Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La maggior parte delle forme di disagio e psicopatologia hanno origine tra i 12-25 anni, un momento caratterizzato da
complessità particolari.
L’adolescenza ha inizio con la pubertà verso gli 11-12 anni e porta verso l’età adulta 18-19 anni, attraverso il
superamento di alcuni compiti evolutivi. Dunque, si verifica uno sviluppo individuale e naturale. L’adolescenza
introduce universalmente elementi di discontinuità. Le stesse discontinuità hanno valore diverso nelle differenti
culture e luoghi.
Considerare l'adolescente all'interno del suo mondo relazionale significa considerare come un adolescente tratta la
sua esperienza e aiutare chi con lui condivide la sua traiettoria evolutiva.
Lo psicologo lavora con lui e non su di lui e vi sono 2 polarità, ovvero quella del soggetto e quella della cura:
• La costruzione del soggetto avviene all’interno della cura, non c’è soggetto se non c’è cura e viceversa;
• La neotenia è il bisogno di cura che ha una durata molto significativa. La neotenia è il luogo della trasmissione
dell’esperienza, della cultura nella quale il soggetto si inserisce.
Il soggetto:
1. Parte da una dotazione biologica-ambientale, dunque, il soggetto nasce da ciò e se non trova un corrispettivo in
natura non si evolve o addirittura muore;
2. Attraverso le interazioni con i curanti il soggetto sviluppa delle memorie che poi si ripresenteranno in futuro nel suo
rapporto con il mondo;
3. Lo psicologo interviene in un equilibrio di una persona che ha imparato delle cose su di sé e sul mondo.
Vi possono essere delle esperienze che possono rompere la coerenza di funzionamento, in questi casi la persona non
riesce con le sue forze a reintegrare. Ad esempio, l’esperienza traumatica limita la persona, se una persona viene
tradita ha paura che il partner successivo possa commettere lo stesso errore. L’ansia, l’angoscia sono un campanello di
allarme.
La domanda di cura per l’adolescente può essere richiesta da parte sua, ma molto frequentemente viene richiesta da
persone accanto a lui, ad esempio dai genitori.
A volte capita che il genitore faccia una domanda di cura per il figlio, ma in realtà è per sé, in questi casi la domanda di
cura si complica poiché bisogna capire chi ha bisogno di un percorso di cura, ad esempio una madre è delusa dalle
aspettativa che aveva della figlia, ma ciò non comporta che la figlia abbia qualcosa che non va, potrebbe in realtà
essere la madre ad aver bisogno di aiuto.
L’incontro con il terapeuta è una nuova esperienza e quando si risponde ad una domanda di cura, si propone
un’esperienza di relazione nuova, con elementi di relazione diversi da quelli che il paziente aveva vissuto fino a quel
momento, cercando di far evolvere il modo di funzionare di quella persona.
Chi fa una domanda di cura si espone ad una possibile discontinuità ed ad un’esperienza trasformativa.
Questi due centri hanno diverse impostazioni teoriche ma vi sono dei criteri e obiettivi comuni:
• I CRITERI comuni sono:
→ L'autosegnalazione, ovvero la possibilità di accedere spontaneamente e gratuitamente ai centri, questo però
presuppone una consapevolezza da parte dell'adolescente dell'esistenza di un problema;
→ L'alleanza con le parti adulte del cliente;
→ Un uso specifico di transfert e controtransfert.
L'Io dell'adolescente deve ritirare l'investimento dai vecchi oggetti, i genitori, per rivolgerlo al nuovo oggetto, sé
stesso. L'Io dell'adolescente investe sé stesso in proprio e non più attraverso l'immagine dei genitori.
Dunque, il ragazzo deve prendere le distanze dal proprio sé infantile, del quale prova anche nostalgia, per
intraprendere il cammino verso la maturità. Attraverso questo processo psichico di separazione dalle figure
genitoriali e da sé stesso bambino, l'adolescente riesce ad effettuare una costituzione soggettiva della propria
identità.
