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Aspetti introduttivi
Sotto la denominazione di “Disabilità Intellettiva” (DI) vengono indicati quadri clinici con
diversa etiologia, caratterizzati da significative limitazioni che investono sia il funzionamento intellettivo
che il comportamento adattivo, con compromissione delle competenze sociali e di quelle necessarie a
provvedere alle abituali richieste nelle attività quotidiane. La “disabilità” si rende manifesta prima dei 18
anni. La definizione appena riportata è dell’American Association on Intellectual and Developmental
Disabilities (AAIDD, 2013). Da tale definizione emergono una serie di punti che richiedono alcune
considerazioni.
Incidenza e cause
Fra i vari quadri clinici di interesse neuropsichiatrico infantile, la Disabilità Intellettiva è uno dei
più frequenti. Secondo stime effettuate in diverse ricerche, la frequenza è valutata dal 2 al 5% della
popolazione (numero complessivo di soggetti con QI inferiore a 70 o alle due deviazioni standard).
L’analisi differenziata in rapporto all’entità della compromissione intellettiva, permette di
rilevare una netta prevalenza delle forme lievi rispetto alle forme “gravi”1, che nel loro complesso
si aggirerebbero intorno allo 0,3%.
La Disabilità Intellettiva è dovuta a cause molto diverse fra loro. La disorganizzazione delle
funzioni complesse che sottendono il quadro clinico-comportamentale della Disabilità Intellettiva
può essere letta come la via finale comune di processi patologici di natura estremamente
diversificata. In teoria, qualsiasi fattore capace di incidere sul sistema nervoso centrale in via di
sviluppo è in grado di alterare quella trama morfo-funzionale, dalla cui integrità dipende il normale
funzionamento intellettivo.
Generalmente, i fattori etiologici vengono suddivisi in due grandi categorie, Fattori Genetici e
Fattori Acquisiti. Nella macro-categoria dei Fattori Genetici vengono incluse le alterazioni geniche
e le aberrazioni cromosomiche. La macro-categoria dei Fattori Acquisiti, invece, viene suddivisa in
rapporto all’epoca durante cui agiscono le noxae patogene (Tabella 18.1).
La frequenza percentuale delle varie categorie etiologiche e la loro distribuzione in rapporto alla
severità della limitazione della funzione intellettiva vengono riportate in Tabella (Tabella 18.2). Si tratta
di dati riassuntivi delle diverse ricerche effettuate in questo senso.
Come si rileva dalla Tabella, anche per quel che riguarda le cause esistono sensibili differenze
fra le forme lievi e le forme “gravi”. Nelle forme lievi, infatti, l’etiologia è accertata solo del 45%
dei casi; nel rimanente 55% la causa risulta difficilmente definibile. Nelle forme “gravi”, viceversa,
l’eziologia riesce ad essere accertata nella maggioranza dei casi: solo in una quota valutata intorno
al 18% l’etiologia resta “sconosciuta”.
Nell’ambito del gruppo delle forme lievi ad etiologia sconosciuta va inserito un sotto-gruppo di
pazienti per i quali è ipotizzata una ereditarietà di tipo poligenico. Si tratta di quei casi in cui uno
dei due genitori, o entrambi, presentano un QI ai limiti inferiori della norma. L’ipotesi nasce dalla
possibilità di considerare l’intelligenza come un carattere quantitativo, condizionato nella sua
espressività da influenze genetiche. In accordo ad un modello poligenico, i geni in causa non
sarebbero limitati ad una singola coppia, ma coinvolgerebbero più coppie di geni (poligeni),
ciascuno con un effetto additivo. Pertanto, i genitori di livello intellettivo basso metterebbero a
disposizione del figlio un pool di geni tali da far collocare il bambino in una fascia borderline.
Questa situazione va comunque interpretata come trasmissione di una sorta di “vulnerabilità”, che
in rapporto all’azione di fattori ambientali può assumere diverse evoluzioni. In tale gruppo
rientrano anche le situazioni che in passato venivano definite “ritardo culturale-familiare”.
