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ELENCO
1. Il Candidato, indichi, sulla base della normativa vigente, D.M. del 27 dicembre 2012-
Strumenti d'intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per
l'inclusione scolastica, quali sono le proposte operative che, nel rispetto dell'esercizio
dell'autonomia scolastica, promuovono una scuola inclusiva di qualità.
2. Il candidato illustri i principali paradigmi dell’inclusione scolastica nell’ottica dell’index for
inclusion e il diritto alla personalizzazione degli apprendimenti.
3. La Direttiva 27 dicembre 2012: “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi
Speciali (BES) e organizzazioni territoriali per l’inclusione scolastica”, sottolinea il fatto che in
ogni classe sono presenti alunni che richiedono una speciale attenzione. Il candidato illustri le
ragioni che non si esauriscono nella presenza esplicita di deficit che diano luogo ad una
certificazione ai sensi della L. 104/92, ma che viaggia attraverso i confini dell’inclusione.
4. Il candidato illustri e commenti: “La nozione di inclusione afferma l’importanza del
coinvolgimento di tutti gli alunni nella realizzazione di una scuola realmente accogliente, anche
mediante la trasformazione del curricolo e delle strategie organizzative, che devono diventare
sensibili all’intera gradazione delle diversità presenti tra gli alunni” (Dovigo, 2007).
5. Il candidato illustri come nell’attuale fase storico-sociale, la ‘diversità’ rappresenta per la
scuola l’elemento culturale fondante della propria azione, articolata in modo competente in una
pluralità di sostegni, da realizzare mediante indispensabili sinergie al suo interno e cooperazioni
solidali con la famiglia e il territorio.
6. Come adeguare gli obiettivi del disabile agli obiettivi della classe.
7. L'ingresso per la prima volta di un alunno con disabilità nella scuola Secondaria di Primo
Grado richiede che questa abbia un progetto di accoglienza specifico, attivo sin dai primi giorni
dell'inizio dell'anno scolastico della classe prima.
Il candidato esponga come il gruppo preposto all'inclusione in questo ordine di scuola debba
organizzare: - i diversi aspetti programmatici ed organizzativi di un progetto d'accoglienza, - i
diversi sistemi e sottosistemi relazionali da attivare.
8. L’importanza dell’adeguamento per la disabilità
9. Educazione emotiva e bullismo: ipotizzare una strategia d’intervento nella scuola secondaria
di I grado
10. Orientamento all’insegnamento in relazione al pensiero divergente
11. Normativa vigente che regola livello e struttura per la creazione del curricolo verticale
12. Riconoscere e valorizzare le diversità nella scuola. Il candidato descriva una o più strategie
nella scuola secondaria di I grado.
13. Il/la candidato/a definisca le competenze caratterizzanti il curriculum della scuola
secondaria di primo grado.
14. Il candidato progetti una UDA per una classe di scuola secondaria di primo grado su una
disciplina a scelta, considerando in classe un alunno con BES.
15. La didattica per le competenze implica una riflessione sui contesti e sulle prestazioni da
chiedere agli studenti. Si chiariscano i seguenti punti fondamentali: rapporto tra competenze,
prestazioni, costruzione di situazioni, “compiti di realtà” nel processo di apprendimento e di
valutazione.
16. Il pensiero divergente è un modo di valutare la realtà cercando di adottare diversi punti di
vista e di trovare soluzioni alternative ai problemi. Il/la candidato/a illustri, in non più di 15 righe,
come creare un ponte tra pensiero divergente e scuola per sviluppare abilità e competenze.
17. Il/la candidato/a illustri come funziona il PTOF (non più di 15 righe)
18. “Costruzione del sapere: il soggetto attua la propria rappresentazione della conoscenza
integrando contenuti nuovi a quelli pregressi (american psycological association, 1997 in penna e
stara, 2006).” Argomentare con modalità critico-rielaborative la citazione facendo cenni anche a
teorie e modelli socio-psico-pedagogici.
19. Delineare le peculiarità didattiche del cooperative learning
20. Delineare il rapporto tra empatia e intelligenza emotiva
21. Definire i presupposti teorico-metodologici per una didattica inclusiva.
22. Delineare i rapporti tra scuola, famiglie e territorio nella scuola dell’autonomia.
23. Il candidato progetti una UDA per una classe di scuola secondaria di primo grado su una
disciplina a scelta, considerando in classe un alunno con BES.
24. Delineare le peculiarità didattiche della lezione frontale.
25. Delineare il rapporto tra intelligenza ed emozione.
26. Definire percorsi di interventi educativi per la valorizzazione delle differenze.
27. Delineare le indicazioni nazionali dei piani di studio delle scuole secondarie di primo grado.
28. L'insegnamento è un'esperienza di relazione finalizzata a favorire sia l'apprendimento che
la crescita dell'autonomia della persona. Un docente di sostegno della scuola Secondaria di Primo
Grado deve saper costruire da subito una rete di relazioni, sia con il proprio alunno speciale che
con il contesto in cui opera.
Il candidato indichi come questo docente di sostegno possa:
− attivare una relazione educativa con l'alunno,
− attivare una relazione educativa con i docenti del team,
− attivare sistemi di relazioni con le altre figure preposte all'inclusione dell'alunno con
disabilità,
− creare un sistema di rete tra le scuole del territorio.
29) L'acquisizione delle autonomie è un elemento essenziale nel processo di inclusione degli
alunni diversamente abili. Alcuni soggetti che frequentano la scuola secondaria presentano
ancora difficoltà in questo ambito, soprattutto in relazione a significativi deficit cognitivi o
di altro genere. Il candidato illustri alcune modalità di intervento per facilitare l'acquisizione
di autonomie funzionali al progetto di vita di alunni con disabilità.
30) All'interno del curricolo della scuola secondaria si possono individuare argomenti che
consentono di realizzare una serie di attività operative, concrete (semplici esperimenti che
suscitano l’interesse, la curiosità cognitiva e la partecipazione) tese al coinvolgimento degli
alunni con disabilità. Il candidato produca alcune esemplificazioni con particolare riferimento
alla conoscenza e comprensione del mondo circostante.
31) Elaborare un esempio di progettazione didattica in una classe della scuola secondaria di
primo grado rivolto a promuovere l’apprendimento della seguente capacità facendo riferimento
ad una disciplina: padroneggiare un metodo di studio autonomo, corretto e funzionale.
32) “Poiché i ragazzi sono massimamente disponibili ad apprendere, ma molto resistenti agli
apprendimenti di cui non comprendono motivazione e significato, che vogliono sottometterli e
non responsabilizzarli, che non producano frutti di rilevanza sociale o di chiara crescita personale,
ma si limitino ad essere autoreferenziali, la Scuola secondaria di I grado è impegnata a radicare
conoscenze e abilità disciplinari e interdisciplinari sulle effettive capacità di ciascuno, utilizzando
le modalità più motivanti e ricche di senso, perché egli possa esercitarle, sia individualmente, sia
insieme agli altri, sia dinanzi agli altri” (Indicazioni Nazionali). Argomentare con modalità critico-
rielaborative la citazione facendo cenni anche a teorie e modelli socio-psico-pedagogici.
SVOLGIMENTO
TRACCIA 1
Il Candidato, indichi, sulla base della normativa vigente, D.M. del 27 dicembre 2012-
Strumenti d'intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale
per l'inclusione scolastica, quali sono le proposte operative che, nel rispetto dell'esercizio
dell'autonomia scolastica, promuovono una scuola inclusiva di qualità.
I principi che sono alla base del nostro modello di integrazione scolastica - assunto a punto di
riferimento per le politiche di inclusione in Europa e non solo - hanno contribuito a fare del sistema
di istruzione italiano un luogo di conoscenza, sviluppo e socializzazione per tutti, sottolineandone
gli aspetti inclusivi piuttosto che quelli selettivi. Forte di questa esperienza, il nostro Paese è ora in
grado, passati più di trent’anni dalla legge n.517 del 1977, che diede avvio all’integrazione
scolastica, di considerare le criticità emerse e di valutare, con maggiore cognizione, la necessità di
ripensare alcuni aspetti dell’intero sistema. Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di
un contesto sempre più variegato, dove la discriminante tradizionale - alunni con disabilità / alunni
senza disabilità - non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è
opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni
con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità
per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice
ristretta. A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico
ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua
totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi
del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno
prescindendo da preclusive tipizzazioni. In questo senso, ogni alunno, con continuità o per
determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici,
fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano
adeguata e personalizzata risposta. Va quindi potenziata la cultura dell’inclusione, e ciò anche
mediante un approfondimento delle relative competenze degli insegnanti curricolari, finalizzata ad
una più stretta interazione tra tutte le componenti della comunità educante. In tale ottica, assumono
un valore strategico i Centri Territoriali di Supporto, che rappresentano l’interfaccia fra
l’Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai Bisogni Educativi Speciali. Essi
pertanto integrano le proprie funzioni - come già chiarito dal D.M. 12 luglio 2011 per quanto
concerne i disturbi specifici di apprendimento - e collaborano con le altre risorse territoriali nella
definizione di una rete di supporto al processo di integrazione, con particolare riferimento, secondo
la loro originaria vocazione, al potenziamento del contesto scolastico mediante le nuove tecnologie,
ma anche offrendo un ausilio ai docenti secondo un modello cooperativo di intervento. Considerato,
pertanto, il ruolo che nel nuovo modello organizzativo dell’integrazione è dato ai Centri Territoriali
di Supporto, la presente direttiva definisce nella seconda parte le modalità di organizzazione degli
stessi, le loro funzioni, nonché la composizione del personale che vi opera. Nella prima parte sono
fornite indicazioni alle scuole per la presa in carico di alunni e studenti con Bisogni Educativi
Speciali.
