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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE, PSICOLOGIA,


COMUNICAZIONE

CORSO DI FORMAZIONE TFA SOSTEGNO


“Didattica speciale e apprendimento per le disabilità sensoriali”

L’alunno con deficit uditivo


in ottica inclusiva

Relatore: Corsista:
Chiar.mo Prof.re Alberto Fornasari Cinzia Anna Castrignano’

Anno Accademico 2021-2022


“Tutti possono vivere una vita normale se messi nelle giuste condizioni”

Luisa Mazzeo
Indice

Introduzione..........................................................................................................................................1

Eziologia e classificazione diagnostica................................................................................................1

Quadro normativo per le persone sorde...............................................................................................3

Sviluppo linguistico..............................................................................................................................3

Sviluppo cognitivo................................................................................................................................4

Sviluppo socio-relazionale...................................................................................................................5

Metodi riabilitativi................................................................................................................................6

Barriere e facilitatori............................................................................................................................7

Conclusioni.........................................................................................................................................10

Bibliografia.........................................................................................................................................11
Introduzione
La sordità è una disabilità sensoriale, invisibile agli occhi del mondo perché è difficile riconoscere
un sordo, a meno che non porti vistose protesi, gesticoli con le mani o parli in lingua ‘straniera’. La
sordità incide sul mondo della comunicazione e coinvolge indirettamente anche coloro che non ne
sono affetti, in ogni ambiente e contesto. Ciò che a noi interessa non è nello specifico la
classificazione medica, quanto comprendere l’individuo nella sua totalità, in un’ottica ICF, poiché
sottolinea un’unificazione, nelle forme di descrizione, dello stato di una persona. Ogni persona si
caratterizza per vari patterns di funzionamento, determinati dall’interazione dinamica tra fattori
personali e quelli contestuali (modello bio-psico-sociale dell’ICF). La disabilità è il risultato
dell’interazione tra la condizione di salute ed i fattori ambientali. In poche parole il sordo è un
individuo a sé. Come ogni persona, egli è uguale solo a se stesso. Non c’è modo di classificarlo a
priori. Si può fare una classificazione ‘generale’ della disabilità ma non si può inglobare la natura
del singolo. Ragionare in un’ottica ICF ci permette di conoscere e capire l’individuo a 360° gradi,
nella sua unicità, e questo ci permette di impostare interventi adeguati, pensati su misura per lui, in
collaborazione con famiglia, amici, medici specialisti, enti locali ecc… avendo come obiettivo non
solo il successo formativo dell’alunno non udente ma anche il raggiungimento dell’autonomia,
dell’indipendenza, della capacità di potersi muovere liberamente ed a suo piacimento nello spazio
che lo circonda, senza incontrare problemi particolari.

Eziologia e classificazione diagnostica


In termini medici, la sordità è definita come una patologia dell’orecchio che si manifesta con la
perdita parziale o totale dell’udito.
Nonostante sordità e ipoacusia si riferiscano a significati differenti, molto spesso in letteratura
vengono usati in maniera simile e di frequente vengono considerati intercambiabili, pertanto è
necessario fare una distinzione dei due concetti. L’ipoacusia è una alterazione della percezione del
suono e una perdita parziale dell’udito, mentre la sordità è la diminuzione dell’udito di una certa
entità. La causa più comune di ipoacusia è generalmente l’invecchiamento.
La perdita uditiva può colpire entrambi gli orecchi o solo uno. In base a ciò l’ipoacusia presenta
quattro configurazioni differenti1:
 Ipoacusia bilaterale (se implica la perdita dell’udito di entrambe le orecchie) o unilaterale (se il
deficit uditivo interessa solo un orecchio);
 Ipoacusia simmetrica (il livello di perdita uditiva è simile per entrambe le orecchie ) o
asimmetrica (le due orecchie presentando un diverso grado di deficit uditivo);
 Ipoacusia improvvisa (si verifica un improvviso peggioramento dell’udito o la totale perdita di
esso ) o progressiva (la perdita dell’udito peggiora con il tempo);
 Ipoacusia fluttuante (presentano un deficit uditivo variabile) o stabile (il deficit uditivo
invariabile e stabile).
La sordità consiste in una riduzione delle abilità uditive che impedisce la comprensione di una
lingua e l’assimilazione del linguaggio. Secondo la classificazione del Bureau International
d’Audiophonologie (B.I.A.P)2 in base alla gravità del deficit uditivo si possono stabilire cinque
gradi di sordità:

