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The Art of Helping è l’opera fondamentale di R. Carkhuff arrivata alla VI edizione (1987),
ed è destinata a un pubblico molto eterogeneo che va dagli specialisti massimi della
relazione umana (psicoterapeuti), fino ai meno esperti che vogliano apprendere i
“fondamentali” di un relazionarsi più umano e più costruttivo.
Carkhuff è stato originariamente allievo di Carl Rogers, promotore dell’orientamento
“approccio centrato sulla persona”; ben presto però Carkuff si staccò dal maestro
arrivando a sviluppare un suo metodo, il Client centred Approach.Tuttavia se Rogers ebbe
molto successo, le innovazioni di Carkhuff invece ebbero molto meno risuono e al riguardo
sono state fatte alcune ipotesi: forse Rogers ebbe più successo poiché più sensibile e
umano nel suo modello, a differenza di un C. più freddo, razionale, pragmatico e legato
agli aspetti tecnici della relazione di aiuto.
La questione dell’efficacia delle professioni di aiuto
Agli inizi degli anni ’60, Carkhuff rimase colpito dalle affermazioni di J. Eysenck, psicologo
comportamentista inglese. Questo notò che non ci fossero differenze di possibilità di
guarigione tra un gruppo di pazienti in terapia per cinque anni e un gruppo di controllo con
analoghi sintomi in partenza ma il quale viene lasciato per tutto quel tempo senza
trattamento. Dunque Eysenck si soffermò sull’importanza di rendere i trattamenti
terapeutici più “brevi” per anticipare quegli effetti migliorativi. Carkhuff, partì da questo
contributo per sottolineare invece quanto fosse più importante la qualità dei processi
terapeutici rispetto la durata.
Carkhuff ha concentrato tutti i suoi studi proprio sul “miglioramento dei processi
terapeutici” e per farlo era necessario partire dal miglioramento dei processi interpersonali
nella terapia. Se è vero che un miglioramento delle tecniche psicoterapiche è importante
esse non sono i soli aspetti importanti; ad essere efficace è infatti anche la
capacità personale dei terapeuti (gli helper) di costruire (building) una relazione efficace
con la persona. L’helper efficace è colui che sa collegarsi con la persona, non
semplicemente giudicandola con test o diagnosi cliniche: solo questo tipo di helper sarà
davvero in grado di operare a vantaggio dell’altro.
Questo problema dell’efficacia dell’helping professions, se negli anni ’60 ancora non era
presa realmente in considerazione, oggi questo problema si pone in modo ben più
pressante. Con lo sviluppo del Welfare state le professioni di aiuto sono aumentate
esponenzialmente (psicoterapeuti, counselor, assistenti sociali, educatori, operatori di
comunità ecc) anche quelle di “volontariato” ed è per questo che oggi è ancor più
importante focalizzare l’attenzione su come e se funzionano gli interventi di aiuto; è
fondamentale accertare se si agisce nella cura produttivamente.
Tra i problemi più allarmanti abbiamo il noto fenomeno della burning out syndrome ,cioè la
“sindrome al collasso motivazionale e all’abbandono di responsabilità” soprattutto tra gli
operatori delle professioni di aiuto. Capita che a causa di carenze tecniche di base e a
causa della complessità dei compiti verso i quali sono chiamati gli operatori, essi
sviluppino un senso di inefficacia, impotenza di fronte alla situazione di aiuto verso
l’utente; e quindi oltre che una mancanza di aiuto nei suoi confronti questa situazione
potrò creare una progressiva “learnead helplessness” (sensazione di impotenza appresa)
che potrebbe deprimerlo sempre più.
Dunque le complessità delle relazioni di aiuto dipendo da diversi fattori come abbiamo
visto. Sicuramente è importante migliorare le tecniche e le sovrastrutture ma abbiamo
visto come primario sia anche il miglioramento della relazione d’aiuto helper utente. Ma
altrettanto importanti sono tutte quelle relazioni che definiremo “quotidiane”, quella “rete
sociale” di rapporti che ci sono al di fuori della seduta specifica di psicoterapia o di
counseling; esse possono essere “per il meglio” e aiutare quindi in senso curativo il
paziente e offrire anche esse un supporto. Il lavoro terapeutico va necessariamente a
sfumarsi in quello sociale della vita del paziente al di fuori del rapporto con il professionista
d’aiuto.