Attualmente, l'American Association on Intellectual and Developmental Disabilities ha suggerito
per questo gruppo il termine di “svantaggio socio-culturale”, enfatizzando in tal modo il ruolo delle
influenze ambientali nella loro genesi.
A. Fattori Genetici. Si tratta di anomalie già presenti nel patrimonio genetico del prodotto del concepimento, le quali incidono direttamente o indirettamente
sui processi di formazione, differenziazione e sviluppo del sistema nervoso centrale.
Tali fattori vengono a loro volta suddivisi in:
A.l. alterazioni geniche (= alterazione di uno o più geni). Rientrano in questo gruppo diverse malattie congenite del metabolismo, le facomatosi ed altre
encefalopatie ere- do-degenerative;
A. 2. aberrazioni cromosomiche, che possono interessare il numero o la struttura. Le anomalie numeriche più frequenti sono rappresentate
dalla trisomia 21 (sindrome di Down) e da alcune aberrazioni dei gonosomi (sindrome di Klinefelter, sindrome di Turner). Nelle anomalie
strutturali rientrano affezioni, quali la sindrome del "grido del gatto" (delezione parziale del braccio corto del cromosoma 15), la sindrome di
Angelman (delezione parziale del cromosoma 15 di origine materna), la sindrome di Prader-Willi (delezione parziale del cromosoma 15 di origine
paterna), la sindrome dell' X-Fragile.
B. Fattori acquisiti. Essi sono rappresentati da noxae patogene che agiscono dall'"esterno" sul sistema nervoso centrale. In rapporto all'epoca durante cui
agiscono vengono suddivisi in:
B. l. prenatali. Rientrano fra tali fattori le infezioni acute materne (quali rosolia, toxoplasmosi, citomegalovirus), le malattie croniche
materne (quali diabete, cardiopatie, endocrinopatie), le intossicazioni (accidentali, professionali e/o voluttuarie) o situazioni carenziali;
B.2. perinatali. Sono le noxae patogene che possono intervenire fra la 27a settimana di gravidanza e la 1a settimana di vita. Esse sono rappresentate da
diverse condizioni patologiche legate al travaglio, al parto o all'immediato adattamento post-partum, che possono tradursi in sofferenze fetali acute
(prima della fuoriuscita del feto dal canale del parto) e sofferenze neonatali acute (subito dopo la fuoriuscita dal canale del parto). Molto spesso la
sofferenza fetale acuta determina le condizioni per l'insorgenza di una sofferenza neonatale. In tale gruppo di fattori sono, inoltre, incluse una serie
di situazioni patologiche che possono interessare il neonato (ittero, infezioni, anemie, disturbi metabolici).
B. 3. postnatali. Tali fattori sono rappresentati dalle noxae patogene che possono intervenire dopo la 1a settimana di vita, quali infezioni, traumi,
intossicazioni, disturbi metabolici.
postnatale 4% 12% 7%
Quadro clinico
Sulla base di quanto fin qui esposto risulta difficile definire un quadro clinico omogeneo.
Sull’espressività del quadro clinico, infatti, agiscono una serie di fattori, tra cui vanno in
particolare menzionati:
A. il livello di gravità della compromissione;
B. l’età, in cui viene effettuata la valutazione clinica del soggetto;
C. la natura dell’affezione di base da cui dipende la Disabilità Intellettiva;
D. la presenza di eventuali comorbidità.
Il funzionamento intellettivo viene abitualmente considerato come una “dimensione” che assume
un grado di espressività molto variabile all’interno di una sorta di continuum. Si può, infatti, andare
da un grado di funzionamento molto alto ad un grado di funzionamento molto basso, passando per
diverse gradazioni intermedie.
In accordo con quanto suggerito dal DSM-5, possono essere individuati quattro livelli di gravità
di compromissione del funzionamento adattivo:
livello di gravità “lieve”;
livello di gravità “moderato”;
livello di gravità “grave”;
livello di gravità “estremo”.