Senise iniziò a delineare la metodologia di intervento psicoterapico con l'adolescente, che aveva lo scopo di stimolare
nei ragazzi una partecipazione attiva al lavoro psicodiagnostico, e non di tenerli all'oscuro dei risultati del lavoro, in
questo modo offriva loro la possibilità di riflettere su di sé.
Senise fece in modo che gli specialisti individuassero una metodologia idonea e un linguaggio efficace. Per individuare
un linguaggio corretto, l’autore fece elaborare le prime relazioni scritte agli adolescenti, nelle quali veniva utilizzato un
linguaggio parlato e scritto. Queste relazioni venivano lette e discusse con l'adolescente, ma dovevano essere
comprensibili anche alle figure istituzionali che avevano in carico il ragazzo.
Il modello della psicoterapia breve di individuazione cerca di comprendere i cambiamenti nelle rappresentazioni del
sé e dell'oggetto in adolescenza, attraverso gli aspetti problematici legati al processo di separazione e individuazione
adolescenziale.
Il terapeuta cerca di ricostruire l'immagine del sé dell'adolescente e di restituire all'adolescente e ai suoi genitori
questa immagine.
Senise formula lo SCHEMA OPERATIVO OTTIMALE della presa in carico dell’adolescente che è caratterizzato da 7
momenti:
1. Richiesta telefonica della consultazione;
2. Colloqui con i genitori per comunicare gli scopi della presa in carico e il contratto che prevede la loro possibile
esclusione dal rapporto tra terapeuta e figlio;
3. Colloqui con l'adolescente per definire le sue aspettative e motivazioni;
4. Eventuale somministrazione di esami testologici;
5. Restituzione all'adolescente dei risultati dell'indagine;
6. Colloquio di restituzione ai genitori sulla base degli accordi presi con l'adolescente;
7. Colloquio con l'adolescente riguardante l'incontro con i genitori.
Secondo Finn alla base dei problemi comportamentali dei bambini e degli adolescenti vi è una dinamica familiare nella
quale si instaurano identificazioni proiettive genitori/figli, difficili da interrompere.
Vi sono 2 sistemi ovvero 2 attori che si incontrano, uno dei due sistemi fa domanda di cura all’altro e la consultazione
è il processo che parte dalla domanda e termina quando si è definita una strutturazione del percorso di cura che
risponda ai bisogni di chi fa domanda, ma il percorso può anche CHIUDERSI perché non ci si è trovati bene. La
declinazione di cosa si può costruire va fatta caso per caso avendo in mente le caratteristiche e le esigenze.
Chi presenta una domanda di cura si pone per com’è, però non può controllare il comportamento e le risposte del
terapeuta e questo costituisce una MINACCIA, perché rischia di mettere in crisi un equilibrio e costituisce il potere
terapeutico della consultazione.
Esempio: madre e figlia, mamma spiega per quale motivo sono lì, non va bene a scuola, non parla, la vedo triste, la
figlia potrebbe dire cose simili o molto diverse però è interessante che sia la mamma che racconta, l’intervento che
posiamo fare è dare la parola alla figlia in quanto consente di mettere a fuoco in che modo loro due vivono questo
momento della loro vita.
Chi si presenta, chi prende parola e quali contenuti porta sono rappresentativi della loro rappresentazione del
problema, ovvero di quale direzione prende il sistema.
Dal punto di vista del terapeuta, nella consultazione possiamo mettere in luce 2 aspetti:
1. Funzione orientativa, uno degli obbiettivi di chi conduce la consultazione è quella di arrivare a definire quale sia
l’assetto di cura eventuale.
2. Funzione trasformativa, far sperimentare in piccola dose il tipo di livello, il tipo di direzione che il percorso dovrebbe
prendere.
Co-costruzione della fine del percorso di consultazione e avvio di eventuali percorsi successivi
Il problema della co-costruzione non è molto affrontano in letteratura, fino a qualche anno fa non ci si poneva questo
problema in quanto ogni clinico aveva una sua formazione e seguiva quella.