1
https://www.widex.it/it-it/hearing-loss/types-of-hearing-loss/degrees-and-shapes-hearing-loss visitato il 23/11/2017.
2
https://www.biap.org/en/archives/65-ct-2-classification-des-surdites visitato il 23/11/2017.
4
 Lieve: tra i 21 e i 40 dB. A questo livello, l’assimilazione del linguaggio e la percezione della
lingua orale non sono compromesse. Il soggetto non presenta particolari difficoltà poiché
l’unico ostacolo nella percezione uditiva risiede nell’incapacità di distinguere alcuni fonemi e di
voci bisbigliate;
 Media: tra i 41 e 70 dB. A partire da questa fase si manifestano problematiche nella
comprensione e produzione orale. Le voci emesse non vengono percepite in maniera distinta e,
se emessi con un’intensità superiore, egli è in grado di percepire i suoni, ma non di differenziare
le parole. In particolar modo, se il deficit uditivo colpisce un bambino nei primi mesi di vita o
addirittura alla nascita è necessario ricorrere all’ausilio di una protesi uditiva. In questo modo si
eviterà un ritardo nello sviluppo dell’acquisizione del linguaggio verbale e la compromissione
della componente linguistica;
 Grave: tra i 71 e i 90 dB. Il soggetto è in grado di percepire solo alcuni suoni nonostante le
parole vengano pronunciate ad elevata intensità;
 Profonda: superiore o uguale a 91 dB. La voce non è mai percepita, si sentono solo rumori
molto intensi.
 Cofosi: oltre i 120 dB, perdita completa dell’udito.
La sordità, inoltre, può essere centrale o periferica a seconda della localizzazione del deficit uditivo.
Il primo tipo di sordità è caratterizzato da una lesione delle vie uditive centrali, ovvero dal
danneggiamento della corteccia uditiva o del nervo uditivo, per questo motivo i suoni non vengono
percepiti in maniera corretta. La sordità periferica può essere:
 trasmissiva: causata da una patologia dell’orecchio medio o esterno in seguito a otiti o
malformazioni del condotto uditivo. Questo tipo di sordità non è grave in quanto nessun organo
dell’orecchio incaricato a trasmettere gli impulsi alla corteccia viene danneggiato. Di
conseguenza, il soggetto è in grado di percepire i suoni delle parole a patto che questi vengano
pronunciati con un’intensità superiore alla media;
 neurosensoriale: riguarda in modo più o meno grave l’orecchio interno. La percezione del suono
è alterata a causa di una patologia a livello cocleare, del nervo acustico o dell’organo dei Corti;
 mista: avviene quando la sordità trasmissiva e neurosensoriale si verificano
contemporaneamente.
Inoltre, è importante distinguere i tipi di sordità a seconda dell’età di insorgenza. Esse si
suddividono in sordità prelinguale, perilinguale e postlinguali.
 prelinguale: dalla nascita o prima dei 18 mesi. Se l’intervento non è tempestivo, il bambino
sordo pre-verbale, poiché incapace di percepire i suoni e le voci dei propri genitori, rischia di
restare gravemente menomato nell’apprendimento;
 perilinguale: acquisita tra i 18 e i 36 mesi. Se non correttamente dotato di una protesi, il
bambino perde la capacità di linguaggio;
 postlinguale: acquisite dopo i 36 mesi e in seguito all’ acquisizione stabilizzata spontanea delle
abilità linguistiche, ovvero la parola parlata e ascoltata. Durante il corso della prima infanzia
(dai tre ai sette anni) le abilità linguistiche sono acquisite, ma non consolidate, mentre nella
seconda infanzia (dai sette ai diciotto anni) le competenze linguistiche sono consolidate.
È evidente, quindi, che il periodo di insorgenza della malattia è rilevante per quanto riguarda lo
sviluppo del linguaggio e la competenza linguistica. La diagnosi precoce è fondamentale perché i
familiari possano attivare fin da subito strategie comunicative efficaci nella relazione con il
bambino sordo.

5
Quadro normativo per le persone sorde
Di seguito sono riportati i principali riferimenti normativi che riguardano la persona sorda.

 La Legge n. 381/1970 “considera sordo il minorato sensoriale dell'udito affetto da sordità


congenita o acquisita durante l'età evolutiva che gli abbia compromesso il normale
apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente
psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio.”

 Con il successivo DM del 5 febbraio 1992 alla condizione di «sordità civile» (ex-sordomutismo)
si attribuiscono caratteri di complessità in funzione dell’epoca di insorgenza e della gravità del
deficit uditivo. Tuttavia si specifica che, anche in condizioni di gravità, l’apprendimento del
linguaggio parlato non è compromesso, ma reso difficoltoso: questo passaggio è molto
importante non solo sotto il profilo normativo, ma anche riabilitativo/educativo perché, facendo
riferimento all’evidenza scientifica, si lascia spazio a una potenzialità prima sconosciuta.

