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ELABORATO FINALE
TUTOR COORDINATORE
Prof.ssa Alfonsa Marzia G. Arabia
A. A. 2018-2019
INDICE
INTRODUZIONE .................................................................................................. 5
2.1 LA SCUOLA................................................................................................... 25
3.6.3 SHARING................................................................................................. 63
CONCLUSIONI ................................................................................................... 64
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 66
SITOGRAFIA ...................................................................................................... 67
4
INTRODUZIONE
Emozioni, disabilità e scuola: tre mondi complessi, ricchi di sfumature e significati che
però, accostati l’uno all’altro, possono diventare sinonimo di reale inclusione per chi
vive una situazione di bisogno educativo speciale. La motivazione che mi ha spinto a
concludere questo Corso di Specializzazione per le attività di Sostegno parlando di
intelligenza emotiva sta proprio qui, nella convinzione del grande potenziale inclusivo
che lo sviluppo di programmi educativi socio-emotivi può apportare in ambito
scolastico.
Quello dell’educazione emotiva può essere considerato un framework che attraversa
tutto il sistema di istruzione e che riguarda lo sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo
di ogni attore coinvolto nel contesto scolastico, dagli insegnanti agli studenti. Non sono
solo gli alunni con disabilità, infatti, a presentare problematiche e difficoltà nella sfera
affettivo-relazionale ma ogni studente, dall’età prescolare a quella adolescenziale,
porta con sé tensioni, pressioni, bisogni che possono essere limati attraverso un buon
uso della propria intelligenza emotiva. In questo senso, includere diventa partire da
difficoltà comuni, avere lo stesso problema, significa riconoscere che gli stessi scatti
d’ira, la stessa aggressività, la stessa tristezza, lo stesso attaccamento o lo stesso
isolamento che manifesta un ragazzo con disabilità può riguardare, magari con
atteggiamenti e comportamenti diversi, anche un alunno con sviluppo tipico.
Lavorare sulle proprie emozioni, sull’autoconsapevolezza emotiva e sul legame tra
emozioni e comportamento rappresenta, poi, un passo importante verso la definizione
della propria identità, un costrutto che nelle persone con disabilità non è mai così
scontato. La frustrazione provocata dal sentirsi esclusi, dal mancato adattamento con
l’ambiente circostante, il senso di inferiorità e di non accettazione della diversità può
inficiare la costruzione della propria identità e del proprio progetto esistenziale. Per
questo, lavorare sull’intelligenza emotiva significa riconoscere i propri punti di forza
e di debolezza, individuare i bisogni, i valori e le priorità per definire quanto più chiari
possibili i contorni del proprio essere.
Il lavoro è stato, quindi, suddiviso in tre parti.
Il primo capitolo consiste in una trattazione teorica in cui sono stati indagati i concetti
e i legami tra intelligenza emotiva, disabilità intellettiva e contesto scolastico. Si è
partiti, in particolare, dalla definizione di intelligenza emotiva, una definizione
costruita attraverso le parole degli studiosi che, negli ultimi anni, si sono occupati di
5
questo argomento. Al tema dell’intelligenza emotiva è stato, poi, accostato quello della
disabilità intellettiva: dopo una breve e generica digressione su quest’ultima, si è
approfondito l’argomento cercando di individuare le caratteristiche emotive e affettive
che riguardano le persone con tale diagnosi, anche se è risultato complicato delineare
un modello totalmente chiaro e univoco vista l’ampiezza, la dinamicità e la variabilità
che riguarda questo tipo di disabilità. Il primo capitolo si conclude, quindi, con il
trasferimento di questi due grandi temi (emozioni e disabilità) nel contesto scolastico,
per capire come e quanto i programmi di educazione socio-emotiva possano migliorare
competenze e capacità ma soprattutto promuovere un’efficace inclusione scolastica.
La seconda parte dell’elaborato è stata incentrata sull’esperienza professionale di
tirocinio, svolta nella classe seconda di una Scuola Secondaria di I grado accanto a
Giacomo (nome di fantasia), la cui diagnosi è proprio quella di disabilità intellettiva di
grado lieve. Il capitolo in questione parte dall’analisi del contesto socio-ambientale e
dei bisogni del territorio per scendere via via più nel dettaglio con la descrizione della
scuola, della classe, delle relazioni tra i vari attori coinvolti nel contesto educativo fino
a soffermarsi su Giacomo: tramite l’analisi della documentazione e l’osservazione
condotta sono stati individuati punti di forza e di debolezza del ragazzo definendo
un’attività da condurre in classe; quest’ultima ha riguardato la sfera emotivo-
relazionale ed è stata redatta partendo dagli obiettivi presenti nel PEI in un’ottica
fortemente inclusiva che potesse coinvolgere l’intera classe.
Infine, la terza parte ha riguardato lo sviluppo di un prodotto multimediale che, in
continuità con quanto svolto nei capitoli precedenti, unisse la tematica emotiva e
l’inclusione mediante il supporto delle nuove tecnologie. Dopo aver chiarito il ruolo
delle TIC nella didattica e nel sostegno ai bisogni educativi speciali, è stato descritto
il prodotto costruito: un e-book interattivo sulle emozioni in cui si alternano schede
teoriche e attività di verifica. Nel dettaglio, sono stati illustrati gli obiettivi per
competenze e le varie fasi di realizzazione del prodotto digitale, dalla ricerca del
materiale fino all’editing e allo sharing completando il tutto con lo storyboard
progettuale e le immagini delle attività più interessanti e stimolanti.
6
PARTE PRIMA: APPROFONDIMENTO TEORICO
1.1 COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA
Nel 2004 Paolo Freire scriveva:
‹‹La nostra vita emotiva è stata sistematicamente trascurata dalla nostra cultura. La nostra
educazione, fondata su principi cartesiani, pone l’accento sui processi intellettuali e
cognitivi. La felicità e il benessere, tanto desiderati da tutti, dipendono molto più dai nostri
processi emotivi che da quelli intellettuali. In questa nostra società c’è urgente bisogno di
rompere il ciclo che intorpidisce l’emotività. Un modo per fare questo è l’apprendimento
della consapevolezza emotiva, lo sviluppo di fattori emotivi della nostra intelligenza 1››
1
Freire P., Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, EGA, Torino,
2004 p. 205
2
Di Santo D., Rullo M., Lisi F., Lo stato dell’arte sull’intelligenza emotiva, in “Rassegna di
Psicologia”, a. III, n. 3, settembre-dicembre 2015, p. 10
3
Ibidem
4
Ivi, p. 11
8
Dopo Darwin, negli anni compresi tra il 1970 e il 1989, la psicologia, invertendo la
logica comune della separazione tra razionalità e sentimento, cominciò a dirigere la
propria attenzione su quanto pensiero ed emozione fossero correlati e su quanto si
influenzassero a vicenda: le emozioni non erano più qualcosa di irrazionale da
controllare e regolare, ma una presenza costante dell’esistenza umana, di ogni
esperienza di vita. Gli studiosi cominciarono, quindi, a definire le emozioni, a parlare
della loro nascita e, soprattutto, a indagare come le informazioni affettive agissero
sugli individui; furono questi, studi precursori a quelli che, qualche anno dopo,
teorizzarono ufficialmente il concetto di Intelligenza Emotiva: si tratta, per esempio,
della teoria triarchica dell’intelligenza di R. J. Sternberg o della teoria delle
Intelligenze Multiple di H. Gardner.
È proprio con quest’ultimo che le emozioni assunsero per la prima volta lo status di
vere e proprie espressioni dell’intelligenza5; accanto all’intelligenza linguistica,
logico-matematica, corporeo-cinestetica, spaziale e musicale, Gardner individuò
anche le intelligenze intrapersonale ed interpersonale, definendole come la capacità di
avere accesso rispettivamente alle proprie e alle altrui emozioni: proprio qui si possono
rintracciare, in nuce, le premesse teoriche di quella che sarà poi definita più
precisamente Intelligenza Emotiva6.
L’ufficializzazione del concetto e del termine “Intelligenza Emotiva” arriva nel 1990
quando due psicologi americani, Salovey e Mayer, pubblicarono un famoso articolo in
cui l’Intelligenza Emotiva veniva intesa come ‹‹l’abilità di controllare i sentimenti e
le emozioni proprie e degli altri, di distinguerle tra di loro e di usare tali informazioni
per guidare i propri pensieri e le proprie azioni››7; l’Intelligenza Emotiva, dunque,
veniva considerata un’abilità utile a comprendere e monitorare i sentimenti in sé e
negli altri, sentimenti che poi si sarebbero trasformati in fonte di informazione con cui
operare a livello intellettivo e pratico8. Per la prima volta, le emozioni venivano
5
De Caro T., D’Amico A., L’intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli
strumenti di valutazione e dei primi risultati di ricerca, in “Giornale italiano di psicologia”, a. V,
n. 4, dicembre 2008, p. 859
6
Ibidem
7
Mayer J. D., Salovey P., Emotional intelligence, in “Imagination, Cognition and Personality”, a.
IX, n.3, ottobre-dicembre 1990, p. 185
8
De caro T., D’Amico A., op. cit., p.860
9
definite come un tassello importante dell’individualità umana e l’Intelligenza Emotiva
vista come una forma di intelligenza vera e propria che, al pari della ragione, consente
di migliorare la vita umana agendo attivamente sulle emozioni.
Oltre alla definizione, i due studiosi elaborarono un vero e proprio modello, il Mental
Model Ability, in cui individuarono le tre abilità principali racchiuse nell’Intelligenza
Emotiva: valutazione ed espressione, regolazione ed utilizzazione delle emozioni9.
Successivamente, gli autori modificarono questa concettualizzazione arrivando alla
formulazione del Four Branch Model, un modello gerarchico caratterizzato da quattro
macro-dimensioni10:
1. percezione delle emozioni con cui si fa riferimento alla capacità di identificare,
esprimere accuratamente e discriminare le emozioni proprie e altrui;
2. uso delle emozioni per facilitare il pensiero, con cui si fa riferimento alla
capacità di impiegare le emozioni in altri processi cognitivi e di utilizzarle per
dirigere il pensiero e favorire il problem solving;
3. comprensione e analisi delle informazioni emotive, con cui si fa riferimento
alle abilità nel comprendere le emozioni e le complesse relazioni tra queste;
4. regolazione delle emozioni, con cui si fa riferimento all’abilità di regolare le
emozioni proprie e degli altri, in favore di una crescita personale.