Considerando il carattere “composito” del funzionamento intellettivo, il livello di severità deve
essere espresso tenendo conto delle diverse componenti che contribuiscono a realizzarlo.
In questa prospettiva per definire le caratteristiche clinico-comportamentali in rapporto al livello
di gravità, il DSM-5 fa inoltre riferimento a tre ambiti del funzionamento adattivo, rappresentati
da:
ambito “concettuale”, che riguarda il ragionare, il pensare, il decidere, il risolvere problemi
di natura astratta, il programmare attività e compiti, e così via;
ambito “sociale”, che riguarda il comprendere le regole che definiscono i rapporti
interpersonali, il saper scegliere comportamenti diversificati in rapporto alle diverse
circostanze sociali, il sapere assumere la prospettiva dell’altro, e così via;
ambito “pratico”, che riguarda il saper risolvere problemi di ordine pratico, il saper
pianificare le azioni necessarie per incidere sulla realtà fisica, il saper analizzare i dati di
un’operazione concreta in corso per riorganizzare eventualmente il lavoro, e così via. In
questo modo è possibile definire il profilo adattivo in termini di competenza o di
incompetenza nei diversi ambiti, facendo riferimento al livello di gravità (Tabella 18.3).
Tabella 18.3 Tabulazione del funzionamento nei diversi ambiti adattivi in rapporto al livello di gravità (dal
DSM-5, modificata).
Livello di Ambito concettuale Ambito sociale * Ambito pratico
gravità
Lieve Nei bambini in età prescolare Rispetto ai coetanei con L'individuo può funzionare in
possono esserci anomalie sviluppo regolare l'individuo è maniera adeguata all'età per
concettuali evidenti... immaturo nelle interazioni quanto concerne la cura
... Negli adulti sono sociali... personale...
compromessi il pensiero ... la persona è a rischio di ... Gli individui hanno
astratto... essere manipolata dagli altri generalmente bisogno di un
(credulità)... supporto nel prendere
decisioni che concernono la
salute o l'ambito legale...
Moderato Nei bambini in età prescolare La capacità di relazioni è Sono richiesti un ampio
il linguaggio e le abilità limitata ai legami stretti con i periodo di insegnamento e
prescolastiche si sviluppano membri della famiglia e con molto tempo affinché
lentamente... ... Negli adulti lo gli amici... l'individuo diventi indi-
sviluppo delle abilità scolasti- ... La capacità di giudizio pendente nella gestione dei
che è tipicamente fermo a un sociale e di prendere decisioni bisogni personali...
livello elementare... è limitata ... ... L'indipendenza lavorativa
richiede notevole sostegno da
parte di colleghi e
supervisori...
Diagnosi
Nei confronti di un bambino con prestazioni apparentemente inadeguate rispetto a quelle che
l’età cronologica farebbe prevedere, l’osservazione neuropsichica, integrata da reattivi mentali,
permette agevolmente di formulare la diagnosi di Disabilità Intellettiva. Più complessa, viceversa, è
la definizione della diagnosi etiologica, vale a dire, l’accertamento delle cause responsabili della
Disabilità Intellettiva. A questo scopo, la presa in carico del bambino deve prevedere una serie di
indagini strumentali e di laboratorio secondo un protocollo elaborato in accordo alle indicazioni che
derivano dall’anamnesi e dall’osservazione.
L'anamnesi
L’anamnesi è finalizzata, in particolare, a valutare l’eventuale presenza di consanguineità e/o
l’esistenza di altri casi fra ascendenti e collaterali, indirizzando in questo modo l’approfondimento
diagnostico verso la ricerca di fattori genetici.
L’anamnesi permette inoltre di valutare l’eventuale presenza di situazioni potenzialmente
patogene per il sistema nervoso in via di sviluppo (infezioni prenatali, ridotto accrescimento
intrauterino, prematurità, asfissia neonatale, ittero, etc.). In questi casi l’esecuzione di indagini
strumentali, quali l’EEG o, soprattutto, la Risonanza Magnetica, permette di verificare se la
situazione patogena si è tradotta in una sofferenza encefalica pre-, peri- o post-natale.