TRACCIA 2
L’inclusione delle differenze è il tema di vita scolastica che, ancora oggi, movimenta di più il
mondo degli insegnanti. La conformazione che le classi presentano rispecchia la complessità
sociale odierna e, rispetto al passato, risulta certamente più articolata e pluralistica . Nelle classi la
presenza di alunni con disabilità certificata è una realtà variegata, inoltre, accanto a questi, sono
presenti anche allievi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), con situazioni psicosociali
e/o familiari problematiche, ragazzi con comportamenti complessi da gestire, o figli di stranieri.
Eppure sembra quasi che, in questo scenario di difficoltà, l’inclusione sia l’unico catalizzatore di
sforzi di cambiamento, di tentativi per rendere più significativa la didattica, il lavoro scolastico,
l’emozione della relazione e dell’apprendimento. La diversità, ancora oggi, è il fulcro di un
movimento evolutivo di qualità, certo difficoltoso, problematico, sofferto, ma reale. La continua e
incessante ricerca di qualità dell’inclusione è, in realtà la ricerca di una qualità del fa
re scuola quotidiano per tutti gli alunni. L’alunno “diverso” interroga ogni giorno e ogni giorno
chiede qualità.
La storia dell’inclusione scolastica non può essere disgiunta dalla scuola italiana. È stato un
percorso lungo partito dalla segregazione degli alunni disabili affidati inizialmente a Enti religiosi
privati (Legge Casati 1859). La Costituzione della Repubblica italiana, nel 1947 all’art. 3 “Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” disegna
un’eguaglianza formale, accompagnata da una eguaglianza sostanziale, che prevede il diritto
ad una dignità della “persona”, che deve essere messa in grado di esplicare pienamente le
proprie attitudini personali.
La “cura educativa” nei confronti dell’alunno disabile si esplica in un percorso formativo
individualizzato, al quale partecipano più soggetti istituzionali, privilegiando l’aspetto del
potenziamento dell’apprendimento e dell’autonomia, ben oltre la semplice “istruzione”.
La legge 104/92 rappresenta un punto di sintesi di importanza rilevante nel mondo della scuola e
dell’inclusione, momento di consolidamento e di stimolo. È con il Regolamento dell’Autonomia
scolastica, D.P.R. 275/99 che viene sancito il diritto per tutti al successo formativo, la Legge di
Riforma n. 53/03 si spinge ancora oltre, sottolineando il diritto di tutti gli alunni alla
personalizzazione dei percorsi di apprendimento. Le Linee Guida per l’integrazione degli alunni
con disabilità del 2009 sono il documento, che presenta la decisione italiana dell’inclusione
scolastica come un processo irreversibile, conseguente alla scelta “coraggiosa” che ha aperto le
classi “normali” affinché diventassero per tutti effettivamente “comuni”.
Uno dei punti più rilevanti , in campo normativo, è senz’altro individuabile nella Convenzione
ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge
18/2009, che impegna tutti gli stati firmatari a provvedere a forme di integrazione scolastica nelle
classi comuni, condizione che è, appunto, la specificità italiana. Val la pena sottolineare che il
rinnovamento metodologico auspicato per incontrare i bisogni “speciali” degli alunni con DSA si
applica con successo a tutti gli alunni della classe. In questo senso, la trasformazione della didattica
e della metodologia al fine di assicurare il successo formativo di particolari “categorie” di alunni
può diventare occasione di miglioramento generalizzato della qualità del fare scuola.
TRACCIA 3
La Direttiva 27 dicembre 2012: “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi
Speciali (BES) e organizzazioni territoriali per l’inclusione scolastica”, sottolinea il fatto che
in ogni classe sono presenti alunni che richiedono una speciale attenzione. Il candidato illustri
le ragioni che non si esauriscono nella presenza esplicita di deficit che diano luogo ad una
certificazione ai sensi della L. 104/92, ma che viaggia attraverso i confini dell’inclusione.
L’iter normativo presentato mostra come la scuola italiana si proponga di essere una scuola
inclusiva, dove cioè il Diritto all’istruzione è inteso come diritto che deve essere riconosciuto a tutti,
che si fonda su valenze di tipo pedagogico e sociale che prevedono anche un approccio che può e
deve essere “personalizzato”. Attualmente, in letteratura, ai
termini inserimento, integrazione e inclusione vengono attribuiti significati diversi. Il
termine inclusione li supera e li ricomprende tutti. Inizialmente si parlava di “inserimento” dei
disabili nella scuola comune. Il termine fa riferimento ad un processo additivo, in base al quale si
“aggiunge” un soggetto in più ad un gruppo, con il sottointeso intento di fare in modo che questi
riesca in qualche modo ad adattarsi al “funzionamento” del resto del gruppo. L’inserimento si
sostanzia nella coesistenza nello stesso luogo fisico, non pone interesse alla qualità degli scambi
relazionali tra i soggetti compresenti. Questa filosofia ha portato per molto tempo ad identificare in
una presunta “socializzazione” l’obiettivo fondamentale, se non addirittura esclusivo, della presenza
dei “diversi” in classe, fino a trattare la socializzazione come obiettivo di riserva, atto a giustificare
l’inclusione stessa: “L’alunno non ha imparato, ma ha socializzato” e tanto basta. Se parliamo
invece di “integrazione” facciamo riferimento ad una relazione biunivoca tra il soggetto integrato
ed il gruppo integrante, ovvero sottolineiamo il valore di uno scambio. Il soggetto “integrato” riceve
dal gruppo e a sua volta dà qualcosa al gruppo stesso. L’integrazione presuppone il fatto che
l’alunno “diverso” guadagni qualcosa nel contesto dei “normali”, ma a sua volta anche i compagni
abbiano qualcosa da ricevere. E, in effetti, il contatto con un coetaneo caratterizzato da un diverso
funzionamento impegna i compagni in uno sforzo cognitivo ed empatico altamente stimolante da
diversi punti di vista, sicuramente arricchente. In questi ultimi anni il tradizionale vocabolo
“integrazione” è stato gradualmente sostituito, a livello internazionale, nei documenti e nei
discorsi ufficiali ed informali, da quello di “inclusione”. Non si tratta di una semplice
variazione, ma di un rimando a scenari educativi molto diversi. Questa multiformità di
elementi tutti diversi presenti nelle classi esprime bisogni diversi e quindi la necessità di
approcci speciali-specifici per ciascuno. Si parla infatti di Bisogni Educativi Speciali. L’idea di
integrazione muove dalla premessa che è necessario “fare spazio” al “diverso” nel contesto
scolastico.
TRACCIA 4
Il candidato illustri e commenti : “La nozione di inclusione afferma l’importanza del
coinvolgimento di tutti gli alunni nella realizzazione di una scuola realmente accogliente, anche
mediante la trasformazione del curricolo e delle strategie organizzative, che devono diventare
sensibili all’intera gradazione delle diversità presenti tra gli alunni” (Dovigo, 2007).
Dovigo propone questa visione complessiva, delle tre dimensioni dell’agire pedagogico e non solo,
strettamente unite: l’integrazione, l’inclusione e la full inclusion. Esse devono coesistere, come
raffigurato nello schema sottostante, rinforzarsi vicendevolmente e non opporsi in nome di una
presunta superiorità dell’una sull’altra. Quindi l’inclusione come risorsa porta a personalizzare la
didattica e l’alunno è co-protagonista della propria maturazione e del proprio processo di crescita.
L’offerta formativa viene calibrata sull’unicità che caratterizza il bisogno di ciascun ragazzo. Si
cura l’accrescimento dei punti di forza e lo sviluppo dei talenti individuali, così come si sostengono
le fragilità, attraverso la ricerca di metodologia e strategie didattiche adeguate e di misure
compensative o dispensative opportune. raggiunti, nell’ottica di una valutazione autentica per
l’apprendimento e non dell’apprendimento. L’inclusione come risorsa ha evidenziato la necessità di
conoscere sempre meglio gli alunni. E quindi ha indotto a cercare un nuovo strumento conoscitivo.
Si è introdotto, in forma sperimentale un modello di classificazione secondo l’International
Classification Functioning (ICF) che propone una visione nuova del concetto di salute, intesa come
globale benessere bio-psico-sociale della persona.Il sistema ICF propone una prospettiva
antropologica dell’uomo che va oltre l’inquadramento nosologico di un’eventuale disabilità: è
infatti un sistema di classificazione che descrive il funzionamento umano, evidenziando eventuali
problemi, in relazione al contesto ambientale di riferimento. Nella prospettiva dell’ICF, la
partecipazione alle attività sociali di una persona con una disabilità, di qualunque tipo sia, è
determinata dall’interazione della sua condizione di salute (a livello di strutture e di funzioni
corporee) con le condizioni ambientali, culturali, sociali e personali (fattori contestuali), in cui essa
vive. Il modello bio-psico-sociale prende in considerazione i molteplici aspetti di una persona,
correlando la condizione di salute e il suo contesto, pervenendo ad una definizione di disabilità
come “una determinata condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. La salute viene valutata
complessivamente secondo tre dimensioni: biologica, individuale e sociale, superando la
concezione meramente medica e medicalizzante della disabilità. È in sostanza il passaggio da un
approccio individuale ad uno socio-relazionale nello studio della disabilità, dei deficit e dei disturbi.
La disabilità viene dunque intesa come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra
la condizione di salute di un individuo, fattori personali e fattori ambientali che rappresentano le
circostanze in cui egli vive. Ne consegue che ogni individuo, date le proprie e specifiche condizioni
di salute, può trovarsi, in un particolare momento della sua vita, in un ambiente con caratteristiche
che possono limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di partecipazione sociale.
La progettazione didattica sviluppata ha le caratteristiche dell’intenzionalità in quanto nasce da una
riflessione e mira a uno scopo: la formazione del ragazzo; della contestualizzazione perché è riferita
a quell’alunno e alla sua storia; della sistematicità perché procede giorno dopo giorno in un
processo continuo fatto spesso di piccoli passi uno dopo l’altro e della flessibilità perché si adatta ai
cambiamenti. Quindi è una progettazione e non una programmazione perché nel programmare si
ha una visione didattica verticale già stabilita, una sorta di addestramento, con obiettivi da
raggiungere, tempi da rispettare, adatti a tutte le classi. L’insegnante sa e l’alunno deve apprendere
quello che ha detto il docente. L’organizzazione precede ed è prevalente rispetto all’attuazione.
