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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL MOLISE

CORSO DI SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITÁ DI


SOSTEGNO
Scuola secondaria di secondo grado

ELABORATO DI APPROFONDIMENTO TEORICO

Il ruolo delle emozioni nell’apprendimento

Corsista: Relatore:
Vincenzo Emanuele Rossi Fabio Filosofi
Matricola: 174172 Firma:
Firma:

A.A. 2020/2021

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL MOLISE


Indice
Introduzione ...............................................................................................................................1
CAPITOLO UNO: EMOZIONI E APPRENDIMENTO........................................................3
1.1 Che cos’è un’emozione?.....................................................................................................3
1.2 L’espressione delle emozioni e il suo sviluppo ..................................................................5
1.3 L’apprendimento ................................................................................................................8
1.4 L’insegnante e l’apprendimento .........................................................................................9
CAPITOLO DUE: L’INSEGNANTE E LA RELAZIONE TRA EMOZIONI E
APPRENDIMENTO ................................................................................................................11
2.1 Emozioni e apprendimento scolastico ..............................................................................11
2.2 Tecniche emotive che un insegnante può utilizzare per facilitare l’apprendimento ..........14
2.3 Come gestire le emozioni del gruppo classe .....................................................................20
2.4 Come gestire le emozioni negative dei discenti ................................................................24
Conclusioni ...............................................................................................................................25
Bibliografia................................................................................................................................27
Introduzione

Il tema delle emozioni è senza dubbio uno dei più ampi nel campo delle scienze umane.

Negli ultimi decenni, grazie al contributo degli studi sociologici e psicologici, si è iniziato

a riconoscere le emozioni come la base del comportamento individuale e sociale. Il loro

contributo è stato rilevato nello sviluppo intellettivo e culturale dell’individuo e nella

gamma delle loro funzioni in diversi ambiti: neurofisiologico, affettivo, cognitivo e

motivazionale. L’emozione appare, dunque, rivestire un ruolo fondamentale per

l’educazione e lo sviluppo delle capacità intellettive da parte dell’individuo. Capacità che

si accrescono grazie all’apprendimento. Quello dell’apprendimento è, tuttavia, un

processo di non facile gestione, sia da parte di colui che deve operarlo, sia da parte di

colui che deve ispirarlo. Ho scelto di sviluppare questo argomento perché ritengo che

qualsiasi docente debba conoscere il ruolo fondamentale che svolgono le emozioni

nell’apprendimento e le dirette o indirette implicazioni derivanti da queste nel percorso

educativo e formativo dell’alunno e nella costruzione del suo futuro. In primis, infatti, la

trasmissione delle conoscenze ruota attorno a come queste vengono proposte e a come

vengono assimilate. Il compito del docente è, dunque, non solo quello di risultare

competente nella propria disciplina, ma anche quello di saper trasmettere le informazioni,

competenze e abilità nella maniera appropriata, suscitando un continuo interesse nei

confronti delle attività promosse, una motivazione che parte dall’interno e creando un

clima favorevole all’apprendimento e all’inclusione. Il docente deve saper scindere il

“che cosa” viene trasmesso, dal “come” viene trasmesso e assimilato dagli alunni. Per

fare questo, deve conoscere le emozioni e deve essere acculturato in merito a quella che

viene comunemente chiamata “alfabetizzazione emotiva”. È facile pensare a come un

alunno che nutra delle emozioni avverse nei confronti degli insegnanti, dell’ambiente

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scolastico o che abbia riscontrato degli ostacoli o degli esiti negativi nei risultati

scolastici, possa riversare queste stesse emozioni nel processo di apprendimento,

inquadrandolo come ostile, difficile, noioso o addirittura frustrante. Le emozioni

negative, dunque, possono essere la causa o l’effetto delle difficoltà di apprendimento.

Allo stesso modo si può pensare, invece, alle emozioni che uno studente prova quando si

trova di fronte a un educatore che insegna con il sorriso, a un ambiento che trasmette

fiducia e motivazione, a dei risultati gratificanti, che possono in questo caso influenzare

positivamente il processo di apprendimento, rendendolo più facile, più leggero e

maggiormente interessante per l’alunno. Ci si rende facilmente conto di come le

emozioni e l’apprendimento siano processi collegati, poiché si influenzano

vicendevolmente, in un continuo ripetersi e avvicendarsi nel corso della nostra vita.

Diventa di primaria importanza per l’insegnante comprendere tale processo e saperlo

gestire, di modo da prevedere un livello di insegnamento sempre differente, a seconda

della situazione, della persona che si ha di fronte e delle esperienze trascorse. Al giorno

d’oggi, l’insegnamento non può esistere senza l’aspetto emotivo.

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CAPITOLO UNO
EMOZIONI E APPRENDIMENTO

1.1 Che cos’è un’emozione?

Le emozioni costituiscono una componente importantissima della vita umana, sono

patrimonio di tutti e fanno parte della nostra esistenza quotidiana. È un’esperienza

comune condividerle con gli altri, sapendo di essere prontamente compresi quando si

racconta di avere provato paura, rabbia, odio o gioia, fino al punto che definirle diventa

superfluo. Il concetto di emozione non è univoco, né riconosciuto da tutti allo stesso

modo. Molti studiosi hanno fornito definizioni diverse di tale concetto. La maggior parte,

però, si trova d’accordo nel descrivere l’emozione come “un’interpretazione interna di

stimoli esterni” (Tuffanelli, 2006, p.165). Daniel Goleman (1996, p.24) descrive, invece,

le emozioni come “impulsi ad agire, cioè piani d’azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione

per gestire in tempo reale le emergenze della vita”. Con il tempo sono state delineate

famiglie emozionali fondamentali, alle quali appartengono, ad esempio: la collera, la

tristezza, la paura, la gioia, l’amore, la sorpresa, il disgusto e la vergogna. Lo stesso