Quale assetto prenderà il percorso? Vi sono diversi problemi dell’assetto e vari sotto contenuti:
1. Un primo sotto-contenuto riguarda chi partecipa, partecipa chi è disponibile a partecipare. Non bisogna escludere
qualcuno di rilevante;
2. Un secondo sotto-contenuto è chi decide:
• Nel mondo medico si usa la parola indicazione per dire che è il clinico che dice che cosa si fa, questa è una modalità
che non è co-costruita ma somministrata e rischia di suscitare dall’altra parte allontanamento e rifiuto;
• Nella modalità co-costruita tutti possono dire qualcosa su come stare in terapia. Il poter contribuire nella definizione
dell’assetto è una necessità. Dunque, bisogna passare:
→ Da una posizione verticale nella quale è il clinico che decide;
→ In una posizione di negoziazione, in cui il clinico dà la possibilità alle persone di contribuire alla definizione della
cura;
3. Un terzo sotto-contenuto riguarda il funzionamento, ovvero in che modo funzionano le persone che fanno parte del
sistema e in che modo funzionano tra loro. Quindi vi è un doppio livello di funzionamento:
• Livello di funzionamento della personalità, delle singole persone;
• Livello di connessione complementare tra questi funzionamenti.
Bisogna effettuare una strutturazione dei ruoli dei componenti del sistema. La psicoterapia si situa in quell’area satura
rispetto a come le persone stanno nel loro mondo ed è lo spazio di possibile trasformazione.
Esempio: vi sono persone che hanno un funzionamento persecutorio che leggono il loro stare con gli altri in maniera
minacciosa, pericolosa. Dunque, il modo che noi avremo di porci a questa persona dovrà occupare quello spazio
possibile per come lui funziona. È probabile che vi sia un’area di possibile entrata, se questo non fosse possibile il
paziente non sarebbe neanche venuto.
È importante dare voce a tutti in quanto ognuno di loro ha un punto di vista diverso ed è necessario per noi creare un
percorso che dia senso a tutti.
Il clinico dopo la consultazione dopo la consultazione sviluppa un processo in base alle diverse funzionalità delle
persone, ponendosi in una condizione di ascolto delle resistenze che le persone porteranno nei confronti dell’avvio al
processo terapeutico.
Non è il clinico che decide è una co-decisione.
Lo scenario
Inizialmente prevaleva una concezione secondo la quale il rapporto classico fra scienza e professione prevedeva la
necessità di spogliarci della nostra soggettività per acquisire il sapere necessario per esercitare la professione che
abbiamo scelto.
Oggi si è compreso che è l’osservatore che fa la conoscenza, bisogna quindi mettere in primo piano il soggetto della
relazione, ma non bisogna aderire sempre a tutto ed inoltre il clinico ha il compito di interpretare la sua relazione con
la realtà.
Il luogo dove si svolge o si avvia la consultazione è responsabilità del sistema di cura che dovrà tenere conto di come
l’adolescente interpreterà il setting e si relazionerà ad esso.
Le persone che fanno parte del sistema ristretto di cura sono quei professionisti che condividono l’obiettivo
esperienziale trasformativo della cura e che agiscono, per proprio conto o congiuntamente, con l’adolescente ed il suo
sistema in modo diretto.
Nel sistema di cura è presente anche chi definisce i costi, regole fiscali e procedurali che definiscono lo scenario di
accoglimento e trattamento della domanda di aiuto.
La scelta di affidare ad uno chief consultant il ruolo di coordinamento consente di avere una gestione dei diversi
passaggi del percorso consultivo e di dare la risposta più opportuna a situazioni di domanda individuale. Il clinico è
sempre inserito in un sistema di cura, non può esserne al di fuori, come i centri specialistici o colleghi a cui passare
pazienti o chiedere supervisione.
