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Psicologia Generale

1.

La psicologia per un’interpretazione dei processi mentali

Occorre conoscere i processi di crescita del soggetto, processi che iniziano dal grembo materno per tutto
l'arco della vita.

A tal fine🡪 riflessione delle diverse teorie sui processi di sviluppo per selezionare quelle azione e quei
presupposti teorici su cui fondare la nostra azione.

- Realizzazione di attività di ricerca azione per acquisire conoscenze delle migliori pratiche per aiutare
i soggetti.
- La creazione di strumenti a servizi per la formazione integrale dei giovani
- Integrare quadro normativo nazionale e europeo, con obbiettivi condivisi U.E. di cui l'inclusione
sociale è fondamentale, e quindi favorire competenze di problem solving,.
- La cultura non è più capitale invisibile come lo definiva Gozzer,
ma visibile per le ricadute sociali che ha sul lavoro ecc.

Bisogna conoscere la psicologia se vogliamo educare .


Problematica della conoscenza dei processi mentali individuali del soggetto.

Storia del percorso di sviluppo del soggetto che può essere lineare oppure presentare interruzioni,
momenti di criticità ecc.

Oggi si guarda alla psicologia come modalità interpretativa dei processi mentali per valorizzare il
potenziale di sviluppo e talenti del soggetto.

Le discipline sono parte essenziali del curricolo nell'ambito del quale troviamo saperi curricolari e
non

Conoscere i processi di crescita psicologica dei soggetti in età evolutiva significa interpretare le
cause delle eventuali disfunzioni, per sapere come funziona il corpo e la mente, per crescere e
migliorare.

Le strutture cognitive promuovono processi di accomodamento, composizione , giustapposizione,


elaborazione di nuove idee.

Mass media🡪 forniscono informazioni da selezionare.

La psicologia ha per oggetto:

1 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali


A La conoscenza dei processi di sviluppo ed i modelli teorici che
li interpretano

B Le caratteristiche dei giovani nell'ambito della società


contemporanea, complessa ed in continua evoluzione

C Le caratteristiche dell'ambiente appartenenza e le reazioni dei


soggetti

D La motivazione ai processi di sviluppo

La psicologia generale ha senso:

2 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Per interpretare le problematiche dei giovani

B Per costruire relazioni, per selezionare situazioni e condizioni


di vita più appropriate ai nostri bisogni, per costruire un
progetto di vita che ci soddisfi, per vivere dimensioni di
equilibrio psicologico

C Per decodificare le caratteristiche dell' ambiente di


appartenenza e le reazioni dei soggetti

D Per cogliere la motivazione ai processi di sviluppo

Conoscere i processi di crescita psicologica dei soggetti nel corso


dell'età evolutiva significa:

3 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Conoscere quali sono gli obiettivi formativi e le modalità per


raggiungerli

B Definire quali devono essere le qualità e le abilità che gli allievi


devono possedere alla fine del percorso scolastico

C Interpretare le cause delle eventuali disfunzioni, per


comprendere bisogni e aspettative, per sapere come funziona il
corpo e la mente, per crescere e migliorare
D Conoscere quali sono le prospettive di realizzazione di ciascun
soggetto

Nel corso dell'età evolutiva bisogna:

4 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Conoscere le risorse su cui far leva

B Definire modelli cui far conformare i giovani

C Attivare una didattica fondata sull'educazione civica

D Accompagnare e sostenere i soggetti in un processo di


crescita che inizia ancor prima della nascita e dura tutta la vita

!!Al fine di sviluppare i potenziali di apprendimento e le intelligenze


multiple dei soggetti i docenti devono:

5 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Conoscere l' ambiente familiare di provenienza dei soggetti

B Svolgere attività di ricerca di nuove metodologie e strategie


educative e didattiche che risultino efficaci

C Attivare progetti extracurricolari

D Validare prove di verifica

Nell'apprendimento bisogna evitare la frammentazione dei saperi


disciplinari (attività didattiche e orientamento):

6 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Perché non si orienta verso le discipline

B Perché bisogna raccordare le azioni

C Perché bisogna conoscere tutti i linguaggi


D Perché il soggetto deve cogliere senso e significato del sapere
unitario che è strumento del pensiero

Le discipline sono parte essenziale del curricolo nell'ambito del quale


troviamo:

7 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Saperi curricolari e non

B Solo attività elettive per la personalizzazione degli


apprendimenti

C Solo attività sociali per la continuità nel territorio

D Solo metodologie, tecnologie, buone pratiche didattiche

Le strutture cognitive promuovono (processi di apprendimento e


strutture cognitive):

8 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Assertività

B Prosocialità

C Mansuetudine

D Processi di accomodamento, composizione, giustapposizione,


elaborazione di nuove idee

Le condizioni che promuovono l'apprendimento sono (processi di


apprendimento e strutture cognitive):

9 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A I progetti delle agenzie sociali

B I finanziamenti degli enti territoriali


C I contesti sociali ed istituzionali organizzati per
l'apprendimento, che attivano giuste mediazioni didattiche

D La ricerca su Internet

I mass media promuovono:

10 La psicologia per un'interpretazione dei processi mentali

A Orientamento

B Opportunità di informazioni da selezionare

C Istruzione

D Formazione

2. I modelli teorici

- Conoscere diverse prospettive di analisi dei problemi affrontati.


- Modello comportamentista🡪 abbandona concetti di psicologia di “io" coscienza ecc.
- Osservazione sistematica di ciò che è fenomenologico, carattere meno introspettivo. Contributi da
fisiologia, psicologia animale, evoluzionismo.
- L'avvio al behaviorismo fu dato da Pavlov in Russia.
Comportamentismo americano invece Watson.
Col tempo distinzione tra comportamentismo
- Metodologica: ignora la coscienza
- Dogmatico= non nega la coscienza (materialismo metafisico)

Teorie della contiguità (di stimolo e risposta) Watson e del rinforzo (Skinner e Thorndike)

- Solo successivamente con Tolmam avremo un'apertura agli aspetti simbolici e cognitivi e verrà
reintrodotta la separazione tra realtà fisica e intellettuale.

Psicologia della Gestalt, forma.


- Gruppo di psicologia della cosiddetta “ scuola di Berlino" Wertheimer, Kohler e Koffka assegnano
valore alla percezione
- Gestalt🡪 entità concreta e individuale che esiste come qualcosa di staccato e che ha come uno dei
suoi attributi la forma.
- Vengono rintracciare strutture o Gestalten nel mondo mentale che vengono rintracciate nel mondo
fisico.
1. Postulato isomorfismo🡪 corrispondenza di forme o strutture tra mondo fisico e psichico🡪
analogie
Concezione olistica della mente e del mondo fisico.
2. Legge della formazione non additiva della totalità= il tutto non è la somma delle parti, di
elementi primitivi.
3. Legge della pregnanza: fattore strutturante della percezione: sulla base delle Gestalten,
strutture figure incomplete o asimmetriche vengono percepite come simmetriche.

Sviluppo della Gestalt rintracciabile in Kurt Lewin 🡪 teoria del campo l’individuo è inserito in uno spazio
vitale che è un campo di forze nel quale si sviluppano dinamiche di gruppo.

Modello psicoanalitico e psicodinamico.

Psicoanalisi rappresenta un modello di sviluppo della personalità, metodo psicoterapeutico basato


sull’interpretazione

Dagli anni 20 agli anni 40 grande successo della psicoanalisi sriechita dagli apporti di Jung , Adler ec..

- Prospettiva dinamica che vede l'uomo come essere biologico spinto fin dalla nascita da pulsioni
(sessuali e aggressivo), da desideri mossi dal principio di piacere (inconscio) spingendo sulla
coscienza
- Tentativo del miglior adattamento che per Freud è razionale ed oggettiva, la realtà non può essere
modificata, l'io e la coscienza ( istanza di realtà) impongono allora all'uomo di autoregolarsi.
- Nuove teorie psicodinamiche che pongono accento anche sul rapporto io e ambiente e di come
l’ambiente condizioni l'io (Anna Freud, Erikson ecc.)
- Per la teoria delle “relazioni oggettuali" i primi rapporti tra bambino e le figure di riferimento
portavano alla formazione di modelli interni, influenzanti le relazioni umani costruite dall'individuo
nel corso della vita
Melanie Klein propose lo sviluppo psicologico come il prodotto di un conflitto amore/ odio e
confronti dell"oggetto (il seno materno) che il bambino avverte come buono o cattivo a seconda
della disponibilità materna.

Il contesto che il bambino incontra sono determinanti dei comportamenti e successive patologie e nevrosi.

- Lo sviluppo psicologico secondo Freud avviene durante l’infanzia, attraverso il superamento di


stadi psicosessuali
In ogni fase il bambino ricerca il piacere e la soddisfazione dei bisogni concentrandosi su rispettive
zone erogene : orale, anale, fallica (complesso di Edipo che si supera solo con l’età puberale), grazie
al superamento si acquisisce l’identità sessuale

Il mancato superamento di questi studi determina la fissazione della libido in queste zone erogene.
Suzione🡪 tabagismo in età adulta.

In quest’ottica l’individuo viene visto come un sistema energetico regolato da tre i stanze: Es, Io, Superio
costante mediazione e conflittualità.

La dinamica di questo processo determina la struttura della personalità.

Es: sede degli istinti, tensioni emotive da soddisfare

Io: istanza regolatrice, razionalità, sede del pensiero


Super-io: componente giudicante, introdotti morali, regole sociali, Bern🡪 Io genitore.

L’individuo per sopravvivere ad eventi che non sa gestire svilupperà meccanismi di difesa considerate forme
di adattamento, sono processi inconsci per gestire l’angoscia generata dal conflitto delle istanza della
personalità

Meccanismi di difesa adattivi perché sono forme di adattamento all'ambiente, ci fanno meglio adattare
all’ambiente, ma se usati in modo rigido possono essere disadattivi e sono manifestazione di patologie.

Modello epistemologico genetico

Modello che mira a spiegare i processi cognitivi🡪 percezione, intelligenza.

Fasi della sviluppo che ricostruisce le fasi

Collaborazione tra logica e psicologia per Piaget e non separazione è tramite questa collaborazione che
possiamo comprendere meglio lo sviluppo della conoscenza.

Modello cognitivista subentrato al comportamentismo ormai in crisi, dopo i primi anni 60


Mente= elaboratore d’informazioni attivo, informazioni che giungo da organizzazioni i sensoriali e
vengono ricevuti ed elaborati dal pensiero.
Analisi dei processi cognitivi nella loro dimensione organizzativa come la corteccia celebrale
elaborazione le informazioni, grazie alle sinapsi
- Questo modello non possiede una propria concezione dell’uomo., ovvero non da spiegazione del
comportamento umano.
- Elaborazione interna tra input e output che forma i processi mentali o pensiero.
- Eventi interni non direttamente osservabili ma devono essere inseriti, ma sono inferenze possibili.
- Cognitivismo si avvale di moltissimi approcci: come la linguistica di Chomsky, Gestalt.

Il "comportamentismo" è la scuola americana contemporanea di psicologia che:

I modelli teorici

A Abbandona i concetti di "io" e "coscienza" e restringe la psicologia sia animale sia umana
allo studio del comportamento

B Valorizza l'io interiore

C Introduce la soggettività

D Teorizza il problem solving


L'avvio al behaviorismo fu dato:

2 I modelli teorici

A Da Bruner

B Da Piaget

C Da Damiano

D Dal fisiologo russo pavlov; fondatore, invece, del behaviorismo americano è j. B.


Watson, che ne formulò (1913) il programma ne "la psicologia così come la vede il
comportamentista"

Nella teoria del "rinforzo" di Thorndike:

3 I modelli teorici

A Si propone l'istruzione programmata

B Si introduce le mappe concettuali

C Si introduce un'azione che determina successo e risultato atteso viene rinforzata nel suo
reiterato compimento

D Rinforza la personalizzazione

Una "gestalt" è:

4 I modelli teorici

A Una metodologia
B Un sussidio

C Parte delle tic

D Un prodotto dell'organizzazione psichica del soggetto e tale organizzazione è il processo


che produce strutture o "gestalten" sia nel mondo fisico sia nel mondo mentale

Il modello psicoanalitico e psicodinamico:

5 I modelli teorici

A Promuove la motricità fine

B è la dinamica di gruppo

C È una nuova prospettiva dinamica che concepisce l'uomo come un essere biologico
dotato di una esistenza psichica, di cui è inconsapevole, caratterizzata sin dalla nascita
da spinte pulsionali e istintuali (di tipo sessuale ed aggressivo) e da desideri mossi dal
principio del piacere

D è la teoria di Bruner

Il complesso di edipo compare:

6 I modelli teorici

A Nella fase fallica

B Nella fase di sviluppo dello schema corporeo per cui il bambino si rappresenta se stesso

C Nella fase orale

D Quando il bambino ha cinque mesi


Il complesso di edipo comporta:

7 I modelli teorici

A Disturbi della personalità

B Comportamenti aggressivi

C L'identificazione con il genitore del sesso di appartenenza e la tipizzazione sessuale

D Dispersione scolastica

Secondo J. Piaget:

8 I modelli teorici

A Il bambino vive intense pulsioni sessuali

B L'apprendimento si fonda su mappe concettuali

C Il bambino è autistico

D I processi cognitivi vengono analizzati in quanto funzioni organizzative, nell'ambito di un


sistema complesso costituito da strutture o schemi mentali di previsione e di spiegazione
dei fenomeni

L'apprendimento secondo J. Piaget è:

9 I modelli teorici

A Equilibrio dinamico tra processi di assimilazione e processi di accomodamento


B Stimolo-risposta

C Pulsione desiderativa

D Adattamento

Per le teorie cognitiviste:

10 I modelli teorici

A L' apprendimento è un processo conoscitivo che trae origine dal bisogno di costruzione
e di strutturazione del reale

B Il soggetto apprende spontaneamente

C La conoscenza è solo molare e globale

D La conoscenza avviene mediante lo studio delle discipline

3. La struttura dell'io

- rappresentazione mentale che ha la persona di se stessa.

- il sistema dei valori e significative vanno a formare l’identità della persona.

- l'insieme delle opportunità, dei limiti e dei vincoli che esistono.

- una personalità ben strutturata permette al soggetto di:

vivere senza conflittualità in maniera armonica🡪 rappresentazione mentale positiva.

avere consapevolezza delle proprie caratteristiche personali.

Maggiore possibilità di adattamento alle situazioni

Il problem solving e una buona rappresentazione mentale dell'io.


- Egli seleziona le diverse opportunità risolutive e pianificare le azioni da porre in essere.

- Il problem solving in situazioni critiche avviene in ogni età del soggetto ed interessa elementi e
processi cognitivi, emozionali e affettivi, comportamentali e relazionali.

- Il rapporto tra motivazione ed apprendimento è essenziale per far costruire al soggetto un progetto
di vita personale

La personalizzazione dei processi cognitivi si basa su curiosità e motivazione

La mediazione didattica consente


Il transfert degli apprendimenti e lo sviluppo delle competenze

Le modalità di insegnamento delle discipline mostrano problemi derivanti da una carenza di


motivazione da parte dei giovani.

TEST DI AUTOVALUTAZIONE

Il problem solving in situazioni critiche avviene:

1 La struttura dell'Io

A Solo nell'adulto

B Nella giovinezza

C Nelle crisi preadolescenziali

D In ogni età del soggetto ed interessa elementi e processi cognitivi,


emozionali e affettivi, comportamentali e relazionali

Una rappresentazione mentale dell'io positiva ed una buona strutturazione della


personalità del soggetto:

2 La struttura dell'Io

A Ignorano le pulsioni sessuali


B Implicano capacità che riguardano la conoscenza di se stessi e della realtà
sociale che è sfondo integratore di esperienze e di processi

C Si conquistano solo da adulti

D Sono il prodotto di tecniche per le disabilità

Esistono molteplici fattori che influenzano la strutturazione dell'io. Tali fattori


sono:

3 La struttura dell'Io

A Le condizioni economiche

B La rappresentazione mentale che la persona ha di se stessa, il sistema di


valori e significati

C Il contesto culturale

D I premi e le punizioni

Una personalità ben strutturata:

4 La struttura dell'Io

A È mansueta

B È armonica ed esente da conflittualità che determinano dissonanze e


problemi di comportamento e di adattamento alle situazioni

C Si adatta a tutto

D Non reagisce

Un soggetto con una personalità ben strutturata

5 La struttura dell'Io

A Ha consapevolezza delle proprie caratteristiche personali, delle proprie


capacità, delle motivazioni e degli interessi che muovono le sue scelte e
del sistema valoriale di riferimento
B Apprende discipline scientifiche

C Procede per prove ed errori

D Ubbidisce ai genitori

! Le modalità di insegnamento delle discipline mostrano problemi derivanti da:

6 La struttura dell'Io

A Incompletezza di argomentazioni in quanto i programmi disciplinari


andrebbero riveduti

B Difficoltà di apprendimento mostrate da un'alta percentuale di giovani che


manifestano disturbi della personalità

C Inadeguatezza di testi e materiale didattico in genere

D Carenze di motivazione da parte dei giovani

La personalizzazione dei processi cognitivi è relativa a:

7 La struttura dell'Io

A Prospettive di lavoro

B Orientamento familiare

C Curiosità, motivazioni ed interessi del soggetto

D Disponibilità di risorse metodologiche e didattiche

Il rapporto tra motivazione ed apprendimento è:

8 La struttura dell'Io

A Attività dei docenti

B Essenziale per far costruire al soggetto un progetto di vita personale

C Affidato a risorse multimediali


D Compito dei genitori

La personalità del soggetto è il prodotto:

9 La struttura dell'Io

A Di un processo globale di formazione integrale

B Dell'educazione familiare

C Dell'educazione scolastica

D Dell'interazione tra pari

La mediazione didattica consente:

10 La struttura dell'Io

A Il transfert degli apprendimenti e lo sviluppo delle competenze

B Funzioni di abilità nel lavoro

C L'attivazione di progetti

D La fruizione di finanziamenti

4. I mutamenti sociali

Dobbiamo conoscere come.mutano i contesti di vita dei soggetti


Sfondi integratore dei processi di costruzione dell’io
- Società post moderna 🡪 iper complessa
- Scienza e conoscenza strumenti per conoscere il contesto in cui viviamo
- Processi di mondializzazione dei fenomeni (comunicazione)
- Processi di globalizzazione dell’economia
- Nuovo Umanesimo tecnologico: l'uomo utilizza la tecnologia per miglirosre la sua qualità di vita.
Le abilità corrispondono a:

I mutamenti sociali

AI potenziali individuali di apprendimento

II saper fare degli allievi

Integrare materiale

Un'accelerazione a tutti i processi di sviluppo sociale è determinata:

1 I mutamenti sociali

A Dall'immigrazione

B Dalla crisi economica

C Dalla democrazia

D Dall'applicazione della scienza alla tecnica

Le trasformazioni della società e delle società assumono ritmi aventi


velocità esponenziale e:

2 I mutamenti sociali

A Si sviluppa la conoscenza matematica

B Aumentano le probabilità di successo

C Cambiano le culture, gli stili di vita, i contesti che diventano molteplici e


complessi
D Si vive la recessione

La costruzione dell'io avviene nello sfondo integratore di una società


mutevole e fluida che si connota quale:

3 I mutamenti sociali

A Società del boom economico

B Società dell'economia diffusa

C Società della storia democratica

D Società post moderna, società ipercomplessa, società della conoscenza,


società che determina processi di mondializzazione dei fenomeni, società
che determina processi di globalizzazione delle economie

Il progetto della modernità tesa a conferire un senso unitario e globale alla


realtà:

4 I mutamenti sociali

A Si è sviluppato negli anni 󈦜

B Si è costruito sull'asse di tre grandi meta-racconti: illuminismo, idealismo,


marxismo

C Non considera la centralità dell'uomo

D Definisce l'homo homini lupus

5 I meta-racconti dell'età moderna non sono stati sostituiti da costruzioni


altrettanto forti e unitarie in quanto:

I mutamenti sociali

A L'uomo ha sviluppato un pensiero debole

B Le teorie non servono a spiegare la pratica

C Prevale il pragmatismo

D Velocità e fluidità dei processi, molteplicità e frammentazione della realtà


rendono inadeguata ogni dimensione unitaria e statica

Lyotard descrive la postmodernità e:

6 I mutamenti sociali

A Rifiuta la postmodernità

B Critica le tecnologie

C Afferma che si deve arrestare il processo del cambiamento veloce

D Non nutre nostalgia per l'unità e la totalità perduta, ma riconosce, nella


società fluida di oggi, la positività di ciò che è molteplice, frammentato,
polimorfo e instabile

I cambiamenti in essere determinano:

7 I mutamenti sociali

A Ottimismo ed entusiasmo
B Forti sensazioni di incertezza, la perdita di punti di riferimento, forti
insicurezze e disorientamenti, condizioni di disagio

C Pragmatismo

D Situazioni di prove ed errori

A corredo dei saperi disciplinari troviamo:

8 I mutamenti sociali

A La multimedialità

B I saperi sociali

C Le competenze dei docenti

D Le buone pratiche

! I traguardi di competenze corrispondono:

9 I mutamenti sociali

A Ai saperi disciplinari

B Al trasfert ed all'utilizzo di conoscenze ed abilità disciplinari in contesti


diversi anche dalla scuola, per la soluzione di problemi nuovi

C A moduli di didattica breve

D Agli obiettivi formativi


Le abilità corripondono a:

10 I mutamenti sociali

A I potenziali individuali di apprendimento

B I saper fare degli allievi

C Traguardi di competenza

D Obiettivi formativi

5. Modello di conoscenza: ma come funziona?


Ecce homo= ecco l’uomo

Tutta ka conoscenza nasce da un problema🡪 problema che ci poniamo come funziona l’uomo.

- Flusso delle informazioni in un sistema: glossario usato per sistemi.


Entrata🡪elaborazione🡪 immaganizzazione🡪 uscita.
- Per l’uomo corrispondenti a ciascun passaggio
La sensazione (dato in entrata)🡪 la percezione (riconoscimento della sensazione)🡪
pensiero(elaborazione del dato in entrata) memoria (che interagisce con il pensiero)🡪 reazione

Se non funziona questo modello? Cosa avviene?

Se non c'è sensazjone e percezione non ci può essere pensiero e memoria, non abbiamo nulla.
Senza pensiero abbiamo solo input (conservati nella memoria) e output, automatismi di base.

Senza memoria invece ogni momento per noi è nuovo.

I processi di apprendimento sono basati su diverse capacità:

- Percettive
- Motorie
- Linguistiche🡪 pensiero e linguaggio estremamente connessi (Vigostkij)
- Attentive mnemoniche.

Costruzione della personalità

Già negli esperimenti condotti da Renè Spitz si erano individuate sei fasi nella costruzione della personalità:

Sviluppo e dominio della percezione

“” Del soma (organismo a livello biologico)


Dei rapporti interpersonali

Della memoria e dell’imitazione

Della manipolazione di oggetti

Sviluppo intellettivo.

I giovani spesso non mostrano:

Comprensione del senso e del significato delle prospettive disciplinari

I giovani, con una buona formazione, vanno incontro a scelte relative al loro futuro.

L’apprendimento è un processo personale e soggettivo.

Gli stimoli provenienti dall'esterno determinano:

1 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Percezioni

B Conoscenze

C Impressioni sugli organi di senso: sensazioni

D Intelligenze multiple

Le sensazioni vengono riconosciute dal cervello e si hanno:

2 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Le percezioni

B Le intelligenze multiple
C Le inferenze

D Stimoli-risposte

Il pensiero elabora le informazioni ricevute e...

3 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Le traduce in emozioni

B Le trasforma in schemi motori

C Le mette in memoria

D Le rimuove

Il soggetto, ricevuta l'informazione:

4 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A La rimuove

B Agisce emotivamente

C La traduce in linguaggio

D Reagisce

! I processi di apprendimento sono basati su diverse capacità:

5 Modello di conoscenza: ma come funziona?


A Percettive

B Percettive, motorie, percettivo-motorie, linguistiche, attentive e mnemoniche

C Motorie

D Di assimilazione

La personalità costruisce mediante:

6 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Sviluppo motorio

B Dominio delle pulsioni sessuali

C Prove ed errori

D Sviluppo e dominio della percezione, sviluppo e dominio del soma, sviluppo


e dominio del rapporto interpersonale, sviluppo e dominio della memoria e
dell'imitazione, sviluppo e dominio della manipolazione degli oggetti,
sviluppo intellettivo

I giovani spesso non mostrano:

7 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Comprensione del senso e del significato delle prospettive disciplinari

B Sensibilità nei confronti del gruppo dei pari e del prossimo in generale
C La dovuta attenzione per i contenuti delle lezioni

D Acquiescenza nei confronti delle attività didattiche

I giovani, con una buona formazione, vanno incontro a:

8 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Scelte relative al loro futuro

B Problematiche burocratiche

C Direzionalità da parte dei docenti

D Adattamenti alle richieste del mercato del lavoro

Il successo formativo dipende prevalentemente:

9 Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Da un contesto ricco di stimolazioni ed organizzato per l'apprendimento

B Dalle competenze disciplinari dei docenti

C Dalle risorse multimediali

D Dall'impegno del soggetto

! L'apprendimento è:

10
Modello di conoscenza: ma come funziona?

A Un processo personale e soggettivo

B Prodotto dell'insegnamento

C Un percorso difficile da affrontare solo in ambito scolastico o in situazioni


didattiche al fine di fruire del sostegno dei docenti

D La risposta alla “curiositas” del soggetto, che va appagata mediante la


spiegazione chiara delle discipline

6. Aspetti dei processi educativi

Aspetti dei processi formativi sono:

a) la conoscenza delle caratteristiche dei soggetti: nella attuale situazione di forte mutamento istituzionale
e sociale, risulta assolutamente necessario che le caratteristiche dei bambini siano adeguatamente
conosciute, sia conosciuta la sua storia personale e diventino elementi per decidere quali sono gli obiettivi
educativi e le modalità per raggiungerli

b) la valorizzazione di credenze, esperienze, diversità

c) la personalizzazione dei processi di crescita e di sviluppo integrale della personalità

Decisioni in tal senso sono la sostanza dell'autonomia degli istituti scolastici e delle istituzioni universitarie e
formative.

Autonomia, infatti, significa autoregolazione ed implica la decisionalità immediata circa le scelte


rispondenti ai bisogni formativi specifici e differenziati dei soggetti.

Altro elemento importante nella costruzione della personalità del soggetto e nella formazione di obiettivi
formativi di “saper essere” è l'individuazione di motivazioni personali

Motivazione necessaria all’apprendimento

Le motivazioni

Attenzione e impegno nelle attività formative sono promossi Dalla qualità delle proposte formative

Azjone formativa ed efficace deve decidere🡪 quali devono essere le competenze che gli allievi devono
possedere alla fine del percorso

Problemi relativi alle attività didattiche si riferiscono alla ridefinizione dei curricula in regime di
autonomia pedagogica
!! Per promuovere in maniera adeguata i processi formativi occorre
conoscere:

1 Aspetti dei processi educativi

A La storia personale e le caratteristiche dei soggetti, soprattutto se in


età evolutiva

B Il curricolo scolastico

C L'ambiente familiare

D La cultura del territorio

Obiettivo generale della formazione è:

2 Aspetti dei processi educativi

A La conoscenza della lingua materna

B La conoscenza di una lingua veicolare

C Lo sviluppo motorio

D La valorizzazione di credenze, esperienze, diversità

Per sviluppare apprendimenti occorre:

3 Aspetti dei processi educativi

A Programmare attività semplici


B Organizzare recuperi

C Promuovere la personalizzazione dei processi

D Proporre esercitazioni didattiche

Autonomia, riferita a istituzioni scolastiche, significa:

4 Aspetti dei processi educativi

A Decentramento

B Attenzione alla personalizzazione

C Centralità dell'allievo

D Autoregolazione e decisionalità

Il senso dell'autonomia è:

5 Aspetti dei processi educativi

A Trasparenza

B Economicità

C Dare risposte immediate ai bisogni emergenti dall'utenza e dal


territorio

D Fare ciò che si vuole

6 La formazione della personalità prevede obiettivi formativi di:


Aspetti dei processi educativi

A Saper essere

B Sapere

C Saper fare

D Sviluppo di abilità

L'apprendimento necessita:

7 Aspetti dei processi educativi

A Di risorse economiche

B Di docenti severi

C Di motivazione

D Della spiegazione della lezione

Attenzione e impegno nelle attività formative sono promossi:

8 Aspetti dei processi educativi

A Dal dialogo positivo con i docenti

B Dalla qualità delle proposte formative

C Dall'assenza di problemi
D Dalla molteplicità del materiale disponibile

I problemi relativi alle attività didattiche si riferiscono:

9 Aspetti dei processi educativi

A All'esuberanza dei giovani che non riescono a prestare attenzione agli


insegnamenti

B Al difficile rapporto tra docenti e studenti che vivono male


l'imposizione del ruolo adulto ed autoritario

C Alla ridefinizione dei curricula in regime di autonomia pedagogica

D Alla creazione di gruppi giovanili che spesso si esibiscono in episodi


di vandalismo distruttivo, rendendo così difficile ai docenti ogni tipo di
approccio

Un'azione di formazione, per essere efficace, deve sapere e decidere:

10 Aspetti dei processi educativi

A Quali sono gli obiettivi professionali e le modalità per raggiungerli

B Quali devono essere le competenze che gli allievi devono possedere


alla fine del percorso

C Quale deve essere la figura professionale nella quale inserire ciascun


soggetto

D Quali sono le prospettive economiche e di realizzazione di ciascun


soggetto
7. Le attività didattiche per la formazione

La formazione della personalità integrale dei soggetti dipende sostanzialmente da:


a) le attività didattiche: per quanto riguarda le attività didattiche nelle scuole, i problemi più
importanti si riferiscono alla ridefinizione dei curricula in regime di
autonomia, e quindi non più in base ad astratti principi pedagogici o disciplinari definiti
interamente dal "centro“, mediante Programmi Nazionali, con una
normativa universalmente valida e costante nel tempo.
b) La mediazione didattica: un'altra serie di problemi importanti riguarda le modalità di
insegnamento delle discipline e deriva da carenze di motivazione e di
comprensione da parte dei giovani del senso generale di una prospettiva disciplinare e da
difficoltà nell'apprendimento e nella formazione di competenze.
c) I contributi delle scienze dell’educazione: la conoscenza del “come” avvengono i processi di
apprendimento e di “come” si struttura la personalità può contribuire con indicazioni operative
e con una attribuzione di significato generale ed
unificante alle varie iniziative di innovazione.

Le attività didattiche in particolare, possono:


 sostenere l'importanza della continuità dei processi educativi, sottolineando la
rilevanza dei momenti di passaggio da un tipo di scuola ad un altro e dalla scuola
all'università, o dalle istituzioni formative al lavoro;
 riaffermare la rilevanza della centralità degli studenti nei processi educativi;
 porre adeguata attenzione all'individuazione delle motivazioni ed agli interessi degli studenti,
stimolandoli ad un impegno a conoscere le proprie caratteristiche ed alla progettualità
personale riguardo al proprio futuro;

Ma per ottenere questi risultati è essenziale che le attività didattiche vengano contestualizzate
in sfondi integratori che diano loro senso e significato.
Occorre, in particolare, attivare una didattica di laboratorio che veda i ragazzi impegnati a
condividere problemi da risolvere e progetti da porre in essere.
Così essi apprendono che ogni attività, come ogni lavoro, deve tendere ad uno scopo
realizzativo ed utile, acquisiscono proceduralità operative, imparano a scambiare esperienze,
idee ed
a collaborare. 🡪 Si facilita la motivazione che sostiene l’attività e spinge il soggetto ad agire,
attribuendo significato e senso alle sue attività.

La didattica laboratoriale 🡪 maggiore motivazione, si basa su metodi quali ricerca azione svolta
sulle discipline che vengono ricostruite nell’attività laboratoriale
.
Le ragioni dei cambiamenti in essere

 Riconoscere il valore della persona


 Il rispetto dei tempi di sviluppo del soggetto(dalla logica dell’insegnamento alla logica
dell’apprendimento)
 L’importanza della partecipazione della famiglia (Patto di corresponsabilità)
 Il rispetto dell’identità dell’individuo e del gruppo (senso di appartenenza)
 Le pari opportunità
 La formazione etica del soggetto (cittadinanza attiva)
 Assicurare il diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione

Indicazioni Nazionali 2007🡪 uso curricolo verticale invece dei programmi nazionali

Il curricolo verticale
Il processo di elaborazione deL CURRICOLO VERTICALE inizia con
• la definizione degli obiettivi formativi, in linea con standard Nazionali ed
Europei di qualità dell’offerta formativa
• La definizione di obiettivi generali del processo formativo
• L’individuazione di Obiettivi di apprendimento disciplinari.
• La definizione di traguardi di competenza

Ogni attività è sostenuta da:

Le attività didattiche per la formazione

Curiosità, motivazioni, interessi

Un docente esperto nella disciplina

Valide esercitazioni didattiche

Spiegazione della lezione

La motivazione:

Le attività didattiche per la formazione

Crea disorientamenti

Spinge il soggetto all'azione

Elimina l'insuccesso

Attiva dinamiche di gruppo

La curiosità è sollecitata:

Le attività didattiche per la formazione

Da un ambiente ricco di stimoli, altamente costruttivista


Dal docente

Dai compagni

Dalle esercitazioni didattiche

! L'interesse rende più stabile:

Le attività didattiche per la formazione

La ripetizione

Attività per prove ed errori

Il movimento

L'attenzione

La motivazione attribuisce:

Le attività didattiche per la formazione

Nuovi problemi

Nuove attività

Senso e significato alle attività del soggetto

Autovalutazione

Le motivazioni si possono rilevare:

Le attività didattiche per la formazione

Attraverso opportuni strumenti e nell'ambito delle attività


didattiche, così da tradurle in progetti personali da realizzare

Facendo sondaggi e rilevazioni statistiche

Analizzando le prospettive di mercato e di conseguenza le


prospettive lavorative dei giovani
Chiedendo ai soggetti quali guadagni desiderano realizzare con
l'attività lavorativa

L'individuazione di motivazioni personali dei giovani:

Le attività didattiche per la formazione

È utile al fine della scelta dell'azienda o dell'impresa in cui


inserire i giovani

Risulta efficace per abbinare meglio i soggetti tra loro all'interno


di un contesto lavorativo

È funzionale all'apprendimento e allo sviluppo di progetti


personali di studio e di vita nonché alla qualificazione
professionale

È rivolta ad un più facile inserimento sociale dei giovani

Le motivazioni vanno tradotte in:

Le attività didattiche per la formazione

Progetti personali da realizzare

Guadagni immediati

Relazioni interpersonali

Facili inserimenti in contesti lavorativi ad alto livello

La motivazione nasce prevalentemente:

Le attività didattiche per la formazione

Da proposte formative congruenti con i potenziali di sviluppo


personale del soggetto

Da un tutoraggio comunicativo da parte dei docenti

Da un contesto lavorativo privo di burocrazia


Dalla leggerezza del vivere

Le motivazioni, nei soggetti, rappresentano:

Le attività didattiche per la formazione

L'aspirazione al successo personale

La spinta a raggiungere determinati obiettivi in base alle proprie


capacità e talenti

Il desiderio di emergere e distinguersi dalla massa dei propri


simili

La volontà di arrivare subito a determinati traguardi

8. Modello Gowin e apprendimento

Diagramma a V vedi testo

Mediazione didattica efficace nasce da un problema che motiva e sostiene l’azione

Un buon piano dell’offerta formativa per svolgere la sua funzione deve tenere conto delle caratteristiche
dei giovani nell’ambito della società contemporanea complessa quindi in continua evoluzione.

Al fine di realizzare un buon curricolo i docenti devono conoscere le motivazioni personali dei giovani.

Nell'allievo occorre favorire la costruzione di un sistema cognitivo dinamico personale.

Un buon piano dell'offerta formativa, per svolgere la sua funzione, deve tener conto:

1 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Delle caratteristiche del territorio di appartenenza e delle attività prevalenti nell'area


geografica interessata

B Delle caratteristiche dei giovani nell'ambito della società contemporanea, complessa ed


in continua evoluzione
C Delle caratteristiche dell'ambiente lavorativo di appartenenza

D Delle caratteristiche dell'ambiente socio-culturale di appartenenza, al fine di favorire una


migliore integrazione sociale

!! Al fine di realizzare un buon curricolo, i docenti devono conoscere:

2 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A L'ambiente familiare di provenienza dei soggetti e la qualità delle relazioni che essi vi
hanno stabilito

B L'assetto economico della famiglia di provenienza nonché quella del singolo soggetto

C Le motivazioni personali dei giovani

D Le convinzioni ideologiche e politiche dei giovani

! Nell'allievo occorre favorire la costruzione:

3 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Di abilità

B Di un sistema cognitivo dinamico personale

C Dell'istruzione

D Della capacità di dialogo

4 I progetti extracurricolari attivati nelle scuole costituiscono:


Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Apprendimenti disciplinari contenuti nei programmi nazionali

B Opportunità di apprendimento scolastico e professionale nel quadro dei saperi sociali

C Modalità di impegno di finanziamenti europei

D Ulteriore opportunità di lavoro per i docenti

La centralità dell'allievo si realizza:

5 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Con l'individualizzazione degli interventi didattici

B Con la promozione di processi di apprendimento e di formazione personali e soggettivi,


congruenti con i potenziali educativi del soggetto

C Mediante attività individuali

D Tramite l'utilizzo di supporti multimediali

! Una mediazione didattica efficace:

6 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Nasce da un problema che motiva e sostiene l'azione

B È determinata dalla lezione del docente e dalle spiegazioni su come funzionano i


fenomeni

C Implica una molteplicità di risorse


D Si fonda sulla socializzazione

Dalla problematizzazione del reale scaturiscono:

7 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Domande che orientano il soggetto verso la ricerca delle risposte

B Frustrazioni per il soggetto

C Difficoltà per i docenti

D Strategie di fuga

Imparare ad imparare:

8 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A È di difficile realizzazione concreta

B Non interessa chi si occupa di formazione professionale

C Corrisponde ad un sistema personale di interpretazione e dominio della realtà che


orienta il soggetto in tutta la sua vita

D Consente al soggetto la scolarizzazione

La qualità della formazione implica:

9 Il modello di Gowin e l'apprendimento


A L'adeguatezza del percorso formativo rispetto alle esigenze del soggetto

B Risorse economiche

C Risorse multimediali

D Risorse umane

Il miglioramento della condizione di adeguatezza dell'offerta formativa al soggetto:

10 Il modello di Gowin e l'apprendimento

A Implica l'organizzazione di un sistema funzionale che promuova scelte autonome e


consapevoli

B È relativa al numero dei progetti attivati

C Si fonda sulle innovazioni normative

D È proporzionale ai finanziamenti erogati

9. La funzione dell’apprendimento nella formazione dell'io

! La valutazione del profilo dell'allievo alla fine di un percorso formativo necessita di standard di riferimento

La valutazione è uno strumento per l'incremento della qualità ed ha per oggetto i processi di crescita della
personalità integrale dei soggetti

Un processo di formazione per essere efficace deve favorire un pensiero critico e divergente

L’apprendimento deve avvalersi di forme di comunicazione efficace e di forti motivazioni.


La valutazione è strumento per l'incremento della qualità ed ha per oggetto:

La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Il prodotto dell'attività dei soggetti

B I processi di crescita della personalità integrale dei soggetti

C Le abilità costruite

D Le scelte operate

La valutazione del profilo dell'allievo alla fine di un percorso formativo


necessita di:

2 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Standard di riferimento

B Esperti di docimologia che operano nelle università

C Eliminazione di variabili di disturbo

D Situazioni da valutare in modo oggettivo

L'apprendimento si avvale:

3 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Della revisione dei percorsi formativi per facilitare la costruzione delle


competenze
B Di fondi per la sperimentazione

C Di materiali cartacei ed audiovisivi

D Di una pluralità di progetti

Un processo di formazione, per essere efficace, deve promuovere:

4 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Capacità e abilità lavorative

B Un pensiero critico e divergente da itinerari consueti

C Abilità in termini di analisi e di ricerca di progetti congruenti con quadri


economici

D Sentimenti positivi nei confronti del prossimo e attenzione alla sensibilità


altrui

L'acquisizione di competenze favorisce:

5 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Guadagni più consistenti ed immediati

B I rapporti tra il soggetto ed il dirigente d'azienda

C L'inclusione nei processi sociali e l'autonomia di pensiero

D L'integrazione tra soggetti di razza ed etnia diverse


L'apprendimento si fonda sulle curiosità, ma:

6 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Le curiosità sono necessarie ma non sufficienti

B Le curiosità sono inutili perché occasionali

C È difficile che una curiosità si trasformi in motivazione ed interesse

D Avere curiosità è rischioso

Le competenze sono determinate:

7 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Dall'uso di conoscenze e di abilità che vengono elaborate e trasferite nei


diversi contesti di vita, per la risoluzione di problemi nuovi

B Dalle buone spiegazioni dei docenti

C Da chiare lezioni su unità didattiche disciplinari

D Dalla disponibilità all'ascolto da parte del soggetto

Le competenze sono strumentali:

8 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Ad essere valutati positivamente dagli altri


B Al saper rispondere bene alle interrogazioni

C All'eseguire compiti assegnati

D Al saper scegliere in modo autonomo e con pensiero critico itinerari


personali di sviluppo

Le competenze danno forma:

9 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Ad atteggiamenti di sicurezza e di autonomia nelle scelte di vita, ad obiettivi


formativi di cittadinanza attiva

B Ad abilità lavorative

C A conoscenze disciplinari

D A processi di socializzazione

L'apprendimento deve avvalersi di:

10 La funzione dell'apprendimento nella formazione dell'Io

A Forme di comunicazione efficaci e di forti motivazioni

B Risorse economiche

C Atteggiamenti regolativi da parte dei docenti

D Progetti preconfezionati secondo le richieste del mondo del lavoro

10. Formazione e media


Integrare slide

Il docente deve curare prioritariamente la qualità della comunicazzione anche mediante le tic

Il processo comunicativo trasmette messaggi e quindi contenuti di conoscenza e significati da un soggetto


all'altro

Nella comunicazione, la terminologia deve essere: Condivisa e chiara

Le tic sono Facilitatori dell'apprendimento

I linguaggi multimediali sono linguaggi integrati della comunicazione e dell'informazione mediante le tic

Il computer può essere una prolunga grafica per soggetti disabili

L'informatica è: Automazione dell'informazione

Internet è:Una finestra aperta sul mondo

L'informatica si avvale di metodologie di top down

Il docente deve curare prioritariamente:

1 Formazione e media

A La qualità della comunicazione anche mediante le tic

B La relazione con gli altri docenti della scuola

C La relazione con il territorio

D La relazione con il mondo del lavoro

Il processo comunicativo trasmette:

2
Formazione e media

A Emozioni

B Messaggi e quindi contenuti di conoscenza e significati da un soggetto


all'altro

C Ordini

D Regole

Una buona comunicazione:

3 Formazione e media

A Favorisce il compito del docente

B Si avvale anche delle tic quali facilitatori dell'apprendimento

C Orienta il soggetto verso le aspettative dei docenti

D Riduce gli sprechi di risorse

Nella comunicazione, la terminologia deve essere:

4 Formazione e media

A Condivisa e chiara

B Ricercata

C Tecnica, mediante linguaggi multimediali


D Ricca di termini nuovi

! Le tic sono:

5 Formazione e media

A Automazione dell'informazione

B Facilitatori dell'apprendimento

C Tecnologie per i disabili

D Linguaggi informatici

I linguaggi multimediali sono:

6 Formazione e media

A Linguaggi del corpo e mimico gestuali

B Tecnologie dell'informatica

C I linguaggi integrati della comunicazione e dell'informazione mediante le tic

D Il linguaggio logo

Il computer può essere:

7 Formazione e media
A Una prolunga grafica per soggetti disabili

B Uno strumento che crea dipendenza

C L'automazione dell'informazione

D Il software

! L'informatica è:

8 Formazione e media

A Una metodologia didattica

B Automazione dell'informazione

C Una tecnologia difficile da comprendere

D Uno strumento che necessita di spiegazioni da parte del docente

Internet è:

9 Formazione e media

A Un mezzo che condiziona i giovani

B Qualcosa di pericoloso

C Una finestra aperta sul mondo

D Metodologia di top down


L'informatica si avvale:

10 Formazione e media

A Del cooperative learning

B Della didattica di laboratorio

C Di metodologie di top down

D Di tutors

11. Teorie dell’apprendimento e qualità dei processi

Integrare slide

Piaget e Vygotskij

Piaget, studioso di epistemologia genetica, analizza i processi mentali che sottendono i comportamenti
infantili e introduce il concetto che “l’ontogenesi ripete la filogenesi” ovvero lo sviluppo del singolo
ripercorre lo sviluppo della specie.

Piaget introduce la psicologia cognitiva ed i concetti di strutture mentali e di schemi di

funzionamento del pensiero atti ad elaborare informazioni sensoriali e percettive.

Lo psicologo studia la logica formale ed il suo rapporto con la psicologia dello sviluppo

intellettuale.

I metodi adottati dal Piaget si identificano con:

• Il “metodo dell’osservazione sistematica a carattere quasi sperimentale”

• Il “metodo critico” ovvero il porre il soggetto in situazione “critica” o

problematica

• Il “colloquio clinico”

Piaget formula alcune ipotesi:

a) continuità tra adattamento riflesso, adattamento abitudinario ed adattamento

intelligente;

b) apprendimento inteso come equilibrio dinamico tra processi di assimilazione

e processi di accomodamento;
c) prevalere di processi di accomodamento nelle attività imitative svolte dai

bambini e di processi di assimilazione nelle attività di gioco

d) egocentrismo e realismo infantile

e) contrapposizione tra pensiero irreversibile e pensiero reversibile o operatorio.

L.Vygotskij sostiene che l’origine del linguaggio è sociale. Le parole esprimono il pensiero

e quest’ultimo, mediante il linguaggio, riflette su se stesso e si arricchisce di nuovi legami logici:

produce nuove idee.

Ambiente di apprendimento minimalista = fondato sulla lezione del docente

Costruttivismo

Ambiente costruttivista implica metodologia problem solving ed è ricco di opportunità e scelte

La filosofia educativa Costruttivista interpretazione la conoscenza come un insieme di significato costruiti


con l'intelligenza

Prospettiva situazionista guarda all'agire della persona in una situazione comunicativa di gruppo

Ambiente di apprendimento determinato da un'insieme organizzato di sfondi integratori.

L'apprendimento in un contesto costruttivista diviene così generativo, cooperativo, basato su problemi


autentici.,

Lo spazio fisico per l’apprendimento deve avere banchi disposti a formare tavoli di lavoro per la soluzioni di
problemi condivisi ecc.

Un ambiente costruttivista per l'apprendimento implica:

1 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Metodologia di problem solving

B La costruzione di apparati multimediali

C La rilevazione delle caratteristiche dell'ambiente di apprendimento

D L'organizzazione del sistema scolastico

2 La filosofia educativa costruttivista interpreta:


Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Le discipline scolastiche

B La psicologia del soggetto

C Il sistema di valutazione

D La conoscenza come insieme di significati costruiti con l'intelligenza

La prospettiva situazionista riguarda:

3 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A L'agire della persona integrata in una situazione comunicativa e relazionale


di gruppo

B Situazioni di disagio

C Condizioni complesse del sistema scolastico

D Situazioni di disagio

Un ambiente di apprendimento è determinato:

4 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Da un complesso organizzato con sfondi integratori atti a promuovere


motivazioni, attenzione, impegno, attività convergenti su compiti e scopi
condivisi
B Dall'istituzione scolastica che applica i programmi ministeriali con
correttezza

C Da ambienti multimediali ricchi di laboratori di informatica

D Dalle discipline

Un ambiente di apprendimento minimalista è costituito da:

5 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Una didattica fondata sulla lezione del docente

B Unità di apprendimento minime

C Materiali semplici

D Un curricolo essenziale

Un ambiente costruttivista è:

6 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Ricco di opportunità e di scelte

B Costruttivo di modelli operativi per l'integrazione nel mondo del lavoro

C Costruttivo di istruzione

D Costruttivo di regole per l'integrazione scolastica e sociale

7 L'apprendimento in un ambiente costruttivista è:


Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Riproduttivo delle discipline

B Generativo, attivo e autonomo, ancorato a problemi autentici, cooperativo

C Essenziale

D Sociale

Il ruolo dell'insegnante in un ambiente costruttivista:

8 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Spiegare gli elementi essenziali delle discipline

B Essere abile regista di dinamiche comunicative e relazionali nell'ambito dei


gruppi e promuovere la ricerca-azione delle conoscenze

C Valutare i prodotti dell'apprendimento

D Coordinare l'uso delle risorse multimediali

Lo spazio fisico di un ambiente di apprendimento deve contenere:

9 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A File di banchi ordinati l'uno dietro l'altro per favorire ascolto e disciplina

B Una cattedra disposta in modo frontale rispetto agli allievi, così da favorire
un maggiore controllo da parte del docente e un'attenzione maggiore da
parte dei discenti

C Banchi disposti a formare tavoli di lavoro per la soluzione di problemi


condivisi, la comunicazione, lo scambio di esperienze e di idee

D Sussidi didattici essenziali

Le relazioni fra gli allievi devono essere:

10 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Connotate da dinamiche di gruppo per la comunicazione e la relazione


positiva

B Di amicizia

C Guidate dal tutor

D Relative alle scelte dell'orientamento

12. Teorie dell'apprendimento seconda parte

In Pedagogia l’allievo possiede, quale potenziale individuale di apprendimento (p.i.a.) Dispositivi cognitivi,
stili di apprendimento e strategie personali, esperienze e credenze.

Jerome Bruner

Bruner massimo esponente dello Strutturalismo 🡪 È una teoria dell'apprendimento che considera, da parte
del soggetto, il bisogno di costruzione e di strutturazione del reale, implicito nell'interazione io-ambiente.

Bruner supera Piaget che interpretava rigidamente gli stadi di sviluppo evolutivo.

Le teorie di Bruner considerano la prospettiva dell'allievo e l'apprendimento significativo

Bruner supera la teoria degli stadi evolutivi formulata dal Piaget in quanto li interpreta come segmenti rigidi
di sviluppo nell’ambito dei quali interagiscono processi di apprendimento e processi di maturazione
analizzati al fine di determinare comportamenti e schemi mentali.
Secondo il Bruner tale segmentazione, invece, limita una reale conoscenza dei processi di pensiero infantili
e dei percorsi di apprendimento.

Bruner sottolinea l’importanza del rapporto che il bambino ha con l’ambiente

Bruner individua tre tipi di rappresentazione che il soggetto sviluppa in rapporto

all’ambiente:

a) esecutiva

b) iconica

c) simbolica

Lo studioso pone in primo piano l’apprendimento del linguaggio.

Il rapporto che il bambino stabilisce con la madre rappresenta input fondamentale per

l’apprendimento del linguaggio e la costruzione di strutture e costrutti linguistici in quanto la madre

rappresenta per il bambino il contatto primario con l’ambiente che lo circonda.

Il bambino possiede dispositivi di apprendimento per il linguaggio (LAD:Linguage

Aquisition Device) che vengono attivati dall’ambiente linguistico (LASS: Linguage Aquisition

System Supporty)

La scuola deve attivare i dispositivi di apprendimento con sfondi integratori altamente costruttivisti.

Il rapporto che il bambino stabilisce con la madre rappresenta input fondamentale per l’apprendimento del
linguaggio e la costruzione di strutture e costrutti linguistici in quanto la madre rappresenta per il bambino
il contatto primario con l’ambiente che lo circonda.

Novack🡪 modelli di mappe concettuali

Elio Damiano

Ha descritto modelli didattici per “imparare ed imparare”

L'allievo possiede, quale potenziale individuale di apprendimento (p.i.a.):

1 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Dispositivi cognitivi, stili di apprendimento e strategie personali, esperienze


e credenze
B Stili di apprendimento di tipo lineare

C Conoscenze che vanno dall'elemento semplice della disciplina a quello più


complesso

D La conoscenza innata delle tecnologie

Per l.a.d.j. Bruner intende:

2 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Libero apprendimento differenziato

B Language aquisition device ovvero dispositivo di apprendimento del


linguaggio

C Una fase dello sviluppo dell'età evolutiva

D Un programma educativo informatico

Le t.i.c. sono:

3 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Tecniche di apprendimento

B Nuove metodologie per lo sviluppo

C Tecnologie dell'informazione e della comunicazione che facilitano


l'apprendimento

D Dispositivi hardware
Lo strutturalismo:

4 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A È una teoria dell'apprendimento che considera, da parte del soggetto, il


bisogno di costruzione e di strutturazione del reale, implicito nell'interazione
io-ambiente

B è una metodologia che struttura la conoscenza

C Implica processi di apprendimento lineari, dal facile al difficile

D è una metodologia di gruppo

J. Bruner:

5 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Ha elaborato teorie che considerano la prospettiva dell'allievo e


l'apprendimento significativo

B Introduce stadi di sviluppo nei processi cognitivi

C Ha elaborato teorie di apprendimento per prove di errori

D Ha teorizzato l'apprendimento per prove ed errori

J. Piaget:

6 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Intende l'apprendimento quale equilibrio dinamico tra processi di


assimilazione e processi di accomodamento
B Ha inventato l'istruzione programmata

C È esponente delle teorie della descolarizzazione

D Ha inventato il linguaggio logo

Daniel Goleman:

7 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Ha applicato alla didattica il diagramma a V di Gowin

B Ha sviluppato teorie sull'intelligenza emozionale

C Ha teorizzato una “didattica critica”

D È un comportamentista

Gowin:

8 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Ha rappresentato, mediante un diagramma a V, i processi di apprendimento

B Ha compiuto ricerche e studi sui sistemi di valutazione

C Ha introdotto modelli di mappe concettuali

D Ha introdotto l'istruzione programmata

9 Novak:
Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Ha introdotto l'istruzione programmata

B Ha sviluppato modelli di mappe concettuali

C È il creatore del linguaggio informatico logo

D È un comportamentista

Elio Damiano:

10 Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi

A Ha descritto modelli didattici per “imparare ed imparare”

B Ha teorizzato il l.a.s.s. ( language aquisition sistem supporty)

C Ha teorizzato, insieme con Ausubel, la didattica critica

D Ha teorizzato gli stadi dello sviluppo dell'età evolutiva

13. Apprendimento e personalità globale

I processi di crescita e di sviluppo sono soggettivi e personali

Il modello di saggezza in continuo divenire (sincod): Propone al soggetto uno sviluppo continuo per
migliorare

Integrare slide

1 ! Le competenze determinano:
Apprendimento e personalità globale

A Situazioni di apprendimento

B Autostima e rappresentazione mentale positiva del proprio sé

C Ordine e compostezza

D La capacità di seguire le indicazioni dei docenti e dei genitori

I docenti ricercano:

2 Apprendimento e personalità globale

A Buone pratiche per organizzare una mediazione didattica efficace, tale da


costruire competenze e capacità di pensiero autonomo

B Finanziamenti per progetti di integrazione nel mondo del lavoro

C Esperti che curino i progetti

D Strumentazioni multimediali per la comunicazione

Cooperative learning significa:

3 Apprendimento e personalità globale

A Apprendimento cooperativo tra soggetti che condividono motivazioni,


interessi, scopi comuni

B Cooperazione tra docente ed allievo


C Collaborazione tra i docenti

D Apprendimento di gruppo

Per peer tutoring si intende:

4 Apprendimento e personalità globale

A Il tutoraggio da parte di un buon docente

B Un tutoraggio tra pari che promuove nei soggetti apprendimenti per


scambio di esperienze e di idee

C Il tutoraggio per l'apprendimento

D Una dinamica organizzativa dei docenti

La didattica di laboratorio:

5 Apprendimento e personalità globale

A Promuove la contestualizzazione degli apprendimenti curricolari

B Serve a sviluppare abilità particolari

C Riguarda le discipline scientifiche

D Insegna l'informatica

La metodologia del brain storming:

6
Apprendimento e personalità globale

A Cura l'organizzazione della classe

B Consente a ciascun soggetto di comunicare le proprie credenze ed


interpretazioni e di esprimere la propria matrice cognitiva

C È un metodo di integrazione dei soggetti disabili

D È una tecnica per la prevenzione dello svantaggio

Le dinamiche di gruppo:

7 Apprendimento e personalità globale

A Promuovono la comunicazione e la relazione positiva, responsabilizzando i


soggetti

B Riguardano la mobilità dei gruppi

C Interessano la formazione e la stabilità dei gruppi

D Sono dinamiche emotive

Il modello di saggezza in continuo divenire (sincod):

8 Apprendimento e personalità globale

A Propone al soggetto uno sviluppo continuo per migliorare

B Vale solo per le persone adulte

C Serve solo per la formazione professionale


D È un modello di organizzazione di sistema

I processi di crescita e di sviluppo sono:

9 Apprendimento e personalità globale

A Soggettivi e personali

B Determinati dal docente

C Limitati al periodo dell'età evolutiva

D Diretti dal curricolo verticale

Il diario di bordo:

10 Apprendimento e personalità globale

A Si usa negli istituti nautici per l'orientamento professionale

B Registra esperienze cognitive, comportamenti, atteggiamenti e “saper


essere” dei soggetti

C È una tecnica per facilitare l'apprendimento e la personalizzazione dei


curricoli

D È una metodologia didattica

14. Gli ambienti di apprendimento

Ambienti di apprendimento facilitanti🡪 importanti per lo sviluppo di una personalità integrale.

Individuare motivazioni forti per sostenere azioni volte al miglioramento continuo

! L'azione di formazione è efficace se produce risultati apprezzabili


Il vantaggio derivante dalla valutazione dei processi consiste Nella possibilità, da parte di ciascun soggetto,
di poter correggere gradualmente scelte ed azioni

Le ramificazioni dell'io sono elementi motivazionali per orientare i processi di crescita e di inclusione sociale
: spiegare ai bambini le parti io bambino, adulto, genitore secondo analisi transazionale di Berne.

Attività di apprendimento incentrate su problemi🡪 interessano le prospettive disciplinari per promuovere


l'unità del sapere.