Goleman, tuttavia, si chiede quanto sia utile seguire un preciso raggruppamento, che non

tenga in considerazione emozioni miste, quali ad esempio la gelosia, la speranza, la fede,

il coraggio, il dubbio o la noia. Ad una sistematica classificazione, incapace di includere

tutte le mescolanze, le variazioni e le sfumature delle emozioni, Goleman preferisce

riferire il termine “emozione” a sentimenti, a pensieri, a condizioni psicologiche e

biologiche, ad una serie di propensioni ad agire, cioè ad un contesto più ampio e flessibile

che non si limiti ad una rigida e schematica suddivisione. Egli, tuttavia, riconosce ad

umori e a stati d’animo un ruolo più esterno rispetto alle emozioni, perché più attenuati e

durevoli nel tempo rispetto alle emozioni stesse. In questo caso si viene, quindi, a

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distinguere l’emozione dal sentimento, poiché quest’ultimo è composto da un insieme di

emozioni e dura più a lungo. Così, le emozioni (Ad esempio quelle primarie:

approvazione, sorpresa, paura, rabbia, gioia, dispiacere, disgusto, aspettativa),

combinandosi tra loro, danno origine a sentimenti più complessi (ad esempio: orgoglio,

imbarazzo, delusione, vergogna, disprezzo).

Nella psicologia moderna le emozioni vengono definite come “uno stato complesso e

repentino, che ha una durata nel tempo, di sentimenti che si traducono in cambiamenti

fisici e psicologici che influenzano il pensiero e il comportamento. Sono caratterizzati da

modificazioni fisiologiche di intensità variabile, da particolari quadri espressivi mimico-

motori e da precise tendenze a compiere determinate azioni”. (Lewis, Haviland – Jones,

Barrett, 2008).

Le emozioni hanno, quindi, una insorgenza rapida, sono degli accadimenti involontari,

qualcosa che proviamo dentro di noi, in risposta a eventi di tipo esterno o interno

all’individuo, detti “eventi emotigeni”, che ci coinvolgono in maniera diretta o indiretta,

e non possono essere scelte. Dunque, vengono viste come reazioni a uno stimolo

ambientale esterno e provocano cambiamenti a tre diversi livelli della persona:

a) Fisiologico: che comprende fenomeni fisici in tutto il corpo, come cambiamenti nella

respirazione, della pressione, del battito cardiaco, tensioni muscolari, influenza nella

digestione, emicrania o altri dolori.

b) Comportamentale: determinando svariate espressioni facciali immediate, posture,

cambi nel tono della voce e accompagnando le reazioni, come la chiusura o apertura,

l’attacco o la fuga, la tenerezza o l’aggressività.

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c) Psicologico: sensazione soggettiva, alterazione del controllo di sé e delle proprie abilità

cognitive.

In situazioni in cui sono coinvolte le emozioni, dette “situazioni emotive”, la mente

dell’individuo elabora stimoli, pensieri e controlla le risposte, per cui le emozioni

assumono un ruolo importante nelle nostre esperienze di vita, scolastiche o di lavoro. Le

emozioni in un certo senso si pongono come movente che sta alla base dei nostri

comportamenti, dei nostri pensieri e delle nostre scelte, formando la nostra identità e

influenzando le nostre conoscenze. Si può addirittura affermare che ragione ed emozione

non sono agli antipodi, anzi, ogni funzione cognitiva racchiude delle componenti emotive

e ogni funzione emotiva racchiude componenti cognitive.

1.2 L’espressione delle emozioni e il suo sviluppo

Uno degli aspetti fondamentali dell’interazione sociale umana è la comunicazione delle

emozioni, ottenuta principalmente attraverso lo scambio di una serie di segnali sociali, di

tipo verbale o non verbale, come le espressioni facciali, la mimica del corpo, il tono della

voce, la prossemica. Deham (2003), infatti, afferma che, per poter provare un’emozione

(ad esempio, la collera), debba esserci una costellazione di espressioni vocali, facciali e

corporee, detta “nucleo di continuità emotiva”, a cui sono associati significati, scopi e

vantaggi. Tale costellazione sarà specifica per ogni emozione anche a età differenti del

ciclo di vita: ad esempio, una persona arrabbiata, sia che abbia tre anni, sia che ne abbia

venti, esprimerà la collera modulando la voce sui toni bassi, come se ringhiasse,

aggrottando le sopracciglia e guardando furiosamente l’oggetto della sua rabbia.

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La competenza emotiva a livello espressivo costituisce un elemento importante a età

diverse: se nella primissima infanzia rappresenta la base del dialogo emotivo pre-verbale,

con il crescere dell’età garantisce il buon andamento degli scambi sociali, consentendo di

affrontare le relazioni interpersonali attraverso la regolazione delle proprie emozioni. Gli

esseri umani, e nel nostro caso gli insegnanti, devono comprendere che è possibile

esprimersi emotivamente attraverso l’uso di diversi canali comunicativi e sviluppare una

vera e propria conoscenza delle emozioni di cui fanno esperienza. Comprendere le

emozioni proprie e altrui vuol dire dare significato a eventi interni, o stati mentali di

natura emotivo–affettiva e sviluppare una concezione della “mente emotiva” che ha la

funzione di orientare le azioni dell’individuo durante gli scambi sociali (Harris P. L.,

1995). La maggior parte della vita quotidiana degli individui è caratterizzata dalla

necessità di riconoscere che gli altri hanno delle intenzioni, desideri, stati d’animo,

speranze, sentimenti e che le loro azioni sono motivate da tali stati mentali non

direttamente osservabili e, nonostante ciò, deducibili da comportamenti manifesti. Se, ad

esempio, un bambino osserva un compagno piangere sconsolato nel suo banchetto, sarà

portato a collegare questo comportamento a uno stato di delusione, tristezza, malessere o

di intensa paura. Parimenti, nell’osservare l’espressione adirata di un altro compagno a

cui ha sottratto un pennarello potrà prevedere un suo attacco fisico o verbale per

riappropriarsi di ciò che gli appartiene. Nel primo caso, a un comportamento farà

corrispondere un presunto stato interno, mentre nel secondo a uno stato interno farà

corrispondere un successivo comportamento, in ogni caso ciò sarà possibile perché il

bambino possiede una teoria della mente, ovvero una concezione più o meno articolata

del ruolo degli stati mentali nella vita delle persone. In questo caso si parla, dunque, di

intelligenza emotiva, quando ci si riferisce all’abilità della persona di conoscere, capire e

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in qualche modo controllare le proprie emozioni o quelle delle persone che lo circondano.