Ecco perché il lavoro di Carkhuff non si limita ad essere indirizzato solo per i “professional
helper” poiché il lavoro socio-terapeutico interessa non solo psichiatri, psicologi o
comunità terapeutiche ma anche volontari, familiari, amici e gli stessi utenti.
2. Il processo di aiuto
Le radici dell’aiuto stanno nelle abilità e nelle informazioni che i partecipanti a questo
processo portano con sé.
Gli helpee portano la loro storia, le loro esperienze e l’educazione ricevuta. Ma anche gli
helper portano nel processo di aiuto la loro personale esperienza e insieme, interagiscono
per facilitare la rielaborazione (esplorazione, comprensione, azione) dei problemi e degli
obiettivi degli helpee. Questa è l’essenza della relazione di aiuto.
Il contributo dell’helpee al processo di aiuto.
Con l’era dell’informazione, molte persone si ritrovano sommerse da un flusso continuo di
informazioni e questo “sentirsi sommersi” può essere la prima ragione che spinge a
cercare aiuto. Dunque gli helpee devono cercare di elaborare queste informazioni. Tutto il
processo di aiuto sarà quindi un lavoro di elaborazione intrapersonale che
richiede delle abilità: Esplorazione (delle esperienze umane), Comprensione (degli
obiettivi), e Azione (seguendo dei programmi per giungere a gli obiettivi). Prima che inizi
questo lavoro di elaborazione dell’esperienza, è importante che ci sia il Coinvolgimento
dell’helpee, che avverrà se ci sarà un’attenzione totale da parte dell’helper.
Il coinvolgimento è fondamentale perché è proprio esso che porta ad esplorare
l’esperienza che l’helpee sta vivendo. L’esplorazione intrapersonale dell’helpee significa
che egli guarda dentro di sé, mettono a fuoco i loro “occhi interni” per esplorare i più
reconditi anfratti del loro vissuto. Si può dire che una persona esplora ad “alti livelli”
quando comunica con un’intensa immediatezza emotiva, comunicando in maniera precisa,
specifica e non astratta.
COINVOLGIMENTO e ESPLORAZIONE
L’esplorazione è la premessa per arrivare ad una comprensione degli obiettivi che la
persona potrebbe stabilire per sé stessa. Comprendere significa che l’helpee cerca
un’alternativa al suo modo abituale di agire. Attraverso la comprensione si cerca di capire
dove si desidera o si dovrebbe essere. Si capisce che l’helpee si trova ad “alti livelli di
comprensione” quando ha già messo a fuoco i suoi obiettivi e riesce a comprendere sé
stesso con accuratezza.
COINVOLGIMENTO ESPLORAZIONE COMPRENSIONE
La comprensione degli obiettivi è la premessa per poter agire. L’azione deve essere quindi
programmata, progettata rispetto tali obiettivi. Si agisce dunque per giungere a ciò che si
desidera o si dovrebbe essere. I programmi per agire in maniera esatta per il
raggiungimento di determinati obiettivi devono essere accurati.
COINVOLGIMENTO ESPLORAZIONE COMPRENSIONE AZIONE
Il processo è incompleto finché non avvengono continui feedback che scaturiscono
dall’azione. L’informazione contenuta nel feedback viene ricevuta come nuovo imput e
viene utilizzata dall’helpee per riiniziare con una migliore esplorazione della propria
esperienza, una comprensione più esatta degli obiettivi ed una più efficace azione con
programmi più completi. A mano a mano gli helpee continueranno dunque a “riciclare”
questo processo di esplorazione comprensione azione (ECA) anche senza l’helper ed è
proprio questo “riciclaggio” che starà alla base di una crescita e di uno sviluppo continui.
Il contributo dell’helper – le abilità di aiuto
Se prima abbiamo parlato delle abilità intrapersonali dell’helpee (coinvolgimento,
esplorazione, comprensione, azione), esse sono in un certo senso stimolate dal lavoro
dell’helper nella loro relazione di aiuto. L’helper deve così mettere in moto delle “abilità
interpersonali” che consistono nel prestare attenzione all’helpee, fornire di volta in volta
delle risposte a precise esperienza dall’helpee comunicate, personalizzare i loro problemi
e relativi obiettivi ed iniziare una serie di azioni per risolvere i problemi e raggiungere gli
obiettivi posti dall’helpee. Tali abilità interpersonali dell’helper facilitano i processi
intrapersonali dell’helpee. (vedi schema pp.5)
Nella fase di preaiuto, gli helper devono prestare attenzione agli helpee per coinvolgerli
nella relazione di aiuto.