 La Legge 104/1992 stabilisce l’integrazione scolastica si realizza attraverso la dotazione alle


scuole di attrezzature tecniche, sussidi e ausili tecnici. In particolare, l’integrazione è favorita
agli alunni sordi che frequentano le scuole di ogni ordine e grado attraverso “l’obbligo per gli
enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con
handicap fisici o sensoriali ( art. 13 comma 3); a livello universitario, è prevista «l’attribuzione
[…] di incarichi professionali a interpreti […] per facilitare la frequenza e l’apprendimento di
studenti non udenti» (art. 13 comma 3,d)”. Oltre all’insegnante di sostegno, nominato
dall’ufficio scolastico su segnalazione della scuola (che comunica il numero degli alunni con
disabilità iscritti e valuta il supporto necessario in base alle indicazioni contenute nella diagnosi
funzionale), è prevista la figura dell’assistente alla comunicazione, non strutturata rispetto
all’istituzione scolastica, ma assegnata all’alunno con servizi esterni a cura degli enti locali.

 Il Decreto Interministeriale n. 44 del 2001 regola la gestione amministrativo contabile delle


istituzioni scolastiche, prevede che gli ausili e i sussidi acquistati con i fondi annuali del
Ministero in base alla legge 104/1992 e assegnati alle scuole-polo, siano concessi in uso gratuito
ad altre scuole in presenza di determinate disabilità, compresa la sordità.

Sviluppo linguistico
L'ostacolo principale per le persone audiolese è costituito dall'acquisizione del linguaggio, in
particolar modo per quanto riguarda l’aspetto fonologico che, secondo alcuni ricercatori, sarebbe la
causa del ritardo nell’acquisizione delle competenze lessicali. Vediamo le difficoltà ricorrenti negli
alunni con disabilità uditiva (Fabbretti e Tomasuolo, 2006).

Difficoltà nella scrittura:


 Fonologia: per cattiva ricezione di suoni, intonazione e prosodia
 Morfologia: errato uso/omissioni dei nessi grammaticali
o articoli: “un biscotti, (il) compleanno”
o pronomi: “la (lo) vedono, (mi) sono fatto”
o preposizioni: “mi piace (di) ballare, vado (con) la barca”
o coniugazioni verbali: uso errato di modi, tempi e coniugazioni verbali: “Mio fratello

6
arrivato”
o omofoni/omografi (parole che si pronunciano o si scrivono nello stesso modo): difficoltà
nel riconoscere il significato corretto. Es. “Il collega di mamma si chiama Anna” / “La
corda collega due alberi”
o Concordanze: difficoltà nel concordare correttamente elementi della frase: “Quattro
papera nera”, “Io ha detto”
o Risultano complesse frasi: molto lunghe, negative, con troppi incisi, passive o con
soggetti sottintesi e inferenze da dover compiere
 Sintassi: difficoltà nel riconoscere quale sia l’ordine di parole grammaticalmente accettabile in
una lingua;
 Semantica: vocabolario ridotto e rigidità lessicale;
 Conoscenze testuali e del contesto comunicativo.

Difficoltà in ascolto:
 Fatica e sovraccarico di attenzione;
 Comprensione limitata per cattiva percezione e scarse competenze lessicali e morfosintattiche;
 Impossibilità nella presa appunti in autonomia.

Difficoltà espressive:
 mortificazione degli slanci partecipativi;
 calo di interesse;
 apatia o reazioni impulsive.

E’ però interessante rilevare che la tendenza tipica del non udente ad utilizzare frasi brevi, semplici,
talvolta incomplete e che presentano per lo più un ordine lineare, del tipo soggetto-predicato-
complemento, potrebbe essere causata non dalla sordità bensì dalle metodologie educative utilizzate
per far apprendere al soggetto l’uso della lingua (Zanobini, 2011). Si sottolinea perciò l’importanza
di evitare stereotipie delle frasi apprese (ad esempio, se il soggetto apprende Paolo ama Bubu,
occorre variare gli elementi delle frasi e dei loro rapporti, proponendo altre frasi come Bubu ama
Paolo, Tino ama Bubu, ecc.). Il contesto educativo è determinante anche in epoche successive per
l’apprendimento di un linguaggio più o meno elaborato. Per quanto attiene l’apprendimento della
lingua scritta altre ricerche hanno evidenziato che nella scrittura di molti sordi si riscontrano le
stesse difficoltà e analoghi ritardi riscontrati nel linguaggio orale. La ricerca ha nel contempo
evidenziato che soggetti audiolesi anche gravi possono raggiungere all’età di 16 anni capacità di
lettura analoghe a quelle dei coetanei udenti. I bambini sordi in effetti non sembrano manifestare
particolare difficoltà di accesso alla lingua scritta e i problemi che si riscontrano possono essere
affrontati con interventi educativi mirati. La sordità è un deficit sensoriale, non cognitivo, quindi ai
bambini sordi non manca la capacità di acquisire una lingua.