Dagli studi di G. Rizzolatti e della sua equipe di ricercatori (tra gli anni ‘80 e ‘90 del XX

secolo), è emerso come tutto ciò sia possibile anche grazie a una predisposizione

biologica e innata dell’individuo dovuta alla presenza nel cervello di specifici neuroni

motori, chiamati neuroni specchio, che si attivano involontariamente sia quando un

individuo esegue un'azione finalizzata, sia quando lo stesso individuo osserva la

medesima azione compiuta da un altro soggetto, facendoci provare qualcosa di simile a

quello che sta provando la persona osservata. I neuroni specchio, appunto, rispecchiano

le emozioni che osserviamo, replicandole in noi, e ci permettono di entrare in empatia

con l’altro, di sentire quello che egli sente.

Per l’insegnante diventa importante sviluppare e possedere una grande intelligenza di tipo

emotivo, per permettergli di relazionarsi meglio con ogni singolo alunno e aiutarlo a

crescere e imparare. Daniel Goleman è lo psicologo che ha contribuito, più di tutti, a

divulgare il concetto di intelligenza emotiva, intesa come “la capacità di motivare sé

stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare

gli impulsi e rimandare la giustificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che

la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare”. Dunque, per

Goleman, l’intelligenza emotiva (QE) è più importante del quoziente intellettivo (QI) nel

predire il successo nella vita (Goleman D., 2011).

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1.3 L’apprendimento

“Apprendimento”, una parola di cui si sente spesso parlare e che, altrettanto spesso, viene

associata ad alcuni termini che le attribuiscono una connotazione non proprio positiva,

come “difficoltà” o “problemi”, soprattutto quando si parla, nello specifico, di

apprendimento scolastico.

L’apprendimento è una parte essenziale della nostra crescita come esseri umani inseriti

in una società e comincia, infatti, già nella tenera età, e continua, potenzialmente, fino

alla morte. Già dal momento in cui il bambino viene al mondo subisce delle influenze,

avverte delle sensazioni e inizia ad imparare. Inevitabile, quindi, che sia la famiglia stessa

del bambino a giocare un ruolo determinante nel processo di apprendimento, un ruolo

quasi esclusivo, durante tutta la fase prescolare, avviando quello che viene definito

apprendimento primario e che si struttura come una forma di regolazione reciproca

spontanea tra caregiver e bambino. In questo momento fondamentale dello sviluppo, il

piccolo preme per sapere e saper fare questo e quello, e il grande risponde regolandosi

intuitivamente sui bisogni e le possibilità del bambino. Sull’altro fronte, l’adulto preme

per far entrare il piccolo in specifiche prassi e in determinati schemi cognitivi, e

quest’ultimo, secondo i suoi tempi e modi, li apprende. Il tutto entro il raggio di

esperienza diretta, spontanea e immediata della vita quotidiana.

Dopo la famiglia, entra in gioco la scuola, il luogo in cui le nuove generazioni crescono

per collegarsi gradualmente alla società adulta e prenderne parte. Non appena il bambino

vi fa il suo ingresso, entra in un percorso predeterminato e ha inizio l’apprendimento

scolastico, organizzato in un curricolo che si struttura in 3 anni di scuola dell’infanzia, 5

di scuola primaria, 3 di scuola secondaria di primo grado, 5 di scuola secondaria di

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secondo grado e poi con la possibilità di continuare il percorso di apprendimento

all’università o altrove.

Tale percorso, benché caratterizzato dal grande impegno dei docenti ad adattare l’azione

didattica e pedagogica ai modi e ai tempi dell’alunno, è comunque un percorso etero-

regolato: il bambino, e poi il ragazzo, interiorizza strutture sempre più fini e complesse

sotto l’azione didattica ed educativa della scuola che preme perché il sistema cognitivo e

personale dell’alunno si organizzi in forme via via più articolate, seguendo determinate

ritualità, regole, procedure, ruoli, distinzioni, differenze e, naturalmente, una gran

quantità di schemi cognitivo-operativi. La scuola tutta è, in tal modo, un processo di

progressiva “secondarizzazione”, cioè di allontanamento dalla condizione iniziale di

immediatezza e spontaneità, propria dell’apprendimento primario cominciato con la

famiglia.

1.4 L’insegnante e l’apprendimento

In questo processo di tappe percorse e di apprendimento è di fondamentale importanza la

fiducia che ciascun bambino, e poi ragazzo, ha nelle proprie capacità.

Perché questa possa alimentarsi, risulta centrale il ruolo di sostegno del docente, il quale,

con la sua vicinanza, diventa un mediatore della conoscenza dell’alunno di sé stesso, cioè

motiva e controlla, proponendo attività adeguate e mandando segnali verbali e non verbali

di fiducia e affiancamento, affinché al termine dell’intero processo di apprendimento il

discente sia restituito a sé stesso, cosciente delle proprie nuove capacità, del proprio

cambiamento, della propria maturazione (A. Bandura, 2000), cioè della propria potenza.

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Non è necessario riuscire al primo colpo, anzi, che il passo proposto sia appena un po’

più in là di dove il bambino, e poi il ragazzo, è arrivato sino a quel momento è regola

centrale dell’azione del docente. Ma, se la fiducia in sé stesso e il sostegno del docente

sono forti, allora si può compiere anche un passo più impegnativo. Ponendosi in maniera

chiara e coerente come sostegno, il docente potrà proporre passi più difficili, e non tanto

per far procedere più velocemente lungo il percorso dell’apprendimento scolastico,

quanto per accrescere la soddisfazione derivante dall’aver raggiunto un obiettivo

importante, perché più arduo è l’obiettivo, maggiore sarà il senso positivo di costruzione

di sé che l’alunno proverà nel ritrovarsi, al termine del passaggio, forte del successo.