Prestare attenzione all’helpee significa dimostrargli che c’è una totale attenzione nei suoi
confronti e interesse per le sue esperienze che sta comunicando. Se dunque l’helpee si
sentirà coinvolto, egli sarà più propenso a lasciarsi coinvolgere dalla relazione di aiuto e di
conseguenza si aprirà di più. Come si presta attenzione? Attraverso un’attenzione fisica
per poter trovare la posizione migliore per osservare, in modo da poter ascoltare più
efficacemente.
L’attenzione fisicaè importante stare uno di fronte all’altro, alla stessa altezza, con una
giusta inclinazione del corpo e a contatto con lo sguardo.
L’osservare l’helper da importanza ai comportamenti e all’aspetto dell’helpee.
L’ascoltare l’helper capta il tono, lo spirito delle espressioni verbali dell’helpee.
Nella fase del rispondere, gli helper devono essere in grado di rispondere appunto alle
esperienze comunicate dagli helpee per facilitare la loro esplorazione. L’helper può
rispondere in tre modi:
Rispondendo ai contenuti cioè riformulando quanto detto dall’helpee e riflettendoci.
Rispondendo ai sentimenti >comunicano all’helpee come egli si può sentire rispetto
a quell’evento
Rispondendo al significato unendo contenuti e sentimenti danno un’unica risposta
che rifletta il significato complessivo dell’esperienza per l’helpee.
Se la fase del rispondere è accurata da parte dell’helper, ciò stimola una maggiore
esplorazione della propria esperienza da parte dell’helpee.
Nella fase del personalizzaregli helper si occupano di far comprendere meglio gli obiettivi
agli helpee. Parliamo anche di “interiorizzazione”. L’helper personalizza in tre differenti
livelli:
Personalizza il significato, il significato delle esperienze dell’helpee: lo fa
comunicando a lui le implicazioni di tali esperienze.
Personalizza i problemi , l’helper aiuta afar interiorizzare il problema all’helpee.
Personalizza gli obiettivi, l’helper aiuta a far interiorizzare gli obiettivi all’helpee.
Se accurata, la personalizzazione permette una completa comprensione da parte
dell’helpee.
Nella fase culminante dell’iniziare, gli helper devono cominciare a elaborare insieme agli
helpee, dei programmi sulla base dei quali l’helpee possono agire. In questa fase gli
helper devono stabilire modi e tempi per il raggiungimento degli obiettivi per l’helpee. Alla
fine gli helpee attuano i programmi. Dunque la fase dell’iniziare è così composta:
Si definiscono obiettivi (insieme all’helpee), si sviluppano dei programmi, si fissano
scadenze e rinforzi, si prepara la realizzazione dei passi fino alla verifica vera e
propria.
Infine gli helper dovranno partire dall’azione dell’helpee per facilitare feedback per lo
stesso. Gli helper dovranno essere sensibili su tutti i risultati raggiunti dall’helpee per
renderli coscienti di come hanno realizzato le loro
azioni.
Concludendo, grazie alle abilità interpersonali di aiuto (ARPI: attenzione, rispondere,
personalizzare, iniziare), gli
helper possono entrare in contatto con lo schema di riferimento degli helpee e fare in
modo che si impegnino nei
loro processi intrapersonali (ECA) per la loro crescita e sviluppo. In seguito gli helper
potranno insegnare a loro
volta agli helpee le abilità interpersonali di aiuto (ARPI) in modo che essi stessi possano
essere responsabili della
loro personale efficacia nella vita. Tutti hanno infatti bisogno di possedere sia abilità intra
che inter personali.
3. Le abilità di aiuto
Prestare attenzione- coinvolgere l’helpee
Il compito come helper è innanzitutto quello di facilitare il passaggio degli helpee nelle
varie fasi (esplorazione, comprensione, azione), ma dobbiamo iniziare Coinvolgendo gli
helpee alla relazione di aiuto. Quindi il primo compito in qualità di helper sarà Prestare
attenzione. Essa è una pre condizione necessaria. Prestare attenzione
significa per l’helper riuscire a vedere e sentire meglio l’helpee.