L’anamnesi, infine, prevede la ricostruzione dello sviluppo del bambino, particolarmente
importante per valutare: (a) l’evoluzione generale dello sviluppo (ad esempio, un brusco arresto di
uno sviluppo che sembrava normale o un’evoluzione peggiorativa di uno sviluppo che sembrava
solo “un po’ lento”, sono situazioni fortemente sospette per un’encefalopatia eredo-degenerativa), e
(b) la presenza di problemi particolari, quali il vomito, manifestazioni parossistiche epilettiche e
non epilettiche, disturbi del sonno, che possono indirizzare verso forme specifiche di encefalopatia.
Esame neurologico
L’esame neurologico, oltre a fornire gli elementi utili per formulare la diagnosi di quadri
specifici, può mettere in evidenza segni neurologici lievi (neurological soft signs). La presenza di
tali segni, soprattutto quando nell’anamnesi siano presenti situazioni di rischio, può rappresentare la
testimonianza di una organicità o di una microorganicità, espressione di una pregressa sofferenza
encefalica.
Esame psichico
L’esame psichico, oltre ovviamente a permettere la diagnosi di Disabilità Intellettiva, fornisce
informazioni determinanti anche per definirne l’etiologia. La presenza di particolari stili
comportamentali o di specifici disturbi può indirizzare verso alcune sindromi definite. È il caso, ad
esempio, di sintomi quali:
iperfagia e PICA (ingestione coatta di qualsiasi cibo o materiale non commestibile), che
possono essere indicativi di una sindrome di Prader-Willi, legata ad un’anomalia strutturale
del braccio corto del cromosoma 15 di origine paterna;
manifestazioni autoaggressive, fino all’automutilazione, tipiche di una particolare malattia
congenita del metabolismo delle purine, comunemente conosciuta come sindrome di Lesch-
Nyhan;
presenza di un’apparente disponibilità relazionale con facile tendenza al riso rileva- bile
nella sindrome di Angelman, che in passato aveva portato a adottare la denominazione di
“sindrome della bambola felice” (Happy Puppet Syndrome), legata ad un’anomalia
strutturale del braccio corto del cromosoma 15 di origine materna.
Terapia
Non esiste la terapia della Disabilita Intellettiva. La Disabilità Intellettiva - come accennato
all’inizio del Capitolo — si configura come uno status che accompagna il soggetto nel corso del
suo ciclo vitale e che, in termini funzionali, si esprime con deficit che variano nel tempo,
assumendo caratteristiche età-dipendenti. Pertanto, nei confronti di un bambino che presenti una
diagnosi nosografica di Disabilità Intellettiva, devono essere presi in considerazione una serie di
interventi di natura spesso molto diversa fra di loro, ciascuno dei quali risponde a specifici
obiettivi, con la finalità ultima di garantire l’adattamento del soggetto al contesto sociale.
Considerando la loro natura alquanto eterogenea, i vari interventi devono essere articolati in un
Progetto Terapeutico Personalizzato. Le caratteristiche fondamentali del Progetto Terapeutico
Personalizzato sono definibili nei seguenti aspetti:
è articolato in molteplici interventi volti a rispondere ai bisogni specifici di un singolo
bambino, di una determinata età, con un determinato profilo funzionale e che vive in un
determinato contesto sociale, economico e relazionale;
è dinamico e flessibile nel tempo, nel senso che gli obiettivi a breve e medio termine degli
interventi in esso inclusi sono periodicamente aggiornati ed adattati alle nuove esigenze che
il percorso di crescita comporta.
All’interno del Progetto Terapeutico Personalizzato vanno presi in considerazione i seguenti
interventi:
riabilitativi
psico-educativi
psicoterapeutici
farmacologici
La terapia occupazionale
La terapia occupazionale prevede interventi organizzati in laboratori opportunamente strutturati.