La valutazione attiva il feedback

L'azione di formazione è efficace:

1 Gli ambienti di apprendimento

A Se è coerente con se stessa

B Se è progettata insieme con altri soggetti (scuola, agenzie sociali etc. )

C Se produce risultati apprezzabili

D Se colloca il soggetto nel mondo del lavoro

L'analisi dei risultati:

2 Gli ambienti di apprendimento

A Consente ai soggetti di separare ciò che si ritiene soddisfacente da ciò che


può essere migliorato

B Serve a quantificare le spese ed a rendere realizzabile un progetto


lavorativo

C Facilita la comunicazione

D Rientra nelle buone pratiche didattiche


Oggetto di valutazione sono:

3 Gli ambienti di apprendimento

A I processi di crescita degli allevi

B Le attività poste in essere

C I materiali prodotti

D La qualità delle risorse disponibili

L'attività di formazione si svolge:

4 Gli ambienti di apprendimento

A Secondo sequenze rivolte al miglioramento continuo

B In tempi circoscritti

C In età scolastica

D Quando ci sono difficoltà di integrazione sociale

Il vantaggio derivante dalla valutazione dei processi consiste:

5 Gli ambienti di apprendimento

A Nel validare gli strumenti operativi

B Nella possibilità, da parte di ciascun soggetto, di poter correggere


gradualmente scelte ed azioni
C Nel poter scegliere strumenti migliori

D Nel poter fruire di ulteriori finanziamenti

Motivazioni e spinte essenziali all'azione sono:

6 Gli ambienti di apprendimento

A La ricerca di un nuovo lavoro

B La fuga dal disagio e la ricerca del benessere

C Il desiderio di compagnia

D L'interesse per il miglioramento economico

Occorre individuare le motivazioni forti all'apprendimento:

7 Gli ambienti di apprendimento

A Per sostenere le azioni rivolte al miglioramento continuo

B Per conoscere le esperienze dei soggetti

C Per dare un indirizzo preciso alla formazione

D Per dare al soggetto regole di comportamento

Le ramificazioni dell'io sono elementi motivazionali per:

8
Gli ambienti di apprendimento

A Orientare i processi di crescita e di inclusione sociale secondo le


caratteristiche personali del soggetto

B Conoscere le possibilità di lavoro

C Integrarsi nei processi

D Comunicare con tutti

Il feedback è attivato:

9 Gli ambienti di apprendimento

A Dalle tecnologie informatiche

B Dalla didattica di laboratorio

C Dalla valutazione

D Dalla comunicazione positiva

! Le attività di apprendimento sono centrate su problemi perchè:

10 Gli ambienti di apprendimento

A Interessano tutte le prospettive disciplinari per promuovere l'unità del


sapere

B Interessano la globalità della persona e la pluralità delle sue scelte


C Orientano verso le diverse professioni

D Coinvolgono tutti i soggetti

15. La costruzione delle conoscenze e delle competenze

Teorie cognitive (Piaget, Kurt Lewin, Bruner , Tolman)🡪 apprendimento è un processo cognitivo
che trae origine dal bisogno gli costruzione del reale. Viene analizzato come fatto globale
Vengono analizzati i diversi fattori incidono sul rapporto motivazione -apprendimento

Approccio fenomenologico umanistico (Rogers, Maslow)🡪 apprendimento connesso al bisogno


di crescita della personalità che ristruttura se stessa nell'atto dell’apprendere considerato come
fatto globale
/

16. Psicologia motivazionale

Le motivazioni sono sostenuta da una comunicazione efficace

Operatore→ buon comunicatore che ha il compito di facilitare l’acquisizione di una buona idea
di sè

La comunicazione è efficace quando un messaggio viene trasmesso,quando il messaggio giunge


a destinazione.

Ciò è importante in educazione e così si attivano le motivazioni degli alunni→ buona


mediazione didattica

Modello Sincod alla base della motivazione, la sottende e la attiva.

Acronimo di “saggezza in continuo divenire”, consapevolezza e saggezza delle situazioni che


sostiene il soggetto. in questo approccio è importante la curiosità che da sola non è però
sufficiente per l’acquisizione delle competenze, ma deve avvalersi degli strumenti che il
soggetto costruisce tramite l’esperienza.

Gli strumenti cognitivi→ conoscenze che divengono abilità nella loro dimensione applicativa,
saperi divengono saper far.

17. Best practices e competenze

Buone pratiche didattiche per rendere efficace l’apprendimento:


Cooperative learning

Peer tutoring

Didattica di laboratorio metodologie di ricerca-azione

Metodologie di brain storming

Dinamiche di gruppo

Interessante appare il modello “sincond” che sembra essere particolarmente efficace per promuovere
“saper essere” ovvero obiettivi formativi in tal senso. Ciascun soggetto, secondo il modello di “saggezza in
continuo divenire”, cresce e matura in modo costante e personalizzato. Si appoggia sul metodo Sincod

Protocollo quotidiano→ altro strumento oltre al diario di bordo che registra l’organizzazione e lo
svolgimento degli aspetti più importanti dei processi educativi e la valutazione degli esiti.

Tramite le buone pratiche il soggetto diviene consapevole del miglioramento continuo. Molto efficace in
questo senso l’applicazione di tecniche di benchmarking per individuare tappe di sviluppo in rapporto agli
obbiettivi, redigere curve di andamento dei processi nel tempo.

18. La valutazione

Valutazione in termini di funzione regolativa come idea di sè, autovalutazione in rapporto ai processi di
sviluppo e crescita globali.

Occorre individuare qual è la molla che spinge ad agire per prendere coscienza di sè e sapere quale
atteggiamento è risolutivo in una determinata situazione.

Rappresentazione ad albero delle motivazioni all’azione

“Alberi indispensabili” possono essere:

“l’albero-io” con tutte le ramificazioni delle dimensioni della personalità,

“l’albero-famiglia” con le ramificazioni delle dinamiche affettive e relazionali,

“l’albero-lavoro” con le ramificazioni relative alle dinamiche sociali e produttive,

“l’albero-studio” con le ramificazioni relative alle possibili scelte ed indirizzi

“l’albero-affetti” con le ramificazioni relative alle dimensioni dell’emotional intelligence.

Ogni individuo sceglie quali sono le aree della propria vita che lo assorbono quotidianamente e descriverà
di conseguenza le ramificazioni che le sue azioni producono.

19. La valutazione seconda parte

La cultura della valutazione è stata storicamente determinata dalla legge 517/77, consigliava di
valutare i processi di crescita, con valutazioni d’ingresso nel percroso, durante e alla fine.
Legge 169 2008 non muta l’oggetto della valutazione, quindi rimane una valutazione formativa.

Novità

Art. 1 - Cittadinanza e Costituzione: nell’ambito delle Aree storico-geografica e storico-sociale e


nel monte ore delle stesse (obiettivi formativi)

Art. 2 – Valutazione del comportamento degli studenti anche in relazione alla partecipazione
alle attività ed agli interventi educativi anche fuori sede

Art. 3 Voto numerico espresso in decimi e non inferiore a 6/10 per l’ammissione alla classe
successiva o all’esame conclusivo del ciclo.

Art. 4 Valutazione sul rendimento scolastico degli studenti: dall’a.s. 2008-09 nella scuola
primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti e la certificazione delle
competenze sono effettuate mediante attribuzione di voti in decimi ed illustrati con giudizio
analitico sul livello globale di maturazione raggiunto.

Problemi:

Introduzione dei voti→ Equivoci circa una valutazione dei prodotti – e non dei processi – che si
traduce in un calcolo della media dei voti

Voto di condotta associato alla prevenzione ed al trattamento del bullismo→assume agli occhi
dell’utenza una valenza punitiva e non viene correlato con obiettivi formativi

Accountability:

Importante introdurre il concetto di rendicontazione, promuovere la qualità della valutazione in


rapporto agli standard nazionali e europei responsabilizzare la scuola sui risultati dell’offerta
formativa.

Autonomia→ controllo dei risultati

POF , piano offerta formativa che permette di controllare i risultati.

POF e curricolo verticale che devono essere personalizzati sugli alunni e adeguati al contesto
socio-culturale

La valutazione ha funzione regolativa del POF, verifica congruenza tra scelte progettuali,
organizzative, le risorse, gli esiti.

La valutazione di risultato è possibile solo se si crea un sistema di valutazione e quindi si


traduce in valutazione di sistema.

Competenze si traducono in obiettivi formativi (saper essere) cittadinanza attiva, come agire e
relazionarsi nelle diverse situazioni

20. Accountability

Accountability termine che nasce in Inghilterra negli anni ‘80 e significa rendicontazione ovvero
assunzione di responsabilità. Lo troviamo tra i 7 principi delle norme della vita pubblica stilati a
Londra nel 94 e pubblicati nel 95 con il titolo “standards in public life”.

La verifica dei risultati deve testare:

l’efficacia dell’azione
efficacia nell’uso delle risorse.

Risorse umane vanno rispettate e soddisfate nei loro bisogni (Maslow).

Questo è il modello organizzativo di Igor Anzoff, guarda al sistema come aperto


(comunicazione) ma che mantenga il suo status quo stabilità) e inoltre elimina i superfluo.

Inghilterra 1998 Education reform act, si istituisce un sistema di accountability esteso a tutte le
scuole della Gran Bretagna, noi abbiamo fatto ciò più tardi con le indagini PISA-OCSE (INVALSI)

Si verificavano tali risultati con prove oggettive.

Altro modo di rendicontare è di fare ispezioni nelle istituzioni scolastiche, così in Inghilterra
venne redatto un resoconto di tali ispezioni nel 1996 lo school inspections act.

L’amministrazione prevedeva per le scuole risultate inidonee, un piano di miglioramento.

Governo Thatcher introduce la libera iscrizione, in modo che la famiglia potessero scegliere
scuole con standard migliori.

Superamento del meccanismo di assegnazione automatica dell’istituto più vicino alla residenza
familiare.

21.

Accountability in USA

2002 Bush→ Legge federale chiamata “no child left behind”, introduce una rendicontazione dei risultati per
le scuole pubbliche.

Sistema di accountability prevede la verifica degli standard di contenuto e prestazioni→ se inferiori agli
standard le scuole hanno 5 anni per migliorare la loro offerta formativa, altrimenti riorganizzazione
completa della scuola.

Piano di miglioramento introduce elementi che rendano recessivi i punti deboli e potenzino i punti deboli.

Non vi sono standard nazionali , ma solo statali così come esami e prove, curricolo didattico.

Hanushek nel 2003 delinea i saperi essenziali che caratterizzano un sistema di accountability: deve
consentire di rilevare i risultati delle singole scuole, ci devono essere sanzioni e ricompense, deve isolare le
variabili ambientali (ceto ecc.) che hanno una grande incidenza sulla scuola e sui processi di
apprendimento.

L’efficacia dei processi a livello d’istituto si misura in termini di efficacia nell’azione,

efficienza nell’organizzazione, di qualità della leadership e in rapporto al “clima”.

L’efficacia dei processi a livello di classe si determina mediante la rilevazione della

qualità dell’insegnamento e attraverso un’attenta osservazione della relazione docenti/studenti

Hanushek individua due approcci dell’accountability:

Approccio traversale: rivelazione di risultati medi


Approccio longitudinale: confronta i risultati degli stessi alunni in almeno due momenti diversi, si possono
valutare progressi e cambiamenti. così si può definire l’efficacia di un determinato percorso scolastico, di un
determinato istituto. Si traccia l'evoluzione nel tempo degli studenti, tuttavia richiede molta ricerca e molti
costi, soprattutto nella raccolta dei dati.

L'approccio longitudinale viene per lo più utilizzato nelle sperimentazioni per vedere l’efficacia di
un’innovazione.

I progressi sono rilevati dal NAEP che è il programma americano di valutazione del sistema educativo, dal
1990, sia a livello nazionale che dei singoli stati

22. Le rubriche di valutazione

Rubrica→ valido strumento e supporto per verificare e valutare una prestazione

Si elencano i criteri della valutazione, “cosa conta” per quel lavoro


Tipi di rubrica: numerica, numerica e verbale, verbale.
Per esempi consultare:
http://video.unipegaso.it/Scienze/PsicoGen/ModXXIII/Rubriche.pdf

23.

Prestazione autentiche

Permettono allo studente di dimostrare ciò che “sa fare con ciò che sa”, utilizzando conoscenze, abilità e
disposizioni in situazioni contestualizzate, simili o analoghe al reale.

Prove di prestazioni importanti da definire, non sono solo compiti da assegnare agli studenti, ma
comprendere molte abilità e hanno un’applicazione diretta nella vita.

Conoscenze, abilità e competenze promuovono atteggiamenti di autonomia, sicurezza ed autostima nei


soggetti che “danno forma” a nuovi “saper essere”= raggiungono obiettivi formativi

Sistema cognitivo dinamico personale:

Si tratta di favorire nello studente la costruzione di una rete di strumenti, metodi, correlazioni, abilità
generali capaci di aiutarlo a formare un sistema dinamico autoconsistente di metodi, nozioni, legami,
abilità, e quindi la necessità di sviluppare approcci e strumenti per favorire l'esplorazione,
l'autovalutazione, la creazione di percorsi autonomi : imparare ad imparare.

In sintesi significa costruire un ambiente di apprendimento costruttivista e sfondi integratori che


favoriscano l’apprendimento interdisciplinare

A tal fine rivedere la mediazione didattica del modello a V di Gowin


https://d2gp8cfthhkfe2.cloudfront.net/prof_a.schiano/PrestazioniAut/PrestazioniAut.pdf

Sistema di valutazione:
attribuzione di voti e valutazione della condotta, è necessario costruire un sistema di valutazione con
indicatori di conoscenze e di competenze e con descrittori di comportamento

24.

Rubriche di valutazione e prestazioni autentiche

Vedere “rubriche di valutazione” lezione. 22

25. Il regolamento della valutazione

La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico


complessivo degli allievi. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso
l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli
alunni medesimi

26.

Formazione e media

Valutazione di sistema (accountability)

Giudizio di valore espresso su più dimensioni (formative e organizzative) del contesto scolastico con
l'indicazione della loro distanza da livelli definiti come ottimali. • La valutazione di sistema ha una natura
funzionale e serve principalmente ad orientare le decisioni di politica scolastica ed a regolare l'interno del
sistema.

Lo sviluppo qualitativo del sistema formativo è uno degli indicatori più importanti del livello di civiltà
raggiunto, subordinato alla consapevolezza del ruolo strategico dell’istruzione e dell’educazione nel
contesto delle politiche sociali, poiché il "profitto" sociale è indotto dalla qualità del sistema scolastico

Ricerca sperimentale e qualità del servizio

In ogni settore della società civile in cui vi sia un'attività complessa, la qualità del servizio è direttamente
collegata alla qualità della ricerca che viene prodotta, tanto che l'abbassarsi del livello della ricerca
corrisponde al deterioramento del servizio stesso.

Metodologia scientifica

È stato osservato (Popper) che una corretta impostazione scientifica segue il modello a spirale problemi -
teorie - critiche.

Un analogo processo a spirale può essere previsto nel contesto scolastico, inteso come fornitore di un
servizio, in cui il percorso si articola in • analisi dei bisogni (problemi) • ipotesi di progetto (teorie) •
valutazione (critiche)

Documentazione: Uno dei drammi organizzativi e gestionali della scuola è che si tratta di un'organizzazione
senza memoria: all'interno di essa le persone fanno esperienze bellissime, destinate ad andarsene con chi
le ha fatte, senza che alla scuola resti nulla. Urge inserire la categoria della documentazione • Il servizio
scolastico non è un buon servizio se non: – si insegnano contenuti esplicitati e concordati; – si opera
collegialmente, in modo verificabile e formalizzato; – si tengono sotto controllo i costi.

Progettualità
• - La progettazione dell'attività scolastica deve avere come oggetto almeno tre elementi: – il percorso di
apprendimento, ed i risultati che gli alunni dovranno realizzare; – il percorso di insegnamento, cioè che
cosa la scuola si impegna a fare per indurre quei risultati; – il nesso - congetturale, probabilistico tra i due
processi.

Questo processo dà luogo alla natura sperimentale della scuola.

27. Psicologia scolastica.

Come cambia la scuola

La scuola acquisisce l’autonomia funzionale DPR del 1999

Resta al MIUR il potere di indirizzo espresso dalle Indicazioni Nazionali per la costruzione del curricolo

La Psicologia guida ed orienta il cambiamento della scuola dove vanno a declinarsi ed applicarsi teorie e
principi di Psicologia

Si costruisce una Psicologia Scolastica

Il Governo di centro destra Moratti nel 2004 emana le Indicazioni Nazionali per la costruzione dei Piani di
studio personalizzati

Si afferma la cultura della personalizzazione e della soggettività

Nelle alternanze governative il Governo Fioroni, di centro sinistra, introduce la costruzione del Curricolo
verticale:e esprime una continuità verticale, di accompagnamento della crescita dell’allievo nei segmenti
scolastici ed una continuità orizzontale con il territorio (famiglia etc).

Nell’ambito della continuità abbiamo anche l’esigenza di introdurre una discontinuità critica (Cerini) ovvero
livelli di problematicità dell’ambiente.

Nel curricolo occorrono livelli di discontinuità critica per far “inciampare” gli allievi nei problemi (Dario
Antiseri): dal problema nascono domande le cui risposte sono nei saperi disciplinari.

Traguardi di competenze:

Conoscenze e competenze consentono di superare i disorientamenti determinati dalla velocità dei


cambiamenti sociali.

Le Indicazioni Nazionali pongono i traguardi di competenze quali mete prescrittive (cfr. otto competenze
chiave dell’U.E. anno 2006), mettono anche l’accento sulla contestualizzazione delle conoscenze
nell’esperienza quotidiana.

Gli allievi sono bambini planetari perché sono a contatto con compagni di razze, etnie, religione, usi e
costumi diversi.

28. Nuovo umanesimo

Le conoscenze sono chiave interpretativa dell’ipercomplessità della società postmoderna.

’Unione Europea individua competenze chiave per l’inclusione e la coesione sociale.


Conoscenze e traguardi di competenze consentono la mobilità nel pianeta diventato villaggio globale
(processi di mondializzazione dei fenomeni e di globalizzazione delle economie)

Allievi planetari che si muovono in tempi e spazi contratti e vengono a contatto con una pluralità di etnie e
culture.

29. Ambiente di apprendimento costruttivista e organizzazione degli spazi

Oggi l’Autonomia pedagogica sollecita una riflessione globale, rigorosa e sistematica sulle discipline

Le Indicazioni Nazionali chiedono ai docenti, per realizzare la centralità dell’allievo sia sul piano
organizzativo,sia su quello relazionale e didattico,di predisporre, in sostituzione dei Programmi
nazionali e dei documenti di programmazione didattica, Il CURRICOLO VERTICALE

Il processo di elaborazione del CURRICOLO VERTICALE inizia con

la descrizione del contesto sociale della postmodernità e la definizione degli obiettivi formativi
dell’allievo in quadri culturali di un nuovo umanesimo dell’uomo planetario;

La definizione di obiettivi generali del processo formativo in linea con standard di qualità dell’offerta
formativa e con finalità formative di cittadinanza attiva

L’individuazione di Obiettivi di apprendimento disciplinari nell’unità del sapere.

La coralità delle attività, la condivisione, la partecipazione ad un percorso formativo di gruppo.

Nelle classi tradizionali (minimaliste), prevale la presenza delle banche d'informazione e dei compiti da
eseguire: agli studenti non è permesso di gestire il proprio apprendimento.

Gli ambienti costruttivisti sono, invece, ricchi. In essi prevale la presenza di strumenti per la
simulazione, per la costruzione di modelli, strumenti di authoring ipermediale: l'allievo è responsabile
del suo apprendimento (generativo, cioè attivo e autonomo, ancorato a problemi autentici, cooperativo),
mentre l'insegnante assume il ruolo di consulente, assistente e guida Si costruiscono sfondi integratori
ricchi di stimolazioni e densi di criticità.

Il problem posing

Didattica per problemi: (curiosità- motivazioni - interessi)

Rappresentabile mediante il diagramma a v di gowin

Valorizzazione delle discipline e dei saperi sociali (trasversali)

Laboratori ( didattica laboratoriale) -

Ricerca-azione come costruzione di conoscenze

Dalla logica della Programmazione a quella della Progettazione e della Personalizzazione: costruzione
di un insieme organizzato di Unità di Apprendimento (UA) e di Unità di Lavoro nell’ambito del
CURRICOLO VERTICALE processo soggettivo di apprendimento costruzione delle discipline “dal di
dentro”

Il percorso di apprendimento è costituito da un mosaico di UNITA’ DI APPRENDIMENTO che si


traducono in UNITA’ DI LAVORO integrate.
Progettazione personalizzata = mosaico di unita’ di apprendimento/lavoro integrate modulate su: Ritmi
di apprendimento Intelligenze multiple (gardner) Eccellenze/talenti di ciascun allievo.

Psicologia Sociale

31.

Psicologia Sociale→La psicologia sociale è quella scienza che studia le caratteristiche universali dell’individuo in
relazione all’altro, inserito in un contesto sociale; cioè delle relazioni interpersonali e sociali.

Adolescenza: impulsività (difficoltà di contenimento emotivo), necessità di omologarsi

Ambiente influenza individuo, Adolescente cresciuto in un ambiente malavitoso→ probabile comportamento


deviato.

Per concludere: la psicologia sociale si differenzia dalla sociologia che studia prevalente le società;
quindi l’ambiente sociale. Si discosta anche dalla psicologia della personalità interessata alle
caratteristiche dell’essere umano. Essa studia le caratteristiche dell’essere umano in relazione alle
caratteristiche dell’ambiente in cui vive, particolarmente ambiente sociale e di come questi due si
influenzano reciprocamente. E’ proprio la loro relazione l’oggetto della psicologia sociale.

L’Io secondo la fenomenologia è sempre coscienza intenzionata, cioè sempre in relazione con un TU
(inteso come altro soggetto, ma anche intero mondo). Husserl eredita questo concetto da Brentano.
Egli dà pari dignità alle forme trascendentali della soggettività e al mondo oggettivo, che esiste al di là
del pensiero. Si oppone così all’idealismo che fa dipendere la conoscenza esclusivamente dal soggetto
o (la realtà è pensiero). Si oppone anche al positivismo che, all’opposto dell’idealismo, esclude la
partecipazione attiva del soggetto dalla conoscenza.

Per la fenomenologia, invece, il soggetto pensante (persona) e la realtà oggettiva esterna (ambiente
fisico e sociale) coesistono, influenzandosi vicendevolmente, nel momento conoscitivo. Questo significa
che il soggetto in base alle sue funzioni percepisce in un certo modo la realtà, ma anche questa, per
come è fatta, condizione la persona e con le sue funzioni.

Non solo la conoscenza richiede una coessenzialità tra persona e ambiente fisico e sociale, ma il
costruttivismo afferma anche una cosa in più: persona e ambiente fisico e sociale si costruiscono nel
rapportarsi continuamente l’uno all’altro.

Questa visione (Popper 1972) ci pone di fronte ad una realtà dinamica e storica. “Dinamica” perché il
Sé all’interno di continue relazioni sociali si evolve arricchendosi dei diversi incontri. La crescita è data
da un rapporto dialettico tra dare e prendere dall’altro e dalla società. Proprio perché dinamica la realtà
e la conoscenza sono e divengono; in questo senso la verità è “storica” perché ciò che ci orienta non è
una verità assoluta, ma una ricerca di verità condizionata dalle credenze e valori del momento storico in
cui si vive.

In sintesi, secondo questa visione della psicologia sociale si terrà conto della :

1. Relazione coessenziale tra soggetto e società. Tutto quanto esiste è il frutto di continue relazioni.
Siamo sistemi che per esistere e sopravvivere si nutrono di relazioni. Le identità prese isolatamente
non hanno senso.

2. Costruzione e trasformazione di Sé e della società. Questo continuo scambio è in continua


evoluzione, cosicché persona e contesto sociale, condizionandosi continuamente, si costruiscono e
trasformano all’interno di questa interazione tra individuo, famiglia e società.

3. Cornice etica che fa da sfondo agli assunti di base della psicologia sociale. Ogni cultura fonda le sue
regole su norme morali. Quindi le regole di una società non sono solo funzionali alla sua
organizzazione per la sopravvivenza, ma sottostanno anche ad alcuni principi etici. Secondo Popper
l’uomo è l’unico essere vivente capace di morire per un’ideologia, quindi per un valore etico.
Il Sé umano, l’ambiente, la cultura e la loro relazione, in un’ottica fenomenologica/costruttivista

1. L’essere umano è caratterizzato da un livello razionale, uno fantastico (pensiero), da emozioni e dal
livello senso-motorio. E’ in interazione con il mondo sociale secondo tutti questi livelli

2. Questi livelli sono inseriti in una cornice etica che li orienta. Non basta che sia arrabbiato per
uccidere qualcuno.

Il livello razionale (o sfera razionale) rappresenta il "come" una persona legge la realta', piu'
banalmente come pensa.

- Il livello fantastico ( o sfera fantastica) è dato dalle immagini o anche da un pensare logico che non
necessariamente richieda esame di realta'. Io posso fantasticare di cose che non esistono e forse non
esisteranno mai.

- Il livello emotivo ( o sfera emotiva) ci dice chi veramente siamo in quel determinato momento. I nostri
pensieri possono camuffare cosa veramente proviamo, molto piu' difficilmente possono farlo le nostre
emozioni. Esse fungono da motivazione al nostro agire.

- Il livello senso-motorio, esprime quello che sentiamo e pensiamo attraverso posture somatiche,
contrazioni muscolari o parti eccessivamente controllate

I VALORI. Va sottolineata la dimensione etica. L’uomo, a differenza di una macchina e di altre specie
viventi, è alla continua ricerca di senso. Questa ricerca ha come presupposto i valori morali

Da alcuni studi recenti sembrerebbe che il bisogno etico sia, negli esseri umani, geneticamente
determinato.

I valori, per una società democratica del tipo europeo o Americano (Stati Uniti), che sottostanno alla
base dei nostri comportamenti sono:

- rispetto per la propria e altrui soggettività (ossia dell’intersoggettività)

Le relazioni necessitano del rispetto delle differenze. Punti di vista diversi creano conflitto. Secondo
Cattaneo, ciò che caratterizza una nuova idea è ch'ella nasce dal conflitto di più menti, e che fra le
diversi opinioni si giunga ad un accordo, in una mente solitaria, non sarebbe nata. Il conflitto può
essere superato con una posizione prepotente o collaborativa. L’atteggiamento intersoggettivo
rappresenterebbe proprio la possibilità di trovare compromessi possibili nel rispetto delle singole
società ed è l’atteggiamento richiesto ad una società democratica. Il rispetto per la soggettività dell’altro
è possibile grazie all’empatia che ci permette di cogliere i vissuti del TU mettendoci nei suoi panni,
come se fossimo lui, sapendo, però, di essere una persona diversa

- sostegno della libertà etica

La libertà etica rappresenta la capacita' di poter scegliere, non quello che si ritiene comodo, ma
quello che si considera più giusto. Questa è una prerogativa prettamente umana

- assunzione di responsabilità rispetto alle proprie scelte e comportamenti

La possibilità di scegliere ci rende automaticamente responsabili delle scelte che operiamo. Essa
dipende dalla consapevolezza che abbiamo relativamente alle conseguenze dei nostri comportamenti.
Non riteniamo responsabile un bambino di un anno se brucia la tovaglia con una candela accesa,
perchè non sa che il fuoco brucia. E’ responsabile una madre che lancia un oggetto contro il figlio
perché sa che può fargli molto male. Quindi, per stabilire la responsabilità di una persona per una certa
azione, è necessario che egli abbia consapevolezza delle conseguenze.
RELAZIONE TRA SÉ UMANO E IL CONTESTO SOCIALE Ogni società ha le sue regole quindi
influenza in un certo modo i singoli individui. Anche questi ultimi, però, influenzano le società. Essendo
diversi sono diversamente influenzati. Norme sociali e culturali condizionano i livelli razionale emotivo e
senso-motorio. Ci sono culture ad esempio che favoriscono il contatto fisico ed altre che lo aborriscono.
Una volta si diceva che i bambini non bisognava toccarli mai. E’ evidente che questo tipo di
atteggiamento creava difficoltà nella vicinanza fisica come anche nella dimensione sessuale.

Così, semplificando: - Le società orientali sono più centrate sul “divenire”, quindi sul fluire
dell’esperienza. Per la conoscenza razionale, l’intuizione quindi è preferita alla riflessione.

- Le società occidentali al contrario sono più centrate sull’ “identità” . Per la conoscenza razionale
prediligono la riflessione analitica. Quindi un’analisi delle situazioni che richiedono una presa a distanza
dall’esperienza diretta. Nelle relazioni preferiscono l’autonomia (non per i bambini ma per gli adulti),
facilitando la competizione,

ALUTAZIONE

Per “Psicologia Sociale” si intende:

1 CosâÚ la psicologia sociale

A Scienza che studia le caratteristiche universali dell’individuo in relazione


all’altro, inserito in un contesto sociale

B Si occupa delle modalità e delle motivazioni secondo cui i nostri pensieri,


sentimenti e comportamenti vengono plasmati dall’ ambiente sociale in
generale

C Disciplina che si interessa delle emozioni, pensiero e comportamento degli


esseri umani nel contesto delle relazioni sociali con lo scopo di identificare
le proprietà universali della natura umana

D Scienza che studia nel suo insieme le caratteristiche universali dell’individuo


in relazione all’altro, all’interno di un contesto sociale e che si occupa del
modo in cui pensieri, sentimenti e comportamenti vengono plasmati
dall’ambiente stesso, allo scopo di identificarne i principi unificatori
La Psicologia Sociale si differenzierebbe dall’Antropologia e dalla Sociologia
riguardo a questi aspetti:

2 CosâÚ la psicologia sociale

A La psicologia sociale si interessa non alle situazioni sociali in senso


oggettivo, ma al modo in cui le persone vengono influenzate dalla loro
interpretazione, o costruzione, dell’ambiente sociale

B La psicologia sociale si interessa di come l’ambiente condiziona il singolo


individuo in base alla sua storia personale

C La psicologia sociale si interessa dello studio delle società in senso


oggettivo

D Non vi sono differenze sostanziali

Per “Fenomenologia” si intende:

3 Un approccio fenomenologico-costruttivista alla psicologia sociale

A Modello filosofico che fa dipendere la conoscenza del mondo sociale


esclusivamente dal soggetto

B Modello filosofico che dà pari dignità alle forme trascendentali della


soggettività e al mondo oggettivo

C Modello filosofico che esclude la partecipazione attiva del soggetto dalla


conoscenza

D Studio dei fenomeni sociali


Per “Costruttivismo” intendiamo:

4 Un approccio âfenomenologico-costruttivistaâ alla psicologia sociale

A Che la realtà non è costruita dal significato che il soggetto le attribuisce

B Che la realtà non influenza le interpretazioni del soggetto

C Che persona e ambiente fisico e sociale non si costruiscono nel rapportarsi


continuamente l’uno all’altro

D Che la realtà è costruita in base a ciò che il soggetto percepisce di essa,


influenzandone le interpretazioni: ambiente e persona sono dunque
reciprocamente interdipendenti

Tra le parti costituenti il sé umano individuiamo:

Il sé umano, lâambiente, la cultura e le loro relazione, in unâottica


5 fenomenologica/costruttivista

A Un livello razionale, fantastico , emotivo e senso-motorio

B Emozioni e comportamenti

C Cognizioni ed emozioni

D Io, Es e Super Io

Per “livello razionale” si intende:

Il sé umano, lâambiente, la cultura e le loro relazione, in unâottica


6 fenomenologica/costruttivista
A Immaginare cose o situazioni che non hanno un piano di realtà

B La comprensione di ciò che l’individuo pensa: concetti, giudizi,


ragionamento induttivo e deduttivo e memoria

C Ci dice ciò che l’individuo prova

D Ci dice ciò che l’individuo fa

Per “livello emotivo” si intende:

Il sé umano, lâambiente, la cultura e le loro relazione, in unâottica


7 fenomenologica/costruttivista

A Ciò che l’individuo sente e prova

B Ciò che l’individuo pensa

C Ciò che l’individuo fa

D Ciò che l’individuo fantastica

Per “livello sensomotorio” intendiamo:

Il sé umano, lâambiente, la cultura e le loro relazione, in unâottica


8 fenomenologica/costruttivista

A Ciò che l’individuo prova

B Ciò che l’individuo pensa

C Ciò che l’individuo fa, come si muove


D Ciò che l’individuo fantastica

Tra i valori che sottostanno ai nostri comportamenti, secondo una visione


fenomenologica, ricordiamo:

Il sé umano, lâambiente, la cultura e le loro relazione, in unâottica


9 fenomenologica/costruttivista

A Rispetto per la propria e altrui soggettività (ossia dell’intersoggettività)

B Sostegno della libertà etica

C Assunzione di responsabilità rispetto alle proprie scelte e comportamenti

D Rispetto per noi stessi e per gli altri, scegliere ciò che è più giusto,
assumerci le responsabilità delle nostre azioni

Per “libertà etica” si intende:

Il sé umano, lâambiente, la cultura e le loro relazione, in unâottica


10 fenomenologica/costruttivista

A La capacita' di poter scegliere, non quello che si ritiene comodo, ma quello


che si considera più giusto socialmente

B La capacità di scegliere in base al proprio piacere

C La capacità di scegliere indipendentemente dalle conseguenze che le


nostre azioni potrebbero avere sugli altri

D La libertà di dire no alle regole


32.

Storia della psicologia sociale

La Psicologia Sociale nasce nel primo decennio del 1900 con la pubblicazione del libro “La Psicologia
dei Popoli” di W. Wundt—> Lo scopo dell’autore era quello di delineare l'evoluzione filogenetica della
mente umana a partire dai suoi prodotti collettivi (linguaggio, società, religione, arte, cultura, politica,
ecc.), osservati comparativamente in diverse condizioni storiche e socioculturali, secondo un'ottica
centrata sulla comunità e non sull'individuo..

All’inizio si cercava la psicologia obbiettiva, ottica positivista→ contributo del comportamentismo in questo
senso che studia il fenomeno osservabile.

COMPORTAMENTISMO teorizza il condizionamento classico e operante

Proprio il COGNITIVISMO si oppone con forza al comportamentismo. Nella sua formulazione iniziale,
costituita da costellazioni di singole teorie, emerge una visione dell’uomo come calcolatore: la mente
analizza ed elabora le informazioni in ingresso per trasformarle in altro. Il soggetto non è allora più
passivo, ma riscopre la sua natura creativa, intesa come la capacità di operare nell’ambiente
circostante, modificandolo.

GESTALT

Tra queste due macroteorie si collocano altre impostazioni teoriche, non meno importanti, quali la
psicologia della Gestalt, il cui oggetto di studio è il dato fenomenico immediato, cioè la realtà così come
si presenta all’esperienza, distinta dalla realtà fisica.

Tali principi sono stati applicati in maniera originale anche alla psicologia sociale, portando alla
formulazione di teorie (di particolare rilievo la teoria di Lewin) che sono state spunto di numerose
riflessioni successive.

la Psicologia della Gestalt che apre la strada all'importanza dell'elaborazione percettivo-cognitiva degli stimoli da
parte degli individui e dà un imponente rilievo all’interpretazione degli stimoli da parte dell’individuo. La teoria
della Gestalt pone cioè l'enfasi sui fenomeni così come l'individuo li percepisce e li vive, contribuendo così a far
abbandonare l'idea della “tabula rasa” e il paradigma della scuola di Wilhelm Wundt (1875), la quale voleva
ricondurre l'esperienza psicologica a singoli elementi costitutivi. Avanzata inizialmente come una teoria sulle
percezioni dell’individuo del mondo fisico, la psicologia della Gestalt studia il modo soggettivo in cui un oggetto
appare alla mente delle persone (la “Gestalt”, o forma), piuttosto che la combinazione degli attributi fisici
oggettivi: secondo questa teoria non è possibile comprendere il modo in cui viene percepito un oggetto
unicamente dallo studio degli elementi costituiti della percezione. L’intero è diverso dalla somma delle sue
singole parti. Bisogna concentrarci sulla fenomenologia del soggetto della percezione- vale a dire, sul modo in cui
un oggetto si presenta alle persone- piuttosto che sui singoli elementi dello stimolo dell’oggetto. L’ approccio
della Gestalt venne formulato per la prima volta in Germania nella prima parte del 1900 da parte di Kofka,
Kohler, Wertheimer e i loro studenti e colleghi. Sul finire degli anni ’30, alcuni di questi personaggi emigrarono
negli Stati uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste. Wolfgang Köhler diede evidenza empirica a quanto
affermato dalla Gestalt, dimostrando che il funzionamento della mente di fronte ad un problema è un processo
“produttivo”, che non avviene sulla base di tentativi ed errori, ma attraverso un preciso atto mentale che porta a
cogliere la relazione tra gli elementi presenti nel campo percettivo così da strutturarlo cognitivamente. Famoso è il
suo esperimento su uno scimpanzè, Sultano→ prende con il bastoncino troppo corto per arrivare al frutto, il
bastone più lungo posto fuori dalla gabbia.

Kurt Lewin→ padre della psicologia sociale, allievo di Kholer, formula la teoria del campo,

L’iniziativa più audace da parte di Lewin fu quella di applicare i principi della Gestalt alla percezione
sociale, al modo in cui le persone percepiscono gli altri e alle loro motivazioni, intenzioni e
comportamenti. Lewin fu il primo scienziato a comprendere appieno l’importanza di assumere la
prospettiva della persona che si trova in qualsiasi situazione sociale, per poter vedere come essa
contribuisce (percepisce, interpreta, cambia) l’ambiente sociale.
La teoria del campo:

La teoria del campo di Lewin spiega il comportamento in relazione alla situazione in cui lo stesso si
verifica. I motivi del comportamento di una persona non si ricercano in ciò che è accaduto alla stessa
nel corso della sua vita passata, ma si prendono in esame le interrelazioni attuali tra la persona e
l'ambiente. Generalmente la teoria del campo è sintetizzata con la formula:

C = f (P, A) in cui si mette in risalto che il comportamento (C) di un individuo è una funzione regolata
da fattori interdipendenti costituiti dalla sua personalità (P), e dall'ambiente (A) che lo circonda

Lewin utilizza metafore di tipo spaziale (psicologia topologica), poichè misurare in cifre le situazioni
umane risulta essere estremamente complesso. Egli ritiene che ogni oggetto (materiale e non), ha una
sua valenza, positiva o negativa. Queste valenze sono forze psicologiche che ci spingono in una
direzione piuttosto che in un'altra. Ci avviciniamo così alle forze positive e tendiamo ad allontanarci da
quelle negative. L'ambiente (definito anche “spazio vitale” o “campo psicologico” o “ambiente psichico”),
avendo anch'esso una valenza, può determinare il comportamento della persona che in esso si
relaziona.

Il campo psicologico presenta un insieme di fatti interdipendenti (passati, presenti e futuri), che
coesistono e che possono influire sulla persona. Essi sono: - lo spazio di vita (dato dalla
rappresentazione psicologica soggettiva che la persona ha dell'ambiente) - i fatti sociali e/o ambientali
(ciò che accade oggettivamente senza che ciò influenzi in quel momento lo spazio di vita della persona)
- la zona di frontiera (dove lo spazio di vita ed il mondo esterno si incontrano; rappresenta quindi il
confine tra oggettività e soggettività).

Riassumendo possiamo ritenere che la vera caratteristica del campo lewiniano è l’interdipendenza dei
fatti:

- le proprietà di ogni fatto derivano dalla relazione di tutti gli altri fatti presenti

- ogni fatto trova la sua spiegazione e la sua funzione nel partecipare alla dinamica stessa del sistema.

In questo quadro di correlazioni e interdipendenze, si colloca il comportamento, che dovrebbe essere


considerato non solo in funzione di P e A, ma anche come elemento attivo nella loro costruzione.

L’azione, promossa da un soggetto attivo, presenta risultati che modificano la situazione sia in senso
sociale che in senso psicologico (processo circolare).

Dinamiche di gruppo:

Nell’analisi lewiniana il gruppo è un fenomeno, non una somma di fenomeni rappresentati dall’agire e
pensare dei suoi singoli membri;

è un’unità che la psicologia sociale può assumere nel suo studio così come altre unita quali, ad
esempio, la persona. Il gruppo è un sistema dinamico: Lewin parla di totalità dinamica

Per quanto riguarda l'interrelazione tra le parti di un gruppo, Lewin fa riferimento all'interdipendenza del
destino e del compito.

- L'interdipendenza del destino costituisce un elemento macroscopico d'unificazione, nel senso


che qualunque aggregato casuale d'individui può diventare gruppo, se le circostanze ambientali
attivano la sensazione di condividere la stessa sorte. A tal proposito, si può citare un episodio
noto alla letteratura scientifica e denominato "sindrome di Stoccolma": nel 1973, quattro
impiegati di una banca furono presi in ostaggio da due banditi per cinque giorni. Tra i
sequestrati ed i sequestratori s'instaurò una sorta d'atmosfera di gruppo così forte da non
spezzarsi con la liberazione: infatti, i primi testimoniarono a favore dei secondi al processo, li
andarono a trovare in carcere e si celebrò addirittura un matrimonio tra un'impiegata ed un
bandito. Tale accadimento ha una duplice interpretazione: per la psicologia clinica, esso deriva
dall'attaccamento della vittima al carnefice, mentre, per l'approccio psicosociale, è
un'esemplificazione estrema di come un insieme di persone possa costituirsi in un gruppo, sotto
la spinta d'eventi stressanti e imprevedibili che generano la sensazione del comune destino.

-L'interdipendenza del compito costituisce un elemento più forte e diretto d'unificazione, perché lo
scopo determina tra i membri un rapporto di ripercussione circolare degli esiti. L'interdipendenza del
compito può essere positiva o negativa: nel primo caso, si ha collaborazione ed il successo di tutto il
gruppo; nel secondo, invece, si ha competizione e la riuscita di un membro a detrimento degli altri.

Ricerca azione: introdotta da Lewin negli anni ‘40, introduce la ciclicità tra teoria e prassi

, in modo che le ipotesi guidino le azioni e queste ultime modifichino le conoscenze stesse. La ricerca-
azione è, dunque, un processo ciclico che implica diverse fasi: a) è necessario identificare e definire in
maniera operazionale i problemi per i quali è necessario l’intervento; b) la raccolta dei dati permette di
determinare gli obiettivi dell’intervento; c) gli obiettivi sono tradotti in programmi di azione da
implementare; d) vengono valutati i risultati dei programmi di intervento, in modo da e)dare inizio a un
nuovo ciclo.

NEOCOMPORTAMENTISMO

Già dagli anni Trenta, il comportamentismo inizia a modificarsi e a essere messo in discussione dagli
studiosi del tempo. In quegli anni, le numerose scoperte delle neuroscienze sull’attività cerebrale
portano a disconfermare l’assunto di base del comportamentismo, ovvero che i processi mentali non
devono essere presi in considerazione, in quanto non conoscibili e osservabili. Nasce così il Neo-
comportamentismo, il cui obiettivo è rintracciare dei meccanismi di mediazione tra stimolo e risposta

Schema Stimolo→ Organismo→ risposta

Tra stimolo e risposta si interpone, cioè, la mediazione dell’ “organismo”. Tale mediazione, per alcuni
autori (come ad esempio Hebb), è di natura neurologica, mentre per altri è di natura più squisitamente
psicologica.

Si trasforma così in S-O-R: tra stimolo e risposta si interpone, cioè, la mediazione dell’ “organismo”.
Tale mediazione, per alcuni autori (come ad esempio Hebb), è di natura neurologica, mentre per altri è
di natura più squisitamente psicologica.

Organismo–> elaboratore di informazioni nasce il Cognitivismo figlio del Neocomportamentismo,


soggetto attivo elaboratore di informazioni.

Toleman mappe cognitive che ci aiutando ad orientarci nel mondo, la risposta ad uno stimolo sarà
individualizzata.

. Tali mappe si costituiscono sulla base delle aspettative del soggetto in relazione alle conseguenze di
un comportamento specifico, piuttosto che sulla sua storia d’apprendimento. Il comportamento sarebbe
frutto di un “apprendimento latente”, dato dalla conoscenza dell’ambiente all’interno del quale il
soggetto agisce.

Bandura teorizza l’apprendimento per imitazione , esperimento del Bobo Doll

Ma la rottura profonda di Bandura con il comportamentismo avviene con la formulazione del concetto di
“autoefficacia percepita”
L’autoefficacia può essere definita come una capacità generativa la cui funzione è di
organizzare elementi particolari in modo da orientare le singole sottoabilità cognitive, sociali,
emozionali e comportamentali in maniera efficiente per assolvere a scopi specifica, supera il
concetto, rinforzo punizione.

L’autoefficacia, dunque, corrisponde alla convinzione di “sapere di saper fare”; essa deriva da
fattori di esperienza e di apprendimento sociale. In genere le persone con un basso senso di
autoefficacia percepita evitano i compiti impegnativi, al contrario, gli individui che hanno un alto livello di
autoefficacia percepita sono generalmente attratti da compiti difficili,

Un enorme contributo al clima culturale del cognitivismo è dato, negli anni Cinquanta, dai lavori di
Jerom Bruner (1956) e di Noam Chomsky (1957), con la riscoperta del “soggetto creativo”, che agisce
non solo in risposta a specifici stimoli ambientali, ma anche sulla base di competenze innate. Bruner,
nel suo pioneristico “A study of thinking” (1957), scritto insieme a Goodnow e Austin, analizza i processi
con cui si ottengono, mantengono e comunicano le informazioni. Si tratta di comprendere come gli
individui raggruppino il mondo circostante intorno a concetti tramite categorie, classi ordinate.Tali
categorizzazioni sono rese possibili dal linguaggio, che rappresenta così il mezzo tramite il quale la
mente struttura la “realtà”.

Al contrario, Chomsky, all’interno di “Le strutture della sintassi” (1957) ipotizza l’esistenza di un
dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD– Language Acquisition Device), che
presuppone l’esistenza di una “grammatica universale”, contenente la descrizione degli aspetti
strutturali condivisi da tutte le lingue naturali; l’acquisizione del linguaggio non consiste nell’imitazione
degli adulti, ma è un processo attivo di scoperta di regole e di verifica di ipotesi. La riflessione di
Chomsky sul linguaggio rappresenta una feroce critica all’impostazione comportamentista del
linguaggio.

Skinner infatti, nel suo “Verbal Behavior” (1957), aveva indicato come il linguaggio, al pari degli altri
comportamenti, fosse dipendente dagli stimoli ambientali e fosse modellabile da rinforzi e punizioni.

Il 1954 è l’anno di pubblicazione di “Handbook of Social Psychology”, in cui Sheerer espone l’ottica
cognitiva in psicologia sociale, sottolineando che “la teoria cognitiva si occupa soprattutto del problema
di come l’uomo raccolga informazioni e conoscenze del mondo che gli sta attorno e come agisca
nell’ambiente e sull’ambiente circostante in base a queste conoscenze” (Sheerer, 1954). Tuttavia, ben
presto la psicologia sociale di stampo cognitivo si discosta dall’impostazione auspicata da Sheerer, per
indirizzarsi in maniera specifica e quasi assoluta allo studio dei processi mentali in termini di “
trattamento dell’informazione”. Un proliferare di modelli derivati dalla teoria della comunicazione e della
cibernetica fa sì che prenda forma un paradigma per l’analisi della sequenza input-elaborazione-output.
Tale paradigma prende il nome di Human Information Processing (HIP), in quanto, come il nome
suggerisce, si propone di analizzare i processi di elaborazione delle informazioni.

In tale prospettiva la ricerca su cui il cognitivismo si concentra è l’analisi dei processi di raccolta e
trattamento dell’informazione; in questo senso, i modelli derivati dalla cibernetica risultano i più
adeguati a descrivere questo tipo di analisi.

La nascita della Psicologia sociale è sancita dal testo:

1 Introduzione
A “Psychology as the behaviorist views it” di Watson

B “La Psicologia dei Popoli” di Wundt

C “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” di Freud

D “Verbal Behavior” di Skinner

“Conseguenza a un comportamento che incrementa la probabilità che il


comportamento venga prodotto di nuovo” è la definizione di:

2 Comportamentismo

A Rinforzo

B Apprendimento

C Punizione

D Campo psicologico

Secondo la Teoria del campo di Lewin:

3 Lewin e la teoria del campo

A Il comportamento è modellato da rinforzi e punizioni

B Il comportamento è frutto di un processo di modellamento

C Il comportamento è funzione della motivazione e dell’ambiente

D Il comportamento di un individuo è funzione della sua personalità e


dell'ambiente che lo circonda
Lewin pone l’accento sul gruppo. Per l’autore il gruppo:

4 Dinamiche di gruppo e Action-Reserch

A È dato dalla somma dei suoi membri

B È un sistema dinamico

C Non è un aggregato casuale

D Il suo livello di successo è modellato da rinforzi e punizioni

La Ricerca-Azione si caratterizza per:

5 Dinamiche di gruppo e Action-Reserch

A Rapporto circolare tra teoria e prassi e partecipazione attiva dei destinatari


dell’intervento

B Rapporto lineare tra teoria e prassi e partecipazione attiva dei destinatari


dell’intervento

C Studio dei soggetti per un lungo arco di tempo

D Teoria e prassi non sono in relazione tra loro; vi è la partecipazione dei


destinatari dell’intervento

Nella formula neo-comportamentista “S-O-R”, “S” indica lo stimolo


ambientale, “R” la risposta del soggetto. La “O”, invece, rappresenta:

6 Neo-comportamentismo
A Osservazione

B Ostilità

C Organismo

D Ottimizzazione

L’uso di personaggi famosi per commercializzare prodotti si rifà ai principi


di:

7 Bandura e lâapprendimento sociale

A Condizionamento operante

B Teoria dell’apprendimento sociale

C Human information processing

D Teoria del campo

Rappresentano un ponte tra comportamentismo e cognitivismo:

8 La svolta cognitivista

A Skinner e Pavlov

B Bruner e Chomsky

C Tolman e Bandura

D Lewin e Watson
Per Chomsky l’acquisizione del linguaggio è:

9 Il dibattito sul linguaggio

A Una scoperta di regole innate e universali

B Modellata dall’ambiente

C Frutto dell’interazione con gli altri

D Possibile solo dopo i tre anni

Secondo il paradigma dello Human Information Processing, la mente umana


è paragonabile:

10 Il paradigma dello Human Processing

A Alla mente animale

B A un computer

C A un labirinto

D A una tabula rasa

La nascita della Psicologia sociale è sancita dal testo:

1 Introduzione

A “Psychology as the behaviorist views it” di Watson


B “La Psicologia dei Popoli” di Wundt

C “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” di Freud

D “Verbal Behavior” di Skinner

“Conseguenza a un comportamento che incrementa la probabilità che il


comportamento venga prodotto di nuovo” è la definizione di:

2 Comportamentismo

A Rinforzo

B Apprendimento

C Punizione

D Campo psicologico

Secondo la Teoria del campo di Lewin:

3 Lewin e la teoria del campo

A Il comportamento è modellato da rinforzi e punizioni

B Il comportamento è frutto di un processo di modellamento

C Il comportamento è funzione della motivazione e dell’ambiente

D Il comportamento di un individuo è funzione della sua personalità e


dell'ambiente che lo circonda
Lewin pone l’accento sul gruppo. Per l’autore il gruppo:

4 Dinamiche di gruppo e Action-Reserch

A È dato dalla somma dei suoi membri

B È un sistema dinamico

C Non è un aggregato casuale

D Il suo livello di successo è modellato da rinforzi e punizioni

La Ricerca-Azione si caratterizza per:

5 Dinamiche di gruppo e Action-Reserch

A Rapporto circolare tra teoria e prassi e partecipazione attiva dei destinatari


dell’intervento

B Rapporto lineare tra teoria e prassi e partecipazione attiva dei destinatari


dell’intervento

C Studio dei soggetti per un lungo arco di tempo

D Teoria e prassi non sono in relazione tra loro; vi è la partecipazione dei


destinatari dell’intervento

Nella formula neo-comportamentista “S-O-R”, “S” indica lo stimolo


ambientale, “R” la risposta del soggetto. La “O”, invece, rappresenta:

6 Neo-comportamentismo
A Osservazione

B Ostilità

C Organismo

D Ottimizzazione

L’uso di personaggi famosi per commercializzare prodotti si rifà ai principi


di:

7 Bandura e lâapprendimento sociale

A Condizionamento operante

B Teoria dell’apprendimento sociale

C Human information processing

D Teoria del campo

Rappresentano un ponte tra comportamentismo e cognitivismo:

8 La svolta cognitivista

A Skinner e Pavlov

B Bruner e Chomsky

C Tolman e Bandura

D Lewin e Watson
Per Chomsky l’acquisizione del linguaggio è:

9 Il dibattito sul linguaggio

A Una scoperta di regole innate e universali

B Modellata dall’ambiente

C Frutto dell’interazione con gli altri

D Possibile solo dopo i tre anni

Secondo il paradigma dello Human Information Processing, la mente umana


è paragonabile:

10 Il paradigma dello Human Processing

A Alla mente animale

B A un computer

C A un labirinto

D A una tabula rasa

33.

La nascita del cognitivismo avviene per mezzo di un distacco graduale del modello comportamentale,
che fino agli anni Cinquanta aveva rappresentato la cornice epistemologica di riferimento della ricerca
psicologica. Nell’ambito specifico della psicologia sociale, la riflessione teorica risulta influenzata, da un
lato dall’eredità di Lewin e dall’altro dal modello neocomportamentista S-O-R. Questi modelli cercano di
dare risposte generali sul comportamento umano in relazione. Ad un certo punto si avverte la necessità
di una ricerca obiettiva, che fornisca leggi universali, su attività specifiche della psiche.

Nascono così molteplici “mini-teorie”, alcune destinate ad essere velocemente rimpiazzate e


dimenticate, altre destinate a ricoprire un ruolo importante all’interno del panorama della psicologia
sociale. Esempi emblematici di queste ultime sono la Teoria della Dissonanza Cognitiva di Festinger
(1957) e la Teoria dell’Attribuzione di Heider (1970). Dopo la seconda guerra mondiale il panorama
mondiale della Psicologia Sociale era completamente retto dal filone americano mentre quello europeo
era privo di una propria istituzionalizzazione. Solo negli anni ’60 comincia a sistematizzarsi e
diffondersi, trovando la sua massima espressione nella Teoria dell’identità sociale di Tajfel e nella
Teoria delle Rappresentazioni Sociali di Moscovic

Teoria della dissonanza cognitiva, Leon Festinger fine anni ‘50

Essa ruota intorno alla constatazione che l’uomo ha una tendenza naturale a ricercare una coerenza
tra ciò che fa o dice e ciò che pensa, cioè tra comportamenti (ciò che fa) e atteggiamenti (ciò che
pensa). Tuttavia, quando la coerenza tra atteggiamenti e comportamenti viene a mancare, si genera
una situazione di disagio, definita da Festinger “dissonanza”.

Secondo Festinger, due elementi possono essere dissonanti tra loro per motivi di: logica interna
(“fumo” e “il fumo fa male”) contrasto con norme culturali (“mangio carne di maiale” e “sono
musulmano praticante”) contrasto con precedenti esperienze personali (“sono stato campione
olimpionico” e “sono sedentario”).

Affinchè si elimini la dissonanza tra due elementi, è possibile: produrre un cambiamento nell’ambiente,
se è questo uno degli elementi dissonnanti; cambiare il proprio comportamento; effettuare una
“ristrutturazione cognitiva” (ovvero, modificare il proprio mondo di opinioni e credenze in merito agli
elementi causa di dissonanza, attraverso ad esempio l’aggiunta di nuove informazioni e l’eliminazione
di altre informIn altre parole, per recuperare uno stato di equilibrio psicologico, o ci convinciamo che ciò
che facciamo vada bene (“i dolci non sono poi così calorici”), oppure ci decidiamo a comportarci
diversamente (limitiamo il consumo di zuccheri). azioni contrastanti).

Momento frequente di dissonanza→ decisione

La dissonanza insorge dunque nel momento post-decisionale, perché il soggetto continua a possedere,
a livello cognitivo, elementi che riflettono le caratteristiche favorevoli delle alternative rifiutate e le
caratteristiche sfavorevoli delle alternative prescelte. Non è il conflitto che invece sorge in un momento
predecisionale.

Libera scelta→ verifica dissonanza in bambini lasciati liberi di giocare

Oltre che in condizioni di libera scelta, la dissonanza può originarsi anche in caso di accordo forzato,
ossia quando siamo costretti ad agire in modo non coerente con le nostre opinioni personali. In questo
caso si può produrre il comportamento richiesto senza un effettivo mutamento dell’opinione personale:
si verifica cioè acquiescenza. Tale situazione può generare dissonanza. Si può produrre acquiescenza
attraverso l’offerta di una ricompensa oppure la minaccia di punizioni.

All’interno della discussione aperta dalla teoria festingeriana, Brehm e Cohen (1962) introducono il
concetto di commitment (impegno): più della scelta imposta (che genera sempre problemi), quello che
influisce sulla creazione di situazioni di dissonanza è il senso soggettivo della scelta, ovvero la
decisione di impegnarsi in una determinata azione.

Psicologia ingenua: Nel panorama delle mini-teorie, oltre a quella di Festinger, spicca la riflessione
teorica di Franz Heider (1958), che stupisce il panorama culturale americano in relazione al modo di
ragionare, riflettere e sperimentare sui fenomeni psicosociali, in quanto fa ricorso a quella che viene
definita “psicologia ingenua”.

Si occupa dell’attitudine delle persone ad interpretare in termini di stati mentali i nostri comportamenti e
i comportamenti degli altri a partire dalle informazioni derivanti dal senso comune e dalla nostra
esperienza. Questa tendenza che abbiamo di conoscere gli altri è una funzione adattiva:

Attribuzione causale:Il primo studioso che si è occupato dell’attribuzione causale è stato Heider (1958).
Egli considerava la persona profana come uno scienziato ingenuo, che, nel tentativo di spiegare il
comportamento (proprio e altrui) collega il comportamento osservabile a cause non osservabili.
Si pensano:

- Cause interne alla persona 1. Permanenti (disposizioni, tratti di personalità, abilità, intelligenza…) 2.
Temporanee (stato di salute, fatica, umore, motivazione…) - Cause esterne alla persona (situazione) 1.
Permanenti (difficoltà del compito, norme sociali, disposizioni dell’ambiente sociale..) 2. Temporanee
(cattivo tempo, umore delle altre persone…).

Questo tipo di analisi situazionale induce l’individuo a commettere spesso errori o bias di attribuzioni:
tendenze distorsive che avvengono abitualmente nei processi di interazione sociale. Tra questi errori
quelli che più comunemente un individuo compie sono:

- l’errore fondamentale di attribuzione:

L’errore fondamentale di attribuzione si riferisce alla tendenza generale delle persone a sovrastimare
l’impatto dei fattori disposizionali (cioè, attribuire le cause a fattori interni) e sottostimare i fattori
situazionali (cioè attribuire le cause a fattori esterni).

- la divergenza attore osservatore: esiste una tendenza diffusa che porta gli attori ad attribuire il proprio
comportamento a fattori situazionali, mentre gli osservatori spiegano lo stesso comportamento in
termini di fattori disposizionali-persona.