Sviluppo cognitivo
Relativamente allo sviluppo cognitivo del sordo, le ricerche classiche di Furth degli anni sessanta
del ventesimo secolo, in un'epoca in cui ancora pochi erano i soggetti sordi che accedevano agli
studi, mostrarono ritardi evolutivi dei bambini con deficit uditivo di 2 - 4 anni in media rispetto ai
coetanei normodotati nell'acquisizione della capacità di formare concetti e nella capacità di
conservazione. Altre ricerche di poco antecedenti sembravano confermare tale ritardo evolutivo dei
7
soggetti sordi soprattutto nel pensiero astratto, ritardo questo strettamente legato alla carenza dello
sviluppo linguistico, essendo il linguaggio un modo per esercitare il pensiero e uno strumento di
soluzione dei problemi. Questo accadrebbe anche se il soggetto ha appreso la lingua dei segni: lo
sviluppo delle funzioni simboliche sarebbe comunque difficoltoso, il patrimonio concettuale
rimarrebbe più a lungo legato alla dimensione delle esperienze concrete e l’intelligenza
rappresentativa e il pensiero formale raggiungerebbero il livello dei coetanei udenti solo verso i
15/16 anni. Ciò ha contribuito a creare lo stereotipo del sordo ancora oggi presente nella nostra
cultura come individuo orientato al concreto, legato nella soluzione dei problemi all'evidenza
percettiva immediata e incapace, anche da adulto, di esercitare forme di pensiero più elevate. La
ricerca recente mostra invece un quadro assai meno univoco e chiaro rispetto alle convinzioni
precedenti. Ad esempio, i ritardi cognitivi in determinati compiti, come quelli della conservazione
della quantità, sono presenti solo in alcuni gruppi di bambini sordi. In altri casi invece non si sono
riscontrate differenze significative tra bambini sordi neurosensoriali profondi rispetto ai loro
coetanei normodotati nell'esecuzione dei compiti cognitivi. Inoltre vi sono soggetti sordi che
raggiungono gradi elevati di istruzione e che svolgono attività lavorative di alto livello. Tale
estrema variabilità nei risultati della ricerca sembra dipendere da molteplici fattori, quali, ad
esempio, l'efficacia delle strategie educative e riabilitative utilizzate con i soggetti che sembra
rivestire un ruolo decisivo per la loro crescita cognitiva e intellettiva. Relativamente allo sviluppo
della memoria nel soggetto sordo, la ricerca ha avuto esiti discordanti a causa della grande diversità
di competenza linguistica nei soggetti sordi, pur essendo unanime nel sottolineare l'importanza di
condurre con loro fin da bambini un lavoro sistematico sull'uso appropriato di strategie mnemoniche
(quali, ad esempio la ripetizione), che essi sono in grado di utilizzare come gli udenti, ma che spesso
non mettono in pratica spontaneamente. Un bambino udente impara una nuova parola o un nuovo
concetto perché ne fa naturalmente esperienze ripetute, mentre con i bambini sordi occorre offrire
sufficienti occasioni di immagazzinamento affinché avvenga la fissazione di un materiale nuovo in
modo che lasci tracce permanenti in memoria. Occorre perciò utilizzare metodi e strategie che
garantiscano al soggetto audioleso la possibilità di interiorizzare gli apprendimenti in modo da
poterli utilizzare al momento opportuno.

