l’altro, in quanto c'è una
circolarità di passaggio di comunicazioni che sono delle informazioni, e il counselor deve capire che cosa
queste informazioni vogliono dire, come avvengono, quali possono essere le distorsioni e così via.
In altre parole il counselor deve capire quella che viene definita “la dinamica della relazione
interpersonale”.
I MAGGIORI OSTACOLI INDIVIDUATI NELL’ATTIVITÀ DI COUNSELING
1. LA SOGGETTIVITÀ è definita come interpretazione soggettiva del cosiddetto reale; ovvero, si
attribuiscono ai fatti reali dei significati personali innescando una distorsione nelle percezioni delle cose
da parte del cliente, per questo un forte coinvolgimento emotivo da parte del counselor può creare
distorsioni.
Prendiamo in considerazione poi “gli stati affettivi” intensi sia sul piano emotivo che appunto sul piano
affettivo, che producono delle forti distorsioni. (Sono molto preso da una reazione emotiva che sto
vivendo in quel momento, che mi avvolge, che mi fa perdere lucidità, quindi colgo delle cose ma non
sono in grado di coglierne delle altre, mal interpreto quello che mi si sta dicendo il cliente e quello che
sta accadendo intorno a me.
Nel momento in cui utilizzo degli stereotipi e dei pregiudizi, soprattutto se mi rendo conto che lo sto
facendo, allora è sul piano cognitivo che avviene la distorsione.
2. LA DEFORMAZIONE PROFESSIONALE se pensiamo soprattutto agli inizi di una professione, abbiamo
bisogno di alcune certezze, ci aggrappiamo in qualche modo a quello che c'è stato detto a quello che
abbiamo imparato nei testi.
In questa maniera però, configuriamo un “habitus” che finisce per essere abbastanza stereotipato, e si
rischia così, di acquisire nel tempo una rigidità per cui alla fine indipendentemente dalla variabilità delle
situazioni e dalle singole differenti unicità delle persone/clienti, si fornirà sempre la stessa modalità di
risposta.
3. ATTENERSI ESCLUSIVAMENTE AL SIGNIFICATO RAZIONALE DI CIÒ CHE IL CLIENTE STA DICENDO
ossia, prendere alla lettera ciò che il cliente sta dicendo (attraverso le quali sta descrivendo la sua
situazione), non consente di cogliere soprattutto attraverso il canale emotivo quello che viene
sottaciuto (quello che non sempre la persona che è in difficoltà è in grado di dire dall'inizio).
Dare attenzione in maniera esagerata al significato ufficiale delle parole del cliente, produce alla fine
una rottura di feeling, un restringimento di spazio emotivo tra counselor e cliente.
Il training specifico, (la formazione specifica) consente di identificare e neutralizzare i condizionamenti
personali del counselor (un insieme di esperienze cognitive ed emotive) soprattutto identificando i famosi
stereotipi sociali di cui ognuno è imbevuto (ossia il modo un pò rigido e ripetitivo di concepire ad esempio
le persone appartenenti ad un determinato gruppo sociale, che scaturisce dall’elaborazione di tutte le
informazioni derivanti dall’esperienza di appartenenza ai gruppi nella nostra vita: il nostro background
familiare, sociale, scolastico, professionale ecc.).

L’ASCOLTO ATTIVO
L’ascolto attivo, è dunque un processo che avviene nella specificità di quell’incontro, praticamente
<<nell’hic et nunc>> di quella situazione e costituisce la “conditio sine qua non” il punto focale perché si
possa avere efficacia.
Tutti gli autori che propongono le tecniche non direttive si raccomandano di essere centrati sul cliente,
che significa non essere affascinati dalla sua storia o da lui come persona, ma cercare di comprenderlo e
contemporaneamente cogliere quello che avviene nella relazione che si sta sviluppando, ovvero: ossia,
saper ascoltare (le parole che ci vengono dette) e saper osservare (la situazione per come si svolge in tutti i
suoi contenuti verbali e non verbali).
ESPERIMENTO DI CARL ROGERS DEL 1951
Nel suo esperimento Rogers propose: La prossima volta che avrete una discussione con il vostro compagno
o compagna, con un vostro amico o anche con un gruppo di amici, fermate la discussione e ponete la
regola che ognuno non possa esprimere la propria argomentazione se non dopo aver preliminarmente
esposto le idee e le sensazioni dell’interlocutore con la maggiore esattezza possibile, e dopo che questo
interlocutore abbia confermato.
In parole povere, non si può esprimere il proprio pensiero se prima non ci mettiamo nei panni dell’altro e
dimostriamo di aver capito le sue ragioni. Implica l’essere capaci di assumere il punto di vista dell’altro.
In tal senso, ascoltare significa non soltanto accogliere, ma essere anche capaci di riassumere ciò che è
stato appena detto dall’interlocutore e con il senso che l’interlocutore voleva dare.