Ma quali sono le abilità di attenzione per l’helper che fanno sì che l’helpee si senta
davvero coinvolto?
Prepararsi all’attenzione, il primo compito nel prestare attenzione è prepararsi ad essa. Ci
sono tre livelli di preparazione all’attenzione. Bisogna preparare gli helpee, contattandoli in
maniera formale, stabilendo un punto di vista comune riguardo il loro scopo. Informando
gli helpee e incoraggiandoli, fornendo a loro motivazione per lasciarsi coinvolgere. (Se gli
helpee non saranno stati adeguatamente preparati ad entrare in contatto vi
saranno minori probabilità che la relazione di aiuto possa aver luogo).
Bisogna poi preparare il contesto, predisponendo il mobilio in modo da facilitare una
comunicazione aperte: l’ideale sarebbe poter stare seduti su due sedie una di fronte
all’altra senza barriere di mezzo. Se gli helpee sono più di uno meglio mettere le sedie a
cerchio; predisponendo oggetti nell’ambiente che siano familiari all’helpee
che possano aiutarli a farli sentire a proprio agio; il luogo dove helper ed helpee si
incontrano deve essere ordinato e pulito, poiché in questo modo viene comunicato agli
helpee che siamo liberi da faccende e siamo pronti a concentrarci su di loro. Se l’ambiente
fisico non sarà preparato a ricevere gli helpee essi non saranno invogliati a tornare).
Infine bisogna preparare noi stessi (helper) all’incontro con l’helpee, ripassando ciò che
sappiamo della situazione degli helpee con appunti, registrazioni ecc; rivedendo gli
obiettivi del processo di aiuto e tenendoli sempre a mente; rilassandoci, alleggerendo
mente e corpo con esperienze piacevoli, esercizi per rilassare i muscoli ecc. (L’helper
stesso deve essere preparato ad essere attento agli helpee).
Prestare attenzione alla persona
Prestando attenzione alla persona la si riesce a far “entrare” in contatto con noi; ciò è
possibile se assumiamo una posizione che permetta la nostra totale attenzione. Bisogna
dunque mettersi di fronte,sia in piedi che seduti, ma l’importante è averla sullo stesso
piano. Se lavoriamo con una coppia o più persone l’helper deve predisporsi al vertice di un
angolo retto in modo da poter vedere tutti. Bisogna poi inclinare il corpo in avanti, ad
esempio stando seduti di fronte l’helpee poggiando gli avambracci sulle cosce, oppure in
piedi avvicinandoci all’helpee, mettendo una gamba più avanti dell’altra ci inclineremo
leggermente verso lui. Molto importante infine è il contatto con gli occhi; mantenere il
contatto visivo testimonia attenzione verso l’altro.
È importante dunque che l’helper stia attento alle proprie espressioni e al suo
comportamento; per esercitarsi è utile apprendere una migliore postura attraverso uno
specchio o con le persone che si incontrano tutti i giorni. Presto le capacità dell’helper
miglioreranno.
Osservare
Le abilità dell’osservare sono fondamentali per un’efficace relazione di aiuto. Esse aiutano
ad apprendere molte cose sulle persone. L’helper efficace deve dunque disporre di buone
capacità per comprendere il comportamento non verbale dell’helpee. Dobbiamo osservare
il suo aspetto esteriore e il comportamento per capire il grado di energia fisica dell’helpee,
le informazioni sui suoi sentimenti, la sua disponibilità all’aiuto.
Il livello di energia fisica sarebbe la quantità di sforzo che l’helpee è in grado di investire
nello svolgimento di un compito; sapere quanto le persone mantengono alti livelli di
energia, aiuta a capire che tipo di vita conducono.