Sviluppo socio-relazionale
Un’area delicata da affrontare è l’accettazione da parte delle famiglie di un figlio sordo. Accade
molto spesso che i genitori tendano a percepire la protesi del proprio figlio come una vergogna o
spesso si sentano addirittura in colpa e reagiscano con atteggiamenti aggressivi o rancorosi. A volte
i familiari rifiutano di accettare la protesi perché questa rappresenterebbe un chiaro segnale di
disabilità del proprio figlio, per questa ragione anche i figli stessi a volte le rifiutano anziché
imparare a considerarle parti integranti della loro stessa persona.
Secondo Bacchini (2000), un elemento fondamentale da considerare è quello dell’autonomia del
bambino sordo. Nel soggetto affetto da deficit auditivo il processo riabilitativo a volte può essere
molto lungo e ostico a causa della scarsa fiducia in se stesso o da parte degli altri. Il comportamento
aggressivo o nervoso che il bambino manifesta dipende principalmente da una mancanza di
autosufficienza nelle attività di tutti i giorni. La ricerca mostra che alcuni comportamenti adulti
possono danneggiare la conquista dell'indipendenza e il senso di sicurezza del soggetto sordo,
soprattutto se si manifesta un'eccessiva intrusività e direttività, esercitando un controllo eccessivo
che può sfociare in iperprotezione. Inoltre, si possono generare caratteristiche comportamentali e

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temperamentali disfunzionali, come impulsività, iperdipendenza e bassa autostima a causa di
relazioni problematiche intra-familiari per cui le difficoltà oggettive che la situazione di deficit
uditivo comporta finiscono col permeare di sé tutta la vita della famiglia. Per quanto riguarda le
relazioni tra pari, i problemi comunicativi possono essere superati quando la conoscenza reciproca
consente ai compagni di gioco di adattare reciprocamente il proprio modo di comunicare.
E’ fondamentale che il bambino, attraverso dei metodi riabilitativi elencati di seguito, sia in grado di
conquistare la propria autonomia e indipendenza evitando atteggiamenti negativi quali la
commiserazione o la svalutazione della propria persona.

Metodi riabilitativi
La metodologia di riabilitazione al linguaggio è molteplice. Tra le principali forme esistono i metodi
oralisti, bimodali (o misti) e i metodi bilingue.
Il metodo oralista è stato istituito per la prima volta dal Congresso Internazionale degli educatori
dei sordi (dal quale furono esclusi gli insegnanti sordi) tenutosi a Milano nel 1880 e ha avuto delle
importanti conseguenze in ambito riabilitativo e didattico anche in Italia. Per molto tempo, infatti, si
è ritenuto che l’unica forma di linguaggio possibile fosse quello verbale e che “il gesto uccide la
parola” (Caselli-Corazza, 1997). La metodologia oralista permette che il bambino venga iniziato alla
lettura prima del tempo (dalle vocali ai dittonghi, dai dittonghi alle consonanti associando il suono
all’immagine). Una volta raggiunta la capacità di lettura di alcuni fonemi, sarà interrogato sulla
comprensione di alcune semplici frasi in cui le vocali avranno un colore diverso rispetto alle
consonanti. Infine, gli verrà chiesto di rispondere a delle domande senza più guardare l’immagine.
In sintesi, il metodo oralista implica che il mezzo fondamentale per la corretta educazione al
linguaggio del bambino sia quello verbale. In ricezione, questo approccio esclude ogni forma di
aiuto gestuale o di segni, poiché è necessario che il bambino comprenda e decodifichi il messaggio
solo attraverso il movimento delle labbra del parlante. In produzione il soggetto dovrà utilizzare
solo il linguaggio parlato3. Di conseguenza, nel metodo orale è essenziale tenere conto di tre aspetti
principali:
 ausili tecnici che possono facilitare la riabilitazione come, ad esempio, protesi acustiche o
impianti cocleari;
 la funzione del gruppo familiare, e in particolare il ruolo della madre, nella rieducazione al
linguaggio verbale;
 il fatto che il bambino affetto da deficit uditivo frequenti principalmente ambienti in cui sono
presenti udenti, sia a scuola sia in altri contesti, per favorire maggiormente in questo modo lo
sviluppo del linguaggio verbale.
I genitori che scelgono di seguire la metodologia oralista decidono, in qualche modo, di facilitare il
proprio bambino, poiché un bambino che sappia parlarle, anche se con difficoltà, è pur sempre
definito “normale”, al contrario un bambino che contemporaneamente si esprime con segni e parole
tende a evidenziare la propria diversità. Come afferma Fontana (2013), lo scopo del metodo oralista
è “mettere il bambino sordo in condizione di comunicare verbalmente secondo la modalità
dell’udente, fare scaturire in lui il linguaggio come necessità fisiologica inserita nel suo sviluppo
globale”.
La seconda area metodologica riguarda i metodi misti o bimodali. Il suo scopo è quello di far
3
Di fondamentale importanza è la presenza di un logopedista il quale possa aiutare il bambino sordo a creare una
corretta comunicazione attraverso degli esercizi logopedici quotidiani. Si veda il film Nel paese dei sordi (Les pays des
sourds), N. Philibert, Francia, 1992.
9
raggiungere al bambino delle buona capacità orali e scritte attraverso la combinazione di una
comunicazione visivo-gestuale e acustico-verbale. Questa metodologia è chiamata anche
“bimodale” in quanto nella comunicazione è utilizzato sia l’italiano segnato 4 (IS) sia l’italiano
segnato esatto (ISE), ovvero per trasmettere verbalmente le parti del discorso a cui non
corrispondono dei segni (quali ad esempio nomi, cognomi, preposizioni, articoli, o anche il plurale
dei nomi) si ricorre all’utilizzo degli evidenziatori, cioè dei segni artificiali, e della dattilologia
(l’alfabeto manuale).