Il modello di Salovey e Mayer venne successivamente rivisitato dai cosiddetti Mixed
Model, i quali allargarono il dominio dell’Intelligenza Emotiva ad aspetti non cognitivi
e considerarono le differenze individuali di personalità come elementi cruciali per il
trattamento e la gestione delle emozioni11; uno degli autori di riferimento di questo
approccio è Reuven Bar-On, psicologo e docente universitario americano, ricordato
per aver pensato per primo a un test di valutazione specifico per l’Intelligenza Emotiva.
Egli la definì come un ‹‹insieme di competenze e capacità non cognitive che svolgono
un ruolo rilevante nel fronteggiare le pressioni e le richieste dell’ambiente››12. Tali
facilitatori emotivi vennero raggruppati dallo studioso in cinque fattori chiave 13:
9
Mayer J. D., Salovey P., op. cit., p. 200
10
Di Santo D., Rullo M., Lisi F., op. cit., pp. 12-13
11
Ibidem
12
Bar-On R., The Bar-On Model of Emotional-Social Intelligence, in “Psicothema”, a. XVIII, n.
1, settembre 2006, p. 14
13
Ivi, pp. 13-25
10
1. capacità intrapersonali (considerazione di sé, autoconsapevolezza emotiva,
assertività, indipendenza e realizzazione di sé);
2. capacità interpersonali (empatia, responsabilità sociale, capacità di costruire
relazioni interpersonali soddisfacenti);
3. adattabilità (capacità di effettuare un esame di realtà, flessibilità e problem
solving);
4. gestione dello stress (tolleranza allo stress e controllo degli impulsi);
5. fattori motivazionali (capacità di sentirsi felici e ottimismo).
La vera popolarità del concetto di Intelligenza Emotiva è, però, attribuibile a Daniel
Goleman che nel libro Emotional Intelligence: Why it can matter more than IQ la
descrisse come ‹‹la capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un
obiettivo nonostante le frustrazioni, controllare gli impulsi e rimandare la
gratificazione, modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca
di pensare ed essere empatici››14. Secondo Goleman, quindi, l’Intelligenza Emotiva è
una meta-abilità in grado di facilitare od ostacolare lo svolgimento delle attività
quotidiane: gli individui emotivamente competenti sono più efficienti ed efficaci in
tutti i campi, da quello relazionale a quello lavorativo; al contrario, chi non riesce a
esercitare un controllo sulla propria vita emotiva verrà sopraffatto dalle emozioni
stesse15.
Le competenze di Intelligenza Emotiva individuate dallo studioso furono cinque 16:
1. la consapevolezza di sé, riguardante la capacità di riconoscere le proprie
emozioni, l’autovalutazione, la fiducia in sé stessi;
2. la padronanza di sé, riguardante la capacità di controllo e gestione delle proprie
emozioni, l’affidabilità e l’adattabilità;
3. la motivazione, riferita alla capacità di gestire le emozioni in virtù del
raggiungimento di determinati obiettivi, perseguiti con costanza nonostante gli
ostacoli;
4. l’empatia, riguardante la capacità di comprendere le emozioni e i sentimenti di
altri individui fino a stabilire con essi una sintonia emotiva;
14
Goleman D., Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, BUR, Milano, 2011,
p. 10
15
Di Santo D., Rullo M., Lisi F., op. cit., p. 14
16
Ibidem
11
5. le abilità sociali, che fanno riferimento alla capacità di saper gestire in modo
vantaggioso le proprie emozioni nei diversi contesti, stabilendo buone relazioni
interpersonali. Tali abilità comprendono le dimensioni di influenza sociale, la
comunicazione, la leadership, la gestione del conflitto, la collaborazione e la
cooperazione.
17
Viola D., La disabilità intellettiva, Edizioni Ferrari Sinibaldi, Milano, 2015, p. 4
18
Zambotti F. (a cura di), Disabilità intellettiva a scuola, Erickson, Trento, p. 2
19
Ibidem
20
Viola D., op. cit., p. 5
12
- deficit delle funzioni intellettive, come il ragionamento, la pianificazione, la
soluzione di problemi, il pensiero astratto, l’apprendimento scolastico. Tale
deficit dev’essere confermato sia dalla valutazione clinica che da prove di
intelligenza individualizzate e standardizzate;
- deficit del funzionamento adattivo che si manifesta col mancato
raggiungimento degli standard di sviluppo socio-culturali per l’indipendenza
personale e la responsabilità sociale. Tali deficit limitano il funzionamento in
una o più attività della vita quotidiana come la comunicazione, la
partecipazione sociale e la vita autonoma;
- insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi in età evolutiva (infanzia e
adolescenza).
I livelli di gravità che vengono distinti dai manuali diagnostici sulla base del grado di
compromissione intellettiva sono 4: lieve, moderato, grave e gravissimo. Mentre prima
tale classificazione era basata sul livello del QI, nel DSM-V i livelli di gravità vengono
definiti in relazione al funzionamento adattivo grazie al quale, anche nel caso di una
stessa diagnosi, si mantiene e si rafforza il concetto della variabilità delle qualità
individuali.
Anche se è difficile individuare caratteristiche generali e univoche attribuibili alla
maggior parte delle sindromi di disabilità intellettiva oggi conosciute, possiamo dire
che una prima peculiarità che descrive il pensiero di una persona con tale diagnosi è la
concretezza, ovvero l’incapacità di raggiungere il pensiero astratto e superare così lo
stadio delle operazioni concrete21. Un’ulteriore caratteristica è la rigidità, che ostacola
l’estensione di una conoscenza a situazioni diverse da quella di acquisizione; un
qualsiasi compito, in sostanza, viene portato avanti secondo la prospettiva “o tutto o
niente”, c’è grande difficoltà a generalizzare le acquisizioni fatte e l’incapacità di
adattarsi a una nuova situazione cambiando l’ordine precedente.
Infine il pensiero è limitato anche alla capacità di pianificazione, alla creatività e
all’immaginazione.
21
Zambotti F. (a cura di), op. cit., p.75
13
1.2.1 LE EMOZIONI NELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA
Il DSM-V parla della disabilità intellettiva individuando tre aree o domini condizionate
dal deficit: il dominio intellettivo, il dominio sociale e il dominio pratico. In
particolare, quello sociale è riferito a difficoltà nella gestione del comportamento e
delle emozioni, a problemi nelle relazioni interpersonali, nell’empatia e nel
mantenimento della motivazione nel processo di apprendimento22. Secondo diversi
studi, in effetti, nei soggetti con disabilità intellettiva sono sempre presenti difficoltà
nello sviluppo affettivo che comportano problemi relazionali e rischi psicopatologici
elevatissimi rispetto ai soggetti con sviluppo tipico. La natura dei disturbi emotivi e
comportamentali, comunque, appare correlata alla gravità del ritardo: nei soggetti con
disabilità lieve e moderata prevalgono disturbi della condotta, disturbi depressivi e
ansiosi, ossessivo-compulsivi e deficit attentivi, mentre nei soggetti con disabilità
intellettiva grave e severa prevalgono disturbi comportamentali di tipo autistico,
stereotipie, condotte aggressive e sintomi schizofrenici23.
Anche se, come abbiamo visto, non esiste un modello chiaro e univoco per la disabilità
intellettiva, è possibile riscontrare alcune caratteristiche peculiari dell’ambito emotivo-
relazionale nei soggetti con tale deficit.
Innanzitutto è riscontrabile una certa immaturità affettiva: lo sviluppo non rispetta le
tappe della normale crescita affettiva che, anche se non rigidamente fissate,
dovrebbero coprire certe fasi evolutive. Certamente, l’immaturità si presenta con
caratteristiche e atteggiamenti diversi, e, spesso, tende a essere ‹‹mascherata dal danno
fisico: ci si occupa e preoccupa molto del fatto che il bambino non cammina, non si
muove, non usa correttamente le mani, non regge il capo e così via, mentre si tende a
non approfondire gli aspetti psicologici››24. Una delle manifestazioni più evidenti
dell’immaturità affettiva è l’egocentrismo, caratteristica normale nel primo stadio di
sviluppo che comincia a venir meno quando si diventa consapevoli della realtà esterna
e dell’esistenza di esigenze e stati d’animo diversi dal proprio. Nei soggetti con
disabilità intellettiva questo aspetto, invece, tende a persistere e si traduce in una
marcata sofferenza quando non ci si trova al centro dell’attenzione; comportamenti
22
Viola D., op. cit., p. 10
23
Ivi, p. 12
24
Cannao M., Moretti A., Disabilità: sei facce del problema, Franco Angeli, Milano, p. 154
14
conseguenti a tale caratteristica sono l’interruzione continua dell’eloquio altrui, per
specificare meglio il problema o per intromettersi con argomenti totalmente diversi, il
non aspettare il proprio turno e intervenire con un tono emotivamente carico. Altre
dimensioni connesse all’immaturità affettiva sono alterazioni emozionali improvvise,
bassa tolleranza della frustrazione, disforia25. Sempre nell’ambito dell’immaturità
affettiva vale la pena, poi, capire come le persone con disabilità intellettiva
percepiscano l’amicizia; secondo un recente studio di Venuti e De Falco il livello di
concezione dell’amicizia nei soggetti con disabilità intellettiva è strettamente connesso
al grado di sviluppo mentale effettivamente raggiunto; le ricerche hanno messo in
evidenza che i soggetti con età mentale di circa sei anni presentano una concezione
elementare dell’amicizia, improntata su parametri fisici quali l’attività comune e la
prossimità26; l’amico viene concepito come qualcuno con cui giocare e divertirsi
mentre manca il riferimento a un legame permanente e reciproco.
Accanto all’immaturità vi è poi l’ipocontrollo emozionale: mentre normalmente
rispondiamo agli eventi con reazioni emozionali anche intense che però controlliamo,
evitando di farle emergere con comportamenti poco corretti, il soggetto con disabilità
tende a manifestare queste reazioni direttamente, a esempio con agitazione motoria,
crisi di riso o di pianto ecc.27: il controllo emotivo che viene raggiunto, di solito, verso
i 10-11 anni manca nel soggetto della stessa età con un danno neurologico in quanto
le sue barriere nei confronti della realtà sono più fragili, è più grossolano il modo di
interpretare gli eventi e il vissuto prevale sul passato28. Gli errori presenti nella
rappresentazione della realtà portano, quindi, il soggetto a provare emozioni
spiacevoli, le percezioni non riescono a essere generalizzate, il ragionamento è
imitativo e, di conseguenza, la risposta agli eventi è abnorme. Le modalità di risposta
si possono presentare schematicamente sotto forma di29:
- reattività, risposta indiretta e immediata, a volte esplosiva, espressa in termini
di ribellione e intolleranza;
25
Fedeli D., Affettività e rischio psicopatologico della disabilità, in “Health & Medicine”, a. IV,
n. 5, giugno 2015, p. 15
26
Zambrotti F. (a cura di), op. cit., p. 76
27
Cannao M., Moretti A., op. cit., p. 154
28
Ibidem
29
Ivi, p. 155
15
- inibizione, quindi chiusura in sé stessi e rinuncia a manifestare il proprio
vissuto;
- imitazione, cioè aderenza emozionale passiva a un modello esterno.