- l’errore Self-Serving e Group-Serving: ) è la tendenza sistematica ad attribuire i propri fallimenti o del


proprio gruppo (ingroup) e i successi di se stessi o del gruppo estraneo (outgroup) a fattori esterni. I
successi dell’ingroup e i fallimenti dell’outgroup, invece, vengono attribuiti a fattori interni. Tale bias ha
la funzione di conservare e proteggere lo stereotipo (positivo) dell’ingroup e quello (negativo)
dell’outgroup.

LA PSICOLOGIA EUROPEA

la Psicologia Sociale Europea era priva di una propria istituzionalizzazione, solo negli anni ’60 gli
americani presero l’iniziativa di riunire ad Oslo Sociologi e Psicologi sociali provenienti da tutta Europa.

- la psicologia sociale americana, detta anche “psicologia sociale psicologica” per le sue connessioni
con il cognitivismo e il comportamentismo

- la psicologia sociale auropea, detta anche “psicologia sociale sociologica” che deriva principalmente
dal contributo di Kurt Lewin.

Il filone europeo con Tajfel e Moscovici ha avuto più successo. Questi teorici hanno ben integrato, nella
ricerca, livello individuale e sociale

- Tajfel si dedica agli studi sull’identità sociale e le relazioni inter-gruppi in cui viene sottolineata la
dimensione sociale del comportamento individuale mentre la dimensione di gruppo e il contesto
d’azione sono considerati come costitutivi dell’individuo stesso.

- Moscovici si dedica agli studi sulle rappresentazioni sociali di secondo cui il processo di conoscenza
della realtà esterna è il prodotto di un costante confronto con altri punti di vista, non solo nell’interazione
immediata, ma anche nel rapporto con i sedimenti della costruzione collettiva della conoscenza
depositati nel senso comune e nei modi in cui uno specifico sistema sociale tende a spiegarsi i
fenomeni e gli eventi

Teoria dell’identità sociale di Tajfel


La teoria dell’identità sociale (SIT) considera il gruppo come luogo di origine dell'identità sociale:
nell'uomo esiste una naturale tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte e a distinguere il proprio
gruppo di appartenenza (ingroup) da quelli di non-appartenenza (outgroup).

L’identità individuale si costruisce attraverso tre processi connessi

1. Categorizzazione: l'individuo costruisce "categorie" discriminanti di appartenenza, basate su fattori di


vario tipo (per età, genere sessuale, posizione sociale o lavorativa, religione, appartenenza politica, tifo
per una squadra di calcio, ideologie di riferimento, appartenenza etnica, etc...)

2. Identificazione: le varie appartenenze ai diversi gruppi forniscono la base psicologica per la


costruzione della propria identità sociale.

3. Confronto Sociale: l'individuo confronta continuamente il proprio ingroup con l'outgroup di riferimento,
commettendo continui bias valutativi in favore del proprio ingroup. Il proprio gruppo viene
implicitamente considerato "migliore" rispetto agli "altri",

Teoria delle rappresentazioni sociali di Moscovici

Secondo Moscovivi le rappresentazioni sociali si formano attraverso due processi: l’ancoraggio e


l’oggettivazione

Ancoraggio: L’ancoraggio è un processo che permette l’assimilazione di stimoli nuovi al nostro sistema
di categorie e di porlo a confronto con quelli esistenti. Denominazione, classificazione ed
etichettamento sono le operazioni che permettono la categorizzazione di un oggetto, cioè di assegnarlo
ad una categoria in relazione al suo grado di somiglianza con un prototipo (

Oggettivazione: permette a qualcosa di sconosciuto di assumere sembianze fisiche e accessibili che


risultano più semplici. Le persone costruiscono una figurazione che concretizza l’oggetto, anche
attraverso l’uso di metafore, immagini o l’associazione con personalità conosciute. Ogni
rappresentazione sociale (Gattino, Miglietta, Converso 2008) è la rappresentazione mentale di
qualcosa e di qualcuno:

Tre funzioni delle rappresentazioni sociali:

- familiarità= esito dell’ancoraggio


- scambio interpersonali e sociali
- normativa e di costruzione dell’identità: idea di appartenenza, mi identifico e regolo il mio
comportamento sulla base della mia identificazione.

L’attribuzione causale:

1 La psicologia ingenua

A È quel processo mediante cui l’individuo attribuisce una causa al


comportamento proprio o altrui

B È oggetto di studio del comportamentismo


C È un processo scientifico e obiettivo

D È oggetto di studio della psicologia europea

La nascita del cognitivismo avviene per mezzo di un distacco


graduale dal:

2 La teoria della dissonanza cognitiva

A Comportamentismo

B Gestalt

C Mini-teorie

D Esistenzialismo

Secondo il principio dell’ acquiescenza:

3 La teoria della dissonanza cognitiva

A Si produce il comportamento richiesto senza un effettivo mutamento


dell’opinione personale

B Si produce il comportamento richiesto, modificando l’opinione


personale

C Si produce un comportamento alternativo, in linea con l’opinione


personale

D Si produce un comportamento alternativo e si modifica l’opinione


personale
La dissonanza aumenta:

4 La teoria della dissonanza cognitiva

A All’aumentare dell’importanza della decisione per la persona e del


numero delle alternative in gioco

B Della valenza (positiva/attrattiva) che le alternative hanno per il


soggetto e del numero delle alternative in gioco

C Dell’irrevocabilità della decisione e dalla valenza che le alternative


hanno per il soggetto

D All’aumentare dell’importanza della decisione per la persona, del


numero delle alternative in gioco, dell’irrevocabilità della decisione e
dalla valenza che le alternative hanno per il soggetto

! La “libera scelta”:

5 La teoria della dissonanza cognitiva

A Verifica la presenza della dissonanza cognitiva in bambini lasciati


liberi di giocare

B Verifica la presenza della dissonanza cognitiva nei giocatori


d’azzardo

C Verifica la presenza dell’ accordo forzato in bambini lasciati liberi di


giocare

D Si riferisce alla scelta tra fattori personali e ambientali nei processi


di attribuzione causale

6 La psicologia ingenua (folkpsychology):


La psicologia ingenua

A Si occupa dell’attitudine delle persone ad interpretare in termini di


stati mentali i nostri comportamenti e i comportamenti degli altri

B Studia i processi di “rinforzo” e “punizione”

C Studia gli errori dei processi attribuzionali

D Si occupa dell’organizzazione degli elementi in un campo

L’errore fondamentale di attribuzione si riferisce:

7 La psicologia ingenua

A Alla tendenza generale delle persone a sovrastimare l’impatto dei


fattori disposizionali (cioè, attribuire le cause a fattori interni) e
sottostimare i fattori situazionali (cioè attribuire le cause a fattori
esterni)

B Alla tendenza ad attribuire il proprio comportamento a fattori


situazionali, mentre gli osservatori spiegano lo stesso
comportamento in termini di fattori disposizionali-personali

C Alla tendenza ad attribuire il successo a se stessi e l’insuccesso a


fattori esterni

D Alla la tendenza sistematica ad attribuire i fallimenti del proprio


gruppo (ingroup) e i successi del gruppo estraneo (outgroup) a
fattori esterni

8 Gli autori che maggiormente rappresentano la Psicologia sociale


Europea sono:
La psicolgia sociale europea

A Tajfel e Moscovici

B Bruner e Chomsky

C Skinner e Pavolv

D Heider e Kelley

! La teoria dell’identità sociale di Tajfel:

9 La psicolgia sociale europea

A Considera il gruppo come luogo d’origine dell’identità sociale

B Considera la società come luogo d’origine dell’identità sociale

C Considera la famiglia come luogo d’origine dell’identità sociale

D Considera la scuola come luogo d’origine dell’identità sociale

Le rappresentazioni sociali di cui ha parlato Moscovici:

10 La psicolgia sociale europea

A Si formano attraverso i processi dell’ancoraggio e


dell’oggettivazione

B Si formatto attraverso rinforzi e punizioni


C Si formano attraverso l’ancoraggio e l’identificazione

D Si formano attraverso l’inclusione e l’oggettivazione

34.

Psicologia di comunità e comunità virtuale

La psicologia di comunità studia l’individuo in relazione alla società e non avulso dall’ambiente in cui
vive, partendo dal presupposto che l’identità personale non può prescindere dalla “rete sociale” in cui
siamo immersi. In questo capitolo vengono analizzati i principali riferimenti teorici che nel corso degli
anni hanno indagato la relazione persona-società, ponendo grande attenzione ai due obiettivi
fondamentali della psicologia di comunità: la prevenzione e l’empowerment.

- La prevenzione intesa come l'insieme di azioni finalizzate ad impedire o ridurre il rischio, ossia
la probabilità che si verifichino eventi non desiderati.
- L’empowerment come un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le
organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il
proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita.

La cornice concettuale di riferimento della psicologia di comunità è costituita da una commistione di


principi mutuati da tre grandi sistemi teorici: la teoria del campo di Lewin, l’approccio ecologico e la
teoria dei sistemi. A questi, si aggiunge il contributo della psicologia umanistica, che pone enfasi sulle
potenzialità e sulle risorse positive dell’individuo

APPROCCIO ECOLOGICO

Secondo l’approccio ecologico, il comportamento dell’individuo è frutto dell’adattamento della persona


alle risorse e alle condizioni di vita. L’ambiente umano presenta notevoli opportunità a cui l’individuo si
adatta e che a sua volta modifica. In questo interscambio continuo tra individuo e ambiente sociale le
persone crescono.

Barker (1968) definisce i behavior setting come l’unità ambientale minima in cui si attuano
comportamenti intenzionali significativi.

In altri termini, sapere in quale contesto ambientale le persone agiscono, consente di comprenderne e
prevederne il comportamento anche avendo scarse informazioni sulle caratteristiche dei singoli
individui. Le aspettative e i modelli comportamentali di un certo setting tendono a rimanere stabili anche
quando le persone nel setting mutano. In questo senso il cambiamento di ambiente ad esempio il
trasferimento da una grande metropoli ad un piccolo centro di provincia porterà quella persona a
riadattare i propri comportamento secondo gli usi e costumi del nuovo contesto. L’analisi del’autore si
spinge a valutare il “sovradimensionamento” e il “sottodimensionamento”. Questi definisce
“sovradimensionamento” l’eccessiva presenza di persone ad occupare poche posizioni in un setting e
“sottodimensionamento” un setting nel quale non ci sono le persone sufficienti per occupare le posizioni
essenziali.

LA TEORIA DEI SISTEMI

Secondo Murrell, i sistemi formali e informali interagiscono,

se ad aspettative corrispondono ai bisogni e alle etiche della persona si crea un accordo


psicosociale__> società e individuo sano altrimenti anomalia.
Accordo psicosociale: coerenza tra richieste, vincoli e opportunità del sistema di appartenenza e
aspettative, bisogni, e risorse della persona

Importanza che tra scuola e famiglia vi sia comunicazione,

Interventi per ristabilire l’accordo psicosociale:

1) ricollocamento, del bambino ad esempio in affidamento


2) intervento sulla persona (psicoterapia ecc.)
3) Interventi sulla popolazione (formazioni di gruppo)
4) Interventi sul sitema sociale a persona chiave (sindaco, capo della polizia ec.)
5) Interventi intersistemici: creare una connessione maggiore tra più sistemi (ad esempio interventi
finalizzati su enti locali, servizi sociali) , le figure chiave si spera che a loro volta progettino
interventi nelle loro aree di competenza.
6) 6. Interventi sull’intera rete: mettere a punto programmi rivolti alla comunità nel suo insieme, ad
esempio attraverso i media.

La psicologia Umanistica nasce in USA con il contributo di Rogers e Maslow, si oppone all
meccanicismo del Comportamentismo, ma anche alla prima psicoterapia freudiana che
rimetteva tutto alle pulsioni umane.

Il bisogno di autorealizzazione la principale motivazione per ogni comportamento umano.


L’autostima è il presupposto fondamentale dell'equilibrio personale

attenzione ale emozioni e all'esperienza soggettiva-> gruppo come sostegno alla realizzazione
del singolo.
Rogers focalizza 3 concetti chiavi per lo sviluppo

1) Tendenza attualizzante che rappresenta la capacità di ciascuno di attuare le proprie


potenzialità, se l’ambiente sarà facilitante allora ciò ci consentirà di attualizzarle, al
contrario avremo uno sviluppo
2) empatia: se riusciamo a cogliere l’altra soggettività avremo crescita e relazioni sane.
3) Accettazione positiva condizionata, più che giudicare impariamo ad accettare la gente
così com’è.

Maslow definisce sano l’individuo che liberamente sviluppa le potenzialità senza essere
conformista.

Obbiettivi della psicologia di comunità

Sulla base dei principi delle correnti appena menzionate gli obiettivi principali della
psicologia di comunità sono:

• Prevenzione del disagio: ridurre il rischio che qualcosa accada

Medicina sociale prevenzione primaria secondaria e terziaria.

Primaria: eliminazione di fattori che si ritengano possano favorire una disfunzionalità,


allora promuoveremo iniziative che favoriscono la qualità della vita, a livello sociale e
individuale

Secondaria: il disagio sta per cominciare, la persona è a rischio, attenzione ad esempio


alle fasi delicate dell'individuo (adolescenza), anzianità.

Terziaria: contenere i danni in una situazione avanzata di disagio, si agisce sulla


riabilitazione o a livello sociale cambiamento di atteggiamento mentale (pregiudizi
xenofobi ecc.)
• Promozione del benessere, della salute e dell’empowerment dei singoli e della
comunità, ovvero miglioramento della qualità della vita.

Empowerment

Dall’inglese to empower (favorire l’acquisizione di potere), il termine empowerment


indica un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e
le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio
ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita.

Tipi di empowerment

L’empowerment psicologico (individuale) scaturisce dalla combinazione di tre


componenti: a) la convinzione soggettiva di poter influire sulle decisioni che incidono
sulla propria vita (componente intrapersonale); b) la capacità di comprendere il proprio
ambiente socio-politico (componente interpersonale); c) la partecipazione ad attività
collettive mirate a influenzare l’ambiente sociopolitico (componente comportamentale).

L’empowerment organizzativo include i processi e le strutture organizzative che


aumentano la partecipazione dei membri e migliorano l’efficacia dell’organizzazione nel
raggiungere i propri scopi.

L’empowerment di comunità è relativo all’azione collettiva finalizzata a migliorare la


qualità di vita e alle connessioni tra le organizzazioni e le agenzie presenti nella
comunità. Questa dimensione dell’empowerment è orientata alla promozione della
partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica della loro comunità.

Le numerose definizione di empowerment rintracciabili in letteratura presentano delle


caratteristiche comuni:

• si articola, come già detto, su più livelli (individuale, organizzativo e di comunità)

• possiede una costruzione evolutiva non necessariamente lineare, cioè un soggetto


(individuo, gruppo, organizzazione o comunità) può sperimentare evoluzioni o
regressioni del suo livello di empowerment

• è specifico rispetto alla cultura, alla società e alla popolazione e quindi richiede che
l’azione sia calata nel contesto locale

• è una interazione dinamica tra l’acquisizione di maggiori competenze interne e il


superamento degli ostacoli esterni per accedere alle risorse

• si basa sull’assunto che gli assetti culturali della comunità sono rafforzati attraverso il
dialogo e l’azione.

Comunità virtuali.

Gruppi sociali per valori condivisi, e non re nazonalità ,perde potere questo tipo di
identificazione in questo contesto, inoltre i rapporti sono velocizzati.

Si partecipa alla formazione del mercato globale

Facilita la democrazia diretta.

Per Wellman, studioso delle comunità virtuali, esse non vanno viste in contrapposizione
a quelle fisiche poichè diverse nei tempi, negli spazi e nelle modalità.
. La sempre crescente interazione e interdipendenza fra reale e virtuale contribuisce a
creare per l’individuo un nuovo ambiente sociale, caratterizzato dall’appartenenza a
molteplici reti di relazioni, fisiche e non, che determinano la nascita di quelle che
Wellman definisce “comunità personali” di ogni individuo,

Ossia reti sociali caratterizzate da legami interpersonali informali, dove le nuove


tecnologie, in particolare Internet e la multimedialità, finiscono con il modificare
profondamente l’interazione sociale tra gli stessi individui.

Comunicazione e società liquida

Bauman sostiene che l'annullamento delle distanze spazio temporali, resa possibile
dalle nuove tecnologie, tende a polarizzare la globalizzazione. La comunicazione
all’interno delle comunità virtuali è una comunicazione sempre più veloce ma sempre
più incapace di tradurre la complessità di un messaggio, confondendone
pericolosamente una parte con il tutto; è una comunicazione consumistica, priva di un
reale valore di scambio ma destinata all'"usa e getta", senza impegno e senza
responsabilità reciproche tra comunicanti.

Nella società liquida prevalgono quelle che Bertman, citato in Vite di corsa, ha definito
'cultura dell’adesso‘ e ‘cultura della fretta’ che insieme mettono in crisi anche le
dimensioni costitutive più intime della personalità e del comportamento, come le
aspirazioni e le potenzialità di “costruirsi persone”

Vita liquida” e “modernità liquida” sono profondamente connesse tra loro. … Il carattere
liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita
liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o
di tenersi in rotta a lungo

Tra le poche ‘vie’ percorribili, Bauman a un certo punto ipotizza anche un


"Empowerment", che egli vede ed auspica come "capacità di compiere scelte ed agire
efficacemente in base alle scelte compiute"

!L’oggetto di studio della psicologia di comunità è:

La psicologia di comunità . Definizione e oggetto di studio

L’interazione tra gli individui e le strutture sociali più o meno


ampie, quali gruppi, organizzazioni e comunità

Il comportamento dell’individuo

Lo sviluppo della personalità dell’individuo

Le dinamiche delle comunità virtuali


Per la teoria di campo di Lewin il soggetto è:

Lâeredità di Lewin

Passivo

Orientato al problem solving

Avulso dal gruppo

Attivo

Barker (1968) definisce i behavior setting come:

Il contributo della psicologia ecologica

L’unità ambientale minima in cui si attuano comportamenti


intenzionali significativi

L’unità ambientale massima in cui si attuano comportamenti


significativi

L’ambiente con cui l’individuo interagisce

Il setting in cui avvengono le dinamiche di gruppo

L’ “accordo psicosociale” di cui parla Murrel si riferisce:

La teoria dei sistemi

Alla coerenza tra richieste, vincoli e opportunità del sistema


di appartenenza e aspettative, bisogni, e risorse della
persona
All’equilibrio tra persona, famiglia e società

Allo squilibrio tra richieste della società e i bisogni


dell’individuo

Alla coerenza tra le esigenze dei membri appartenenti allo


stesso gruppo

I capostipiti della psicologia umanistica sono:

La psicologia umanistica

Bauman e Rappaport

Rogers e Maslow

Kant e Popper

Bruner e Chomsky

! I due principali obiettivi della psicologia di comunità sono:

Obiettivi della psicologia di comunitÃ

Interazione ed empowerment

Prevenzione e interazione

Prevenzione ed empowerment

Comunicazione e sviluppo personale


La prevenzione primaria:

La prevenzione

E' diretta all’eliminazione dei fattori che si presume possano


provocare o favorire l’insorgenza di disagio

Va intesa come quell’insieme di misure e azioni mirate ad un


intervento precoce sui primi sintomi di un disturbo o di una
situazione di disagio

Mira invece al miglioramento delle condizioni di vita di


soggetti che già esperiscono condizioni di disagio

Mira ad eliminare i fattori che si oppongono allo sviluppo


delle interazioni sociali

L’empowerment organizzativo:

Lâempowerment

Include i processi e le strutture organizzative che


aumentano la partecipazione dei membri e migliorano
l’efficacia dell’organizzazione nel raggiungere i propri scopi

E' relativo all’azione collettiva finalizzata a migliorare la


qualità di vita e alle connessioni tra le organizzazioni e le
agenzie presenti nella comunità

Si riferisce allo sviluppo individuale

Ha una componente interpersonale, intrapersonale e


comportamentale
Lo sviluppo delle comunità virtuali è estremamente collegato:

Le comunità virtuali

Alla crisi economica

Al fenomeno della globalizzazione

Alla comunicazione non verbale

All’importanza del gruppo territoriale di riferimento

A proposito del postmodernismo, Bauman analizza i fenomeni


sociali intorno al concetto predominante di:

Zygmunt Bauman

Società critica

Società morta

Società virtuale

Società liquida

35. La teoria etologica di Bowlby

Questa teoria è fondata sul fatto che i primi tipi di attaccamento hanno un substrato
biologico.

. Questa teoria dimostra come i primi legami affettivi possono o meno creare una
personalità sicura

Etologia: L’etologia è quella disciplina scientifica che studia il comportamento animale


nel suo ambiente naturale.

Konrad Lorenz–> ochetta Martina scopre l’imprinting, attaccamento primario.


Sia Mary Ainsworth che John Bowlby si interessarono allo sviluppo della personalità e al
ruolo fondamentale che hanno gli scambi tra genitori e figli in questo percorso di
crescita

In un articolo del 1991 pubblicato sull’ “American Psychologist “ John Bowlby e Mary
Ainsworth definiscono la teoria dell’attaccamento come un approccio etologico allo
sviluppo della personalità. All’interno di questo percorso evolutivo, Bowlby sottolinea il
primato dei legami emotivi tra il bambino e le sue figure di accudimento, in particolar modo la
madre e le conseguenze negative di relazioni di attaccamento carenti→ esperimento di Harlow
sulle piccole scimmie Rhesus.

Bowlby affermò a gran voce che l’attaccamento fosse un sistema motivazionale


fondamentale.

. Riflessioni di questo tipo ponevano Bowlby nella scomoda posizione di andare ad


intaccare uno dei cardini della teoria freudiana : il primato dell’oralità, opponendovi il
“primato dei legami emotivi intimi” ( Bowlby, 1988)

Nella teorizzazione classica quindi, il legame di attaccamento è secondario e


subordinato al soddisfacimento orale. E’ con la pubblicazione di Attaccamento e perdita,
che Bowlby espone in maniera più chiara e completa il piano concettuale della teoria
dell’attaccamento sostenendo che : “L’attaccamento è un sistema motivazionale
primario con i suoi modi di operare e si interfaccia con gli altri sistemi motivazionali”. L’
attaccamento determina la vicinanza tra il bambino e l’adulto di riferimento. Ma in che
modo avviene ciò ? Avviene attraverso l’uso di alcuni segnali tipici come ad esempio il
pianto, che ha proprio la funzione richiamare l’attenzione della madre, ed altri come il
chiamare, il seguire e l’aggrapparsi. Questi sono tutti comportamenti innati del bambino,
ma allo stesso tempo sono anche influenzati dall’ambiente.

La relazione madre – bambino e la formazione dei modelli operativi interni:

Con le relazioni il bambino impara come rappresentare la realtà e com’è la relazione


con l’altro e la coscienza di sé. È un sistema di conoscenza che il bambino costruisce
nel corso delle relazioni ripetute con il proprio ambiente e forniscono informazioni non
solo sul mondo fisico e sociale ma anche su di sé e sulle figure di attaccamento.
Un bambino che fa esperienze positive nella sua infanzia svilupperà un senso di sé
come persona amata degna di amore protezione e conforto e, contemporaneamente,
un senso degli altri come di persone di cui poter avere fiducia. Un bambino invece che
invece sperimenta cure inadeguate oppure esperienze traumatiche come lutti o abusi
percepirà un senso di sé e degli altri generalmente negativo. Bowlby afferma che, una
volta interiorizzati, i modelli operativi interni siano fondamentalmente stabili e restii al
cambiamento. L’unica eccezione può essere costituita da esperienze talmente
significative e ripetute che, contraddicendo i vecchi schemi acquisiti, determinano la
formazione di una nuova struttura che meglio si adatta alle mutate condizioni delle
realtà.

L’individuazione dei pattern di attaccamento infantili

L’apporto decisivo che Mary Ainsworth fornì alla teoria dell’attaccamento fu quello di
aver individuato, per la prima volta, tre modelli tipici di attaccamento, attraverso la
messa a punto di una accurata procedura sperimentale su base osservativa : la Strange
Situation Procedure (SSP). Questo strumento si proponeva di valutare l’equilibrio tra il
sistema di attaccamento e il sistema di esplorazione del bambino. Si tratta di una
procedura standardizzata effettuata in un laboratorio che consiste nell’osservazione di
otto sequenze, per una durata totale di circa mezz’ora. Le sequenze in questione sono
costanti e stabiliscono che il bambino (di 12 mesi d’età) sia in compagnia, congiunta o
alternata, della madre e di una persona estranea. Si passa quindi ad osservare le
reazioni del bambino alla separazione e al ricongiungimento alla madre e l’intera
sequenza viene videoregistrata. I bambini presi in considerazione hanno un’età non
inferiore ai dodici mesi, che corrisponde all’inizio della deambulazione. La peculiarità
della procedura ovvero, l’ambiente nuovo nel quale il bambino si trova, la presenza di
un adulto estraneo e il successivo allontanamento della madre sono tutti fattori di stress
per il bambino che non fanno altro che promuovere in lui la comparsa di un
comportamento d’attaccamento. I momenti cruciali sui quali si focalizza l’attenzione
sono quelli della separazione del ricongiungimento alla madre.

Categoria del bambino Categoria della madre

Attaccamento sicuro (B) Disponibilità emotiva- capacità di rispondere

Attaccamento ansioso-evitante(A) Rifiuto (anche presenti a incapaci di empatia e di


creare un buon contatto)

Attaccamento ansioso-ambivalente(C) Vicinanza insoddisfacente ( intrusività- distanza),


cambi repentini di comportamento.

Attaccamento disorganizzato(D) Spaventata/ spaventante

I bambini “sicuri” (tipo B) (66 %) alla separazione dalla madre piangono, si disperano,
la chiamano affannosamente e cercano di seguirla; al ricongiungimento cercano subito
un contatto con lei. Una volta tranquillizzati sono in grado di riprendere il gioco interrotto
e di esplorare liberamente l’ambiente intorno a loro, appaiono di nuovo felici e sicuri. Le
osservazioni domestiche evidenziarono che questi bambini sicuri potevano fare
affidamento su delle madri affettuose ed attente che spesso si intrattenevano con loro.
Nel bambino l'aspettativa circa l'accessibilità e responsività della madre si costruisce
proprio attraverso l'esperienza di averla vissuta come generalmente sensibile e
responsiva ai propri segnali. Egli ha interiorizzato una buona fiducia di base nei
confronti della madre percependola come una base sicura alla quale può fare sempre
riferimento in tutti i momenti di paura, difficoltà, stress e dolore.

I bambini classificati come insicuri – evitanti ( tipo A) (20%) al momento della


separazione non appaiono particolarmente stressati, il pianto è breve o inesistente. Al
ricongiungimento il loro comportamento è distaccato, sia il contatto che l’interazione
sono attivamente evitati. Questi bambini indirizzano la loro attenzione su oggetti neutri
dell'ambiente e paradossalmente sembra che esplorino più di quanto facessero un
attimo prima, ignorando la madre al suo rientro. lei. Se la madre li prende in braccio,
essi non si aggrappano, né mostrano resistenza. Le osservazioni domestiche
mostrarono delle madri rifiutanti nei confronti dei comportamenti d’attaccamento dei figli;
parliamo di madri fredde, distaccate che si intrattenevano con loro in un’interazione
puramente funzionale, diretta soltanto a soddisfare le esigenze fisiche del bambino. In
rapporto a ciò il figlio sviluppa una scarsa fiducia circa una pronta e adeguata risposta
alle proprie difficoltà. Tende così a mantenere un atteggiamento di autosufficienza allo
scopo di minimizzare le occasioni di vicinanza alla madre evitando il rischio di un
possibile rifiuto.

I bambini classificati come insicuri – resistenti o ambivalenti (tipo C) (12%) alla


separazione esprimono una forte angoscia, il pianto è forte e rabbioso e al
ricongiungimento sono difficili da calmare; una volta presi in braccio tentano in tutti i
modi di divincolarsi. Il loro comportamento è contraddittorio, da un lato ricercano il
contatto e la vicinanza con la madre ma allo stesso tempo cercano di discostarsene ad
esempio distogliendo lo sguardo o manifestando forti scoppi di rabbia; difficilmente
riprendono l’esplorazione dell’ambiente circostante ed il gioco appare fortemente inibito.
Le osservazioni domestiche ci offrono un profilo tipico di queste madri che sono
fondamentalmente imprevedibili; a volte appaiono affettuose mentre alte volte, magari
proprio quando il bambino ne ha più bisogno, si dimostrano assenti o non disponibili. Il
comportamento della madre non consente al bambino di prevedere quali saranno le
reazioni materne di fronte alle sue richieste.

I bambini disorganizzati - disorientati (tipo D) (8%) manifestano molta angoscia alla


separazione e al ricongiungimento presentano un comportamento disorganizzato. Un
fenomeno tipico è quello di ricercare il contatto con la figura materna che però molto
spesso è seguito da un comportamento di evitamento. Essi possono avvicinarsi al
genitore ma tenere la testa voltata, alzarsi in piedi per avvicinarsi ma poi ricadere per
terra. Sono madri che spaventano i loro bambini, molto spesso parliamo di madri
maltrattanti che sono fonte di paura. Il comportamento materno è dovuto generalmente
a traumi infantili non risolti, come lutti e abusi, fisici o sessuali. La differenza principale
tra i bambini A, B e C e quelli D e che questi ultimi non sono in grado di elaborare
alcuna strategia efficace di coping (in psicologia, si definisce "coping" il meccanismo
che si mette in atto nel tentativo di superare, ridurre o, comunque, rendere tollerabili
situazioni conflittuali o che sono fonte di stress), quest’ultimo modello rappresenta il
fallimento di tale processo. Il bambino D vive una relazione di attaccamento molto
instabile e insicura, spesso con uno o entrambi i genitori abusanti. L’espressione
comportamentale tipica dello stile disorganizzato è il “freezing”(congelamento - che in
natura rappresenta una difesa biologica contro il pericolo più estremo) che rappresenta
l’incapacità di fare appello alle proprie risorse e di mettere in atto una qualsiasi strategia
difensiva.

La valutazione dell’attaccamento nell’età adultà : l’Adult Attachment Interview

Gli studi di Mary Main e colleghi, ideatori dell’ Adult Attachment Interview (AAI), hanno
permesso di identificare l’esistenza di un forte legame tra il tipo attaccamento del
genitore e quello del bambino che si manifesta attraverso la capacità della madre di
rispondere in maniera adeguata alle richieste del piccolo e di interpretare correttamente
i suoi bisogni.

L’AAI è un’intervista semistrutturata composta da 20 domande, poste secondo un


ordine prestabilito, che esplora le esperienze dell’adulto vissute con i caregiver (ovvero
le figure di accudimento primarie) durante l’infanzia e che consente di classificare gli
stati della mente relativi all’attaccamento attraverso un’analisi qualitativa delle narrazioni
che riguardano tali esperienze(Steele e Steele 2008). L’intervistatore si focalizza sul
linguaggio e sulle espressioni utilizzate dal soggetto, egli deve tornare indietro con la
memoria allo scopo di far emergere i ricordi delle esperienze di attaccamento attraverso
descrizioni generali ed episodi più specifici. In altre parole lo strumento indaga la
possibile corrispondenza tra l’assetto mentale del soggetto e alcune caratteristiche del
suo linguaggio. Il sistema di classificazione prevede quattro categorie

I soggetti classificati come sicuri – autonomi (free), parlano in maniera sicura delle
proprie esperienze di attaccamento, il loro racconto è coerente. Il quadro che emerge
attraverso i loro ricordi non è per forza quello di un’ infanzia totalmente felice e
spensierata, ma sono comunque arrivati ad elaborare le proprie esperienze con le figure
di accudimento in maniera chiara e consapevole. Sono in grado di parlare liberamente
sia degli gli aspetti piacevoli che di quelli dolorosi.
Gli adulti classificati come distanzianti – dismissing (Ds), hanno pochi ricordi, le risposte
sono generalmente brevi . Essi tendono a minimizzare l’influenza che tali esperienze
hanno avuto sulla loro vita. La descrizione è spesso idealizzata o al contrario
svalutante.

Gli adulti definiti preoccupati – coinvolti, entangled (E), riportano generalmente frasi
lunghe e confuse, incomplete o incomprensibili. Il loro stato mentale è confuso e non
obiettivo rispetto alla propria esperienza di attaccamento. Spesso usano frasi dirette,
rivolte al genitore come se fosse lì Rabbia e confusione la fanno da padroni. Si tratta di
persone ancora coinvolte, invischiate in dinamiche familiari passate e presenti.

Infine, gli adulti assegnati alla categoria non risolto – unresolved (U), manifestano una
mancata risoluzione di episodi traumatici come lutti e abusi. I soggetti manifestano un
coinvolgimento ancora vivido e quindi attuale, unitamente a uno stato mentale
disorientato, rispetto a queste esperienze traumatiche. Questa classificazione è sempre
accostata a una delle altre tre categorie principali per meglio definire l’intervista nel suo
complesso.

La cosa più rilevante che emerge dai diversi studi che correlano l’AAI alla SSP, è che
non sono tanto gli eventi infantili dei genitori in quanto tali, positivi o negativi che siano,
a predire la qualità della relazione di attaccamento con i propri figli, bensì quanto questi
siano stati elaborati e integrati in un modello coerente di sé (Caviglia,2003). La
corrispondenza tra attaccamento sicuro o insicuro del bambino e del genitore è del 78%
(Main 1995). Tutti questi dati non fanno altro che avvalorare l’ipotesi bowlbiana della
trasmissione intergenerazionale dei modelli operativi interni.

Le quattro categorie di attaccamento dell’adulto corrispondono a quelle individuate nei


bambini da Mary Ainsworth nel 1978

Categorie dell’adulto Categorie del bambino

Attaccamento sicuro (F) Attaccamento sicuro (B)

Attaccamento distanziante (Ds) Attaccamento ansioso-evitante (A)

Attaccamento preoccupato-coinvolto (E) Attaccamento ansioso-ambivalente (C)

Attaccamento con lutti o traumi non risolti (U) Attaccamento disorganizzato (D)

(Hesse,1999)
L’etologia è definita come:

Introduzione

La scienza che studia il comportamento sessuale degli animali

La scienza che studia le capacità di apprendimento degli animali

La scienza che studia il comportamento animale nel suo ambiente


naturale

La scienza che studia le interazioni degli animali

John Bowlby e Mary Ainsworth definiscono la teoria dell’attaccamento


come:

Introduzione

Un approccio psicoanalitico allo studio della personalità umana

Un approccio biologico allo studio delle interazioni umani

Un approccio etologico allo sviluppo della personalità

Uno studio longitudinale sulle interazioni madre-bambino


Per Bowlby i modelli operativi interni sono:

Introduzione

Rappresentazioni mentali che il bambino si costruisce in base


all’esperienza interattiva che vive

Un insieme di norme che consentono alla madre e al bambino di avere


degli scambi soddisfacenti

Un insieme di regole che la madre fornisce al bambino nei primi tre anni
di vita

Sono rappresentazioni mentali che il bambino si costruisce in base alle


fantasie che sperimenta

Bowlby definisce il legame di attaccamento come:

Introduzione

Un rapporto esclusivo tra madre e bambino

Una relazione felice tra madre e bambino

La relazione, il legame tra quello specifico bambino e le persone che si


prendono cura di lui

Il rapporto tra la coppia genitoriale ed il proprio figlio

! La Strange Situation Procedure è:

Le quattro categorie dellâattaccamento: la Strange Situation Procedure


Un’intervista dettagliata che serve ad esaminare lo stato emotivo della
madre al momento del parto

Un’intervista standardizzata attraverso la quale venivano valutate le


interazioni tra madri e bambini

Una procedura su base osservativa che valuta l’attaccamento del


bambino a 8 mesi

Una procedura su base osservativa che valuta l’attaccamento del


bambino a 12 mesi

Le categorie di attaccamento individuate sono :

Le quattro categorie dellâattaccamento: la Strange Situation Procedure

Attaccamento sicuro. attaccamento insicuro. attaccamento


disorganizzato. attaccamento multiplo

Attaccamento sicuro. attaccamento ansioso-evitante. attaccamento


ansioso-ambivalente

Attaccamento sicuro. attaccamento ansioso-evitante. attaccamento


ansioso-ambivalente. attaccamento disorganizzato

Attaccamento sicuro. attaccamento insicuro. attaccamento multiplo.


attaccamento disorganizzato

È possibile osservare il fenomeno del “freezing” all’interno di:

Le quattro categorie dellâattaccamento: la Strange Situation Procedure

Attaccamento sicuro
Attaccamento multiplo

Attaccamento disorganizzato

Attaccamento ansioso-ambivalente

L’Adult Attachment Interview fu messo a punto da:

Le quattro categorie dellâattaccamento: la Strange Situation Procedure

Konrad Loren

Mary Main

Mary Ainsworth

John Bowlby e Mary Ainsworth

Durante la somministrazione dell’Adult Attachment Interview al soggetto


viene chiesto di:

Le quattro categorie dellâattaccamento: la Strange Situation Procedure

Parlare liberamente di sé

Far emergere i ricordi delle esperienze di attaccamento attraverso la


narrazione di descrizioni generali ed episodi più specifici

Tornare indietro con la memoria in modo da far emergere i ricordi delle


sue esperienze di attaccamento sotto forma di descrizioni generali

Tornare indietro con la memoria in modo da far emergere i ricordi delle


sue esperienze di attaccamento sotto forma di episodi specifici
Le categorie di adulti individuate attraverso l’Adult Attachment Interview
sono:

Le quattro categorie dellâattaccamento: la Strange Situation Procedure

Adulti sicuri. adulti preoccupati-coinvolti. adulti distanzianti. adulti non


risolti

Adulti sicuri. adulti preoccupati-coinvolti. adulti distanzianti. adulti risolti

Adulti autonomi. adulti preoccupati-coinvolti. adulti distanzianti. adulti


risolti

Adulti invischiati. adulti preoccupati-coinvolti. adulti distanzianti. adulti


non risolti

36. Programmazione neurolinguistica

La Programmazione Neuro – Linguistica (PNL) è un approccio alla comunicazione, allo


sviluppo personale e alla psicoterapia, nata agli inizi degli anni ’70 dalla collaborazione
di John Grinder (della cattedra di linguistica dell’Università di Santa Cruz, in California) e
Richard Bandler

Considerata pseudo scienza e priva di basi scientifiche.

Insieme iniziarono a studiare il lavoro di alcuni tra i più famosi terapeuti dell’epoca: Fritz
Perls, creatore della Gestalt, Virginia Satir, terapeuta familiare, e Milton Erickson,
ipnoterapeuta di fama mondiale. Il tutto, sulla scia degli studi di Gregory Bateson,
antropologo inglese esperto di comunicazione e teoria dei sistemi.

Dice Bandler: «Siamo auto-programmabili. Possiamo impostare programmi


deliberatamente progettati e automatizzati che funzionano da soli per occuparsi di
noiose mansioni terrene, liberando così le nostre menti per fare altre cose più
interessanti e creative.

Partiamo dal presupposto che in qualsiasi situazione ci troviamo, noi non siamo passivi
recettori di stimoli, ma ne “selezioniamo” ed “elaboriamo” solo alcuni, ignorandone altri.
Tutto questo però senza averne consapevolezza. Questo meccanismo viene attivato
per rispondere ad un principio economico dell’organismo.

Perché si chiama così: L'idea di base è che ci sia una connessione fra: I processi
neurologici ("neuro"), il linguaggio ("linguistico"), gli schemi comportamentali appresi
con l‘esperienza ("programmazione").
l motivo per cui la PNL ha riscosso enorme successo (sia in termini di diffusione di
manuali e testi, ma anche di corsi e seminari) risiede proprio in quelli che sono gli
obiettivi che essa si pone: migliorare la comunicazione interpersonale e controllare
alcuni processi del nostro cervello che nonostante siano “automatici”, possono essere
riportati alla coscienza per essere modificati in accordo con i propri obiettivi

Alla luce di quanto detto, la Programmazione Neuro-linguistica ha elaborato un modello


che identifica tre tipi "umani", ovvero tre principali gruppi di persone che interpretano la
realtà secondo un canale sensoriale privilegiato: il Visivo (V) l’Auditivo (A) ed il
Cinestesico (K). Quest'ultimo fa riferimento alla preferenza per il tatto, il gusto e l'olfatto.

3.1. I canali di accesso I segnali d’accesso costituiscono il modo in cui i cinque sensi si
interfacciano alla realtà immagazzinando l’informazione che poi verrà raccolta nella
memoria. Andremo brevemente qui a considerare i SEGNALI OCULARI D'ACCESSO
(basandoci sul libro di Bandler R., Grinder J., “La Struttura della Magia” del 1975).
Esiste un stretto legame tra corpo e mente: nel corpo riflettiamo i nostri processi mentali
attraverso macro e micro movimenti delle mani, degli occhi e di tutto il corpo. Quindi,
come sottolineato più volte, secondo la PNL è possibile comprendere il comportamento
ed i processi mentali di chi ci sta di fronte a partire da indici non verbali, come i
movimenti oculari. Questo perché, se osserviamo la persona con cui stiamo parlando,
noteremo che raramente ci fisserà in modo continuo, spesso le sue pupille si
muoveranno in varie direzioni, soprattutto quando è lei a parlare.

V = visualizzazione. Quando una persona guarda in avanti con lo sguardo sfocato sta
creando delle immagini. Un esempio tipico riguarda gli studenti che sembrano guardare
e vedere l'insegnante che sta spiegando, mentre in realtà pensano ad altre cose. Vc =
Visivo costruito. Il movimento in alto a destra dei bulbi oculari indica un accesso
all’emisfero sinistro del cervello durante le operazioni di costruzione delle immagini.

Vr = Visivo ricordato. Il movimento in alto a sinistra dei bulbi oculari indica un accesso
all’emisfero destro del cervello durante le operazioni di richiamo delle immagini
effettivamente viste.

Ac = Auditivo costruito. Il movimento in orizzontale a destra dei bulbi oculari indica un


accesso all’emisfero sinistro del cervello durante le operazioni di costruzione o
immaginazione dei suoni.

Ar = Auditivo ricordato. Il movimento in orizzontale a sinistra dei bulbi oculari indica un


accesso all’emisfero destro del cervello durante le operazioni di richiamo dei suoni
effettivamente uditi

. K= Cenestesico. Il movimento in basso a destra indica il richiamo di sensazioni


cenestesiche.

Di = Dialogo interno. Il soggetto sta dialogando tra sé e sé. ( sguardo in basso a


sinistra)

Processi mentali di filtraggio

I processi mentali di filtraggio delle informazioni vengono raccolti, dalla PNL, in tre
categorie:

DISTORSIONE – CANCELLAZIONE – GENERALIZZAZIONE.

1) DISTORSIONE: Capita quando facciamo cambiamenti nella nostra percezione della


realtà sensoriale. La distorsione ci aiuta nel processo di motivazione, il quale avviene
nel momento in cui modifichiamo parte delle informazioni che ci arrivano dai canali
sensoriali. La distorsione è anche la ragione per la quale un evento ci può apparire
diverso da quello che è.

2) CANCELLAZIONE: Significa attenzione selettiva a certi aspetti della nostra


esperienza e non ad altri, che lasciamo fuori dalla nostra coscienza. Senza la
cancellazione, la nostra mente conscia avrebbe troppe informazioni da analizzare.

3) GENERALIZZAZIONE: Consiste nel trarre conseguenze generali sulla base di due o


tre esperienze. Questo ci capita spesso con le persone: se ad esempio entra nel mio
ufficio la stessa signora tre volte diverse nel giro di una settimana, e tutte e tre le volte è
molto nervosa, attiverò la generalizzazione pensando che questa persona sia nervosa
di carattere, che quindi lo sia sempre.

Come creare relazioni efficaci

Questo è uno dei principi della PNL: se ci troviamo in accordo, in allineamento (dal
punto di vista verbale e/o non verbale) o se c’è somiglianza con l’altra persona, allora il
rapporto sarà di armonia, affinità e concordanza, ovvero si è in uno stato di rapport con
quella persona.

La Programmazione Neuro – Linguistica afferma che:

CosâÚ?

Siamo sempre consapevoli di quello che facciamo e del


perché lo stiamo facendo

Non siamo mai in alcun modo consapevoli di ciò che


facciamo e del perché lo stiamo facendo

Non siamo sempre consapevoli di cosa stiamo facendo e


del perché, infatti si instaurano dei comportamenti
automatici, delle abitudini

Mentre compiamo una determinata azione non ne siamo


consapevoli, ma dopo un certo lasso di tempo ci rendiamo
conto di cosa abbiamo fatto e del perchè

! La Programmazione Neuro – Linguistica è:


CosâÚ?

Lo studio dell’esperienza soggettiva

Lo studio dell’esperienza oggettiva

Lo studio delle interazioni

Non studia alcuna forma di comportamento umano

Il cervello umano:

CosâÚ?

Capta e analizza ogni informazione

Seleziona e analizza solo alcune informazioni. Questo


avviene senza uno sforzo consapevole

Senza uno sforzo costante non si raccolgono informazioni

Seleziona e analizza solo alcune informazioni. Questo


avviene con uno sforzo consapevole

Nell’ottica della Programmazione Neuro – Linguistica, con


“predilezione per un canale sensoriale” si intende:

I canali sensoriali e i tipi umani

Che si utilizza soltanto quel canale specifico. Gli altri


vengono aboliti

Ordinare i dati secondo un preciso criterio, il nostro cervello


utilizza comunque anche gli altri sensi, anche se lo fa in
misura minore

Non si parla di canali privilegiati. Si utilizzano sempre tutti i


canali nello stesso modo

Raccogliere i dati con un canale specifico che però dipende


dalla situazione. Il canale privilegiato cambia in base ad
essa

! I canali di filtraggio delle informazioni sono:

I processi mentali di analisi dellâinformazione

Cancellazione, generalizzazione, distorsione

Cancellazione, distorsione, rapport, generalizzazione

I canali di filtraggio, essendo inconsci, non sono elencabili

Le informazioni non vengono filtrate

La PNL è:

Domande e comandi nascosti

Una scienza

Una non scienza

La sua definizione dipende dalle persone

È considerata una pseudoscienza perché non esistono


sufficienti prove scientifiche eclatanti, nonostante esistano
comunque prove a suo favore
I tipi umani di cui si parla nella PNL sono:

I canali sensoriali e i tipi umani

Visivo – Auditivo – Cinestetico

Sono tanti quanti sono i canali sensoriali

Visivo – Auditivo – Olfattivo

Visivo – Auditivo – Sensoriale

Il “Rapport”:

Come creare relazioni efficaci

È il clima di armonia che si crea solo nei rapporti intimi

È il clima di armonia che si crea in qualunque rapporto si


avverta allineamento o somiglianza con l’altro

Si indica in generale il clima che si crea sin da subito con un


qualsiasi estraneo, anche se rude o sgarbato

È il rapporto di conflittualità che si può instaurare tra


persone in competizione

! Parlando di canali oculari d’accesso, con Ac si intende:

I canali di accesso
Il movimento in orizzontale a sinistra dei bulbi oculari, che
indica le operazioni di richiamo dei suoni effettivamente uditi

Esiste solo Ar, non Ac

Il movimento in orizzontale a destra dei bulbi oculari, che


indica le operazioni di costruzione o immaginazione dei
suoni

Il movimento in basso a destra indica il richiamo di


sensazioni cenestesiche

Il sovraccarico delle informazioni:

I processi mentali di analisi dellâinformazione

Può essere evitato mediante i processi di filtraggio

Non avviene solo se si ricorre alla cancellazione.

È inevitabile

Non esiste sovraccarico. Tutte le informazioni vengono


elaborate senza eccessivo sforzo da parte del cervello

37.

Analisi Transazionale

L'Analisi Transazionale è un approccio psicologico nato nel corso degli anni 50' negli
USA, precisamente in California a San Francisco, dal lavoro e dalla riflessione di un
gruppo di psicoanalisti che vedono universalmente riconosciuto come caposcuola e
fondatore del movimento lo psichiatra Eric Berne. Il nome stesso della teoria definisce
chiaramente l'oggetto principale di analisi: “la Transazione”. Con transazione indichiamo
lo scambio che si verifica tra due o più persone, ad esempio un dialogo o anche uno
scambio di manifestazioni di affetto. D'altro canto il termine “Analisi” ci suggerisce al
contempo che questa teoria riguarda pure gli aspetti più interni e profondi dell'individuo.
L'Associazione Internazionale di Analisi Transazionale la definisce come “Una teoria
della personalità e una psicoterapia sistemica ai fini del cambiamento e della crescita
della personalità”
L’analisi transazionale, come vedremo, ha come oggetto lo studio di alcuni
comportamenti umani caratterizzati da certi ruoli sociali quali il Genitore, il Bambino,
l’Adulto. Inoltre approfondisce lo studio di ruoli (giochi di ruolo) e copioni, come sintesi
tra attitudini personali e interazione sociale.

Nella figura 1 del precedente paragrafo è rappresentato il modello strutturale degli stati
dell'io, che guarda al contenuto, con la figura seguente riportiamo invece il modello
funzionale degli stati dell'io, che riguarda il processo, il modo in cui utilizziamo gli stati
dell'io e dunque il modo in cui ci presentiamo al mondo. “Il modello funzionale classifica
i comportamenti osservati, mentre il modello strutturale classifica i ricordi e le strategie
immagazzinate in memoria”(Stewart – Jones, 1987).

Ogni Stato dell'Io, infatti, può essere caratterizzato da una diversa funzione operativa
che descrive come una persona usa i suoi stati dell’Io per rapportarsi a se stesso e agli
altri. Come vediamo in figura Lo Stato dell’Io Bambino è diviso in due, Bambino Adattato
e Bambino Libero. Quando ci comportiamo usando lo stato del Bambino Adattato si
evince molto facilmente dal nostro comportamento che siamo sotto il dominio
dell'influenza genitoriale, in sintesi ci comportiamo in risposta a quelle che sono state le
aspettative genitoriali. Il Bambino Adattato può essere compiacente, laborioso,
accondiscendente, per lo più asseconda le regole, ma Bambino Adattato può anche
essere colui che esprime un comportamento di ribellione alle regole e seppure facente
parte della categoria BA, viene indicato come Bambino Ribelle. Esempio di Bambino
Adattato: Immaginate una situazione lavorativa in cui un vostro collega vi chiede
costantemente di effettuare dei cambi turno, motivandone la necessità con
problematiche di ordine familiare e rimandandovi spesso “Dai che tu non hai ancora
famiglia e sicuramente sei più libero di me!” Questa stessa persona al lavoro è un punto
di riferimento per voi, quando siete arrivati non sapevate quasi nulla di come si svolgeva
il lavoro e lui vi ha insegnato molte cose. A mano a mano vi accorgete che per andare
incontro alle esigenze del vostro collega state lavorando quasi tutti i fine settimana del
mese, come conseguenza le vostre uscite con gli amici si sono notevolmente ridotte,
cosa che vi dispiace molto. Cosa vi spinge a sentirvi così in obbligo con questa
persona? Oramai avete anche iniziato a covare un po' di rabbia nei suoi confronti,
pensate che forse se ne approfitta un po' e cominciate a domandarvi “Ma perché non
riesco a dirgli di no?” La risposta è semplice, non volete rischiare di sembrare poco
comprensivi con lui, di modificare l'immagine che lui ha di voi, in sostanza di
compromettere il vostro rapporto! Assecondate quindi il bisogno dell'altro rinunciando
ad uno vostro in fondo in fondo per paura di poter essere giudicati male. Esperienza di
questo tipo sono molto comuni, e secondo l'AT andando a risalire all'infanzia di un
individuo come quello descritto nell'esempio è facile rintracciare esperienze di crescita
in cui le figure genitoriali di riferimento hanno mandato forte il messaggio di dover
compiacere per essere voluti bene. Sin dalle prime esperienze di vita, abbiamo
imparato che alcuni nostri modi di essere erano proibiti o rifiutati dai nostri genitori, così
come dal contesto sociale di appartenenza, di conseguenza, abbiamo iniziato a
reprimere tali espressioni per poter vivere tranquilli. Come abbiamo già accennato, una
forma di BA potrebbe però essere anche meno remissiva di quella descritta, viene infatti
definita come Bambino Ribelle. Il comportamento di ribellione alle regole è comunque
una risposta ad una aspettativa genitoriale, solo che invece di corrispondere facciamo
tutto il possibile per fare il contrario delle regole che ci sono state imposte. Anche in
questo caso le nostre energie anziché essere impiegate per fare ciò che desideriamo
vengono impiegate per contravvenire a delle regole. Questa modalità ad una
osservazione superficiale farebbe molto pensare alla “Libertà” , ma la libertà di
esprimere realmente ciò che si vuole, in termini di comportamenti, atteggiamenti,
pensieri ed emozioni è quella del bambino libero (BL) che si traduce nella spontaneità e
non nella ribellione alle regole sociali. Si può essere spontanei e liberi rimanendo
perfettamente ancorati alle regole che caratterizzano il nostro contesto sociale Esempio
di bambino ribelle: Il vostro capo assegna alla vostra equipe di lavoro un compito molto
difficile da finire entro un termine prestabilito. Vi accorgete che non avete molto tempo
per portarlo a termine, di fatto avete lo stesso tempo che hanno tutti, ma a scadenza
avvenuta vi trovate a dover dire al vostro capo che non siete riusciti a portare al termine
il lavoro e, cosa particolare, dentro di voi sentite una strana sensazione di rivalsa, vi
dite: “Ah, così la prossima volta impari a darmi così poco preavviso!”. In entrambi gli
esempi riportati la spinta a comportarci in maniera adattata è inconsapevole, ma di fatto
produce un danno per la nostra vita. In sintesi tutte le volte che rispondiamo alle
pressioni esterne in maniera analoga a come da bambini reagivamo alle regole siamo
nel Bambino Adattato. In particolare, se riproduciamo un comportamento di ribellione
siamo nel Bambino Ribelle. La funzione del BA non produce solo danni, anzi, è molto
importante nel processo di crescita di ciascuno, il Bambino Adattato ha aspetti positivi
proprio perché fa si che possiamo adattarci alle regole sociali del contesto in cui
viviamo, e quindi quando riproponiamo gli schemi di adeguamento acquisiti,
risparmiamo energia mentale e otteniamo quello che vogliamo senza disagio per noi
stessi o per gli altri (Es.: guardiamo a destra e a sinistra prima di attraversare). E’
negativo, invece quando ci comportiamo in un modo che non è adeguato alla nostra
situazione da adulti (Es.: arrossiamo quando parliamo in pubblico, mettiamo il broncio
per richiedere attenzioni, abbiamo reazioni di angoscia esagerata di fronte ad una
separazione). Il Bambino Libero, chiamato anche Bambino Naturale, è quella parte che
si esprime spontaneamente senza preoccuparsi delle reazioni dei genitori. Questa
funzione espressiva è poco rispettata culturalmente proprio perché viene richiesto molto
adattamento. È vero anche che la comunità ha bisogno di regole per funzionare e per
organizzarsi. Alcuni teorici sostengono che anche il BL possa avere aspetti negativi, un
esempio molto simpatico degli effetti dannosi che può avere la libera espressione del
BL lo si trova sempre nel testo di Stewart e Joines citato prima. Si descrivono infatti le
conseguenze che potreste avere se ad esempio vi metteste a ruttare liberamente
durante un pranzo di gala. Chiaramente starete esprimendo il vostro BL e non vi starete
censurando, ma le conseguenze per voi nel rapporto con gli altri sarebbero
sicuramente meno negative se invece di ruttare aveste deciso di trattenervi, in sostanza
di adattarvi alla situazione. Qui è chiaro anche ciò che dicevamo prima rispetto
all’importanza del BA, in quanto ci consente, senza troppi sforzi, di stare alle norme
culturali di appartenenza. In psicologia sociale quando parliamo di norme ci riferiamo a
delle aspettative condivise di come dovrebbero comportarsi i membri di un gruppo. Se
pensiamo agli stati dell’io possiamo facilmente domandarci: “Come ci aspettiamo debba
essere il comportamento di un genitore nella nostra cultura?” “E quello di un bambino?”
“Come viene identificato l’atteggiamento di un adulto nelle diverse culture?” Berne nella
sua definizione degli stati dell’io ha tenuto conto delle definizioni sociali che la cultura, in
questo caso quella della società occidentale, attribuisce al genitore, all’adulto e al
bambino. La spontaneità che caratterizza i bambini per come il nostro sistema sociale e
culturale li identifica non apparteneva di certo alle caratteristiche che facevano di un
bambino ciò che culturalmente ci si aspettava dovesse caratterizzarlo prima nel 1800.
Tutto Andando avanti nella lettura tenete presente questo inciso che ci da la misura di
come sia sempre presente, seppure stiamo descrivendo una struttura intrapsichica, il
livello di inter-relazione tra individuo e lo specifico ambiente sociale in cui è inserito.