TRACCIA 5
Il candidato illustri come nell’attuale fase storico-sociale, la ‘diversità’ rappresenta per la
scuola l’elemento culturale fondante della propria azione, articolata in modo competente in
una pluralità di sostegni, da realizzare mediante indispensabili sinergie al suo interno e
cooperazioni solidali con la famiglia e il territorio.
Nella messa a fuoco di tale azione significativa, la scuola si è confrontata con il radicale
cambiamento che ha caratterizzato la propria progettualità educativa e le prassi organizzativo-
didattiche, sostanzialmente determinato, tra gli anni Settanta e Novanta, dall’accesso alla scuola, per
via ‘normativa’, di tutti degli allievi con disabilità: dalla legge 118/1971, alla legge L.517/1977, alla
Sentenza della Corte Costituzionale n.215/1987, alla legge quadro n.104/1992 e al D.P.R del
19941 . Si tratta di norme che hanno anticipato, per certi versi, lo sviluppo della sensibilità pubblica
lungo l’itinerario scandito dalle fasi che vanno dall’esclusione e dalla correlativa
istituzionalizzazione separata, all’inserimento e all’integrazione, e infine all’inclusione e alla
partecipazione. A fronte di ciò, tuttavia, è da ricordare che sono state anche le buone prassi
sperimentate dalla scuola che hanno dato una forte spinta alle iniziative legislative stesse, incidendo
in modo rilevante sul loro ingresso nel contesto scolastico e sociale. In questo quadro dinamico si
sono progressivamente sviluppati il dibattito e il tentativo di condivisione in primis del significato
di integrazione e di inclusione e, più di recente, anche quello di partecipazione collegato ai bisogni
educativi speciali (BES), sostenuti dalla ricerca scientifica più accreditata in materia e dall’ampia
letteratura nazionale e internazionale. Su tali temi, esse hanno fornito un contributo rilevante
all’arricchimento del quadro concettuale, pur nelle perduranti incertezze terminologiche e, talvolta,
decisionali rispetto agli interventi più adeguati che ne dovrebbero conseguire. Tuttavia
fondamentale, come sostiene Canevaro [2006, p.115], è riconoscere che «la prospettiva
dell’integrazione, del riconoscimento dei diritti dei più deboli, del non ammettere la segregazione,
l’umiliazione, la separazione, parte da una volontà. È una prospettiva difficile, ma il punto di
partenza rimane la volontà. Bisogna percorrere la strada [e] dove c’è volontà c’è un sentiero».
Questa riflessione aiuta a rendere chiari i concetti-chiave della didattica inclusiva, che orientano la
scuola nella concretizzazione dei diritti individuali, della partecipazione alla comunità,
dell’uguaglianza di accesso e di successo, affinché non restino mere affermazioni di principio, ma
siano riconducibili a principi-guida delle pratiche educative e del curricolo, tali da permettere che
ogni allievo possa apprendere nel migliore dei modi e al massimo livello possibile. Scaturisce da
tali convinzioni che la rimozione delle barriere che ostacolano l’apprendimento e la partecipazione
di ciascun alunno alla vita scolastica rappresenta il fondamento dell’educazione inclusiva, i cui
principi ispiratori, radicati nella lotta alla discriminazione, alla diseguaglianza e all’esclusione
dall’istruzione in particolare delle fasce più deboli, sono tesi ad orientare le politiche e le strategie
socioculturali ed economiche dei Paesi per rendere davvero reale l’educazione per tutti. La
dimensione scolastica inclusiva riguarda tutti gli alunni [Booth, Aiscow, 2002; MIUR, 2012, 2012a,
2013] e va correlata in modo significativo alla più ampia dimensione inclusiva dell’intera società,
mettendo così in evidenza che i processi che vengono attivati costituiscono l’esito di un intreccio di
competenze e responsabilità plurime e non possono essere a carico soltanto della scuola. Essi
devono piuttosto convergere nelle sinergie reciproche tra quest’ultima e la comunità sociale,
attraverso il perseguimento di fini comuni e la condivisione dei valori di giustizia, di equità,
sussidiarietà e solidarietà, per promuovere davvero l’innalzamento della qualità dei traguardi
formativi per tutti. Devono cioè cadere progressivamente le barriere che si frappongono
all’apprendimento e alla partecipazione e far sì che la scuola si confronti dialetticamente con le
proprie politiche organizzative e gestionali, rivedendo, se necessario, le proprie culture e prassi
didattiche affinché possano corrispondere in modo sempre più efficace alle diversità in essa
presenti. Si tratta dunque di continuare il cammino per l’integrazione verso l’inclusione che, come
sappiamo, è segnato dall’incontro tra i linguaggi di frontiera della diversità, che hanno saputo
indicare alla società civile la necessità di conoscere meglio, ‘frequentandole’, le instabilità, le
precarietà inconsuete e spesso creative, le sensibilità ‘differenti’ e le nuove coscienze che hanno
permesso di superare, sotto il profilo concettuale ed etico, i dualismi uguale/diverso,
fermo/instabile, costante/incostante, per approdare in zone dell’essere e dell’esserci più ricche e di
maggiore consapevolezza.
6) Quesito – Come adeguare gli obiettivi del disabile agli obiettivi della classe
Svolgimento
L’adeguamento del percorso didattico del disabile a quello della classe potrebbe essere una buona
occasione, per gli insegnanti, per riflettere su quale modello didattico utilizzare per agevolare
l’integrazione. Il modello didattico per problemi? Quello per concetti? Quello per sfondo
integratore? Il modello della didattica breve? Quello per obiettivi? Ciascuno di questi modelli
contiene in sé un buon potenziale per l’integrazione, ma il modello più utilizzato è quello per
obiettivi, sicuramente per le sue implicazioni positive rispetto ai processi di individualizzazione (la
scansione degli obiettivi, degli argomenti, il rispetto dei tempi e delle caratteristiche del soggetto, la
preoccupazione circa la verificabilità dei risultati). Una volta selezionato il modello, ai docenti
viene richiesto un grande impegno per adattare gli obiettivi del disabile a quelli della classe. Dario
Ianes individua cinque livelli di adeguamento degli obiettivi in relazione alla gravità del deficit,
procedendo dal meno grave al più grave:
1° livello : la sostituzione. L’obiettivo non si semplifica, ma viene curata solo l’accessibilità dei
codici linguistici (lingua dei segni, materiale in Braille, registrazioni audio dei testi ).
2° livello : la facilitazione. Per garantire il raggiungimento dell’obiettivo è sufficiente utilizzare
tecnologie più motivanti (ad esempio software didattici) e contesti didattici fortemente interattivi e
operativi (tutoring, gruppi di apprendimento cooperativo, laboratori, simulazioni etc.).
3° livello: la semplificazione. Si modifica il lessico, si riduce la complessità concettuale, si
eseguono le operazioni di calcolo utilizzando la calcolatrice, si modificano i criteri di corretta
esecuzione di un compito (consentendo più errori e imprecisioni).
4° livello: scomposizione nei nuclei fondanti. Nell’epistemologia di un sapere disciplinare si
identificano delle attività fondanti e accessibili al livello di difficoltà di cui abbiamo bisogno.
5° livello : La partecipazione alla cultura del compito. Si cerca di trovare occasioni perché l’alunno
sperimenti, anche se soltanto da spettatore, la “cultura del compito” (il clima emotivo, la tensione
cognitiva, i prodotti elaborati, etc.). Nella vita di ogni giorno noi partecipiamo ad una infinità di
situazioni, pur non avendo in esse particolari competenze. Ci sono settori dei quali non sappiamo
molto, ma non per questo ci esoneriamo dal partecipare all’atmosfera culturale ricavandone
sollecitazioni importanti sul piano personale. In una classe che attua l’integrazione si verificano
dinamiche analoghe. In base alla gravità del deficit, i docenti possono scegliere il livello di
semplificazione degli obiettivi che reputano più idoneo per l’alunno disabile.
Nella scuola secondaria di primo grado la situazione si fa più complessa rispetto ai gradi precedenti
perché la distanza fra gli obiettivi della classe e le effettive potenzialità del disabile tende ad
aumentare. Tuttavia si possono ancora individuare obiettivi comuni: in una classe prima, ad
esempio, vengono programmate attività per insegnare ai ragazzi a comunicare verbalmente in modo
adeguato. E’ una buona occasione per lavorare anche con l’allievo con disabilità individuando
obiettivi specifici al suo livello: dire il proprio nome in risposta ad una domanda, chiedere in
prestito una matita oppure esprimere il proprio punto di vista, accettare il punto di vista dell’altro.
Nell’ambito storico, un obiettivo adatto anche ad alunni con disabilità che non sanno leggere può
essere: ordinare cronologicamente fatti ed eventi. Questo obiettivo permette di sistemare su di una
tabella fatti ed eventi secondo un ordine cronologico e insegnare il concetto di prima e dopo anche
ad un allievo con difficoltà di apprendimento. In ambito geografico, troviamo l’obiettivo leggere
mappe e carte. Anche questo obiettivo può essere raggiunto a diversi livelli di complessità: alcuni
leggeranno le carte per programmare un viaggio, altri impareranno a guardare le carte per conoscere
il tragitto da casa a scuola.
7) Quesito - L'ingresso per la prima volta di un alunno con disabilità nella scuola Secondaria
di Primo Grado richiede che questa abbia un progetto di accoglienza specifico, attivo sin dai
primi giorni dell'inizio dell'anno scolastico della classe prima.
Il candidato esponga come il gruppo preposto all'inclusione in questo ordine di scuola debba
organizzare:
- i diversi aspetti programmatici ed organizzativi di un progetto d'accoglienza,
- i diversi sistemi e sottosistemi relazionali da attivare.