In tutti e tre i casi è presente una problematica adattiva, derivante dalla difficoltà di
comprendere, interpretare e comunicare i dati della realtà. La terza evenienza, tuttavia,
benché meno clamorosa delle altre, riflette un importante bisogno di aiuto educativo:
limitandosi a imitare i sentimenti e le emozioni altrui, il ragazzo con disabilità rischia
di vivere un’esistenza inautentica, che in psicoanalisi è definita un “falso Sé”. In effetti,
altra caratteristica tipica delle persone con disabilità intellettiva è proprio un’immagine
di sé stessi molto debole che provoca difficoltà sul piano dell’identità. Su questo tema
il pedagogista Andrea Canevaro ha sottolineato che la propria identità è spesso vista
come qualcosa di oscuro e misterioso, tale da non permettere di percepirsi in una
dimensione storica: è un non riconoscere la disabilità nel gruppo umano che non
permette la relazione e impedisce anche la comunicazione e l’apprendimento 30.
Questo mancato riconoscimento, tuttavia, avviene anche in direzione inversa: molto
spesso, infatti, nelle persone con disabilità, la componente emotiva è completamente
tralasciata; si dà molto peso alla classificazione nosografica dimenticando che il
soggetto, assieme alla sua patologia, va inquadrato in una prospettiva di
funzione/disfunzione globale in cui entrano in gioco anche altre componenti. Le
funzioni fondamentali di un individuo, infatti, possono essere schematicamente riferite
a tre grandi aree: motoria, intellettiva e affettiva; è chiaro tuttavia che, ragionando
secondo un parametro meramente clinico-descrittivo, l’insufficienza mentale andrà
collocata nell’ambito delle patologie intellettive, la spasticità in quello delle patologie
neuromotorie e le carenze affettive o le alterazioni del carattere in quello dei disturbi
psicologici: in tal modo, però, non sarà mai possibile trattare l’individuo nella sua
interezza. Considerando, invece, l’individuo come espressione di tutte e tre le aree si
pongono le premesse per una sua ricostruzione totale31: un ragazzo che presenta
difficoltà nel controllo motorio presenterà anche difficoltà cognitive e affettive
derivanti da una mancata integrazione fra sé e l’ambiente; di conseguenza, non sarà
sufficiente trattarlo con la fisioterapia, ma bisognerà completare l’approccio
30
Canevaro A., Handicap e identità, Cappelli, Bologna, 1986, p. 64
31
Cannao M., Moretti A., op. cit., p. 153
16
terapeutico fornendogli le facilitazioni necessarie per un corretto contatto con
l’esterno32.
Le tre aree, peraltro, sono strettamente correlate l’una all’altra; quella affettiva, in
particolare, riguarda il comportamento, la relazione con gli altri e la vita sociale ma il
suo sviluppo è intrinsecamente legato alla motricità e all’intelligenza: la maggior parte
dei ricercatori rileva, infatti, che molte problematiche legate alla sfera emotiva nelle
persone con disabilità intellettiva siano legate alla forte rigidità cognitiva che
caratterizza il ritardo e a deficit in quella che viene definita “teoria della mente”, cioè
nella capacità di attribuire stati mentali, credenze, intenzioni, desideri, emozioni, a sé
stessi e agli altri33. Questa rigidità ha effetti negativi sulle prestazioni sociali
determinando la messa in atto di comportamenti disfunzionali che vanno
dall’iperdipendenza all’isolamento.
Quando si parla di soggetti con disabilità intellettiva, dunque, accanto all’aspetto
clinico bisogna sempre considerare quello psicologico ed esistenziale, bisogna sempre
ricordarsi dell’inevitabile globale mortificazione della personalità che si accompagna
al danno neurologico34: i fallimenti di fronte alle richieste dell’ambiente, la
frustrazione, l’emarginazione, il senso d’impotenza e di inadeguatezza porta a
costruire un’immagine negativa di sé e a sviluppare stati emotivi e comportamenti che
compromettono le relazioni interpersonali. Per questo, l’Intelligenza Emotiva è una
risorsa da misurare e potenziare in questi soggetti per sfruttare al meglio le competenze
residue, combattere lo scoraggiamento, la depressione e promuovere il benessere
personale e l’inclusione sociale.
32
Ibidem
33
Ritardo mentale o disabilità intellettiva, in studicognitivi.it
34
Ibidem
17
positive. Sarebbe errato, inoltre, considerare l’educazione affettiva come un processo
mirante a modellare le emozioni degli altri secondo schemi imposti dall’adulto; al
contrario, si tratta piuttosto di un processo di apprendimento che porta
all’autoregolazione delle proprie emozioni in cui ognuno manterrà intatta la propria
emotività ma, anziché esserne totalmente assoggettato, imparerà a dominarla per poter
massimizzare il proprio benessere psichico anche nelle circostanze meno favorevoli.35
Tali obiettivi non possono non rientrare nel contesto scolastico; la scuola, dopo la
famiglia, rappresenta la seconda comunità in cui i ragazzi sviluppano attitudini,
capacità e competenze e, proprio per questo, non può limitarsi a formare i suoi studenti
solo dal punto di vista delle conoscenze relative alle materie insegnate; al contrario
deve formare cittadini, deve favorire la creazione di ambienti di apprendimento
funzionali allo sviluppo personale degli allievi e all’inclusione scolastica dei ragazzi
con bisogni educativi speciali: questo può essere fatto integrando nel curriculum
scolastico percorsi educativi incentrati sulle componenti emozionali di modo che si
vada a formare un corpo unico di competenze emotive, sociali, prosociali e scolastiche
che si supportino reciprocamente36.
In funzione di quanto detto, alla scuola vengono demandati più compiti37:
- studiare le emozioni attraverso una riflessione che può emergere da diversi
mediatori come il teatro, le storie, la poesia, i film;
- analizzare i vissuti emotivi di più soggetti per riconoscere emozioni e stati
d’animo in situazioni concrete prendendone coscienza;
- capire il sistema di regolazione emotiva e coltivare l’empatia con attività di
formazione esperienziale, in modo da incidere su processi di apprendimento
autentico che aiutino a migliorare anche il clima di classe.
L’idea che l’educazione emotiva non possa essere esclusa dalle attività curricolari è
sostenuta chiaramente da Baldacci che suggerisce un tipo di approccio educativo teso
a superare le tradizionali dicotomie che contrappongono area affettiva ed area
disciplinare, per proporre piuttosto un intreccio tra le due dimensioni: ‹‹le valenze
35
Di Pietro M., L’educazione razionale-emotiva, Erickson, Trento, pp. 11-12
36
Signorelli A., Inclusione scolastica ed educazione socio emotiva: risultati di una ricerca
europea, in “Italiana Journal of Special Education for Inclusion”, a. V, n. 2, settembre 2017, p. 55
37
Buccolo M., L’educatore emozionale: percorsi di alfabetizzazione emotiva per tutta la vita,
Franco Angeli, Milano, p. 87
18
educative ed esistenziali della dimensione affettiva trovano equilibrio e armonia solo
nella loro integrazione con la dimensione intellettiva, da concepire non come il
dominio di quest’ultima, ma come un processo di integrazione reciproca››38. Seguendo
questo definizione e riprendendo i concetti di protoapprendimento (apprendimento di
conoscenze e abilità a breve-medio termine) e deuteroapprendimento (strutturazione
di abiti mentali a lungo termine) formulati da Bateson, si possono distinguere due
livelli di formazione affettiva sviluppabili a scuola39. Il primo è relativo
all’acquisizione di abilità emozionali: comprendere i propri stati d’animo e quelli degli
altri, esprimere i propri sentimenti, controllare le proprie reazioni emotive, saper
influire sulle proprie emozioni e su quelle altrui. Il secondo riguarda, invece, lo
sviluppo di abiti emozionali grazie ai quali ogni individuo acquisisce dei modus
operandi, tratti caratteriali e qualità personali in cui si strutturano le specifiche
esperienze cognitive ed emotive. I due livelli sono fortemente collegati tra loro in
quanto la reiterazione di determinate esperienze stimolerà la formazione di abilità
emozionali che, a lungo andare, plasmeranno un modo d’essere durevole
dell’individuo (per esempio, nel breve-medio termine si sviluppa la capacità di
comprendere gli stati d’animo altrui così da assumere, nel lungo termine, un
atteggiamento empatico).
Nel contesto scolastico e soprattutto in presenza di alunni con disabilità, si dovrà agire
su entrambi i livelli; in questo modo la scuola attenderà alla sua duplice finalità, di
istruzione da un lato e di socializzazione dall’altro.
Il primo livello dev’essere strutturato in maniera diretta, secondo veri e propri corsi
specifici di alfabetizzazione emotiva che trovino collocamento in momenti appositi
dell’orario scolastico. Si tratta di ‹‹corsi che mirano a sviluppare le conoscenze e le
abilità emozionali del soggetto, facendo delle emozioni e della vita sociale vere e
proprie materie di insegnamento››40; percorsi espliciti, insomma, intenzionalmente
strutturati per individuare le componenti essenziali delle competenze affettive 41:
- la componente del vissuto caldo e delle sensazioni, il vivere le emozioni e gli
stati affettivi, l’esperirli intensamente;
38
Baldacci M., La pedagogia come attività razionale, Editori Riuniti, Roma, p. 158-160
39
Baldacci M., La dimensione emozionale del curricolo, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 144
40
Ivi, p. 146
41
Heidrun D., Ianes D., Educare all’affettività, Erickson, Trento, pp. 14-15
19
- la conoscenza delle emozioni dal punto di vista linguistico, corporeo e visivo,
per imparare la loro comunicazione e riconoscerle su sé stessi e nell’altro;
- la comprensione delle emozioni per come si strutturano, come agiscono, da
dove vengono e cosa producono;
- l’espressione delle emozioni, per regolarle al meglio modulando le interazioni
empatiche.