Ruolo dell’insegnante è, dunque, quello di mediatore, di facilitatore, di guida costante e

di supporto nell’acquisizione delle nuove conoscenze e nel rafforzamento di quelle già

possedute (L.Vygotskij), poiché ogni alunno deve imparare in maniera autonoma,

secondo le proprie potenzialità, i propri tempi, divenendo fautore delle proprie

conoscenze, secondo un apprendimento di tipo attivo (J. Dewey).

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CAPITOLO DUE
L’INSEGNANTE E LA RELAZIONE TRA EMOZIONI E APPRENDIMENTO

2.1 Emozioni e apprendimento scolastico

Che le emozioni facciano parte della nostra vita e che largo spazio debbano avere già dai

primi anni di scolarizzazione è opinione comune. Gli specialisti dell’educazione, infatti,

sono concordi sull’idea che le emozioni rappresentino un elemento fondamentale del

nostro essere “individuo” e che i soggetti, specialmente i giovani, debbano avere la

possibilità di esprimerle per non cadere nell’errore del silenzio e della passività.

L'educazione emotiva rientra nella società moderna a pieno titolo nelle attività

scolastiche. In Danimarca esiste un vero e proprio momento, un’ora a settimana (Klassen

Tid), dove gli alunni imparano a riconoscere e condividere le proprie emozioni e a

mettersi nei panni degli altri. Durante quest'ora i ragazzi parlano di problemi personali o

di gruppo, della difficoltà che provano nel rapportarsi con la famiglia, con i compagni e

con gli amici. Mentre in passato ciò che contava era il saper apprendere in maniera

corretta le varie discipline, senza tener minimamente conto della sfera emotiva degli

studenti, oggi, invece, l’apprendimento non può esistere senza l’aspetto emotivo.

Goleman, parlando di intelligenza emotiva, ha affermato che “il quoziente emozionale

(QE) può essere sviluppato attraverso opportuni esercizi mirati alla consapevolezza della

dimensione emotiva e alla corretta gestione delle emozioni”. Le emozioni contribuiscono

ai successi nell’apprendimento, all’interiorizzazione di saperi e significati, al

miglioramento dell’esperienza personale dell’adulto che apprende e che trasferisce e

applica nel proprio ambito professionale i risultati di quanto appreso, coinvolgendo le

proprie risorse emotive. Non è, dunque, solo con l’intelligenza e la razionalità che si ha

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successo nell’apprendimento, perché un ruolo altrettanto importante è svolto dalle

emozioni. Purtroppo, per tanto tempo questo non è stato compreso e le emozioni sono

state bandite nelle scuole, perché non erano misurabili oggettivamente e perché potevano

intralciare l’attività didattica, che veniva condotta con procedure rigide, rigorose e

intransigenti.

Oggi, grazie a numerosi studi, è stato dimostrato quanto sia importante l’aspetto emotivo

e affettivo nella comunicazione, nell’interazione sociale, nell’apprendimento scolastico,

perché si è finalmente capito che l’essere umano è una totalità di razionalità ed emotività,

e che in quest’ottica deve essere educato e deve imparare ad apprendere. L’emozione

influisce nel processo di apprendimento in quanto agisce come guida nella presa di

decisioni e nella formulazione delle idee. Gli stessi pensieri hanno origine non da un altro

pensiero, ma dalla sfera delle nostre emozioni, che ci spingono a reagire a degli stimoli

esterni. In quest’ottica si arriva a comprendere come le emozioni e l’apprendimento siano

strettamente correlati, dal momento che entrambi avvengono nel cervello dell’individuo

e continuano ad avvicendarsi e stimolarsi nel corso della vita, scolastica o non.

Anche lo psicologo-filosofo-pedagogista Jean Piaget rileva l’importanza delle emozioni.

Scrive Piaget che “a partire dal periodo preverbale esiste uno stretto parallelismo fra lo

sviluppo dell’affettività e quello delle funzioni intellettuali, in quanto si tratta di due

aspetti indissolubili di ogni azione: in ogni condotta, infatti, le motivazioni e il dinamismo

energetico dipendono dall’affettività, mentre le tecniche e l’adeguamento dei mezzi

impegnati costituiscono l’aspetto cognitivo”. Non esiste, quindi, un’azione puramente

intellettuale e neppure atti puramente affettivi, ma sempre e in ogni caso, sia nelle

condotte relative agli oggetti, sia in quelle relative alle persone, intervengono entrambi

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gli elementi, giacché uno presuppone l’altro (La nascita dell’intelligenza nel fanciullo,

1968).

Dunque, si può ragionevolmente affermare che, lo studente che scopre con entusiasmo

un mondo nuovo ed è stimolato nella sua curiosità, apprenderà con maggior successo e

con minore fatica rispetto a un compito imposto che considera privo di interesse. In tal

caso, se si vuole che certe conoscenze siano interiorizzate e successivamente usate

dall’individuo, si necessita di immetterle in un contesto capace di suscitare emozioni. Al

contrario le esperienze prive di richiami emozionali saranno scarsamente coinvolgenti e

ben presto cadranno nell’oblio, non lasciando dietro di sé nessuna rappresentazione

mentale. A livello scientifico è provata la suddetta relazione e avvalorata l’importanza

cruciale delle emozioni nell’apprendimento, grazie al collegamento che c’è tra le stesse

emozioni e la memoria. Infatti, le emozioni giocano un importante ruolo nei processi

cognitivi legati alla memoria, in quanto la forza dei ricordi dipende dal grado di

attivazione emozionale indotto dall’apprendimento (Brown & Kulik, 1977), per cui

eventi o esperienze vissute con una partecipazione emotiva di livello medio-alto o che

siano significativi per la persona vengono catalogati nella nostra mente come

“importanti” (attraverso il coinvolgimento di strutture cerebrali che fanno parte del

sistema limbico, come l’amigdala e la corteccia orbito-frontale) e hanno una grande

probabilità di essere ricordati nel lungo periodo, a differenza di quelle che invece non

provocano alterazioni emotive nell’individuo. Sempre Goleman, invece, riprendendo il

concetto di intelligenza emotiva, dimostra il valore che questa ha per tutti gli individui,

sia piccoli sia grandi, nell’ambito relazionale, di apprendimento e lavorativo. Goleman è

pienamente convinto che l’intelligenza emotiva influisca nelle pratiche di vita quotidiana

e sia finanche responsabile dei successi o degli insuccessi della persona. Il potenziamento

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dell’intelligenza emotiva diventa fondamentale per il benessere psicologico che è dato

dalla capacità della persona di trovare un equilibrio tra stati emotivi positivi e negativi.

