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BENESSERE SOGGETTIVO
Inizialmente si credeva che il benessere coincidesse con condizioni di vita sufficientemente agiate e
che fosse misurabile con indicatori oggettivi come lo status sociale, la salute fisica, il reddito e il
lavoro. Ma si è visto che questi indicatori non riescono a spiegare in modo esauriente benessere e
soddisfazione di un individuo. La qualità della vita e il benessere sono fattori soggettivi, ogni
individuo ne dà un’interpretazione personale su base di caratteristiche individuali e del proprio
modo di interagire con l’ambiente fisico e sociale. Di conseguenza le condizioni oggettive in cui un
individuo vive e il modo in cui il soggetto le valuta possono differire.
Il presupposto è che ogni individuo elabora una valutazione personale del concetto di benessere e
che le stesse condizioni di vita possano essere percepite in modo diverso sulla base delle proprie
caratteristiche individuali e del proprio stile di interazione con l’ambiente fisico e sociale.Il
benessere soggettivo (self well-being) può essere definito come una condizione di raggiungimento
di un equilibrio inter e intra individuale. Il benessere lo si è collegato con la felicità nel corso dei
secoli.
La felicità viene percepita come:
• Soggettiva: ciò che rende felici alcune persone non rende felici tutte le persone.
• Temporale: ciò che ci rende felici in alcuni momenti non vuol dire che ci renda felici in altri
momenti.
• Transitoria: ciò che rende felici non mantiene nel tempo lo stesso effetto.
Si è visto che la maggior parte delle persone si considera moderatamente felice per la maggior parte
del tempo e parallelamente la maggior parte delle persone riferisce di avere un buon livello di
soddisfazione della vita. Il punteggio medio nello studio condotto da Diener e Diener (1996) di
felicità in una scala da 0 a 10 su soggetti di 43 nazioni diverse è 6,33.
Di fronte a una grossa vincita di denaro, inoltre, si è visto che c’è un’impennata iniziale di felicità
ma dopo un anno il livello ritorna a quello precedente la vincita. Allo stesso modo chi ha subito
grandi incidenti poi ritorna allo stato iniziale di felicità.La spiegazione a questo viene data
introducendo il concetto di set point della felicità, un punto di stabilità che viene mantenuto da un
sistema di regolazione che favorisce l’adattamento al variare delle condizioni ambientali.
Ed Diener (1984; 2000) definisce il benessere soggettivo come le valutazioni cognitive e affettive
che una persona fa della propria vita. Ci sono di conseguenza due macro aspetti compresenti:
l’aspetto cognitivo e quello emotivo. L’aspetto cognitivo si riferisce al grado di soddisfazione per le
proprie condizioni di vita, l’aspetto emotivo invece riguarda il bilancio edonico come una differenza
tra emozioni positive e negative.
Oggi si definisce il benessere soggettivo come uno stato mentale complessivo e durevole che
comprende tre dimensioni:
• La soddisfazione per la propria vita
• La presenza di emozioni positive
• L’assenza di stati emotivi negativi
Ci sono due approcci per identificare i fattori alla base del benessere.
Nel corso degli anni molte ricerche si sono dedicate ad individuare quelle problematiche che
portano all'insuccesso scolastico facendo riferimento a diversi concetti:
concetto di sé ed autoefficacia
convinzioni di controllo e attribuzioni di causa
processi di pensiero più o meno funzionali
variabili emotivo-motivazionali
“fattori protettivi”, tra cui il supporto sociale
Il supporto sociale è fondamentale, soprattutto durante l'infanzia. Se l'ambiente non fornisce un
adeguato supporto e se sono presenti disfunzioni nelle caratteristiche psicologiche dell'individuo è
abbastanza probabile che venga inficiata la capacità di quest'ultimo nell'attivare adeguate strategie
di coping per fronteggiare situazioni stressanti.
Negli studenti sottoposti a continui fallimenti scolastici, si manifesta frequentemente la learned
helplessness. Si tratta di uno stato psicologico che si determina nell'individuo che si imbatte in
eventi percepiti come incontrollabili; non è l'evento in sé a costituire una minaccia per l'individuo,
Maria Claudia Boveri
quanto la percezione di non riuscire a controllarlo. Ne deriva la convinzione che il verificarsi di
eventi positivi sia altamente improbabile, mentre quella di eventi negativi immodificabili molto
elevata.
I primi a parlare di learned helplessness furono Seligman e Meie, nel 1967; gli studiosi, conducendo
esperimenti su cani ai quali venivano somministrate ripetute scosse elettriche incontrollabili,
rilevarono che gli animali mettevano in atto un comportamento passivo e non riuscivano ad evitare
o a sfuggire in alcun modo a tali scosse.
La convinzione dell'immodificabilità di questi eventi produrrebbe effetti negativi a diversi livelli:
Livello motivazionale: il soggetto è restio a mettere in atto nuovi comportamenti e a fronteggiare
situazioni di esito dubbio.
Livello cognitivo: l'individuo mostra difficoltà crescente nel percepire la relazione tra il proprio
comportamento e le conseguenze ambientali; si conseguenza, avrà ad apprendere relazioni di
controllabilità.
Livello emotivo: subentra nel soggetto un senso di frustrazione che conduce verso la depressione.
Si comprende come la learned helplessness sia una teoria di tipo cognitivo-comportamentale della
depressione. I soggetti tendono a sviluppare la depressione in quanto attribuiscono gli eventi
negativi a cause interne e fanno ricorso a cause esterne per spiegare gli eventi positivi.
Sulla base di questi presupposti sono stati analizzati gli atteggiamenti e i comportamenti di bambini
che ottenevano scarsi risultati scolastici e che presentavano difficoltà di apprendimento: sono
emersi due distinti quadri comportamentali, soggetti con atteggiamenti positivi orientati verso la
risoluzione e alla padronanza e soggetti tendenti alla depressione.