Obiettivo di tale alfabetizzazione è aiutare i ragazzi a riconoscere i propri stati d’animo
e a comunicarli in modo adeguato, gestendo l’eventuale disagio emotivo42.
Accanto alla dimensione basata sui protoapprendimenti specifici, la scuola deve
lavorare sulle emozioni in modo trasversale e collaterale a ogni disciplina; la crescita
emotiva, infatti, non è mai disgiunta da quella cognitiva e l’educazione affettiva la si
può sviluppare anche lavorandoci indirettamente, attraverso i contenuti disciplinari:
secondo questa prospettiva l’educazione emozionale risulta perfettamente integrata nei
processi di istruzione43, li accompagna, diventando un ingrediente costante in ogni
contenuto cognitivo veicolato. L’intenzionalità pertinente all’area affettiva si
manifesterà, in questo caso, in termini di finalità educative generali, cioè secondo
criteri educativi di più alto livello a cui ispirarsi, indipendentemente dal traguardo
specifico che si sta perseguendo. Perciò se un’attività è indirizzata al raggiungimento
di specifici obiettivi, sarà allo stesso tempo guidata da finalità educative più ampie, di
natura sia intellettuale che, appunto, affettiva44: se le modalità d’istruzione e il suo
contesto di svolgimento sono coerenti con le finalità educative, a lungo andare
tenderanno a svilupparsi gli abiti mentali corrispondenti. Questo tipo di approccio,
proprio per il suo carattere permanente e pervasivo, aiuta i soggetti con disabilità
intellettiva a generalizzare le competenze emotive apprese: in ogni diverso compito
proposto, infatti, l’alunno sarà chiamato a comportarsi secondo gli stessi modelli
affettivi che rispecchiano le finalità educative generali impostate in partenza. Per
esempio, se come finalità ci si pone l’educazione alla ragionevolezza, allora i criteri a
cui rifarsi costantemente, nel compito di italiano come in quello di matematica, di
inglese o di storia, saranno la riflessività, il buon senso, la pacatezza45. In altre parole,
42
Viola D., op. cit., p. 43
43
Buccolo M., op. cit., p. 90
44
Baldacci M., op. cit., p. 145
45
Ivi., p. 146
20
se al variare delle diverse materie e attività didattiche le relazioni educative rimangono
improntate alla ragione, all’equilibrio, alla disponibilità allora è più probabile che, a
lungo termine, la forma mentis dell’alunno risulti incline alla ragionevolezza e
all’equilibrio emozionale.
Elaborare questi programmi all’interno delle scuole sviluppando competenze socio-
emotive è indispensabile alla creazione di contesti inclusivi in quanto permetterà di
avvicinarsi alle problematiche inerenti la disabilità, fornendo chiavi di lettura adeguate
che responsabilizzino tutti gli attori coinvolti all’interno della classe; diversi progetti
di ricerca, in effetti, hanno evidenziato come programmi di educazione socio-emotiva
a scuola permettono di raggiungere46:
- una maggiore consapevolezza emotiva da parte degli insegnanti, con una
conseguente crescita delle loro capacità personali e professionali e una
modifica nelle loro pratiche didattiche orientate a essere sempre più inclusive
in termini di metodologie e di livello di partecipazione dei propri allievi;
- un miglioramento del clima di classe con la capacità di trasporre i concetti di
inclusione dal piano dei principi a quello della pratica tramite azioni concrete,
messe in atto quotidianamente;
- un’accresciuta consapevolezza da parte degli studenti delle proprie emozioni e
di quelle altrui;
- una maggiore attenzione ai bisogni degli altri con un deciso incremento di
atteggiamenti prosociali e responsabili.
46
Signorelli A., op. cit., p. 67
47
Di Pietro M., op. cit., p. 15
21
argomenti e procedure sulla gestione delle emozioni all’interno delle varie discipline,
affrontando le eventuali situazioni problematiche che in quel dato contesto si possono
presentare. Sono molte, in effetti, le materie che possono integrarsi con l’educazione
emotiva; basti pensare ai correlati fisiologici delle emozioni che richiamano le
discipline scientifiche e motorie, al potere evocativo delle immagini e delle arti
figurative, alla possibilità di mettere in parole le emozioni e gli eventi a cui esse sono
associate.
L’espressione “razionale-emotiva” si riferisce al fatto che, facendo ricorso alla propria
capacità di pensare in modo razionale, diventa possibile prevenire e superare difficoltà
di natura emozionale in un modello olistico che vede dimensione cognitiva ed emotiva
strettamente interdipendenti; in questo contesto il termine razionale non si riferisce
certo a un modo di pensare e agire distaccato, freddo, cerebrale ma vuole intendere un
modo di affrontare la realtà costruttivo, in grado di facilitare il conseguimento dei
propri scopi in accordo col proprio sistema di valori.
L’educazione razionale-emotiva è basata sulla sequenza ABC. Il punto A sta a indicare
qualsiasi evento, interno o esterno, su cui l’individuo dirige la sua attenzione,
comprende quindi anche ricordi o immagini mentali. Il punto B contiene i pensieri
razionali o irrazionali che l’individuo attiva in base all’evento A; riguarda il sistema
di convinzioni, la base mentale, nonché le cognizioni valutative dell’individuo
collegate all’evento. Il punto C sta a indicare, infine, le reazioni emotive e
comportamentali dell’individuo determinate dalle precedenti elaborazioni cognitive. 48
I tre stadi sono tra loro consequenziali, per cui è il punto B, cioè le convinzioni,
l’atteggiamento mentale a provocare determinate emozioni e comportamenti: se
prevalgono pensieri realistici e oggettivi la reazione emotiva risulterà adeguata, se
invece vi sono distorsioni della realtà o valutazioni esagerate e assolutistiche la
reazione emotiva e comportamentale sarà disturbata.
Questo modello può essere usato in classe anche con gli alunni che presentano
disabilità intellettiva lieve; si possono preparare attività semplificate, legate o meno a
una specifica materia scolastica, in cui indicare le affermazioni che descrivono
l’evento, le loro interpretazioni e valutazioni e, subito dopo, le emozioni provate. A
questo punto si possono affrontare le problematiche emerse confrontando quella
48
Ivi, p. 12
22
situazione con altre simili affrontate nel passato e che hanno avuto un risvolto positivo.
Inoltre, si può riflettere sul fatto che non tutti in quella situazione avrebbero avuto la
stessa reazione e che, quindi, le risposte emotive e comportamentali non dipendono
dalla situazione ma dal nostro pensiero per cui sono modificabili e controllabili.
L’obiettivo è aiutare i soggetti a riconoscere i propri stati d’animo e a comunicarli in
modo adeguato, gestendo il disagio emotivo davanti ai fallimenti. Bisogna identificare
per poi cambiare le convinzioni irrazionali e gli atteggiamenti mentali che causano
sofferenza, mettendone in discussione la loro utilità. In questo modo quelle
convinzioni perderanno il controllo sulle emozioni e si potrà compiere una
ristrutturazione cognitiva capace di generare nuovi comportamenti ed atteggiamenti.
23
PARTE SECONDA: RELAZIONE SULL’ESPERIENZA
PROFESSIONALE DI TIROCINIO
2.1 LA SCUOLA
La scuola presso la quale ho svolto il mio tirocinio è un Istituto comprensivo in
provincia di Reggio Calabria, nella zona della Locride.
Le attività scolastiche dell’Istituto si svolgono in cinque plessi, dislocati in più Comuni
e frazioni del posto. In totale fanno parte dell’Istituto tre Scuole dell’Infanzia, quattro
Scuole Primarie e tre Scuole Secondarie di I grado.
In particolare, io sono stata accolta nella secondaria di I grado della sede centrale. Tale
edificio comprende 9 classi per un totale di 177 alunni divisi in due sezioni; il modello-
orario seguito è il tempo normale per complessive 30 ore settimanali.
Qui Giacomo (nome di fantasia), alunno con disabilità, frequenta la classe seconda.
27
di poca luce e che gli spazi fruiti dagli studenti all'interno delle stesse in alcuni casi
sono insufficienti.
L’edificio che mi ha ospitato, oltre a presentare chiari segni di usura dovuti allo
scorrere del tempo e alla mancanza di manutenzione, possiede un unico laboratorio di
informatica con pochi pc datati e malfunzionanti. Non ci sono né palestra né
laboratorio scientifico né biblioteca. Ogni classe, invece, possiede una LIM e ogni
docente ha in dotazione un PC portatile. Anche la sala docenti è dotata di LIM, mentre
in una stanza vicina vi è una fotocopiatrice a esclusivo utilizzo dei collaboratori
scolastici su richiesta dei docenti. Per i professori di musica, inoltre, è disponibile una
scrivania riconvertita in postazione multimediale mobile con una tastiera, due
tamburelli e una cassa amplificata.
Attigua alla sala docenti esiste un’altra piccola stanza adibita ad aula di sostegno, in
quanto è proprio qui che i docenti portano gli alunni con disabilità nei momenti più
critici e di crisi. Tale aula è dotata di un computer fisso, anch’esso abbastanza datato,
conteso di volta in volta dai diversi ragazzi o usato dai professori; nella stessa stanza,
oltre a diversi oggetti e cartelloni realizzati da alunni degli anni precedenti, è presente
anche qualche gioco.
L’edificio è sprovvisto di connessione Wi-fi.
Per quanto riguarda le risorse professionali, 64 sono i docenti e 17 i profili relativi al
personale ATA. Sulla base dei bisogni dei singoli docenti e tenendo conto degli
obiettivi, si legge nel PTOF, l’Istituto organizza e promuove corsi di formazione e
aggiornamento in collaborazione con professionisti che operano nel settore delle
scienze dell’educazione. L’ente comunale ha, inoltre, emesso bandi per l’attribuzione
di assistenti ed educatori agli alunni con disabilità. Tuttavia non solo le ore di queste
figure professionali sono insufficienti ma si tratta anche di contratti stipulati per pochi
mesi che non permettono di costruire un percorso integro e continuativo con gli alunni.
28
Obiettivo di tale didattica è quello di far raggiungere a tutti gli alunni il massimo grado
possibile di apprendimento e partecipazione sociale, valorizzando le differenze
presenti nel gruppo classe, da quelle più visibili e marcate a quelle più difficilmente
individuabili. Le differenze, infatti, sono alla base dell’azione didattica inclusiva: esse,
si legge nel Piano Annuale per l’Inclusione, non solo devono essere accolte ma anche
stimolate e valorizzate, usate nelle attività quotidiane per lavorare insieme e crescere
come singoli e come gruppo.