Quest’ultimi danno un senso alla vita: i primi permettono di apprendere e apprezzare gli

aspetti più piacevoli, gli altri consentono di apprendere, riflettere e reagire. Per questo,

gli “insegnamenti emozionali” appresi nell’infanzia e nell’adolescenza possono plasmare

le nostre risposte emozionali: è, dunque, necessario intervenire sin dai primi anni di scuola

nel modo in cui prepariamo i bambini alla vita, senza tralasciare l’educazione emozionale.

Riassumendo, si può affermare che negli ultimi due decenni, la convinzione che la

relazione tra emozioni e apprendimento sia molto forte si è rafforzata e avvalorata. Viene

affermato che l’apprendimento non è mero condizionamento e assimilazione passiva di

contenuti preconfezionati, ma il successo o l’insuccesso scolastico, ma anche alcune

forme di disagio sociale, stati d’ansia, problemi di autostima e insicurezza, dipendono

dalle prime esperienze di apprendimento e devono assolutamente essere presi in

considerazione dal docente.

2.2 Tecniche emotive che un insegnante può utilizzare per facilitare


l’apprendimento

Una volta assodato, dunque, che l’apprendimento è fortemente ispirato e direttamente

collegato all’andamento emotivo, ci si chiede come possa fare un insegnante a sfruttare

questa relazione per la realizzazione di una didattica più efficace e interessante per gli

alunni. Si ritiene, al giorno d’oggi, che solo utilizzando un “apprendimento caldo” si

possano ottenere risultati soddisfacenti. Far iniziare la giornata in maniera positiva agli

alunni non è difficile, anche se ogni docente può avere le proprie preoccupazioni. Quando

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si entra nel luogo di lavoro, e non solo a scuola, quindi, bisognerebbe abbandonare per

qualche ora i propri pensieri e concentrarci su ciò che si sta vivendo in quel determinato

momento. Entrare in classe con il sorriso è un biglietto da visita fondamentale. È a scuola

che si vivono le esperienze più importanti della crescita e con le figure più significative:

gli insegnati e i compagni. Insegnare con il sorriso, trasmettere l’idea di un ambiente di

lavoro sereno ed armonioso, procedere con diligenza e calma, assumere un atteggiamento

positivo e di ispirazione, sono solo alcune delle tecniche che un insegnante può utilizzare

per promuovere un miglior apprendimento.

Per far apprendere cosa sono e come si comportano le varie emozioni, l’insegnante

potrebbe proporre una serie di attività incentrate sull’immedesimazione,

sull’alfabetizzazione emotiva, sull’ascolto reciproco e sull’empatia. È necessario creare

esperienze di apprendimento che portino l’allievo ad acquisire consapevolezza dei propri

stati emotivi. Ad esempio:

• Imparare a dare un nome alle proprie emozioni, comprendere ciò che provocano

a livello corporeo e a esprimerle in forma socializzata attraverso l’acquisizione di

un lessico emozionale;

• comprendere il ruolo che le emozioni assumono nei rapporti sociali. E’

importante, a tal fine, l’interpretazione della comunicazione non verbale: tono

della voce, gesti, prossemica, espressione del volto.

Prima fra tutte, l’attività di “gruop reading”, ovvero la lettura e la scrittura di racconti e

fiabe in gruppo o con tutta la classe, può costituire un mezzo efficace per sviluppare la

competenza emotiva. Si potrebbe anche presentare alla classe una storia e da qui offrire

spunti di riflessione, ma anche cimentarsi nella drammatizzazione di episodi realmente

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accaduti o in giochi di ruolo (role playing). Utilizzare la fantasia dell’insegnante è

fondamentale. Recitare vuol dire immedesimarsi, fingere, comprendere, cambiare

prospettiva, mettersi nei panni degli altri. Il bambino nella praticità, attraverso il “fare”

impara a capire che le sue emozioni sono anche quelle dei compagni e di tutte le persone

che gli stanno accanto. Un’altra attività, fortemente educativa dal punto di vista

emozionale, è offerta dallo strumento didattico del dialogo emotivo, utile per favorire la

comprensione dei processi di socializzazione delle emozioni. Efficace può essere anche

la compilazione di un “diario delle emozioni”, sul quale annotare di volta in volta le

emozioni che si provano. Periodicamente, l’alunno può creare una vera cartellina delle

emozioni, in cui descrivere, tramite poesie, disegni, filastrocche, testi, stickers, le

emozioni che ha provato, le cause che le hanno scatenate, le sue reazioni, i soggetti

coinvolti.

Molti adulti, facendo riferimento al periodo scolastico, sostengono che hanno dei ricordi

spiacevoli, o particolarmente piacevoli, di questa o di quella materia perché

automaticamente l’associano al docente che la insegnava. Un insegnante particolarmente

rigido, freddo negli atteggiamenti e distaccato, difficilmente riuscirà a far amare una

disciplina, al contrario di colui o colei che mostrerà già dall’ingresso in aula un

atteggiamento aperto, disponibile, cordiale e sorridente nei confronti degli alunni. Non

esistono materie difficili e complicate, tutto sta nel trasmettere le giuste emozioni ai propri

studenti, incoraggiandoli a dare il meglio di sé sempre, sostenendoli nei momenti

particolari della loro crescita, trasmettendo positività in ogni istante della giornata

scolastica. Un momento fondamentale nella crescita dell’individuo è, senz’altro, quello

dell’adolescenza. Durante questo periodo gli alunni attraversano una fase di profondo

cambiamento, sia a livello fisico e biologico, con lo sviluppo ormonale e un nuovo