Lo Stato dell’Io Adulto non è suddiviso. É lo stato dell'io che manifesta la sua funzione
operativa attraverso una elaborazione logica dei dati. É l’osservazione di una persona
che è nel qui ed ora, che fa domande, che raccoglie informazioni e che agisce, come
abbiamo già accennato, risponde congruentemente alla realtà che lo circonda. Sempre
a proposito di norme sociali prendiamo un attimo ad esempio un esperimento di Asch
del 1951
Passando allo Stato dell’Io Genitore vediamo che sono descritte due funzioni operative:
Genitore Normativo e Genitore Affettivo. Il GN si manifesta attraverso una serie di
messaggi proibitivi, fortemente protettivi, esigenti ecc. Un verbo che caratterizza
l'espressione di questa parte è il “Devi”. Molto spesso da bambini i nostri genitori ci
dicono cosa fare, ci controllano, ci criticano con frasi del tipo “ Non correre per strada”
“Devi studiare” “Devi andare a dormire presto” “Stupido” “Buono” “Intelligente” “Scemo”
e così via. A livello del comportamento non verbale questo stato funzionale appare un
po' rigido. Il GA si manifesta invece attraverso atteggiamenti e messaggi per lo più
permissivi che possono essere utili o meno al bambino, sono messaggi di sostegno, di
accoglienza, di benevolenza. Le funzioni del genitore possono rivolgersi sia all'esterno,
quindi verso altre persone, che, attraverso un dialogo interno, al nostro stato dell'io
Bambino interiore. Così come per il BA anche GN e GA possono avere sia funzioni
positive che negative. Fu un allievo di Berne, Stephen Karpman , ad ipotizzare la
presenza di questi due versanti per ogni funzione degli stati dell'io. Per positivo
intendiamo quel versante le cui modalità operative favoriscono scelte e comportamenti
di tipo costruttivo sia per l'individuo che per la società. Il versante negativo è invece
riferito a quelle operazioni che favoriscono scelte e comportamenti sia auto che etero
distruttivi. Il GN è positivo quando è in grado di dare direttive ferme, adeguate alle
circostanza, senza svalutare l'altro. Pensiamo ad esempio all'importanza delle regole
come guida e contenimento per il bambino. Il GN è negativo invece quando è
fortemente castrante, giudicante, estremamente proibitivo anche quando non ce ne è
effettivo bisogno. É colui che nell'atto di criticare l'altro tende a sminuirlo, o nel dialogo
interno tende a sminuire il nostro stato dell'io bambino. Pensate a tutte le volte che vi
siete detti “Cretino! Sono un cretino! Non devo fidarmi mai più delle persone”. In questo
caso non è altro che il vostro GN negativo interno a giudicare il vostro stato dell'io
bambino, magari proprio quello libero che si era lasciato andare in una relazione che poi
è finita male. Lo stato dell'io Adulto ad una stessa condizione avrebbe reagito provando
dolore per la separazione, sentimento congruente con l'evento, ma senza generalizzare
a tutto il genere umano un estremo atteggiamento di diffidenza. Passando al GA
positivo, è colui che si prende cura di se stesso e degli altri quando esiste un reale
bisogno, pensiamo all'importanza di una vicinanza affettiva, di un sostegno, di rinforzo
positivo e accompagnamento sano alla crescita personale. D'altra parte anche un GA
può essere negativo nella misura in cui si sostituisce al bambino, fa le cose al posto suo
per agevolarlo, è estremamente permissivo, non è capace di dare frustrazioni
importantissime per la crescita personale. Mette in atto tutta una serie di comportamenti
che seppure apparentemente buoni, di fatto compromettono molto le possibilità di
crescita individuale, comportamenti che sono finalizzati a mantenere una relazione di
dipendenza. In sintesi tende all'iperprotezione interferendo con la maturazione e la
presa di responsabilità dell'altro.

! L’analisi transazionale è:

Che cosâÚ lâAnalisi Transazionale

Un approccio psicologico che studia le transazioni tra più


organizzazioni
Un approccio psicologico nato negli Stati Uniti negli anni 50’

Un approccio psicologico nato negli Stati Uniti negli anni 60’

Un orientamento psicologico volto allo studio dei gruppi

Il fondatore dell’analisi transazionale è:

Che cosâÚ lâAnalisi Transazionale

I. Stewart

E. Berne

S. Karpman

E. Aroson

Una transazione è:

Che cosâÚ lâAnalisi Transazionale

Uno scambio non verbale tra due o più persone

Uno scambio verbale tra due o più persone

Uno scambio tra due persone o più persone, sia verbale che
non verbale

Una scambio di idee tra due o più persone

! Secondo la definizione di Stewart e Joines, l’analisi


transazionale può essere utilizzata:

Che cosâÚ lâAnalisi Transazionale

In qualsiasi campo vi sia necessità di capire le persone, i


rapporti e la comunicazione

In qualsiasi campo vi sia la necessità di capire ed intervenire


nelle relazioni sociali

In qualsiasi campo si necessitino cambiamenti per


migliorare il funzionamento di un gruppo

In qualsiasi campo si renda necessario analizzare le


transazioni

!La differenza tra l’analisi strutturale e funzionale degli stati


dell’Io è che:

Tipi di personalità legati alla nostra cultura

Il modello funzionale classifica i ricordi immagazzinati in


memoria mentre quello strutturale le strategie
immagazzinate in memoria

Il modello funzionale classifica i comportamenti osservati,


mentre il modello strutturale classifica i ricordi e le strategie
immagazzinate in memoria

Il modello funzionale classifica i comportamenti non verbali


mentre quello strutturale i comportamenti verbali

Il modello strutturale classifica i comportamenti osservati,


mentre il modello funzionale classifica i ricordi e le strategie
immagazzinate in memoria
Lo stato dell’io bambino, così come graficamente
rappresentato nel modello funzionale, è diviso in:

Tipi di personalità legati alla nostra cultura

Bambino Libero e Bambino Ribelle

Bambino Ribelle e Bambino Adattato

Bambino Libero e Bambino Adattato

Bambino Adattato positivo e Bambino Adattato negativo

Un Genitore Normativo si caratterizza per:

Tipi di personalità legati alla nostra cultura

Accoglienza; Guida; Permissività

Giudizio; Svalutazione; Rigidità

Rigidità Senso di Protezione; Essere una Guida

Dare regole; Svalutare l’altro; Essere controllanti

Nel suo esperimeto, Asch chiedeva ai soggetti di:

Tipi di personalità legati alla nostra cultura

Valutare quale stanghetta tra altre era uguale per lunghezza


ad un’altra rappresentata in una figura adiacente
Valutare la distanza tra alcune stanghette di diversa
lunghezza

Valutare quale stanghetta posta in una prima figura tra altre


due avesse il colore uguale ad un’altra posta in una seconda
figura

Esprimere la propria opinione anche se discordante da


quella del gruppo di appartenenza

Lo stato dell’Io Bambino si caratterizza:

Modello funzionale degli stati dellâIo e collegamenti con i


concetti di Norme e Conformismo

Per la capacità di espressione e trasmissione delle proprie


emozioni

Con comportamenti, pensieri ed emozioni riproposti


dall’infanzia

Con comportamenti immaturi e ribelli

Per la spontaneità nell’espressione delle proprie emozioni

! Le rappresentazioni sociali hanno un ruolo importante:

Tipi di personalità legati alla nostra cultura

Nella percezione delle norme

Nel modo in cui percepiamo l’ambiente che ci circonda


Nel modo in cui sentiamo emozioni

Nella strutturazione degli stati dell’io e della nostra


personalità

38.

Transazione

E. Berne definiva la transazione come “Unità fondamentale del discorso sociale”.


Quando due o più persone comunicano tra di loro si crea una catena di transazioni che
sono appunto gli scambi che si verificano durante la comunicazione. Il modello degli
stati dell'io ci aiuta a descrivere cosa avviene durante il processo di comunicazione tra
individui e perché molto spesso è così difficile avere una sana comunicazione con gli
altri.

Transazioni parallele: adulto-adulto

complementari= genitore normativo-bambino ribelle

Prima regola della comunicazione: Se la comunicazione è complementare/parallela può


proseguire per un tempo indefinito

transazioni incrociate: Si definisce transazione incrociata quella transazione che si


verifica quando un interlocutore non risponde con lo stato dell'io sollecitato dall'altro.
una persona accusa (genitore normativo), l’altra persona non risponde da bambino adattato
o ribelle , ma da genitore normativo a sua volta→scontro

Seconda regola della comunicazione: quando le transazioni non sono più


complementari/parallele la comunicazione s’interrompe e lo scambio cessa in modo
definitivo o temporaneo. Se proseguissimo la conversazione in questo modo vedremmo
come entrambi gli interlocutori comincerebbero ad inalberarsi sempre di p

Transazioni ulteriori:

, le transazioni ulteriori. Si definiscono così quelle comunicazioni in cui vengono inviati


contemporaneamente due messaggi, uno manifesto, che è quello sociale, e uno
nascosto, che definiamo psicologico. ne fanno parte il tono della voce , le pause ecc.

Terza regola della comunicazione: Berne sostiene che “l'esito in termini


comportamentali di una transazione ulteriore è determinato a livello psicologico e non a
quello sociale”. Questo ci dice quanto sia importante e potente in una relazione di
qualsivoglia tipo il livello della comunicazione non verbale. In una transazione ulteriore i
messaggi verbali sono contraddittori rispetto ai non verbali, e questo nelle
comunicazioni genera spesso confusione e fastidio.

Principi psicologici Okness

Siamo ora del principio dell'Okness che è alla base di tutte le teorizzazioni dell'Analisi
transazionale e che descrive in pratica una posizione esistenziale, un modo di intendere le
persone, → Harris
Tabella 1

Io sono ok tu sei ok Opinione positiva su sé stessi e sugli altri

Io sono ok tu non sei ok Positiva su di sé e critica verso gli altri (tendenzialmente


aggressiva)

Io non sono ok tu sei ok Critica su di sé e positiva sugli altri (tendenzialmente passiva)

Io non sono ok tu non sei ok Niente va bene,non c'è nulla da fare (desolazione e
impotenza)

Questo concetto indica che tutte le persone di base possiedono un potenziale, un valore
che quindi sono sostanzialmente “OK”.

Ogni individuo quando nasce ha un potenziale, quello di potersi esprimere al meglio in


armonia con se stesso e con gli altri. Molto spesso però questo potenziale viene limitato
dall'ambiente circostante, in particolare dalla relazione con le nostre figure di riferimento
primarie (genitori; nonni; insegnanti; figure di cura in genere) con il risultato che
l'individuo inizia a costruire delle strutture psicologiche difensive che condizioneranno
molto la sua vita perché tenderanno sempre a limitare quella potenzialità innata.

Pensate ad esempio ad un bambino che viene maltrattato e/o fortemente trascurato dai
propri genitori, egli per proteggersi svilupperà un atteggiamento difensivo nei confronti
degli altri che possiamo definire sano in quanto gli garantirà protezione. Ma lo stesso
atteggiamento in età adulta può trasformarsi in una incapacità di affidamento agli altri, di
amore, in un atteggiamento controllante verso l'esterno che continua ad essere
percepito come minaccioso anche quando di fatto non lo è.

I giochi e il triangolo di Karpman

Quante volte vi sarà capitato di dire a voi stessi “Ma come è possibile che quella data
cosa, situazione, o altro che riguarda la vostra vita, vada sempre a finire allo stesso
modo?” “Perché continua a succedermi sempre la stessa cosa?” E. Berne ha spiegato
tutto questo con la teoria dei giochi, in uno dei suoi testi aveva definito i giochi come
una serie di transazioni ulteriori che conducono ad un tornaconto ben definito. Quando
parliamo di tornaconto in AT non ci riferiamo ad una cosa convenzionalmente positiva. Il
tornaconto ha a che vedere sì con quanto noi ricaviamo da una certa situazione, ma
non nel senso di guadagno oggettivo, ma nel senso di una riconferma. Il tornaconto è il
finale prestabilito di un gioco, ed è legato al nostro copione di vita.

I giochi hanno alcune caratteristiche tipiche che sono:

1. Ripetitività: Ogni persona gioca il suo gioco più volte nel tempo, gli altri interlocutori o
la situazione può variare, ma lo schema del gioco rimane lo stesso

2. Il gioco non prevede la consapevolezza dell’Adulto: Quando mette in atto il gioco lo si


fa in maniera inconsapevole. Solo alla fine ci si può chiedere “Come ha fatto a
succedere di nuovo?”

3. I giochi terminano con i giocatori che provano una emozione parassita1

4. I giochi comportano uno scambio di transazioni ulteriori tra gli interlocutori: ciò che
accade a livello di scambi sociali è diverso da ciò che accade a livello psicologico.

5. I giochi comportano sempre un momento di sorpresa e confusione:questo accade


quando si ha la sensazione che sia successa una cosa inaspettata
Triangolo drammatico

Secondo Karpman, ogni qualvolta giochiamo entriamo in uno dei ruoli descritti in figura,
Persecutore, Salvatore o Vittima Il persecutore sminuisce gli altri e li calpesta, la sua
posizione è “Io sono ok, gli altri non sono ok”, gli altri sono dunque considerati come
inferiori a lui. La sua posizione è one-up. Anche il Salvatore considera gli altri inferiori a
lui, e si mette in una posizione di superiorità aiutando gli altri piuttosto che calpestandoli,
ma allo stesso modo sente di essere superiore, la sua convinzione è questa: “L’altro
non è capace per cui sono io a doverlo aiutare”. Una vittima invece si trova in una
posizione “Io non ok” , si considera inferiore “one-down” e spesso si troverà incastrato in
relazioni o con Persecutori o con Salvatori. Ognuno dei tre ruoli comporta comunque
una svalutazione, o verso gli altri (Salvatore e Persecutore) o verso se stessi (Vittima).
Quando una persona si trova in uno di questi tre ruoli sta rispondendo al passato, più
che alla situazione attuale, sta utilizzando vecchie decisioni di copione per affrontare
situazioni del qui ed ora, per questo vengono considerate come posizioni non
autentiche e caratterizzate da emozioni parassite. Di solito durante un gioco si parte da
una posizione per arrivare ad un'altra. Pensate a Jack e Jean, a come i ruoli
Persecutore/Vittima si siano capovolti alla fine della storia. Possiamo utilizzare i giochi
anche per confermare le nostre posizioni di vita, quelle descritte nel paragrafo
sull’Okness. Una persona come Jean, che gioca a “Ti ho beccato figlio di Puttana” è
sostanzialmente convinta di stare confermando la posizione “Io sono ok, tu non sei ok”.

Esistono transazioni:

Transazioni

Parallele, Complementari e Ulteriori

Parallele, Complementari e Incrociate

Parallele, Incrociate e Ulteriori

Parallele, Complementari e Parassite

In base alla seconda regola della comunicazione:

Transazione ulteriore

Se i vettori sono paralleli la comunicazione non si arresta e


potrebbe continuare all’infinito
Quando le transazioni non sono più parallele la
comunicazione si interrompe e lo scambio cessa in modo
definitivo o temporaneo

Quando le transazioni non sono più parallele la


comunicazione non si arresta e potrebbe continuare
all’infinito

Se i vettori sono paralleli la comunicazione si interrompe e lo


scambio cessa in modo definitivo o temporaneo

Utilizzando una definizione completa, la transazione ulteriore:

Transazione ulteriore

È una comunicazione in cui vengono inviati


contemporaneamente due messaggi, uno manifesto,
sociale, e uno nascosto, psicologico

È una comunicazione in cui conta più il livello non verbale


che quello verbale

È una comunicazione in cui sono presenti emozioni


parassite

È una comunicazione le cui transazioni a livello psicologico


sono rappresentate graficamente da una linea tratteggiata

! A proposito della terza regola della comunicazione, secondo


Berne:

Transazione ulteriore

“L’esito in termini comportamentali di una transazione


ulteriore è determinato a livello sociale e non a quello
psicologico”

“L'esito in termini comportamentali di una transazione


ulteriore è determinato a livello psicologico e non a quello
sociale”

“L’esito in termini comportamentali di una transazione


incrociata è determinato a livello psicologico e non a quello
sociale”

“L’esito in termini comportamentali di una transazione


ulteriore è determinato dagli atteggiamenti non verbali”

L’Okness descrive:

I principi filosofici alla base della teoria: un cenno all'Okness

Una modalità di metterci one up o one down nelle relazioni

Un modo di interagire con gli altri votato al reciproco rispetto

Una modalità di porci nei contesti di lavoro

Una posizione esistenziale, un modo di intendere noi stessi,


le persone, il sociale in genere

All’interno del triangolo drammatico, il direttore dell’agenzia,


durante il primo incontro con il dipendente “vice”, si trova nel
ruolo di:

I Giochi e il triangolo drammatico di S. Karpman


Persecutore

Vittima

Salvatore

Carnefice

! I giochi si caratterizzano tipicamente per:

I Giochi e il triangolo drammatico di S. Karpman

Circolarità e presenza di transazioni ulteriori

Ripetitività e presenza di transazioni ulteriori

Circolarità e una fine che comporta il provare un’emozione


parassita

Ripetitività e Circolarità

Nel triangolo drammatico di S.Karpman sono previsti i ruoli


di:

I Giochi e il triangolo drammatico di S. Karpman

Persecutore, vittima e carnefice

Persecutore, salvatore e carnefice

Persecutore, salvatore e vittima

Persecutore, vittima e vincitore


Un’emozione parassita:

I Giochi e il triangolo drammatico di S. Karpman

Un’emozione che sostituisce un’altra emozione, naturale e


congruente alla realtà

Un’emozione che pervade la persona rendendola poco


lucida nelle sue scelte

Un’emozione caratterizzata negativamente

L’emozione che viene sperimentata in maniera prevalente


rispetto alle altre

Nella relazione con l’altro, il Salvatore:

I Giochi e il triangolo drammatico di S. Karpman

Si mette in una posizione di inferiorità rispetto all’altro

Si mette in una posizione di superiorità rispetto all’altro

Si mette in posizione simmetrica rispetto all’altro

Non entra in relazione autentica con l'altro

39,

Nasciata e primi sviluppi del sè

Attenzione all’infanzia nasce con Rousseau nell’800, prima erano piccoli adulti.

E’ emerso così che il neonato, il bambino e poi l’adolescente differiscono dall’adulto non
solo per capacità quantitativamente ma anche qualitativamente diverse. I nuovi
atteggiamenti sociali hanno sviluppato competenze diverse: il bambino dell’800 era
diverso da quello del 900 e ancora di più da quello del 2000
La psicologia sociale in ambito evolutivo dovrebbe interessarsi di come le culture sociali
influenzano l’ambiente del bambino e il bambino stesso nella sua crescita.

APPROCCIO COMPORTAMENTISTA

Il Sé è condizionabile e docile (Skinner). Il bambino cresce per opera di


condizionamenti. La relazione non è centrale come possibilità di interscambio

Lo sviluppo è prodotto da cause ambientali. Il bambino quindi è passivo rispetto ad un


ambiente attivo.

Critiche di Chomsky (innatismo linguistico) e di Piaget , il bambino è attivo perchè crea


le strutture mentali in cui accomoda o assimila i dati derivanti dall’esperienza esterna,
che ha un effetto limitato sula crescita del bambino.

APPROCCIO ORGANISMICO

- Il Sé è un organismo attivo spontaneo volto alla realizzazione delle proprie potenzialità


(Piaget, Vytoskij, Werner). Neonato/bambino e mondo, interagendo costruiscono
insieme la realtà (approccio costruttivista);

- Il bambino costruisce la propria esperienza grazie ad un continuo interscambio con


l’ambiente. Il Sé infantile è quindi attivo rispetto ad un ambiente attivo (libertà esaltata in
base a capacità legate al momento dello sviluppo);

- Il metodo sperimentale ottimale è dato dall’osservazione con grado moderato di


controllo. Questo perché l’osservatore non può essere neutro ma è sempre coinvolto
nell’osservazione dei fatti.

C. APPROCCIO PSICOANALITICO

- Il Sé simbolico è capace di attribuire significati a sé e al mondo. La crescita è l’esito di


conflitti interni. Ad esempio, il bambino intorno ai 3 anni si innamora della madre. La
vuole tutta per sé e vorrebbe estromettere da questa relazione il padre.

Lo sviluppo è un cambiamento qualitativo che procede per stadi. Tre sono le istanze
che governano la crescita: ES o aspetto istintuale, Super-Io, cioè regole e limiti imposti
dal mondo esterno; IO, come mediatore tra bisogni istintivi e realtà esterna; - Il metodo
sperimentale di ricerca è l’osservatore col minimo di controllo

Un approccio della psicologia sociale allo sviluppo del Sé

Secondo Baldwin il bambino si sentirebbe inizialmente parte di un tutto più vasto


rappresentato dalla cultura sociale. La società è intesa da questo autore come un
insieme di prodotti mentali e relazioni psichiche che plagiano il bambino dalla nascita .

Piaget, seguendo le orme di Baldwin, pensa che una cooperazione democratica


favorisca lo sviluppo del pensiero logico. In seguito Piaget, si concentrerà quasi
esclusivamente sul modo in cui l'individuo elabora strumenti cognitivi sempre più
complessi, prescindendo dalle condizioni sociali di tali elaborazioni.

L. S. Vygotskij, è diventato, da qualche anno, un punto di riferimento importante per la


psicologia sociale dello sviluppo. Secondo questo autore “tutte le funzioni superiori
nascono come relazioni concrete tra individui" . Se un bambino nel fare un’azione verso
un oggetto, fallisce il suo comportamento, suscita una reazione da parte della persona
non dell’oggetto. Quindi, il significato primario di un tale fallimento è sancito dalla
persona, non dall’oggetto; quindi è l’altro soggetto a plasmare il modo in cui il piccolo
impara a leggere i propri comportamenti, il mondo ed il proprio rapportarsi ad esso.

Secondo una teoria sociogenetica (in Doise,’ 97) esisterebbe un rapporto ricorsivo tra
regolazioni sociali e individuali: in ogni momento dello sviluppo, sono certe competenze
acquisite che consentono al piccolo di partecipare a interazione sociali relativamente
complesse, che a loro volta creano nuove competenze individuali, che permettono
nuove interazioni sociali e così all’infinito.

Ad esempio, il sorriso specifico del bambino viene corrisposto da quello della madre che
porta il bambino a sporgersi verso di lei e così via. Perché vi sia uno sviluppo cognitivo
nel bambino occorre che le sue competenze siano sostenute a più riprese da
costruzioni sociali.

La nascità del Sé e relazioni

Cooley (1902) riconosce che la costruzione del Sé deriva innanzitutto dalle attribuzioni
che gli altri fanno su noi stessi, introducendo il concetto del “sé visto allo specchio”;
Mead (1934) sottolinea anch’egli l’importanza delle interazioni personali nella
costruzione del Sé attraverso delle generalizzazioni sulle valutazioni che gli altri danno
della persona.

Molte le dispute sulla nascita del Sé e sue caratteristiche :

- se il bambino alla nascita sia un Sé nucleare minimante separato (Stern 1985);

- il neonato presenta un Sè simbiotico completamente inglobato nel TU materno


(Maheler 1978);

- il Sé si costruisce utilizzando l’esperienza senso-motoria come precursore di quella


cognitiva (Piaget 1968);

- sono le esperienze sociali ad essere precursori di quelle intrapsichiche (Vjgotskj


1974);

- le esperienze sociali sono un bisogno innato del lattante (etologi, Bowlby)

Volendo provare una sintesi tra tutte queste teorie , potremmo dire che il Sè alla nascita
esiste nel senso di unità minima molto dipendente dall’ambiente. Tale unità è
prevalentemente formata da comportamenti innati di tipo riflesso. Questo Sè è molto
diverso dal Sé umano che diventerà negli anni successivi. Ci vorranno 5/6 anni perchè il
Sè del bambino arrivi a sviluppare, anche se in modo limitato, un po’ tutte le potenzialità
di un Sè umano.

Sembra che il bambino abbia la capacità innata di cogliere unità, ma che le unità
elementari siano solo piccolissimi frammenti di realtà. Infatti, da studi condotti su
neonati sembra che questi siano in grado di riconoscere i visi rispetto a figure non
strutturate; il neonato ha la possibilità di complessificare tali unità minime2 . La capacità
di cominciare a creare strutture di conoscenza più complesse e stabilizzare quelle
semplici dipende molto dall’interazione sociale del neonato. Il piccolo alla nascita coglie
piccoli frammenti/unità, come gli occhi della madre, la voce della madre, ecc. Ha la
capacità di rappresentarsi delle immagini3 . Sono, perciò, unità molto elementari.
All’inizio la conoscenza è molto ridotta e il neonato impiegherà del tempo perché le
unità più elementari si trasformino in quelle più complesse. Il tempo da solo è una
condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto è anche il tipo di esperienza con le
figure di riferimento e con l’ambiente in genere a condizionare il tipo di sviluppo delle
strutture elementari innate che si complessificano.
Per lo sviluppo umano, a seconda dei momenti storici si è data più enfasi al
condizionamento biologico o ambientale. Oggi si tende a sostenere la teoria dei tre
fattori: modello bio-psico sociale, secondo il quale lo sviluppo umano è condizionato
biologicamente, ma anche fortemente dalla storia personale e dall’ambiente sociale in
cui cresce.

Importanza della relazione sociale nella costruzione del sé

U. Bronfenbrenner definisce ecologia dello sviluppo umano lo studio dell’adattamento


continuo reciproco tra l’essere umano e l’ambiente in cui vive. Per ambiente questo
autore non intende solo l'ambiente più prossimo, quale la famiglia, ma anche contesti
più ampi, come famiglia allargata e società. Non solo la relazione tra i genitori
condiziona lo sviluppo del bambino ma anche la relazione che questi hanno con i propri
genitori e quest’ultimi con il contesto sociale.

Bronfenbrenner definisce “ecosistema” l’insieme delle situazioni ambientali che


agiscono direttamente sullo sviluppo umano. L’autore identifica diversi tipi di ecosistemi:
microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema .

IL MICROSISTEMA Un esempio di microsistema é la famiglia, dove ogni persona ha un


suolo. Un altro microsistema è ad esempio l’asilo nido.

IL MESOSISTEMA Rappresenta la interrelazione tra due o più situazioni ambientali alle


quali l’individuo in via di sviluppo partecipa: per un bambino è rappresentato dalle
relazioni tra famiglia, scuola e gruppo dei pari. Per un adulto, dalla relazione tra
ambiente familiare, lavorativo e sociale (amici). L’ESOSISTEMA Riguarda la relazione
indiretta tra alcune situazioni ambientali e il bambino/individuo. Ad esempio, la
situazione lavorativa dei genitori e le relazioni all’interno di questa possono influire sul
bambino. Ad esempio un genitore che lavora molto ed ha quindi poco tempo da
dedicare ai figli. IL MACROSISTEMA È rappresentato dalle varie situazioni sociali ,
credenze e ideologie che sono l’espressione del tipo di società in cui vive il bambino o
l’adulto.

Sviluppo del Sé e personalità dei genitori Lo sviluppo del neonato risente degli stati
cognitivi ed emotivi dei genitori e in modo particolare delle aspettative che questi
riversano su di lui. I tratti caratteriali di mamma e papà sviluppano atteggiamenti di
dipendenza o autonomia nel piccolo, al di là della cultura di appartenenza.

A volte possono nascere conflitti tra relazione familiare e contesto sociale allargato per
problemi trans-generazionali, laddove le diverse generazioni sono portatrici di valori
diversi. A partire dagli anni 50, negli stati Uniti e in Europa si è verificato un
cambiamento di atteggiamento pedagogico. Secondo un approccio umanistico, il
bambino doveva crescere spontaneamente.

Ovviamente questa visione pedagogica urtava notevolmente contro le mentalità


precedenti molto più rigide nell’impartire guide educative. Io stessa potevo verificare la
diversità di aspettative tra me ed i miei genitori rispetto a mio figlio: se lo prendevo
troppo in braccio mi accusavano di viziarlo, se lo sfamavo finchè lui voleva lo avrei fatto
deperire e così via.

E’ evidente che culture così diverse condizionino diversamente l’andamento della


crescita dei bambini. Studiarne le conseguenze dovrebbe essere uno degli obiettivi
della psicologia sociale. Questo approfondimento potrebbe migliorare i nostri progetti
educativi complessificandoli. Il neonato, anche per povertà di capacità, predilige
relazioni duali. Non dimentichiamo, però, che contesto allargato non significa solo
rapporto tra madre e bambino, ma anche tra madre e i punti di riferimento di questa che
indirettamente ricadono sul bambino.

B. UN ATTEGGIAMENTO EQUILIBRATO DA PARTE DEI GENITORI PER LO


SVILUPPO FUNZIONALE DEL BAMBINO

Esiste un temperamento di base della persona che verrà strutturato sulla base di
capacità innate e apprese. Come abbiamo visto ogni temperamento è in parte
condizionato geneticamente ma anche rinforzato positivamente o negativamente dal
contesto. Così, un bambino con un temperamento mite potrebbe essere stimolato in
modo tale da potenziarlo o ridurlo. Allo stesso modo, un neonato con temperamento
esuberante potrebbe essere bloccato. Se si iperstimola un temperamento mite o si
blocca troppo un temperamento esuberante, si potrebbero avere importanti disfunzioni
nello sviluppo del Sè accompagnate da sofferenza. Se lo sviluppo è funzionale il
neonato strutturerà i propri comportamenti e bisogni in modo adeguato,
congruentemente con il proprio temperamento di base.

La forza del Sé, quindi, è data da un temperamento di base che si strutturerà


positivamente in un ambiente favorevole. Se l’integrazione è armoniosa avremo un Sé
forte.

Piccole regole per un comportamento pedagogico adeguato Un comportamento


pedagogico adeguato richiede:

- Abbastanza coerenza tra e diverse figure che se ne prendono cura a partire dal padre
e dalla madre

- alternanza tra lasciarlo libero e proteggerlo

- buona capacità empatica che significa comprendere il bambino nelle sue esigenze
declinando gratificazione frustrazione in modo adeguato all’età

- equilibrio tra frustrazione e gratificazione

- Non solo la madre ma l’intero contesto nel quale è inserito il bambino, integrandosi,
possono permettere uno sviluppo sano o disfunzionale

E’ importante un’alternanza armoniosa tra attenzione e lasciarlo libero di esplorare gli


consentono di confrontarsi continuamente con l’ambiente. I limiti che questo propone, lo
aiutano a differenziarsi sempre meglio. Se

Il genitore empatico permette una crescita normale e favorisce lo sviluppo dell’empatia.


Questo atteggiamento presuppone due cose: che il bambino sia visto e accudito nei
suoi bisogni a partire dalle prime esperienze senso-motoria a seguire; che un genitore
faccia da modello

Un buon genitore è capace di declinare gratificazione e frustrazione. Bisogna tener


conto del grado di frustrazione tollerabile relativamente alle capacità di sviluppo
raggiunte. E’ anche importante non aggiungere una frustrazione quando ce ne è già in
atto un’ altra. Ciò evita che un accumulo eccessivo di dolor

La capacità di gestire la frustrazione e la gratificazione è un apprendimento molto


importante. Il bambino può vivere con eccitazione eccessiva la gratificazione sfociando
in un senso di onnipotenza che non lo aiuta a relazionarsi ai limiti. La frustrazione,
invece, può essere così angosciante da sopraffarlo. Nella paralisi non costruisce
un’identità
L’approccio comportamentista, nella spiegazione dello
sviluppo del sé, differirebbe dall’approccio organismico per i
seguenti aspetti:

Diversi modelli per lo sviluppo del Sé

Il primo sottolineerebbe il carattere passivo dell’individuo


rispetto ad un ambiente sociale attivo che ne plasma azioni
e scelte, mentre, per il secondo,il bambino costruirebbe la
propria esperienza grazie ad un continuo interscambio con
l’ambiente

Entrambi danno risalto alla centralità della relazione tra


individuo e ambiente

L’approccio organismico non considera importante


l’influenza dell’ambiente sociale sullo sviluppo del sé del
bambino

Non vi è nessuna differenza

La “Teoria Sociogenetica” di Doise afferma:

Un approccio della psicologia sociale allo sviluppo del Sé

L’esclusione degli aspetti sociali nello sviluppo del sé del


bambino

L’esistenza di un rapporto ricorsivo tra regolazioni sociali e


individuali

L’influenza della genetica sulla capacità di instaurare


relazioni sociali significative

Che gli esseri umani sono geneticamente predisposti alla


socialità

Per “modello bio-psico-sociale” dello sviluppo del sé si


intende:

La nascita del Sé e la relazione

La prevalenza dei fattori biologici e psicologici su quelli


sociali nello sviluppo del sé

La prevalenza dei fattori sociali su quelli biologici e


psicologici nello sviluppo del sé

Che lo sviluppo umano è condizionato biologicamente, ma


anche fortemente dalla storia personale e dall’ambiente
sociale in cui cresce il bambino

L’importanza di saper ricercare l’altro

Bronfenbrenner definisce “ecosistema”:

L'importanza della relazione sociale per lo sviluppo del Sé

L’insieme delle situazioni ambientali che agiscono


direttamente sullo sviluppo umano

L’insieme delle situazioni ambientali che interferirebbero con


un sano sviluppo del sé

L’insieme delle situazioni ambientali che faciliterebbero un


sano sviluppo del sé

Situazioni ambientali che agiscono (interferendo o


facilitando) il sano sviluppo de sé del bambino
Per “Microsistema” si intende:

L'importanza della relazione sociale per lo sviluppo del Sé

La famiglia del bambino

La relazione tra famiglia, scuole e gruppo dei pari

La società in cui il bambino vive

La cultura

!Per “Mesosistema” si intende:

Il Sè, la famiglia e il contesto sociale

La famiglia del bambino

La relazione tra famiglia, scuola e gruppo dei pari

La società in cui il bambino vive

La cultura

Lo sviluppo del sé dipende:

Un atteggiamento equilibrato da parte dei genitori per lo


sviluppo funzionale del bambino

Dalla personalità dei genitori


Dalla generazione a cui il bambino appartiene

Dalla cultura in cui il bambino vive

Sia dalla personalità dei genitori, che dalla generazione, che


dalla cultura di appartenenza del bambino

Per genitore empatico si intende:

L'importanza della relazione sociale per lo sviluppo del Sé

Un genitore presente nella relazione col bambino

Un genitore capace di comprendere le esigenze del


bambino e di rispondervi adeguatamente

Un genitore che agisce coerentemente alle richieste del


bambino

Genitore presente, capace di comprendere le esigenze del


bambino e a cui vi risponde in maniera coerente ed
adeguata

Si definisce “buona” una relazione che:

L'importanza della relazione sociale per lo sviluppo del Sé

Permette al bambino uno sviluppo integrato di tutte le parti


del Sè, quindi, del pensiero, emozioni, sensazioni e
motricità, nonché la capacità di essere libero e responsabile

Permetta al bambino di sviluppare maggiormente gli aspetti


legati all’emotività
Consenta al bambino di non commettere errori

Favorisca uno sviluppo maggiore dell’intelligenza cognitiva

Le aspettative dei genitori sullo sviluppo del sé del bambino


influiscono:

L'importanza della relazione sociale per lo sviluppo del Sé

Solo se le aspettative non sono coerenti con la


predisposizione innata del bambino

Solo se le aspettative dei genitori sono coerenti con la


predisposizione innata del bambino

Sempre

Mai

40. Prima infanzia e relazione sociale

Si sviluppa entro i 5 anni.

gli è capace di relazione duale e solo intorno ai 4 mesi comincia a essere capace di
avere interazioni a tre. La cultura di appartenenza incide sul progetto educativo materno

A) IL SÉ PRE-NATALE LO SVILUPPO NEUROPSICOLOGICO

Lo sviluppo prenatale. Il piccolo già nel grembo materno sembrerebbe sensibile al


contesto. In qualche modo, gli ultimi studi parlerebbero di un feto-sociale. Il feto
sviluppa, dopo circa tre settimane, il midollo spinale, il cui compito è quello di mediare le
risposte riflesse. Subito dopo, inizia a formarsi l’encefalo. A circa sette settimane dalla
fecondazione si forma il prosencefalo da cui si formeranno gli emisferi cerebrali, l ’85%
del peso cerebrale. Le ultime ricerche, quindi, evidenzierebbero che il feto riceve
numerose stimolazioni e che queste siano funzionali al suo sviluppo

. Già a ventotto settimane circa, il feto sembrerebbe in grado di discriminare odori,


sapori, suoni, luminosità

La sensibilità tattile sarebbe invece presente fin dall’inizio della vita fetale. Ciò è
ulteriormente confermato dal fatto che alla nascita il neonato preferisce il suono della
voce materna, attutito, come nella vita intrauterina, a quello di altr
Il neonato di quattro giorni si orienta preferibilmente verso l’odore del liquido amniotico
rispetto a quello del latte artificiale.

La memoria somatica

C’è una credenza molto pericolosa da sfatare, quella secondo cui il primo anno di vita
non sia molto significativo per lo sviluppo della persona, perché tanto il piccolo non
“capisce nulla”. Attenzione a questo “non capisce nulla”: la memoria di questo periodo
non è legata al pensiero ma al corpo. E’, quindi, una memoria molto più potente, nel
senso che il piacere e il dolore, non sono ricordati, ma incarnati. Se troppo spaventato, il
bambino assumerà posture di tensione e respiro bloccato. Questa memoria senso-
motoria è molto più difficile da modificare.

Il cervello alla nascita

La cosa interessante è che il cervello di un feto e un neonato hanno un numero


notevole di neuroni e assoni in più, rispetto a quello di un bambino più grande . Questo
potrebbe spiegare gli effetti dell’ambiente sul cervello. Sulla base dell’esperienza
vengono eliminati i circuiti non utilizzati. E’ come se avessimo una potenzialità maggiore
di quella che esprimiamo. Più l’ambiente crea stimoli più i circuiti si stabilizzano. Il
sovrappiù neuronale, alla nascita, non consente funzioni altamente differenziate. Ad
esempio, si è visto che la visione nel neonato è altamente sfuocata; la crescente
selettività dipenderà dalle potature dei neuroni in sovranumero, che permetterà la
formazione di circuiti specifici.

Queste ricerche evidenziano come la cultura sociale possa dirigere molte delle abilità
che andremo poi a sviluppare

Non esiste sviluppo sano, se non all’interno di una relazione sana. Nel neonato,
probabilmente, esiste un’aspettativa innata di percezioni serene e calde, che non sono
ancora pensieri, cui si lega il piacere. Queste percezioni si integrano con l’aspetto della
sensibilità muscolare (propriocezione). La percezione di un viso rilassato e di un tono di
voce sereno, combinate con l’esperienza di un contatto con un corpo normalmente
tonico e forte, aiutano il bambino a riprodurre un tono muscolare simile e gli permettono
di costruire rappresentazioni mentali della madre positive: il volto della madre percepito
visivamente si lega ad un’esperienza di piacere.
Allo stesso modo, quando il neonato è affamato e piange, se la madre arriva
sufficientemente in tempo, il piccolo fa un’esperienza positiva di gratificazione. Se al
contrario la mamma tarda eccessivamente il bambino si dispera, poi si deprime. La
tensione conseguente ad una continua frustrazione darà luogo ad un atteggiamento
somatico costantemente teso.

Un’alternanza armoniosa, in cui la gratificazione sia superiore alla frustrazione, aiuta il


bambino a stabilizzare gli schemi senso motori delle emozioni, la qual cosa consente
un’espressione e un controllo emotivo. Tensione e rilassamento, se armonizzati,
permettono movimenti elastici. Più sa muoversi, più ha voglia di muoversi. Quindi, il
piccolo ha molte più possibilità di trasformare la sua esperienza senso-motoria
(percezioni) in pensieri figurativi (concetti). Questi, a loro volta, lo eccitano, spingendolo
ad esplorare di più. In questa esplorazione il piccolo prova tutte le emozioni legate alla
frustrazione (paura, tristezza e rabbia). Tale processo ricorsivo permette la
complessificazione delle strutture iniziali minime e frammentate.

Il piccolo del primo anno è prevalentemente senso-motorio. Quindi tutti i giochi che
stimolano i cinque sensi sono per lui molto graditi. L’ideale sarebbe non trascurarne
nessuno: stimolatelo quindi a vedere, ascoltare, toccare, odorare, gustare. Stimolare
molto o poco dipende anche dalla cultura di appartenenza delle famiglie oltre che dal
carattere delle persone. Dalla cultura dipende anche il tipo di stimolo.
Secondo e terzo anno

Identità.

Dopo il primo anno, il bambino inizia a percepirsi come unità e riconosce le proprie parti
del corpo. Quindi, è più differenziato rispetto all’altro. Dopo i due anni, inizia ad
adoperare il pronome personale “IO”, quindi si riconosce anche cognitivamente come
unità, diversa dall’altro. Una cosa è intuirsi come unità (primo anno), altra è saperlo
(secondo anno)

Empatia. Il bambino dopo il I anno, inizia a comprendere che le sue azioni provocano
risposte emotive nell’altro: nasce l’empatia. Intorno ai due anni, la capacità empatica
comincia a proporsi come una modalità di “prendersi cura di”

Emozioni. Intorno ai 18 mesi, la comparsa delle emozioni sociali, come la vergogna, la


colpa, l’imbarazzo, legate alla socializzazione e al contesto culturale, ne fanno un
individuo sociale. La competizione nasce un po’ più tardi dopo i tre anni.

Relazioni sociali. In questo periodo, i rapporti con gli altri sono più schivi. Il bambino di
un anno corre da tutti basta che gli si dà un po’ di attenzione. A diciotto mesi il piccolo
diventa più selettivo, così come l’attenzione in genere. Ora è sufficientemente capace di
capire che le sue azioni (fisiche) possono fare bene o male ad un altro. Intorno ai due
anni, la relazione diviene sempre più desiderata ed allargata ad altre persone. Nasce la
categoria degli amici. Il bambino di questa età non è ancora capace di organizzare un
gioco con un coetaneo. Per tale ragione può giocare con bambini più grandi o con
adulti. Due bambini di due anni nella stesa stanza giocano separatamente, al massimo
litigano

L’ipotesi sociale fa riferimento alle capacità del bambino di comunicare prima di saper
parlare utilizzando gesti e vocalizzi. Bruner (1983), ispirandosi a Vygotskij, sostiene che
i piccoli apprendono il linguaggio all’interno di relazioni importanti grazie a giochi
routinari che includono parole e gesti comunicativi. Intorno ai due anni si acquisisce la
capacità di riflettere su .Percepisce la stabilità degli oggetti, per cui, ora, può avere
rappresentazione mentali di oggetti e persone indipendentemente dalla esperienza
sensoriale diretta (Piaget). Questa nuova capacità influenza molto le relazioni sociali,
perché l’altro esiste nel suo agire al di là dell’ essere presente . Intorno ai tre anni si
presentano i primi ragionamenti. I piccoli argomentano bene e vi sfidano ragionando. E’
l’inizio della competizione sul piano logico-verbale, con un bisogno maggiore di
affermare la propria identità.

Questi pregiudizi sono pericolosi perché possono portare a ritenere responsabile un


bambino per cose che non comprende. Non bisogna punire quando il bambino non sa
fare, ma solo quando non vuole fare (nel senso di rispettare le regole adatte alla sua
età).

Quattro e cinque anni di vita.

La teoria della mente. Secondo questa teoria il bambino al di sotto dei cinque anni, se
pone l’oggetto in una scatola in presenza di un Tu e poi lo sposta quando il Tu è
assente, è convinto che il Tu si aspetti di trovarlo nella seconda posizione (che non ha
visto). Ciò significa che egli attribuisce all’altro le proprie percezioni, sebbene sia
evidente che l’altro, non presente, non le possa percepire. Intorno ai cinque anni invece
il bambino è in grado di comprendere che possono esistere valutazioni diverse dalla
sua, rispetto alla stessa situazione. Questo rappresenta un grosso passo in avanti nel
superamento dell’egocentrismo
Intorno ai cinque anni il bambino prende consapevolezza della morte. Prima ne parla
ma come se non ne cogliesse il significato profondo. Mio figlio, in seguito ad un lutto
familiare importante, a 5 anni, realizzò cosa fosse la morte, entrò in un angoscia
fortissima.

Per “feto sociale” si intende:

Il Sé prenatale e alla nascita

La sensibilità che il piccolo d’uomo avrebbe nei confronti del


contesto sociale già nel grembo materno

L’impossibilità di un’influenza sociale sul feto

L’immaturità sociale del feto

Le potenzialità che il feto avrebbe di sviluppare in futuro


relazioni sociali soddisfacenti

Le prime interazioni tra il bambino ed il suo contesto nel I


anno di vita avvengono:

Il primo anno di vita e il mondo sociale

Attraverso il linguaggio

Attraverso il corpo

Il I anno di vita del bambino non è molto significativo dal


punto di vista del suo sviluppo

Attraverso il pensiero
Il cervello del bambino alla nascita avrebbe:

Il cervello alla nascita

Un considerevole numero di neuroni ed assoni in più rispetto


al cervello di un bambino più grande

Un considerevole numero di neuroni ed assoni in meno


rispetto al cervello di un bambino più grande

Nessuna differenza rispetto al cervello di un bambino più


grande

Circuiti neuronali già specializzati

Nel bambino, il bisogno di relazione sarebbe:

Alcuni studi sul neonato e le sue relazioni sociali

Appreso

Secondario ad altri bisogni

Innato

Assente

Per bambino “egocentrico” si intende:

Il bambino dallâ egocentrismo allâintersoggettivitÃ

Che non è capace di relazione


Che è egoista

Che tutto quanto avviene dentro e fuori di lui è inteso


soprattutto a soddisfare i propri bisogni

Che pensa solo a se stesso

! Nel neonato, l’intersoggettività sarebbe stimolata:

Cosa fare per aiutare il neonato a stimolare lâintersoggettivitÃ

Attraverso un atteggiamento materno autorevole

Attraverso tutti i sensi

Non rispondendo a tutti i suoi bisogni

Lasciandolo piangere

Per “identità” nel bambino si intende:

Il secondo e terzo anno di vita

Che il bambino inizia a percepirsi come unità e riconosce le


proprie parti del corpo. E’ più differenziato rispetto all’altro

Che si riconosce nell’altro

Che si identifica con l’altro

Che diventa un tutt’uno con l’ambiente


! Il linguaggio verbale nel bambino subentra:

Il secondo e terzo anno di vita

A due anni

Ad un anno

Alla nascita

A tre anni

! L’ empatia nel bambino, intesa come capacità di


comprendere che le sue azioni provocano reazioni emotive
nell’altro, nascerebbe:

Il secondo e terzo anno di vita

Ad un anno

Tra il I ed il II anno di vita

A cinque anni

Il bambino nasce già con questa capacità

! Il bambino diventa un individuo sociale:

Il secondo e terzo anno di vita

Quando compaiono le emozioni sociali (vergogna, colpa ed


imbarazzo) legate alla socializzazione
Intorno ai quattro anni

Quando è capace di dire no

Quando impara a camminare

41. Seconda infanzia e adolescenza

1 Seconda infanzia (dai 5-6 anni all’adolescenza) E’ la fase in cui comincia la


relazionalità tra pari portatori di diritti simili, delle regole definite all’interno del gruppo. E’
la fase del “non è giusto”.

1.1. Acquisizioni sociali Fino ai sei anni il bambino è più decisamente autocentrato, e il
valore degli scambi con gli adulti è enorme. Sono gli adulti che impongono la loro
visione del mondo, definiscono le regole e organizzano il gioco tra bambini (che non
sanno mettersi regole tra loro e organizzarsi). E’ dagli adulti che il piccolo apprende
cosa è giusto o sbagliato; ma il valore etico non è ancora capito fino in fondo

1.2. Acquisizioni psicologiche Queste importanti acquisizioni sociali vanno di pari passo
con l’evoluzione biologica e psicologica. Psicologicamente il bambino di 6-7 anni non
riesce ancora a ragionare in modo astratto, è legato al pensiero concreto, ma, in modo
più raffinato rispetto al bambino piccolo: introduce nel suo ragionamento la reversibilità,
cioè la capacità di ricostruire le azioni attraverso processi mentali all’inverso. Ad
esempio sa che due palline di plastilina uguali per dimensioni restano tali anche se
facciamo loro cambiare forma

2 Psicologia sociale dell’adolescenza

Cosa significa studiare l’adolescenza dal punto di vista della psicologia sociale? a.
Implica, in prima battuta, studiare in che modo i sistemi sociali, da quelli più distali al
giovane (società) a quelli più prossimali (famiglia, gruppo dei pari), influiscano sulle
strutturazioni biologiche e psicologiche responsabili del comportamento dei giovani

Implica inoltre il valutare la funzione psico - sociale dei giovani nella nostra realtà (ad
esempio i giovani sono innovatori o solo sismografi dell’esistente?2 ; qual è il ruolo
sociale dei giovani adolescenti e post adolescenti nella nostra società?... )

Adolescere = crescere

E’ una fase dello sviluppo che va dalla pubertà (tra gli 8 e i 13-14 anni, secondo le
epoche e le culture, perché legata all’alimentazione e alle condizioni igienico-sanitarie,
che comportano differenze nel ritmo di crescita) e l’acquisizione dell’autonomia –es.
scelta lavorativa o lavoro, con variazioni imposte dalle culture- in genere tra i 18-20
anni. Si caratterizza per modificazioni biologiche (endocrinologiche, neurologiche,
corporee), acquisizione di una identità psicologica (sé, identità sessuale), inizio di una
identità sociale (autonomia, valori, identità lavorativa…).

L’inizio dell’adolescenza (11-12 a. per le ragazze e 13-14 per i ragazzi) e i primi 3 anni
di vita sono le fasi della vita in cui vi è il più tumultuoso rimaneggiamento
endocrinologico, cerebrale e corporeo nel suo complesso. Si completa la maturazione
degli organi riproduttivi. Aumenta la pulsione sessuale. Sotto l’influenza degli ormoni
sessuali il cervello si sviluppa in senso maschile o femminile,
Nel preadolescente comincia a maturare il pensiero ipotetico-deduttivo (si fanno ipotesi
e deduzioni, si ipotizza il futuro e si è capaci di sviluppare progettualità).

Nell’adolescente il pensiero e il comportamento sono impulsivi, cioè dominati, più che


nell’adulto, da dinamiche emotive. Non è un problema solo educativo, ma
neurobiologico. In questa età, infatti, il sistema limbico (che si trova sotto la corteccia
cerebrale ed è responsabile delle emozioni) si sviluppa più velocemente della corteccia
frontale e prefrontale e delle sue connessioni con il sistema limbico (che servono per il
controllo delle emozioni). Nel bambino, invece, c’è maggiore equilibrio tra emozioni e
sistema di controllo

L’adolescenza è il momento della differenziazione e della definizione dell’identità.


Identità = Definirsi come persona dotata di idee, sentimenti, interessi, modalità di azione
e di interazione con il mondo propri e peculiari Il ragazzo deve separarsi da vecchi
legami, sentimenti, valori e credenze maturati nella relazione con i caregivers per
acquisirne di “suoi”. Si oppone, ma ha paura. Conflitto interno tra la necessità di
individuarsi e di essere autonomo, e la paura di separarsi. E’ una vera “guerra
d’indipendenza”, dominata dall’ambivalenza. Non ce la fa da solo. Per non sentire
l’angoscia della solitudine.

Molto importante l’influenza ambientale, l’ambiente socio culturale influenza lo sviluppo


biologico

Anna Freud parla di spostamento dell’investimento libidico da figure genitoriali a figure


o gruppi extrafamiliari (cambiamento delle relazioni oggettuali infantili)

Gli adolescenti ne possono usare molti: alcuni più adattivi (cioè che favoriscono
l’adattamento all’ambiente e vanno verso la norma), altri più disadattivi (che possono
andare cioè verso la disfunzionalità). Adattivi: sublimazione (es. invece di aggredire
sublimo l’impulso nello sport), altruismo, umorismo… Meno adattivi: idealizzazione,
inversione dell’affetto (odio quello che prima amavo –per favorire la
separazione/individuazione-), rimozione (escludo dalla consapevolezza), proiezione
(dico che l’altro è respingente, rabbioso…ma sono io ad essere così)… Disadattivi:
regressione (invece di rompere la simbiosi con i genitori regredisce a fasi precedenti
dello sviluppo), acting out (perdita di controllo nella rabbia, ad esempio…),
somatizzazione… Psicotici: proiezione delirante, distorsione psicotica. Adolescenti
normali possono usare tutti questi meccanismi di difesa. Tuttavia se il ricorso a
meccanismi disadattivi è esteso questo è indice di problematicità.

L’adolescenza sociologicamente è la preparazione all’età adulta. E’ adulto chi sa gestire


il lavoro come impegno stabile e l’amore come responsabilità verso entità definite.

Non tutte le culture identificano l’adolescenza con il disagio emotivo, né con il


cambiamento repentino di personalità. In alcune culture tradizionali il passaggio
all’adolescenza è brusco, e segnato da veri e propri “riti di passaggio”, dopo i quali nulla
è più come prima (ad esempio nella tribù etiope dei Mursi alla ragazze a 15 anni nel
corso di un rito di passaggio viene praticata un’incisione sul labbro inferiore nella quale
vengono inseriti dischi di legno decorati sempre più grandi, che sono un segnale di
raggiunta maturità sessuale; in altre tribù i maschi adolescenti vengono sottoposti a
prove di forza e coraggio). In altre, di contro, il passaggio è inavvertito sociologicamente
(es. nelle società preindustriali o dell’inizio dell’industrializzazione l’adolescenza era già
quasi un’età adulta, e i minori erano impegnati in compiti sociali spesso sovrapponibili a
quelli dei grandi). Nelle nostre società occidentali si sono verificati nell’ultima
generazione importanti cambiamenti che hanno reso differente il passaggio all’età
adulta. Molti sociologi rilevano una mancanza di un sistema sufficientemente stabile e
trasmissibile di regole e valori che identificano la comunità (società liquida, modernità
liquida).
Novità sociologiche per gli adolescenti di oggi e di domani: Comunità (intesa come
sistema definito di relazioni, valori, etiche individuali legate al contesto di crescita e di
vita) sostituita dal network5 . Più etiche; più modelli di vita, spesso influenzati dalle
pubblicità, ma non trasmessi dai genitori; minore trasmissione di comportamenti
strutturati. Mancanza di sistemi di contenimento e di riferimento stabili.

La sostituzione della famiglia autoritaria/etica con quella possibilista/liquida può


attenuare la contrapposizione tra generazioni madri e figli sono simili e perseguono
stessi gusti, visioni…), con risultati di difficoltà identitaria e separazione.

I ricercatori, analizzando attentamente l’atteggiamento dei gruppi giovanili post


adolescenziali nei comportamenti ideologici nelle fasi di mutamento della società, sono
arrivati alla determinazione che, più che innovatori, i giovani sembrano essere degli
ottimi “sismografi”, abilissimi a percepire e interpretare i cambiamenti in atto nella
società.

Anche l’idea che i giovani siano responsabili, nelle società occidentali in crisi, della loro
emarginazione dai processi culturali e produttivi, viene messa in crisi dalle ricerche degli
psicologi sociali. Con l’espressione conflitto (o gap) generazionale invertito ci si riferisce
alla tendenza del mondo “adulto” a tenere ai margini e ritardare l’ingresso dei giovani
nei processi produttivi e decisionali, salvaguardando il proprio status sociale9 . Altra
opinione abbastanza comune è che i giovani abbiano una cattiva opinione del mondo
adulto. Le ricerche evidenziano, al contrario, che i giovani hanno opinioni sugli adulti
mediamente migliori di quanto gli adulti le abbiano sui giovani. Ulteriore esempio di
conflitto generazionale invertito.

3. Cosa cambia nell’esperienza tra seconda infanzia, preadolescenza e adolescenza?

Il bambino tra i 5- 10-anni

In questo periodo il bambino è prevalentemente imitativo/dipendente dall’adulto. Il


proprio pensiero, i propri vissuti spesso imitativi di quelli delle figure di riferimento, sono
vissuti come veri in assoluto. Con il bambino dobbiamo essere attenti alle scelte che noi
operiamo per lui, proprio perché non sa essere critico e sufficientemente forte
nell’opporsi alle nostre decisioni.

Il bambino a 6-7 anni fa giochi con regole

Preadolescente 9-14 anni Questa è la fase della ribellione onnipotente, con scarso
senso realistico.

Prima erano i genitori ad essere onnipotenti; ora crede di poter competere con loro
anche se di fatto né è ancora dipendente. Il preadolescente, non è ancora capace di
valutazioni autonome, sebbene convinto di esserlo: “So cosa è giusto fare, tu non
capisci!”. Questo è il motivo per cui possiamo assistere, all’inizio della scuola media, a
fenomeni di bullismo: il senso di forza onnipotente che non riconosce i propri limiti, in
una personalità aggressiva e poco equilibrata, porta a comportamenti di prepotenza e
prevaricazione,

L’atteggiamento dell’adulto con il preadolescente richiede che il primo, pazientemente


lasci un po’ fare e molto sorvegli. Con questi bisogna tenersi l’ansia e lasciare che un
po’ sperimentino sulla base delle loro idee, mettendo chiari paletti, una sorta di libertà
molto vigilata. L’errore a mio modo di vedere va sottolineato ma non perseguitato.
Ora il ragazzo diviene sempre più cosciente di una verità relativa, della precarietà dei
propri pensieri e vissuti, (fase depressiva = “questo mondo è ingiusto sono terribilmente
solo, ma lotterò contro tutti e ce la farò!) . Un po’ per volta durante la preadolescenza i
limiti si impongono scalfendo così il senso di onnipotenza. L’adolescente è un po’ come
il bambino di 3 anni che impone il proprio senso di identità ragionando

A 14 anni il ragazzo sa che la realtà si impone ai suoi bisogni, che spesso non ce la fa a
superare gli ostacoli, il mondo appare più ingiusto, gli altri possono progettare
volutamente di fargli del male e lui ha imparato a prevederlo. Questo crea molto dolore
e senso di precarietà. Da qui l’angoscia esistenziale, la ricerca di senso, la valutazione
del limite e della morte

Con l’adolescente dobbiamo imparare ad accettare il dolore, aiutandoli a sopportare il


senso di impotenza. E’ importante dare spazio al confronto. Bisogna cercare di
mantenere il proprio punto di vista nei momenti di idealizzazione onnipotente e
sostenerli nei momenti depressivi;. mostrare competenza laddove la si possiede ma
anche provare a sopportare il senso di frustrazione di fronte a problemi non facilmente
risolvibili.

! A sei-sette anni:

Seconda infanzia

Il bambino è autocentrato

Il bambino gioca “in parallelo”

Il bambino fa giochi con regole

Il bambino dice bugie

Il bambino di 6-7 anni:

Seconda infanzia

Introduce la reversibilità nel suo ragionamento

Ragiona in modo astratto


Privilegia la matematica

Ha uno scollamento tra evoluzione biologica e psicologica

L’adolescenza è:

Che cosâÚ lâadolescenza?

È la fase della vita che sta tra i 6 e i 12 anni

E’ la fase della vita che sta tra la pubertà e l’autonomia


adulta

E’ un periodo di crisi

E’ un momento evolutivo tipico delle società occidentali

! Nell’adolescenza:

Che cosâÚ lâadolescenza

Il pensiero è concreto

Nasce il pensiero induttivo

Il sistema limbico è poco sviluppato

L’ambiente socio-culturale influenza lo sviluppo biologico

Il compito evolutivo dell’adolescente è:


Che cosâÚ lâadolescenza

La definizione dell’identità adulta

Usare meccanismi di difesa

Essere impulsivo

Imporre le proprie idee

L’adolescenza:

Adolescenza considerata sociologicamente

E’ uguale in tutte le culture

E’ uguale in tutte le epoche storiche

Dipende fortemente dal contesto culturale e sociale

E’ determinata solo dalla biologia

Per “conflitto generazionale invertito” si intende che:

Adolescenti e adulti

Ai giovani non piacciono i vecchi

I vecchi odiano il mondo giovanile

Gli adulti tendono a mantenere i propri interessi, ritardando


l’accesso dei giovani ai processi produttivi e decisionali
Le generazioni del 900 erano molto conservatrici rispetto a
quelle di oggi

! Il bambino tra i 5 e i 10 anni:

Cosa cambia nellâesperienza tra seconda infanzia,


preadolescenza e adolescenza

È imitativo e dipendente dall’adulto

Vuole l’autonomia dall’adulto

Comincia a sviluppare il gioco cooperativo

Preferisce gli sport singoli a quelli di squadra

! Il pensiero ipotetico-deduttivo:

Cosa cambia nellâesperienza tra seconda infanzia,


preadolescenza e adolescenza

È tipico del bambino scolarizzato

Nasce nella tarda adolescenza (dopo i 18 anni)

E’ presente nell’adolescenza

Dipende dalle competenze matematiche

Il sistema limbico nell’adolescente:


Che cosâÚ lâadolescenza

E’ responsabile della maggiore impulsività

Funziona come sistema di controllo

Si atrofizza e decade nelle sue funzioni

Ha un ruolo nello sviluppo della memoria

43.