L’inclusione scolastica e sociale passa necessariamente attraverso la stesura e la piena
realizzazione del Piano Educativo Individualizzato, strumento il cui obiettivo
principale è favorire il successo formativo degli alunni, ciascuno secondo i propri punti
di forza e debolezza, secondo i propri tempi e stili d’apprendimento.
Le pratiche che la scuola implementa per favorire l’inclusione, riguardano diversi
aspetti (organizzativi, gestionali e didattici) e consistono in:
- organizzare la didattica attraverso metodologie ed attività laboratoriali che
coinvolgano attivamente anche l’alunno con disabilità;
- strutturare percorsi specifici di formazione e aggiornamento dei docenti,
soprattutto su specifiche disabilità;
- condividere gli interventi con i servizi socio-sanitari del territorio;
- coinvolgere le famiglie e la comunità nel dare supporto e nel partecipare alle
decisioni che riguardano l’organizzazione delle attività educative;
- organizzare secondo linee generiche comuni i diversi tipi di sostegno presenti
all’interno della scuola;
- attenzionare particolarmente le fasi di transizione che scandiscono l’ingresso
nel sistema scolastico, la continuità tra i diversi ordini di scuola e il successivo
inserimento lavorativo attraverso progetti di accoglienza, continuità e
orientamento.
2.2 LA CLASSE
2.2.1 CARATTERISTICHE STRUTTURALI
La classe in cui ho svolto il tirocinio è ubicata al piano terra, affaccia su uno stretto
corridoio ma è abbastanza vicina ai servizi igienici e all’uscita. Ha un solo ingresso ed
è poco spaziosa, ma gode di molta luce ed è ben areata grazie a due finestre abbastanza
grandi situate sul lato opposto alla porta d’ingresso. Dispone di LIM e del PC a essa
collegato.
30
L’aula al mio arrivo si presentava tendenzialmente asettica; le pareti erano per lo più
bianche e gli unici cartelloni appesi consistevano in una cartina geografica e in un
lavoro sull’acqua realizzato da una classe precedente: essa non era, dunque,
rappresentante dell’identità della classe che ospita. Tale situazione è, tuttavia,
cambiata negli ultimi mesi di tirocinio; i ragazzi, infatti, hanno realizzato diversi lavori
come quello sulla violenza contro le donne, sugli elementi della terra e
sull’antisemitismo che sono stati attaccati alle pareti dell’aula.
31
2.2.3 DINAMICHE RELAZIONALI E CLIMA DI CLASSE
La classe è vivace e collaborativa e il clima relazionale fra i compagni è positivo; quasi
tutti i ragazzi, oltre ad aver frequentato insieme la scuola primaria, provengono dallo
stesso paese e si vedono anche fuori dall’orario scolastico. Grazie a questo e dato il
livello medio generalizzato della classe stessa, c’è disponibilità e aiuto reciproco tra
compagni mentre la competitività fra più e meno bravi è scarsa; i ragazzi lavorano
volentieri in gruppo, riescono a collaborare in vista di un obiettivo comune e possono
trovare insieme un accordo per risolvere eventuali problemi.
Il rapporto con Giacomo, invece, è più controverso. Egli ha frequentato con i suoi
attuali compagni anche la scuola primaria, tuttavia, non tutti hanno instaurato con lui
un buon rapporto. Solo due, infatti, sono i compagni che se ne prendono cura e che
hanno nei suoi confronti dimostrazioni di affetto; gli altri, invece, tendono ad ignorarlo
e a evitarlo soprattutto quando i suoi comportamenti diventano problematici.
I rapporti tra alunni e docenti sono distesi e collaborativi; gli allievi hanno una buona
osservanza delle regole e dimostrano rispetto verso docenti e collaboratori; portano il
materiale necessario allo svolgimento delle attività e tendono a eseguire le consegne
date nonché a rispettare gli orari delle lezioni.
Anche i professori sono abbastanza aperti e attenti a raccogliere le esigenze degli
alunni cercando di valorizzare il positivo che si trova in ognuno di loro. Nei confronti
di Giacomo il discorso, però, ancora una volta cambia: sebbene la sua personalità e
sensibilità siano rispettate da tutti i docenti e non vengano messi in atto comportamenti
discriminatori, egli viene spesso trattato con atteggiamenti pietisti e paternalistici; è
considerato, inoltre, l’alunno della sola insegnante di sostegno per cui, tranne qualche
raro caso, la lezione viene svolta senza prestargli da un punto di vista didattico
un’adeguata attenzione.
Tra i docenti vigono rapporti positivi, tesi a condividere obiettivi educativi e a
individuare comportamenti comuni per evitare contraddizioni nella relazione
educativa; collaborano tra di loro per favorire una migliore organizzazione dell’attività
didattica e, generalmente, adottano comuni modalità di relazione con gli alunni e con
le famiglie. Anche con l’insegnante di sostegno i rapporti sono sereni ma, purtroppo,
poco collaborativi; tranne pochi casi, le attività e i programmi proposti dall’insegnante
di sostegno vengono passivamente accettati dal resto dei docenti senza mettere nulla
in discussione o aggiungere altre idee.
32
2.2.4 I PROCESSI DI INSEGNAMENTO E APPRENDIMENTO IN
CLASSE
In classe quasi tutti gli insegnanti adottano uno stile basato sulla classica lezione
frontale; l’insegnamento è prevalentemente verbale supportato da spiegazioni orali e
dal continuo riferimento ai libri di testo. È un approccio fondamentalmente lineare,
finalizzato all’acquisizione delle competenze base, supportato da una suddivisione
delle materie in sequenze e basato su una presentazione scarna ed essenziale che non
necessita di attrezzature particolari e non consente molte aperture.
Pochi sono invece i docenti che insegnano attraverso uno stile più visivo supportato
da mappe, schemi e LIM, stile che si rivela molto più efficace soprattutto per gli
studenti con difficoltà. Questi docenti accompagnano lo stile visivo con metodologie
laboratoriali e di gruppo: anche se non vi sono nel plesso scolastico gli spazi adatti a
svolgere in maniera alternativa le varie discipline, cercano di sfruttare in classe
metodologie come il cooperative learning o il peer tutoring così da stimolare la
collaborazione tra allievi e permettere agli alunni più svantaggiati di essere aiutati da
quelli più dotati.
Eterogeneità si riscontra anche a livello di stili educativi; la maggioranza dei docenti
adottano uno stile autorevole con poche regole ma ferme, che motivano la classe e,
allo stesso tempo, incoraggiano l’autonomia. Questi consentono di essere interrotti per
domande o commenti rilevanti e tengono conto delle circostanze nella trasgressione
delle regole, incoraggiandone al contempo una discussione critica. Altri docenti,
invece, adottano in classe uno stile più autoritario per cui la lezione viene svolta senza
molti scambi verbali con gli alunni. Infine, alcuni docenti, fortunatamente pochi,
hanno uno stile fortemente permissivo, ai limiti dell’inesistenza: gli studenti non sono
coinvolti nell’attività di classe e la lezione si svolge in un clima del tutto disinteressato
da entrambe le parti.
In classe gli stili di apprendimento più sviluppati sono quello visivo-verbale e visivo-
non verbale: gli alunni prendono nota dei compiti, scrivono appunti durante la
spiegazione dell’insegnante con una preferenza verso la letto-scrittura; in alcune
materie, tuttavia, coadiuvano il testo scritto con immagini, grafici e mappe concettuali.
Anche se in minor misura, una parte della classe ha manifestato la preferenza verso
uno stilo più cinestesico che prediliga l’attività concreta e in cui si alternino momenti
di stasi a momenti di movimento.
33
2.3 DESCRIZIONE E ANALISI CRITICA DELLA
DOCUMENTAZIONE
La documentazione presente a scuola per Giacomo consiste nella Diagnosi funzionale,
nel Profilo Dinamico Funzionale e nel Piano Educativo Individualizzato redatto dal
consiglio di classe. La diagnosi riportata in tali documenti è: “Ritardo mentale di grado
lieve” (F70 – ICD 10) e “Disturbi evolutivi specifici misti” (F83 – ICD10).
Dall’analisi della Diagnosi Funzionale si evince che il ritardo di cui Giacomo è affetto
è stato segnalato durante la frequenza della scuola dell’infanzia: nel 2012 è stato
eseguito il test presso il Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile del
Policlinico Universitario La Sapienza di Roma che riportava come esito, appunto,
“ritardo mentale di grado lieve”. Qualche anno più tardi, dopo il ricovero presso
l’Unità Operativa Complessa dello stesso presidio, veniva consigliata terapia neuro-
cognitiva, neurolinguistica e psicomotoria. Attualmente, l’alunno pratica trattamento
logopedico e psicomotorio presso un centro riabilitativo della zona.
La Diagnosi Funzionale risale al 2013 e da allora non è stata più aggiornata rispetto
alle condizioni dello studente. Il curriculum scolastico dell’alunno si ferma, infatti, alla
scuola dell’infanzia e in alcune aree, proprio a causa dello scarto temporale tra la
compilazione del documento e la situazione attuale, sono presenti alcuni punti critici.
In particolare appaiono rientrati i problemi segnalati nell’area dell’autonomia
personale, in quanto l’alunno riesce a espletare da solo le principali attività connesse a
tale ambito (bere, mangiare, controllo sfinterico); anche le abilità fino-motorie,
dichiarate nella diagnosi significativamente ipoevolute, appaiono decisamente
migliorate sia a livello di coordinazione oculo-manuale sia grafo-motorio. In linea con
quanto riportato nel documento, persistono, invece, le difficoltà riscontrate nell’area
neuropsicologica, linguistica e soprattutto affettivo-relazionale che, di fatto,
continuano a interferire sul livello delle prestazioni scolastiche.
Il Profilo Dinamico Funzionale è strutturato secondo gli assi linguistico, sensoriale,
motorio-prassico, neuropsicologico, dell’autonomia, dell’apprendimento e
comunicazionale. Ogni asse è specificato in più settori e per ognuno di essi viene
indicato il funzionamento attuale, le prospettive di sviluppo e la sintesi di asse.