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rapporto con il proprio corpo, che a livello cognitivo e psicologico, con lo sviluppo delle

funzioni mentali, delle potenzialità e la formazione di una personalità individuale, unica

e complessa. In questa situazione di mutamenti e stravolgimenti gli alunni reagiscono in

maniera differenziata: creando nuove amicizie e legami affettivi, ricercando l’attenzione,

rifugiandosi in sé stessi, contrastando l’autorità e la disciplina, sviluppando nuovi

interessi, a volte anche pericolosi. L’insegnante che si relaziona con gli alunni delle scuole

secondarie di secondo grado dovrà essere a conoscenza di chi ha di fronte e dovrà essere

in grado di accompagnare l’alunno in questo cambiamento, promuovendo tutto ciò che di

positivo stia intraprendendo e smorzando gli slanci verso qualcosa di negativo, nocivo e

pericoloso per lo stesso studente e per le sue abilità o competenze. Per entrare in sintonia

con gli studenti il docente può prevedere forme di insegnamento incentrate su nuove

metodologie, nuove tecnologie e nuovi supporti didattici che sono più vicini alla realtà

degli adolescenti e che possano, dunque, risultare più accattivanti e stimolanti per il loro

apprendimento. Un esempio di attività didattica di questo tipo potrebbe essere lo

svolgimento di un laboratorio di “cooperative learning”, basato sull’utilizzo di social

media e social network come strumenti per la raccolta e la condivisione di informazioni.

Nella materia di italiano si potrebbe assegnare ai vari gruppi un determinato poeta o

scrittore da studiare e approfondire, prevedendo di creare un account Facebook su quel

determinato autore, dove ogni membro del gruppo andrà ad inserire informazioni sulle

generalità, la biografia e le opere dell’autore stesso. Nelle materie di storia e geografia si

potrebbe creare una cartina virtuale che riporti i dati di una qualche guerra, gli

insediamenti coloniali, i tragitti percorsi dai grandi navigatori, grazie all’utilizzo di

appositi siti internet come “Google My maps”, “Scribble Maps”, “Thinglink”, dove gli

studenti inseriranno elementi multimediali e supporti didattici visivi, uditivi e interattivi.

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Nelle materie scientifiche sarebbe d’aiuto la creazione di appositi quiz o giochi interattivi

come supporto allo studio ed esercizio di ripasso in itinere e conclusivo, tramite

applicazioni e siti come “Google form”, “Wordwall”, “Genially”, “Flippity” ed altri. Le

attività proposte possono promuovere l’apprendimento in maniera più significativa per lo

studente, dimostrando una vicinanza maggiore da parte dell’insegnante e promuovendo

una motivazione intrinseca superiore nei confronti della materia. Se svolte in piccoli

gruppi, tali attività, possono produrre effetti positivi sullo sviluppo di relazioni,

discussioni e confronti tra gli studenti, nonché favorire l’inclusione, la socializzazione,

l’apertura mentale, la responsabilizzazione e creare un clima positivo nello studente e in

tutta la classe. Gli studenti si sentiranno compresi, affiancati, supportati da un insegnante

che parla davvero la loro lingua; si accresceranno sentimenti di gioia, di calma, di unione

e di fiducia, mettendo da parte emozioni di angoscia, ansia da prestazione, depressione,

invidia e odio verso i compagni, la materia o i professori.

Un’attività utile alla comprensione di sé, delle proprie emozioni e di tutte le paure che

ruotano attorno alla vita adolescenziale e al cambiamento potrebbe essere quella del

“debate”. L’insegnante di italiano, di psicologia, di religione, di educazione civica, o

qualsiasi altro insegnante con la giusta propensione, potrebbe dedicare alcune delle sue

ore alla discussione in classe di argomenti importanti per gli adolescenti. Gli alunni

scriverebbero in anonimato le proprie domande o riflessioni su dei biglietti da inserire in

un apposito contenitore e da estrarre a turno. Senza timore e senza vergogna gli alunni

saranno incentivati e supportati dall’insegnante a dibattere e a esprimersi in prima persona

riguardo all’argomento estratto. Questa attività, che a molti insegnanti ortodossi, potrebbe

sembrare una perdita di tempo, in realtà promuove il cambio di prospettiva, l’ascolto

attivo, il rispetto dell’alterità e, se svolta in una classe in cui è presente un alunno con una

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disabilità o un qualche altro bisogno educativo speciale, permette all’alunno di

comprendere sé stesso e farsi comprendere dagli altri, abbattendo i tabù legati alla

disabilità e facendogli provare un senso di libertà e apertura che forse non ha mai potuto

sentire prima. L’attività può essere svolta anche sfruttando le nuove tecnologie, tramite

l’ausilio del sito “Padlet”, il quale mette a disposizione degli studenti una bacheca sulla

quale ognuno può scrivere, anche in forma anonima, i propri pensieri. La creazione di un

padlet può essere utile anche al termine di una qualsiasi lezione, per l’insegnante e gli

alunni, per focalizzarsi sui punti chiave, esprimere i propri pareri, chiedere

approfondimenti o dare il proprio apporto in termine di esperienza e coerenza con

l’argomento trattato.

Lo scambio reciproco di esperienze, sensazioni, emozioni, battute, sorrisi, permette agli

alunni di legarsi e rispettarsi, e di entrare nella scuola con un umore diverso. Bisogna

sempre ricordare che l’alunno non solo pensa ed elabora, ma “sente” e partecipa. Se

l’insegnante riesce a valorizzare le emozioni, inglobandole nella pianificazione di un

intervento didattico, può farle diventare una vera e propria “leva” per la didattica. Egli

sarà in grado di svolgere un insegnamento che tenga presenti e in maniera equilibrata gli

aspetti razionale, emozionale e cognitivo. Trasformare le emozioni in risorsa consente al

docente una serie di vantaggi preziosi in termini di stimolo per l’apprendimento: sintonia

nella relazione formatore-allievo, comunicazione più profonda, lavoro più significativo.

Elementi, questi, che potenziano il coinvolgimento dell’alunno, creano una

partecipazione attiva e collaborativa, generano un efficace apprendimento personale e

condiviso, creano un clima di classe favorevole all’insegnamento, all’apprendimento e

allo sviluppo delle relazioni.