Cosa si intende per congizione sociale

Il termine “cognizione” si riferisce all’insieme delle attività attraverso le quali le persone


elaborano le informazioni provenienti dai sensi e dalla memoria. La “Social Cognition”
studia le modalità con cui gli individui attribuiscono un senso alla loro esistenza e
interpretano il comportamento proprio e degli altri; si occupa, quindi, dello studio
scientifico dei processi attraverso cui le persone acquisiscono informazioni
dall’ambiente, le interpretano, le immagazzinano in memoria e le recuperano da essa,

Nella moderna terminologia cognitivista, l’insieme organizzato delle nostre informazioni


o convinzioni su un evento o un’entità qualsiasi prende il nome di “schema”. Gli schemi
sono strutture cognitive attraverso cui vengono organizzate le conoscenze sociali in
memoria e costituiscono i filtri attraverso cui “leggiamo” noi stessi ed il mondo,

I principi cardine della ricerca sulla Cognizione Sociale possono essere così
categorizzati: 1. La realtà non esiste indipendentemente dalla mente che la percepisce
e la modella: l’individuo è un elaboratore attivo di informazioni, le INTERPRETA E le
ORDINA. È UN ORGANISMO PENSANTE CHE UTILIZZA LA PROPRIA ATTIVITÀ
COGNITIVA PER RELAZIONARSI ALL'AMBIENTE IN CUI VIVE

Quattro diverse teorie di uomo come organismo cognitivo pensante

Ricercatore di coerenza (anni 60): Tra gli anni '50 e '60 studiosi come Festinger con la
sua teoria della dissonanza cognitiva (1957) e Heider (1958) autore della teoria
dell'equilibrio propongono una concezione dell'uomo come ricercatore di coerenza teso
a cogliere l'equilibrio, da un lato, tra le credenze che possiede, dall'altro, tra il proprio
sistema di credenze ed i propri comportamenti.

Scienziato ingenuo (anni 70): A partire dagli anni '70, si afferma una nuova
prospettiva che propone una concezione dell'individuo inteso non più come ricercatore
di coerenza, ma come uno scienziato ingenuo.
Lo scienziato ingenuo, al fine di spiegare gli eventi, mette in atto un'analisi cognitiva
delle informazioni riguardanti quegli eventi (es:incontro un amico che mi saluta
freddamente e mi do le seguenti spiegazioni : “probabilmente era di corsa”, oppure “era
preoccupato per qualcosa” o ancora “era imbarazzato dal non rivedermi da tanto”)

Economizzatore di risorse cognitive (anni 80): Successivamente, ci si è resi conto


che l'individuo, avendo a disposizione limitate risorse cognitive, deve ricorrere a delle
strategie di elaborazione delle informazioni, le cosiddette euristiche (dette anche
scorciatoie mentali), che gli consentono di risparmiare tempo e sforzi e,
contemporaneamente, di ottenere delle informazioni sufficientemente attendibili su
quanto sta accadendo attorno a lui.

Stratega motivato (dagli anni 90 ad oggi): In anni più recenti, le ricerche psicosociali
hanno sottolineato che l'individuo, nell'elaborare le informazioni, sceglie le strategie che
preferisce in base alle sue necessità ed ai suoi obiettivi. Il modello di uomo come
economizzatore di risorse cognitive si perfeziona,

Origini del concetto di schema

Le nostre teorie sul mondo sociale o schemi (Bartlett 1932; Markus 1977; Taylor e
Crocker 1981) influenzano profondamente le informazioni che registriamo, su cui
riflettiamo e che, successivamente, ricordiamo. Gli schemi sono strutture cognitive che
organizzano le informazioni su determinati temi o argomenti, come le persone, noi
stessi, i ruoli sociali. Dal momento in cui formiamo uno schema, si producono effetti
interessanti sul modo in cui elaboriamo e memorizziamo nuove informazioni. Esso
agisce da filtro, rifiutando le informazioni che sono contraddittorie o incoerenti rispetto al
tema prevalente

Le ricostruzioni che avvengono in memoria tendono ad essere coerenti con il nostro


schema. Sarà, dunque, più probabile che sceglieremo di attuare dei comportamenti o
fare delle scelte che si concilino con i nostri preconcetti, piuttosto che sulla effettiva
evidenza dei fatti.

FUNZIONE DEGLI SCHEMI

Gli schemi assumono una notevole rilevanza perché riducono l’ambiguità che, a volte,
incontriamo con informazioni suscettibili di più interpretazioni. Le persone
impiegherebbero, dunque, gli schemi per completare le loro lacune informative allorchè
non del tutto sicure di ciò che stanno osservando. Essi ci guiderebbero altresì nella
costruzione di nuove conoscenze (influenzano l’elaborazione, la codifica in memoria e
l’interpretazione delle informazioni) e nella scelta dei comportamenti da mettere in atto
in determinate situazioni (se nella mia mente esiste uno schema che mi dice che una
particolare situazione potrebbe essere pericolosa, sceglierò di mettere in atto dei
comportamenti adeguati a far sì che possa tenermi lontano dall’ipotetica minaccia). Il
vero problema è che le persone spesso vedono il mondo in maniera tale da credere di
aver invocato lo schema giusto anche quando ciò non è esattamente vero. Esistono
diversi tipi di schemi sociali

- Schemi di persone

- Schemi di sé

- Schemi di ruolo

- Schemi di eventi (script)


Gli schemi di persona sono strutture di conoscenza che contengono le informazioni che
ci aiutano a descrivere le persone in base ai loro tratti di personalità e i loro scopi.

Gli schemi di sé sono strutture in cui il soggetto, pensando a se stesso, costruisce


categorie grazie alle quali struttura la propria autocoscienza.

Gli schemi di ruolo definiscono i comportamenti previsti in relazione alle posizioni che le
persone occupano in una data realtà sociale

Gli schemi di eventi contemplano le conoscenze relative al modo con cui ci si comporta
nelle diverse situazioni sociali, comprese le aspettative che abbiamo sul modo in cui si
comporteranno gli altri (scripts o copione).

DETERMINANTI CULTURALI DEGLI SCHEMI

La cultura in cui siamo cresciuti costituisce una fonte fondamentale dei nostri schemi,
che ci guideranno nell’interpretare noi stessi ed il nostro mondo sociale.

Frederic Bartlett (1932) osservò che culture diverse possiedono schemi fra loro molto
differenti in funzione di ciò che è ritenuto importante in quella determinata cultura.

In molte culture occidentali le persone hanno una visione di sé indipendente che esalta
l’individualismo (Kitayama e Markus 1994) : gli occidentali imparano, dunque, a definire
se stessi in chiave di netta separazione dagli altri, valorizzando la loro unicità. Le culture
non occidentali, invece, possiedono una visione di sé interdipendente, in cui viene
valorizzata l’associazione fra le persone. L’indipendenza e l’unicità sono disapprovate.

Problematicità relative all’utilizzo degli schemi: errori e scorciatoie

a. Errori

effetto precedenza (primacy)” [Jones et al., 1968], per cui l’individuo si lascerebbe
influenzare dalle primissime impressioni su un dato evento e, dunque, guidare nelle
interpretazioni successive.

. Altro errore potrebbe essere quello del cosiddetto “effetto recenza (recency)”, per cui
le informazioni ricevute per ultime produrrebbero l’impatto maggiore

Altro errore consueto è quello detto “effetto persistenza” (Ross, Lepper e Hubbard,
1975) che si verificherebbe quando le credenze dei soggetti persistono anche dopo che
ne sono state confutate le prove a sostegno; quando, cioè, nonostante le prove siano
contrarie al mio pensiero, per confermarlo, vado a ritroso nella mia memoria alla ricerca
di fatti accaduti in passato, dove, in circostanze simili, non sono riuscito (o, al contrario,
sono riuscito) in quella determinata performance (commetto un errore a lavoro e non lo
ammetto perché mi ripeto di non aver mai sbagliato in passato in compiti simili).

“profezia che si autoavvera” (Rosenthal e Jacobson, 1968). Questo significa che, anche
quando le persone cercano di relazionarsi agli altri in maniera imparziale e priva di
condizionamenti, sono le loro aspettative ad intromettersi ed a modificarne il
comportamento, il quale, a sua volta, modifica il comportamento della persona con cui
stanno interagendo

b. Scorciatoie

Sovente, le persone, nel compiere delle scelte si avvalgono di scorciatoie mentali che
faciliterebbero le loro decisioni. Non è detto, però, che queste scorciatoie portino
sempre alla scelta migliore. Con il termine “euristica” ci si riferisce, dunque, ad un
insieme di regole che gli individui seguirebbero per formulare giudizi in maniera rapida
ed efficiente (“euristica del giudizio”).

- Euristica della disponibilità: quando formuliamo giudizi sulla base della facilità con cui
riconduciamo esempi alla mente, esempi passati.

- Euristica della rappresentatività (Kahneman e Tversky, 1973): un’altra scorciatoia


mentale viene impiegata quando le persone cercano di categorizzare qualcosa di
nuovo, giudicando quanto questo possa essere simile al loro concetto di caso tipico (

- Euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento (Tversky e Kahneman, 1974) : è una


strategia con cui le persone utilizzano un numero o un valore come punto di partenza e
quindi precisano la loro risposta rispetto ad esso. Spesso però i valori da cui si parte
sono frutto di esperienze personali atipiche, e perciò non sono affatto rappresentative
del reale. Quando si generalizza partendo da un campione di informazioni per arrivare
alla sua totalità, viene messo in atto un processo chiamato campionamento
tendenzioso.

Pensiero automatico e controllato

un tipo di pensiero veloce e automatico, che interviene quando agiamo “senza


pensare”, ovvero senza riflettere coscientemente;

un pensiero controllato, deliberato, che interviene quando dobbiamo prendere decisioni


importanti riguardanti la nostra vita e riflettiamo su queste consapevolmente.

A. IL PENSIERO AUTOMATICO Il pensiero sociale possiede, dunque, un’ importante


proprietà che facilita notevolmente la nostra comprensione del mondo sociale: la
capacità di elaborare informazioni in maniera rapida ed inconscia. Il nostro modo di
pensare può diventare automatico, proprio come le nostre azioni. Quanto più ci siamo
addestrati a pensare in un certo modo, tanto più naturale ed automatico diventa quel
genere di pensiero, fino a potervi accedere senza alcuno sforzo, quasi senza
accorgercene.

l pensiero automatico ci aiuta a comprendere situazioni nuove collegandole alle nostre


esperienze precedenti. Per fare questo utilizziamo gli schemi, ovvero strutture mentali
che organizzano la nostra conoscenza del mondo sociale.

Quando vengono applicati ai membri di un gruppo sociale, al genere o all’etnia, gli


schemi vengono definititi come stereotipi.

Gli schemi inoltre fungono da guide della memoria: la memoria umana è ricostruttiva, e
le persone riempiono gli spazi vuoti con le informazioni coerenti con i propri schemi. La
scelta dello schema da applicare alle diverse situazioni dipende dall’accessibilità.
Esistono due tipi di accessibilità: in base all’esperienza passata: questi schemi sono
sempre accessibili

in base ad un evento contingente che ha fissato uno schema in memoria: in questo


caso l’accessibilità può essere temporanea, e indotta

B. IL PENSIERO CONTROLLATO A frenare e riequilibrare l’elaborazione automatica ci


viene in soccorso l’ “elaborazione controllata”, fatta di pensieri consapevoli, intenzionali,
volontari e deliberati.
Per "Cognizione Sociale" si intende:

Cosa si intende per Cognizione Sociale

Studio scientifico dei processi attraverso cui le persone


acquisiscono informazioni dall’ambiente, le interpretano, le
immagazzinano in memoria e le recuperano da essa, al fine
di comprendere sia il proprio mondo sociale, sia loro stesse,
ed organizzare di conseguenza i propri comportamenti

Quando i pensieri, le emozioni o il comportamento sono in


conflitto tra loro l'individuo prova disagio e tende a eliminare
quelli in contraddizione

Il rapporto tra pensiero ed emozioni

La capacità delle persone di influenzare il contesto su cui si


trovano ad agire

! E’ un principio base della Social Cognition:

I principi base della Social Cognition

L’individuo è un organismo pensante

Il significato della realtà non dipende dal nostro modo di


interpretarla

La cognizione è indipendente dalla motivazione

Gli elementi della realtà non tenderebbero ad essere raccolti


in unità di significato
Per modello di uomo come “scienziato ingenuo” si intende:

I principi base della Social Cognition

Un soggetto che sceglie le sue strategie cognitive più


adeguate ai suoi scopi e alle sue motivazioni

L'individuo, avendo a disposizione limitate risorse cognitive,


deve ricorrere a delle strategie di elaborazione delle
informazioni che gli consentano di risparmiare tempo e
sforzi

Uomo teso a cogliere l'equilibrio, da un lato, tra le credenze


che possiede, dall'altro, tra il proprio sistema di credenze ed
i propri comportamenti

L’individuo al fine di spiegare gli eventi, mette in atto


un'analisi cognitiva delle informazioni riguardanti quegli
eventi

Per “Schemi” si intende:

Le origini del concetto di schema

Strategie di adattamento all’ambiente

Strutture cognitive che organizzano le informazioni su


determinati temi o argomenti, come le persone, noi stessi, i
ruoli sociali

Pensieri controllati

Risposte comportamentali a stimoli sociali


La funzione principale degli schemi è:

Funzione degli schemi: perché esistono?

Garantire la sopravvivenza della specie

Moderare le nostre reazioni emotive

Guidarci nella comprensione della realtà e nella scelta dei


comportamenti

Non farci commettere errori nell’interpretare la realtà

Per “schema di sé” si intende:

Funzione degli schemi: perché esistono?

La rappresentazione di ciò che vorremmo essere

La rappresentazione di ciò che siamo

La rappresentazione di come gli altri ci vedono

La rappresentazione di ciò che siamo stati

! Per “schema di persona” si intende:

Pensiero automatico vs pensiero controllato

Le informazioni che ci aiutano a descrivere le persone in


base ai loro tratti di personalità e i loro scopi
La conoscenza che la persona ha di se stessa

La rappresentazione di come vorremmo fossero gli altri

La rappresentazione di come gli altri ci considerano

Per “profezia che si autoavvera” si intende:

Pensiero automatico vs pensiero controllato

La possibilità di prevedere il futuro

La possibilità di prevenire eventi spiacevoli

La capacità di far avverare i nostri desideri

La possibilità di condizionare i nostri comportamenti in base


alle nostre aspettative sociali

Per “euristica” si intende:

Pensiero automatico vs pensiero controllato

Scommessa

Previsione

Scorciatoia mentale

Aspettativa sociale

! L’ “euristica della rappresentatività” è:


Pensiero automatico vs pensiero controllato

La strategia per cui l’individuo nel rappresentarsi all’interno


di un contesto sociale è facilitato nell’emettere il
comportamento più adeguato per quel contesto

Scorciatoia mentale impiegata quando le persone cercano di


categorizzare qualcosa di nuovo, giudicando quanto questo
possa essere simile al loro concetto di caso tipico

La possibilità di rappresentarci l’altro nella nostra mente

La rappresentazione che ogni individuo ha della società

43. Il pensiero riflessivo: la Metacognizione e la Teoria della Mente

La Metacognizione rappresenta la consapevolezza ed, insieme, la capacità delle


persone di riflettere sui propri stati interni, cognitivi ed emotivi. Tale capacità sarebbe
strettamente collegata alla Teoria della Mente che, allo stesso modo, costituisce l’abilità
di comprendere la mente altrui ed accompagnerebbe il bambino a non confondere il
proprio mondo interno con quello delle altre persone. Queste due funzioni
rappresentano un sistema di monitoraggio che regola il comportamento umano, sociale
e affettivo del futuro adulto

Lo sviluppo della capacità metacognitiva è strettamente legato alle specifiche modalità


con cui il bambino si relaziona alle proprie figure di accudimento. La relazione che il
bambino instaura con il suo caregiver (persona che viene riconosciuta in grado di
prendersi cura di lui ) verrebbe, pertanto,“mentalizzata”, configurandosi come “base” per
comprendere come rispondere affettivamente agli stimoli esterni ed interni

Un deficit nella capacità di mentalizzazione causerebbe nell’individuo una grande


vulnerabilità e a livello affettivo e sociale. Conseguenze importanti potrebbero essere
una ridotta comprensione di sé stessi e dell’altro,

Flavell (1981a, cit. in Flavell et al., 1993) come “ogni conoscenza o attività cognitiva
che prende come oggetto, o regola, ogni aspetto di qualsiasi impresa cognitiva”

Il suo significato centrale è quindi quello di “cognizione della cognizione”. Le prime


ricerche nell’ambito della metacognizione si concentrarono soprattutto sulle abilità di
metamemoria di bambini in età prescolare

Cornoldi (1995) la definisce come “l’insieme delle attività psichiche che presiedono al
funzionamento cognitivo”, ma distingue due ambiti di applicazione: i processi
metacognitivi di controllo, che guidano l’effettivo funzionamento cognitivo e la
conoscenza metacognitiva (o metaconoscenza) sul funzionamento mentale.

La conoscenza metacognitiva si riferisce all’insieme delle idee che un individuo


possiede sul funzionamento mentale; è costituita da quelle credenze e conoscenze
conservate nella memoria a lungo termine aventi come oggetto gli atti della mente
umana.

Mentre la capacità razionale è presente anche nelle specie inferiori la capacità di


pensare i propri pensieri, i propri comportamenti i propri sentimenti in modo critico è una
prerogativa strettamente umana. Stiamo parlando dell’autocoscienza.

I processi metacognitivi di controllo si sviluppano in interazione con la


metaconoscenza e consistono nell’osservazione, monitoraggio e autoregolazione dei
processi cognitivi.

Es: devo preparare un esame in nemmeno due settimane e, dato il pochissimo tempo a
disposizione (consapevolezza della situazione problematica), valuto la necessità di
creare un programma di studio intensivo, magari avvalendomi anche della
collaborazione dei miei colleghi, al fine di raggiungere il risultato sperato, quello ciòè di
superare l’esame al meglio delle mie possibilità (pianificazione)

Semerari e i suoi collaboratori (Semerari, 1999) hanno proposto una valutazione delle
funzioni metacognitive a partire da una suddivisione delle stesse in

quattro sottoclassi organizzate in modo gerarchico (in relazione al grado di complessità


implicato nella conoscenza del proprio funzionamento mentale):

autoriflessività, comprensione della mente altrui, decentramento e mastery.

3.1. Autoriflessività

L’autoriflessività “si riferisce alla capacità dell’individuo di rappresentare eventi mentali


e di compiere operazioni cognitive euristiche sul proprio funzionamento mentale” (ibid.).

Questa capacità comprende:

1. la capacità dell’individuo di percepirsi e riconoscersi come vita mentale separata e


autonoma “Io penso questo ... tu pensi quest’altro”

2. capacità di pensare i propri pensieri ed emozioni “io penso che sei buono… sono
contento di pensare che sei buono”

3. capacità di mettere in relazione se stesso e l’ambiente circostante “mi sto


comportando bene e noto che questo ti fa piacere

Comprensione della mente altrui Comprensione della mente altrui e decentramento


sono implicati entrambi nella comprensione del funzionamento mentale dell’altro, ma
utilizzano meccanismi differenti.

Questa capacità comprende:

1) la capacità di riconoscere nell’altro l’esistenza di una mente autonoma “tu pensi


questo…”;

2) la capacità di distinguere tra ciò che l’altro pensa e ciò che prova “ l’altro pensa
questo e prova (sentimento) questo…”

3) la possibilità di considerare come soggettive ed ipotetiche le proprie rappresentazioni


circa il funzionamento mentale dell’altro “Marco mi ha salutato freddamente quando mi
ha visto stamattina…forse era preoccupato per qualcosa” è

Decentramento Rispetto alla funzione sopra descritta, nel decentramento l’individuo


percepisce in modo consapevole ciò che è soggettivo, riuscendo a discriminare le
proprie operazioni cognitive da quelle altrui e di non essere al centro dei pensieri e dei
sentimenti dell’altro, il quale è mosso da scopi e motivazioni in gran parte indipendenti
dalla relazione con il soggetto stesso. Colui che riesce a decentrare riconosce il proprio
punto di vista e lo colloca tra gli altri possibili. Nella capacità di comprendere la mente
altrui, invece, le caratteristiche del funzionamento cognitivo vengono inferite
esclusivamente in maniera egocentrata senza differenziazione e reciprocità.

. Mastery La funzione di mastery si riferisce alla “capacità dell’individuo di


rappresentare ambiti psicologici in termini di problemi da risolvere e di elaborare
strategie adeguate alla risoluzione del compito a livelli crescenti di complessità” (ibid.).

La Metacognizione e la Psicologia Sociale Questa capacità si sviluppa all’interno di una


relazione duale prima e sociale dopo. Essa influenza notevolmente l’organizzazione
delle società umane che di fatto, grazie a questa funzione, sono molto più efficienti e
complesse di quelle animali.

Come ovvia conseguenza si verifica che negli ambienti socialmente più avvantaggiati le
famiglie utilizzano di più la riflessione e la comunicazione come scambio di riflessioni

La teoria della mente

I concetti di “Metacognizione” e “Teoria della Mente” hanno conosciuto un forte sviluppo


nell’ambito delle scienze cognitive degli ultimi trent’anni. In particolare, per “Teoria della
Mente” si intende un settore di ricerca sviluppatosi a partire dagli studi sulla capacità
degli scimpanzé di prevedere il comportamento di un attore umano in situazioni
finalizzate verso uno scopo.

il concetto di “Teoria della Mente” è strettamente connesso a quello più generale di


“Metacognizione” (“cognizione della cognizione”); ovvero, la Teoria della Mente sarebbe
un aspetto specifico di più ampie “capacità metacognitive” acquisite nel corso dello
sviluppo ontogenetico.

Sviluppo della Teoria della Mente Gli scimpanzé hanno una Teoria della Mente? In altre
parole, sono in grado di attribuire stati mentali a sé e agli altri? Nel loro articolo (“Does
the chimpanzee have a Theory of Mind?”), Premack e Woodruff (1978) dimostrarono
che scimpanzé addestrati al linguaggio sono in grado di mettere in atto comportamenti
intenzionali e quindi di stabilire una connessione tra le proprie azioni e gli scopi altrui.
Tuttavia non riescono ad attribuire stati mentali ad altri conspecifici. E’ probabile che i
primati non umani si limitino al “tentativo di influenzare quello che l’altro fa (il
comportamento), ma non provano ad influenzare ciò che l’altro crede”

L’acquisizione di una Teoria della Mente è, quindi, una prerogativa della mente umana
normale. Dagli studi sulla comprensione del funzionamento mentale dei primati presero
avvio molte ricerche sul compito della falsa credenza

Questa nozione è diventata un criterio evolutivo molto importante per stabilire in che
momento i bambini sviluppano completamente una Teoria della Mente strutturalmente
simile a quella adulta. Heinz Wimmer e Joseph Perner (1983) furono i primi a utilizzare
una procedura sperimentale per verificare la capacità di “comprendere la nozione di
falsa credenza”: il False Belief Task

ricerca evolutiva ha dimostrato che verso i quattro anni i bambini normali distinguono
chiaramente lo stato reale delle cose (“la cioccolata è sotto la seconda tazza”) dalla
rappresentazione del personaggio (“la cioccolata è sotto la prima tazza”) e predicono il
comportamento del personaggio non in funzione dello stato di fatto, ma in funzione della
rappresentazione mentale che gli attribuiscono. In altre parole intorno ai quattro anni di
età il bambino riesce a rappresentarsi che l’oggetto verrà cercato dove il personaggio
crede che sia e non dove realmente è. Questi bambini differenziano bene le loro
rappresentazioni da quelle altrui in situazioni di “falsa credenza di primo ordine”.

Wimmer e Perner (1983) conclusero che tali risultati non potevano essere attribuiti
soltanto all’“effetto collaterale di un aumento delle capacità di memoria e di
elaborazione centrale”, ma andavano collegati all’emergere di una “nuova abilità
cognitiva”. La capacità di comprendere relazioni rappresentazionali di falsa credenza
sembra essere universale e indipendente dalla cultura, all’interno di un processo
evolutivo più generale, che sembra indicare che verso questa età i bambini normali
sviluppano quella struttura essenziale del sistema di concetti e inferenze mentalistiche
che è detto “Teoria della Mente”. Tuttavia, è possibile riconoscere in alcune abilità già
presenti nei primi due anni di vita gli antecedenti di tale funzione metacognitiva.

Se si guarda allo sviluppo del bambino prima dei quattro anni è possibile individuare
nell’attenzione preferenziale del neonato per il comportamento umano un prerequisito
essenziale per lo sviluppo di una Teoria della Mente. Alla nascita infatti, il cucciolo
d’uomo si rivolge preferibilmente a quegli stimoli che presentano elementi disposti a
forma di volto.

Con l’interazione sociale si viene a realizzare un’attenzione condivisa mediante il


contatto visivo. L’“attenzione condivisa” (Baron-Cohen, 1989, 1991, cit. in Camaioni,
1995) e la “comunicazione intenzionale di tipo proto-dichiarativo” (Camaioni, 1992,
1993 e Gomez, 1991, cit. in Camaioni, 1995) sono due importanti precursori della
Teoria della Mente alla fine del primo anno di vita. Nelle comunicazioni proto-imperative
il bambino utilizza l’attenzione condivisa (indicando o usando lo sguardo) come mezzo
per ottenere un oggetto attraverso una richiesta nonverbale.

Non si tratta più soltanto di influenzare il comportamento dell’altro, ma l’indicazione


proto-dichiarativa ha lo scopo di modificare l’attenzione o lo stato mentale di un’altra
persona.

Secondo Baron-Cohen (1994, cit. in Camaioni, 1995) proprio il mancato sviluppo della
comunicazione intenzionale nei bambini autistici, porta a ipotizzare che il meccanismo
dell’attenzione condivisa sia un precursore fondamentale per il successivo sviluppo di
una Teoria della Mente.

Sempre verso la stessa età si può inoltre osservare quello che viene definito
“riferimento sociale”: il bambino è in grado di utilizzare la madre come base per
decodificare la valenza emozionale di un evento nuovo o sconosciuto e utilizza la sua
reazione emotiva per la propria azione (Klinnert et al., 1983, cit. in Camaioni, 1995) [ES:
“Se mamma si mostra spaventata, vuol dire che ciò che è successo è pericoloso”]

Verso i diciotto mesi compare un altro precursore della Teoria della Mente: il gioco
simbolico. Il gioco simbolico consiste nella capacità di utilizzare oggetti o situazioni
presenti in funzione di altri non presenti

Un altro aspetto legato all’acquisizione di una Teoria della Mente riguarda la


manifestazione del pensiero narrativo intorno ai ventiquattro mesi. Tale paradigma è
stato sviluppato da Bruner e Feldman (1993), che lo hanno definito come la capacità di
interpretare narrativamente la realtà.

POSTULATI DI BASE DELLA TEORIA DELLA MENTE

- la mente esiste (“Io penso…l’altro pensa…)

- la mente ha connessioni con il mondo fisico

- la mente è separata dal mondo fisico e differisce da esso


- la mente può rappresentare gli oggetti e gli eventi in maniera accurata o non accurata

PRINCIPALI APPROCCI TEORICI

Alla base delle spiegazioni relative allo sviluppo metacognitivo del bambino, si dividono
due grandi filoni di ricerca: la prospettiva interindividuale e quella sociale.

Prospettiva interindividuale

Teoria modularista: meccanismi innati specializzati, che si attivano a seguito della


maturazione biologica, riconducibili a specifiche aree del cervello (Leslie, 1994).

Teoria della teoria (Theory theory) Bambino come piccolo scienziato che avanza
supposizioni che utilizza per dare significato alla propria esperienza; a fronte di prove
contrarie riformula nuove ipotesi (Meltzoff, 1997).

• Teoria della simulazione Il bambino utilizza l’esperienza come fonte di conoscenza dei
propri stati interni. Quando vede un adulto o un compagno compiere certe azioni vi
attribuisce il medesimo significato come se fosse lui a compiere quelle azioni. Poiché è
in grado di identificarsi con l’altro

Teoria, quest’ultima, avvalorata dalla scoperta dei neuroni mirror o specchio

PROSPETTIVA SOCIALE

Nel corso degli ultimi anni, gli studi sulla metacognizione si sono spostati dalla ricerca di
una definizione chiara di Teoria della Mente e del suo sviluppo verso l’osservazione di
quei fattori in grado di influenzare tale sviluppo.

L’intelligenza cognitiva nascerebbe, dunque, dalle esperienze socio-relazionali del


bambino, secondo la cosiddetta “Concezione multilaterale” che definisce la Teoria della
Mente un’impresa relazionale che si struttura all’interno dei contesti emotivamente
significativi per il bambino (famiglia e scuola).

Famiglia e scolarizzazione fondamentali

John Bowlby (1969), ideatore della “Teoria dell’Attaccamento”, aveva osservato che le
esperienze precoci del bambino, relative alle sue figure di attaccamento (genitori ed, in
particolar modo, la madre), sono di particolare importanza per le loro implicazioni sulla
padronanza di sé, sulla regolazione emotiva e sulla vicinanza interpersonale.

ES: “Se mamma si prende cura di me, anche gli altri lo faranno”.Il bambino si
rappresenterà se stesso (CHI SONO?), il mondo e gli altri, in base a come la madre
(mondo del neonato) sarà stata in grado di rispondere ai suoi bisogni (“Se mamma mi
cura, vuol dire che valgo; se valgo per mamma, vuol dire che valgo per tutti.

Inoltre, attraverso il comportamento del caregiver nei primi mesi di vita il bambino si
sposta progressivamente da un modello riflessivo comportamentale ad uno
mentalistico. Questo passaggio avviene tramite l’interazione con il genitore, che dà
rilevanza e attenzione agli stati interni e sintonizza i suoi comportamenti alle risposte e
ai bisogni del piccolo,realtà osservabile e stati mentali sottostanti (Fonagy e Target,
1997). Anche il linguaggio è un forte mediatore tra realtà interna e comportamento
osservabile. Scambi comunicativi orientati metacognitivamente possono facilitare lo
sviluppo di una Teoria della Mente e delle conoscenze metacognitive generali del
bambino.
Nel bambino, lo sviluppo della metacognizione, conosciuta anche come funzione
riflessiva del Sé, ha inizio durante l’infanzia, momento evolutivo in cui avviene
gradualmente un passaggio dai modelli mentali teleologici a quelli mentalizzati: tale
passaggio dipende principalmente dalla qualità delle relazioni interpersonali tra il
bambino e l’adulto che si prende cura di lui. La mentalizzazione, infatti, fa parte di un
processo intersoggettivo tra bambino e adulto di riferimento (generalmente la madre), e
avviene attraverso l’esperienza che il bambino fa di quanto i propri stati mentali siano
stati capiti e pensati grazie a interazioni affettuose con il genitore;

Per “Metacognizione” si intende:

La Metacognizione

Attività di riflessione sui processi cognitivi, sulla loro natura e


sul modo in cui si verificano

Consapevolezza di una situazione come problematica

Memoria a lungo termine

Consapevolezza della meta, dell’obiettivo

La capacità autoriflessiva comprende:

AutoriflessivitÃ

La capacità di riflettere sugli stati mentali dell’altro

La capacità di riflettere sui propri stati mentali

La capacità di risolvere problemi

La capacità di essere al centro dei propri pensieri

! La capacità di comprensione della mente altrui comprende:


Comprensione della mente altrui

La capacità di leggere nella mente dell’altro

La capacità di anticipare le reazioni dell’altro

La capacità di riconoscere nell’altro l’esistenza di una mente


autonoma

La capacità di comprendere che l’altro pensi e provi ciò che


proviamo noi

Per “Teoria della Mente” si intende:

La Teoria della Mente e la relazione sociale

La capacità di comprendere la mente altrui

La capacità di accedere ai propri desideri

La capacità di attribuire a sé e agli altri pensieri ed emozioni

La capacità di distinguere fra ciò che penso e ciò che provo

! La capacità di comprendere relazioni rappresentazionali di


falsa credenza nel bambino si sviluppa all’età di:

Sviluppo della Teoria della Mente

1 anno
2 anni

3 anni

4 anni

E’ un precursore della “Teoria della Mente”::

Precursori della Teoria della Mente

Attenzione al proprio corpo

Gioco simbolico

Pensiero magico

Pensiero logico

Un buon funzionamento metacognitivo è maggiormente


correlato a:

Principali approcci teorici

Stile di attaccamento sicuro

Stile di attaccamento insicuro

Bassa espressività emotiva del caregiver

Stile genitoriale autoritario

Aspetto del contesto scolastico che influirebbe sul


funzionamento metacognitivo del bambino:

Principali approcci teorici

L’inserimento precoce

Il rendimento

La velocità di apprendimento

La relazione bambino-insegnante

Per “attaccamento sicuro” si intende:

Stili di attaccamento e funzionamento metacognitivo

Una relazione madre-bambino fondata sulla capacità della


prima di rispondere adeguatamente ai bisogni del piccolo

Rapporto simbiotico tra madre e figlio

La capacità del bambino di leggere gli stati mentali della


madre

La capacità della madre di tenere sempre il bambino al


sicuro dai pericoli

!! La capacità metacognitiva del bambino dipenderebbe dalla


cultura di appartenenza:

Sviluppo della Teoria della Mente


Vero

Falso

Solo se si parla di culture occidentali

Dipende dalla cultura

44.

Le emozioni nelle relazioni sociali

Secondo la prospettiva evoluzionistica (Darwin 1872) gli stati emotivi guidano il nostro comportamento
secondo due principi vitali: quello dell’auto-conservazione e quello della salvaguardia della specie. Le
emozioni, infatti, svolgono fondamentali funzioni adattive:

Determinano le risposte fisiologiche, cognitive e comportamentali adeguate ad affrontare la situazione


che le ha determinate: per esempio la paura predispone fisicamente e mentalmente ad un evitamento
dell’evento che l’ha suscitata; l

Regolano le relazioni interpersonali ed affettive con gli altri:

Per meglio comprendere la grande influenza delle emozioni sulla mente razionale- e capire come mai il
sentimento e la ragione entrino in conflitto così tanto facilmente- bisogna considerare il modo in cui si è
evoluto il cervello umano. Nell’arco di milioni di anni di evoluzione il cervello ha sviluppato i suoi centri
superiori elaborando e raffinando le aree inferiori, più antiche. La parte più primitiva del cervello, che
l’uomo ha in comune con tutte le specie dotate di un sistema nervoso relativamente sviluppato, è il
tronco cerebrale. Esso regola funzioni vegetative fondamentali come il respiro e il metabolismo degli
altri organi, le reazioni e i movimenti stereotipati. Non si può affermare che questo cervello sia in grado
di pensare o di apprendere; piuttosto si tratta di una serie di centri regolatori programmati per
mantenere il corretto funzionamento e l’appropriata reattività dell’organismo, in modo da assicurarne la
sopravvivenza. Da questa struttura molto primitiva, il tronco cerebrale, derivano i centri emozionali.
Poiché questa parte del cervello circonda e delimita il tronco, venne chiamata “sistema limbico” (dal
latino limbus, “anello”). Dunque quando siamo stretti nella morsa del desiderio o dell’ira, follemente
innamorati o terrorizzati a morte, siamo in balia del sistema limbico. Milioni di anni dopo, nel corso
dell’evoluzione, da questi centri emozionali si evolsero le aree del cervello pensante, ossia la
“neocorteccia”. Il fatto che il cervello pensante si sia evoluto da quello emozionale ci dice molto sui
rapporti tra pensiero e sentimento: molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello
emozionale. Quando si evolse, il sistema limbico perfezionò due strumenti potenti: l’apprendimento e la
memoria. Queste conquiste consentivano ad un animale di essere più intelligente nelle sue scelte per
la sopravvivenza: se un tipo di cibo si era rivelato nocivo la volta successiva poteva essere evitato.
Questa nuova componente del cervello, la neocorteccia, consentì l’aggiunta di altrettante nuove
sfumature alla vita emotiva. Prendiamo ad esempio l’amore. Le strutture limbiche generano sentimenti
di piacere e di desiderio- ossia, le emozioni che alimentano la passione sessuale. Ma fu l’aggiunta della
neocorteccia e delle sue connessioni con il sistema limbico, a permettere il legame affettivo madrefiglio
e cioè quel sentimento che rende possibile lo sviluppo umano rappresentando la base dell’unità
familiare e della dedizione a lungo termine necessaria per allevare i figli.

negli schizofrenici tali connessioni non funzionino bene infatti questi soggetti non sanno controllare le
loro emozioni, diventando in alcuni casi molto aggressivi o spaventati. Allo stesso modo anche gli
adolescenti non hanno ancora ben definito i collegamenti tra la neocorteccia e sistemi sottocorticali ed
è normale quindi nel loro caso parlare di immaturità emotiva. L’amigdala, che fa parte del sistema
limbico, è coinvolta nella risposta emotiva; se viene resecata dal resto del cervello, il risultato è
un’evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi- condizione che viene a
volte indicata con l’espressione “cecità affettiva”. I soggetti con l’amigdala resecata, ad esempio,
possono descrivere una città, una persona, ma non sono più in grado di dire se a loro questa città piace
oppure no: viene persa la connotazione emotiva.

Le emozioni tra innatismo e apprendimento

Nel corso degli anni sono stati vari gli autori che con le loro teorie e i loro studi sperimentali hanno
deposto a favore dell’innatismo delle espressioni emotive. Secondo Darwin, alcune emozioni primarie
vengono espresse attraverso il volto in modo identico in tutte le culture del mondo. Anche Lorenz nel
1965, dedicandosi allo studio degli animali, ha sostenuto l'innatismo delle emozioni, ritenendo che negli
animali e negli esseri umani ci sono espressioni emotive e atteggiamenti molto simili. Altrettanti studi
hanno tuttavia confermato che sono anche, e soprattutto, fattori socioculturali ad influire sul modo in cui
le persone manifestano le proprie emozioni

Eckman elabora una teoria bilanciata tra genetica ed apprendimento e ritiene che, nonostante siano
fondamentali i fattori innati, sicuramente i processi di socializzazione incidono sul nostro modo di vivere
le emozioni (ad esempio il mascheramento delle emozioni non è un processo innato ma il risultato di un
apprendimento culturale). Nel suo esperimento “multietnico” su due gruppi culturalmente diversi di
soggetti (americani e giapponesi) scopre che l’atteggiamento emotivo di tutti i partecipanti in assenza
dello sperimentatore nella stanza è relativamente simile. In presenza dello sperimentatore, tuttavia, i
giapponesi sembrano essere un popolo molto più “inibito” da un punto di vista emotivo: questo dimostra
l’ effetto dell’influenza sociale sul vissuto emotivo

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole piani di azione dei quali ci ha
dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. Nel nostro repertorio, ogni
emozione ha un ruolo unico:

• Quando siamo in collera, il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un’arma o
afferrare un pugno all’avversario;

Se abbiamo paura, il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli delle gambe,
rendendo così più facile la fuga

Nella felicità, uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale
che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilità di energia, insieme all’inibizione di centri che
generano pensieri angosciosi.

• L’amore, i sentimenti di tenerezza e la soddisfazione sessuale comportano il risveglio del sistema


parasimpatico; in altre parole, si tratta della mobilitazione opposta a quella che abbiamo visto nella
reazione di “combattimento o fuga ”tipica della paura e della collera. Si attiva una risposta di
“rilassamento”

Nella sorpresa il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più ampia e di far
arrivare più luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni
sull’evento inatteso

In tutto il mondo l’espressione di disgusto è la stessa, e invia il medesimo messaggio: qualcosa offende
il gusto o l’olfatto, anche metaforicamente. Come già aveva osservato Darwin, l’espressione facciale
del disgusto- il labbro superiore sollevato lateralmente mentre il naso tende ad arricciarsi- indica il
tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso

La tristezza ha la funzione di farci adeguare ad una perdita significativa, ad esempio a una grande
delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino
Ad esempio, la perdita di una persona amata suscita universalmente tristezza e dolore. Ma il modo in
cui esterniamo il nostro lutto- il modo in cui le nostre emozioni sono esibite in pubblico o trattenute in
modo da esprimerle solo in privato- è forgiato dalla cultura.

L’intelligenza emotiva è stata trattata la prima volta nel 1990 dai professori Peter Salovey e John D.
Mayer nel loro articolo “Emotional Intelligence”. Definiscono l’intelligenza emotiva come “La capacità di
controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste
informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”.

Conoscenza delle proprie emozioni: L’autoconsapevolezza- in altre parole la capacità di riconoscere un


sentimento nel momento in cui esso si presenta- è la chiave di volta dell’intelligenza emotiva

Controllo delle emozioni: la capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati si
fonda sull’autoconsapevolezza.

Motivazione di se stessi: la capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo è una dote
essenziale per concentrare l’attenzione, per trovare motivazione e controllo di sé. I

Riconoscimento delle emozioni altrui: l’empatia, un’altra capacità basata sulla consapevolezza delle
proprie emozioni, è fondamentale nella realizzazione con gli altri

Gestione delle relazioni: l’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di dominare le
emozioni altrui

Intelligenza emotiva e Q.I. sono indipendenti ma connessi, non sono separati.

Differenze interpersonali

Meyer ritiene che le persone siano classificabili in diverse categorie a seconda del modo in cui
percepiscono e gestiscono le proprie emozioni:

- Gli autoconsapevoli: Consapevoli dei propri stati d’animo nel momento in cui essi si presentano,
queste persone sono comprensibilmente alquanto sofisticate riguardo alla propria vita emotiva.

- I sopraffatti: Si tratta di persone spesso sommerse dalle proprie emozioni e incapaci di sfuggir loro,
come se nella loro mente loro avessero preso il sopravvento.

- I rassegnati: Sebbene queste persone abbiano spesso idee chiare sui propri sentimenti, anch’esse
tendono tuttavia ad accettarli senza cercare di modificarli. Sembra che in questa categoria rientrino due
tipi di soggetti: in primo luogo quelli che solitamente hanno stati d’animo positivi e perciò sono
scarsamente motivati a modificarli; e in secondo luogo coloro che, nonostante siano chiaramente
consapevoli dei propri stati d’animo, e siano suscettibili a sentimenti negativi, tuttavia li accettano
assumendo un atteggiamento di laissez-faire

Generalmente le persone possono essere divise, da un punto di vista emozionale, in due grandi
macrocategorie: appassionate e indifferenti. Per alcune persone la consapevolezza delle emozioni è
travolgente, mentre per altri a mala pena esiste

In alcuni casi estremi, gli autori hanno parlato di “alessitimia”: la difficoltà o anche l’incapacità di alcune
persone ad esprimere verbalmente i propri stati emotivi e le emozioni che vengono sperimentate

Secondo la prospettiva evoluzionistica (Darwin 1872) gli stati emotivi guidano


il nostro comportamento secondo due principi vitali:
La funzione adattiva delle emozioni

A Quello dell’auto-conservazione e quello della salvaguardia della specie

B Quello dell’autoconservazione e dell’ empatia

C Quello della salvaguardia della specie e dell’empatia

D Quello dell’empatia e della gestione delle relazioni sociali

! La parte più primitiva del cervello è:

2 Emozioni e cervello

A Il sistema limbico

B L’amigdala

C Il tronco cerebrale

D La neocorteccia

La “cecità affettiva” è provocata dalla rimozione:

3 Emozioni e cervello

A Di alcune aree corticali

B Dell’amigdala

C Del tronco cerebrale


D Del corpo calloso

Nel suo esperimento sulle emozioni, Ekman dimostra che i giapponesi sono:

4 Le emozioni tra innatismo e apprendimento

A Più indipendenti degli americani

B Più estroversi degli americani

C Più aggressivi degli americani

D Più inibiti degli americani

Nel nostro repertorio, ogni emozione ha un ruolo unico: Quando siamo in


collera:

5 Emozione e azione

A La frequenza cardiaca aumenta

B La frequenza cardiaca diminuisce

C I muscoli si rilassano

D Produciamo meno adrenalina

L'intelligenza emotiva :

6 Lâintelligenza emotiva
A E' un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare,
comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni

B Serve a salvaguardarci dall’ aggressività dell’altro

C Serve a contenere le nostre reazioni emotive

D Non è necessaria per comprendere le emozioni degli altri

! Il quoziente intellettivo e l’intelligenza emotiva:

7 Lâintelligenza emotiva

A Sono concetti separati

B Non sono concetti separati

C Sono la stessa cosa

D Non ci consentono di comprendere le emozioni dell’altro

La mindfulness:

8 Lâintelligenza emotiva

A Aumenta l’autoconsapevolezza

B Diminuisce l’autoconsapevolezza

C Aumenta l’intensità delle nostre emozioni

D Aumenta la frequenza cardiaca e il tono muscolare


I laissez-faire sono le persone:

9 Differenze interindividuali

A Rassegnate

B Auto consapevoli

C Sopraffatte

D Capaci di gestire le proprie emozioni

La rabbia è evitata:

10 Le emozioni e la cultura

A Nella cultura occidentale

B In Italia

C Nella cultura orientale

D In sud America

45.

Le emozioni primarie

Gioia , amore, tristezza, rabbia, paura sono definite emozioni primarie. Tali emozioni sono identificate
come primarie perché ritenute Ognuna di queste emozioni può variare di intensità creandosi così delle
sfumature diverse che si

distribuiscono secondo un continuum di tipo verticale come nell’esempio che segue:alla base delle
emozioni più sociali e complesse che da loro vengono determinate. Alcuni autori a queste prime
emozioni uniscono il disgusto, l’interesse e la sorpresa. In questa sede, tratteremo le prime: la gioia,
intesa come amore, la tristezza, la rabbia e la paura. Le emozioni secondarie o sociali sono la
vergogna, la gelosia, la colpa, l’orgoglio, la competizione e la timidezza e sono strettamente dipendenti
dalla cultura e dall’educazione ricevuta. Per alcuni autori, è dalla combinazione delle emozioni primarie
che derivano le altre. Uno studioso che si è particolarmente dedicato alle emozioni è Robert Plutchik
(1928-2006) (7). Egli distinse le emozioni in primarie e complesse. Il suo punto di partenza è di natura
evolutiva. Infatti la tesi su cui si fondano le sue ricerche è che le emozioni siano risposte evolutive per
consentire alle specie animali di sopravvivere (Plutchik, 1980)

Argomenta infatti che ognuna delle emozioni primarie agisce come interruttore per un comportamento
con un alto valore di sopravvivenza (es. paura: risposta di lotta-o-fuga / fight-or-flight response). Per
l’autore, ogni emozione primaria ha il suo opposto e dalle intersecazioni di queste ultime nascerebbero
le secondarie

La ruota delle emozioni da lui creata evidenzia gli opposti e l’intensità delle emozioni, via via
decrescente verso l’esterno, più i vari stati intermedi (decrescendo di intensità le emozioni si mescolano
sempre più facilmente)

Otteniamo così il fiore di Plutchik

Dove il secondo cerchio contiene le emozioni primarie (in senso orario dall’alto: gioia, fiducia, paura,
sorpresa, tristezza, disgusto, rabbia, anticipazione). Nel cerchio centrale abbiamo le manifestazioni di
maggiore intensità di ognuna delle emozioni primarie (rispettivamente: estasi, ammirazione, terrore,
stupore, angoscia. schifo, collera, vigilanza). Nel cerchio più esterno invece ci sono le corrispondenti
manifestazioni di minore intensità (rispettivamente: serenità, accettazione, apprensione, distrazione,
pensosità, noia, irritazione, interesse). Le emozioni poi si combinano tra loro.

Come si stimolano le emozioni?

. La prima teoria chiara e coerente sull’emozione è quella elaborata da James (1884); nella visione di
James l’emozione è vista come il risultato di una pregressa modificazione di parametri fisiologici. Gli
elementi valutativi-cognitivi non precedono le risposte espressivo-motorie ma, al contrario, queste
ultime determinano i primi. James propose per primo una definizione empirica e verificabile di
emozione; egli ritenne di identificare l’emozione nel «sentire» le modificazioni periferiche dell’organismo
(teoria periferica o teoria del feedback); di conseguenza: «non tremiamo perché abbiamo paura, ma
abbiamo paura perché tremiamo». James propone una radicazione biologica dell’emozione (concetto di
attivazione fisiologica), soprattutto nei visceri. Diverse furono le teorie cognitive. Una delle prime teorie
cognitiviste dell’emozione è stata quella formulata da Magda Arnold (Arnold, 1960; Mandler, 1982;
Sommers e Scioli, 1986). La sua teoria della valutazione cognitiva suggerisce che quando ci
imbattiamo per la prima volta in una situazione la valutiamo spontaneamente come buona o cattiva,
utile o dannosa. Secondo Arnold le valutazioni, a loro volta, introducono delle "tendenze ad agire".

Le emozioni sono causate da fattori interni cosi come da fattori esterni; interni come ricordi, pensieri,
sensazioni che possono anche farci stare male o esterni come il lavoro, la scuol

3 Analisi particolareggiata delle diverse emozioni Di ciascuna emozione valuteremo cos’è e quali sono
gli schemi senso-motori ad essa associati (in linea di massima, per imparare a leggerli nel corpo degli
altri) e come possono esserci utili anche quando non ci sono riferiti e gli altri non li raccontano e capire
a cosa serve un emozione.

“Quello che caratterizza di più gli esseri umani”. La paura è il sentimento che ci accompagna di più nel
percorso della vita. La nostra vita è costantemente in pericolo per questo la paura ci protegge. A cosa
serve in realtà la paura : ci invita alla prudenza

Nella paura, il sistema muscolare può collassarsi fino allo svenimento o irrigidirsi fino alla paralisi. Il
cuore batte più forte , la pelle diventa bianca e bagnata dal sudore. Il sudore è freddo.

La rabbia è un emozione che ci difende: è difensiva. Tu mi stai attaccando, io mi difendo attaccandoti.


Ci rende autnonomi e differenziati
a gioia è il sentimento della comunione profonda. Ci incontriamo con gli altri grazie alla gioia. Sono qui,
sono con te, sono con me; riesco a godermi il momento sia rispetto a quello che sento, sia rispetto a
quello che senti tu.

La tristezza ci rende autonomi. Questo è il sentimento della separazione .I bambini aboliscono la


tristezza perché ne hanno molta paura. Questo perché hanno paura della solitudine, dell’ autonomia,
vivendola come un sentimento pericoloso. I bambini quando non riescono a farti sorridere tendono a
provocarti perché tra la tristezza e la rabbia preferiscono la rabbia. Molti adulti che non hanno imparato
a vivere la tristezza tentano di provocare, trasformando la loro tristezza in un sentimento a loro più
conosciuto e che riescono a tollerare e a vivere.

Le persone sagge vivono una sana tristezza con una prospettiva di speranza; chi raggiungere la
capacità di vivere una sana tristezza può dire di essere saggio

Abbiamo emozioni che definiamo vere e incarnatw ovvero congrue al contesto e recitate quando
mettiamo un’emozione al posto di un’altra per paura di mostrarsi.

Le emozioni possono quindi essere

Chiare e differenziate, miste, confuse o ambivalenti, vere, incarnate, di copertura o recitate

Le emozioni primarie sono:

1 Le emozioni primarie

A Gioia , tristezza, rabbia, paura

B Vergogna, gelosia, colpa, orgoglio, competizione, timidezza

C Gioia, vergogna, colpa, paura

D Tristezza, rabbia, disgusto, sorpresa

Le emozioni secondarie o “sociali” sono:

2 Le emozioni primarie

A Gioia , tristezza, rabbia, paura


B Vergogna, gelosia, colpa, orgoglio, competizione, timidezza

C Gioia, vergogna, colpa, paura

D Tristezza, rabbia, disgusto, sorpresa

! Attualmente cosa è ritenuto essere alla base delle emozioni:

3 Cosa stimola le emozioni

A La modificazione dei parametri fisiologici

B L’ambiente che ci circonda

C La valutazione che l’individuo fa degli eventi

D Cognizione ed emozioni si influenzano reciprocamente

A cosa serve la paura:

4 La paura

A La paura è il sentimento che ci fa avere consapevolezza dei nostri limiti,


rispetto ad un ostacolo pericoloso per noi e ci aiuta ad evitarlo o ad
affrontarlo nel migliore dei modi e nella salvaguardia della nostra incolumità

B A non farci sperimentare situazioni nuove

C A renderci autonomi

D A renderci separati e differenziati dal contesto che ci circonda


A cosa serve la rabbia:

5 La rabbia

A A tenerci lontani dai pericoli

B A tenere lontani gli altri

C A renderci autonomi e differenziati

D A distruggere e spaccare tutto

Gli schemi sensomotori della tristezza sono:

6 La tristezza

A Muscoli estremamente rilassati e corpo in posizione di chiusura/ritiro

B Agitazione e tensione in tutto il corpo

C Muscoli paralizzati e respiro affannoso e corto

D Corpo rilassato, respiro profondo, leggera tensione a livello neurovegetativo

Le emozioni possono essere:

7 Come possono essere le emozioni

A Positive e negative

B Chiare e differenziate, miste, confuse o ambivalenti


C Vere, incarnate, di copertura o recitate

D Chiare e differenziate, miste, confuse o ambivalenti, vere, incarnate, di


copertura o recitate

Per emozione “vera e incarnata” si intende:

8 Come possono essere le emozioni

A Un’emozione sentita in modo congruo all contesto

B Un’emozione recitata

C Un’emozione mista

D Un’emozione di copertura

Per “emozione recitata” si intende:

9 Come possono essere le emozioni

A Un’esteriorizzazione accentuata di un’emozione

B Un’emozione messa al posto di un’altra per paura di mostrarsi come si è


davvero

C Un’emozione sentita ma non congrua al contesto

D Un’emozione ambivalente

10 Le regole per un buon funzionamento emotivo sono:


Regole per un buon funzionamento emotivo

A Vivere tutte le emozioni, saperle gestire e superare

B Evitare le emozioni spiacevoli

C Concedersi solo alle emozioni positive

D Vivere le emozioni in modo intenso

46.

L’identità sociale e autostima

Il concetto di Sé nelle diverse culture

Secondo Oyserman e Markus (1998): le varie culture elaborano diverse rappresentazioni sociali che
riguardano le caratteristiche ritenute appropriate e positive del Sé. Le differenze sono evidenti se si
confrontano le culture sulla base della dimensione individualismo – collettivismo

Il sè e l’identità Spesso la nozione di sé e di identità vengono usati in modo interscambiabile. Diciamo


che il sè, riguarda le componenti più intrapsichiche e individuali, mentre l’identità, riguarda le
componenti più sociali (appartenenza sociale). L’identità concerne il sentimento di continuità del Sé che
il soggetto prova pur essendo in una tempesta di mutamenti

Il termine identità diviene popolare nelle scienze sociali solo negli anni ’50 del secolo scorso (Gleason
1983), anche se le sue radici filosofiche hanno origini molto più antiche e si collegano a un insieme
articolato di riflessioni relative soprattutto ai dilemmi della permanenza nel mezzo del continuo
mutamento e dell’unità e della specificità nel mezzo della manifesta diversità. È comunque
caratteristica dell’identità, nel momento del suo successo, collocarsi a un “crocevia” (Lévi-Strauss:
1980, 11) che interessa praticamente tutte le scienze sociali, dalla psicanalisi all’antropologia, dalla
filosofia alla sociologia, dalla psicologia sociale alla critica letteraria.

Uno dei primi psicoanalisti a cercare di legare lo sviluppo dell’identità alla relazione sociale è Erikson
(1950, 1968). È al lavoro di questo autore – e alla sua introduzione del concetto di crisi d’identità

Il concetto d’identità serve a Erikson soprattutto per legare lo sviluppo evolutivo della personalità –
intesa nei termini freudiani come relazione tra es, io e super io – alla situazione relazionale e sociale in
cui tale sviluppo ha luogo. Il senso d’individualità, di unicità, risultato finale di un corretto sviluppo della
personalità e fonte indispensabile per un’azione sociale consapevole e adeguata, può svilupparsi solo
in un costante dialogo con il contesto esterno, interiorizzando le sue norme culturali, interpretando
differenti ruoli e ottenendo continui riconoscimenti. Lo sviluppo interiore della personalità individuale e
dell’esperienza sociale va di pari passo

“l’identità è intesa come un’entità dinamica costituita da più dimensioni, un sistema di tensione”
(Palmonari, 1997, ) dove gli aspetti biologici, le esperienze personali, l’ambiente di vita famigliare,
sociale e culturale, concorrono a dare significato, forma e continuità all’esistenza (Kroger, 1996)
Psicologia sociale e identità

Un altro ambito rilevante di sviluppo del concetto d’identità è rappresentato dalla psicologia sociale e,
più in generale, dalle riflessioni relative ai concetti di ruolo, di senso di appartenenza e di pregiudizi

L’identità è sinonimo d’identificazione e rimanda al senso di unione emotiva con gli altri, percepiti come
parte del medesimo gruppo

L’identità serve a segnalare la necessità concettuale di uno spazio intermedio tra individuo e società,
uno spazio che consenta di superare la dicotomia tra un soggetto autonomo, dotato di esistenza

presociale e che si scontra continuamente con i vincoli a lui imposti dalle strutture sociali esterne, e,
dall’altro, un forte determinismo sociologico, che trasforma gli individui in riproduttori acritici di ruoli,
atteggiamenti e valori creati dalle strutture sociali in base a una generale esigenza funzionale dell’intera
società.

L’identità è così un continuo processo comunicativo e relazionale che consente agli individui di
percepirsi e di comprendersi come soggetti autonomi nel momento in cui sono così percepiti e
compresi dagli altri.

ù che un nucleo unitario e costante, si caratterizza per la trasformazione, la negoziazione e la crisi


continua

a. Perdere l’identità o non vedersela collettivamente riconosciuta significa perdere i punti di riferimento,
la capacità di collocarsi nella mappa sociale e di muoversi verso un obiettivo preciso, con un progetto
originale.

Il concetto di self o di identità psicologica consentirebbe di superare la dicotomia creatività


individuale/determinismo sociologico per sottolineare il legame inscindibile tra individuo e società,

L’identità e il confronto IDENTITÀ= SOMIGLIANZA + DIFFERENZA L’identità, cioè si costituisce


perché cogliamo lo somiglianze con un gruppo, una comunità di appartenenza e ma anche per quello
che ci differenzia da altri/e.