Le attività e le modalità con cui esse vengono proposte vengono scelte in rapporto al livello
cognitivo del soggetto, alla sua età e alle sue capacità adattive generali. Ad esempio, per soggetti
con un soddisfacente adattamento funzionale possono essere proposti laboratori artigianali, che
possono anche assumere il carattere di un avviamento professionale. Per soggetti con maggiore
compromissione funzionale, le attività proposte mirano all’acquisizione di quelle autonomie utili
ad un proficuo adattamento sociale.
La Sindrome di Down
La sindrome di Down (SD), denominata anche trisomia 21 o mongolismo, è una sindrome
polimalformativa dovuta ad una aberrazione cromosomica di tipo numerico.
Etiologia e patogenesi. L’aberrazione cromosomica è rappresentata dalla presenza di un
cromosoma 21 soprannumerario, che può ritrovarsi in forma libera (trisomia libera) ovvero
sovrapposto ad un altro cromosoma (trisomia con traslocazione).
La trisomia libera, di gran lunga più frequente, rappresentando il 95% dei casi, è legata ad una
non-disgiunzione, cioè ad una mancata separazione della coppia 21 durante una delle divisioni
meiotiche, che conducono normalmente alla formazione dei gameti. In conseguenza di tale errore,
uno dei gameti diverrà portatore di un numero aberrante di cromosomi per la presenza di un 21 in
più. Come tale, se va incontro a fecondazione, esso dà luogo ad uno zigote patologico con trisomia
21.
In merito alle cause della non-disgiunzione cromosomica, esistono ancora oggi notevoli
perplessità. Sono state formulate varie ipotesi, molte delle quali si basano su dati emersi dalle
numerose indagini epidemiologiche effettuate. Sulla base di tali indagini sono stati valorizzati i
seguenti fattori:
a) età materna avanzata;
b) predisposizione genetica;
c) fattori ambientali.
a) Età materna. E stata ormai ampiamente dimostrata una correlazione positiva fra età materna
all’epoca del concepimento ed incidenza di nascite di bambini affetti da sindrome di Down: con
l’aumentare dell’età della madre, aumenta cioè proporzionalmente il numero di nascite di soggetti
affetti da sindrome di Down (Tabella 18.4).
Tabella 18.4 Rischio di sindrome di Down in rapporto all'età materna.
Età materna Rischio di nascita %
40-44 1/100 1
45-49 1/50 2
La Fenilchetonuria
La fenilchetonuria (PKU), definita in passato “Idiozia fenilpiruvica”, è una forma di Disabilità
Intellettiva dovuta ad una alterazione genica a trasmissione autosomica recessiva.
Etiologia e patogenesi. La PKU rientra negli errori congeniti del metabolismo. In particolare, essa
è causata da un deficit di un enzima, la fenilalanina-idrossilasi, che converte l’aminoacido
fenilalanina - abitualmente introdotto con la dieta — in tirosina. In conseguenza della carenza
dell’enzima, la fenilalanina introdotta con la dieta non viene metabolizzata; essa, cioè, si accumula
nel sangue, nel liquor cerebrospinale e nei tessuti, e viene escreta in eccesso nelle urine sotto forma di
acido fenilpiruvico. Gli elevati livelli di fenilalanina sono tossici, in quanto interferiscono nel
metabolismo di vari tessuti. A livello del sistema nervoso centrale essa sembra interferire sul
metabolismo della mielina e dei neurotrasmettitori.
Sul piano genetico, la malattia è trasmessa con una modalità di tipo autosomico recessivo ed è
legata a molteplici mutazioni che possono verificarsi a carico del gene che codifica la fenilalanina-
idrossilasi (PAH gene). Il gene è stato localizzato nel cromosoma 12, nella regione q22-q24.1.
Prevalenza. La PKU è uno dei più frequenti errori congeniti del metabolismo. La sua incidenza è
valutata intorno a 1:10000 nascite.