19
L’insegnante, bisogna però precisare, che non è un amico e come tale non deve essere

considerato. I ruoli devono essere sempre ben distinti. L’insegnante deve trovarsi a metà

strada tra l’autoritario e l’amichevole, senza eccedere verso l’una o l’altra parte, deve

essere, infatti, autorevole. Le caratteristiche che l’insegnante autorevole deve possedere

e deve tenere sempre a mente sono: conoscenza e padronanza della propria materia,

capacità di promuovere un ascolto di tipo attivo, voglia di mettersi in discussione e

capacità di ammettere i propri errori, affidabilità, professionalità e coerenza, esperienza e

saggezza. In classe non si entra per raccontare delle storielle, ma per creare un clima

sereno e tranquillo, ottenendo fiducia da parte degli alunni, in primis, e dei genitori, poi.

2.3 Come gestire le emozioni del gruppo classe

Un altro aspetto importante che l’insegnante deve sempre tenere in considerazione e che

può pesantemente influire sull’apprendimento e sull’andamento dell’alunno nella vita

scolastica è il clima della classe. All’interno della classe l’alunno si relaziona

continuamente, sei giorni su sette, per l’intero anno scolastico, con i propri compagni,

oltre che con gli insegnanti, e questo può creare una situazione di grande positività per

l’alunno, ma anche di grande disagio, malessere, tristezza, svogliatezza, disattenzione. La

classe è, infatti, un contesto culturale-simbolico-relazionale eterogeneo, composto da

molteplici individualità, che si incontrano e si scontrano sui propri sistemi di credenze e

modelli culturali. Nella classe saranno presenti differenti comportamenti, differenti

funzionamenti, differenti vissuti familiari, differenti etnie, differenti orientamenti

sessuali, differenti religioni e così via. Per l’insegnante diventa fondamentale riuscire a

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comprendere gli alunni della classe, riuscire a creare un legame solido con loro e tra di

loro, nonché spronarli a costruire insieme, in maniera propositiva, il proprio futuro e le

proprie potenzialità. La classe diventa il luogo in cui gli alunni crescono, sviluppano le

proprie amicizie, formano la propria personalità, condividono i propri ideali e coltivano

le proprie passioni, un luogo nel quale è impossibile non essere influenzati e non

influenzare, un luogo fondamentale per la crescita della persona. L’insegnante deve

prestare molta attenzione al clima della classe, poiché una classe poco ospitale può

influenzare negativamente gli apprendimenti degli alunni, può causare demotivazione e

abbandono scolastico (Maslow, Mintz, Lackney, 1996).

L’insegnante deve predisporre la classe in modo tale da garantire diversi obiettivi: un

clima funzionale all’apprendimento, un clima non giudicante, promuovere l’accoglienza,

sollecitare la partecipazione, sviluppare i rapporti sociali, rispettare lo spazio vitale degli

alunni e favorire la coerenza tra gli insegnamenti e gli spazi a disposizione. Per fare

questo, può, innanzitutto, agire sulla disposizione spaziale dei banchi e degli arredi

all’interno dell’ambiente: studi e ricerche hanno evidenziato come la posizione dei banchi

possa favorire il lavoro comunitario e, allo stesso tempo, quello individuale (Jones, 2000).

La disposizione dei banchi diviene essenziale nel caso di alunni con bisogni educativi

speciali che necessitano di un maggior controllo da parte dell’insegnante, ma allo stesso

tempo di essere ugualmente inseriti nel gruppo classe, garantendo la loro massima

inclusione. Tra le diverse collocazioni dei banchi si ricordano le seguenti:

- collocazione a controllo costante;

- collocazione a controllo variabile;

- collocazione tutoring;

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- collocazione libera;

- collocazione con il sostegno;

- collocazione a minor danno.

Importante per l’insegnante diventa, inoltre, la conoscenza di ogni singolo alunno, del

suo modo di apprendere, dei suoi tempi di attenzione e di ascolto, delle sue

predisposizioni personali e passioni, delle sue potenzialità e dei suoi punti di debolezza.

L’insegnante può sfruttare queste conoscenze per rendere maggiormente significativo

l’apprendimento degli alunni o per affidare a determinati alunni alcuni specifici compiti,

così da garantire all’interno della classe sempre un clima positivo, diligente, attento e

amichevole. Per favorire questo clima il docente può proporre attività di tipo esperienziale

che coinvolgano il vissuto degli studenti, l’attività corporea, gli oggetti personali, le

passioni personali come la musica, gli sport, libri, cartoni, fumetti. Questo permetterà

all’alunno di cogliere alcuni aspetti dell’argomento che si sta affrontando e percepire un

coinvolgimento all’interno del contesto classe, sviluppando un senso di appartenenza

all’attività didattica, chiamato “cultura del compito”.

Un altro aspetto fondamentale che può promuovere un clima di classe positivo e

partecipato è quello riguardante le regole. Molto spesso le regole vengono viste dagli

alunni come un limite, una barriera alla propria libertà, una sfida da superare, un qualcosa

da trasgredire. Il rispetto delle regole diventa, tuttavia, fondamentale per un corretto

svolgimento delle lezioni e per la massima efficacia dell’azione formativa. Per tale

motivo, il docente deve riuscire a garantire il rispetto delle regole, conservando allo stesso

tempo un clima positivo all’interno della classe. Può essere fatto, innanzitutto, facendo

conoscere agli studenti e alle studentesse le linee educative relative alla convivenza civile,

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le regole dell’istituto e della classe, permettendogli di parlarne, di discuterne insieme al

docente, di comprenderle. L’insegnante non deve mai pensare che gli studenti conoscano

già le regole, che parlare di regole possa sottrarre tempo al programma curricolare, che

con i ragazzi possano funzionare solamente le minacce o che gli insegnanti che fanno

rispettare le regole non sono amati dagli studenti (Jones, 1987).