Solo le persone con alti livelli di energia conducono una vita “piena”. Si possono dunque
avere info sul livello di energia dell’helpee osservando la postura, le caratteristiche
corporee e se ha cura di sé.Si possono desumere informazioni rispetto il livello di energia
anche dal comportamento. (Es: una persona seduta scomposta, sottopeso e con un
aspetto sporco manifesta un livello di energia basso)
Osservando possiamo avere informazioni anche sui sentimenti attraverso l’analisi delle
espressioni del viso, della postura e dei movimenti dell’helpee. ( Es: un sorriso aperto,
sopracciglia sollevate, posizione vigile e movimenti rapidi e reattivi testimoniano che
l’helpee si sente “su”. Inoltre possiamo tramite le abilità di osservare, desumere
informazioni sulla disponibilità a ricevere aiuto ,sempre guardando all’aspetto esteriore e
ai comportamenti dell’helpee ( espressioni del viso, postura e movimenti)
Tuttavia è lecito ricordare che seppur tramite l’osservazione dei comportamenti e
dell’aspetto esteriore dell’helper possiamo ricevere molte informazioni, esse devono
rimanere comunque ipotesi, non devono costituire la base per giudizi affrettati su gli
helpee. Tramite l’osservazione è importante poi individuare se esistano delle
incongruenze/discrepanze nel comportamento o nell’aspetto degli helpee (cioè se una
persona non dimostra coerenza nei diversi aspetti del proprio comportamento e
dell’aspetto esteriore). L’incongruenza è un aspetto tipico di persone con problemi e gli
helpee desiderano più di ogni altra cosa essere congruenti.
Nella stessa maniera con cui osserviamo gli altri è lecito inoltre osservare noi stessi. In
qualità di helper infatti bisogna mantenere alti livelli di energia, essere congruenti e
mostrarci desiderosi di aiutare.
Ascoltare
Le informazioni maggiormente utili nella relazione di aiuto vengono ovviamente dalle
espressioni verbali degli helpee. Ciò che dicono e il modo in cui lo dicono fa capire molto
sugli helpee e la loro situazione attuale. Per l’helper è necessario migliorare sempre di più
le sue abilità di ascolto ed è possibile farlo attraverso diversi modi.
Avendo un motivo per ascoltare e l’obiettivo per tutti gli helper è quello di impegnarsi
nell’ascolto per raccogliere tutte le informazioni possibili collegate al problema dell’helpee.
Ascoltare non significa tuttavia concentrarsi solo sulle parole (il contenuto), ma anche sul
tono della voce perché testimonia i sentimenti dell’helpee e anche il modo che testimonia
il livello di energia.
Sospendendo il giudizio personale sull’helpee almeno in un primo momento. Dobbiamo
farci penetrare da ciò che l’helpee vuole trasmettere e ciò è possibile solo sospendendo i
nostri valori e opinioni personali. Le nostre sensazioni e i nostri schemi mentali non
centrano sulla con le esperienze degli helpee. È importante inoltre non dare “ soluzioni
premature” anche se sappiamo cosa è bene per l’helpee perché magari al livello lavorativo
abbiamo già vissuto un’esperienza simile. È importante ricordare a tal proposito che ogni
helpee ha un’esperienza unica
Concentrandosi sull’helpee e il contenuto, resistendo a distrazioni e concentrandosi
sull’ascolto, in un ambiente tranquillo e sul contenuto oggettivo di ciò che l’helpee dice.
Per essere certi di aver colto tutti i dettagli “concreti” delle esperienze degli helpee bisogna
chiedersi di volta in volta i punti chiavi del discorso dell’helpee (di chi parla? Cosa?
Perché? Ecc). Se non ricordiamo tutto dobbiamo continuare ad ascoltare meglio.
Ricordando le espressioni dell’helpee che testimoniano i sentimenti dello stesso.
Bisogna inoltre ricordare anche eventuali “buchi” cioè informazioni non dette dall’helpee.
Infine è importante imparare a cogliere i temi ricorrenti dell’helpee, perché saranno le
tematiche che più staranno al cuore all’helpee quelle su cui si concentrerà di più e ne
parlerà di più.
Concludendo, ascoltare è sicuramente un compito molto impegnativo che richiede molta
concentrazione. Un modo per esercitare le abilità di ascolto è quello di ripetere parola per
parola ciò che è stato detto dagli helpee. Se l’helper sarà attento alla persona, lo
osserverà e lo ascolterà potremmo definirlo pienamente attento ed efficace. Se
tutto ciò avverrà l’helpee si sentirà coinvolto nel processo di aiuto, si prepareranno agli
incontri con l’helper, cominceranno a condividere le loro esperienze dimostreranno di
essere pronti per la fase successiva; la fase dell’esplorazione della loro esperienza.