Clinica. Il quadro clinico presenta sensibili variazioni in rapporto alla variabilità dell’espressione
biochimica. Nella maggioranza dei casi alla nascita non si rileva alcun sintomo specifico. Solo,
progressivamente, nei casi non trattati, l’accumulo di fenilalanina e dei suoi metaboliti determina il
quadro clinico, che nella sua forma conclamata è caratterizzato da Disabilità Intellettiva, disturbi
comportamentali — anche gravi -, manifestazioni neurologiche — variabili da tremori a
manifestazioni parossisticheipertonia o spasticità —, e manifestazioni cutanee di tipo eczematoso.
Diagnosi. La diagnosi si basa sul dosaggio della fenilalaninemia. L’esame del DNA permette poi
la tipizzazione della mutazione.
Terapia e prevenzione. La terapia consiste nel controllare l’apporto di fenilalanina con la dieta
(dietoterapia).Tale misura risulta determinante nelle prime fasi di sviluppo. Il precoce
riconoscimento del deficit enzimatico (entro il 3° mese di vita) e la conseguente dietoterapia
riescono, infatti, a prevenire l’insorgenza della Disabilità Intellettiva e degli altri gravi disturbi
neuropsichici. L’importanza e l’efficacia di tale misura preventiva si è tradotta nell’adozione di un
test screening effettuato sistematicamente alla nascita. Esso consiste nel prelievo di una goccia di
sangue dal tallone in 4a-5 a giornata. Il sospetto di una iperfenilalaninemia comporta la
convocazione del soggetto che viene quindi sottoposto ad indagini laboratoristiche specifiche per la
conferma diagnostica. La diagnosi effettuata mediante tale procedura (screening e conferma dia-
gnostica) consente pertanto l’instaurazione di una dieta povera di fenilalanina in un’epoca in cui
l’aminoacido ed i suoi metaboliti non hanno ancora determinato danni irreversibili a carico del
sistema nervoso. La terapia dietetica va continuata almeno fin verso gli 8 anni, epoca in cui si
ritiene che l’iperfenilalaninemia non sia più in grado di alterare lo sviluppo del sistema nervoso. In
merito a questo aspetto, va tuttavia sottolineato che la decisione è presa da centri specialistici che
valutano caso per caso se e come procedere eventualmente all’instaurazione di una dieta libera.
Le donne femlchetonuriche trattate, che vadano incontro a gravidanza, vanno attentamente
valutate: in genere è necessario riprendere la dietoterapia per mantenere bassi livelli di fenilalanina.
L’aminoacido, infatti, è in grado di passare attraverso la placenta e determinare danni al feto.
In circa l’80% dei nati da madre con iperfenilalaninemia sono presenti sintomi caratteristici
(Tabella 18.5), rappresentati da:
microcefalia,
basso peso alla nascita,
tratti dismorfici,
malformazioni cardiache,
ritardo globale dello sviluppo, con evoluzione in Disabilità Intellettiva.
Tabella 18.5 Frequenza percentuale di anomalie riscontrate in nati da madre con iperfenilalaninemia,
distribuite in rapporto ai valori ematici materni.
.. Valori di iperfenilalanineinia materna
. 20 19-16 15-11 10-3
Ritardo Mentale 92% 73% 22% 21%
Microcefalia 73% 68% 35% 24%
Cardiopatie 12% 15% 6% 0
Basso peso alla nascita 40% 52% 56% 13%
L'Ipotiroidismo Congenito
L’ipotiroidismo congenito (IC) è un’endocrinopatia ad insorgenza prenatale, che nei casi non
trattati conduce a quadri di Disabilità Intellettiva associata a deficit della crescita ed alterazioni a
carico di vari organi ed apparati.