Parallelamente alla Diagnosi e in linea con quanto osservato in questi mesi, vengono
evidenziati, all’interno dell’asse comunicazionale, problemi di interazione sia con i
coetanei che con gli adulti. Si fa inoltre riferimento alle difficoltà nell’espressione
34
linguistica, comunicativa e all’immaturità nei rapporti interpersonali che
compromettono lo sviluppo delle potenzialità e i ritmi di apprendimento. Vengono
sottolineate le difficoltà in ambito neuropsicologico relativamente all’attenzione,
breve e discontinua, e alla difficoltà nell’acquisizione dei concetti di relazione spazio-
temporale: in merito a quest’ultimo punto permangono difficoltà nell’orientamento
temporale, mentre sono stati acquisiti i concetti topologici sopra, sotto, destra, sinistra.
Anche nell’area dell’autonomia personale il Profilo denuncia il costante bisogno
dell’adulto in determinati compiti che, invece, appaiono oggi decisamente migliorati.
Per Giacomo è stato redatto un Piano Educativo Individualizzato che, calibrato sulle
esigenze dell’alunno, mira a fissare obiettivi, a scegliere strumenti e criteri di
valutazione per creare una didattica realmente inclusiva.
Il P.E.I. redatto per Giacomo è suddiviso in aree e presenta, prima di tutto, un’analisi
della situazione di partenza; qui, oltre ai dati anagrafici dell’alunno e alla scuola di
appartenenza, è specificata la diagnosi con riferimento ai codici ICD-10 e una
dettagliata descrizione delle funzionalità dell’alunno secondo i vari assi: cognitivo,
relazionale-affettivo, comunicazionale-linguistico, neuropsicologico (capacità
mnesiche, attentive e organizzazione spazio-temporale), dell’autonomia, degli
apprendimenti e motorio-prassico.
La seconda parte del Piano, invece, è dedicata alla presentazione del progetto
educativo programmato per l’alunno; questo, in continuità con le linee direttive
intraprese l’anno precedente, si prefigge di
- migliorare l’interazione sociale;
- arricchire la comunicazione;
- favorire nuovi interessi e una maggiore flessibilità degli schemi di azione così
da allargare le conoscenze e l’adattamento all’ambiente circostante.
Di seguito, sempre seguendo una suddivisione per aree, vengono specificati gli
obiettivi da raggiungere nel corso dell’anno scolastico.
Una prima parte è dedicata agli Obiettivi Operativi Trasversali; per ogni area
individuata (cognitiva, neuropsicologica, relazionale-affettiva, dell’autonomia,
motorio-prassica, degli apprendimenti) sono specificati obiettivi a lungo, medio e
breve termine, le strategie e le attività per raggiungerli e punti di forza e debolezza
dell’alunno. Successivamente vi sono gli Obiettivi Didattici; qui, per ogni ambito
(linguistico-espressivo, storico-geografico, delle lingue straniere, logico-matematico,
35
motorio-tecnico-artistico e musicale) sono specificati i traguardi per lo sviluppo delle
competenze, gli obiettivi specifici di apprendimento, i contenuti, le attività e le
strategie.
Nella sezione conclusiva è definita l’organizzazione degli interventi in base alle ore di
compresenza con l’insegnante di sostegno; vengono, infine, specificati strumenti e
modalità di verifica.
Il Piano, in complesso, è ben strutturato e organizzato; anche gli obiettivi da
raggiungere sono chiari ed essenziali, calibrati sulla reale situazione dell’alunno. I
punti di forza e le risorse di Giacomo sono ben valorizzate; per esempio si sfrutta molto
lo stile d’apprendimento dell’alunno, prevalentemente visivo, si punta a progettare
attività di ordine pratico e manipolativo, a usare strumenti che incontrino l’interesse
dell’alunno come il computer e altri supporti multimediali, a prendere continuo spunto
dalla realtà e dalla quotidianità così da rendere comprensibili i concetti più astratti e
complessi. L’insegnante mette in pratica i propositi esposti nel progetto presentando
le attività in maniera metodica e specifica, attraverso una gradualità di proposte che
possano facilitare l’acquisizione e la generalizzazione dei concetti in altri contesti.
2.4 OSSERVAZIONE
2.4.1 OSSERVAZIONE NON STRUTTURATA
Giacomo ha 12 anni, è il secondogenito della famiglia composta da padre, madre e da
un fratello maggiore. Vive in una piccola frazione lontana dal centro abitato dove i
punti di aggregazione per ragazzi sono quasi del tutto assenti. Il padre è impiegato, la
madre casalinga; inoltre, anche se non vivono con lui, Giacomo frequenta
assiduamente i nonni materni di cui riferisce spesso in classe. Entrambi i genitori si
occupano di lui in un clima abbastanza sereno, ma è la madre la figura che lo supporta
e lo sollecita nel lavoro scolastico a casa, mentre il papà, che Giacomo sembra temere
maggiormente, svolge il ruolo più autorevole. Le condizioni socio-economiche della
famiglia sono abbastanza buone, mentre il livello socio-culturale è più basso: limitati
sono gli stimoli formativi e culturali.
Giacomo ha frequentato con regolarità la scuola dell’infanzia e quella primaria.
Attualmente frequenta la classe seconda della secondaria di I grado svolgendo un
orario scolastico con entrata alle 8.00 e uscita alle 13; solo due giorni a settimana
l’orario di uscita è anticipato alle 12 per permettergli di seguire la terapia riabilitativa.
36
È seguito dall’insegnante di sostegno in rapporto 1:1 per complessive 18 ore
settimanali; segue una programmazione personalizzata nei contenuti e nei tempi in
tutte le discipline, con il raggiungimento di obiettivi minimi, calibrati alle sue capacità.
Accompagnato quotidianamente in auto dalla madre, dimostra di venire volentieri a
scuola dove ricerca i suoi ormai noti punti di riferimento: l’insegnante di sostegno, i
professori con cui è entrato più in sintonia e alcuni suoi compagni, due in particolare.
Dimostra di essere autonomo sul piano personale in quanto attende senza l’aiuto degli
adulti al soddisfacimento dei propri bisogni: va in bagno, mangia e beve da solo,
organizza autonomamente il materiale scolastico che porta in classe con regolarità. Si
orienta abbastanza bene nell’edificio scolastico e in classe e sa dove recarsi quando ha
bisogno di qualcosa che lo interessa particolarmente: per esempio, conosce il posto in
cui è depositato il computer che gli è concesso di usare in alcune ore della giornata;
ama utilizzare tale strumento per giocare con alcuni CD incentrati su un personaggio
animato, “Maddy”, di cui riferisce continuamente durante la giornata.
Notevoli difficoltà emergono nel rapporto con gli altri, sia coetanei che adulti. Accetta
la presenza dei compagni in classe, ma con la maggior parte di loro i rapporti si
limitano alla serena convivenza; ha un rapporto privilegiato solo con due compagni
che lo cercano e hanno verso di lui dimostrazioni di affetto, anche se tende a distaccarsi
e a rifuggire da essi subito dopo aver ricevuto una coccola o un abbraccio. Con il resto
della classe, invece, è tendenzialmente indifferente, non partecipa alle attività che
fanno gli altri e preferisce giocare da solo. È estremamente geloso delle sue cose
mentre pretende gli oggetti degli altri: se questi glieli negano si arrabbia e piange. Gli
approcci nei confronti dei coetanei risultano, quindi, inadeguati e immaturi ai fini di
un rapporto amicale.
Più distesi appaiono i rapporti con gli adulti, alcuni dei quali sono diventati ormai i
suoi punti di riferimento; tuttavia, anche in questo caso gli affetti non sono gestiti con
equilibrio: passa dalla totale indifferenza e apatia al morboso attaccamento. Quando i
professori con cui è entrato in maggior sintonia, al momento del proprio orario
d’uscita, si allontanano da lui e dall’aula manifesta insofferenza e tristezza,
continuando a chiedere quando faranno ritorno e, in alcuni casi, anche uscendo dalla
classe per andare a cercarli. Davanti ai dinieghi degli adulti, invece, si ribella e, qualora
ciò che vuole non gli viene concesso, piange sommessamente interrompendo le attività
che sta eseguendo; questo accade di frequente quando non gli si permette di usare il
37
computer: in queste occasioni si rifiuta di lavorare ed esterna la sua rabbia con il pianto
e continue richieste a voce alta.
Molto problematici risultano i processi di astrazione e generalizzazione; il suo stile
d’apprendimento, prettamente visivo e imitativo, necessita continuamente di
riferimenti al concreto e al vissuto. Le sue conoscenze poggiano su esperienze dirette
e processi meccanici, mentre più lenti e difficoltosi sono i processi mentali di
elaborazione e integrazione dei dati forniti.
I tempi di attenzione e concentrazione sono molto ridotti; queste sono strettamente
legate ai suoi campi di interesse per cui risulta difficile motivarlo quando l’attività
esula dalle sue aspettative o risulta difficoltosa rispetto alle sue capacità. Possiede,
inoltre, una memoria selettiva: ricorda benissimo ciò che investe il suo interesse ma
pecca nella memoria di lavoro, per cui difetta nelle abilità di base, sia in ambito
linguistico-espressivo che logico-matematico. A livello linguistico riesce a leggere e
scrivere parole semplici e preferisce usare lo stampatello maiuscolo; la comprensione
di un messaggio è limitata a contenuti semplici, attinenti a riferimenti di vita vissuti:
va continuamente supportato con la spiegazione dell’adulto e riproponendo i concetti
nel raffronto con la realtà. Il linguaggio usato dall’alunno è semplice e familiare,
frequentemente intercalato da ecolalie ed espressioni dialettali probabilmente sentite a
casa. In ambito matematico ha acquisito il concetto di numero, sa associare la quantità
al segno numerico corrispondente ma ha difficoltà nella procedura del calcolo mentale
anche con piccoli numeri.
Nell’organizzazione spaziale utilizza i concetti topologici sopra, sotto e riconosce la
sua destra e sinistra, ma evidenzia ancora incertezza e inadeguatezza qualora debba
orientarsi mediante relazioni temporali. Ha difficoltà ad organizzare gli eventi che si
susseguono nel tempo e a rievocare e raccontare un fatto anche vissuto in prima
persona. Riconosce gli spazi umani e sa associare gli elementi che ad essi
appartengono, ma non sa verbalizzare una descrizione.
49
La griglia usata per l’osservazione strutturata è stata fornita dal tutor universitario
39
continuamente sollecitarlo e motivarlo sebbene ciò risulti faticoso, non riuscendo
sempre ad avere la sua collaborazione.