È possibile passare dalla consultazione ad assetti di cura sovra diadici con: famiglia, gruppo, progetti terapeutici
complessi.
Spesso la consultazione riguarda la possibilità di condividere il senso di quello che è successo, è però sorprendente il
fatto di poter scoperchiare un mondo che sta dietro o intorno all’evento che porta l’adolescente lì.
Risvolti sull’intervento
Vi sono 2 caratteristiche dell’educazione e della terapia che dovrebbero accompagnare l’intervento in tutte le età:
• L'atteggiamento propositivo, ovvero sostenere il divenire dell’Io soggetto nonostante l’intreccio tra configurazione
storica, coscienza e coscienza della coscienza;
• Essere rispettosi dei tempi e dei modi con cui l’Io-Soggetto porta avanti il suo processo di vita. Non siamo tutti uguali,
non esiste il giusto e lo sbagliato.
Specificità dell’adolescenza
Le varie teorie oggi attribuiscono all’adolescenza, periodo di definizione della propria identità e spazio pre-figurativo
dell’affermazione di sé.
La definizione della propria identità sembra partire da sé ed è un processo lento nel quale l’identità viene conquistata
e definita.
L'adolescenza è il periodo della vita in cui la dipendenza viene superata prendendo in mano la propria vita.
Gli adolescenti di oggi aderiscono alla prospettiva di dover partire da sé stessi, senza tener conto degli altri o del
passato.
La pausa
L’intervallo di tempo può essere considerato una pausa che esprime la misura del tempo necessario per conferire
un’attribuzione di significato a quegli eventi. Inserire il trauma in un processo implica un cambiamento di status
attribuito al trauma, il quale passa dall’occupare:
• Una dimensione esterna, oggettiva e reale;
• All’implicare una dimensione interna.
Il modello freudiano è stato rivisitato ed è stata elaborata una nuova processualità psichica:
1. Primo tempo: il tempo del colpo, secondo i teorici delle emozioni di fronte ad uno stimolo intenso, la prima reazione
del soggetto consiste:
→ In una perturbazione dell’equilibrio;
→ A livello emozionale produce un segnale che allerta;
→ Seguito da spavento e angoscia.
A causa dell’ingestibilità dell’emozione, la prima reazione del soggetto è quella di operare un distanziamento nel
tentativo di incapsulare quanto gli accade, cercando di difendere l’integrità del suo sistema. Queste sono strategie di
desensibilizzazione e presa di distanza che vengono attivate quando ci si sente incapaci e inadeguati nel fronteggiare
le proprie esperienze traumatiche;
2. Secondo tempo: il tempo della significazione, in cui il soggetto produce la sua significazione del trauma che gli
fornisce la chiave di ciò che è successo;
3. Terzo tempo: il tempo della risposta, la risposta descrive in quale modo il soggetto ha scelto di gestire il suo mondo
relazionale e contestuale rispetto all’interpretazione del trauma. Le risposte sono strategie strutturali che organizzano
le idee, i comportamenti, i modi di relazionarsi con l’altro o di stare al mondo fino a costituire l’identità inconscia che
muove il soggetto. Le risposte assolvono la funzione di autocura con finalità anti-traumatiche attraverso obiettivi
strategici tra i quali:
→ Restaurare la compromessa integrità del sé;
→ Usare schemi di prevedibilità della realtà e di anticipazione delle risposte;
→ Mantenere i legami con le figure significative;
4. Quarto tempo: il tempo della rigidificazione, le modalità di risposta dopo un certo tempo se non risultano soggette a
rilettura, tendono ad essere generalizzate e quindi tendono a transitare dal ruolo di risposta ad uno stimolo specifico
al ruolo di categoria. La generalizzazione categoriale comporta:
→ L’avere il controllo;
→ Si perde la capacità di discriminare gli stimoli e di selezionare le risposte più funzionali;
→ Inoltre, le mappe mentali si svuotano del loro coefficiente di predittività e se le mappe sono rigide e vengono
applicate in qualsiasi circostanza perdono la loro funzione discriminante e predittiva.