Etiologia e patogenesi. Il quadro clinico è dovuto ad una carenza di ormoni tiroidei. Le cause
responsabili della ridotta o mancata increzione di ormoni tiroidei, presente già alla nascita, possono
essere suddivise in:
anomalie della formazione della tiroide (= disgenesia tiroidea), responsabili dell’80-85%
dei casi di IC. In questa evenienza, la carenza ormonale è legata ad un anomalo sviluppo
embrionale della tiroide, che può condurre all’assenza completa (aplasia) o parziale
(ipoplasia) della ghiandola o ad una sua disposizione in sede anomala (ectopia). Le
cause sono sconosciute; peraltro, il carattere sporadico del disturbo sembra escludere
una predisposizione genetica;
anomalie della funzione della ghiandola tiroide (= disormonogenesi), responsabili del
10-15% dei casi di IC. In questo gruppo rientrano i casi in cui è presente un difetto di
una o più delle reazioni enzimatiche coinvolte nella formazione degli ormoni tiroidei e
nella loro secrezione. La maggioranza di queste condizioni è ereditata come un carattere
autosomico recessivo;
anomalie della formazione e/o della funzione dell’ipotalamo e/o dell’ipofisi (= ipo-
tiroidismo centrale), responsabile di una percentuale non superiore al 5% dei casi di IC.
Si tratta di condizioni in cui la ghiandola tiroide è normoconformata e, potenzialmente,
normofunzionante, ma esiste un disturbo della formazione e della liberazione del TSH
di origine ipofisaria. Ne deriva che la ghiandola tiroide non riceve lo stimo
lo del 1SH, necessario per la normale produzione e liberazione degli ormoni tiroidei. Il
difetto del TSH è legato a situazioni poco comuni, di cui alcune sporadiche, altre
ereditarie. Inoltre, il difetto può presentarsi in maniera isolata o, molto più spesso, in
associazione con altre anomalie ipofisarie e/o complessi disturbi dell’encefalo.
In aggiunta alle condizioni appena citate, che rappresentano forme permanenti di IC, esistono
forme cosiddette transitorie. Gli screening di massa per l’IC hanno permesso di valutare che circa
il 10% dei casi diagnosticati sono rappresentati da forme transitorie. Tali forme transitorie sono in
genere dovute a fattori acquisiti, legati all’uso di medicamenti ad azione antitiroidea,
all’esposizione a sostanze tossiche o a carente assunzione di iodio da parte della madre, durante la
gravidanza. Una forma transitoria di IC può presentare una durata molto variabile: da pochi giorni
a diversi mesi. Ne deriva che tali forme vanno accuratamente valutate e opportunamente trattate.
Gli ormoni tiroidei svolgono un ruolo determinante nei processi di crescita, maturazione e
differenziazione delle cellule nervose. Anche se la carenza dell’ormone tiroideo è prenatale, i
sintomi clinici si rendono progressivamente evidenti nel corso dello sviluppo. La carenza
ormonale, infatti, è parzialmente compensata durante la gravidanza dal passaggio di ormoni tiroidei
dal sangue materno a quello fetale. In studi condotti su animali di laboratorio, sarebbero stati
dimostrati, nei feti ipotiroidei, elevati livelli cerebrali dell’enzima iodotironina deiodinasi, che
trasforma laT4 inT3. L’iperattività di questo enzima riuscirebbe a garantire una soddisfacente
concentrazione cerebrale diT3, derivata dalT4 materno.
Clinica. Dal punto di vista clinico, già nei primi mesi di vita si configura un quadro tipico. Tali
soggetti, infatti, appaiono torpidi, apatici, anoressici. Vi è macroglossia, respirazione rumorosa,
distensione addominale, stipsi, cute fredda e chiazzata. Il polso è bradicardico; spesso si rileva
cardiomegalia.
Uno dei sintomi più precoci è un’abnorme persistenza dell’ittero parafìsiologico neonatale.
Successivamente, si rende evidente uno scarso accrescimento pondo-staturale. Il ritmo sonno-
veglia è alterato, per una prevalenza delle fasi di sonno; quasi costante uno stato di torpore,
associato ad ipotonia e globale riduzione della motilità attiva.