Conosce le regole della convivenza scolastica ma non sempre le rispetta; spesso,
durante le ore di lezione, canticchia, fischia e parla disturbando i compagni e, qualora
nel piazzale adiacente la classe scruti auto o persone, si alza dal suo posto per guardare
dalla finestra cosa sta succedendo.
40
Ma tenere in piedi l’architettura dell’inclusione significa anche una continua
collaborazione con le figure che ruotano intorno alla scuola e all’alunno con disabilità:
famiglia, educatori, assistenti, operatori socio-sanitari.
Con la famiglia di Giacomo l’insegnante di sostegno ha condiviso, fin dall’ingresso
del ragazzo nella scuola secondaria, obiettivi educativi e azione didattica. Tra di loro
c’è un rapporto di dialogo e confronto, un continuo scambio di informazioni su
comportamenti e atteggiamenti di Giacomo a scuola e in società, soprattutto per evitare
la comunicazione di messaggi contradditori al ragazzo. Gli incontri con la famiglia
sono frequenti e sistematici in modo da aggiornarsi reciprocamente sulle difficoltà
riscontrate negli apprendimenti e nelle relazioni interpersonali e sugli strumenti e
metodologie da adottare per superarle.
Anche con gli operatori dei servizi socio-sanitari l’insegnante di sostegno intrattiene
rapporti di collaborazione e interazione che permettano un costante contatto tra
strutture diverse, nel rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno.
41
OBIETTIVI A 1. Autoconsapevolezza del proprio stato emotivo;
LUNGO 2. Controllo del comportamento in relazione alle proprie
TERMINE emozioni e a quelle altrui;
3. Sviluppo dell’empatia.
OBIETTIVI A 1. Saper controllare la frustrazione e la rabbia causata dal
MEDIO diniego delle proprie pretese/richieste;
TERMINE 2. Partecipare ad attività di gruppo e collaborare con i
compagni;
3. Adottare comportamenti consoni all’attività scolastica
come non disturbare durante la visione di un film, non
prendere senza autorizzazione il materiale altrui.
PREREQUISITI 1. Capacità di usare adeguatamente materiali e strumenti
per attività grafiche.
2. Riconoscimento di un’espressione facciale e
dell’emozione che esprime.
DISCIPLINE Arte e immagine; Italiano.
COINVOLTE
CONTENUTI Emozioni primarie (rabbia, gioia, tristezza, paura, disgusto)
METODI E Utilizzare uno stile prevalentemente visivo attraverso immagini
STRUMENTI che possano trasportare su un piano più concreto i concetti
LIM
Cooperative Learning
TEMPI Mese: Gennaio - Febbraio.
5 incontri da un’ora e mezza a settimana.
VALUTAZIONE Valutazione in itinere: Conversazione sulle emozioni primarie
(fine prima fase).
Valutazione sommativa: Compito di realtà (fine terza fase).
Autovalutazione: Test sul grado di soddisfazione e gradimento
dell’attività.
42
Fase 1 Nella prima fase è stato proiettato in classe il film animato “Inside Out”; tale
visione ha offerto un riscontro concreto e intuitivo per introdurre un tema così astratto
come le emozioni.
Alla fine del film è stata aperta in classe una discussione sui seguenti punti:
- cos’è un’emozione;
- quali sono le emozioni primarie;
- come si esprimono le emozioni a livello fisico e linguistico;
- qual è il ruolo delle emozioni nella vita quotidiana e nei rapporti con gli altri.
Fase 2. Attraverso il film sono state individuate cinque emozioni primarie: Gioia,
Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto. La classe è stata, quindi, suddivisa in cinque
gruppi, ognuno dei quali ha ricevuto un’emozione su cui lavorare.
In particolare è stato richiesto ai ragazzi di costruire un “termometro delle emozioni”
con cui misurare e regolare una specifica emozione. Ogni termometro è stato
rappresentato indicando quattro gradi di intensità: dal primo, rappresentante una
situazione di calma, fino all’ultimo, il più intenso, rappresentante il livello di massima
intensità dell’emozione. Ogni livello, inoltre, è stato corredato da un riferimento visivo
indicante l’espressione facciale relativa a quel preciso stato d’animo e da una casella
dotata di velcro su cui attaccare una X anch’essa dotata dello stesso materiale; in tal
modo è l’alunno a regolare il termometro: è lui che riconosce il livello di emotività
raggiunto e si autocontrolla cercando di “abbassare la temperatura”.
Giacomo è stato inserito in un gruppo preciso, accanto ai compagni che gli stanno più
simpatici i quali, a loro volta, gli hanno dimostrato disponibilità e accoglienza. Il suo
gruppo ha realizzato il termometro della rabbia, un’emozione che l’alunno stenta a
controllare in particolari momenti.
Fase 3. Nell’ultima fase ogni gruppo ha rappresentato alla classe il proprio lavoro,
descrivendo i vari stadi rappresentati sul termometro.
Dopo la presentazione alla classe degli strumenti realizzati, a ogni ragazzo è stata
presentata una situazione e gli è stato chiesto di indicare a che livello salirebbe, in
quella data circostanza, il livello del termometro. Sono nati, quindi, interessanti spunti
di riflessione: come mai in alcune situazione il termometro è salito di più? Come mai
non tutti hanno provato le emozioni con la stessa intensità? Come cambia l’intensità
dell’emozione dopo qualche giorno?
43
Infine gli alunni hanno compilato una scheda autovalutativa in cui ognuno ha espresso
la propria opinione relativamente al metodo di lavoro sviluppato dal gruppo (ruoli
assegnati, clima di lavoro, eventuale ripetizione dell’esperienza) e al grado di
soddisfazione del prodotto finale.
44
PARTE TERZA: DESCRIZIONE DEL PRODOTTO
MULTIMEDIALE
3.1 LE TIC E LA SCUOLA
Fluida, partecipativa, interattiva: sono queste le caratteristiche della società odierna;
una società fatta di innumerevoli informazioni, spesso poco attendibili o addirittura
false, una società mutevole in cui si chiede di riconfigurare continuamente il proprio
background culturale e le proprie abilità professionali, una società in cui l’intero
scenario dei saperi e delle abitudini umani nel giro di pochi decenni si è radicalmente
trasformato. Portatrice di questo cambiamento è l’innovazione tecnologica: televisione
e computer sono diventati potenti apparati di conoscenza, Internet ha permesso la
diffusione e l’accessibilità di questa tecnologia, i Social Network hanno reso il tutto
un mezzo di comunicazione di massa interattivo.
I nuovi media, insomma, sono diventati una vera e propria finestra sul mondo, quasi
indispensabili in ogni ambito di vita.
Davanti a questo scenario un attore importante della vita sociale come la scuola non
può certo restare indifferente ma, al contrario, deve insegnare ai suoi discenti un uso
consapevole e critico di questi strumenti e, allo stesso tempo, usufruire di quegli stessi
mezzi per migliorare la propria offerta didattica. E questo la scuola può farlo
affiancando all’apprendimento formale, tipicamente scolastico, che richiede sforzo,
impegno, astrazione, uno informale, quello dei nuovi media appunto, centrato su
logiche quali la partecipazione, la complicità, l’immersione; due binari che si fondono
per creare un sapere più aperto e flessibile, una didattica più dinamica e reticolare.
Ecco che le TIC, cioè le Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione, entrano
in classe rivoluzionando la classica lezione frontale.
A questo punto bisogna, però, fare una differenza tra le tecnologie didattiche e l’uso
delle TIC nella didattica; mentre quest’ultima espressione indica gli strumenti usati o
utilizzabili nella didattica la cui connotazione è prevalentemente tecnologico-digitale,
la definizione di tecnologie didattiche è più ampia e indica aspetti di metodo, di
organizzazione, di progetto; è un settore interdisciplinare centrato sui processi didattici
la cui finalità è quella di ottimizzare i processi formativi. In questo senso, dunque, le
TIC sono la parte più consistente degli strumenti tecnologici che le tecnologie
didattiche hanno a disposizione per la progettazione, lo sviluppo, l’utilizzazione, la
gestione e la valutazione dei processi e delle risorse destinate all’insegnamento e
all’apprendimento50.
50
Tic e Didattica, in www.centrostudiulisse.it
Oltre ai più classici tablet e PC, gli strumenti tecnologici sono, per esempio, la LIM,
la Lavagna Interattiva Multimediale che permette di trasferire su una grande superficie
interattiva materiali attivi che possono essere editati, cliccati, spostati; lo strumento e-
book, non solo un semplice libro in formato PDF ma un oggetto in costante divenire
che oltre al semplice testo può accogliere immagini, registrazioni sonore, filmati.
Strumenti sempre connessi in rete con cui sviluppare lezioni interattive e multimediali
magari in modalità e-learning, svolgere esercitazioni e verifiche al computer, chiarire
i dubbi attraverso contatti via e-mail, social o attraverso risorse web, approfondire e
ricercare i contenuti in tempo reale, sviluppare progetti in rete.
Bisogna, comunque, ricordare che la rivoluzione digitale a scuola non mette in
discussione significati e contenuti, ma propone metodi di comprensione e azione
alternativi secondo più dimensioni: emotiva e cognitiva per cui il soggetto arricchisce
la sua personalità sperimentando più media, linguaggi e codici; attiva e interattiva, che
si traduce in stimolanti opportunità di apprendimento per gli studenti e in nuove
strategie organizzative della didattica per i docenti; reticolare, per cui il sistema
scolastico si apre al contesto circostante.
Naturalmente, l’adeguamento della scuola al digitale non riguarda solo il sistema
italiano ma si inserisce in un contesto di più ampio respiro; è stato proprio il
Parlamento Europeo con la Raccomandazione del 2006, ribadita nel 2018 con il nuovo
testo, a inserire nelle competenze chiave quella digitale; essa consiste nel saper
utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società
dell’informazione per ogni ambito di vita, dal lavoro, al tempo libero alla
comunicazione. Tale competenza è supportata da abilità di base nelle TIC come l’uso
del computer per reperire, valutare, produrre e scambiare informazioni nonché per
comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet. Anche se non
direttamente di competenze digitali, anche il più recente quadro strategico promosso
dall’Unione Europea “Istruzione e formazione 2020” tra i quattro obiettivi fissati per
il rinnovamento della scuola, fa rientrare a ogni livello di istruzione e formazione
l’incoraggiamento della creatività e dell’innovazione, termini che rimandano
inevitabilmente al paradigma digitale.