Un trauma è autogenerato dal soggetto quando le risposte si sono rigidificate e queste generano a loro volta una
ferita di secondo ordine, trauma secondo, dunque, il soggetto ha creato il proprio auto trauma perché non ha
cambiato repertorio.
Lezione
Uno degli assetti più comuni è quello della psicoterapia individuale, nel quale il paziente ed il clinico co-partecipano in
un sistema di regole, di cultura, in un contesto fisico specifico.
I sistemici dicono che si è sempre in 3, c’è sempre un terzo, ovvero una cornice che contiene entrambi i partecipanti.
Queste due persone che si sono conosciute durante la consultazione decidono di intraprendere un percorso comune
ed entrambi stabiliscono delle regole che prendono il nome di SETTING.
Il setting può essere fluido:
• Quando i partecipanti stabiliscono di volta in volta quando vedersi la prossima volta;
• Quando la durata è variabile.
Il setting interno è caratterizzato da spetti tecnici, come:
• Indicazioni del tipo” qua potrai dire tutto ciò che vuoi, senza pensare che siano cose poco interessanti”;
• Non forzare nessun tema in particolare, o focalizzarsi su un aspetto specifico.
Il modo in cui una persona si rapporta al setting è molto rilevante.
Ad oggi il linguaggio, la parola e l’interpretazione sono importanti ma anche e soprattutto la relazione. La psicoterapia
propone una relazione, nella quale tu sei frutto della tua storia e l’altra anche e allo stesso tempo della sua esperienza
e capacità di stare in una relazione. Il terapeuta non deve solo empatizzare col paziente, altrimenti confermerà
soltanto le sensazioni e i vissuti del paziente, ma deve anche fornire uno sguardo nuovo su come il paziente è.
Dunque, il terapeuta propone degli elementi perturbativi che possono scatenare un cambiamento.
Qual è la situazione per quanto riguarda le conoscenze sui disturbi di personalità in adolescenza?
I disturbi di personalità sono prevalentemente presenti negli adulti, in questa fase della vita la personalità è soggetta a
significativi cambiamenti ed alcune caratteristiche disfunzionali mostrano stabilità nel tempo e risultano predittive di
psicopatologia in età adulta.
Westen e colleghi hanno studiato un campione composto da ragazzi in terapia per problemi psicologici di varia natura
e gravità, i quali sono stati suddivisi in:
• Personalità sana ad alto funzionamento;
• Stile di personalità inibito-antocritico;
• Disturbi di personalità: antisociale-psicopatico, con disregolazione delle emozioni.
Da questa ricerca è emerso che:
• Nel gruppo di adolescenti sani è stato individuato un sottogruppo caratterizzato da uno stile inibito-antocritico, con la
tendenza a sentirsi in colpa e in ansia, si tratta di alcune caratteristiche presenti in forma molto più rigida e
disfunzionale nel disturbo evitante-coartato;
• Gli adolescenti antisociali-psicopatici sono caratterizzati da un nucleo psicopatologico caratterizzato da crudeltà e
mancanza di rimorso. Bisogna però escludere dalla patologia grave quei giovani che, sebbene antisociali nei
comportamenti, sono in grado di mantenere un investimento emotivo sugli altri e rischiano meno di evolvere verso la
psicopatia adulta.
Il PDM tiene conto che in queste fasi della vita, la personalità è in formazione e che quelli che vanno cercati sono i
pattern e gli stili di funzionamento emergenti, che devono essere valutati nel contesto del livello di sviluppo delle
capacità mentali e del loro grado di funzionalità/disfunzionalità in rapporto all’età. Nel PDM 2, la sezione adolescenti
verrà separata da quella dedicata ai bambini tenendo conto delle differenze fra queste due fasce di età.