Il capo è di dimensioni aumentate; la fontanella bregmatica è ampiamente aperta; la radice del
naso è appiattita e slargata; la bocca è semiaperta con accentuata macroglossia. Il collo è tozzo. La
cute è secca, desquamante, edematosa soprattutto a livello delle palpebre, del dorso delle mani e
dei genitali (mixedema).
Prevalenza. La sua incidenza nelle più recenti casistiche - ora molto più attendibili in rapporto
all’estensione ed al miglioramento qualitativo dei programmi di screening neonatali - è calcolato in
circa 1/3000 nati.
Diagnosi. La diagnosi clinica precoce dell’ipotiroidismo presenta numerose difficoltà, in quanto i
primi segni della malattia, considerati singolarmente, sono poco specifici e si presentano in numero
e con intensità molto variabile da caso a caso. Ad esempio, la sintomatologia può essere molto più
sfumata nei soggetti allattati al seno ed in quelli con tiroide ipoplasica e/o ectopica. Per tal motivo,
questi ultimi (che rappresentano la maggioranza dei casi) — per i quali la prognosi appare
particolarmente favorevole, quando sono trattati precocemente — vengono purtroppo spesso diagno-
sticati tardivamente, quando la già ridotta secrezione ormonale è ormai divenuta insufficiente in
rapporto all’accrescimento corporeo.
Il numero dei casi diagnosticati entro il secondo mese di vita è infatti inferiore al 10% dei soggetti
affetti, anche in regimi ad elevato standard di assistenza sanitaria.
La conferma diagnostica si basa su indagini ormonali (T3,T4,TSH), e comporta successivamente
un approfondimento per la definizione etiologica.
Terapia e prevenzione. La terapia consiste nella somministrazione per via orale di ormoni tiroidei
(terapia sostitutiva). Essa deve essere iniziata entro il 1° mese di vita e, in ogni caso, appena
formulata la diagnosi.
La prevenzione si basa sul precoce riconoscimento della carenza ormonale. Attualmente, viene
sistematicamente effettuato lo screening neonatale dell’ipotiroidismo congenito. Esso consiste nel
prelevare, a tutti i neonati, una goccia di sangue attraverso puntura del tallone in 4a-5a giornata.
Come tutte le procedure di screening, anche quella per l’ipotiroidismo congenito non fornisce una
diagnosi di certezza, ma di sospetto. Il neonato che sembri presentare un deficit ormonale viene
richiamato, già in 20a giornata, per un approfondimento finalizzato alla conferma diagnostica. Nei
casi confermati è quindi possibile iniziare una terapia sostitutiva, in un’epoca in cui la carenza
ormonale non ha ancora determinato conseguenze irreversibili.
Prognosi. I dati attualmente disponibili confermano che il precoce riconoscimento della
condizione morbosa e quindi la tempestiva instaurazione di una terapia sostitutiva garantiscono un
normale sviluppo somatico e neuropsichico. Studi condotti su ampie casistiche sembrano, tuttavia,
mettere in evidenza che, nonostante la precocità della terapia, in una percentuale di soggetti
variabile dal 12 al 28% possono residuare deficit neuropsicologici “minori” (lievi disturbi visuo-
spaziali, incertezze nelle abilità fini-motorie, sfumate anomalie linguistiche). Nella genesi di tali
deficit vengono presi in considerazione tre possibili cause:
una particolare severità della carenza ormonale, che già in epoca prenatale e perinatale può
aver alterato lo sviluppo del sistema nervoso, determinando “danni minimi”;
una dose ormonale sostitutiva relativamente inadeguata rispetto a particolari bisogni
metabolici (escludendo quindi i casi in cui i genitori disattendono le prescrizioni del
medico);
la co-esistenza di noxae patogene pre- o perinatali, responsabili di sofferenza encefalica.
Va, tuttavia, sottolineato che questi deficit neuropsicologici, sia per l’intensità che per la
prevalenza, non incidono sul bilancio prognostico, che può considerarsi decisamente positivo.