L’identità presuppone anche la differenziazione Da queste considerazioni, risulta centrale la capacità di


sentirsi unici e differenziati da altri soggetti. L’ identità, nasce anche dal confronto, cioè dal modo in cui
l'individuo considera e costruisce se stesso come membro di determinati gruppi sociali.

Identità come faccia, individuazione e identificazione Valuteremo alcuni concetti che sono stati utilizzati
in letteratura per definire quello di identità sociale, secondo un visione più dettagliata: faccia,
individuazione e identificazione. Il termine di faccia rimanda al lavoro di Erving Goffman (1959. 1961,
1967) e vuole evidenziare la capacità/necessità di gestire una particolare immagine di sé entro
specifiche situazioni sociali.

. Per faccia si intende quindi un’immagine di se stessi, delineata in termini di attributi sociali positivi;
un’immagine, tuttavia, che gli altri possono condividere, come avviene quando una persona conferisce
prestigio alla propria professione o religione comportandosi in modo da ricevere l’approvazione degli
altri (Goffman: 1967, 8-9). Ha inoltre un carattere relazionale e di costruzione sociale: è qualcosa che è
attribuito dagli altri, è legata al riconoscimento concesso dalle situazioni e dai pubblici.

Con individuazione, si tratta di porre in primo piano : «l’immagine che l’individuo si è fatto di se stesso
attraverso la sua irripetibile esperienza di vita e la memoria narrativa che fonda la sua continuità nel
tempo»

Senso, stabilità e coerenza che non sono garantiti da un’essenza interiore, ma da attivi processi
comunicativi e relazionali. La narrazione e l’esperienza del narrare sono gli elementi principali che
consentono di produrre un senso di sé che sia contemporaneamente distinto, riconoscibile, con dei
confini percepibili ma anche aperto, capace di includere i mutamenti, di rielaborare gli eventi, di
ricomporre la frammentarietà dell’esperienza e della memoria
e. Un individuo che è ” individuato”, sarà in grado di raccontare la propria storia di vita, di riconoscere
ad esempio le proprie modalità di relazione con la famiglia di origine, di comprenderne i limiti e le
risorse, di conseguenza un individuo che sarà in grado di fare dei progetti, così alla domanda chi sono,
sarà in grado di rispondere coerentemente alla propria storia di vita.

Infine, con il termine identificazione – o collocazione sociale – si intende fare riferimento alla
dimensione della partecipazione e del coinvolgimento. Vengono posti in primo piano gli elementi che
consentono agli individui di collocarsi entro uno spazio morale, cioè di tracciare le coordinate– giusto/
sbagliato, bene/male, bello/brutto, vicino/lontano, degno/indegno, ecc. – che strutturano il senso delle
situazioni di cui si fa esperienza

Il concetto di identificazione rimanda alla capacità/necessità di situarsi, riguarda l’esperienza di sentirsi


incorporati, inclusi, interessati

L’autostima

La stima di sé, elemento capace di misurare la capacità di collaborazione sociale, aumenta nella
misura in cui si è accettati o scelti dagli altri, mentre l’esclusione tende ad abbassarla. Bisogno di
intrattenere e mantenere ampie relazioni sociali

Secondo E.H. Erikson, ai fini della comprensione dell’origine della stima di sé, risulta particolarmente
importante focalizzare l’attenzione su quanto avviene nella fase che comincia alla nascita e si conclude
all’incirca durante il primo anno di vita. Compito fondamentale di tale fase è quello di acquisire un buon
equilibrio tra fiducia di base e sfiducia di base, in se stessi e negli altri. Fiducia e sfiducia, secondo
Erikson, originano dalla qualità della relazione che il bambino sperimenta con la propria madre e
devono essere modulate dalla speranza che i propri bisogni e le proprie richieste non verranno
disattesi, almeno non più di tanto, non fino al punto, cioè, di perdere la speranza.

Il concetto di autostima

Il concetto di autostima si può riassumere in tre aspetti concatenanti

a) L’AMORE PER SE STESSI: è ciò che ci consente di apprezzarci ed accettarci nonostante i nostri
difetti ed indipendentemente dalle nostre prestazioni

L’AUTOIMMAGINE: una visione positiva di noi stessi

LA FIDUCIA IN SE STESSI: essere fiduciosi significa pensare che si è capaci di agire in maniera
adeguata nelle situazioni importanti

Come migliorare l’autostima

Esistono diverse modalità per migliorare l’autostima: a. Una buona immagine di sé, favorisce dei
rimandi positivi; b. Lavorare sui sensi di colpa fino a quello più ancestrale del non essere stati amati e
quindi non avere avuto la fiducia di base; c. Riequilibrare il principio del dovere e principio del piacere;
d. Favorire lo sviluppo di un buon principio di realtà rispetto ai nostri punti di debolezza e ai nostri punti
di forza.

Per liberarsi dall'autostima da successo e orientarsi verso un autostima più autentica, occorre tenere in
conto quello che per noi è veramente importante, come senso della vita e valori da seguire. Ecco alcuni
suggerimenti:

1) Il tuo valore è indipendente da ciò che gli altri pensano di te.

2) Nessuno deve ritenersi meno importante di un’altra persona.

3) Nessuno deve ritenersi più importante di un'altra persona


4) Chi deve dimostrare di valere qualcosa non vale nulla

La psicologia sociale è:

1 La psicologia sociale e lâidentitÃ

A Scienza che studia il comportamento dell’individuo

B Scienza che studia gli individui nel loro ambiente

C Disciplina che si occupa dello studio delle relazioni tra culture diverse

D Scienza che studia le caratteristiche universali dell’individuo in relazione


all’altro in un contesto sociale

Il sé è:

2 Il sé

A Il Sé è collegato all’identità personale

B Riguarda l’empatia e la responsabilità personale

C Il Sé si sviluppa in età adulta

D Il Sé è un concetto temporale

! L’autostima è:

3 Lâautostima
A L’autostima è una caratteristica sociale

B L’autostima si forma durante l’adolescenza

C L’autostima si sviluppa a partire dalle prime relazioni durante l’infanzia

D L’autostima riguarda l’identità personale

! Il bisogno di mantenere un immagine:

4 Il bisogno di mantenere unâimmagine

A Dipende dal livello di autostima

B Dipende da fattori innati

C Dipende dalla cultura di appartenenza

D E un aspetto irrilevante del carattere

! L’identità è:

5 LâidentitÃ

A L’immagine che ognuno ha di se stesso

B Riguarda le caratteristiche fisiche di una persona

C Riguarda la capacità di identificarsi con l’altro

D Un costrutto complesso e può essere individuale e sociale


Per operatore turistico, si intende:

6 Il concetto di autostima

A Colui che si occupa di economia sociale

B Colui che non si relaziona agli altri

C Colui che sviluppa una buona conoscenza di sé in relazione agli altri

D Colui che studia medicina

Il sé è multidimensionale in quanto:

7 Il sé

A È formato da più personalità

B Include più dimensioni e si forma in relazione a molteplici contesti

C Si estende nella terza dimensione

D Perché è caratterizzato da aspetti sociali

Legame tra l’identità e la psicoanalisi:

8 Lâidentità in divenire, cioÚ della crescita, del cambiamento

A Identità intesa come un armonico e adeguato sviluppo relazionale

B Si forma solo in età adulta


C Non è collegata al sè

D Identità e autostima sono equivalenti

L’empatia è:

9 Lâidentità e il confronto

A Entrare in comunicazione psico-fisica con l’Altro, riconoscerlo provando


emozione, sentimento e stupore

B Capire i propri bisogni

C Provare attrazione per l’altro

D Vivere in funzione dell’altro

Il concetto di autostima:

10 Lâautostima

A Gli individui con una buona autostima non credono nelle proprie capacità

B L’autostima è la capacità di comprendere gli altri

C L’autostima riguarda le relazioni sociali

D Come si giudica come vede se stesso e che tipo di valore si attribuisce

47.

La comunicazione verbale

La comunicazione umana di distingue in:


Comunicazione sociale

Comunicazione interpersonale

La comunicazione sociale più nota come comunicazione di massa viene realizzata da una o poche
persone ed è rivolta a molti individui (televisione, stampa, radio, pubblicità, utenti e riceventi).

La comunicazione interpersonale coinvolge 2 o più persone e si basa sempre su una relazione in cui gli
interlocutori si influenzano sempre l’un l’altro, anche quando non se ne rende conto

La comunicazione interpersonale si suddivide a sua volta in : Comunicazione verbale Che avviene


attraverso l’uso del linguaggio sia scritto che orale e che dipende da precise regole sintattiche e
grammaticali. Comunicazione non verbale Che avviene senza l’uso delle parole attraverso vari canali:
mimiche facciali, sguardo, gesti, posture, andature, abbigliamento. Comunicazione para verbale Che
riguarda soprattutto la voce (tono, volume, ritmo), ma anche le pause, le risate, il silenzio ed altre
espressioni sonore (schiarirsi la voce, tamburellare, far suoni) e il giocherellare con oggetti.

Le parole della comunicazione

Roman Jakobson ha descritto il processo comunicativo indicandone sei elementi essenziali, ricorrenti in
qualsiasi forma di comunicazione: mittente (o emittente), destinatario (o ricevente), messaggio,
referente, canale e codice § Mittente – anche detto trasmittente, è chi invia il messaggio, dando così
inizio alla comunicazione. § Destinatario – anche detto destinatario, è colui a cui viene inviato il
messaggio

§ Messaggio – anche detto contenuto, riguarda ciò che viene comunicato e può essere di varia natura.

§ Referente – la realtà (oggetto, situazione, fatto, …) a cui il messaggio Si riferisce

§ Canale – mezzo attraverso il quale il messaggio è trasmesso (i segni grafici, se il messaggio è scritto;
l’aria, se mittente e destinatario sono vicini; il telefono, se invece sono lontani; …)

§ Codice – linguaggio usato per la comunicazione, che può essere verbale o non verbale

volte si può verificare che, pur alla presenza di tutti i requisiti, la comunicazione risulti disturbata e il
messaggio non raggiunga il destinatario in modo chiaro. Per spiegare tale fenomeno, si ricorre ad
un’altra parola, rumore: qualunque disturbo o interferenza che altera il processo comunicativo

Un altro fattore che incide sulla comunicazione e del quale si deve tenere conto quando si formula un
messaggio è quello indicato con la parola ridondanza, vale a dire l’eccesso di elementi che rinforzano il
messaggio, ripetendo le informazioni

Comunicazione lineare Un segnale (messaggio) passa da un emittente (mittente), attraverso un


trasmettitore, a un destinatario (ricevente), attraverso un recettore, lungo un canale fisico (supporto
materiale).

• Comunicazione circolare Ogni messaggio o comportamento è insieme effetto e causa di altri


messaggi e comportamenti

Fondamentale è che l’emittente e il ricevente abbiano in comune lo stesso codice per potersi capire.
L’emittente codifica mentalmente il messaggio e lo invia,

Durante un corso sulla comunicazione che ho ripetuto per due edizioni, mi è capitato spessissimo che
le persone messe a confronto per comunicare si fraintendessero. Tecnica della rifocalizzazione. Se
volete essere sicuri di essere stati capiti, relativamente ad un proposta importante che state facendo, vi
consiglierei di chiedere cosa avete detto, ovviamente lo fate in modo delicato: “Mi scusi, giusto perché
non ci siano fraintesi che poi possano disturbarla volgiamo provare e focalizzare quanto abbiamo
appena detto?” . Lo stesso vale per voi: provate a ripetere quanto vi ha detto il cliente per verificare che
abbiate capito proprio bene: “

Ognuno di noi ha un proprio stile di comunicazione che dipende da vari fattori: Esperienze sociali fatte
(apparteniamo a una cultura in cui si parla molto o poco, veniamo da un ambiente che imponeva il
silenzio, ecc,) Conoscenze (abbiamo a disposizione un grosso vocabolario, abbiamo o meno una
buona cultura) Valori e abitudini di vita (preferiamo parlare o ascoltare, siamo introversi o estroversi,
ecc.)

Secondo molti psicologi e sociologi la comunicazione interpersonale tende oggi ad essere scarsa e
superficiale in quanto: 1) Non si è capaci di comunicare 2) Si ha poco tempo di dedicare agli altri 3) Si è
sempre più individualisti 4) Si preferiscono altri mezzi di comunicazione

PARLARE -> dire qualcosa a voce per mezzo di parole

COMUNICARE -> dal latino: [communicare], mettere in comune, derivato di [commune], propriamente,
che compie il suo dovere con gli altri, composto di [cum] insieme e [munis] ufficio, incarico, dovere,
funzione. PARLARE NON SIGNIFICA COMUNICARE

Linguaggio

I linguaggi sono i mezzi attraverso i quali vengono soddisfatte le esigenze comunicative; sono, in altre
parole, sistemi di segni mediante i quali si comunica.

Linguaggio non verbale – caratteristiche

§ È usato dall’uomo e dagli animali

§ Gli animali comunicano con suoni, movimenti, odori, colori

§ L’uomo lo usa alternandolo o insieme alle parole: immagini, uso dei colori, gesti, atteggiamenti,
movimenti del corpo, suoni, odori, profumi, uso dello spazio e della disposizione in esso di cose o
persone

§ È semplice, immediato, sintetico e rafforza il linguaggio verbale

§ Non è adatto a comunicare messaggi complessi

§ È difficilmente controllabile Linguaggio verbale – caratteristiche

§ È il linguaggio dell’uomo ed è formato di parole

§ Può essere parlato o scritto

§ Trasmette il messaggio con precisione e completezza

§ Descrive il linguaggio non verbale

§ Si manifesta attraverso le lingue § Si rinnova continuamente

§ È controllabile

Le abilità verbali consistono, a seconda delle situazioni, di saper utilizzare: domande chiuse, aperte,
riflesse, libera informazione, autoapertura, cambio di argomento.

Le domande chiuse richiedono una risposta brevissima, in genere un “si” o un “no”

La domanda aperta, invece, è strutturata in modo da ricavare una maggiore quantità di informazioni
dall’altro
Nella domanda riflessa, infine, la persona può riconoscere all’interno dei segmenti finali dell’intervento
altrui degli stimoli di aggancio intorno ai quali costruire un’informazione da rilanciare

Passando alla libera informazione, possiamo dire che si tratta di una informazione che eccede in
qualche modo la domanda o è data senza essere sollecitata

L’autoapertura è un’informazione libera o sollecitata che si dà su se stessi: mette a proprio agio


l’interlocutore e crea una comunicazione estremamente calda.

Infine, la volontà di cambiare argomento oppure di concludere la conversazione dovranno essere


espresse con chiarezza e decisione

Nell’ambito dello scambio verbale, anche il silenzio (momenti di pausa e di assenza di parola)
costituisce un modo strategico di comunicare e il suo significato varia con le situazioni, con le relazioni
e con la cultura di riferimento

Un esempio è dato dal linguaggio burocratico o burocratese, usato dalle pubbliche amministrazioni.
“Burocrazia” deriva dall’unione della parola francese bureau, che significa “ufficio”, con quella della
lingua greca cratia, che significa “potere”: questo linguaggio è espressione di un potere, quello
esercitato dall’apparato degli uffici amministrativi pubblici.

Caratteristiche - È un linguaggio di tipo misto, perché si configura come un incrocio di diversi linguaggi
specialistici, come quello giuridico, economico e finanziario – con largo uso di parole ed espressioni
latine

È complesso, formale, caratterizzato da un lessico (parole) tecnico, antiquato, difficile e da una sintassi
(organizzazione delle frasi e del periodo) involuta e complicata

Usa tecnicismi non giustificati da reali esigenze comunicative

Tali caratteristiche hanno portato a definire il burocratese come esempio di linguaggio


anticomunicativo, di ostacolo alle relazioni e ai rapporti tra le persone

Fra il linguaggio e la cultura esiste un rapporto molto stretto, al punto tale che si può affermare che la
lingua incarna la cultura

In psicologia abbiamo due filoni di ricerca che si sono occupati del complesso rapporto fra lingua e
cultura, cercando di individuare le connessioni intrinseche e reciproche di questo rapporto. Si sono
realizzati aspri dibattiti scientifici fra la posizione innatista di Chomsky, da un lato, e la teoria della
relatività linguistica di Sapir-Worf, dall’altro.

Come impara a parlare il bambino?

La posizione innatista e anticulturalista di Chomsky presuppone la presenza di una proprietà della


mente umana che consente a una persona di acquisire una lingua in condizioni di semplice esperienza
e che può spiegare l’omogeneità dei processi linguistici in tutti gli esseri umani. Egli parla di un “organo
del linguaggio” definito geneticamente, il cosiddetto LAD – dispositivo di acquisizione linguistica

Egli suddivide ogni lingua in due strutture: superficiale e profonda. La prima riguarda l’articolazione e la
seconda spiega la capacità di ogni bambino di imparare una lingua nell’arco di due o tre anni e la
capacità di produrre e comprendere un’infinità di espressioni nuove mai incontrate prima.

Senza questo dispositivo innato il bambino non avrebbe né tempo sufficiente né stimoli per poter
imparare una lingua. È secondo questa prospettiva che Chomsky presuppone che il pensiero dia forma
al linguaggio.

. I fondatori della teoria della relatività linguistica: l’ipotesi di Sapir – Whorf Opposta è la visione di
Whorf, fondatore della teoria della relatività linguistica. Egli postula che sia lingua a condizionare lo
sviluppo cognitivo:
Ne consegue: 1) il mondo è concepito in modo diverso da coloro che si servono di linguaggi dalla
struttura dissimile; 2) la struttura del linguaggio è causa di queste diverse concezioni del mondo.

Un fattore fondamentale è la motivazione a comunicare che può essere dovuto spesso al solo desiderio
di essere ascoltati da qualcuno. Se la motivazione è assente la comunicazione non ha neanche inizio e
si blocca sul nascere. Se la motivazione è scarsa, la comunicazione fa fatica ad andare avanti, creando
tensioni o incomprensioni fra gli interlocutori. Tuttavia, anche una motivazione eccessiva è disturbante
in quanto chi ascolta potrebbe non avere voglia in quel momento di comunicare o di trattare quel
determinato argomento. Se invece la motivazione iniziale è discreta, il desiderio di comunicare tende
ad aumentare progressivamente anche se ciò dipende molto dal tipo di relazione.

Un’altra condizione fondamentale per comunicare in modo efficace è l’autenticità, intesa come la reale
disponibilità verso gli altri.

Un altro fattore facilitante è la congruenza, ossia la coerenza tra ciò che si esprime a parole e ciò che si
manifesta al livello non verbale e paraverbale.

Anche ad essere attenti ai bisogni degli altri facilita la comunicazione poiché si tende a prendere
l’iniziativa e di solito a parlare per primi, ponendo così le basi per una possibile futura comunicazione.

Avere frequenti rapporti sociali è sicuramente un fattore positivo poiché consente di apprendere vari stili
di comunicazione,

Non avere pregiudizi nei confronti di chi parla è basilare perché possa esserci comunicazione,
relazione e comprensione.

L’ENTUSIASMO è l’autentica forza della comunicazione: “parliamo con la mente ma comunichiamo con
il cuore”. Una comunicazione efficace, davvero interattiva e produttiva è una comunicazione che genera
un rapporto

Il DIALOGO presuppone:

1) Parità morale dei 2 interlocutori, quindi, reciproco rispetto.

2) Tutti possono imparare e tutti possono insegnare qualcosa; in altri termini, non ci sono ruoli
unidirezionali.

3) La disponibilità ad imparare attraverso la ricerca comune .

4) La reciprocità: ognuno può porre domande, fare osservazioni ed ascoltare le risposte. La


comunicazione efficace deve combattere alcune

BARRIERE OSTACOLI ALLA BUONA COMUNICAZIONE

Interrompere. Sovrapporsi.

MESSAGGI IMPLICITI (significati relazionali) Sono io che comando.

Ora ti spiego. Ti faccio capire. Ti succede così perché…

MESSAGGI IMPLICITI (significati relazionali)

Sei stupido, incapace

OSTACOLI ALLA BUONA COMUNICAZIONE Dare consigli (non chiesti). ESEMPI PRATICI Devi fare
così.

MESSAGGI IMPLICITI (significati relazionali)


Predominio.

Chi riceve messaggi barriera come quelli sopra descritti riceve in ogni caso dei racket. I racket hanno lo
scopo di togliere energia, indebolire l’altro e rafforzare il sé e non sono certo tra i presupposti di un
colloquio che vuole essere una comunicazione efficace ed autentica

Presupposti per poter comunicare in maniera efficace - Ascoltare in modo attento, empatico e
interessato - Osservare e valutare la comunicazione non verbale - Comprendere le pause di silenzio e
saperle gestire - Accettare tutto ciò che l’interlocutore dice, anche quando contrasta con le nostre
opinioni - Essere realmente disponibili a comunicare - Non imporsi in nessun modo

- Considerare l’interlocutore come persona degna di essere ascoltata I fattori che sostengono una
BUONA COMUNICAZIONE EFFICACE sono invece:

FACILITATORI DI BUONA COMUNICAZIONE O DIALOGO

Segnali di sintonizzazione. Risonanza. Matching (combaciare con la mappa del mondo dell’atro).
Pacing (andare al passo). Calibrazione. Attenzione ai feedback.

Le abilità verbali consistono, a seconda delle situazioni, di saper utilizzare:

1 Le abilità verbali

A Domande chiuse, aperte, riflesse, libera informazione, autoapertura, cambio


di argomento

B Domande chiuse e domande aperte

C Autochiusura

D Solo domande aperte

! Per avere un atto di comunicazione, sono essenziali:

2 Le parole della comunicazione

A Almeno sei fattori: un’emittente, un codice, un messaggio, un contesto, un


canale, un ricevente

B Almeno quattro fattori: un’emittente, un codice, un contesto, un ricevente


C Almeno quattro fattori: un’emittente, un ricevente, un codice, un canale

D Almeno sei fattori: un’emittente, un codice, un messaggio, un contesto, un


canale, un contesto

! La comunicazione umana di distingue in:

3 La comunicazione e i suoi codici

A Comunicazione sociale e interpersonale

B Comunicazione verbale e paraverbale

C Comunicazione non verbale e paraverbale

D Comunicazione interpersonale e verbale

La comunicazione interpersonale si suddivide in:

4 La comunicazione e i suoi codici

A Comunicazione verbale e non verbale

B Comunicazione verbale, non verbale e paraverbale

C Comunicazione paraverbale e verbale

D Comunicazione non verbale e paraverbale

Gli altri fattori che incidono sulla comunicazione sono:

5
Le parole della comunicazione

A Contesto e rumore

B Contesto, rumore, ridondanza

C Solo contesto

D Solo rumore

Gli autori che si sono occupati del complesso rapporto fra lingua e cultura
sono:

6 Linguaggio,comunicazione e cultura

A Watzlawick e Beavin

B Jackson e Beavin

C Watzlawick e Jackson

D Chomsky e Sapir-Whorf

La prospettiva di Chomsky presuppone che:

7 Linguaggio,comunicazione e cultura

A Il pensiero dia forma al linguaggio

B Il linguaggio dia forma al pensiero

C Il pensiero non sia innato


D Il linguaggio non sia innato

La comunicazione efficace presuppone:

8 La comunicazione efficace

A Giudizio e critica verso l’interlocutore

B Non ascolto

C Chiusura nella comunicazione e intolleranza

D Non giudicare, non-preclassificare, non aggredire, ascolto ecc..

! La comunicazione lineare prevede che:

9 Modelli di comunicazione

A Un segnale (messaggio) passa da un emittente (mittente), attraverso un


trasmettitore, a un destinatario (ricevente), attraverso un recettore, lungo un
canale fisico (supporto materiale)

B Un segnale (messaggio) passa da un emittente (mittente), attraverso un


trasmettitore, a un contesto

C Ogni messaggio o comportamento è insieme effetto e causa di altri


messaggi e comportamenti

D Un segnale (messaggio) passa da un emittente (mittente), attraverso un


trasmettitore, a un codice

10 L’ipotesi di Sapir – Whorf fonda la sua teoria:


Linguaggio,comunicazione e cultura

A Sulla prospettiva innatista

B Sulla pragmatica della comunicazione umana

C Sulla relatività linguistica

D Sulla teoria dei sistemi

48.

. Diversi autori riconoscono l’esistenza di gesti che si possono riscontrare in tutte le razze e le
popolazioni, come, per esempio, il muovere le mani verso il naso o il toccarsi i capelli in momenti di
perplessità e di imbarazzo. Se tuttavia consideriamo i condizionamenti sia psicologici sia culturali che
intervengono nella comunicazione non verbale, possiamo comprendere che la facoltà di esprimersi non
verbalmente è sì universale, ma la sua funzione e il suo significato variano a livello individuale, culturale
e linguistico. Se infatti alcuni aspetti della comunicazione non verbale sono comuni a tutte le culture
(tutti i membri della specie umana usano a scopo comunicativo il volto, gli arti, la postura, la voce), non
tutti gli esseri umani ricorrono agli stessi segnali con la medesima frequenza e con la medesima
ricchezza espressiva.

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di un’
interazione che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio, quindi il significato delle
parole, ma che fanno riferimento al linguaggio del corpo, a quella parte della comunicazione non
parlata tra le persone. I messaggi verbali costituiscono solo una parte limitata della comunicazione
interpersonale.

è stato elaborato un modello del processo comunicativo che rimane valido ancora oggi e che è
considerato una sorta di riferimento universale per comprendere il modo in cui deduciamo il significato
dei messaggi altrui. Lo studio evidenziava l’esistenza di tre elementi che sono alla base di qualunque
atto comunicativo: il linguaggio del corpo, la voce e le parole. Da questo studio è emerso che il 55% del
significato di qualsiasi messaggio viene dedotto dal linguaggio visivo del corpo (gesti, posture, mimica
facciale); il 38% viene dedotto da elementi vocali del parlato (tono, volume e ritmo della voce); mentre il
7% dalle parole (Mehrabian, 1971).

Analogamente a Mehrabian, Birdwhistell ha rilevato che la componente verbale della comunicazione è


inferiore al 35% e che più del 65% è di natura non verbale

Al centro dell’ analisi del rapporto tra comunicazione e comportamento è il concetto di intenzionalità, la
distinzione tra segno e simbolo e tra comportamento espressivo e simbolico (Anolli, Ciceri, 1992).

Il segno è un segnale che ha una relazione intrinseca con ciò che significa e in genere non richiede
l’attivazione di un processo intenzionale. Il segno non ha un carattere specificamente comunicativo e
può essere l’espressione di una risposta comportamentale fisiologica, o una caratteristica dello stile
personale.

Il simbolo, invece, è un segnale che sta per qualcos’altro, il cui uso richiede un atto intenzionale,
essendo il risultato di una convenzione sociale
La psicologia ha prodotto diverse prospettive teoriche rispetto alla distinzione tra comportamento
espressivo e simbolico che spesso sono opposte tra loro. Gli studiosi della scuola di Palo Alto,
Watzlawick, Beavin e Jackson (1967), affermano che qualsiasi comportamento agito in presenza di
un'altra persona, indipendentemente dal grado di intenzionalità che comporta, diviene comunicazione,
sostenendo che all’interno di un interazione non sia possibile non comunicare

Altri autori, tra cui Fraser, considerano la comunicazione come qualcosa che implica sempre “un codice
socialmente condiviso e un azione intenzionale di chi codifica e decodifica”,

Il comportamento non verbale comunicativo, raggruppa gesti che consentono, in maniera consapevole,
di inviare specifici segnali al ricevente. Il comportamento non verbale interattivo, invece, include i gesti
utilizzati per influenzare il comportamento interattivo degli altri.

ri. Secondo i modelli intermedi il linguaggio del corpo non rappresenta ne una modalità solo espressiva,
né una modalità solo comunicativa,

Ontogenesi del comportamento: aspetti innati e appresi

Per lungo tempo il tema dell’ origine della comunicazione non verbale è stato al centro di controversie
tra studiosi innatisti che ne ipotizzavano l’origine genetica e studiosi ambientalisti che enfatizzavano
l’importanza dell’ apprendimento e di fattori culturali.

Tali controversie hanno portato poi all’elaborazione di un modello che considera l’origine del linguaggio
del corpo come né innata né esclusivamente appresa, ma assume forme differenti in rapporto ai diversi
segnali del repertorio comunicativo.

Segnali come l’ espressione facciale delle emozioni hanno una forte connotazione biologica e innata e
presentano similitudini con i segnali utilizzati dai primati non umani.

Il carattere universale e innato della comunicazione corporea è dimostrato anche dalla corrispondenza
neurofisiologica tra emozioni e muscoli facciali (Ekman, 1982). La cultura di appartenenza stabilisce le
circostanze e gli eventi che provocano determinate emozioni e governa l’espressione e le reazioni che
esse possono suscitare.

Funzione della comunicazione non verbale

Una delle principali funzioni è legata all’espressione delle emozioni attraverso il comportamento
esteriore. I segnali emessi dal corpo manifestano gli stati emotivi dell'individuo, molto spesso in modo
più chiaro che con le parole. Molte ricerche dimostrano che i segnali non verbali sono molto più efficaci
delle parole nel comunicare le emozioni

La funzione espressiva della comunicazione non verbale è duplice, riguardando da un lato la


comunicazione degli atteggiamenti interpersonali, dall’ altro aspetti della propria presentazione
personale. I segnali non verbali che comunicano atteggiamenti interpersonali possono essere
intenzionalmente controllati per nascondere o simulare i reali sentimenti che si nutrono verso gli altri.

Un ulteriore funzione è quella di coordinare le sequenze interattive (linguaggio paraverbale), attraverso


elementi non verbali di tipo vocale (intonazione, pause, vocalizzazioni), lo sguardo, i gesti, che
permettono agli interlocutori di ottenere importanti informazioni sull’interazione in corso e sulle
sequenze da rispettare. Anche gli aspetti cinesici come il movimento delle mani sono rilevanti nella
regolazione delle sequenze interattive.

Un ulteriore funzione è quella di feedback attraverso cui l’emittente può monitorare la ricezione e
interpretazione del messaggio. Il linguaggio del corpo è stato studiato a diversi livelli: intrapersonale,
interpersonale, situazionale, posizionale e ideologico.
Il livello intrapersonale concentra l’attenzione sulla dimensione individuale del comportamento non
verbale e sui processi interni alla persona, focalizzandosi sul legame tra i sistemi di rappresentazione
mentale e aspetti non verbali della comunicazione. Attraverso questo livello di analisi è possibile
inferire, da alcuni segnali del corpo, le rappresentazioni mentali attive in un determinato momento in
una persona

. Il livello situazionale analizza le dinamiche delle relazioni che si stabiliscono in un dato momento da
determinati individui in una situazione

Il livello posizionale esamina la regolazione dei processi comunicativi non verbali in rapporto a variabili
quali lo status e il ruolo, prendendo in esame le differenze di posizione sociale preesistenti all’
interazione non verbale

Un esempio di questo comportamento molto frequente nell’ attualità è la tendenza a distogliere lo


sguardo in presenza di un superiore in ambito lavorativo

Il livello ideologico spiega come le rappresentazioni e le credenze ideologiche possano portare i


soggetti a sviluppare determinati pattern di comportamento non verbale. L’utilizzo dei vari canali
comunicativi è regolato da norme culturali che ne modulano l’utilizzo

gli arabi tendono stare molto più vicini rispetto agli Europei e agli Americani

Contraddizioni tra parole e linguaggio del corpo

In tutto il mondo il linguaggio corporeo dei politici è oggetto di grande interesse, essendo persone che
passano gran parte del proprio tempo a eludere, evitare, fingere, mentire e nascondere i propri
sentimenti, a usare paraventi e salutare amici inesistenti nella folla, ma spesso il linguaggio del corpo
tradisce svelando le loro reali intenzioni.

Il linguaggio del corpo rivela stati d’animo e pensieri

Il linguaggio del corpo è il riflesso dello stato emozionale di un soggetto. Ogni gesto o movimento può
essere un indizio importante per capire cosa stia provando e quali siano le intenzioni di una persona in
un determinato momento

DIFFERENZE DI GENERE

Numerosi psicologi hanno condotto diverse ricerche in cui è stata riscontrata una maggiore abilità delle
donne nel riconoscere e valutare i segnali del linguaggio corporeo. In uno di questi studi, ad esempio,
sono stati mostrati ad un gruppo di persone dei brevi filmati privi di sonoro, in cui un uomo e una donna
comunicavano tra loro.

Ai partecipanti è stato poi chiesto di ricostruire l’argomento del dialogo utilizzando come informazioni le
espressioni della coppia, ed è emerso che l’87% delle donne ha interpretato in maniera corretta la
scena, mentre gli uomini sono nel 42% dei casi è stato osservato che il cervello delle donne vi sono
dalle 14 alle 16 aree cerebrali preposte a tali funzioni rispetto alle 4-6 dell’uomo. Tale differenza è stata
spiegata anche in riferimento alla necessità da parte delle donne di sviluppare la capacità di
interpretare i segnali non verbali, dovendosi affidare quasi esclusivamente a questi nell’ accadimento
del bambino nei suoi primi anni di vita per comunicare.

Espressione del volto

Il volto rappresenta l’area del corpo più significativa da un punto di vista comunicativo ed espressivo e
il segnale non verbale su cui si può esercitare un maggiore controllo. Si può ipotizzare che le
espressioni facciali e i muscoli mimici corrispondenti, si siano evoluti per l’elevato valore adattivo che
essi assumono nella vita di gruppo dei mammiferi. L’espressione delle emozioni attraverso il volto
costituisce un importante fattore di regolazione della vita degli individui all’ interno del gruppo sociale. “

A partire dagli studi di Darwin ripresi poi da Ekman e Friesen è stata riconosciuta quindi l’universalità
delle emozioni fondamentali e delle caratteristiche con cui queste si manifestano attraverso specifiche
espressioni del volto. Questi programmi innati di espressione delle emozioni vengono poi controllati
dalle persone attraverso meccanismi che regolano e modulano il modo in cui queste emozioni vengono
esternalizzate

Movimenti delle mani

Uno dei segnali del corpo meno evidenti ma più efficaci da un punto di vista comunicativo è il palmo
delle mani per impartire ordini o direttive, nonché nella stretta di mano.

Lo sguardo

Lo sguardo è un potente segnale non verbale che rappresenta uno dei più importanti codici
comunicativi, di cui gli occhi svolgono una funzione chiave. L’occhio anatomicamente comprende un
ampia struttura di terminazioni nervose ed è circondato da muscoli extraoculari che possono contrarsi
migliaia di volte al giorno in altrettanti modi diversi.

Nel corso di una conversazione, in concomitanza delle sequenze degli scambi, lo sguardo regola
l’alternanza dei turni, segnala l’intenzione di prendere parola, comunica che si è finito di parlare. Alcuni
spunti pratici:

1. Occhiata di traverso comunica interesse, incertezza o ostilità; 2. Battito delle palpebre se fatto con
frequenza comunica può denotare imbarazzo e menzogna, oppure può rappresentare un tentativo di
escludere qualcuno dalla propria visuale per noia, disinteresse, o senso di superiorità; 3. Sguardi
fulminei, quando gli occhi sguizzano da una parte all’altra, rappresentano il tentativo di una persona di
cercare vie di fuga e segnala insicurezza in ordine agli eventi in corso.

L’antropologo E.T. Hall che nel 1963 ha introdotto tale termine, lo definisce come “lo studio dei modi
con cui l’uomo acquista conoscenza dei contenuti delle menti degli altri uomini, attraverso giudizi su
modelli di comportamento, associati a gradi di vicinanza ad essi”

e individua quattro differenti distanze tra le persone (E.T.Hall, 1969)

La distanza intima, dal contatto fisico fino a 45 cm, che si instaura quando c’è un rapporto di estrema
confidenza come tra la mamma e il bambino, persone innamorate o anche per comunicare affetto in
particolari situazioni sociali come ad esempio il saluto tra amici che non si vedono da tempo. Questa
distanza consente di rimanere a stretto contatto con l’interlocutore, potendone percepire il respiro,
l’odore della pelle, il profumo ed anche vivere situazioni emotive molto intense.

La distanza personale, nelle due varianti di vicinanza (tra i 45 e i 75 cm) e lontananza (tra i 75 ed i 120
cm), è quella più frequentemente utilizzata nella vita di relazione dell’uomo quando abitualmente
chiacchiera con gli altri, spiega un problema, discute un evento. Solitamente la vicinanza, senza mai
diventare intima, è direttamente proporzionale al grado di conoscenza e di confidenza con l’altro ed è
ancora tale da poterne consentire, allungando una mano, un contatto.

Tipica e ricorrente nelle situazioni di rapporto professionale è la distanza “sociale” (da m 1,20 a m 3,50)
che non impone necessariamente una relazione diretta con chi sta di fronte (F.Casolo, S.Melica, 2005).
La distanza “pubblica” è una variante della distanza sociale che porta lo spazio di relazione ad una
distanza superiore ai 3,50 m, utilizzata prevalentemente per situazioni comunicative generalmente
monodirezionali (lezione universitaria, rappresentazioni teatrali, concerti, comizi

La comunicazione non verbale è:

1 Comunicazione non verbale


A Quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di un’
interazione che riguardano il livello semantico del linguaggio

B Quella parte della comunicazione che fa riferimento al linguaggio del corpo,


alla comunicazione non parlata tra le persone

C Quella parte della comunicazione che riguarda sia il livello puramente


semantico del messaggio sia il linguaggio del corpo

D Un interazione priva di contenuto comunicativo

! Per comportamento non verbale interattivo si intende:

2 Rapporto tra comunicazione e comportamento

A L’insieme dei gesti utilizzati per influenzare il comportamento interattivo


degli altri

B L’insieme dei contenuti verbali utilizzati per influenzare il comportamento


interattivo degli altri

C L’insieme dei gesti utilizzati per aumentare la forza comunicativa del


messaggio

D L’insieme delle parole e dei gesti utilizzati per influenzare il comportamento


interattivo degli altri

! I dati a sostegno dell’ipotesi dell’esistenza di segnali che hanno una


connotazione biologica e innata sono:

3 Ontogenesi del comportamento non verbale: aspetti innati e appresi

A Che sono utilizzati solo dagli esseri umani


B Sono utilizzati dai primati non umani, in culture differenti, in bambini nati
sordi e ciechi

C Si manifestano in modo molto differente a seconda del genere

D Sono utilizzati solo nelle culture occidentali

! La funzione di coordinazione delle sequenze interattive è:

4 Funzione della comunicazione non verbale

A Un modo per monitorare la ricezione e interpretazione del messaggio

B Un modo per favorire l’espressione delle emozioni

C Un modo per ottenere informazioni sull’interazione in corso e sulle


sequenze da rispettare

D Un modo per impedire all’interlocutore di prendere parola

Dallo studio di Mehrabian è emerso che il significato di qualsiasi messaggio


viene dedotto:

5 Comunicazione non verbale

A In percentuale maggiore dalle parole rispetto al linguaggio visivo del corpo e


agli elementi vocali

B In percentuale minore dal linguaggio visivo del corpo rispetto alle parole e
agli elementi vocali

C In percentuale maggiore dal linguaggio visivo del corpo rispetto agli


elementi vocali e alle parole
D Dal linguaggio visivo del corpo, dagli elementi vocali e dalle parole con la
stessa percentuale

Il linguaggio del corpo è:

6 Il linguaggio del corpo rivela stati dâanimo e pensieri

A Il riflesso di stati d’animo, pensieri e intenzioni

B Sempre congruente con il linguaggio verbale

C In nessun caso coerente con il messaggio verbale

D Completamente sotto il controllo volontario del soggetto

La capacità di cogliere e interpretare i segnali non verbali è:

7 Differenze di genere

A Superiore negli uomini rispetto alle donne

B Superiore nelle donne rispetto agli uomini

C Uguale in entrambi i sessi

D Non presenta differenze di genere

L’espressione delle emozioni attraverso il volto è:

8 Espressione del volto


A Un fattore che non incide sulla regolazione della vita degli individui
all’interno del gruppo sociale

B Un fattore che non migliora le capacità comunicative all’interno di un gruppo

C Un fattore che non partecipa, insieme al linguaggio parlato, all’interazione


sociale

D Un fattore di regolazione della vita degli individui all’ interno del gruppo
sociale

Il gesto del palmo verso l’alto è:

9 Movimento delle mani

A Un gesto che fa sentire l’interlocutore minacciato e intimorito

B Un gesto che genera sentimenti competitivi

C Un gesto non minaccioso, di sottomissione, che suggerisce che il soggetto


non possiede armi

D Un gesto che provoca irritazione

Per prossemica si intende:

10 Distanza interpersonale e prossemica

A Lo studio della comunicazione verbale

B Lo studio della percezione e dell’uso dello spazio


C Lo studio dei movimenti del corpo

D Lo studio delle differenze culturali relative alla comunicazione

49.

La pragmatica della comunicazione umana

La funzione emotiva o espressiva relativa all’esprimere i sentimenti e i pensieri; la funzione informativa,


di trasmissione di dati ed informazioni; la funzione di “contatto” che si utilizza per entrare in contatto,
per mantenerlo o interromperlo (pensiamo ai saluti, alle esclamazioni, ad esempio). Consideriamo
infine la funzione poetica, cioè centrata sulla bellezza e complessità della propria costruzione,
metalinguistica, cioè la capacità della lingua di descriversi, di parlare di sé spiegandosi, come quando
descrive le proprie regole grammaticali e quella persuasiva usata per convincere gli altri, come in
pubblicità e nei discorsi politici.

. La comunicazione è partecipazione, in quanto presuppone l’accordo su significati condivisi e negoziati


all’interno di un gruppo o comunità: pertanto ha una matrice culturale e una natura convenzionale.

È importante sottolineare che non tutto quello che viene comunicato arriva al ricevente. Mediamente
infatti, attribuendo al messaggio che si vuole comunicare un valore 100, l’emittente riesce a comunicare
solo 70. A causa dei disturbi o ostacoli nello scambio comunicativo (come rumore, disattenzione,
scarso interesse, stanchezza, limiti culturali o fisici del ricevente, distacco o eccessivo coinvolgimento
emotivo) il ricevente viene a contatto solo con il 40% del messaggio e ne capisce il 20%.

E’ importante aggiungere che viene ricordato dal ricevente solo il 15-20% di ciò che ascolta (ad
esempio in una lezione frontale), il 30-35% di ciò che vede (il canale visivo è molto più potente
dell’uditivo per memorizzare): la percentuale di ricordo sale al 60-70% se il canale uditivo viene
supportato da quello visivo

Cosa fare per cercare di ovviare a questi problemi comunicativi?

L’emittente dovrebbe
a. definire l’obiettivo della comunicazione: se il ricevente sa qual è la finalità della

comunicazione, saprà coglierne più facilmente gli aspetti salienti.

b. dare precedenza alle informazioni riguardanti i fatti rispetto alle opinioni, evitando così di

confondere gli uni con le altre.

c. usare un linguaggio adeguato al ricevente.

d. esprimere con precisione semantica e sintattica il proprio pensiero, cioè essere chiaro.

e. sottolineare e ripetere i concetti fondamentali perché se un concetto viene ripetuto, vi sarà

una probabilità più alta che venga ricevuto e ricordato.

f. accompagnare le parole con i gesti per aiutarne il ricordo.

g. usare quando è possibile immagini, a supporto della comunicazione verbale.

h. è anche importante essere obiettivi, e interagire con il ricevente cogliendone, attraverso il linguaggio
verbale e non verbale,

i feedback (le informazioni di ritorno) per verificare l’efficacia della comunicazione.


i. l’efficacia comunicativa passa anche attraverso un’adeguata comunicazione corporea (guardare il
ricevente, mostrarsi sereni e ben disposti), l’alleggerire la comunicazione con pause, battute, esempi…

Il ricevente dovrebbe a. essere ben disposto alla comunicazione. b. avere capacità di ascolto. c.
essere in grado di capire e interpretare i significati simbolici dei messaggi. d. comprendere gli schemi di
riferimento dell’emittente. e. porre domande affinché l’emittente precisi il suo pensiero.

Uno dei primi studi scientifici sulla comunicazione può essere fatto risalire a Paul Watzlawick il quale,
all’interno del volume “La pragmatica della comunicazione umana” (1971), ha concettualizzato i principi
fondamentali della comunicazione, definendola come: “uno scambio interattivo fra due o più
partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far
condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e
di segnalazione secondo la cultura di riferimento”

Per “funzione pragmatica della comunicazione”, si intende la capacità del linguaggio d’avere
conseguenze sui comportamenti umani nei contesti in cui agisce. Non esiste comunicazione senza un
comportamento, né un comportamento che non comunichi qualcosa.

Watzlawick sottolineò come anche “le nevrosi, le psicosi e in generale le forme di psicopatologia non
nascono nell’individuo isolato, ma nel tipo di interazione patologica che si instaura tra individui”,

Watzlawick basa la sua elaborazione teorica su cinque assiomi, affermazioni basilari che riflettono i
meccanismi che si innescano nell’interazione tra segni e simboli. PRIMO ASSIOMA: non si può non
comunicare Qualsiasi comportamento (verbale = parole; o non verbale = espressioni del viso o azioni o
contesto) comunica qualcosa alle persone presenti.

SECONDO ASSIOMA: I messaggi possiedono un aspetto di contenuto ed uno di relazione Questo


assioma ci dice che in ogni interazione comunicativa dobbiamo identificare due aspetti: l’aspetto (o
livello) del contenuto (che notizia sta passando) e l’aspetto (o livello) della relazione (all’interno di quali
ruoli relazionali?). Il livello della relazione risponde alla domanda “chi ha diritto di dire cosa? e come lo
deve dire per stare nel suo ruolo?”.

Questo aspetto relazionale, il più delle volte implicito, del messaggio è definito “metacomunicazione”.
Sincronicamente o addirittura prima di analizzare il contenuto manifesto dei sistemi verbali, esiste un
“tendere a” codefinire le regole del gioco relazionale implicito. Perché l’aspetto metacomunicativo sia
congruo con la comunicazione verbale e non verbale ci dovrebbe essere reciproca consapevolezza dei
ruoli relazionali.

la comunicazione dipende dalla punteggiatura (dalla mappa) utilizzata dai soggetti che comunicano La
realtà in quanto tale non esiste. Esiste la mappa (=punteggiatura) che ciascuno di noi ha per leggerla e
che può differire da persona a persona. Lo slogan che riassume efficacemente questo assioma è “La
mappa non è il territorio!” E’ evidente che le personali letture della realtà comunicativa influenzano
moltissimo il passaggio dei contenuti dell’informazione. Ma da cosa dipende la mappa o punteggiatura
della realtà? Dall’insieme di convinzioni, credenze e valori che si formano all’interno di ciascuno di noi
per cultura, esperienze, strutturazione psicologica e biologica. Un disaccordo su come punteggiare una
sequenza di eventi può essere all’origine di un conflitto di relazione. Un tipico errore di punteggiatura è
rappresentato dalla profezia che si autoavvera in cui il soggetto crede di reagire ai comportamenti altrui
mentre in realtà li provoca.

Il topo ha una punteggiatura della realtà diversa da quello dello sperimentatore e pensa: “Ho addestrato
il mio sperimentatore. Ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare” Marito e moglie credono
entrambi di “leggere bene” la realtà e che i problemi siano provocati dal partner

La punteggiatura dirige, dunque, il flusso comunicativo e le modalità di interpretarlo. La cultura,


organizzando e codificando esperienze comuni e frequenti, ci permette di ottenere la condivisione degli
aspetti basilari (le mappe diventano condivise).
Il doppio legame E’ di fondamentale importanza che ci sia accordo tra il livello verbale e non verbale
per evitare quello che viene definito . una madre che dice al figlio con tono rabbioso”tivlio bene” sta
mandando un doppio legame

Il doppio messaggio o doppio legame normalmente genera molto stress nella comunicazione. Per
uscire da un doppio messaggio dobbiamo porci ad un livello meta-comunicativo; dobbiamo cioè
esplicitare che c’è una doppia informazione, altrimenti rimaniamo paralizzati e sbagliamo comunque ci
comportiamo

QUINTO ASSIOMA: Gli scambi comunicativi possono essere simmetrici o complementari a seconda
che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.

Le comunicazioni possono essere simmetriche o complementari. Relazione simmetrica: l’interazione è


alla pari (=basata sull’uguaglianza) Relazione asimmetrica o complementare. In questo caso, un
membro della coppia relazionale assume una posizione primaria, detta one-up, superiore; mentre l’altro
partner è complementare a questa posizione, assumendo una posizione one-down, inferiore. Denotare
un membro della coppia come superiore o inferiore non è un giudizio etico o di merito

La funzione metalinguistica della comunicazione:

Introduzione

A Consente alla lingua di descrivere se stessa e le proprie regole

B E' ciò che trasmette dati ed informazioni

C Trasmette pensieri ed emozioni

D Crea interferenza

Emittente e ricevente:

2 Gli elementi della comunicazione

A Sono colui che comunica e colui che riceve un messaggio

B Sono sempre due persone

C Sono sistemi tecnologici di comunicazione


D Non sempre comunicano

! La funzione dell’influenza della comunicazione sul comportamento umano si chiama:

3 I cinque assiomi della comunicazione

A Semantica

B Sintassi

C Pragmatica

D Semiotica

!! La comunicazione è:

4 I cinque assiomi della comunicazione

A Uno scambio di informazioni

B Una relazione sociale

C Un dibattito

D Un’attività inconsapevole

! Un assioma della comunicazione è:

5 I cinque assiomi della comunicazione

A Una complessa attività di scambio verbale


B Una caratteristica del linguaggio non verbale

C Una affermazione che riflette i meccanismi che si innescano nell’interazione tra segni e
simboli

D Una proprietà del linguaggio infantile

! E’ impossibile non comunicare :

6 I cinque assiomi della comunicazione

A Perché è impossibile il non comportamento

B Perché il nostro interlocutore insiste nel farci parlare

C Perché se no si interrompe la relazione

D Perché il non verbale dice sempre qualcosa di noi

Il secondo assioma della comunicazione dice che:

7 I cinque assiomi della comunicazione

A Bisogna comunicare in tutte le circostanze

B Ogni evento comunicativo ha un livello di contenuto e uno di relazione

C La comunicazione è un fattore innato

D Bisogna comunicare seguendo le corrette regole grammaticali

8 La punteggiatura delle sequenze di comunicazione:


I cinque assiomi della comunicazione

A Si riferisce al fatto che in uno scambio comunicativo c’è un reciproco riconoscimento del
turno di parola, di chi afferma e di chi risponde

B Si riferisce al fatto che ciascuno ha una propria mappa per leggere la realtà

C E' il bisogno di assumere una specifica intonazione per essere compresi

D E' rispettare delle specifiche pause mentre si parla

Il modo simbolico di comunicare:

9 I cinque assiomi della comunicazione

A E' quello che si fa con il linguaggio non verbale

B E' tipico dei primitivi e degli animali

C Corrisponde alla comunicazione verbale

D Comprende le conoscenze artistiche e antropologiche dell’individuo

Una comunicazione è simmetrica:

10 I cinque assiomi della comunicazione

A Quando si parla dello stesso argomento

B Quando è basata sull'uguaglianza


C Quando un interlocutore è d’accordo con l’altro

D Si svolge tra datore di lavoro e impiegato

50,

Il conflitto

La lingua latina, come sempre soccorre il bisogno esplicativo: il vocabolo conflitto è una parola colta
che riprende il latino CONFLICTUS dal verbo CONFLIGERE, composto da CUM, con e di un raro
FLIGERE, urtare, sbattere contro. Il prefisso CUM indica che l' "urto" non è unilaterale. Ma coinvolge
almeno due parti: è così definita una lotta, un contrasto, un coinvolgimento di due o più persone. Kurt
Lewin, psicologo tedesco, pioniere della Psicologia Sociale, così lo definisce: "Il conflitto è quella
situazione in cui le forze di valore, approssimativamente uguali ma dirette in senso opposto, agiscono
simultaneamente sull'individuo".

Approccio psiconalaitico→ Freud ,: manifesto e latente→ Edipo, Principio di piacere e di realtà

Approccio sociale al conflitto

Il conflitto in psicologia sociale può essere definito come “una situazione in cui forze di valore
approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto agiscono simultaneamente sull’individuo” (K.
Lewin).

In ogni situazione conflittuale si possono rintracciare tendenze verso almeno due forme di
comportamento: - Tendenze rivolte al raggiungimento di un obiettivo (tendenze appetitive). - Tendenze
rivolte all’evitamento di eventi indesiderati (tendenze avversative)

Conflitto tra due tendenze appetitive (attrazione-attrazione): il soggetto dovrà scegliere tra due obiettivi
ugualmente positivi ma la situazione è tale per cui può raggiungerne soltanto uno; questo è il tipo di
conflitto più innocuo in quanto i due obiettivi non si equivalgono mai in maniera completa e perché, al
tempo stesso, l’individuo nutre, in partenza, qualche preferenza rispetto ad uno dei due obiettivi, o
ancora perchè un cambiamento della situazione sposta l’interesse su uno dei due. 2) Conflitto tra una
tendenza appetitiva ed una avversativa (attrazione-avversione): se le due tendenze sono di forza
simile, il soggetto rimane sospeso ed indeciso. In questo tipo di conflitto rientrano tutte le situazioni
nelle quali il soddisfacimento di un desiderio è condizionato al pagamento di un prezzo elevato. 3)
Conflitto tra due tendenze avversative (avversione-avversione): nel conflitto di questo tipo il soggetto si
trova di fronte a due oggetti o situazioni ugualmente negativi o spiacevoli. Se la ritirata non è possibile,
di solito si opera la scelta del male minore. 4) Conflitto tra due tendenze che sono in sé sia appetitive
che avversative: il soggetto si trova di fronte ad oggetti o situazioni che evocano contemporaneamente
attrazione e repulsione. E’ importante sottolineare che i conflitti più acuti si verificano allorché tendenze
incompatibili sono caratterizzate dalla medesima intensità.

L’appartenenza ai due generi, le diverse età, l’appartenenza a diverse classi sociali, professioni
impongono di volta in volta regole di comportamento diverse, a volte incompatibili. In questo caso, la
variabile “ruolo” assume notevole importanza; il conflitto, infatti, può nascere allorché l’individuo si
ritrova ad occupare, contemporaneamente, due posizioni differenti che prescrivono atteggiamenti
diversi: si parla allora di conflitto tra ruoli.

Come possiamo risolvere un conflitto legato al doppio ruolo? Il conflitto tra i ruoli può essere risolto nei
seguenti modi:

1. La separazione consiste nel tentativo di separare, sia nel tempo che nello spazio, i due ruoli in
conflitto. Ad es. il soggetto che fa parte di 2 gruppi che esigono comportamenti diversi, può cambiare
passando da un gruppo all’altro. Tale meccanismo può agire anche a livello più profondo. L’Io, sede del
conflitto, può separare i due ruoli distaccandosi interiormente da uno di essi, pur attuandoli entrambi
nella realtà. I ruoli scartati dall’Io sono vissuti come carichi di sensi di colpa, a volte proiettati su un io
ausiliario, che il soggetto non riconosce come appartenente alla propria personalità. (es.: il bambino
attribuisce le azioni cattive al Diavolo e le buone azioni a se stesso).

2. Il compromesso, attraverso il quale l’individuo può scegliere di rinviare l’azione in attesa che uno dei
due gruppi, o entrambi, in conflitto tra loro, attenuino le proprie esigenze nei confronti di un soggetto. In
alternativa, l’individuo può tentare di ristrutturare il ruolo stesso con l’obiettivo di adattarlo a ciascuno
dei due gruppi; ancora, l’individuo può risolvere il conflitto attraverso la forma di compromesso più
diplomatica ma, al tempo stesso, più difficile da attuare, ovvero utilizzare un ruolo contro l’altro al fine di
indicare a ciascun gruppo che le esigenze richieste sono incompatibili, il tutto al fine di far sì che le
esigenze stesse vengano attenuate.

3. La fuga, (soluzione negativa) attraverso la quale l’individuo può districarsi dai due ruoli in conflitto
evitando qualsiasi tipo di scelta e qualsiasi tipo di mediazione o separazione tra gli elementi in
questione

La gerarchia dei gradi di obbligatorietà dei ruoli, senza la quale l’individuo si troverebbe in uno stato di
conflitto permanente, ovvero alcuni ruoli possono essere temporaneamente abbandonati a vantaggio di
altri.

Approccio cognitivo al conflitto Un altro approccio classico al problema del conflitto è quello adottato
dagli psicologi cognitivisti. In questo ambito un ruolo fondamentale è occupato dalla teoria della
dissonanza cognitiva postulata da Festinger.

Per “dissonanza cognitiva”, Festinger intende lo stato di disagio che l’individuo sperimenta allorché è
consapevole della contraddittorietà, o della mancanza di armonia, fra due o più contenuti mentali o
cognizioni. Nella sua teoria, Festinger sostiene che le persone tendono ad evitare o alleviare questi
stati di disagio, comportandosi in maniera tale da ridurre la dissonanza o da mantenere l’armonia fra i
loro diversi atteggiamenti, convinzioni e conoscenze.

In alternativa, l’individuo può ridurre la dissonanza cognitiva integrando un nuovo elemento cognitivo in
aggiunta agli elementi consonanti, il tutto al fine di modificare il rapporto con gli elementi dissonanti.

Il conflitto come fenomeno fisiologico

Come scrivono Spaltro e De Vito Piscicelli, “Il conflitto non è una malattia misteriosa di cui non si
conosce la causa, ma è un processo fisiologico che, se non viene regolato, può diventare malattia" .
"Ogni situazione lavorativa è di necessità conflittuale ... Il conflitto è una qualità umana come il
mangiare, il bere il camminare ed il comunicare, solo che ci si riferisce non ad una qualità individuale,
ma ad una qualità relazionale. E, soprattutto, il conflitto non è una patologia relazionale, ma è la
relazione in se stessa”.

La gestione costruttiva del conflitto


La parola conflitto continua ad evocare nella nostra cultura concetti o immagini sgradevoli,
rimandandoci allo scontro, al contendere, all’aggressività e inevitabilmente alla violenza. Se la pace è
stata considerata antitetica rispetto al conflitto e dunque il conflitto visto come guerra, un modo nuovo
per affrontare la possibilità di una pace - concreta e operativa - è ristrutturare la stessa concezione di
pace. La proposta è quindi di accettare che il concetto di pace contenga in sé quello di conflitto, in
quanto permette di mantenere la relazione anche nella divergenza

Questa è la sfida: creare le condizioni affinché le relazioni possano alimentarsi non solo nella simpatia
ma anche nella discordanza e nella diversità. Cercare di apprendere la capacità di stare dentro il
conflitto e di vivere la diversità come momento di crescita e non più come un fattore di paura e di
minaccia. La diversità perde così la sua connotazione di antagonismo e diventa un elemento evolutivo,
di arricchimento, se supportata da un atteggiamento intersoggettivo

Il conflitto diventa così un’opportunità di leggere se stessi, di osservare quelle parti di noi che non
conosciamo, che la relazione con l’altro fa emergere in modo più eclatante.