I test e gli strumenti terzi della consultazione psicologica con l’adolescente possono avere vari utilizzi:
• Uso categoriale degli strumenti testistici che dà molta importanza alla raccolta dei dati da parte del clinico, il quale:
1. Compara il punteggio dei test con i dati normativi di riferimento;
2. Elabora una stesura di una diagnosi e un piano di trattamento;
• Diagnosi per comprendere il significato e la funzionalità dell’organizzazione psicologica di un paziente. Un certo tipo di
funzionamento si basa su questioni relazionali, che Mitchell definisce matrice relazione del soggetto, che prevede un
ruolo attivo per la persona nella continua ri-creazione del suo mondo interiore, che gli consente di vivere in un dato
ambiente. Secondo Fontana individuare questi aspetti insieme al paziente consente di significare insieme a lui la sua
richiesta e di formulare in modo non standardizzato la risposta alla sua domanda di aiuto.
I test e i loro esiti nella consultazione NON si configurano come un elemento esterno alla relazione, ma come un
elemento prodotto all’interno dell’interazione tra clinico e paziente.
Vanni, utilizza il procedimento euristico, ovvero un metodo di approccio alla soluzione dei problemi che non segue un
percorso chiaro, ma che si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova
conoscenza.
La somministrazione
Prima di somministrare dei test bisogna effettuare alcuni colloqui per spiegare al giovane la finalità dei test, ovvero
questi vengono utilizzati:
• Per provare a comprendere cose che lo riguardano;
• Per cercare di rispondere agli interrogativi che si pone su di sé.
Inoltre, al termine della somministrazione, il clinico restituisce ciò emergere dai test al paziente, riflettendo sui risultati
insieme a lui.
La fase di somministrazione è un momento particolare, in cui:
• Il clinico deve porre attenzione alla sua influenza sulle risposte;
• In questa fase vi è una discontinuità relazionale, perché paziente e terapeuta stanno facendo una cosa insieme, ma
non la co-costruiscono;
• Alla fine della rielaborazione condivisa delle risposte, in base a ciò che è emerso, il terapeuta ed il paziente
costruiscono un’ipotesi di come proseguire gli incontri, e se farlo, perché non sempre questo si rivela necessario.
Le caratteristiche dell’adolescente che evidenziano la possibilità di poter passare ad una psicoterapia individuale sono:
• L'attitudine e motivazione all’introspezione:, motivazione dell’adolescente al guardarsi/occuparsi di sé;
• La disponibilità a tollerare la frustrazione.
Ciò che viene trasmesso per via interpsichica è sia positivo che negativo:
• Positivo perché ciò che viene trasmesso è strutturante per il soggetto;
• Negativo perché ciò che viene trasmesso non può essere contenuto o elaborato.
Attraverso il processo di identificazione, il genitore consegna al figlio il suo non-io, ovvero tutto ciò che rifiuta di sé,
questo mette in secondo piano i desideri del bambino, per la propria sopravvivenza psichica.
Il metodo e la tecnica
Il metodo favorisce una trasformazione qualitativa nel rapporto con sé stesso e l’ambiente.
Il terapeuta per promuovere il processo deve:
• Assumere il ruolo di formatore alla qualità, ovvero il terapeuta può trasmettere un nuovo modo di approcciarsi alle
cose, portando l’adolescente a riflettere sulla sua modalità di assimilare l’altro in modo automatico;
• Attivare una qualità di contatto con sé in divenire nel rapporto con ogni paziente. Per promuovere nel paziente un
contatto con sé, il terapeuta deve essere coerente ciò che afferma e quindi essere il primo disposto ad attivare la sua
presenza a sé.
Ci sono momenti in cui il terapeuta sente di non riuscire a capire il paziente, il paziente non si sente capito e aiutato
dalla terapia e si verifica uno stallo del processo. Questa avviene quando il terapeuta non trova un modo per entrare
nel paziente, e solamente quando il terapeuta riuscirà a sciogliere la questione dentro di sé, gli diventerà possibile
capire il paziente e di porsi in un modo diverso con lui.
Quale lavoro?