Figura 5: Nuovo alfabeto manuale5


Il metodo bimodale si pone come obiettivo quello di migliorare le competenze sia verbali sia scritte
del bambino sordo attraverso un approccio che utilizzi il supporto visivo veicolato dal “segno”.
Perciò l’insegnante articolerà ogni parola a voce associandola al segno. Per permettere al bambino
sordo di raggiungere gli stessi livelli di un bambino udente, nel corso della riabilitazione sono
introdotti tutti gli aspetti del linguaggio (fonologico, morfosintattico, semantico, pragmatico), ma la
priorità è data principalmente alla comprensione del linguaggio verbale piuttosto che alla
produzione.
Il terzo metodo riabilitativo è il metodo bilingue. Come il termine stesso suggerisce, esso consiste
nell’esposizione del bambino sia alla lingua italiana parlata sia alla lingua dei segni. Quest’ultima è
appresa più velocemente e funge da supporto alla comunicazione verbale. I bambini che seguono
questa metodologia sono in grado di parlare sia verbalmente che attraverso i gesti a seconda
dell’interlocutore. La differenza principale tra l’area bilingue e quella bimodale è che la prima
considera il linguaggio dei segni la lingua madre del bambino, mentre nell’area bimodale il
linguaggio dei segni ha la funzione di “stampella” (Beronesi-Massoni-Ossella, 1991) all’italiano
orale e scritto, quindi non costituisce una lingua a sé. L’obiettivo principale è quello di far diventare
il bambino “bilingue”. Bisogna, però, fare delle precisazioni. Si parla di vero e proprio bilinguismo
solo quando il bambino nasce da entrambi genitori sordi i quali padroneggiano in maniera perfetta
l’italiano orale (e ciò accade raramente). Nel caso contrario, cioè se entrambi i genitori sono udenti,
le difficoltà diventano maggiori, poiché il genitore dovrà anch’egli apprendere una seconda lingua,
ovvero quella dei segni, ma la qualità dell’apprendimento sarà ridotta o da perfezionare.

Barriere e facilitatori
Recenti ricerche sullo stato di integrazione degli alunni con disabilità (Associazione Treelle, Caritas
Italiana e Fondazione Giovanni Agnelli, 2011) evidenziano delle criticità nel sistema scolastico che
possono determinare il successo o fallimento scolastico dell’alunno sordo. In particolare riguardano:
4
Non è una lingua a sé, ma consiste nell’associare un segno a ogni parola pronunciata, seguendo le regole e la sintassi
della lingua italiana.
5
http://www.istc.cnr.it/mostralis/pannello07.htm
10
 insegnanti non formati e, quindi, mancanza di una didattica specifica, alternativa alla lezione
frontale, che sfrutti a pieno il canale visivo-gestuale dei sordi;
 carenza di figure specializzate;
 mancanza di una rete territoriale solida.
Gli insegnanti devono tener presente che in presenza dell’alunno sordo in classe le difficoltà di
apprendimento dipendono principalmente dal setting e dalle strategie didattiche e comunicative, che
andrebbero scelti cercando di minimizzare al massimo, o eliminando del tutto, le barriere alla
comunicazione.

Setting
Le barriere architettoniche degli alunni sordi sono più difficili da identificare: non si vedono, ma
esistono. Più che di barriere architettoniche sarebbe corretto chiamarle barriere sensoriali, perché
coinvolgono i sensi: ambienti rumorosi, illuminazione insufficiente o mal distribuita, mancanza di
segnaletica luminosa o chiara per orientarsi a scuola in autonomia ecc… Per gli alunni sordi è di
fondamentale importanza ascoltare con gli occhi, significa cioè tradurre suoni e rumori attraverso il
canale visivo. Tutto ciò che è alle nostre spalle non può essere udito. Una buona strategia è
posizionare punti luce nei luoghi in cui il rumore, in genere, vi si concentra maggiormente,
posizionare le lavagne in modo che siano ben illuminate, ridurre e eliminare le fonti di rumore6.
Si ricorda che la mancata eliminazione delle barriere architettoniche e percettive configura
certamente una situazione di discriminazione delle persone con disabilità visiva o uditiva rispetto a
quelle normodotate.