Svolgimento
L’accoglienza degli alunni è ritenuta un momento fortemente sentito del nostro Istituto, poiché dare
il benvenuto ai nuovi alunni facendoli sentire “accettati e amati” fin da subito è una priorità.I primi
giorni di scuola, infatti, segnano per i ragazzi e le loro famiglie l’inizio di “un tempo nuovo” carico
di aspettative ma anche di timori; il periodo dell’accoglienza si pone quindi come tappa fondante
per l’avvio proficuo del percorso formativo del discente .
Una didattica flessibile unita all’utilizzazione di diversi tipi di linguaggio permette di instaurare un
clima sereno e collaborativo e di dare a tutti la possibilità di esprimersi e di integrarsi. Tale percorso
di accoglienza, si realizza attraverso un la piena collaborazione di tutti gli insegnanti della Scuola
Secondaria di Primo Grado e viene attivato affinché l’alunno si senta a proprio agio e viva il
passaggio di ordine senza difficoltà, riuscendo a relazionarsi con gli altri nel modo che gli è più
congeniale. Ciò lo condurrà a realizzare il proprio percorso formativo in modo sereno e senza
traumi.Nella Scuola Secondaria di Primo Grado il progetto accoglienza prevede che il primo giorno
di scuola vi sia la presenza del Dirigente Scolastico e di tutti gli insegnanti del nuovo ordine di
scuola al fine di accogliere alunni e genitori nel miglio modo possibile.
Nei giorni successivi gli allievi realizzeranno alcune attività mirate sia alla conoscenza degli alunni
e dei docenti, sia all’esplicitazione delle aspettative, dei timori e alle impressioni avute all’ingresso
di questo nuovo corso di studi.
È prevista la realizzazione di schede, cartelloni tematici, manufatti artistici in cui ogni alunno avrà
uno spazio per rifletter su di se e sul nuovo ambiente. Per le classi prime il progetto verrà realizzato
durante la prima settimana di scuola, mentre per le classi seconde e terze avrà la durata di tre giorni.
Gli alunni portatori di handicap dovranno avere un ruolo attivo nel progetto. Le attività previste
saranno strutturate in modo tale da permettere l’inserimento di questi bambini, tenendo conto della
specificità dei bisogni. Saranno valutate, caso per caso, le possibilità di inserimento nei gruppi di
lavoro.
FINALITA’
- Facilitare un progressivo adattamento alla realtà scolastica, attraverso l’esplorazione di uno
spazio accogliente, sereno e stimolante per una positiva socializzazione (alunni nuovi);
OBIETTIVI
- Accoglienza degli alunni e dei genitori da parte del Dirigente e di tutto il personale
scolastico;
- Far conoscere gli spazi, le strutture, gli organismi della scuola e le relative funzioni;
- Coinvolgere gli alunni e le loro famiglie nel progetto educativo e formativo che la scuola
propone;
- Far conoscere gli obiettivi didattici, i contenuti, i metodi, gli strumenti e i criteri di
valutazione delle singole discipline;
BISOGNI
- Affettivi: ascolto, comprensione, comunicazione, sicurezza, stabilità e accettazione;
Ogni progetto per definirsi inclusivo e che mira all’accoglienza deve rispettare quindi i parametri e
le modalità attuative sopra indicate ; solo cosi si potrà raggiungere la vera inclusione
Svolgimento
Se la programmazione individualizzata viene costruita senza conoscere la programmazione della
classe si commette un gravissimo errore ai fini dell’integrazione. In molte situazioni
l’individualizzazione è stata interpretata come sinonimo di separazione, di lavoro individuale
condotto dall’insegnante di sostegno, dentro e fuori la classe. Bisogna “ricercare la massima
individualizzazione delle attività garantendo nel contempo una effettiva inclusione nella classe” (L.
COTTINI). Per questo è necessario che i docenti di sostegno e i docenti curricolari lavorino insieme
in maniera da poter selezionare obiettivi, contenuti e attività che possono essere scanditi secondo
diversi livelli di difficoltà e che si pongano come finalità:
• Creare un clima inclusivo
La condizione imprescindibile per realizzare progetti di integrazione è che il disabile si senta
“accolto” nella classe. Non ha senso, infatti, parlare di adeguamento di obiettivi e di materiali ai
bisogni del disabile, se non si è creato un clima di accettazione reciproca nel rispetto delle
differenze individuali. Il concetto di inclusione, cioè “l’appartenenza ad un gruppo pur conservando
la propria peculiarità”, richiama altri due concetti: quello di normalità e quello di specialità. (S.
ANDRICH S. e L. MIATO) La normalità risponde al bisogno di sentirsi considerati e trattati alla
stessa stregua degli altri. la specialità risponde al bisogno di sentirsi diversi dagli altri. Facciamo un
esempio per spiegare meglio questi concetti: se in una scuola viene offerta a tutti i ragazzi la
possibilità di scegliere, tra molte proposte, il laboratorio a cui partecipare, si vengono a coniugare il
bisogno di normalità (a tutti viene data la possibilità di scegliere) e di specialità (la scelta tiene
conto delle preferenze personali). Andrich e Miato, in un loro studio sulla inclusività delle classi,
indicano cinque coordinate:
1) l’alunno disabile deve rimanere in classe per il maggior tempo possibile;
2) l’alunno disabile deve fare il più possibile le stesse cose che fanno i suoi compagni;
3) l’alunno disabile deve il più possibile essere posto nelle stesse condizioni formative degli altri
studenti;
4) i migliori insegnanti di sostegno sono i suoi compagni;
5) gli spazi di un’aula inclusiva devono essere ampi.
Curare la qualità delle relazioni e l’allestimento di un setting educativo adeguato diventano, allora,
delle assolute priorità, perchè se l’alunno disabile si sente accolto e incoraggiato, valorizzato e
integrato nel gruppo classe, allora è nelle condizioni per sviluppare al meglio anche la propria
dimensione cognitiva.
In una classe che attua l’integrazione si verificano dinamiche analoghe (P. ROLLERO). In base alla
gravità del deficit, i docenti possono scegliere il livello di semplificazione degli obiettivi che
reputano più idoneo per l’alunno disabile. Riportiamo ora qualche esempio di adeguamento riferito
ai diversi ordini di scuola. Per la scuola primaria, prendiamo il caso di un bambino inserito in una
prima classe impegnata nell’apprendimento della lettura e della scrittura con il metodo fonetico. Il
bambino disabile non è ancora pronto per questo obiettivo perchè non ha ancora acquisito la
capacità di discriminare. Se si considerano solo i bisogni cognitivi dell’allievo si è tentati di
lavorare sulla discriminazione di colori o forme geometriche, ignorando quello che fa il resto della
classe; se invece ci sta a cuore che il bambino partecipi al lavoro dei compagni, potremmo
sollecitarlo ad acquisire l’abilità di discriminare utilizzando grandi lettere dell’alfabeto in stampato
maiuscolo. Nell’ambito linguistico, obiettivi come saper ascoltare, saper comunicare, sono quasi
sempre alla portata degli allievi disabili. Altri obiettivi come saper leggere, saper comprendere,
saper produrre testi scritti si prestano ad essere utilizzati come punto di partenza di una
programmazione individualizzata che tenga conto di quello che fanno i compagni. Nella scuola
secondaria la situazione si fa più complessa perché la distanza fra gli obiettivi della classe e le
effettive potenzialità del disabile tende ad aumentare. Tuttavia si possono ancora individuare
obiettivi comuni: in una prima media vengono programmate attività per insegnare ai ragazzi a
comunicare verbalmente in modo adeguato. È una buona occasione per lavorare anche con l’allievo
disabile individuando obiettivi specifici al suo livello: dire il proprio nome in risposta ad una
domanda, chiedere in prestito una matita oppure esprimere il proprio punto di vista, accettare il
punto di vista dell’altro. Nell’ambito storico, un obiettivo adatto anche ai disabili che non sanno
leggere può essere: ordinare cronologicamente fatti ed eventi. Questo obiettivo permette di
sistemare su di una tabella fatti ed eventi secondo un ordine cronologico e insegnare il concetto di
prima e dopo anche ad un allievo con difficoltà di apprendimento. In ambito geografico, troviamo
l’obiettivo leggere mappe e carte. Anche questo obiettivo può essere raggiunto a diversi livelli di
complessità: alcuni leggeranno le carte per programmare un viaggio, altri impareranno a guardare le
carte per conoscere il tragitto da casa a scuola. Lo scopo principale di tutto questo lavoro
sull’adattamento degli obiettivi è quello di cercare di evitare situazioni di emarginazione. Non
dobbiamo, quindi, chiederci se è utile che un disabile che ha ancora bisogno di consolidare abilità di
base possa trarre giovamento da un lavoro sulla vita degli antichi Romani sul quale la classe è
impegnata. Se allarghiamo il campo di analisi da quello cognitivo a quello sociale, allora
sicuramente il lavoro sugli antichi Romani assume una importanza fondamentale perché costituisce
una occasione per lavorare con e come gli altri compagni. Le situazioni in cui l’alunno disabile sarà
costretto a lavorare individualmente e su contenuti non comuni al resto della classe sicuramente non
mancheranno, ma bisogna saperle gestire. Il ricorso al modello dell’insegnamento separato rispetto
al resto della classe trova una sua legittimazione solo se gli altri compagni svolgono anch’essi un
lavoro individuale e se l’intervento da parte degli insegnanti viene rivolto a tutti gli alunni e non
solo a quelli con problemi.
• Adeguare gli obiettivi della classe alle esigenze del disabile
Se gli sforzi di adeguamento delle attività della classe vengono richiesti solo all’alunno disabile,
non possiamo parlare di una vera integrazione. Questa infatti, come abbiamo già precisato, richiede
sia al gruppo accogliente che all’allievo inserito una serie di cambiamenti capaci di consentire loro
occasioni di collaborazione e aiuto reciproco. Ma per la classe in cosa consiste il cambiamento?
Vuol dire fare qualcosa di estremamente produttivo ai fini dell’integrazione: adeguare i suoi
obiettivi alle esigenze del disabile, con la consapevolezza che questo adeguamento possa giovare ad
entrambi. Vediamo ora nel concreto quali attività la classe potrebbe realizzare per tendere una mano
al compagno in difficoltà e quali vantaggi, sul piano cognitivo, essa può trarre da questa esperienza.