Bisogna dedicare uno spazio espressivo ai genitori in funzione del percorso individuale dell’adolescente, che rimane il
centro dell’intervento.
L'ascolto è rivolto alle madri e ai padri che sono attori non protagonisti ma essenziali nel processo di ricerca di
significati utili per la messa in atto di un processo trasformativo in favore dell’adolescente. Le figure genitoriali sono
portatori di risorse e contributi utili per il trattamento del figlio. L'efficacia del lavoro con i ragazzi aumenta quando i
genitori diventano parte attiva del progetto terapeutico.
Gli obiettivi del lavoro con i genitori hanno un duplice livello:
• L'obiettivo primario è quello di aiutare i genitori a non intralciare il percorso clinico del proprio figlio, per ottenere ciò
il terapeuta deve far sentire i genitori compresi ed accolti nella sua mente, trasformando vissuti schiaccianti in una
preoccupazione tollerabile dando spazio al percorso del figlio;
• Un ulteriore obiettivo è quello di rendere il genitore parte attiva e costruttiva nel percorso di ricerca di significati che
anima la coppia analitica di cui l’adolescente fa parte.
Il gruppo in psicoanalisi
Secondo Bion nessun individuo può essere considerato estraneo a un gruppo o privo di fenomeni di psicologia di
gruppo. Per Bion il gruppo non è solo la somma dei suoi membri, dunque, la spiegazione di alcuni fenomeni deve
essere cercata nella matrice del gruppo.
L’individuo è pre-condizionato dalla sua comunità anche prima di nascere, e viene condizionato dal gruppo che lo
cresce.
Secondo Pichon Riviere, il PORTAVOCE è colui che nel gruppo manifesta qualcosa che è il segno di un processo
gruppale che fino a quel momento è rimasto nascosto all’interno della totalità del gruppo. Esempio, nel gruppo
famiglia, la malattia espressa da un membro, è un fenomeno che emerge in quel momento e che rappresenta una
situazione implicita sottostante. Il malato è il portavoce per mezzo del quale si manifesta la patologia che ha colpito
tutta la struttura.
L'apparato psichico gruppale spiega la logica di implicazioni reciproche tra soggetto e gruppo, dove non c’è l’uno
senza l’altro e senza l’insieme che li contiene.
Adolescente e famiglia
La famiglia, come gruppo, è il luogo primario di organizzazione e di sviluppo del soggetto ed è:
• Il primo gruppo al quale partecipa il soggetto;
• Durante l’adolescenza è il gruppo con cui diventa inevitabile fare i conti per:
→ La ridefinizione degli equilibri dei rapporti interni;
→ La definizione e costruzione di una nuova famiglia.
La famiglia è un sistema complesso emergente dalla configurazione delle interazioni dei suoi membri nell’attualità, nel
rapporto con l’ambiente sociale e culturale di cui fa parte ed è interconnessa.
La scelta del tema di gioco psicodrammatico avviene in base ad una rappresentazione immaginaria di una difficoltà del
gruppo del qui ed ora.
L'adolescente e la famiglia sono in co-evoluzione. La famiglia rivede il suo funzionamento in relazione ai seguenti
limiti:
1. Aumento della flessibilità delle regole e il loro significato;
2. Modifica della relazione genitori figli;
3. Modifica della relazione coniugale;
4. Cambiamento di entrambi i partner.
Il gruppo
Il gruppo è un sistema originato dall’insieme dei soggetti che lo costituiscono, il suo punto zero è determinato:
• Dal corredo genetico dei soggetti che ne fanno parte;
• Dall’ambiente;
• Dalla cultura che portano con sé.
Il social dreaming sono i sogni esplorati e molti possono rivelare significati sconosciuti e facilitare lo sviluppo del
pensiero applicato a tematiche sociali, culturali, istituzionali.
Il metodo photo langage nasce a Lione degli anni ’60 e i due principali esponenti in Italia sono: Alfand e Lo piccolo.