Alcune riflessioni possono aiutarci a vedere da un altro punto di vista il conflitto e fornire spunti per
gestire i conflitti in modo non violento, costruttivo, trasformandoli in un’opportunità evolutiva e di
crescita reciproca: Ricordiamo che il conflitto è un problema da gestire, e non una guerra da
combattere.

Non è l’assenza di conflitto a determinare il benessere. Anzi l’assenza totale di conflitto di solito
segnala appiattimento, paura reciproca, rancori nascosti, immaturità. Molto raramente l’assenza totale
di conflitto è indice di totale accordo

Esiti negativi e positivi della soluzione di un conflitto Gli esiti del conflitto sono di vario tipo. Un esito
possibile è la completa sottomissione alla autorità di qualcuno (uno cede ad un altro), un altro è il
compromesso (tutti concedono qualcosa agli altri). Spesso, quando le persone non riescono a trovare
in sé la capacità di risolvere conflitti, si affidano alla mediazione di un terzo. Altre volte la strategia è il
disimpegno, una vera e propria fuga dall’ambito conflittuale (quieto vivere) che di solito porta ad
esplosioni di conflitto ancora più ampio in un secondo momento. Apprendere l’arte del compromesso è
qualcosa di possibile. Innanzitutto va detto che il compromesso si attua attraverso la concessione
reciproca; tutti lasciano qualcosa ma tutti guadagnano qualcosa. E’ proprio la sensazione piacevole di
aver vinto tutti che fa sentire le persone bene e che permette di affrontare successivi conflitti senza
eccessivi patemi.
Cosa genera un conflitto Una situazione conflittuale tra due persone può essere generata da diverse
cause, ed in particolare dalla presenza di:

1. Soggetti litigiosi: persone che sul piano caratteriale, per propria indole, sono predisposte al conflitto,
ovvero tendono a generare situazioni relazionali di tipo conflittuale, al di là del contenuto di
comunicazione trasmesso

2. Scarsità di risorse: alcune situazioni di conflitto possono essere generate da una scarsità di risorse
(es guerre civili delle popolazioni africane), ovvero da situazioni in cui una persona necessità di un
qualsiasi tipo di risorsa che però non gli viene data.

3. Lotta di potere: nella relazione tra due persone possono essere distinti due piani: piano verticale,
quando tra le due persone c’è un rapporto gerarchico; piano orizzontale, quando le due persone sono
legate da un rapporto paritario, non gerarchico. La disparità di piano diventa potenzialmente conflittuale
quando genera una lotta di potere in cui uno intende prevaricare l’altro

4. Invasione: il conflitto può essere generato anche dall’invasione da parte dell’altro del proprio ambito
spaziale, di ruolo professionale, ecc., ovvero quando si verifica un’invasione del proprio uovo
prossemico e/o psicologico
5. Disconferma: il conflitto interpersonale può essere generato anche da un atteggiamento di
disconferma dell’altro, ovvero da un atteggiamento di indifferenza che significa la mancata
riconoscenza dell’esistenza dell’altro

6. Differenza di bilancio: una situazione potenzialmente conflittuale può scaturire quando una persona
presume di aver maturato un credito nei confronti dell’altro che però non gli viene restituito. (Ad
esempio: “con tutto quello che ho fatto io per te….”

Come risolvere il conflitto Date queste premesse, è importante sottolineare che il conflitto non può
essere risolto, bensì gestito e trasformato in altro, andando ad incidere sulla relazione. A questo
proposito si possono utilizzare alcune strategie:

1.La metacomunicazione: per riposizionare ad un livello di equilibrio i piani relazionali tra due soggetti,
si può decidere di andare oltre al contenuto della comunicazione per spostare la conversazione sul
problema di comunicazione insorto. Ovvero si travalica la situazione per parlare della situazione in sè.

2. Disarmo unilaterale: di fronte ad una persona ‘’armata’’ si può reagire tentando di fargli ‘’posare le
armi’’ gettandole per primo, oppure facendo leva su un atteggiamento assertivo.

3. Intervento di una terza persona: alcune situazioni di conflitto possono richiedere, per essere gestite
(non in modo deresponsabilizzante da parte di chiede a un terzo), l’intervento di un soggetto terzo che
però per essere efficace deve possedere due caratteristiche: essere equidistante,ovvero mantenere
una distanza orizzontale uguale tra le due persone in conflitto, ed essere super partes, ovvero
mantenere un’uguale distanza verticale nei confroLa via maestre per risolvere il conflitto: la
negoziazione

La negoziazione è “un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire

cosa ognuna dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al raggiungimento di

un accordo mutuamente vantaggioso”nti delle due persone.

4. Ristrutturazione: di fronte ad un conflitto possono decidere di riprendere la relazione allo scopo di


ristrutturala su piani diversi e più positivi.

Alcuni comportamenti per fronteggiare il conflitto in modo costruttivo

Prendiamo tempo

Essere consapevoli delle proprie emozioni ed esprimerle

Esprimere i bisogni che sono all’origine dei sentimenti Le azioni degli altri possono essere il fattore
scatenante, non la causa dei nostri sentimenti, i quali hanno origine nei nostri bisogni.

Evitare il “muro contro muro” Questo ci invita a non reagire a ciò che leggiamo come provocazioni,
trovando una strada diversa da quella che ci suggerisce la contrapposizione.

Rispettare i contenuti del conflitto Durante una comunicazione conflittuale evitiamo di rimandare il
problema ad un quadro generale, ad una situazione precedente.

Evitare giudizi: sperimentiamo la critica costruttiva e l'empatia

Formulare delle richieste, non delle pretese.

3) Fare molte domande

4) Rispettare le idee e le esigenze altrui

La negoziazione non è:
La persuasione, intesa come prepotenza, cioè il voler convincere a tutti i costi l'altro della bontà delle
nostre prospettive.

La suggestione, una specie di ipnosi, che non lascia il partner libero di scegliere.

L'imbonimento.

L'inganno o la classica "fregatura".

La negoziazione è giungere ad un accordo tra le parti in discussione: un accordo che soddisfifa


enrambe le parti.

Dilemma del prigioniero

Il dilemma può essere descritto come segue. Due criminali vengono accusati di aver commesso un
reato. Gli investigatori li arrestano entrambi e li chiudono in due celle diverse, impedendo loro di
comunicare. Ad ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l'accaduto, oppure non
confessare. Viene inoltre spiegato loro che:

1. se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l'altro viene però condannato a 7 anni
di carcere.

2. se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni.

3. se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno, perché comunque già
colpevoli di porto abusivo di armi.

4. La miglior strategia di questo gioco non cooperativo è (confessa, confessa). Per ognuno dei due lo
scopo è infatti di minimizzare la propria condanna; e ogni prigioniero: confessando: rischia 0 o 6 anni
non confessando: rischia 1 o 7 anni

5. La strategia non confessa è strettamente dominata dalla strategia confessa. Eliminando le strategie
strettamente dominate si arriva all'equilibrio di Nash, dove i due prigionieri confessano e hanno 6 anni
di carcere. Il risultato migliore per i due ("ottimo paretiano") è naturalmente di non confessare (1 anno di
carcere invece di 6), ma questo non è un equilibrio.

6. Supponiamo che i due si siano promessi di non confessare in caso di arresto. Sono ora rinchiusi in
due celle diverse e si domandano se la promessa sarà mantenuta dall'altro; se un prigioniero non
rispetta la promessa e l'altro sì, il primo è allora liberato

Per conflitto in psicologia si intende:

Introduzione

A Uno scontro tra ciò che la persona, o il proprio gruppo di appartenenza


desidera e un'istanza interiore, interpersonale o sociale che impedisce la
soddisfazione del bisogno o dell'obiettivo connessi a tale desiderio

B Un atto aggressivo tra persona e un oggetto


C Soddisfazione di un proprio bisogno

D Soddisfazione di un proprio pensiero

! Il conflitto intrapsichico riguarda:

2 Tipologie generali di conflitto

A I desideri o mete contrastanti di cui il soggetto è normalmente consapevole

B Solo aspetti di natura sociale

C Due o più persone quando la soddisfazione di un desiderio o il


conseguimento di un obiettivo da parte del singolo entra in contrasto con i
desideri o gli obiettivi di altre persone

D Due o più gruppi sociali in lotta tra loro per ottenere risorse esclusive

Il primo autore che ha parlato di Psicanalisi è stato:

3 Approccio psicanalitico al conflitto

A Sapir – Whorf

B Chomsky

C Freud

D Pavlov

4
Secondo Kurt Lewin il conflitto in psicologia sociale può essere definito
come:

Approccio sociale al conflitto

A Una situazione in cui forze di valore approssimativamente uguale ma dirette


in senso opposto agiscono simultaneamente sull’individuo

B Una situazione in cui forze diverse sono dirette in senso uguale e non
agiscono sull’individuo

C Una situazione in cui forze uguali sono dirette in senso uguale e non
agiscono sull’individuo

D Una situazione in cui nessuna forza agisce sull’individuo

! L’autore che si è occupato della Teoria della Dissonanza Cognitiva è:

5 Approccio cognitivo al conflitto

A Freud

B Maslow

C Gordon

D Festinger

! Chi tra questi autori ha inteso il conflitto come un processo fisiologico:

6 Il conflitto come processo fisiologico

A Spaltro e Piscitelli
B Festinger

C Freud

D Pavlov

La gestione costruttiva del conflitto può avvenire attraverso:

7 La gestione costruttiva del conflitto

A Lo scontro aggressivo

B Scontro aggressivo e verbale

C Il giudizio

D La consapevolezza e l’espressione delle proprie emozioni, l’ espressione


dei bisogni che sono all’origine dei sentimenti, evitare il “muro contro muro”,
rispettare i contenuti del conflitto, evitare giudizi: sperimentiamo la critica
costruttiva, formulazione delle richieste, non delle pretese

Le strategie per risolvere il conflitto sono:

8 Come risolvere il conflitto

A La meta comunicazione, il disarmo unilaterale, l’intervento di una terza


persona e la ristrutturazione

B La calma e la comprensione

C L’empatia e la condivisione
D Il perdono e la cooperazione

Secondo Rubin, la negoziazione è:

9 L'inganno o la classica fregatura

A Un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire cosa
ognuna dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al
raggiungimento di un accordo mutuamente vantaggioso

B La persuasione, il voler convincere ad ogni costo l'altro della bontà delle


nostre prospettive

C La suggestione, una specie di ipnosi, che non lascia il partner libero di


scegliere

D L'inganno o la classica "fregatura"

Nel “Dilemma del Prigioniero” la migliore strategia è:

10 Un esempio di conflitto: Il dilemma del prigioniero

A Confessa-confessa

B Confessa-non confessa

C Non confessa-non confessa

D In tutti i casi il prigioniero rischia almeno un anno di reclusione

51.

L’aggressività

. La teoria istintuale tra psicoanalisi e psicologia evoluzionista S. Freud parlava dell’esistenza di un


istinto vitale, chiamato Eros, e di un istinto di morte ,chiamato Thanatos, che è alla base
dell’aggressività. Secondo un modello idraulico F. sostiene che questa energia tende ad accumularsi e
deve trovare sfogo, altrimenti porta alla malattia. Attraverso la società l’individuo può sublimare l’istinto
e volgere l’energia distruttiva verso un comportamento accettabile o utile. Secondo il modello etologico
l'aggressività è un istinto atto a preservare la sopravvivenza della specie. L'animale combatte per il
cibo, per la messa in fuga dell'avversario, e per la competizione sessuale, mentre non sembra
possedere le connotazione di ostilità propria del genere umano.

K. Lorenz

Uno dei fondatori dell'etologia e premio Nobel nel 1973, ha studiato le abitudini comportamentali degli
animali e ha elaborato una teoria estesa al genere umano. Egli distingue componenti innate e
componenti apprese del comportamento. La selezione naturale avrebbe determinato caratteristiche
fisiche per la sopravvivenza mentre le componenti apprese sarebbero alla base di caratteristiche
psicologico - comportamentali.

Altri autori come Tinberg (1953) e Van Lawich, ad esempio, valorizzano maggiormente l'ambiente e
considerano l'aggressività non è solo un istinto proveniente dall'interno ma anche una risposta a stimoli
ambientali

L’aggressività nell’età evolutiva Nel bambino l'aggressività appare sin dall'infanzia ed assolve alla
funzione di acquisizione di autonomia, utile al distacco dalla protezione delle figure genitoriali. Il
bambino, attraverso l'aggressività, impara ad affrontare il mondo, ad interagire con oggetti e persone
per conoscere e gestire ciò che lo circonda.

Nel corso della crescita, con l'interazione sociale il bambino progressivamente impara che può essere
aggressivo in vario modo e che non tutte le manifestazioni aggressive sono permesse.
Nell'adolescenza, l'aggressività si carica di molteplici significati, adattivi e non, che si completeranno
nell'età adulta

Il contributo della biologia

La biologia ha dato un importante contribuito allo studio del comportamento aggressivo tramite ricerche
sul comportamento animale ed umano. Gli etologi hanno definito l'aggressività una modalità
comportamentale necessaria non solo per la sopravvivenza del singolo e della specie, ma per
l'evolversi di entrambi.

La ricerca genetica A partire dal XIX secolo gli studiosi hanno cercato di individuare le basi genetiche
dell'aggressività. Lombroso, fondatore dell'antropologia criminale, fortemente influenzato dalla
fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia, ha ricercato l'esistenza del “gene del male”,
asserendo che esistono peculiari caratteristiche anatomiche in soggetti che hanno una innata
inclinazione al male

Le prove scientifiche che confermano questa teoria sono poche e frammentarie

Tuttavia da tempo è stato visto come in alcuni casi le alterazioni dei cromosomi sessuali siano in
stretta relazione con i comportamenti aggressivi in soggetti con il genotipo XYY a 47 cromosomi, che
vengono descritti come violenti, impulsivi e tendenti ad azioni criminose.

Hook (1973) postula che, a questo proposito l'aspetto più importante non sia l'aumento della
aggressività quanto un aumento della impulsività

Il notevole progresso nella conoscenza neuroanatomica, alla base del comportamento aggressivo, si è
basata su studi di fisiologia sperimentale effettuati su animali (Moruzzi, 1975), sui risultati delle
osservazioni dirette ed indirette scaturite dal lesione chirurgica e sulla stimolazione elettrica di alcune
aree cerebrali di pazienti con gravi patologie a fini terapici. I sistemi neuronali implicati sono molteplici e
situati principalmente nel sistema limbico e nel tronco dell'encefalo (Fuster, 1980; Volavka V.,1995).
Studi su animali, ed in particolare sulle scimmie, hanno evidenziato come l'amigdalectomia riduca la
risposta a stimoli minacciosi
"il fatto che l'amigdala, le fibre amigdalo-ipotalamiche e la regione laterale ipotalamica mostrano tutte,
se pure in grado diverso, una importanza cruciale nei riguardi di questo siano implicate nel
comportamento (aggressivo) ci mostra come esso sia legato alla integrità di un circuito più che di un
vero e proprio centro nel senso classico della parola. Esiste in complesso una regione che inizia nel
telencefalo, continua nel sistema limbico attraversa tutto l'ipotalamo e finisce nel mesencefalo, dalla cui
eccitazione risulta un comportamento aggressivo e di lotta..."

Gli ormoni sessuali

Gli ormoni più frequentemente studiati come modulatori dei comportamenti aggressivi nell'uomo sono
quelli sessuali e steroidei in genere

Le ricerche neuroendocrinologiche hanno dato un importante ruolo al testosterone e agli androgeni in


generale nella presenza di una maggiore aggressività maschile, mentre l'estradiolo è stato considerato
l'inibitore per eccellenza dell'aggressività del genere femminile, solitamente considerato più docile
rispetto al maschile

L’aggressività mediata da fattori interni in risposta a situazioni esterne o sociali

All’interno di questa prospettiva vengono analizzati i fattori interni che mediano l’aggressività (la
frustrazione, l’eccitazione o i vissuti emotivi connotati negativamente)

La teoria della frustrazione aggressione La teoria della frustrazione-aggressione di Dollard e Miller


(1939) è una delle prime teorie psicologiche sull’aggressività. Secondo gli autori “la frustrazione
conduce sempre a qualche forma di aggressività”. Quando si parla di frustrazione si intende la
situazione psicologica di colui che non ha potuto raggiungere un obiettivo. La frustrazione può quindi
essere legata ad un’aspettativa non realizzata, ad una promessa non mantenuta, ec

Secondo il modello cognitivo-neoassociazionista di di Berkowitz gli antecedenti delle condotte


aggressive sono rintracciabili nei vissuti di rabbia correlati a situazioni di malessere esperite
dall'individuo. I vissuti emotivi negativi possono generare comportamenti di fuga o di aggressione. I
primi sono originati dalla paura i secondi dalla rabbia. La prevalenza di una risposta sull'altra è
determinata dalla combinazione di fattori genetici, situazionali e dagli apprendimenti.

Zillmann nel 1979 con la teoria del trasferimento dell'eccitazione assume una prospettiva simile a quella
di Berkowitz riconoscendo però un contributo fondamentale all’interpretazione cognitiva dell’eccitazione
nel provocare l’aggressività. Secondo l’autore, è l’interpretazione che i soggetti danno all’attivazione di
uno stato emotivo a determinare una reazione aggressiva da parte loro.

4. L’approccio comportamentista (Il condizionamento operante) Una risposta aggressiva emessa dal
soggetto può essere mantenuta come stile abituale d’interazione, nel momento in cui permette di
raggiungere un obiettivo desiderato. In questo senso, allora, molti comportamenti aggressivi vengono
rinforzati, più o meno consapevolmente, dall’ambiente di vita del soggetto

Il comportamento aggressivo può inoltre essere rinforzato, nella misura in cui permette di evitare una
conseguenza sgradita

La teoria dell’apprendimento sociale

Albert Bandura nel 1973 teorizza la teoria dell’apprendimento sociale e postula che l'aggressività può
essere appresa per imitazione osservando i comportamenti degli altri. Come per la maggior parte dei
comportamenti sociali, anche gli atteggiamenti aggressivi possono essere appresi osservando altri che
li agiscono e osservando soprattutto le conseguenze che quei comportamenti generano. Esperimento
del pupazzo Bobo

Il modello sociologico

Quando studiamo l'influenza dei fattori socio-culturali sui comportamenti aggressivi, il campo di
indagine si dilata fino ad assumere contorni sfumati, imprecisi dove spesso rischiamo di confondere
opinioni personali con dati oggettivi e/o inconfutabili; d'altra parte le anomalie neurobiologiche non sono
sufficienti a spiegare la "cultura della violenza" che esiste in certi strati sociali di molti paesi, nè dall'altra
a spiegare come in piccole comunità religiose e/o laiche esista una insignificante frequenza di atti
violenti.

parliamo di anomia o crisi di valori come causa dell’aggressività

Teoria dell’obbedienza di Milgram (1963)

Il comportamento aggressivo può essere indotto per mera obbedienza. L’obbedienza è una particolare
forma di conformità che si esplicita quando tra la fonte di influenza e il bersaglio vi è una differenza di
status, di tipo qualitativo. Sulla base dell’autorità che gli è riconosciuta un individuo esercita in modo
esplicito e diretto una pressione su altri individui. Il comportamenti di obbedienza diventa l’esito delle
pressioni esercitate dal contesto e dalle situazioni in cui le persone agiscono. Vi è quindi uno “stato
eteronomico”, inteso come stato mentale che dispone un individuo a orientare il proprio comportamento
secondo le disposizioni date da altri di status superiore.

L'esperimento di Zimbardo (teoria della deindividuazione 1971-2007)

Il ricercatore attraverso una serie di esperimenti, studia l’innesco di modelli comportamentali aggressivi
indotti da dinamiche di gruppo (senso di appartenenza, distinzione ingroup- out-group, norme di
gruppo, diffusione di responsabilità); elementi situazionali ( anonimato, ridotta prospettiva temporale,
contesto elicitante violenza). La teoria della deindividuazione spiega l’aggressività in termini di riduzione
del controllo sul comportamento individuale indotto dai fattori sopraindicati. Un soggetto per il solo fatto
di essere inserito all’interno di un gruppo, la cui norma condivisa è quella dell’aggressività, riduce fino
ad annullare l’autopresentazione e la responsabilità delle proprie azioni.

L’aggressività se diviene assertività è un sentimento positivo volto al cambiamento costruttivo. Guai se


non ci fosse, nel mondo non ci sarebbe progresso. Per eliminare vecchie politiche o vecchie ideologie
ci vuole rabbia . La capacità di gestire o meno l’aggressività all’interno delle relazioni sociali dà luogo a
due tipi di comportamento antitetici: il comportamento autorevole/ assertivo e il comportamento
aggressivo/autoritario

comportamento autorevole/assertivo

comportamento aggressivo/autoritario: Il mondo è popolato da gente ostile, dalla quale ci si deve


proteggere

Si definisce aggressivo un comportamento:

1 Che cos'è l'aggressività

A Che arreca intenzionalmente sofferenza e danno a terzi

B Che scaturisce dalla collera

C Il cui scopo è far innervosire

D Che crea interferenza relazionale


Secondo la psicologia evoluzionista il comportamento aggressivo assolve
ad una funzione:

2 La teoria istintuale tra psicoanalisi e psicologia evoluzionista

A Disadattava

B Adattiva

C Disadattata

D Compiacente

Nel bambino l'aggressività assolve alla funzione di:

3 L'aggressività nell'età evolutiva

A Acquisizione di autonomia

B Affidamento all’adulto

C Affermazione del potere

D Attirare l’attenzione dell’adulto di riferimento

Le prove sull'ereditarietà genetica delle condotte aggressive nell'uomo


sono:

4 La ricerca genetica

A Esaustive
B Parziali e frammentarie

C Fasulle

D Inoppugnabili

Secondo la “Teoria della frustrazione” di Dollard e Miller, l’aggressività:

5 La teoria della frustrazione aggressione

A Deriva dal vissuto di frustrazione esperito dal soggetto

B Nasce a seguito di assenza di frustrazione

C E' dovuta all’incapacità del genitore di frustrare il figlio

D Deriva dal vissuto di alienazione

! Secondo il “Modello cognitivo-neoassociazionistadi”di Berkowitz:

6 Il modello cognitivo-neoassociazionista

A Gli antecedenti delle condotte aggressive sono rintracciabili nei vissuti di


rabbia correlati a situazioni di malessere esperite dall'individuo

B La condotta aggressiva è sempre premeditata

C Vissuti di paura procurano disorientamento

D La cognizione è sempre legata all’associazione empirica

7 Albert Bandura nel 1973 teorizza:


La teoria dell'apprendimento sociale

A La teoria dell’apprendimento sociale

B La teoria della dispersione di identità

C La teoria della disapprovazione sociale

D La teoria della dislocazione della rabbia

Nel modello sociologico:

8 Il modello sociologico

A Si è propensi a spiegare l'aumento dei tassi di violenza con la crisi di valori

B Si da rilevanza al rinforzo vicariante

C Si considera la violenza una pulsione innata che compare spontaneamente

D Si valuta la funzione adattiva dell’aggressività

La persona autorevole:

Capacità di gestire l'aggressività e comportamento sociale autorevole e


9 autoritario

A E' convinta che attraverso il piglio duro ed aggressivo, si ottengono i risultati

B Discute sostenendo il proprio punto di vista secondo una modalità


irrispettosa
C Sa utilizzare la rabbia per modificare le situazione che non trova giuste non
perdendo il potere nella relazione, senza bisogno però di sopraffare con
prepotenza

D Ingoia la rabbia

L’idea di fondo nei soggetti che assumono un comportamento


aggressivo/autoritario è:

Capacità di gestire l'aggressività e comportamento sociale autorevole e


10 autoritario

A Il mondo è popolato da gente ostile, dalla quale ci si deve proteggere

B Il mondo è popolato da gente debole, che ha bisogno di essere dominata

C Il mondo è popolato da gente mediocre che ha bisogno di una guida di un


livello socioculturale superiore

D Nella società attuale è possibile emergere e distinguersi solo assumendo


atteggiamenti aggressivi e poco democratici

52.

Il gruppo in psicologia sociale

Più specificamente, i gruppi sociali rappresentano quindi “l’insieme di due o più persone che
interagiscono reciprocamente e sono interdipendenti, nel senso che sono spinti dai propri bisogni e
obiettivi ad affidarsi l’uno all’altro e a influenzare reciprocamente il comportamento” (Lewin, 1948).

Oltre a garantire la sopravvivenza e a consolidare il senso di appartenenza, i gruppi ci aiutano anche a


dare una migliore definizione di noi stessi,

Se durante gli anni ’60 si verifica una sorta di calo di interesse per lo studio dei gruppi e ci si concentra
su un approccio più di tipo individualistico e di ricerca di laboratorio, è pur vero che gli anni ’90
rappresenteranno invece una cornice importante per lo sviluppo di nuovi studi orientati sui gruppi che
vedranno schierati due filoni: coloro che studieranno i gruppi, secondo una visione più individualistica e
che dunque considereranno gli stessi come somma delle parti costituenti, e coloro che invece, in
un’ottica collettivistica, affronteranno lo studio dei gruppi tenendo conto di come questi ultimi influenzino
il comportamento dei singoli individui che vanno a costituirlo.

Non in tutti i gruppi è prevista una interazione che sia diretta ed è questo il caso dei “piccoli gruppi”, in
cui vi è reciproca influenza pur non essendoci necessariamente interazione continuativa e diretta;
differentemente quelli “faccia a faccia” prevedono un’interazione diretta oltre che un’ influenza reciproca
tra i membri, che si ritrovano coinvolti spesso in riunioni di gruppo, con ruoli diversificati tra loro

E’ interessante notare come vi siano altre differenze relative ad essi: i gruppi si distinguono infatti in
primari, in cui le persone interagiscono, mosse da un legame affettivo e da una forte coesione interna,
in maniera diretta, possedendo un forte senso di appartenenza, e i gruppi secondari, che mirano al
raggiungimento di scopi comuni da parte di tutti i componenti (che posseggono ruoli differenziati ma
interdipendenti e orientati ad un obiettivo), vi è identificazione; ancora, esistono i gruppi di riferimento
che rappresentano quelli a cui si appartiene o a cui si aspira di appartenere, con cui l’individuo si
identifica. Li unisce uno o più obiettivi da raggiungere che un’identificazione vera e propria. Essi inoltre
possono essere formali, cioè garantiti da protezione istituzionale e con obiettivi e attività specifici, ed
informali, in cui, più che gli obiettivi e le attività, contano in prima istanza le relazioni esistenti tra i
componenti. Sono anche distinguibili i gruppi strumentali (orientati prettamente allo scopo) da quelli
espressivi (con forte orientamento emozionale). Infine rintracciamo una differenza evidente tra quelli
che possono essere gruppi creati ad hoc detti appunto artificiali diversamente da quelli preesistenti
definiti gruppi naturali.

La struttura dei gruppi

. Gli status in un gruppo Sherif e Sherif (1969) definiscono la struttura di un gruppo come “una rete
interdipendente di ruoli e status gerarchici”.

“il sistema di status è il pattern generale di influenza sociale fra i membri di un gruppo”

Esistono due indicatori che consentono di individuare lo status che un soggetto occupa in un gruppo: la
capacità di proporre idee (chiaramente chi ha uno status elevato avrà un maggiore grado di iniziativa) e
la valutazione consensuale del prestigio (la valutazione che faranno gli altri membri del gruppo sarà
influenzata dalla posizione occupata da colui che farà la proposta

Secondo Sherif (1948) è possibile osservare i comportamenti verbali e non verbali: per quanto riguarda
i primi, ci riferiamo al fatto che le persone con status elevato

interagiscano più frequentemente con gli altri membri, con maggiori interventi sia nei termini di assiduità
nel prender parole e sia per una maggior durata della stessa; ancora è stato notato come esse
effettuino un maggior numero di critiche, diano più comandi, compiano interruzioni più frequenti degli
interlocutori, avendo anche un maggior numero di comunicazioni da parte degli altri membri. Per quel
che concerne gli aspetti legati al non verbale, riscontreremo delle differenze nell’abbigliamento, negli
accessori, nel maggior uso dello spazio personale, nel maggiore contatto fisico e in posture più aperte
e rilassate, compreso lo sguardo che verrà più volte rivolto all’interlocutore durante le interazioni; inoltre
è stata riscontrata in queste persone (con status elevato) una maggiore adeguatezza tra
comunicazione verbale e non verbale (congruenza tra mimica, gesti, intonazione vocale ecc..).

I ruoli in un gruppo

Ben distinti dagli status, nel gruppo, vi sono i ruoli, che rappresentano “l'insieme di attività e relazioni
che ci si aspetta da parte di una persona che occupa una particolare posizione all'interno della società,
e da parte di altri nei confronti della persona in questione” (Brofenbrenner, 1979); questi ultimi possono
essere formali (se sono oggettivamente riconoscibili anche dall’esterno)
Benne e Sheats (1948), nei loro studi, hanno riscontrato tre tipologie di ruoli all’interno dei gruppi: quelli
relativi al compito; quelli relativi alla manutenzione della vita collettiva sul versante socio – affettivo e sul
versante del gruppo; e quelli individuali (Bombardi, Rutelli, Chemello, 1994

vi è il propositore di idee, che suggerisce modi in cui poter raggiungere gli obiettivi (information giver), vi
è colui che è critico e le mette in discussione (evaluator critic)

coordinatore, che ha il compito di raccogliere idee e critiche e cercare di utilizzarle per perseguire gli
obiettivi. Per quel che riguarda i secondi, quelli legati alla vita collettiva, sono ruoli connessi per lo più
allo stato emotivo del gruppo e quindi anche ai rapporti al suo interno: troviamo colui che stimola i
rapporti, incoraggiando il contributo generale (encourager) e colui che li media, cercando di trovare
punti di incontro (harmonizer)

Infine, ritroviamo i ruoli individuali, che usano il gruppo per soddisfare i propri bisogni:

•I ruoli che riscontriamo più comunemente

E’ interessante poter fare riferimento, avendo voi a che fare con gruppi di diverso tipo, a tre ruoli
sempre rintracciabili in ogni gruppo:

il leader, il nuovo arrivato e il capro espiatorio (Levine e Moreland, 1990); quello del leader è un ruolo
indispensabile e centrale in un gruppo ed è sempre presente all’interno di ogni gruppo;

il “nuovo arrivato” è colui che avrà tutta una serie di resistenze e una certa cautela nell’entrare a far
parte di un gruppo già formato (chiaramente ciò comporterà anche una certa iniziale diffidenza e il
bisogno di integrarsi e di sentirsi accettato dal gruppo già compatto);

infine, il capro espiatorio ha un ruolo apparentemente “negativo” ma in realtà è basilare nella vita di
ogni gruppo, in quanto in esso vengono proiettate tutte quelle caratteristiche mal tollerate che in realtà
ogni membro del gruppo, in quantità maggiori o minori, possiede. Esiste inoltre il ruolo del “clown” che
rappresenterà un “contenitore” più strettamente affettivo ed emotivo, capace di allentare le tensioni che
si generano nel gruppo, facendo leva sull’aspetto più ludico e leggero ed usando questa modalità
anche per fare emergere aspetti critici o situazioni problematiche.

“le nome costituiscono scale di valori che definiscono le aspettative condivise rispetto al modo in cui
dovrebbero comportarsi i membri del gruppo” (Levine e Moreland, 1990);

un gruppo rispetta o viola certe norme, implicite o esplicite che siano, sempre secondo parametri ed
attese comuni. Esse sono fondamentali sia per il raggiungimento degli scopi e sia per la definizione dei
rapporti all’interno e all’esterno del gruppo stesso. Sono esplicite o implicite a seconda della
formalizzazione che posseggono e di quanto siano espresse direttamente tra i membri del gruppo; e
sono centrali o periferiche a seconda di quanto siano fondamentali per il gruppo.

Sono stati individuati tre tipi di norme (Opp, 1982) divisibili in norme istituzionali, imposte da autorità
esterne o dal leader che possono riguardare gruppi sportivi, federazioni, ecc., in cui è necessario che vi
siano una certa precisione organizzativa a sancirne l’efficacia;

le norme volontarie che originano dalle contrattazioni tra i membri per fronteggiare i conflitti e che
rappresentano quelle norme a cui gli individui pervengono attraverso la negoziazione: immaginiamo
situazioni di lavoro stressanti e lavoratori molto sovraccarichi, determinati interventi, come la rotazione
di turni lavorativi o degli incarichi, divengono norme vere e proprie per far fronte alle esigenze generali;

infine le norme evolutive, nascono qualora i comportamenti che appagano un membro vengano appresi
anche dagli altri, che li diffondono nel resto del gruppo

Nascita ed evoluzione del gruppo

Le fasi di sviluppo
Una volta fatto cenno a quelle che sono le caratteristiche peculiari di ogni gruppo, è importante
comprendere più nello specifico come quest’ultimo venga a formarsi tramite varie fasi di sviluppo.

La formazione rappresenta la prima fase del gruppo, in cui appunto esso si forma e in cui avviene la
prima fase di conoscenza tra i membri, che si orienteranno anche a seconda della leadership presente;

la seconda fase, quella del conflitto, è fondamentale per far emergere le tematiche di divergenza tra i
membri e per far sì che questi ultimi trovino dei punti di incontro attraverso la mediazione e la
negoziazione dei significati condivisi dalla maggioranza;

la fase dell’evoluzione rappresenta l’apice del raggiungimento di armonia e unità, in cui la coesione
conferisce un senso di sicurezza e appartenenza ai membri e garantisce la creazione di una identità
positiva di gruppo;

l’esecuzione del compito è la fase performante di un gruppo, in cui esso si accinge ad essere
produttivo per il raggiungimento di uno scopo comune.

I compiti in un gruppo si differenziano a seconda di come sono articolati in:

additivo, che è la somma delle singole prestazioni dei membri del gruppo; disgiunto, in cui la
prestazione del gruppo corrisponde alla prestazione del suo membro migliore; di tipo congiunto laddove
per un successo comune, ciascun membro deve svolgere al meglio la propria parte e di tipo complesso

Le fasi appena descritte hanno sicuramente a che vedere col Modello di Levine e Moreland (1994)
definito “modello temporale della socializzazione al gruppo”, che dà un’importanza peculiare alla
reciprocità dell’individuo e del gruppo, in quanto se è vero che l’individuo deve fronteggiare dei
personali cambiamenti quando entra a far parte di un gruppo, è anche vero che il gruppo stesso

dovrà accomodarsi ai suoi nuovi membri. I due autori si soffermano in particolare su alcuni aspetti
specifici, caratteristici di questo processo:

la ricognizione iniziale, i cambiamenti nel concetto di sé quando si entra a far parte di un gruppo e il
processo di iniziazione al gruppo.

La ricognizione iniziale, si fa riferimento a quel processo per il quale avviene la scelta del gruppo di cui
fare parte, secondo una serie di parametri che gli autori identificano come la valutazione dei
costi/benefici,

Il secondo punto che abbiamo preso in considerazione è un processo che si verifica non appena si
entra a far parte di un gruppo ed è sicuramente la ridefinizione che avviene di se stessi all’interno di
quest’ultimo:

A tal proposito, è interessante focalizzare l’attenzione su quelle figure di spicco, all’interno di un gruppo,
che favoriscono l’inserimento dei “novellini”: ci riferiamo al ruolo di mentor e di sponsor che
rispettivamente posseggono il ruolo formale di tutoraggio e il ruolo di “reclutatore” di nuovi membri.
Entrambi sono concentrati a favorire un clima collaborativo.

•Linguisticamente parlando…

L’entrata in un gruppo (Speltini, 2002) è sancita, anche linguisticamente, da parte dei membri con
l’attribuzione di nominativi specifici a seconda della fase in cui è il gruppo quando vi si aggiungono
membri,

i neofiti regolari, che entreranno nel gruppo con l’idea di restarci in maniera permanente; i
visitatori, che invece non mostrano un impegno sostanziale nel farne parte e che permarranno solo per
un determinato lasso temporale;

i trasferiti che provengono da altri gruppi precedenti

i sostituti che prendono il posto di qualcuno che ha lasciato il gruppo e che, inevitabilmente, saranno
confrontati spesso e volentieri con la persona che li precedeva; infine, abbiamo gli istituenti, che sono
coloro che hanno fondato il gruppo.

Il gruppo e il gruppo di lavoro: le differenze

Una distinzione fondamentale nella vita di gruppo è quella tra i comportamenti diretti allo scopo e i
sentimenti per e verso gli altri nel gruppo

se è vero che il gruppo possiede una serie di caratteristiche, analizzate fino ad ora, che ci consentono
di definirlo tale (la coesione, l’interdipendenza, la condivisione di norme comuni, la presenza di ruoli
differenziati, ecc..) è altrettanto vero che il gruppo di lavoro si fonda piuttosto su una pluralità di
integrazioni, diverse dalle interazioni che caratterizzano il semplice gruppo.

Dunque se l’interazione e la interdipendenza rappresentano due elementi focali nelle due fasi (Storming
e Forming) di formazione di un gruppo, l’integrazione (nella fase di Norming) è il raggiungimento di un
equilibrio tra l’appagamento dei bisogni del singolo e quelli del gruppo tutto: è l’aspetto della
collaborazione e della continua negoziazione di esigenze tra membri e gruppo.

L’importanza delle relazioni, nel ciclo di vita di un gruppo, risulta centrale proprio per l’acquisizione, da
parte dei membri che lo costituiscono, di una vera e propria “mente di gruppo”, concetto ripreso e
sviluppato da vari autori come Mead (1934), Sherif (1936), Asch (1952) e Lewin (1952), che ha a che
vedere con la creazione di una vera e propria (id)entità sociale che i membri del gruppo sentono come
riferimento per se stessi

In sintesi, il gruppo sociale risulta caratterizzato da :

• Interdipendenza • Obiettivo comune condiviso • Presenza di ruoli, norme e status da rispettare •


Legami emotivi tra i membri e disponibilità alla collaborazione • Interazione focalizzata sulla bontà della
relazione

Il gruppo di lavoro, invece:

• Nasce nel momento in cui lo scopo di un gruppo è quello di produrre un bene o servizio • Gli obiettivi
sono più incentrati sul compito che sulla relazione • Le norme sono più formali e i ruoli più definiti • Le
relazioni contemplano maggiormente sentimenti di stima reciproca, rispetto, competizione, piuttosto che
sentimenti di solidarietà e vicinanza emotiva presenti nel gruppo sociale.

I gruppi sociali rappresentano:

1 Il gruppo in psicologia sociale

A L’insieme di due o più persone che interagiscono reciprocamente l’una con


l’altra ma non sono interdipendenti

B L’insieme di due o più persone che interagiscono reciprocamente l’una con


l’altra e sono interdipendenti

C L’insieme di due o più persone che sono simili tra loro e creano relazioni

D L’insieme di due o più persone che lavorano ad un comune scopo

Secondo la prospettiva gestaltica di Lewin, i gruppi:

2 Il gruppo in psicologia sociale

A Sono la mera somma delle parti che li compongono e non hanno una
propria struttura e proprie dinamiche interne

B Non sono la mera somma delle parti che li compongono

C Non sono la mera somma delle parti che li compongono ed hanno una
propria struttura interna e proprie dinamiche interne

D Non sono la mera somma delle parti che li compongono e non sono dotati
di regole interne

Lo status in un gruppo è:

3 Il gruppo in psicologia sociale

A Il prestigio raggiunto da un individuo nel gruppo

B L’insieme dei compiti che un individuo svolge in un gruppo


C La posizione occupata da ogni membro, nel gruppo a cui appartiene,
acquisita in seguito ad un’elezione da parte degli altri componenti del
gruppo

D La posizione occupata da ogni membro, nel gruppo a cui appartiene,


acquisita o per imposizione esterna o per capacità personali

I ruoli, all’interno di un gruppo:

4 Il gruppo in psicologia sociale

A Si distinguono in “superiori” ed “inferiori”

B Sono l’insieme delle attività e relazioni che ci si aspetta da un componente


di un gruppo, a seconda della posizione che occupa

C Sono condizionati dalle differenze e dalle uguaglianze all’interno di un


gruppo

D Sono l’insieme delle attività ci si aspetta da un componente di un gruppo, a


seconda della posizione che occupa

! Le norme sono importanti per:

5 Il gruppo in psicologia sociale

A Rendere il gruppo omogeneo e produttivo

B Raggiungere gli scopi e definire i rapporti sia all’interno del gruppo che
all’esterno del gruppo

C Raggiungere gli scopi e definire i rapporti all’interno del gruppo


D Raggiungere gli scopi e definire i rapporti all’esterno del gruppo

! Le fasi di sviluppo, in un gruppo sono:

6 Il gruppo in psicologia sociale

A Formazione, conflitto, evoluzione, esecuzione del compito, conclusione e


scioglimento

B Orientamento, confronto, evoluzione, esecuzione del compito, conclusione


e scioglimento

C Formazione, conflitto, evoluzione, confronto, conclusione e scioglimento

D Formazione, conflitto, evoluzione, esecuzione del compito, confronto e


scioglimento

!! Il “modello temporale di socializzazione al gruppo” di Morel e Levine


conferisce un’importanza fondamentale al concetto di:

7 Il gruppo in psicologia sociale

A Coesione

B Omogeneità

C Reciprocità

D Interazione

8 ! Lo “Sponsor”, all’interno di un gruppo, ha lo scopo di:


Il gruppo in psicologia sociale

A Reclutare nuovi membri nel gruppo

B Promuovere le interazioni nel gruppo

C Pubblicizzare le attività svolte da un gruppo

D Affiancare i membri più in difficoltà in un gruppo

! La fase di iniziazione al gruppo:

9 Il gruppo in psicologia sociale

A E’ la prima fase del modello di Morel e Levine

B E’ una fase focalizzata sull’impatto che i nuovi membri hanno sul gruppo già
formato

C E’ una fase focalizzata sull’impatto che il gruppo già formato ha sui nuovi
membri

D E’ una fase di confronto e scambio nel gruppo

! Il gruppo di lavoro rispetto al gruppo sociale:

10 Il gruppo in psicologia sociale

A E’ fondato principalmente su una pluralità di interazioni piuttosto che di


integrazioni

B E’ fondato principalmente su una pluralità di integrazioni piuttosto che di


interazioni
C Non è fondato su una pluralità di interazioni

D Non è fondato su una pluralità di integrazioni

53.

Processi e aspetti dinamici del gruppo

In questa lezione ci soffermeremo sugli aspetti processuali del gruppo. Dopo aver infatti approfondito le
caratteristiche più strettamente strutturali, è importante che ci avviciniamo alla vita del gruppo e alle
principali dinamiche che lo interessano.

Il gruppo e l’influenza sociale

Partendo dal presupposto che la formazione di un gruppo garantisce e determina la creazione di


relazioni e che la presenza di altri membri influenza il comportamento dei singoli individui, sia nei
termini di prestazione che di stato d’animo, possiamo rifarci al concetto di facilitazione sociale (Guerin,
1993)

Tramite un esperimento con degli insetti (Zajonc, Heingartner e Herman) è stato possibile dimostrare
come nel fuggire da uno stimolo fastidioso, gli scarafaggi si mostrassero più facilitati in presenza dei
loro simili. Quest’esperimento e altri che sono stati condotti sia su animali che su esseri umani, hanno
consentito di generalizzare che, quando il compito è semplice, la prestazione risulta agevolata dalla
presenza di altri, anche solo sottoforma di “spettatori”.

La situazione sembra cambiare radicalmente quando il compito cresce di difficoltà: se nel primo caso,
quando il compito è semplice, la presenza degli altri agisce aumentando l’eccitazione psicologica del
soggetto e dunque alimenta l’energia utile per il conseguimento dell’obiettivo, nel secondo caso,
quest’eccitazione complica le cose, in quanto di fronte ad un compito difficile, il soggetto necessita di
una maggiore concentrazione, e non del nervosismo che invece si genera. Ciò è provato da una
seconda teoria.

Infine, la terza teoria, riprendendo in parte la prima, si sofferma più sul conflitto che si genera in un
soggetto che stia svolgendo un compito osservato da altri, tra l’attenzione posta verso il compito e
quella verso gli altri che osservano: l’eccitazione deriverà dal dover contemporaneamente essere vigili
su entrambi gli elementi.

Ma la presenza degli altri genera sempre una maggiore attenzione? In realtà, il dover collaborare
insieme ad altre persone e quindi il poter condividere la responsabilità dell’esito, spesso, genera un
minore investimento di energie e una minore concentrazione, determinando quella che viene definita
inerzia sociale.

E’ stato anche dimostrato che questa tendenza è maggiormente riscontrabile all’interno del genere
maschile

E’ pur vero che se il gruppo può determinare questa sorta di “rilassamento generale, vi sono casi
estremi in cui essa può trasformarsi in vera e propria deindividuazione.

Il comportamento delle folle è quindi un comportamento intergruppi, per cui è forse più corretto vederne
alla base, piuttosto che una vera e propria deindividuazione, la creazione di una nuova identità sociale
che avrà una certa influenza sull’individuo.

Cosa accade quando un gruppo deve prendere una decisione?

Sicuramente è capitato a ciascuno di noi di far parte di un gruppo e di avere difficoltà ad affermare la
propria posizione o a spingere gli altri a seguirci: Steiner (1972) definisce la decisione sbagliata presa
dal gruppo, a causa di una interazione che impedisca di trovare una soluzione adeguata ad un
problema, come “perdita di processo”.

Sono varie le motivazioni che causano l’insorgere di una tale difficoltà ed esse vanno da un
accanimento del gruppo ad affidarsi al membro sbagliato, ad una carente capacità di ascolto o ancora
ad una difficoltà di uno dei componenti a superare la pressione del gruppo e ad affermare le proprie
ragioni, cercando di trovare dei punti comuni da cui far iniziare delle riflessioni risolutive.

E’ inoltre utile, a livello mnemonico, che ciascuno possa conoscere quali siano le capacità di memoria
di ciascun componente di certi dettagli piuttosto che di altri nella risoluzione di un problema, per poter
così attivare quella memoria transattiva (Hollingshead, 2001) in cui avvenga la combinazione dei ricordi
dei vari componenti. Janis, rimanendo sempre nell’ambito dei processi decisionali all’interno dei gruppi
(quasi sempre, privi di una conoscenza pregressa) elabora tra il ’72 e l’ ’82 una teoria (Groupthink)

Basandola sull’idea che in un gruppo è necessario un pensiero fortemente coeso tra i suoi membri per favorire la
presa di decisioni importanti, al di là delle situazioni contestuali→ omologazione

Più nello specifico, il groupthink espliciterà tutta una serie di problematiche legate all’illusione, creatasi
nel gruppo, di una sorta di invulnerabilità globale, che rende il gruppo immune da ogni sbaglio e lontano
dall’outgroup, considerato (in maniera forse semplicistica) negativo e di scarsa utilità. E’ anche
presente, all’interno del gruppo stesso, l’esercizio di una “pressione omologante”

verso i possibili dissenzienti, in quanto vige una sorta di unanimità ineluttabile, che non consente la
effettiva libera espressione delle personali opinioni e il reale confronto tra tutti.

Ma come si può ovviare alla situazione di groupthink? Per ovviare alla creazione di un groupthink,
risulta indispensabile la presenza di un leader capace di fronteggiare l’insorgere di un tale stile
decisionale, cercando di mantenere l’imparzialità, sollecitando la collaborazione anche di persone
facenti parte dell’outgroup,

Come comunica un gruppo?

Gli studi sulla comunicazione nei gruppi si sono orientati principalmente sulle strutture (Bales

et al., 1953) e sulle reti (Bavelas, 1948, 1950), concentrandosi su aspetti diversi. Per quel che

riguarda le strutture, esse rappresentano le comunicazioni realmente scambiate tra i membri,

per quel che invece riguarda le reti esse concernono gli effettivi canali e le possibilità concrete di
produrre una comunicazione

Da alcuni studi, a proposito delle reti, Leavitt (1951) identifica quattro tipi di rete di comunicazione,
basate su due indici, quello di “distanza” e quello di “centralità”: la rete a ruota o centralizzata (l a
popolarità maggiore è del membro centrale, in cui i membri sono poco soddisfatti; inoltre è un modello
centralizzato e ben organizzato con una buona efficienza, nello svolgimento del compito, sia a livello di
qualità sia a livello di rapidità di esecuzione),

quella a Y ( più vicina alla rete a ruota, quindi in una posizione intermedia tendente alla centralizzata,
che favorisce la formazione di piccoli gruppi con rapporti privilegiati),

quella a catena (sempre in una posizione intermedia ma tendente stavolta più a quella decentralizzata)
e quella a cerchio o decentralizzata ( in cui non vi è una posizione centrale ma contiene una popolarità
ben diluita tra i membri del gruppo e, quindi, la soddisfazione è uniformemente distribuita tra i membri
del gruppo, anche in presenza di situazioni frustranti. Mantiene il grado di precisione e rapidità).

Comunicazione e potere

La leadership
Secondo French e Raven (1959) il potere poteva essere differenziato in tre sottocategorie, a seconda
dell’impatto e della modalità d’azione: il potere di ricompensa, inteso come quello fondato sulla capacità
di uno di promettere ricompense simboliche o materiali all’altro;

quello coercitivo, che è orientato sul versante della minaccia e costrizione coatta, attuando eventuali
sanzioni in caso di non adesione alle richieste; quello legittimo, che fa sì che i membri interiorizzato le
norme che legittimano il potere di coloro che lo detengono;

quello d’esempio, basato sull’identificazione dei membri con colui/ coloro che lo possiedono; ed infine, il
potere di competenza, di solito limitato ad un ambito specifico, in cui si ritiene che colui che possieda il
potere abbia effettivamente una maggiore esperienza sul campo.

Chi è il leader?

Il leader è colui che all’interno di un gruppo possiede la maggiore influenza sui membri, che è maggiore
di quella che lui stesso subisce

Sono state elaborate una serie di teorie che hanno cercato di individuare quali potessero essere le
motivazioni per cui alcune persone, piuttosto che altre, abbiano questa capacità di influenzare il gruppo:
a partire da teorie della personalità

Aspetti strutturali e peculiari dei singoli individui, come la sicurezza in se stessi, l’intelligenza, la
capacità di orientare anche le azioni degli altri verso gli obiettivi prefissati, per passare agli approcci
situazionali che sono molto più orientati al compito e alle competenze, per cui la scelta del leader
dipende dalle sue competenze rispetto agli obiettivi prefissati.

Infine abbiamo i modelli transazionali, più propensi ad una dimensione di reciproca influenza tra leader
e membri del gruppo.

Modalità di leadership

: la modalità autocratica (in cui vige una forte dipendenza da parte del gruppo verso il leader e in cui è
tutto molto orientato alla produttività e agli obiettivi);

quella democratica (molto meno accentrata)

e infine quella permissiva (in cui c’è un bassissimo intervento del leader e il gruppo non ha una buona
produttività, a causa di un clima caotico di base)

Col contributo di Bales (1950) a proposito del ruolo del leader all’interno di un gruppo è stato possibile
individuare due ruoli principali che questi può rivestire, a seconda che sia più centrato sul compito o
sulle relazioni, rivestendo, in quest’ultimo caso, un ruolo principalmente emozionale e dando
importanza in primis all’armonia presente nel gruppo.

Fiedler adoperò una scala di valutazione (LPC, LEAST PREFERRED CO-WORKER) per individuare
quale fosse la persona con cui il “potenziale leader” avesse più difficoltà a collaborare e dai risultati ne
evinse che i leader con un punteggio basso all’LPC erano maggiormente orientati al compito;

L’individuazione dei problemi in un gruppo: esterni o interni?

è importante tenere a mente (Heisenhardt, 1989) che quasi sempre i problemi maggiori non sono mai
dovuti ai conflitti di per sé, quanto alla impossibilità di ricorrere a delle strategie efficaci per fronteggiarli.

creare più prospettive e più strade rende possibile l’allentamento delle tensioni, grazie alla possibilità di
valutare e considerare proposte magari fino a quel momento non ritenute valide o realizzabili

Dinamiche intra e intergruppo

Il confronto sociale: maggioranze e minoranze


A partire dalla teoria del confronto sociale di Festinger (1954), secondo la quale vi è una motivazione
innata che spinge l’uomo a valutare continuamente le proprie capacità e le proprie opinioni, è
comprensibile il fatto che la presenza degli altri (simili a noi) ci permetta di ricevere informazioni utili sui
nostri possibili risultati, cercando anche di prevederli.

Per quanto riguarda l’influenza determinata dalla maggioranza, Asch (1955; 1956) nell’ambito della
psicologia sociale (dei gruppi) ha effettuato esperimenti controllati in laboratorio.

In generale, da questi esperimenti, si è evinto che anche nella vita reale, oltre che nelle condizioni
sperimentali, la pressione sociale abbia un impatto sui comportamenti, spingendoli verso quelli
perseguiti dalla maggioranza

A tal proposito, possiamo invece fare riferimento al concetto di “influenza normativa” (Deutsch e
Gerard,1955) che spingerebbe i membri di un gruppo a dare risposte che vadano in accordo con le
attese comuni, a differenza di quella “informativa” elaborata da Festinger, secondo la quale se i soggetti
sono isolati nello svolgimento di un compito, scelgono di affidarsi alle informazioni promosse dalla
maggioranza come ritenute più attendibili.

Non è tralasciabile, come accennato precedentemente, che esistono anche situazioni in cui è la
minoranza ad esercitare un’influenza sulla maggioranza

Dinamiche intra-gruppo: il conflitto e lo scisma

Proprio a partire da ciò che abbiamo appena analizzato a proposito delle minoranze e delle
maggioranze, è possibile individuare in esse, una delle maggiori cause di conflitto all’interno dei gruppi.
Considerando che le conseguenze del conflitto non sono esclusivamente di stampo negativo (ostilità,
bassa collaborazione, calo del rendimento) bensì anche positive (una maggiore creatività e la
possibilità di vagliare nuove opzioni risolutive), è pur vero che, rappresentando il conflitto un momento
di possibile minaccia all’unione del gruppo, spesso quest’ultimo attua delle strategie per ovviare ad
esso, spesso causando repressione a appiattimento

fenomeno della “normalizzazione”; tale fenomeno genera una negoziazione da parte dei membri a
favore di una decisione di accordo comune, spesso associata ad una rinuncia alle proprie personali
opinioni di partenza. Gli effetti di questo processo risultano essere negativi, in quanto spesso non
producono cambiamento ma stasi, evitando la discussione che invece potrebbe generare positive
rielaborazioni delle posizioni iniziali, favorendo spunti più creativi.

Competizione sociale e processi inter-gruppi

La competizione sociale deriva principalmente da tre processi,

quali l’identificazione sociale, per la quale gli individui si riconoscono come appartenenti ad un gruppo;

il confronto sociale, già prima citato, che contribuisce a valorizzare i gruppi in relazione ad un confronto
con altri;

ed infine la categorizzazione sociale, che consente di costituire delle categorie rappresentative del
mondo sociale, accentuando le differenze tra queste e esaltandone, invece, le somiglianze all’interno di
uno stesso gruppo.

Quest’ultima è il processo fondamentale che interessa le relazioni inter-gruppi, dal momento che
permette di ordinare e semplificare, a livello cognitivo, ciò che ci circonda, facendolo secondo le
somiglianze e le differenze

Tajfel (1981) definisce, per l’appunto, stereotipo il risultato finale della categorizzazione,

evidenziandone l’aspetto di condivisione all’interno di un gruppo e l’utilizzo di esso come

giustificazione e spiegazione per una serie di eventi ed azioni commesse da un gruppo verso

l’altro
!

I fattori fondamentali per comprendere la reazione dei singoli individui alla presenza di
altri, nello svolgimento di un compito, sono:

Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A Il grado di competizione dei singoli e la sequenza dei compiti svolti

B L’abilità e la precisione

C Il giudizio degli altri e la difficoltà del compito

D Il giudizio dell’individuo più capace e la difficoltà del compito

I tre fattori, presenti nella teoria della deindividuazione di Zimbardo, che influenzano il
comportamento degli individui sono:

2 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A L’anonimato, la responsabilità personale, l’ampiezza del gruppo

B L’anonimato, la responsabilità diffusa, l’ampiezza del gruppo

C L’anonimato, la difficoltà del compito, l’ampiezza del gruppo

D L’anonimato, la responsabilità diffusa, la coesione del gruppo

La “perdita di processo” di Steiner:

3 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A È la mancata presa di decisione da parte di un gruppo, a causa di una stasi nel gruppo
B E’ la presa di decisione sbagliata da parte di un gruppo, a causa di una interazione poco
risolutiva

C E’ la scarsa capacità di prendere decisioni che un gruppo possiede, a causa di una


bassa omogeneità

D E’ il processo di allontanamento dei membri di un gruppo, in seguito a una decisione


sbagliata

Il “Groupthink” di Janis:

4 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A E’ un gruppo di discussione, basato sulla libera espressione di pensiero

B E’ una situazione che viene a crearsi, nel gruppo, a seguito di un’illusione di


invulnerabilità globale

C E’ una situazione che viene a crearsi, nel gruppo, a seguito di un evento conflittuale tra i
membri

D E’ un’interazione che viene a crearsi, nel gruppo, a seguito di un evento conflittuale tra i
membri

La polarizzazione di gruppo fa sì che:

5 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A I giudizi iniziali dei membri non influenzino la tendenza successiva al rischio o alla
cautela, nel prendere decisioni

B I giudizi iniziali dei membri influenzino la tendenza successiva al rischio o alla cautela,
nel prendere decisioni
C I giudizi iniziali dei leader influenzino la tendenza successiva al rischio o alla cautela, nel
prendere decisioni

D I giudizi iniziali dei membri influenzino gli altri membri, nel prendere decisioni

La rete centralizzata, in un gruppo, rispetto a quella decentralizzata:

6 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A È più efficace nei compiti complessi e più soddisfacente per i membri del gruppo

B E’ più efficace nei compiti semplici e più soddisfacente per i membri del gruppo

C E’ più efficace nei compiti semplici e meno soddisfacente per i membri del gruppo

D E’ più efficace nei compiti complessi e meno soddisfacente per i membri del gruppo

! Secondo French e Raven, il potere è distinguibile in potere… :

7 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A Di ricompensa, coercitivo e legittimo

B Di ricompensa, esecutivo e legittimo

C Di competenza, coercitivo e legittimo

D Di ricompensa, coercitivo e orientato allo scopo

Il leader è:

8
Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A Colui che esercita la maggiore influenza nel gruppo ed ha lo status più elevato

B Colui che esercita la maggiore influenza nel gruppo

C Colui che esercita la maggiore influenza nel gruppo ed ha lo status meno elevato

D Colui che esercita una buona influenza nel gruppo

La teoria del confronto sociale di Festinger prevede che:

9 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A Vi sia una motivazione che spinge l’individuo a valutare costantemente le proprie


capacità e le proprie opinioni, in relazione agli altri

B Vi sia una motivazione innata che spinge l’individuo a valutare costantemente le proprie
capacità e le proprie opinioni, in relazione agli altri

C Vi sia una motivazione innata che spinge l’individuo a valutare costantemente le proprie
prestazioni, in relazione agli altri

D Vi sia una motivazione che spinge l’individuo a sottovalutare le proprie capacità, in


relazione agli altri

Il processo di categorizzazione sociale, in un gruppo, permette di:

10 Processi e aspetti dinamici nel gruppo

A Costituire delle categorie rappresentative del mondo sociale e consolidare l’identità di un


gruppo
B Costituire delle categorie rappresentative del mondo sociale e consolidare la
interdipendenza in un gruppo

C Costituire delle categorie non rappresentative del mondo sociale e consolidare l’identità
di un gruppo

D Costituire delle categorie del mondo interiore e consolidare l’identità di un gruppo

54. Teoria sistemica nell’approccio relazionale

La teoria sistemica rappresenta una sorta di rivoluzione nel campo della psicologia rispetto
all’approccio utilizzato per lo studio del comportamento umano. Si è passati da un modello
intrapsichico ad uno interpersonale, che tenesse conto del sistema di relazioni in cui l’individuo
è inserito e di come questi ne influenzasse l’agire, i pensieri, i desideri, le emozioni.