Non si tratta di chiedere ad un bambino di quinta elementare di ritornare a ripetere l’alfabeto, ma di
cercare tutte le occasioni possibili per avvicinarsi al lavoro del disabile. Se, per esempio, un
bambino sta lavorando sulla discriminazione dei colori, si possono programmare delle lezioni sullo
spettro solare e i colori dell’iride; se sta imparando la successione dei numeri servendosi della retta
numerica, la classe può lavorare sugli assi cartesiani che, in fondo, non sono altro che due rette
numeriche perpendicolari (F. CELI) Queste che abbiamo indicato sono operazioni estemporanee
che saltuariamente possono essere realizzate in una classe. In maniera più sistematica possono
essere programmate le seguenti attività:
- Il ripasso frequente degli argomenti di studio. Rappresenta un primo tentativo di andare incontro
alle esigenze del compagno più debole e non è detto che sia una perdita di tempo per la classe.
Spesso, infatti, nelle classi non sono pochi gli alunni che hanno bisogno di ripetere parti del
programma non ancora assimilate.
- L’operatività estesa a tutte le discipline, e non solo a quelle tecniche o artistiche. Agevola
sicuramente l’apprendimento del disabile perchè risponde al suo bisogno di concretezza, ma
costituisce anche una occasione preziosa per tutti quegli alunni che vivendo con fatica l’esperienza
scolastica, possono trarre motivazione dalle attività pratiche (costruire cartelloni, fare esperimenti,
utilizzare il mezzo informatico ai fini didattici, etc.).
- Il lavoro sulle abilità di studio. Consiste in particolare nell’ evidenziare il concetto chiave di un
brano di lettura, nel sottolineare le parti più importanti e nello schematizzare in maniera gerarchica i
concetti. Rappresenta un’attività molto preziosa per un soggetto in difficoltà e costituisce, per la
classe, un’occasione per abbandonare una concezione esclusivamente nozionistica dello studio e
intraprendere un percorso più attento ai processi che ai contenuti. Abbiamo visto come la presenza
in classe dell’alunno disabile può diventare una opportunità positiva per tutti. Nel programmare le
attività per la classe, non sempre si presta la dovuta attenzione alle esigenze del disabile e questo
avviene soprattutto per tre motivi:
1) il rallentamento dei lavori della classe (i programmi sono ampi e non si può modificare il
percorso o tornare indietro per aspettare il compagno più lento);
2) la convinzione che i diritti della maggioranza a svolgere il proprio programma siano prioritari
rispetto ai diritti del disabile che è solo;
3) la convinzione di non avere nulla da guadagnare nel tornare indietro nel programma,
nell’utilizzare modalità operative per la comprensione di concetti astratti, nell’aiutare alunni in
difficoltà (F. CELI). Logiche di questo tipo difficilmente portano ad una reale integrazione.
11. Normativa vigente che regola livello e struttura per la creazione del curricolo verticale
Il curricolo, secondo quanto stabilito dalle Indicazioni Nazionali del 2012, è espressione della
libertà di insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita le scelte della
comunità scolastica e l’identità di istituto
Il curricolo può essere definito come uno strumento di organizzazione dell’apprendimento, frutto di
un lavoro collettivo, interno alla scuola, di “traduzione” delle Indicazioni Nazionali, attraverso
modalità di lavoro attuabili e contestualizzate, flessibili ma al tempo stesso utili come traccia
“strutturante”, per una didattica ben articolata e orientata all’acquisizione di competenze.
La progettazione del curricolo, costruito collegialmente e localmente, è un’occasione per stringere
un patto sia tra docenti che tra scuola e territorio, facendo della realtà locale un ambiente che
diventa comunità educante. È anche un’occasione per il corpo docente per rinnovare la riflessione
sulle proprie scelte didattiche, sulla necessità di stabilire una coerenza tra prassi quotidiane e
Indicazioni ministeriali, nell’ottica di una didattica generativa, orientata alla costruzione di
competenze.
Il curricolo si assicura che ci sia continuità orizzontale, ovvero quando ci si riferisce alla
comunicazione e allo scambio tra le diverse agenzie educative coinvolte nel processo formativo:
scuola, istituzioni, famiglia, territorio.
La continuità è verticale invece, riguarda la continuità tra i diversi ordini di scuola e tra classi dello
stesso istituto: la classe va concepita come un insieme duttile e dinamico, in grado di interagire con
l’esterno e con le altre classi, in modo da raggiungere un equilibrio sincronico nel quale le
componenti delle diverse classi si fondono, per dar vita a gruppi organizzati capaci di rispondere
alle diverse esigenze legate all’apprendimento. Mediante la continuità è possibile creare strategie
trasversali e mirate al recupero o mettere in piedi percorsi tematici per coinvolgere particolari
categorie di alunni.
Il curricolo verticale, strumento metodologico e disciplinare che affianca il progetto educativo,
delinea un iter formativo unitario, graduale e coerente, continuo e progressivo, verticale e
orizzontale, delle tappe e delle scansioni d'apprendimento dell'alunno, con riferimento alle
competenze da acquisire sia trasversali, rielaborate cioè da quelle chiave di cittadinanza, sia
disciplinari. Progettare un Curricolo Verticale significa valorizzare al massimo le competenze dei
professionisti che lavorano nei diversi gradi della scuola, chiedendo loro di lavorare insieme con
flessibilità e reciproca curiosità, e al tempo stesso dare massima fiducia agli studenti, immaginando
per loro un percorso che tenga conto del bagaglio di competenze che gradualmente vanno ad
acquisire, tra elementi di continuità e necessarie discontinuità.
Progettare un Curricolo Verticale non significa quindi solo dare una distribuzione diacronica ai
contenuti didattici. Significa progettare un percorso unitario scandito da obiettivi graduali e
progressivi, che permettano di consolidare l’apprendimento e al tempo stesso di evolvere verso
nuove competenze, imparando a lavorare in sinergia e contaminando modalità didattiche fino ad
oggi di appartenenza esclusiva dell’uno o dell’altro grado scolastico.
12. Riconoscere e valorizzare le diversità nella scuola. Il candidato descriva una o più
strategie nella scuola secondaria di I grado.
Nella scuola di oggi esistono classi eterogenee. La classe eterogenea è costituita da un gruppo di
soggetti diversi in termini di sesso, educazione, abilità, paese d'origine ecc. Questo cambiamento
coinvolge anche la scuola secondaria di I grado. Se in passato vi erano classi omogenee poiché
veniva prediletto un percorso educativo lineare e comune per un gruppo con caratteristiche simili,
oggi non è più così perché con il tempo si è capito la valenza della eterogeneità nella scuola.
Lo sviluppo affettivo consiste nell'avere atteggiamenti positivi e sentimenti di amicizia, di simpatia,
di fiducia verso se stessi e gli altri, di amore. Il discente diventa consapevole dei propri diritti e di
quelli degli altri; afferma la sua identità personale, sa di avere una storia familiare, conosce le
tradizioni della sua famiglia e del suo paese. Gli insegnanti devono cercare di coinvolgere tutti i
nelle attività didattiche, devono decondizionare tutti gli aspetti negativi acquisiti nell'ambiente
familiare e sociale svantaggiato, devono arginare o eliminare gli atteggiamenti aggressivi e poco
rispettosi nei confronti degli altri, devono promuovere atteggiamenti di educazione, di rispetto, di
solidarietà e amicizia. La eterogeneità si manifesta anche in termini di diversità dei paesi d'origine.
Negli ultimi anni si è adottata nelle scuole una politica di inclusione per gli alunni stranieri. Questa
“diversità” non deve essere considerata un impedimento nel percorso educativo ma al contrario essa
rappresenta un arricchimento. L'obiettivo per l'insegnante sarà quello di valorizzare l’unicità della
singola identità culturale di ognuno e di promuovere l'integrazione e l'interazione della nostra
cultura con le altre. Questo scambio culturale deve trasformarsi in un’opportunità per tutti e a tal
proposito gli insegnanti devono promuovere un dialogo aperto e costruttivo basato sulla
condivisione di esperienze, abitudini e tradizioni di vita diverse. Infine, un'altra forma di
eterogeneità è la presenza nella classe soggetti in difficoltà (DSA) o diversamente abili. In questo
caso il discente sin da subito imparerà a vivere la diversità e non ad emarginarla. Ognuno può
incontrare delle difficoltà, anche i “normodotati”, soprattutto quando si è “scolari”; gli
atteggiamenti da promuovere sono quelli di inclusione, integrazione e inserimento. Per questo
motivo vennero abolite le scuole speciali o classi differenziali per soggetti diversamente abili. La
presenza nella scuola di soggetti in difficoltà è fonte di una preziosa diversità di rapporti e di
interazioni, che è, a sua volta, occasione di maturazione per tutti. Attraverso metodologie didattiche
come il cooperative learning, in cui il discente è parte integrante e fondamentale per il
raggiungimento dell’obiettivo da parte del gruppo, il docente può estrapolare emozioni e stati
d’animo degli alunni e gli alunni stessi possono attraverso la cooperazione, la negoziazione, il
dibattito, esprimere non solo le proprie idee e il proprio sapere, ma modulare anche emozioni e
sentimenti. Accanto a percorsi formali è importante arricchire le attività quotidiane di percorsi
informali in cui si il docente deve essere ancora più preparato perché gli stati d’animo, le emozioni
dei ragazzi sono imprevedibili e mutano continuamente. Sarà allora importante saper riconoscere,
comprendere le emozioni degli alunni attraverso l’attenzione, l’ascolto attivo e l’empatia e porsi in
una relazione d’aiuto nei confronti dell’allievo favorendo e valorizzando l’inclusione a
trecentosessanta gradi. Un'importante legge che stabilì l'inserimento dei diversamente abili nelle
scuole è stata la n. 104 del 1992. L'integrazione deve essere favorita con ogni mezzo, in modo da
rispondere ad ogni specifico bisogno relazionale e cognitivo, e da sviluppare e rafforzare le capacità
individuali. In questo senso le insegnanti di sostegno, figure specializzate nell'insegnamento ai
bambini con difficoltà, devono guidare il soggetto nel percorso di apprendimento valorizzando tutti
i progressi registrati.