Strategie comunicative
A livello comunicativo, occorre tenere presenti tutte quelle barriere che ostacolano la comprensione
del linguaggio e, quindi, utilizzare delle strategie comunicative adeguate per bypassare questi
ostacoli, quali appunto:
 consentire una buona lettura labiale con una distanza ottimale nella conversazione (evitare di
coprirsi la bocca);
 porsi sempre di fronte, evitare di girarsi o camminare;
 la fonte luminosa deve illuminare il viso di chi parla;
 parlare distintamente, moderando la velocità;
 usare frasi corte ma complete e termini semplici;
 possibilmente, utilizzare una mimica facciale quando si parla.

Strategie didattiche
Per quanto riguarda la didattica, le strategie da adoperare potrebbero essere:
 alternare il momento della spiegazione orale con l’indicazione visiva;
 se la parola è difficile da capire, scriverla in stampatello alla lavagna;
 preparare mappe concettuali con foto e immagini;
 utilizzare frasi semplici, brevi, prive di subordinate;
 programmare le attività tenendo conto della presenza/assenza dell’assistente alla comunicazione
in Lis;
6
Nel cortometraggio “Matilde”, ad esempio, una bambina sorda porta a scuola delle palline da tennis da mettere sotto le
gambe delle sedie per attutire i rumori. Un messaggio semplice per ribadire che, a volte, bastano anche semplici
espedienti per superare qualche ostacolo.
11
 prevedere una parte della lezione dedicata all’arricchimento del lessico (da inserire
gradualmente e collocato in diversi contesti);
 scegliere testi con supporti visivi coerenti, sintassi e lessico comprensibili, contenuti
multimediali accessibili, mappe e glossari di supporto allo studio autonomo;
 evidenziare i concetti chiave;
 se si utilizzano video, accompagnarli sempre con trascrizioni sottotitolati (possibilmente a
colori);
 leggere e memorizzare lessico legato alla sfera personale e familiare;
 favorire la socializzazione attraverso attività di gruppo cooperative (ad esempio in cui tutti si
divertono ad usare la dattilologia);
 utilizzare la mimica per raccontare testi di Italiano o Storia;
 creare un glossario di nuovi termini da memorizzare / riportare se necessario la pronuncia
(Italiano e Lingue straniere);
 riferirsi ad esperienze note;
 rendere espliciti i riferimenti spazio-temporali, le inferenze ecc…;
 utilizzare strumenti informatici: lim, computer, vocabolari multimediali con immagini ecc …

Un valido aiuto è dato anche dalla logocromia, un codice cromatico per l’organizzazione
grammaticale della frase che viene utilizzato per la produzione di frasi minime. Il codice cromatico
funge da mappa mentale e guida la produzione anche del ragazzo sordo straniero. Il soggetto è
stimolato a imparare vocaboli nuovi e ad inserirli in modo logico nella frase. Si può iniziare dalla
compilazione di un quaderno personale dove aggiungere vocaboli a partire dagli interessi, da
condividere con tutti.

L’insegnante di sostegno e la classe


Nella secondaria di secondo grado ci si aspetta di trovare un alunno già autonomo nell’utilizzo degli
strumenti che sono di supporto all’apprendimento: dizionari visuali e non, mappe mentali e
concettuali, glossari, schemi, strumenti ad alta tecnologia ecc… l’insegnante di sostegno, come
anche l’assistente alla comunicazione, hanno quindi il compito di non intervenire in questo senso
per non invadere quest’autonomia già acquisita, ma di offrire supporto in caso di necessità,
fornendo ad esempio:
- semplificazioni, consistono nel riscrivere integralmente il testo, sostituendo gli elementi lessicali
(es. parole a bassa frequenza con parole ad alta frequenza ecc), modificando i modi e i tempi
verbali e semplificando le strutture sintattiche. Spesso viene ridotto anche il contenuto,
lasciando solo le informazioni essenziali.
- facilitazioni: diverse fonti di informazione (video, illustrazioni, esempi ecc…) vengono aggiunte
al testo originale (lasciato inalterato nella forma e nei contenuti) con l’obiettivo di sostenere gli
alunni nel processo di comprensione. Serve a rendere i contenuti maggiormente accessibili.
Tuttavia, bisogna fare attenzione a non eccedere nell’utilizzo di misure dispensative o
semplificazioni in quanto la competenza linguistica si consolida con l’esposizione alla lingua scritta,
non limitandola. Sarebbe più opportuno aggiungere supporti al testo piuttosto che sostituirlo o
addirittura eliminarlo. Molto importante è quindi anche la scelta dei libri di testo, da parte dei
docenti curricolari insieme all’insegnante di sostegno, in modo che risultino accessibili all’alunno
sordo tenendo presenti quelle che sono le sue competenze linguistiche.