Infine, affinché il clima di classe rimanga sempre positivo, l’insegnante deve saper

rispettare egli stesso delle regole fondamentali, anche nel momento in cui interviene per

placare una situazione irrispettosa, inadeguata o potenzialmente pericolosa. Queste regole

di comportamento dovrebbero essere promosse da tutti gli insegnanti:

- evitare la rabbia;

- sfruttare l’effetto onda relativo al rimprovero;

- utilizzare calma e velocità nell’intervento;

- far comprendere l’errore e le conseguenze;

- non arrecare danno agli studenti;

- non deve essere necessariamente severo e pesante.

Tenendo sempre presente che la classe è composta da persone, ognuno con i propri

vissuti, i propri sentimenti, le proprie paure, le proprie aspettative e i propri desideri,

il proprio carattere e i propri atteggiamenti, e ponendosi nei confronti di questi nella

maniera adeguata, l’insegnante sarà in grado di mantenere e garantire un clima della

classe volto alla positività, all’interazione propositiva e all’apprendimento.

23
2.4 Come gestire le emozioni negative dei discenti

Sin da piccoli ci insegnano ad allontanare i pensieri negativi, a non piangere, a non

esprimere le emozioni considerate “negative”. Attraverso l’uso dell’immaginazione si

può, invece, imparare ad ascoltarle. Le frasi classiche “I bambini grandi non piangono”,

“gli altri bimbi non si disperano come te”, “se sorridi alla vita, la vita ti sorride”,

rappresentano proprio questo meccanismo di negazione dei sentimenti sinceri nei

confronti di una situazione. Ma non è sempre utile. Tutte le emozioni sono necessarie ed

esprimere liberamente ciò che si prova in una circostanza e viverla significa proprio essere

più spontanei e liberi dalle “trappole emotive”. Trasformarle o negarle attraverso una

visione differente, spinge i bambini a provare disagio, poiché non si sentono “autorizzati”

a manifestarle. L’insegnate, tuttavia, deve ricordare che la natura ci ha dotato di tutto ciò

che è necessario, pertanto, anche emozioni come la paura e la rabbia, che il più delle volte

vengono erroneamente classificate come “negative”, in realtà, sono funzionali a

determinate situazioni. La paura, infatti, è un segnale di pericolo e la rabbia, invece, ci

permette di tirar fuori qualcosa che a livello di comportamento e atteggiamento ci fa stare

male. Ovviamente, come tutte le emozioni, vanno educate nella giusta direzione e ai

discenti bisogna far comprendere che non sempre si può oltrepassare un determinato

limite per non creare danni a noi stessi e/o agli altri. Va bene, quindi, arrabbiarsi, provare

tristezza, essere gelosi o invidiosi, ma senza esagerare e, soprattutto, senza utilizzare la

forza fisica.

Vi sono, dunque, molti modi con cui un insegnante può aiutare un bambino a gestire le

emozioni negative: la comunicazione diretta, l’uso del gioco, la condivisione, ma anche

l’immaginazione. La “visualizzazione guidata” è una tecnica che consiste

nell’immaginare un oggetto o una situazione e può essere molto utile con i bambini per

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imparare a governare i momenti di disagio e gestire le emozioni. È quindi indicato non

reprimere le loro espressioni, i loro pianti, la loro tristezza, ma indurli a parlare di sé, a

descrivere ciò che stanno vivendo e come lo stanno vivendo. Bisogna insegnare loro a

comunicare i propri disagi e la propria sofferenza, vivendoli, anche se questo può produrre

malessere.

“Alfabetizzare emotivamente” i bimbi significa insegnar loro a vivere le proprie

emozioni, a riconoscerle negli altri e a gestirsi autonomamente sul piano relazionale.

L’essere sé stessi è significativo, poiché forma la personalità in maniera spontanea. È

giusto, quindi, che ogni bambino impari ad ascoltarsi e a canalizzare in maniera

costruttiva tutte le proprie emozioni.

Conclusioni

Al fine di valorizzare positivamente il rapporto emozionale tra gli studenti e il sapere, è

necessario promuovere un processo di insegnamento/apprendimento capace di

considerare e valorizzare la dimensione emozionale con la quale gli studenti affrontano

quotidianamente il mondo della scuola e la conoscenza in esso presente. In questo modo,

l’azione didattica del docente può favorire un clima di lavoro in cui gli alunni si sentano

liberi di costruire il proprio apprendimento, liberi di sbagliare o di commettere quegli

errori che possano ricordare per sempre. L’errore, infatti, è necessario e deve

rappresentare, anche agli occhi dell’allievo, un positivo strumento di crescita e di

miglioramento di sé stessi. In questo modo sarà possibile aiutare l’alunno a vivere

l’esperienza scolastica in maniera positiva, senza il rischio di promuovere in lui

sentimenti ed emozioni ostacolanti. L’insegnante gioca un ruolo essenziale nel definire i

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giusti obiettivi per l’allievo e nel mettere in atto opportune strategie che gli permettano di

raggiungerli, lo aiuta a riflettere sulle proprie scelte, lo sostiene nello studio e lo motiva

intrinsecamente, generando in lui emozioni di gioia, curiosità, interesse, amore per il

sapere. Le emozioni che derivano dalle esperienze scolastiche di successo o insuccesso

devono essere viste come dei segnali che dicono all’alunno se sta facendo bene o male,

se bisogna continuare per quella via oppure cambiare. In questo modo è possibile

valorizzare, all’interno del processo di insegnamento-apprendimento, la dimensione

emozionale, la quale spesso viene trascurata o dimenticata nella prassi didattica. Si può

pacificamente asserire che le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella didattica,

diventando una risorsa importante per la formazione. Tanti sono gli effetti positivi delle

emozioni nella didattica: creano desiderio di partecipazione, generano coinvolgimento,

impegno, fiducia; riproducono un clima di classe collaborativo e disteso; aumentano

l’interscambio costruttivo; aiutano lo studente a ricordare meglio quello che ha appreso.

In tal senso, per l’insegnante diventa un punto di forza quello di saper creare un clima

umano e positivo all’interno della classe, al fine di garantire un buon equilibrio

psicologico per gli alunni e avvantaggiarli così nell’apprendimento e nel vissuto

scolastico.

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