Se prima la diversità rappresentava un impedimento all'apprendimento oggi non può più essere
considerata tale. La logica di democraticità educativa (scuola di tutti e per tutti) e una nuova
educazione alla cittadinanza hanno riconosciuto alle classi eterogenee un'importante valenza
culturale.
Per realizzare quest’UDA ho previsto 5 lezioni totali e complessive 5 ore. Tenuto conto delle
Indicazioni Nazionali, i traguardi per lo sviluppo delle competenze sono:
� L’alunno si informa in modo autonomo su fatti e problemi storici anche mediante l’uso di
risorse digitali.
� Produce informazioni storiche con fonti di vario genere – anche digitali – e le sa organizzare
in testi.
� Espone oralmente e con scritture – anche digitali – le conoscenze storiche acquisite
operando collegamenti e argomentando le proprie riflessioni.
� Usa le conoscenze e le abilità per orientarsi nella complessità del presente, comprende
opinioni e culture diverse, capisce i problemi fondamentali del mondo contemporaneo.
Mentre gli obiettivi di apprendimento sono:
� Usare fonti di diverso tipo (documentarie, iconografiche, narrative, materiali, orali, digitali,
ecc.) per produrre conoscenze su temi definiti.
� Selezionare e organizzare le informazioni con mappe, schemi, tabelle, grafici e risorse
digitali.
� Formulare e verificare ipotesi sulla base delle informazioni prodotte e delle conoscenze
elaborate.
� Comprendere aspetti e strutture dei processi storici italiani ed europei
� Produrre testi, utilizzando conoscenze selezionate da fonti di informazione diverse,
manualistiche e non, cartacee e digitali
� Argomentare su conoscenze e concetti appresi usando il linguaggio specifico della
disciplina.
Alla luce di tutto questo, vado ad esplicitare la mia azione didattica:
Il concetto di didattica per le competenze si afferma intorno alla metà degli anni ’90 nei
documenti dell’Unione Europea che forniscono indicazioni a tutti i paesi membri dell’UE affinché
vengano individuate le competenze chiave per la cittadinanza europea. Tali competenze chiave
saranno definite con chiarezza ed elencate in una Raccomandazione del Parlamento Europeo del
2006 per l’istruzione e la formazione permanente.
La didattica per le competenze si fonda sull’idea di competenza, che deriva dall’ambito
lavorativo, dove indica il patrimonio complessivo di risorse di un individuo nel momento in cui
affronta una prestazione lavorativa o il suo percorso professionale.
In ambito formativo l’idea di competenza si afferma in Italia intorno al 2000, nel quadro della
riforma Berlinguer, e viene definita come l’applicazione di un sapere (conoscenze) in un
determinato contesto usando comportamenti adeguati atti al raggiungimento di un risultato in
termini di prestazioni misurabili. La didattica per le competenze acquisisce pieno riconoscimento ed
attuazione nel sistema scolastico italiano con il Decreto Ministeriale 139/2007 relativo
all’adempimento dell’obbligo di istruzione al termine del biennio della scuola superiore di II grado.
In quest’ambito vengono individuate otto competenze chiave di cittadinanza di tipo trasversale
come, ne cito alcune significative, imparare a imparare, comunicare, collaborare e partecipare,
risolvere problemi.
La competenza trova la sua applicazione in una situazione reale, nell’attività didattica
quotidiana in cui si svolgono compiti concreti, e non è svincolata dalle conoscenze poiché queste
ultime hanno senso se si traducono in capacità di metterle in pratica nella vita reale. Possedere una
competenza vuol dire, per lo studente, mettere in atto conoscenze, abilità e atteggiamenti personali
per risolvere un problema o raggiungere un determinato scopo, in questo modo egli realizza un
apprendimento significativo fondato su di un’esperienza coinvolgente e stimolante. Quest’ultima
può essere fatta sia a scuola, sotto forma di compiti da svolgere o prodotti da realizzare in attività
laboratoriali, sia all’esterno, in realtà produttive o istituzionali situate nel territorio di riferimento
dell’istituzione scolastica.
Una programmazione didattica è l’organizzazione di tutte le azioni che rappresentano la messa in
pratica in classe delle attività, le scelte contenutistiche, gli obiettivi e i criteri di valutazione degli
alunni.
Si parte dall’individuazione delle esigenze del contesto socioculturale e delle situazioni di partenza
degli alunni e dalla conseguente definizione degli obiettivi specifici.
In una programmazione didattica, gli obiettivi prescritti a livello nazionale dai documenti
programmatici devono essere tradotti in obiettivi specifici che, calibrati sulle effettive condizioni
delle singole classi e dei singoli alunni, si pongono come tappe intermedie nel percorso verso il
conseguimento degli obiettivi prescritti dai programmi.
I docenti, quale che sia il modello di programmazione da essi scelto, nell’applicare la normativa di
ordinamento e quella programmatica sono chiamati a ripensare criticamente al ruolo assegnato agli
obiettivi, considerandolo in relazione agli altri tre elementi ( i contenuti, i metodi, la valutazione ),
che entrano in gioco quando si progetta sia una singola unità didattica, sia l’arco formativo più
articolato di un intero anno scolastico
La società odierna è sempre più variegata e differenziata, composta da individui che spesso faticano
ad integrarsi per motivi di diversa natura; questo è uno dei motivi per cui la scuola del presente che
si proietta nel futuro non può che aprirsi all'integrazione e all'inclusione.
Oggi parleremo dunque della Didattica Inclusiva, cercando di darne una definizione appropriata,
tramite l'esposizione degli obiettivi che essa si prefigge, delle strategie da seguire per programmare
le attività volte a promuovere l'integrazione degli alunni. Il significato del termine didattica
inclusiva è dunque da ricercare nella sfera educativa, sociale e politica, partendo dall'integrazione
fino ad arrivare ad una reale inclusione degli alunni, in un contesto partecipativo e collaborativo.
Per definizione la didattica inclusiva è quel "modus educandi" che nasce per garantire la
comprensione del bisogno educativo del singolo e per mettere in atto di riflesso soluzioni
funzionali, superando le rigidità metodologiche e le differenze di ogni sorta. La didattica
dell'inclusione si prefigge l'obiettivo di creare le condizioni di apprendimento ottimali ad appianare
la difficoltà e le differenze, con la finalità di mettere ogni alunno nelle condizioni di scoprire,
valorizzare ed esprimere al massimo il proprio potenziale. Nell'ottica dell'attuazione di una didattica
inclusiva, quali competenze devono avere gli insegnanti? Bisogna proprio partire dalla formazione
iniziale, in modo da acquisire le solide basi per adattarsi alle nuove esigenze della scuola dei nostri
giorni.
Dopo di ciò sarebbe opportuno per i docenti avere la possibilità di svolgere aggiornamenti continui
riguardanti le più svariate specializzazioni funzionali, in modo da essere pronti ed avere un quadro
chiaro su tutte le eventuali difficoltà e i casi che gli si potranno presentare davanti.
Il docente deve essere in grado di fare da promotore dell'inclusione all'interno della classe,
compiendo sugli alunni e su se stesso un lavoro di coinvolgimento emotivo e cognitivo.
L’intelligenza emotiva rende l’individuo capace di gestire meglio sia le proprie reazioni interiori sia
i rapporti con gli altri, enfatizzando in modo particolare le differenze individuali degli aspetti
psicologici e funzionali delle emozioni e la relazione tra mente emozionale e mente relazionale.
Daniel Goleman, uno dei massimi esperti nel campo dell’intelligenza emotiva, è convinto che le
nuove scoperte scientifiche sono incoraggianti. Ci assicurano che, se cercheremo di aumentare
l’auto-consapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il
nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare la nostra capacità
di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di stabilire legami sociali. In altre parole, se
presteremo attenzione, in modo più sistematico, all’intelligenza emotiva, potremo sperare in un
futuro più sereno».
L’ European Agency for Development in Special Needs Education ha elaborato nel 2012 il
“Profilo dei docenti inclusivi”, suddiviso in quattro valori, ciascuno dei quali declinato in un
interessante elenco di indicatori, sui quali le scuole potrebbero aprire una attenta riflessione. I
quattro valori di riferimento condivisi dai docenti inclusivi sono: I. (Saper) valutare la diversità
degli alunni : la differenza tra gli alunni è una risorsa e una ricchezza II. Sostenere gli alunni: i
docenti devono coltivare aspettative alte sul successo scolastico degli studenti III. Lavorare con
gli altri: la collaborazione e il lavoro di gruppo sono approcci essenziali per tutti i docenti IV.
Aggiornamento professionale continuo: ’insegnamento è una attività di apprendimento e i
docenti hanno la responsabilità del proprio apprendimento permanente per tutto l’arco della vita.
Ogni docente deve promuovere una didattica e un clima inclusivo, ma il docente di sostegno
resta il massimo esponente in proposito. Egli dovrebbe costruire e promuovere una cultura
inclusiva collaborando con gli altri attori responsabili di tale processo: classe, scuola, famiglia e
ASL. Non è facile assolvere questo compito, anche perché a volte sono gli stessi attori a creare
“ostacoli alla partecipazione e all’apprendimento.