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Brighenti e Bossoni (2010) e Cottini (2017) affermano che una delle risorse che spesso viene
trascurata durante l'attivazione di un progetto educativo a scuola per un alunno disabile è quella dei
compagni di classe, risorsa indispensabile per l’inclusione scolastica ed extrascolastica. Senza il
coinvolgimento attivo della classe, la relazione tra docente di sostegno e studente disabile rischia,
per questo motivo, di diventare esclusiva. È fondamentale, invece, attivare le risorse dei compagni
per favorire l'integrazione creando un clima inclusivo. In tal senso, gli insegnanti, in particolare di
sostegno, devono adottare comportamenti che facilitino la nascita di legami di amicizia e sostegno
tra compagni. Inoltre, devono stimolare il senso di appartenenza al gruppo, fornendo occasioni di
lavoro cooperativo in classe e abbassare i livelli di competitività favorendo situazioni in cui i
compagni si sostengano e si aiutino a vicenda. A questo scopo possono essere proposti alla classe
progetti didattici in piccoli gruppi o gruppi di studio. Si può agevolare un clima inclusivo anche
migliorando il senso di appartenenza a un gruppo, ad esempio, festeggiando insieme per un
obiettivo raggiunto come gruppo classe. Questo permetterebbe a tutti gli alunni della classe di
sperimentare quegli apprendimenti riguardanti, non solo la didattica, ma anche quelli relativi alle
regole comportamentali di contesto, alle emozioni e alla comunicazione. In quest’ottica si può dire
che i vantaggi di questa strategia non sono solo per lo studente diversamente abile ma anche per i
suoi compagni che, grazie a questa esperienza, possono sperimentare la “diversità” in un contesto
controllato come la classe. Attivare queste competenze sociali ha effetti che si ripercuotono a livello
extrascolastico perché le reti di amicizie e le interazioni sperimentate in classe si svilupperanno
anche al di fuori della scuola con effetti positivi nella vita sociale dello studente disabile. In questo
modo si potrà evitare l'esclusione sociale e l'isolamento.

Conclusioni
Per molti studenti disabili la scuola può rappresentare l'unica esperienza di vita dove possono
apprendere e sperimentare capacità comunicative, affettive, comportamentali e sociali. La realtà,
infatti, di molti studenti disabili che finiscono il loro ciclo di studi è quella dell'esclusione sociale e
dell'isolamento senza un'adeguata rete di supporto. Il ruolo degli adulti di riferimento in classe, e
soprattutto dell'insegnante di sostegno, diventa cruciale per l'alunno disabile in quanto, se gli
obiettivi educativi non saranno perseguiti, egli non saprà comunicare, non saprà adeguare il suo
comportamento alle regole di contesto e infine non riuscirà a costruire e sperimentare quelle
relazioni in classe utili perché generalizzabili in ambito extrascolastico. Per queste ragioni la scuola
non può permettersi di concepire l'integrazione scolastica di uno studente disabile concentrandosi
solo sugli obiettivi didattici, ma deve affrontare e perseguire anche obiettivi educativi. Ogni
intervento deve essere progettato ad hoc per l’alunno disabile, partendo dal suo e solo suo personale
mondo bio-psico-sociale, dalle sue personali caratteristiche e idiosincrasie. Troppe volte si limita
l’attenzione ad un solo aspetto, senza considerare il problema nella sua interezza e questo causa un
enorme spreco di risorse con risultati insoddisfacenti o incompleti, che poi richiedono l’apporto di
migliorie successive. Per intervenire efficacemente è necessaria quindi non solo una progettazione
“su misura” ma anche il coinvolgimento di tutte le figure che ruotano intorno all’alunno disabile
(genitori, gli insegnanti, assistenti alla comunicazione, enti territoriali, logopedisti, compagni di
classe ecc…), tutte risorse che devono collaborare verso un obiettivo comune: la creazione di un
mondo in cui, l’accessibilità sia uguale per tutti, in cui ogni disabile o persona con difficoltà possa
sentirsi alla pari di chi è ‘normale’, senza problemi di autonomia o di discriminazione.

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