LE DIFFICOLTÀ NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE


Il primo punto da prendere in considerazione è la percezione interiore di ciò che si ha da diread es.
quando volete dire qualcosa e pensate di avere una chiarezza interna, ritenete che l’opinione che state per
proporre sia piuttosto semplice, sia da dire che da poter essere capita, ma in realtà accade che si sta
trasponendo, come se fosse una realtà oggettiva, quella che è semplicemente una percezione interna di
questa realtà.
Pertanto il counselor, che è deputato ad essere esperto della relazione di aiuto, deve essere consapevole
di quali possono essere gli ostacoli nella comunicazione personale.
<<Chi parla, al momento di parlare, deve scegliere come farlo, deve scegliere il codice, ma soprattutto deve
scegliere le parole da utilizzare>>.
È importante tenere conto del quadro interno, sia cognitivo che emotivo costruito nel tempo e che finisce
con l’essere quel vocabolario, quell’insieme di parole con i relativi significati a cui ognuno si riferisce nel
parlare con l’altro. (Ad es. non possiamo dare per scontato il fatto che il significato che si attribuisce ad una
parola o ad un gesto, sia ovvio o sia lo stesso anche per le altre persone).
Tenendo presente l’importanza del codice, delle parole che vengono utilizzate e delle influenze culturali si
deve considerare che chi parla cerca di sforzarsi e di adattarsi all’interlocutore, e quindi, non bisogna
concentrarsi sull’idea e la percezione che si ha dell’ altro (o di come l'altro può accogliere ciò che sto
dicendo) ma sull’altro di per sé, senza pregiudizi.
Se sii riflette su tutto questo, ci si rende conto di come il nostro messaggio complessivo non potrà mai
essere lo stesso; allo stesso modo, se siamo sempre abituati a pensare che noi reagiamo a ciò che l'altro fa,
e siamo un po' meno abituati a prendere in considerazione l'effetto di quello che noi facciamo sull'altro e a
cui l'altro reagisce con un'azione di ritorno.
Questi sono degli effetti molto delicati che soltanto all'interno di una formazione e successivamente
all'interno di un’attività di supervisione possono essere colti, capiti ed eventualmente corretti.
Un’altra difficoltà è quella di capire come viene recepita la comunicazione: pertanto è lecito chiedersi: “C’è
distorsione o non c’è distorsione in quello che stiamo dicendo?”
Da che cosa la comunicazione interpersonale può essere distorta: per esempio nel caso di
un'interpretazione soggettiva che porta ad una selezione di ciò che l'altro mi sta dicendo; sono io che
opero una selezione di cosa è importante e cosa è meno importante, che prende in considerazione
sicuramente alcune parti tralasciandone delle altre.
Questa selezione viene fatta in base alla propria esperienza di vita, in base alle proprie conoscenze
teoriche, sulla base di tutto l'insieme di quegli aspetti cognitivi ed emotivi che abbiamo costruito nel tempo
e che finiscono per essere le nostre premesse interne.
È un’operazione molto rischiosa, perché selezionare in maniera soggettiva ciò che l’altro sta dicendo, è un
atto violento, una forma vera e propria di aggressività e anche di forte intrusività.
Dobbiamo tener presente la comunicazione può essere distorta anche dagli atteggiamenti personali del
counselor, atteggiamenti che possono essere contingenti e dipendenti dall’umore del momento.
Un’altra difficoltà della comunicazione si può avere anche in base all’idea pre-incontro, che sia il cliente
che il counselor si sono fatti prima ancore che quell’incontro avvenga (il fantasticare sul come questo
incontro avverrà, su quale tipo di clima si potrà sviluppare, anche sui risultati che si potranno conseguire).
Un’altra possibile causa di distorsione della comunicazione può derivare ad es. dal modo di parlare, sia da
parte del counselor sia da parte del cliente, ossia il modo di articolare il linguaggio che viene utilizzato, così
come il ritmo, la modalità più o meno affannosa.
Anche circostanze esterne come ad es. il tempo che abbiamo a disposizione per poter parlare; così come
l'ambiente fisico in cui avviene il colloquio, se è un ambiente accogliente o meno.
Altri elementi disturbanti possono essere lo squillo del telefono, la persona che entra nella stanza e che
disturba la possibilità di quel momento di creazione di intimità tra il counselor ed il cliente.
A questi episodi, che sono causa di disturbo della comunicazione, il counselor può facilmente porre
rimedio, l’importante è che se ne possa rendere conto.
In conclusione, per saper osservare e saper ascoltare, dobbiamo essere consapevoli delle tante variabili
che ostacolano o favoriscono l’ascolto attivo e l’efficacia del colloquio. Conoscere queste variabili significa
averne la possibilità di gestire, di controllare e di poter così raggiungere lo scopo del counseling.
Ricordiamo che l’intervento di counseling rappresenta per il cliente un aiuto a comprendere quelle realtà
interne ed esterne che lo hanno portato alla difficoltà.
Chiarire il significato della realtà personale del cliente può aiutarlo a riprendere in mano le proprie le
risorse interne con lo scopo di trovare autonomamente le strategie di risoluzione del problema e
riprendere la propria vita con una modalità adattiva molto più efficace.

Potrebbero piacerti anche