Il primo passo da fare è sicuramente quello di entrare in contatto con l’alunno inteso come
persona con le proprie peculiarità, bisogni, aspettative. Partendo dalla visione di C. Rogers, il
ruolo primario del docente è quello di facilitatore, quindi di supporto ad un apprendimento che
sia il più possibile significativo; il docente di sostegno però deve concentrarsi, non solo su
apprendimenti di conoscenze, abilità e competenze di tipo disciplinare, ma soprattutto sulla
promozione di abilità sociali, comunicative, di autocontrollo e di autonomia nella sfera della
quotidianità. Deve impiegare tecniche e strategie che riescano a coinvolgere l’alunno, che dovrà
fidarsi di lui. Il docente di sostegno, più di chiunque altro dovrà avere una considerazione
positiva incondizionata del proprio alunno, riconoscendo in lui un potenziale su cui agire, essere
un modello autentico e genuino, e lavorare con il cuore, facendo ricorso alle proprie capacità
empatiche. Tutto ciò motiverà l’alunno ad aprirsi perché si sentirà al sicuro, si fiderà e si affiderà.
Fatto ciò, in ambito scolastico, resta molto complessa anche la collaborazione con i colleghi
docenti: innanzitutto, sul docente di sostegno pende una spada di Damocle che lo vede declassato
a docente di “serie B”. La prima cosa da fare quindi è mostrarsi professionali, sicuri di sé ma
anche umili e aperti al dialogo. Bisogna mostrare interesse reale per quello che si fa cercando di
coinvolgere i docenti di classe affinché sentano che è nel nostro interesse cooperare anche per
semplificare il loro lavoro: bisogna dialogare in modo pacato così da avere un confronto
costruttivo.
L’insegnante di sostegno è una risorsa per la classe e, come tale, è suo dovere cooperare nella
gestione della classe, sia dal punto di vista disciplinare, sia dal punto di vista didattico.
Condividere con i colleghi la scansione oraria delle discipline e trovare sempre un momento per
confrontarsi sull’attività quotidiana e sulla programmazione settimanale permette a tutti di
lavorare più efficacemente.
I rapporti scuola-famiglia sono disciplinati a livello contrattuale dal CCNL scuola, in cui si
prevede che il consiglio di istituto, sulla base delle proposte del collegio dei docenti, definisca le
modalità e i criteri per lo svolgimento di tali rapporti, assicurando la concreta accessibilità al
servizio, pur compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell’istituto e prevedendo idonei
strumenti di comunicazione tra istituto e famiglie. Tali disposizioni riguardano tutti i docenti,
senza distinzioni. A prescindere, però, da quelle che sono le disposizioni a livello normativo e/o
contrattuale, la collaborazione con le famiglie di alunni con disabilità risulta fondamentale. Sono
loro che possono offrire informazioni dettagliare dell’alunno, del suo percorso fino alla
secondaria di I grado e possono raccontare chi è il nostro alunno fuori il contesto scolastico.
Bisogna rassicurarli, essere cauti, empatici per capire come meglio esprimersi e consigliare.
Il rapporto con gli esperti, invece, deve essere professionale, puntale e oggettivo. Non si tratta
qui di convincere o incoraggiare, ma bisogna fornire informazioni valide al fine di cooperare.
Scuola, famiglia ed esperti devono seguire un percorso unico che vada nella medesima direzione,
e il compito del docente di sostegno è proprio quello di tenere insieme le marti, di mediare e
cercare un punto di incontro. Non dimentichiamo che le stesse parti dovranno essere concordi al
momento della sottoscrizione del PEI del nostro alunno.
Il docente di sostegno, infine, cura anche i rapporti con altre scuole, per la costruzione di percorsi
di continuità educativa in fase di passaggio, prevedendo forme di consultazione tra insegnanti e
per la realizzazione di progetti specifici, nell’ambito di forme di collaborazione in rete, secondo
quanto previsto dal regolamento sull’autonomia scolastica.
29) L'acquisizione delle autonomie è un elemento essenziale nel processo di inclusione degli
alunni diversamente abili. Alcuni soggetti che frequentano la scuola secondaria presentano
ancora difficoltà in questo ambito, soprattutto in relazione a significativi deficit cognitivi o di
altro genere. Il candidato illustri alcune modalità di intervento per facilitare l'acquisizione di
autonomie funzionali al progetto di vita di alunni con disabilità.
Come affermano M. Cocchi e G. Moretti, essere autonomi corrisponde a una competenza sociale
caratterizzata da sequenziali tappe di sviluppo ed evoluzione, che hanno una ricaduta a livello di
alcune competenze, tra le quali è possibile identificare: la cura di sé, l’uso del denaro, la capacità di
spostarsi in un ambiente noto, di rispettare alcune basilari convenzioni sociali (forme di saluto,
formulazione di richieste, manifestazione di vissuti e sentimenti).
Compito dei docenti è quello di indurre l'acquisizione di un minimo livello di autonomia attraverso
la conoscenza e l'applicazione di strategie funzionali alla realizzazione di un'azione o di un compito
specifico. A tal fine è importante essere al corrente delle strategie esistenti (residue) con cui il
soggetto fa fronte alle richieste dell'ambiente, come base di partenza per favorire la capacità di
conoscere e decidere quali utilizzare in un determinato contesto. L'alunno con deficit cognitivo deve
essere condotto a esprimere una maggiore progettualità, a non preoccuparsi esclusivamente della
sua cura, ma a porre attenzione anche alla promozione delle sue risorse. Il docente non deve
sostituirsi al ragazzo diversamente abile nell'esecuzione di azioni e nella comprensione di
situazioni, ma deve facilitarne l'esecuzione autonoma, per migliorare il senso di autostima e di
autoefficacia dell'allievo.
Nella scuola secondaria a volte pare difficile operare in un contesto che prevede la collaborazione
con gli altri e nell'ambito di una progettazione curriculare assai distante da quella individualizzata o
personalizzata. Eppure si possono identificare, all'interno di alcune discipline scolastiche, contenuti
e obiettivi da proporre a tutto il gruppo classe.
Tra essi, si possono annoverare quelli relativi alla cura della propria persona, che non riguardano
solo la conoscenza e il rispetto, per esempio, delle principali regole igieniche (uso del bagno, igiene
intima e così via) o alimentari, ma anche la conoscenza e il rispetto di alcune norme concernenti la
salute e la malattia (come mantenersi in forma, come percepire segnali di disagio o difficoltà).
Anche la cura degli ambienti può essere una tematica da suggerire al gruppo classe nel suo insieme:
come mantenere in ordine il proprio spazio fisico nell'aula e gli altri spazi che possono essere
utilizzati nella prassi didattica (laboratori, palestra, mensa eccetera).
Altri argomenti che consentono un aggancio ancor più specifico alla programmazione prevista per
la classe. Nell'ambito della matematica, ad esempio, i docenti possono elaborare alcune attività e
percorsi inerenti alla misurazione e al calcolo. I ragazzi imparano a riconoscere i soldi, ad
utilizzarli, a determinare la quantità approssimativa per effettuare un acquisto e per calcolare il
resto. Si potranno realizzare esperienze dirette, concrete, anche attraverso uscite sul territorio o in
occasione di visite di istruzione o in funzione di una gita (ad esempio calcolando la quota personale
per la partecipazione). Altre tematiche correlate saranno relative alla conoscenza del tempo (saper
calcolare il tempo rimanente per svolgere un'attività, saper leggere le ore dell'orologio,
sapere calcolare il tempo impiegato per fare qualcosa).
Ulteriori esperienze potrebbero essere ricondotte alle transazioni sociali. Tra queste, ricordiamo
l'uso del telefono e del cellulare (saper comporre un numero, saper inviare un messaggio, saper
comunicare con i social network), l’uso dei servizi pubblici (saper organizzare un viaggio in
pullman o in treno, saper leggere un orario).
Attività di tal genere si prestano a lavori cooperativi, da sviluppare in un gruppo piccolo o grande,
che possono consentire docenti sia di coinvolgere tutta la classe per acquisire alcune autonomie
specifiche e non sempre scontate, sia di individuare alcuni alunni che potranno svolgere una
funzione tutoriale nei riguardi del soggetto disabile.
Da quanto sopra esposto si evince che nel perseguire le autonomie i docenti non devono porsi
necessariamente obiettivi complessi e non devono procedere alla realizzazione di progetti
ambiziosi, ma possono limitarsi a monitorare gli spazi dell'espressione di sé favorendo
l'apprendimento dall'esperienza.
30) All'interno del curricolo della scuola secondaria si possono individuare argomenti che
consentono di realizzare una serie di attività operative, concrete (semplici esperimenti che
suscitano l’interesse, la curiosità cognitiva e la partecipazione) tese al coinvolgimento degli
alunni con disabilità. Il candidato produca alcune esemplificazioni con particolare riferimento
alla conoscenza e comprensione del mondo circostante.
I docenti hanno il compito di stimolare processi di inclusione significativi nei confronti di alunni
con disabilità individuando alcuni contenuti previsti nella programmazione della classe. Tra questi
può rientrare l'acquisizione delle capacità di effettuare osservazioni, riflessioni e classificazioni,
obiettivo importante a livello cognitivo e per gli apprendimenti in genere.
Inizialmente si devono individuare argomenti e possano suscitare interesse e motivazione da parte
di tutto il gruppo classe, quali, ad esempio, la conoscenza delle macchine e del loro funzionamento.
La classe può essere organizzata in coppie o gruppi cooperativi ed opera all'interno del laboratorio
di scienze o in aula o effettua uscite sul territorio per osservare direttamente gli oggetti di studio.
Nella fase di avvio, per stimolare la partecipazione di tutti, il docente potrà effettuare un
brainstorming rispetto alla tipologia delle macchine che gli alunni conoscono e alla loro
classificazione in base all'uso: macchine utilizzate dallo studente, dall'insegnante, dal contadino, dal
meccanico, dal commerciante.
Da questa prima classificazione si effettua un secondo raggruppamento in rapporto all'ambiente nel
quale esse si trovano e alla motivazione della loro presenza in un luogo piuttosto che in un altro. Le
macchine possono essere identificate anche in base all'utilizzo nelle varie situazioni di vita
quotidiana (per comunicare, per effettuare spostamenti) e in base alla fonte che ne consente
l'attivazione e il funzionamento (petrolio, energia).
I docenti organizzano alcune visite per consentire agli studenti di visionare direttamente le
macchine oggetto di studio: ad esempio presso una stamperia, un laboratorio artigianale.