Rispondere – facilitare l’esplorazione
Successivamente l’abilità dell’helper sta nel rispondere. Tale abilità getta le basi per
aiutare e facilitare l’helpee ad esplorare la loro situazione. Per poter rispondere è
necessario prima prestare attenzione, osservare ed ascoltare (come visto prima). Per
rispondere, l’helper deve cercare di entrare nello schema mentale degli helpee e
comunicare loro ciò che sentiamo; due sono i tipi di abilità coinvolti:discriminare
accuratamente le esperienze degli helpee così come loro le vivono e comunicare
accuratamente agli helpee ciò che noi abbiamo “percepito” di loro.
Rispondere è un’abilità complessa: si risponde al contenuto, al sentimento e al significato.
Se l’helper risponderà agli helpee con accuratezza totale, allora gli helpee saranno
incoraggiati ad esplorare il punto in cui si trovano; inoltre le risposte dell’helper
rinforzeranno i tentativi di esplorazione fin lì effettuati dall’helpee e ne stimoleranno
dei nuovi.
Rispondere al contenuto
Rispondere al contenuto serve a mettere in luce quali sono gli ingredienti oggettivi delle
esperienze degli helpee e facilita l’esplorazione dell’helpee. Le informazioni del contenuto
saranno la base su cui poggeranno gli altri due livelli del rispondere (sentimento e
significato). Ma come possiamo ricavare noi helper tutti gli “ingredienti” del
contenuto? Attraverso le sei domande chiave che permettono di stabilire agli helper se gli
helpee hanno incluso tutti i dettagli della loro esperienza ( Chi? Cosa? Come? Perché?
Dove? Quando? ) o hanno trascurato qualcosa.
Successivamente l’helper dovrà parafrasare quel contenuto, sintetizzarlo con parole
proprie in punti principali.
Se una delle sei domande è rimasta senza risposta, l’helper dovrà incoraggiare ancor di
più l’esplorazione dell’helpee continuando a rispondere e non ponendo domande allo
stesso. Anche la parafrasi è molto importante perché tramite essa l’helper comunica
all’helpee cosa ha compreso pienamente il contenuto che quest’ultimo ha trasmesso.
Ancora una volta, è possibile per l’helper esercitarsi a “rispondere al contenuto” nelle
situazioni di vita ordinarie e con lo studio dei casi.
Rispondere al sentimento
Rispondere al sentimento serve per cercare di capire quali emozioni sono legate a
quell’esperienza. Facendo ciò, l’helper deve dimostrare di comprendere l’esperienza
dell’helpee. Attenzione però, perché l’abilità di rispondere ai sentimenti è la più critica
all’interno del processo di aiuto, perché il sentimento riflette l’esperienza affettiva che
gli helpee hanno di sé stessi di fronte alla loro situazione.
Gli helpee alle volte esprimono verbalmente e direttamente i sentimenti che provano,
mentre altre volte no e si percepiscono tramite il tono e il modo in cui descrivono una
situazione.
In entrambi i casi l’obiettivo, in qualità di helper, è quello di mostrare comprensione dei loro
sentimenti. Questo darà la possibilità agli helpee di verificare la nostra efficacia come
helper. Per rispondere ai sentimenti degli helpee, dobbiamo fare diverse cose. Prima di
tutto osservare il loro comportamento e fare attenzione alle espressioni posturali e facciali,
poi è importante ascoltare attentamente le parole degli helpee. Una volta che abbiamo
ascoltato dobbiamo riformulare a parole il sentimento che abbiamo percepito attraverso
indizi osservati e sentiti. Per riformulare questo sentimento dobbiamo porci allora in qualità
di helper la cosiddetta Domanda dell’Empatia “Se fossi al posto dell’helpee e
facessi/dicessi queste cose, come mi sentirei?”. Nel rispondere a questa domanda allora
possiamo innanzitutto individuare la “ categoria ” di sentimento (felice, arrabbiato, triste
ecc) e poi l’ intensità (alta, media, bassa) dello stesso. Si sceglie poi una parola o una
frase che corrisponda a quella categoria e a quell’intensità per rispondere. Infine si verifica
se quella risposta è appropriata.
Esempio: Tom “ Le cose non mi stanno andando tanto bene. Né a scuola né con la mia
ragazza. Mi sento come bloccato. Cerco di fare finta di niente, ma dentro mi sento molto
giù, perché non sono sicuro di cosa vorrei fare o dove vorrei andare”
L’helper si chiede: “ Se fossi al posto…”
Helper “ Se fossi in te mi sentirei triste” Risposta al sentimento.