47
3.2 TIC E BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
Mettere la tecnologia a servizio degli alunni e della scuola significa sfruttare le
potenzialità e i vantaggi che offre, le semplificazioni che permette di ottenere e la
velocità con cui consente di raggiungere determinati obiettivi. In questo senso appare
molto chiaro il ruolo che essa può avere nella didattica con alunni che presentano
disabilità o, più generalmente, Bisogni Educativi Speciali; la tecnologia, infatti, può
aiutare l’alunno sia a raggiungere obiettivi didattici e di apprendimento, facilitandolo
nell’acquisizione delle conoscenze, sia ad aggirare difficoltà e problematiche
specifiche per realizzare una piena inclusione in classe51.
I concetti di inclusione e personalizzazione della didattica sono alla base della
normativa attuale; essa sancisce il diritto per gli alunni che presentano particolari
situazioni di difficoltà dovute a disabilità, disturbi specifici, svantaggio sociale,
culturale e linguistico, di avere pieno accesso agli apprendimenti usufruendo di una
didattica personalizzata e diversificata in base alle esigenze personali: la tecnologia
può contribuire al raggiungimento di tale obiettivo. Essa, infatti, mette a disposizione
degli studenti strumenti compensativi affinché il ragazzo con disabilità possa superare
le barriere e le limitazioni che incontra e partecipare attivamente alle attività proposte;
gli strumenti di cui si compone sono versatili, malleabili e adattabili52 per cui è
possibile modificare il contenuto didattico per rispondere alle specifiche esigenze di
ogni studente. Può, inoltre, facilitare il lavoro cooperativo in classe di modo che
ognuno, in base alle proprie abilità e risorse, possa contribuire alla creazione di
materiali originali.
In merito a ciò la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilità ha sottolineato che le nuove tecnologie devono essere considerate strumenti
chiave per promuovere l’equità nelle opportunità educative in base a quattro ambiti:
- accesso personale all’informazione e alla conoscenza: le tecnologie didattiche
come strumento per migliorare l’accesso del discente alle informazioni e alle
conoscenze in situazioni formali e non formali di apprendimento;
51
Bembich C., Uso delle tecnologie nel sostegno: il punto di vista di un gruppo di insegnanti in
formazione, in “Open Journal per la formazione in rete”, a. XV, n. 2, agosto 2015, p. 48
52
Ivi, p. 50
48
- situazioni di apprendimento e insegnamento: le tecnologie didattiche per la
pedagogia e gli usi didattici, per lo sviluppo di apprendimenti e il
modellamento di nuove competenze, come strumento per gli insegnanti a
sostegno dell’apprendimento;
- comunicazione personale e interazione: le tecnologie didattiche come
strumento per la comunicazione alternativa/aumentativa e per sostituire o
integrare la comunicazione personale, come strumento per superare
l’isolamento e le barriere sociali e geografiche;
- procedure amministrative-educative: le tecnologie come strumento per
l’accesso alle procedure amministrative nelle organizzazioni, come strumento
per gli amministratori, volte a migliorare i servizi per gli studenti con disabilità
e BES.
In questa prospettiva, dunque, le tecnologie sono intese come strumenti e risorse che
concorrono a realizzare negli allievi con bisogni educativi speciali apprendimenti
significativi ed efficaci, rendendo l’ambiente più accogliente e stimolante, migliorando
la differenziazione dei percorsi didattici, promuovendo una maggiore partecipazione
di chi presenta difficoltà e consentendo l’abbattimento di quelle barriere di accesso che
accrescono il gap tra i compagni.
49
clima della classe affinché siano i compagni stessi a coinvolgere attivamente Giacomo
collaborando a creare un ambiente favorevole e sereno.
51
52
3.6.1 ACQUISIZIONE E CREAZIONE DEL MATERIALE
I materiali sono stati rintracciati per lo più online: le immagini tramite Google
Immagini e i video su Youtube; disponendo del film in formato mp4 alcune immagini
e porzioni di video sono state ottenute tagliando il video originale. I testi invece, sono
stati scritti autonomamente. Infine, le attività di verifica sono state create con il
software H5P e con E-Pub Editor. Come si evince dallo storyboard l’e-book
comprende anche una scheda unplugged, “Il cruciverba delle emozioni”; essa è stata
creata manualmente dando vita a delle definizioni verticali e orizzontali per ogni
emozione.
3.6.2 EDITING
L’e-book, dal titolo Emozioni…animate! è stato creato utilizzando E-Pub Editor; il link
pubblico per visionarlo è https://www.epubeditor.it/ebook/?static=184681. Consta di
17 schede di cui una unplugged; le altre, sia teoriche che di verifica, sono attività da
svolgere al computer.
53
La prima scheda si intitola “Le 5 emozioni di base”; è stata realizzata interamente con
E-Pub Editor inserendo il titolo e un video da YouTube. Il video presenta le 5 emozioni
di base protagoniste del film Inside Out.
54
Le schede che vanno dalla terza alla settima sono tra di loro simili; anche queste sono
state realizzate inserendo nella pagina di E-Pub Editor delle attività realizzate con H5P.
In ognuna di esse viene presentato nel dettaglio un personaggio-emozione del film
attraverso la definizione delle qualità fisiche e caratteriali e della funzione svolta nel
cartone. Ogni emozione è stata realizzata con la funzione Image Hotspots di H5P che
permette di inserire un’immagine e porre su di essa degli Hotspots i quali, una volta
cliccati, aprono delle finestre contenenti specifiche informazioni.
Nell’ordine abbiamo: “Ecco a voi…Gioia!”, “E ora…Tristezza”, “Vi presento
Rabbia”, “È il turno di Disgusto!”, “Arriva Paura…”
55
56
In modalità Fullscreen invece l’attività appare così:
57
A seguire è stata posta un’attività unplugged, “Il Cruciverba delle emozioni”, da
stampare e svolgere in classe. Di seguito la guida per l’insegnante:
Consegna agli allievi Completa il cruciverba
Istruzioni per gli Distribuire un cruciverba per ogni allievo.
insegnanti Gli alunni avranno a disposizione 15 min per completare il
cruciverba.
A Giacomo verrà fornita una scheda semplificata con degli
aiuti visivi.
Strumenti necessari Schede con cruciverba per gli alunni; scheda semplificata
per Giacomo.
58
L’attività di verifica che segue (“Cosa prova Riley?”) è stata realizzata incorporando
da H5P un Image Pairing su una scheda di E-Pub editor: si tratta di associare varie
scene del film all’emozione che la protagonista prova. È possibile accumulare un punto
per ogni risposta esatta, rivelare la soluzione giusta in caso di risposta errata e rifare
l’attività da capo.
La scheda “Come ti senti se…” è stata, invece, realizzata interamente su E-Pub Editor
sfruttando la funzionalità del programma di creare anche autonomamente attività
interattive. Attraverso la funzione Riempi gli spazi sono state fornite delle situazioni
in cui scegliere l’emozione provate tra due opzioni fornite. Le risposte esatte vengono
59
date in verde mentre quelle sbagliate in rosso. È possibile rifare l’attività e si accumula
un punto per ogni risposta giusta.
61
Le ultime due schede di cui si compone l’e-book sono incentrate sulle Isole della
Personalità che nel film servono a rappresentare le sfaccettature di un individuo, i suoi
interessi e l’identità costruita nel tempo. La prima scheda, “Le isole della Personalità”,
riguarda proprio la descrizione delle varie isole che si incontrano nel film e consiste in
un Agamotto realizzato su H5P; quest’attività permette di inserire in successione più
immagini corredando ognuno di una didascalia.
63
CONCLUSIONI
L’obiettivo che mi sono posta nella stesura di questo elaborato è stato quello di
dimostrare che il contesto scolastico può e deve diventare un posto in cui l’educazione
socio-emotiva acquisisca uno status prioritario, tale da essere integrata nel curricolo
scolastico sia in lezioni autonome sia in affiancamento alle tradizionali discipline.
Questo perché, essendo l’intelligenza emotiva un frame che si muove all’interno delle
competenze malleabili dello studente e che riguarda ogni singolo allievo, può incidere
fortemente sulla qualità dell’inclusione scolastica nel sistema educativo italiano.
Riprendendo Goleman e secondo quanto indicato dal CASEL, uno dei punti di
riferimento per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo in questo campo, l’educazione
socio-emotiva è un processo che si sviluppa in cinque aree chiave:
autoconsapevolezza, autogestione, consapevolezza sociale, capacità relazionali e
capacità di prendere decisioni responsabili. Ognuno di questi ambiti, attraverso gli
obiettivi e i traguardi che si pone, va ad incidere positivamente sulla questione
dell’inclusione in quanto risponde anche ai bisogni più sottesi di chi vive una
situazione di disabilità.
Così, abbiamo visto che parlare di autoconsapevolezza vuol dire individuare punti di
forza e debolezza, imparare a costruire un’identità sociale nonché analizzare ogni
retroterra socio-culturale; autogestione significa anche resistenza agli stress personali
e sociali, alla discriminazione, al pregiudizio; la consapevolezza sociale ha
un’efficacia collettiva in quanto pone le basi per comprendere l’importanza della
diversità e il suo significato nei vari contesti di vita; le capacità relazionali oltre che
alla comunicazione dei propri pensieri e all’ascolto attivo, agiscono sulla possibilità di
stabilire relazioni socialmente, culturalmente ed emotivamente efficaci con le altre
identità nonché di partire dalle proprie caratteristiche per costruire un’identità di
gruppo; e, infine, prendere decisioni responsabili vuol dire resistere alle influenze
negative, valutare l’impatto dei propri valori per giungere a soluzioni socialmente
inclusive e riflettere sulle conseguenze etiche, morali e pratiche delle proprie decisioni.
Lavorare su tutto questo aiuta a far diminuire la sofferenza emotiva e i problemi
comportamentali agendo invece su un miglioramento di quelli positivi e prosociali.
Inserendo, dunque, programmi di educazione socio-emotiva nel proprio curriculum
didattico, il sistema scolastico italiano, che già vanta un’esperienza quarantennale
nell’integrazione/inclusione dei ragazzi con disabilità e bisogni educativi speciali
64
all’interno delle scuole mainstream, potrà supportare, prima al suo interno e poi fuori,
allievi e insegnanti, in modo da plasmare quei cittadini responsabili e partecipi di cui
parlano le Raccomandazioni nazionali ed europee.
65
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66
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Ritardo mentale o disabilità intellettiva, in www.studicognitivi.it
67