L'argomento consente di effettuare connessioni ad altre discipline. Ad esempio, si potrebbe
approfondire l'evoluzione, nel corso della storia, dell'invenzione e dell'uso dei macchinari e il loro
collegamento con le varie attività lavorative. Come si viaggiava, come si costruivano le case, come
si coltivava.
La classe potrà poi approfondire alcune notizie più specifiche a livello storico, geografico e politico,
riferite ai periodi presi in esame.
Gli alunni disabili effettueranno esperienze ancora più operative analizzando alcuni utensili e alcune
macchine presenti nella scuola e che utilizzano giornalmente: forbici, penne, cucitrici,
fotocopiatrici, cellulari, tablet. Potranno osservarli direttamente, descriverli, comunicare l'utilizzo
che ne fanno.
Alcuni di questi strumenti potranno essere manipolati agevolmente e “smontati” (forbici, penna),
per vederne le parti che li costituiscono e per comprendere meglio il loro funzionamento meccanico.
Successivamente, si potranno realizzare esperienze non solo di manipolazione ma anche di
costruzione e creatività. Ai ragazzi si potrebbe, infatti, suggerire di fabbricare semplici macchine,
come una leva, sulla scorta di un modello visionato direttamente o tramite immagini (fotografie e
video).
Per stimolare e avvicinare ulteriormente l'interesse degli alunni disabili a quello dei compagni, i
docenti potrebbero parlare dei mezzi di trasporto, facendoli classificare in base alla funzione e
all'ambiente nel quale si trovano, approfondendo l'analisi di un mezzo e rientra in un ambito di
esperienza decisamente comune per ragazzi in età scolare di scuola secondaria: il motorino.
Oltre ad osservare il mezzo meccanico gli alunni prendono visione di una patente di guida e
acquisiscono informazioni rispetto a cosa è necessario per acquisirla. Possono invitare un
rappresentante della polizia locale ho un impiegato in una scuola guida per approfondire queste
informazioni e avvicinarsi alla conoscenza del Codice della Strada, evidenziando le principali
norme di sicurezza che bisogna rispettare.
La comprensione di alcuni elementi del mondo circostante è una finalità e i docenti dovrebbero
porsi nei confronti di alunni con disabilità di scuola secondaria poiché in essa sono contenuti alcuni
obiettivi importanti per l'inclusione e il progetto di vita personale: la conoscenza degli aspetti
principali dell'ambiente; l'osservazione e la riflessione sui prodotti creati dall'uomo; la
comprensione dell'utilizzo che si può fare delle risorse e dei prodotti; il conseguimento di alcune
principali regole di comportamento.
Gli alunni disabili acquisiscono conoscenze, abilità e competenze in un ambito cooperativo,
all'interno del gruppo classe: si relazionano con i compagni e diventano componente attiva
dell'ambiente di apprendimento.
31) Elaborare un esempio di progettazione didattica in una classe della scuola secondaria
di primo grado rivolto a promuovere l’apprendimento della seguente capacità facendo
riferimento ad una disciplina: padroneggiare un metodo di studio autonomo, corretto e
funzionale.
La progettazione didattica è la prefigurazione dell’azione e, in quanto tale, fa parte a pieno titolo dei
processi legati alla professionalità del docente
All’interno della scuola secondaria, la progettazione didattica si caratterizza per il coinvolgimento
progressivo e costante degli studenti che collaborano attivamente alla costruzione e
all’orientamento del percorso formativo. Il percorso formativo deve rispondere quindi
adeguatamente alle potenzialità e alle attitudini di ciascuno, nel rispetto dei tempi e delle modalità
di ognuno connesse alla capacità di realizzare un apprendimento efficace. Accanto ai programmi
emanati dai governi nazionali, prescrittivi e vincolanti per ogni specifico corso di studi, si accostano
forme autonome di costruzione dei curricoli e di oculata progettazione degli interventi, l’obiettivo
che si intende raggiungere è che essi forniscano adeguate risposte alle situazioni e ai bisogni
educativi, culturali e formativi emersi nella fase dell’analisi del fabbisogno condotta nell’ambito del
territorio di pertinenza.
Titolo del compito autentico: Amiche regole. Guida illustrata per vivere, convivere e sopravvivere
in tutti gli ambienti della scuola secondaria di primo grado.
Classe di riferimento: PRIMA, fine anno scolastico
La classe di riferimento è composta da 23 alunni ed è eterogenea, con la presenza di uno straniero.
Il livello della classe dal punto di vista cognitivo è generalmente buono, così come l'interesse per gli
argomenti e le attività proposte.
Il progetto condotto dai docenti delle seguenti discipline: educazione motoria, geografia e lettere.
L'azione delle docenti di educazione motoria e di geografia si è svolta congiuntamente per un paio
di mesi per un'ora alla settimana. Ha riguardato una serie di attività ludiche condotte in palestra
finalizzate in primo luogo a far emergere i motivi del mancato rispetto delle regole, poi a preparare
il terreno per l'accettazione di queste.
In sostanza è risultato che gli alunni non seguivano le regole perché preoccupati di soddisfare i
bisogni primari individuali prima di quelli sociali. Inoltre un terzo di loro non conosceva il
significato di “regola implicita”. Di fronte a questo livello iniziale di socializzazione palesato dal
gruppo le docenti coinvolte nella prima fase hanno deciso di proporre giochi di “alfabetizzazione
sociale”, che hanno conseguito qualche risultato: i conflitti sono diminuiti e un numero crescente di
alunni è intervenuto direttamente per far smettere il compagno che continuava a disturbare oppure
ha sollecitato l'intervento dell'insegnante.
Tuttavia, se durante le lezioni tradizionali ormai si può affermare di lavorare in un clima
sostanzialmente sereno, rimane problematico il momento del lavoro di gruppo, perché viene vissuto
soprattutto come un'occasione di svago anziché come un mezzo per costruire insieme agli altri le
proprie competenze.
Perciò il compito autentico proposto, che riguarda la disciplina di italiano, intende far percorrere
agli alunni un tratto ulteriore sulla strada della familiarizzazione con le regole: quello che porta a
scegliere di seguire le regole perché si comprende che garantiscono il benessere degli individui e il
progresso degli stessi assieme al gruppo di cui fanno parte.
Il lavoro si articola in tre parti:
1^ PARTE: conoscenza del testo regolativo attraverso la proposta di una serie di testi interessanti
per alunni della fascia d'età considerata e dotati di questionari-guida alla comprensione delle loro
caratteristiche formali e alla riflessione sulle motivazioni delle regole che essi presentano. Si
possono leggere insieme in classe oppure in piccoli gruppi. L'essenziale è che la discussione che
segue alla lettura coinvolga l'intera classe.
Durata della 1^ parte: circa 2 ore;
2^ PARTE: approccio diretto con la scrittura di un breve testo regolativo, Le regole per lavorare in
gruppo, redatto dalla classe. Durata della 2^ parte: circa ½ ora;
3^ PARTE: coincide con il compito autentico, dettagliato in seguito nella Consegna operativa.
Durata della 3^ parte: circa 4 ore e mezza ½.
TOTALE ORE (a casa e a scuola) IMPEGNATE NEL PROGETTO: circa 7 ore
Situazione-problema da prendere in carico (e da proporre nel modo che segue agli alunni): Non è
facile cambiare ordine di scuola (dalla primaria passare alla secondaria di primo grado) e al tempo
stesso plesso scolastico. Ti ricordi le difficoltà che hai incontrato quando sei entrato in questa
scuola? Quali regole per vivere in questo nuovo ambiente hai imparato? Quali regole dovresti
rispettare ma non riesci ancora a farlo? In quale semplice e confidenziale modo potresti proporre
tutte queste regole ai nuovi compagni che conoscerai a settembre?
Traguardi disciplinari:
L'alunno
1. comprende testi regolativi orali e scritti cogliendone il senso, le informazioni principali e lo
scopo;
2. scrive correttamente testi regolativi adeguati alla situazione, allo scopo, all'argomento, e al
destinatario;
3. usa la comunicazione orale per collaborare con gli altri, ad esempio nella realizzazione di
giochi o prodotti, nell’elaborazione di progetti e nella formulazione di giudizi su problemi
riguardanti vari ambiti culturali e sociali.
Conoscenze
L'alunno
1. conosce le principali caratteristiche di un testo regolativo;
2. conosce l'ambiente scolastico e il modo in cui rapportarsi ad esso nei vari ambienti e
situazioni.
Abilità
L'alunno
� comprende testi regolativi;
� riconosce le caratteristiche strutturali di un testo regolativo;
� scrive istruzioni chiare, sintetiche ma complete;
� esprime il proprio punto di vista confrontandolo con i compagni;
� concorda le regole per una serena convivenza;
� mette in atto comportamenti appropriati.
Competenze attese (i numeri tra parentesi sono gli stessi del profilo delle competenze).
L'alunno:
− produce testi regolativi per la realizzazione del prodotto preventivato, cioè una guida per i
nuovi alunni;
− sa adattare gli apprendimenti a nuovi contesti;
− si impegna per portare a compimento il lavoro iniziato, da solo o insieme agli altri;
− è consapevole della necessità del rispetto di una convivenza civile, pacifica e solidale.
32) “Poiché i ragazzi sono massimamente disponibili ad apprendere, ma molto resistenti agli
apprendimenti di cui non comprendono motivazione e significato, che vogliono sottometterli e
non responsabilizzarli, che non producano frutti di rilevanza sociale o di chiara crescita
personale, ma si limitino ad essere autoreferenziali, la Scuola secondaria di I grado è
impegnata a radicare conoscenze e abilità disciplinari e interdisciplinari sulle effettive
capacità di ciascuno, utilizzando le modalità più motivanti e ricche di senso, perché egli possa
esercitarle, sia individualmente, sia insieme agli altri, sia dinanzi agli altri” (Indicazioni
Nazionali). Argomentare con modalità critico-rielaborative la citazione facendo cenni anche a
teorie e modelli socio-psico-pedagogici.