La psicoanalisi: dall’intrapsichico all’interpersonale

In realtà, diversamente da quanto noi tutti possiamo immaginare, è stata la psicoanalisi a


costituire il terreno fertile allo sviluppo della terapia relazionale. Il complesso di Edipo presenta,
infatti, un nucleo relazionale, in quanto descrive lo stretto legame esistente tra la formazione
della personalità e le vicende familiari a cui il bambino prende parte (Freud, 1905). Di fatto,
però, Freud più che interessato ad approfondire la relazione fra i vari partner del triangolo
primario, è preoccupato di chiarire le sue conseguenze sui processi mentali dell’individuo e
pertanto, si dedica al mondo intrapsichico dell’essere umano e pone le spinte pulsionali al
centro della sua spiegazione sul comportamento (Freud, 1917, 1925).

Alla fine degli anni trenta all’interno della psicoanalisi assistiamo ad un importante movimento
verso l’ambiente. Per Hartmann (1939) diversamente da Freud, l’Io non è il risultato
dell’adattamento dell’Es alla realtà ma ha una propria genesi autonoma con funzioni psichiche
proprie. Mentre Freud aveva chiuso il conflitto nel mondo intrapsichico tra l’Io, l’Es e il Super-io,
Hartmann, pur non escludendo quanto detto da Freud, sposta il conflitto tra l’individuo e
l’ambiente

La teoria delle relazioni oggettuali, di cui M. Klein (1932) è l’ideatrice, considera, invece, le
pulsioni solo all’interno del contesto relazionale, per cui esse emergerebbero nella relazione tra
il bambino e la madre. Dunque, al centro di questo nuovo modello teorico c’è quindi la
“relazione”.

Secondo la Klein il bambino cresce interiorizzando non un oggetto o una persona, ma un’intera
relazione.

La teoria dell’attaccamento: relazione madre bambino

A partire dai teorici delle relazioni oggettuali, numerosi sono stati gli studiosi che si sono
occupati in particolar modo della relazione madre-bambino, in quanto sulla base delle ricerche
condotte in ambito psicologico essa sembra essere la prima e la più importante relazione che il
bambino stabilisce con l’altro da sé. Quando il piccolo della specie umana si affaccia alla vita si
trova in una condizione di Hilflosigkeit, ossia di impotenza, immaturità tale da dipendere
totalmente dalle cure di un’altra persona. In tale contesto, la relazione con l’altro permette al
bambino di sperimentare alcune emozioni e costruire le prime esperienze emotive.

Dunque, il bambino si forma quello che Bowlby definisce “modello operativo interno” (MOI). La
rappresentazione cognitiva che il bambino si formerà della sua prima relazione di attaccamento
influenzerà tutte le successive relazioni.

Il modello interpersonale dei neofreudiani


Influenzati dallo sviluppo della sociologia e dell’antropologia, i neofreudiani come Sullivan
(1950), Horney (1939) e Fromm (1955) concentrano più dei propri predecessori l’attenzione
sull’universo relazionale

I contributi della psicologia sociale

Volendo riprendere la definizione di Lewin, il gruppo è: “qualcosa di più, o, per meglio dire,
qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari, e
relazioni particolari con gli altri gruppi. Quel che costituisce l’essenza non è la somiglianza o la
dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Esso può definirsi
come una totalità dinamica. Ciò significa che un cambiamento di stato di una sua parte o
frazione qualsiasi interessa lo stato di tutte le altre. Il grado di interdipendenza delle frazioni del
gruppo varia da una massa indefinita a un’unità compatta. Dipende, tra gli altri fattori,
dall’ampiezza, dall’organizzazione e dalla coesione di gruppo” (Lewin, 1951,)1 .

Come vedremo più avanti, dalla descrizione di gruppo di Lewin i ricercatori sulla famiglia
faranno propri due concetti: quello che la famiglia va al di là della somma delle sue parti e
quello di interdipendenza dei suoi membri.

Un limite degli studi sulla famiglia nell’ambito della psicologia sociale è stata, senza dubbio, la
perdita di interesse per i gruppi “vivi” a favore di quelli artificiali ( in laboratorio)

Se per la biologia e per la visione freudiana l’adattamento corrisponde all’esigenza


dell’organismo di modificare se stesso per rispondere alle esigenze della sopravvivenza e della
perpetuazione della specie, secondo la prospettiva interpersonale, invece, tra l’organismo e
l’ambiente viene a stabilirsi un processo circolare nel quale l’uno cambia l’altro

La teoria dei sistemi

L’accento posto dalla teoria sulla ricerca di similitudini strutturali in sistemi differenti al fine di
poter formulare delle generalizzazioni, concezione definita da von Bertalanffy prospettivismo
(von Bertalanffy 1950) ci fa capire come la teoria stessa rappresenti un approccio moderno
all’unificazione della scienza. Questo nuovo sguardo ci pone di fronte ad una prospettiva in cui
unificare non significa ridurre ma organizzare: per costruire la spiegazione scientifica di un
fenomeno, non è sufficiente tentare di suddividerlo in unità di analisi più semplici e studiare tali
unità separatamente l’una dalle altre, ma è necessario studiare le interrelazioni tra queste
unità.

Una visione unitaria sostituisce le concezioni isolate, e la considerazione degli insiemi


sostituisce la considerazione delle parti. Un carattere importante della teoria è l’accento posto
sull’andare oltre il meccanicismo, concentrando l’attenzione sugli aspetti vitali dei sistemi, e
soprattutto sull’uomo, inteso come sistema ecologicamente immerso in sistemi multipli

All’interno dell’universo i sistemi si possono ordinare in una gerarchia, con una progressiva
suddivisione in livelli sistemici, dal più grande al piccolo fino al livello elementare. I sistemi al
livello al quale ci si riferisce vengono chiamati sistemi, quelli al livello superiore sovrasistemi,
quelli al livello ancora superiore sovrasovrasistemi, quelli al livello inferiore sottosistemi e quelli
al livello ulteriormente inferiore sottosottosistemi.

Secondo la visione sistemica, è il più complesso a spiegare il più semplice, non viceversa.

L’ottica sistemica si fonda proprio su questa contemporanea valutazione dei livelli superiori e
di quelli inferiori, poiché la sua filosofia non e quella dell’esclusione, dell’ aut/aut, bensì quella
dell’inclusione di tutto ciò che è rilevante, quella del vel/vel. L’analisi di un livello non esclude
dunque Parallelamente in psicologia, con la scuola della Gestalt inizia a svilupparsi una visione
complessa allo studio dei fenomeni umani. Mentre la psicologia associazionista studia il
mentale a partire dagli elementi più semplici che lo compongono, la psicologia della gestalt è
interessata a studiare come l’interazione dei singoli elementi concorrono a dare il tuttogli altri.

Un sistema aperto si ha quando se tra esso e l’ambiente si verificano scambi di materia-


energia o di informazione,

Un sistema chiuso si ha qualora attraverso i suoi confini non avvenga alcuno scambio di
materiaenergia o di informazione. Mentre nei sistemi aperti il livello di entropia può aumentare,
rimanere stabile o diminuire, nei sistemi chiusi l’entropia va in genere incontro a un progressivo
aumento, e in ogni caso non può mai ridursi. Va sottolineato come in effetti nessun sistema
concreto sia completamente chiuso, e sia quindi più rispondente alla realtà parlare di sistemi
relativamente chiusi

I sistemi che interessano gli psicologi sono quelli aperti e godono delle seguenti proprietà
(Watzlawick e coll., 1971):

Totalità: ogni parte di un sistema è in rapporto con tutte le altre parti in modo tale che un
cambiamento in una parte determinerà un cambiamento in tutte le altre parti e in tutto il
sistema. La famiglia è un’ottima rappresentazione del rapporto di interdipendenza esistente tra
i comportamenti dei membri che vi fanno parte. In particolare, rappresenta un sistema con
“stato stazionario”, ossia è stabile rispetto a certe sue variabili se esse tendono a restare entro
limiti definiti. Jackson analizzando le famiglie di pazienti psichiatrici osservò che il
comportamento e la patologia del paziente costituivano “meccanismi omeostatici” che
contribuivano a fornire un equilibrio al sistema disturbato. Qualora il paziente manifestava dei
miglioramenti o dei peggioramenti (cambiamento), rompendo così l’equilibrio raggiunto, i suoi
cambiamenti avevano degli effetti sugli altri membri della famiglia che manifestavano talvolta
disturbi funzionali (interdipendenza tra le parti). Qualora le parti di un sistema non fossero tra
loro in un rapporto di dipendenza esse si presenterebbero come un agglomerato, costituito
dalla semplice somma delle parti in gioco. Tale proprietà è definita sommatività ed è in
opposizione alla totalità, in quanto in quest’ultima le parti di un sistema costituiscono una
complessità che non è possibile spiegare come per la sommatività in base agli elementi
considerati separatamente. Infatti la famiglia non è la somma dei singoli membri; esistono delle
caratteristiche che sono proprie del sistema, come il comportamento sintomatico, e che
trascendono dalle qualità individuali dei membri. Un’altra teoria dell’interazione contraddetta dal
principio di totalità è il rapporto unilaterale tra le parti che non tiene conto della circolarità delle
influenze tra i vari elementi del sistema, per cui A può influenzare B ma non viceversa. Il
concetto di unilateralità riprende il modello di causalità lineare per cui A determina B, senza
tenere conto dell’influenza che B con la sua risposta esercita su A.

Equifinalità: nei sistemi aperti vige il principio di equifinalità, secondo cui i risultati, intesi come
modificazioni del sistema dopo un lasso di tempo, sono determinati non dalle condizioni iniziali
come avviene nei sistemi chiusi ma dai parametri del sistema. Molte sono le variabili che
possono intervenire a mutare l’andamento iniziale. Dunque, essendo il sistema indipendente
dalle condizioni iniziali, stessi risultati possono essere determinati da condizioni iniziali diverse
e risultatati diversi possono essere prodotti da medesime cause

Principi di causalità

E’ possibile distinguere due differenti modalità di concepire i rapporti causali: la modalità lineare
e la modalità circolare.

Per Maturana, la parola causa è sinonimo di interazione istruttiva, in cui A determina


unilateralmente la risposta di B. Pensiamo ad esempio alla lezione tenuta da un professore che
determina in tutti gli studenti un identico livello di comprensione e fa quindi sì che essi diano
agli esami risposte identiche; o ancora, un terapista usa un certo tipo di intervento che stimola
sempre esattamente la stessa reazione in qualunque paziente o famiglia e così via. Perciò,
quando Maturana afferma che la causalità è impossibile, intende dire che la lezione del
professore non determina le risposte degli studenti (il che significherebbe che si tratta di
un’interazione istruttiva); essa seleziona le risposte degli studenti, ma è la loro struttura che le
determina. Selezionare è qualcosa di simile a premere il pulsante “Sprite” di un distributore
automatico. La pressione del pulsante seleziona la risposta della macchina (che vi fornisce la
Sprite), ma non determina il fatto che la macchina vi dia la Sprite quando premete il bottone.

La cibernetica

Negli anni in cui il paradigma sistemico faceva la sua comparsa tra gli studiosi dell’epoca, la
teoria cibernetica si poneva come un campo di studi interdisciplinare tra le scienze e
l'ingegneria. Lo sviluppo pressoché contemporaneo ha fatto in modo che tra i due orientamenti
vi fosse un ricco scambio rispetto allo studio dei sistemi umani. Entrambe le teorie hanno in
comune l’intento antiriduzionista e quello interdisciplinare. Mentre la prima si occupa di
spiegare i sistemi dal punto di vista strutturale, la seconda osserva gli stessi dal punto di vista
processuale.

La cibernetica nasce per la progettazione e la realizzazione di sistemi artificiali automatici ma è


capace di interpretare anche i sistemi viventi. Il suo ideatore Wiener (1948) la definisce: “la
scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e nella macchina”

o. Dunque, una parte del sistema causa una modificazione in un’altra parte che a sua volta
retroagisce modificando la prima e così via (relazione circolare). La retroazione può essere
positiva o negativa a seconda se produce un cambiamento, ossia il feedback emesso ha la
funzione di far proseguire il sistema in direzione del suo movimento precedente, comportando
una perdita di equilibrio nel sistema stesso (retroazione positiva) o se contribuisce a garantire
uno stato di omeostasi, ossia una stabilità nelle relazioni, per cui il messaggio sull’esito del
funzionamento precedente è usato per aggiustare il meccanismo che regola il funzionamento
futuro (retroazione negativa) (Watzlawick e coll., 1971)

Bateson e Palo Alto

Negli anni ‘50 Gregory Bateson , un antropologo, venendo a contatto con il pensiero
cibernetico, pensò immediatamente che potesse essere applicato per descrivere le interazioni
umane.
L’introduzione della teoria dei sistemi e della cibernetica in ambito terapeutico induce uno
spostamento di attenzione del ricercatore che inizia a focalizzarsi sul comportamento interattivo
e sui processi di autoregolazione e trasformazione della famiglia, concepita come insiemi di
individui. Sono presi in esame gli effetti che un dato comportamento ha sugli altri membri del
sistema

La sofferenza di uno dei suoi membri viene considerata come espressione della disfunzionalità
dell’intero sistema

In ambito terapeutico, assistiamo al passaggio dall’intrapsichico al relazionale nonché dal


perché al come. Ossia perde rilievo il perché si verificano gli avvenimenti rispetto al come si
verificano (ricercare i pattern di comunicazione nel presente).

La scuola di Palo Alto vedeva la famiglia come un sistema cibernetico, che si autogovernava
attraverso la retroazione. Con la retroazione negativa il sistema si correggeva e ritornava allo
stato originario, ogni volta che veniva colpito con informazioni nuove che tendevano invece a
sbilanciarlo (nelle famiglie schizofreniche si osservò un sistema rigido). La famiglia è un
sistema omeostatico, con una autoregolazione automatica, governata da regole precise, che
condizionavano o stabilizzavano l’ampiezza entro cui un dato sistema poteva variare

La scuola di Palo Alto, a partire dagli studi condotti sulle famiglie disfunzionali, mise in luce
come il sistema delegava ad uno dei loro membri (il membro sintomatico) il ruolo di
“componente omeostatica”, che riportava ogni volta il sistema al suo stato di tranquillità dopo
che una regola era stata minacciata. In sostanza quando un componente della famiglia
manifestava un bisogno nuovo o una maggiore necessità di svincolo, che avrebbe portato la
famiglia ad uno nuovo stadio vitale, il membro sintomatico subiva una aggravamento o un
incremento del sintomo

In una loro pubblicazione Bateson e coll. (1956) proposero l’ipotesi della teoria del doppio
legame come modalità tipica di comunicare nella famiglia con un giovane schizofrenico.
Secondo gli studiosi, chi cresce in un contesto di deutero-apprendimento (meta-
apprendimento, ovvero la capacità di apprendere ad apprendere) in cui riceve messaggi
intrinsecamente contraddittori, in cui finisce per essere costantemente punito qualunque cosa
faccia o non faccia, è comunque obbligato a trovare un modo di sopravviverci. I sintomi della
schizofrenia, allora, possono essere considerati la punta dell’iceberg di una comunicazione
interpersonale in cui per le persone è difficile trovare un senso.

Le condizioni per cui si verifichi una situazione di doppio legame sono sei (Bateson, 1972): 1.
Ci devono essere due o più persone

2. Deve esserci una ripetizione dell’esperienza

3. Deve esserci un’ingiunzione primaria negativa (es. se farai così e così ti punirò)

4. Deve esserci un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto e,
come la prima, sostenuta da punizione o da segnali che minacciano la sopravvivenza (questa
ingiunzione è di solito comunicata con mezzi non verbali e assume il senso di un messaggio
quale “non considerare questa come una punizione”).

5. C’è poi un’ingiunzione terziaria che impedisce alla vittima di sfuggire al conflitto (rapporto di
dipendenza tra i due interlocutori)
6. Una volta che la vittima ha imparato a percepire il suo universo sotto l’angolazione del
doppio legame, non è più necessario che le condizioni precedenti si ripresentino

Una critica che oggi possiamo muovere verso il gruppo di Palo Alto è quella di rimanere
ancorato al modello meccanicistico che si propone di superare. Infatti, l’ottica eziopatogenetica
continua a porsi come linea guida nello studio del sistema familiare dando per scontato che
uno dei due partecipanti alla relazione non sia in grado di risolvere i messaggi contraddittori
che gli vengono inviati dall’altro

Jackson fonda il Mental Research Institute (MRI), una delle più importanti scuole di teoria e
terapia sistemica che vedrà la collaborazione di tutto il gruppo di Palo Alto, eccetto Bateson
che nel 1962, torna ad occuparsi del comportamento animale.

Verso un approccio sistemico-relazionale allo studio della famiglia

Da una parte abbiamo “i puristi del sistema” che si occupavano dello studio dei primi assiomi
della comunicazione umana che culmineranno poi nella teoria del doppio legame, e
contemporaneamente nella East Coast operavano, invece, teorici ed operatori che partivano da
presupposti diversi da quelli di Palo Alto in California.

Del primo gruppo fanno parte i ricercatori del MRI interessati alle modalità
comportamentali/comunicative in atto nel qui ed ora senza tener conto del processo evolutivo
di cui esse fanno parte. Dunque, la dimensione esplorata è quella del presente. Conseguenza
di tale visione è la concezione dell’essere umano come un’armatura vuota in movimento,
impenetrabile nella sua componente soggettiva, attinente alla sfera delle emozioni, dei pensieri,
motivazioni, immaginazioni

Il secondo gruppo di autori, composto da terapeuti della famiglia (Ackerman, Bowen, Framo,
Whitaker e altri.) reintroduce il concetto di “tempo” nello studio del sistema familiare. Anche
essi guardano al qui ed ora ma lo fanno con un occhio diverso, in quanto leggono ogni
interazione presente in relazione al fitto intreccio di interazioni che si sono realizzate nel tempo,
per arrivare così a comprendere l’attuale condizione emotiva della famiglia nel suo insieme
Negli anni 󈥾 M. Klein contribuisce allo sviluppo dell’ approccio
interpersonale allo studio dell’essere umano, mediante
l’introduzione di un importante concetto:

1 La psicoanalisi: dallâintrapsichico allâinterpersonale

A L’Io è il risultato dell’adattamento dell’Es

B L’Io ha una propria genesi autonoma, con funzioni psichiche proprie

C Le pulsioni sono considerate solo all’interno del contesto


relazionale ed emergerebbero nella relazione tra il bambino e la
madre

D Il bambino si forma una rappresentazione cognitiva della propria


relazione di attaccamento

2 Il tipo di relazione che un individuo stabilisce in età adulta, secondo


Bowlby si basa su un modello relazionale vissuto nei primi mesi di
vita:
La teoria dellâattaccamento: relazione madre-bambino

A La relazione che il bambino stabilisce con la propria madre

B La relazione che il bambino stabilisce con la figura di attaccamento

C La relazione che il bambino stabilisce con i propri genitori

D All’affetto ricevuto

I neofreudiani hanno apportato un importante contributo nello studio


studio dell’essere umano:

3 Il modello interpersonale dei neofreudiani

A Riconoscono molta importanza al solo dato biologico


B L’adattamento corrisponde all’esigenza dell’organismo di modificare
se stesso per rispondere alle esigenze della sopravvivenza e della
perpetuazione della specie

C L’uomo è considerato un essere sociale che cresce nell’interazione


con la comunità in cui vive (interazione tra organismo e ambiente)

D Occorre porre attenzione alle interazioni che l’uomo agisce solo


nell’ambito del proprio sistema familiare

Lewin anticipa due concetti importanti della terapia sistemica:

4 I contribuiti della psicologia sociale

A Il tutto è il più della somma delle sue parti; equifinalità

B Le parti di un sistema non sono tra loro in un rapporto di


dipendenza esse si presenterebbero come un agglomerato,
costituito dalla semplice somma delle parti in gioco
C Interdipendenza dei membri

D Il tutto è il più della somma delle sue parti e ogni parte di un sistema
è in rapporto con tutte le altre parti

La teoria dei sistemi di Von Bertalanffy porta un’ innovazione in


ambito scientifico:

5 La teoria dei sistemi

A L’interesse dell’osservatore non è più focalizzato su fenomeni isolati


ma su “totalità organizzate” che Von Bertalanffy (1971) definisce
“organismica”

B Fornisce una visione complessa al solo studio dei fenomeni


biologici, quali le cellule

C Non è interessata all’organizzazione dei sistemi


D Tiene conto solo dei livelli superiori di un sistema

Un sistema si definisce aperto quando:

6 La teoria dei sistemi

A Non avviene alcuno scambio di materia-energia o di informazione


con l’ambiente esterno

B Tra esso e l’ambiente si verificano scambi di materia-energia o di


informazione

C E' concettuale

D E' rigido

7 ! La seguente affermazione “Io mi chiudo in te stesso perché tu


brontoli” è un esempio di:
Principi di causalitÃ

A Causalità circolare

B Causalità lineare

C Interdipendenza

D Reciprocità

Ristabilire le regole abituali di un sistema per garantire la stabilità


delle relazioni e preservare una condizione di omeostasi è una
caratteristica di:

8 La cibernetica
A Doppio legame

B Interdipendenza

C Retroazione negativa

D Equifinalità

La scuola di Palo Alto concepiva la famiglia come:

9 Bateson e il gruppo di Palo Alto

A Un sistema cibernetico che si autogoverna attraverso la retroazione

B Un sistema chiuso

C Un agglomerato di persone
D Un sistema disfunzionale

Una caratteristica dei “puristi del sistema” è:

1
0 Verso un approccio sistemico-relazionale allo studio della famiglia

A Danno importanza ai processi mentali dell’individuo legati


all’interazione

B Sono interessati ai miti familiari

C La dimensione esplorata è quella del presente e l’essere umano è


considerato come un’armatura vuota

D Introducono il concetto di tempo nello studio del sistema familiare


55.

Problem solving; strategie creative di adattamento

La Psicologia Sociale si pone come lo studio della relazione tra l’individuo (nei suoi aspetti generali) e il
suo ambiente, come disciplina che si interessa al modo in cui le persone vengono influenzate dalla loro
interpretazione dell’ambiente sociale e come una persona percepisce o interpreta tale ambiente
(Aronson et al.2000) e quali aspetti della situazione sociale possono produrre effetti sui comportamenti
delle persone. Partendo da questa prospettiva della psicologia sociale, basandoci sulla relazione
individuo/ambiente/società, affronteremo la tematica del Problem Solving, che è la capacità di risolvere
i problemi in qualsiasi ambito.

Il primo fondamentale passo nel processo di problem solving è quello di porsi domande adeguate e
costruttive riguardanti se stessi e la situazione.

E’ dunque importante operare, prima di scegliere qualsiasi strategia di soluzione del problema, una
buona analisi del“ Problem Space” (spazio del problema ), che corrisponde alla fase più importante,
poiché una volta individuato e analizzato il problema, è possibile scegliere le misure più adeguate a
risolverlo. La fase del “Problem Space” consiste nel fare una DIAGNOSI DELLA SITUAZIONE,
definendo il tipo di problema. In questa fase è importante :

1- Diagnosticare le caratteristiche del contesto organizzativo ed eventuali errori e distorsioni nelle


strategie d’azione, valutandone l’efficacia;

2- Raccogliere e consultare fonti informative dirette e relative norme, interpretando le informazioni per
costruire un quadro chiaro della situazione problematica.

Dopo aver analizzato il Problem Space, si procede alla fase esecutiva del PROBLEM SOLVING, in cui
entrano in gioco competenze, attitudini e tecniche per pianificare le strategie di azione da mettere in
atto. In questa fase di deve quindi:

1- Decidere di affrontare la situazione problematica, predisporre un piano d’azione con relativi obiettivi,
mezzi e risorse, assumendosene le responsabilità, valutando la relazione tra il contesto problematico, i
propri scopi, le proprie capacità e motivazione.

2- Monitorare il piano d’azione, cercando di prevedere i possibili esiti, valutarne le conseguenze e


considerare possibili alternative.

2 Che cos’è il problem solving

2.1. Definizione e caratteristiche del problem solving

Si può pensare al problem solving riferendosi all’abilità in genere di trovare soluzioni in qualsiasi ambito
e non tanto alla capacità di una persona di risolvere situazioni in una materia specifica. Il problem
solver è colui che, indipendentemente dalle risorse e dalla situazione trova il modo di uscire dal
problema. Di fronte ad un problema che non riusciamo a risolvere, continuare ad utilizzare gli stessi
schemi di pensiero che l’hanno generato è evidentemente improduttivo. Per uscire dal problema
dobbiamo individuare qualcosa che ancora non abbiamo considerato

o, dobbiamo spostare il nostro punto di vista ad un livello di pensiero più alto. Per spostare il focus,
cambiare il nostro punto di vista, gli strumenti migliori che ci permettono di farlo sono le domande. Le
domande devono essere domande produttive poiché devono aiutarci ad uscire dal problema. Una
buona domanda da porsi è sempre: “Come posso risolvere questa situazione?” Tutte le domande che
iniziano con “COME POSSO…?” sono molto positive.
Come definire il ‘Problem Space’ (Lo Spazio del Problema) D

Definire il “Problem Space” (Sid Jacobson,2008) , cioè individuare gli elementi che costituiscono lo
‘Spazio del Problema’, è fondamentale per la soluzione del problema stesso. Per individuare questi
elementi è necessario definire (Sid Jacobson 2008):

- Il sé identificando il proprio ruolo all‘interno del problema; -

Lo scopo, cioè qual è l’obiettivo che vogliamo raggiungere;

-Il pubblico, ossia chi è coinvolto attivamente e passivamente nella situazione, chi ci osserva, le
relazioni e rispettivi compiti specifici;

-Il codice, cioè in che modo si è pensato al problema e si è deciso di comunicarlo agli altri;

-l’autoanalisi, i processi che si possono verificare per ostacolarci e che dobbiamo cercare di superare
sono sintetizzati nel modello chiamato delle “SETTE C” (Robert Dilts)

-La nostra esperienza da cui attingere, ossia la somma di tutte le informazioni che abbiamo e che
possiamo ottenere per poter cambiare la situazione problematica e il contesto socio-culturale in cui il
problema è inserito

. IL SE’

La prima cosa da fare per risolvere un problema, in qualsiasi ambito esso sia, è sapere chi si è come
persona e avere ben chiaro il ruolo che si occupa all’interno del contesto problematico. Un buon inizio è
esplorare cosa si dà per scontato a riguardo della situazione problematica, ossia le proprie
presupposizioni, perciò è importante riflettere sulle proprie presupposizioni di base.

Il SE’ La prima cosa da fare per risolvere un problema, in qualsiasi ambito esso sia, è sapere chi si è
come persona e avere ben chiaro il ruolo che si occupa all’interno del contesto problematico. Un buon
inizio è esplorare cosa si dà per scontato a riguardo della situazione problematica, ossia le proprie
presupposizioni, perciò è importante riflettere sulle proprie presupposizioni di base. 1. La prima
presupposizione di base da cui partire è che le proprie idee di base riguardanti le persone, la vita e il
lavoro non sono precise, ma sono solo una guida, una mappa su come funzionano le cose secondo il
proprio punto di vista, infatti agiamo in base alla nostra mappa personale su come stanno le cose.

Se vogliamo approdare ad una buona comunicazione ci si deve assumere la responsabilità che gli altri
ci comprendano, le persone reagiscono in base a ciò che pensano di sentire o capire;

. La seconda presupposizione è che non ci sono fallimenti ma solo risultati;

Lo scopo

Chiarire i propri obiettivi è fondamentale in ogni processo di Problem Solving, l’ intenzione e lo scopo
sono fondamentali per dirigersi verso qualunque soluzione

Motivazione (volere) Mezzi (Sapere come) Opportunità (Potere, avere l’occasione di).

Definire un obiettivo “Ben formato” Per concentrare la nostra attenzione sul raggiungimento degli
obiettivi bisogna affermare con chiarezza cosa vogliamo esattamente. Per definire un obiettivo ‘Ben
Formato’ bisogna: Formulare l’ obiettivo in termini positivi:

L’obiettivo si applica a chi lo esprime:

L‘obiettivo deve essere posto nel contesto appropriato:

Definire e comunicare con il proprio “Pubblico”


Dopo aver definito se stessi, il proprio ruolo nella risoluzione del problema e definito il proprio scopo,
bisogna chiedersi chi altro è coinvolto, ossia quante sono le persone coinvolte nel problema immediato,
chiedersi se anche queste persone sono convinte di avere la motivazione, i mezzi e l’opportunità per
apportare un cambiamento alla situazione attuale

Il codice ed elaborazione dell’ informazione

Il concetto di codice è molto importante per capire in che termini comprendiamo effettivamente i nostri
problemi e obiettivi.

Tutte le volte che apprendiamo delle informazioni entrano in gioco tre processi:

Cancellazione Distorsione Generalizzazione

Questi tre processi sono automatici, anche quando percepiamo il mondo intorno a noi, non è possibile
notare tutte le informazioni che ci circondano (immagini, suoni, sensazioni, gusti e odori), anche perché
se ci riuscissimo, i dati sarebbero troppi al punto da sovraccaricare il cervello; perciò come autodifesa il
nostro cervello attua il processo di cancellazione, ossia vengono percepite solo una parte delle
informazioni, mentre le altre vengono ignorate. Durante il processo di memorizzazione, avviene la
distorsione, in quanto non tutte le informazioni che si vogliono memorizzare sono compatibili con i
nostri sistemi preesistenti, quindi le adattiamo ad essi; per capire questo meccanismo basta pensare a
quante volte abbiamo modificato ciò che una persona ci ha detto per adattarlo a quello che volevamo
sentirci dire. Successivamente per organizzare il nostro pensiero ci inventiamo nuove regole, facendo
cosi delle generalizzazioni. Questi tre processi avvengo tre volte: quando raccogliamo l’informazione,
quando la immagazziniamo e in fine quando la trasformiamo in parole per comunicarla agli altri.

Autoanalisi

Capire come ci ostacoliamo da soli ci serve per analizzare in che modo applichiamo i processi di
cancellazione, distorsione e generalizzazione alle informazioni. I processi che si possono verificare per
ostacolarci e che dobbiamo cercare di superare sono sintetizzati nel modello chiamato delle “SETTE C”
(Robert Dilts) e sono:

1. Confusione. Spesso non sappiamo cosa ci confonde, la mancanza di chiarezza o l’incapacità di


concentrazione, può rovinare anche i piani ben progettati. Spesso inganniamo noi stessi per evitare di
entrare in contatto con sensazioni negative che potremmo avere riguardo a ciò che dobbiamo fare.
Molte volte riguardare in seguito un guaio che abbiamo fatto, ci aiuta a vedere in modo chiaro come ci
siamo ingannati da soli.

2. Contenuto. E’ possibile avere a disposizione informazioni non appropriate quando vogliamo


raggiungere degli obiettivi, questo ci porterà a procurarci delle false piste, cioè dettagli irrilevanti per i
nostri scopi e seguirle ci disorienterà. Per evitare questo inconveniente dobbiamo avere ben chiare
quali sono le azioni che ci porteranno verso i risultati desiderati e assicurarci di non avere informazioni
mancanti o fasulle.

3. Conflitto. A volte non siamo sicuri di cosa realmente vogliamo o di cosa abbiamo bisogno, questo
causerà delle incongruenze nel nostro comportamento, ossia diciamo o pensiamo una cosa, ma ne
facciamo un’altra. Una buona comunicazione e comprensione reciproca e di sé, ridurrà al minimo i
conflitti.

4. Catastrofe. Siamo il risultato del nostro passato, sia delle cose buone, cioè tutto ciò che abbiamo
imparato e che abbiamo raccolto nella nostra vita e nel nostro lavoro e sia di quelle negative, ossia tutto
quello che abbiamo vissuto come errori e le esperienze traumatiche che ci hanno lasciato dei segni.
Non fare esperienza del nostro passato , non imparare da esso può essere molto grave (catastrofico),
perché ciò può amplificare i problemi a cui andiamo incontro,

5. Convinzione. I nostri dubbi, se eccessivi, possono essere l’ostacolo più dannoso per il successo
delle nostre azioni.
6. Contesto. Lungo il nostro cammino per raggiungere il nostro obiettivo, l’ambiente in cui lavoriamo e
viviamo, ci fornirà sempre una vasta gamma di ostacoli e risorse tra cui dovremo fare una scelta.

7. Confronto. In base alle nostre esperienze passate e desideri attuali è facile crearsi delle aspettative
inappropriate. Spesso ci confrontiamo con gli altri in base alle distorsioni e generalizzazioni operate
nella nostra mente e ci aspettiamo che gli altri si comportino in base ai nostri standard

L’esperienza

Ognuno di noi ha dentro di sé un bagaglio di esperienze, che possono essere sia utili che inutili, da cui
possiamo attingere, e per farlo abbiamo comunque bisogno di un processo strutturato.

Problemi interpersonali e di comunicazione:

Una comunicazione è chiara quando chi ascolta capisce il messaggio, cioè alla fine della
comunicazione chi ascolta ha le stesse immagine, gli stessi suoni e le stesse sensazioni di chi ha
parlato, dalla reazione dell’ascoltatore ci rendiamo conto a che livello è avvenuta la comprensione.
Nella comunicazione è importane il Rapport, cioè la relazione funzionale di collaborazione,
comprensione e fiducia reciproca per fare in modo che le persone ci ascoltino e concordino con noi. Un
buon Rapport vuol dire che chi ci ascolta si fida di noi,

Problemi di formazione:

La formazione può influenzare sia i problemi personali e impersonali di comunicazione, cioè questi
problemi si possono presentare sia se c’è una formazione insufficiente o se la situazione può essere
migliorata se venisse svolta una formazione adeguata.

Questo si fa attraverso una task-analysis (analisi dei compiti), cercando di identificare le abilità
specifiche del compito su cui bisogna fare formazione

Il problem solving è:

1 Definizione e caratteristiche generali

A Risolvere un problema seguendo un modello standard di risoluzione

B Seguire schemi rigidi di pensiero nella soluzione del problema

C La capacità di risoluzione del problema considerando il linguaggio, la flessibilità e


l’identità

D Affrontare il problema ponendosi in termini negativi


! Gli elementi del “Problem Space” sono:

2 Definire il Problem Space

A Il sé, lo scopo, i problemi personali e i problemi sistemici

B L’esperienza, il codice e i problemi ambientali

C Le dimensioni dell’ambiente in cui si lavora

D Il sé, lo scopo, il pubblico, il codice e la propria esperienza

Definire il sé significa:

3 Il Sé

A Mettere in evidenza le proprie caratteristiche rispetto agli altri

B Valutare la situazione problematica considerando solo le proprie presupposizioni di base

C Se non si è convinti delle proprie capacità, significa che si hanno dei limiti, quindi
bisogna arrendersi

D Definire se stessi, il proprio ruolo all’interno del contesto problematico ed esplorare le


proprie presupposizioni di base

Per ottenere un “Obiettivo Ben Formato” è necessario che:

4 Lo scopo

A Il proprio obiettivo deve dipendere dagli altri in modo tale che qualsiasi responsabilità
non ricada su se stessi
B Si devono possedere: motivazione , mezzi ed opportunità

C Non è necessario che il proprio obiettivo sia coerente con i propri valori interni

D Bisogna raggiungere il proprio obiettivo, basandosi su ciò che non si vuole fare

Durante la codifica dell’informazione i processi che entrano in atto sono:

5 Il codice ed elaborazione dellâinformazione

A Cancellazione, distorsione e generalizzazione

B Autoanalisi, prevenzione e autodifesa

C Prevenzione, forzature ed immagazzinamento

D Cancellazione, adattamento e generalizzazione

Per rendere partecipi in modo efficace tutte le persone coinvolte in un cambiamento si


deve:

6 Definire e comunicare con il proprio Pubblico

A Imporre le proprie decisioni ed idee a tutte le altre persone coinvolte nel cambiamento

B Prendere in considerazione solo le caratteristiche caratteriali del personale coinvolto

C Valutare solo le capacità lavorative del personale coinvolto

D Considerare i desideri, i bisogni, le capacità lavorative e di comunicazione delle persone


coinvolte nel cambiamento
Nel processo di autoanalisi il modello che viene seguito è:

7 Lâesperienza-Problemi personali

A “Modello del Confronto”

B “Modello della catastrofe”

C “Modello delle sette B”

D “Modello delle sette C”

Nella comunicazione interpersonale è fondamentale:

8 Lâesperienza-roblemi interpersonali e di comunicazione

A Un Buon Rapport

B Imporre la propria visione agli altri

C Gli altri devono sforzarsi di capire l’intenzione della nostra comunicazione, non dipende
da noi cercare di fargliela comprendere

D Chi ascolta deve contenersi nelle reazioni; il tipo di reazione che ha non dipende dal
nostro tipo di comunicazione

Nel processo di formazione la task- analysis è:

9 Problemi di formazione

A È l’analisi dei compiti per identificare le abilità specifiche su cui fare formazione e creare
un progetto di formazione
B È un questionario che indaga la vita e le abitudini personali dei dipendenti coinvolti nella
formazione

C È una tecnica di formazione

D È un test di personalità

Quando in un’ organizzazione l’autorità non è efficace si hanno:

10 Problemi di formazione

A Problemi di natura sistemica

B Soluzioni efficaci

C Si ottiene un buon controllo della situazione

D Il lavoro viene svolto nel rispetto delle regole dell’organizzazione

56.

Il sistema famiglia

Il primo ad occuparsi dello studio della famiglia come sistema fu Salvador Minuchin, che con il termine
struttura familiare definisce «l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i
componenti della famiglia interagiscono»

Mappe familiari

Le mappe rappresentano lo strumento per ottenere la rappresentazione grafica di una famiglia. Una
mappa familiare è come uno schema organizzato che, anche se non ci fornisce informazioni sulle
transazioni familiari, semplifica e ci aiuta a riordinare dati e a fare delle ipotesi su quali potrebbero
essere i bisogni di una famiglia. Forniscono notizie sulla quantità d’informazioni, sui confini, sulla
struttura gerarchica e sugli schieramenti del sistema familiare.
• I confini ci dicono della permeabilità o meno di una famiglia

• La struttura gerarchica evidenzia gli aspetti strutturali del sistema e quindi le gerarchie esistenti al suo
interno (es. genitori/figli).

• Gli schieramenti indicano le alleanze tra i membri

3 I miti familiari I miti familiari sono un insieme di credenze condivise da tutti i membri della famiglia, in
parte reali, altre frutto della fantasia, che riguardano i ruoli familiari e la natura delle relazioni tra i
membri. I miti, benché falsi e illusori, sono accettati da tutti, anzi hanno qualcosa di sacro e tabù che
nessuno oserebbe sfidare. Infatti per ogni famiglia i propri miti rappresentano la verità.

Solitamente vengono associate al mito tre immagini di ruoli familiari che Byng- Hall (1995) associa agli
script tipici della famiglia:

a) Immagini ideali: i comportamenti ai quali ognuno aspira, o quelli che un familiare induce altri
componenti della famiglia ad adottare;

b) Immagini disconosciute o ripudiate: comportamenti che sono proibiti e disapprovati negli altri e in se
stessi, anche se possono essere notate dalle persone esterne al nucleo familiare;

c) Immagini di ruolo condivise: vi è un tacito accordo che ogni componente adempirà a un ruolo
assegnatogli

Il mito familiare è dunque come un regola alla quale tutti i membri della famiglia devono attenersi, in
quanto vincolati da debiti morali e legami di realtà nei confronti del gruppo. Ci indicano ad esempio
come si fa il papà, la mamma, come si comporta un nonno ecc… Inoltre ci indicano le modalità di
fronteggiare alcuni eventi importanti come le separazioni, le nascite, i lutti: “In queste situazioni ci si
comporta in questo modo”.

I temi più frequenti nei miti sono i seguenti:

negazione familiare: presente nelle famiglie in cui la comunicazione è ritenuta impossibile;

armonia familiare: caratteristica delle famiglie estremamente unite e sempre in accordo;

condivisione totale delle informazioni: caratteristica delle famiglie in cui i membri si dicono tutto.

In alcune realtà sociali un esempio di mito diffuso è quello del familismo, caratterizzato da
un’ipervalorizzazione delle relazioni all’interno della famiglia a discapito delle relazioni sociali ad essa
esterna.

L’unità minima di osservazione di una famiglia: le triadi

Generalmente si parte dal presupposto che l’unità d’interazione minima della famiglia sia rappresentata
dalla diade, mentre lo studio dei rapporti familiari ci insegna che le cose non stanno proprio così.
Quando pensiamo ad esempio ad una coppia senza figli, non la possiamo considerare a sé stante. Nel
loro modo di relazionarsi, in una qualche misura sarà presente almeno una delle famiglie d’origine. Se
non fisicamente, almeno nel ricordo o nel mito

Murray Bowen considera il triangolo come la forma base delle relazioni familiari e la famiglia come
un’unità emozionale costituita da numerosi triangoli reciprocamente connessi, che includono anche la
famiglia estesa.

Per esempio, se la tensione tra due individui sale a una quota insopportabile, può essere ricondotta a
un livello tollerabile tramite il coinvolgimento di un terzo, ovvero tramite la formazione di un triangolo

Tuttavia, questa modalità di scarico della tensione in un sottosistema non deve divenire abituale,
altrimenti aumenta la possibilità di creare disfunzioni nel sistema e si ha la formazione di quella che
Salvador Minuchin denomina triade rigida, ovvero una struttura triadica nella quale il confine tra il
sottosistema genitoriale e il figlio è diffuso (non ben distinto), mentre il confine intorno alla triade
genitori-figlio risulta eccessivamente rigido

Andiamo ora a vedere a cosa si riferisce Minuchin quando parla di triade rigida. All’interno di un
sistema familiare, ne distingue tre tipologie, che chiama: coalizione, triangolazione e deviazione.

La coalizione è rappresentata dall’unione tra due individui a danno di un terzo. E’ necessario fare una
distinzione tra coalizione e alleanza in quanto quest’ultima definisce l’ unione di due o più individui che
hanno un obiettivo comune e cercano di raggiungerlo nel rispetto delle relazioni del sistema

La triangolazione può essere definita come una coalizione instabile e si verifica, ad esempio, quando
un figlio viene alternativamente richiamato dai genitori e rimane confuso tra loro. In questa continua
oscillazione tra mamma e papà, schierandosi alcune volte con un genitore, altre volte con l’altro, il
genitore non scelto leggerà tale esclusione come un attacco, provocando nel figlio rimorsi e sensi di
colpa

Infine, la deviazione, è rappresentata dalla modalità di due persone che in disaccordo tra loro
indirizzano il loro conflitto su un terzo. Il passaggio del conflitto su una terza persona non lo rende
facilmente identificabile, rendendo più ostica la sua risoluzione.

Le reti sociali

Da un punto di vista socioantropologico, la rete può essere definita come “tutte o alcune unità sociali
(individui o gruppi) con cui un particolare individuo o gruppo è in contatto”

Si parla di rete personale quando la relazione è tra persone e il singolo individuo, oppure di rete
familiare quando le relazioni circondano una determinata famiglia nucleare.

Possiamo inoltre incontrare fenomeni che si producono a livello interpersonale, come ad esempio le
marce della pace o i grandi eventi musicali nei quali l’interazione di gruppo è particolarmente attivata e
può favorire un cambiamento delle relazioni preesistenti, demolendo le barriere generazionali, sociali e
culturali. Si parla al riguardo di effetto di rete.

Il funzionamento di famiglia normale

Una definizione che vi può capitare d’incontrare frequentemente in letteratura è quella di “gruppo
umano con storia”, tradotta in maniera più esauriente da Valeria Scabini, che ci parla della famiglia
come di una “organizzazione complessa di relazioni di parentela che ha una storia e che crea storia”

Ritornando sulla difficoltà di definire una famiglia normale, Don D. Jackson afferma che “non esiste
un’entità come una famiglia normale, esiste invece un’ampia variabilità di modelli di adattamento e di
repertori comportamentali”(Jackson 1967). Walsh pone l’accento su un’idea di normalità che si riferisce
alla capacità di una famiglia di affrontare con successo compiti specifici di ogni fase del suo ciclo vitale
(

Quindi una famiglia che ha un buon funzionamento in un determinato momento del suo ciclo di vita,
non è detto che mantenga nel tempo tale caratteristica. Anche di fronte ad una famiglia che ci appare
funzionale, si deve tener presente che le caratteristiche di una famiglia si modificano in relazione alla
fase del ciclo di vita che sta attraversando, del luogo e della situazione in cui la osserviamo.

Affinché la famiglia possa funzionare in maniera adeguata sono necessari confini chiari e allo stesso
tempo flessibili, una solida gerarchia generazionale, insieme ad una condivisione paritaria del potere
nell’ambito del sottosistema genitoriale.

I confini disfunzionali sono i confini diffusi e i confini rigidi. I primi lasciano passare troppe informazioni
creando una situazione in cui i problemi di uno dei componenti della famiglia diventano i problemi di
tutti. Si pensi ad un papà che non compra un giocattolo al figlio di otto anni, spiegandogli che il suo
lavoro è diventato precario e da due mesi non percepisce lo stipendio. Tale spiegazione non protegge il
bambino e gli dà accesso a problematiche di cui non può e non deve farsi carico. Questo tipo di
famiglia viene definita “invischiata”.
I secondi non permettono la comunicazione, quindi in una famiglia dai confini rigidi ci si sente poco
presi in considerazione, non accolti e quasi mai ascoltati, generando una famiglia “disimpegnata”. Si
pensi ad un papà che non accoglie la richiesta del suo bambino senza dare alcuna spiegazione in
merito. Il bambino penserà che la sua richiesta non è degna di considerazione ma senza capirne il
perché.

E’ importante inoltre sottolineare che, per il buon funzionamento di un sistema familiare, è importante
che non soltanto i confini tra i sottosistemi ma anche quelli con l’esterno non siano diffusi o rigidi. Un
tipico esempio di disfunzionalità dei confini tra sistema familiare e ambiente è costituito dal fenomeno
della «barriera di gomma», descritto da Wynne con riferimento ai rapporti tra famiglie dove vi è la
presenza di un membro psicotico e il mondo esterno.

Con il termine “barriere di gomma” Wynne si riferisce al fatto che queste famiglie presentano
solitamente confini con l’esterno assai poco permeabili ed appaiono come circondate da una barriera
apparentemente flessibile, ma in realtà estremamente difficile da varcare

Quando parliamo invece di una solida gerarchia generazionale ci riferiamo alla struttura del potere
intesa come adempimento del ruolo genitoriale. In una famiglia ben funzionante, i genitori dovrebbero
essere in grado di esercitare la loro autorità con potere esecutivo, seppure in modo flessibile e
razionale, senza che vi siano eccessive disparità di potere tra padre e madre (Walsh 1995). Detto con
le parole di Hellinger, riferendosi al suo concetto di Ordine, “Per un corretto funzionamento di una
famiglia è necessario che i genitori sappiano fare i genitori

E’ importante sottolineare come tutti i modelli riconoscano nei concetti di flessibilità e di adattabilità i
denominatori comuni per un funzionamento familiare sano

Il contesto familiare e ambientale

Riordinando ciò che è stato appreso finora potremmo dire che la famiglia è considerata come un
sistema aperto, caratterizzata dalla tendenza all’omeostasi e al cambiamento. Queste due tendenze
apparentemente in contrapposizione trovano un aggancio nel concetto di omeostasi evolutiva.
Riprendendo l’idea di Minuchin (1976) possiamo ribadire il concetto di famiglia come “sistema-socio-
culturale, aperto, in trasformazione che pur nel cambiamento “mantiene se stesso” garantendo stabilità
ed assicurando “crescita psicosociale ai suoi membri”.

In quanto sistema interpersonale, la famiglia rappresenta il luogo sociale in cui si realizzano i processi
di sviluppo e di crescita dei suoi membri.

La famiglia e le sue fasi

Costruiremo dunque una mappa delle famiglie che possiamo incontrare, ma attenzione… non è uno
schema rigido da applicare sempre e comunque ma va adattato in base alla specifica famiglia. Infatti,
quando ci rapportiamo alle famiglie, ma non solo, dovremmo tener presente che la mappa non è il
territorio

Questo particolare gruppo con storia, ha un proprio ciclo di vita che è un qualcosa di diverso e di più
rispetto alla somma dei cicli di vita dei suoi membri.

Questo particolare gruppo con storia, ha un proprio ciclo di vita che è un qualcosa di diverso e di più
rispetto alla somma dei cicli di vita dei suoi membri. Fruggeri definisce le famiglie come unità dinamiche
soggette a cambiamenti continui che possono manifestarsi a livelli diversi ma dipendenti tra loro:
individuale, interpersonale, gruppale e sociale. Ogni membro della famiglia cresce e si trasforma nel
tempo per cui, ogni nucleo familiare deve confrontarsi e assimilare le trasformazioni relative allo
sviluppo emotivo, cognitivo e fisico dei suoi diversi componenti (livello individuale). Pensiamo ad
esempio al processo di crescita di un figlio o all’invecchiamento di un genitore. Così pure le relazioni tra
i membri della famiglia si modificano portando con sé dei cambiamenti all’intero del nucleo (livello
interpersonale)
In una famiglia avvengono cambiamenti importanti anche in relazione a come cambia il modo in cui è
composta (livello gruppale) e questo succede, ad esempio, con l’arrivo di un figlio

Infine la struttura familiare cambia anche in seguito alle trasformazioni che avvengono nel contesto
sociale e culturale di cui fa parte: valori culturali e religiosi, regime politico, identità etnica, e soprattutto
eventi sociali e ambientali

Il tema del ciclo di vita familiare è nato e si è sviluppato in ambito sociologico nei tardi anni ‘40, grazie
all’opera di Hill e Duvall.

Il ciclo di vita familiare si articola in una serie di fasi, ognuna delle quali deve essere superata per poter
passare alla fase successiva. In ogni punto di transizione è importante notare il coinvolgimento di
quattro generazioni che si trovano a cambiare insieme.

Se si incontrano difficoltà in questo processo di cambiamento, il ciclo vitale può bloccarsi, oppure la
tappa in questione può venire superata in modo incompleto.

Si può operare una distinzione tra eventi critici prevedibili o normativi (eventi che la maggior parte degli
individui e delle famiglie incontra nel corso del proprio ciclo di vita e che sono in un certo senso attesi,
come matrimonio, nascita dei figli, crescita, ecc.) ed eventi critici imprevedibili o paranormativi (eventi
che, anche se frequenti, non sono del tutto prevedibili, come crisi economiche, malattie, morti
premature, divorzi ecc.) Il blocco del ciclo vitale si verifica quando, nel corso di una determinata fase, si
verifica un evento paranormativo e successivamente non avvengono le ridefinizioni delle relazioni
interpersonali e la riorganizzazione del sistema che sarebbero necessarie per passare alla fase
successiva

Si parla invece di passaggio incompleto quando il passaggio alla fase successiva avviene soltanto
apparentemente, senza che si siano in realtà modificate le relazioni interpersonali e le modalità di
funzionamento del sistema familiare

Gli stadi del ciclo di vita non hanno un carattere universale. Ad esempio, sia il prolungamento della fase
dell’adolescenza che diventa fase del giovane adulto che le fasi del ”nido vuoto” e dell’età anziana,
rappresentano una caratteristica della società occidentale di questo secolo

Secondo Carter e McGoldrick [1980] il ciclo di vita familiare può essere suddiviso in sei stadi:

1. Giovane adulto senza legami: Nella fase precedente la formazione della famiglia è indispensabile il
“distacco emotivo” del giovane dal gruppo di origine e ciò si concretizzerà attraverso la differenziazione
e definizione del proprio sé rispetto ai familiari,

2. Formazione della coppia: In questo secondo stadio un lavoro positivo di ristrutturazione deve portare
all’organizzazione del sistema coniugale e si devono “ridefinire” le relazioni con le famiglie estese e con
i gruppi di appartenenza dei coniugi.

3. Nascita del primo figlio e famiglia con bambini piccoli: in questo stadio il processo emozionale
centrale è l’accettazione dei figli come nuovi membri del sistema. In altri termini, vuole dire: la
formazione del sottosistema genitoriale

4. Famiglia con adolescenti: Nella famiglia con adolescenti deve essere aumentata la flessibilità dei
confini all’interno della famiglia per permettere lo svincolo dei figli. Se ciò avviene, l’adolescente si
sentirà libero di entrare e uscire dal sistema famiglia senza nessun tipo di condizionamento.

5 . Famiglia in cui i figli adulti escono di casa: Nel quinto stadio il processo emozionale centrale sarà
l’accettazione di un numero sempre maggiore di movimenti di uscita e di entrata nel sistema:

6. Famiglia nell’età anziana: Il sesto stadio riguarda l’accettazione del cambiamento dei ruoli
generazionali, del mantenimento del funzionamento di coppia, del riconoscimento di un ruolo più
centrale alle generazioni di mezzo.
Ciclo di vita e processi decisionali

! Il primo ad occuparsi dello studio della famiglia come sistema fu:

1 Lo studio della famiglia come sistema

A Andolfi

B Minuchin

C Byng-Hall

D Bowen

! Una mappa familiare rappresenta:

2 Le mappe familiari

A Uno strumento per ottenere una rappresentazione grafica di una


famiglia

B Uno strumento che fornisce informazioni sulle transazioni familiari

C La descrizione di ogni singolo membro di una famiglia

D La descrizione del contesto in cui una famiglia vive

Definiamo miti familiari:

3 I miti familiari

A Racconti che possono essere soltanto frutto di fantasie


B Racconti che possono comprendere soltanto fatti realmente accaduti

C Un’insieme di credenze condivise solo dal trigenerazionale, in parte


reali, altre frutto della fantasia

D Un’insieme di credenze condivise da tutti i membri della famiglia, in


parte reali, altre frutto della fantasia

Secondo Bowen, la formazione di triangoli rappresenta:

4 Lâunità minima di osservazione di una famiglia: le triadi

A L’immagine di una famiglia composta da tre persone

B Un processo naturale e funzionale, che può modulare la reattività


emotiva tra gli individui e può permettere la riduzione degli attriti tra i
vari membri

C Un processo disfunzionale che in tutti i casi alimenta gli attriti tra i vari
membri

D L’insieme di tre famiglie in conflitto

Quando parliamo di rete familiare ci riferiamo a:

5 Le reti sociali

A Tutte o alcune unità sociali (individui o gruppi) con cui un particolare


individuo o gruppo è in contatto

B Le relazioni che circondano una determinata famiglia nucleare

C Le relazioni che circondano un singolo individuo all’interno di una


famiglia

D Le relazioni tra i membri di una famiglia

! Valeria Scabini definisce la famiglia come:

6 Il funzionamento familiare normale

A Una rete sociale

B Un nucleo ristretto

C Un’organizzazione complessa di relazioni di parentela che ha una


storia e che crea storia

D Gruppo

Se parlo di una famiglia con confini diffusi, faccio riferimento a:

7 Confini e gerarchie

A Una famiglia con problemi su più livelli

B Una famiglia in cui si lasciano passare troppe informazioni, e i


problemi di uno sono i problemi di tutti

C Una famiglia che si relaziona facilmente con l’esterno

D Una famiglia che al suo interno non lascia passare informazioni

8 Tutti i modelli riconoscono dei denominatori comuni per un funzionamento


familiare sano. Ci riferiamo a:
Confini e gerarchie

A Origini e identità

B Controllo e protezione

C Flessibilità e adattabilità

D Rigidità e chiusura

Il blocco del ciclo di vita si verifica quando:

9 Il ciclo di vita

A Nel corso di una determinata fase, si verifica un evento paranormativo


e successivamente il sistema non si riorganizza per passare alla fase
successiva

B Quando la famiglia non si adatta al contesto

C Quando la famiglia non aderisce ai miti familiari

D Nel corso di una determinata fase il sistema è così ben adattato da


diventare resistente al cambiamento

Ci sono culture in cui si è mantenuto il rispetto per le generazioni passate,


tanto da impedire che gli anziani siano accuditi fuori dalla famiglia. Succede
nelle società:

10 La famiglia in unâottica transculturale

A Occidentali e orientali
B Orientali e Islamiche

C Islamiche e occidentali

D E’ un’abitudine che appartiene solo al passato

57.

Antropologia: la cultura ieri e oggi

La società è un insieme di individui legati da relazioni strutturate sulla base di una cultura comune. Tra
cultura e società esistono forti interrelazioni: l’esistenza dell’una è strettamente correlata all’esistenza
dell’altra.

In altre parole lo studio della natura dell’uomo e delle società umane presenti e passate

La cultura intesa nel suo senso etnografico più ampio “è quell'insieme complesso che include le
conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine
acquisita dall'uomo in quanto membro della società” 1 .

L’assimilazione da parte del bambino dei valori, norme e stili di vita della società di cui entra a far parte,
avviene attraverso il processo di socializzazione. Il bambino inerme diventa gradualmente una persona
consapevole di se stessa. Non si tratta di “programmazione culturale” ma di un apprendimento del
mondo circostante attraverso consuetudini e abitudini trasmesse attraverso le generazioni.

È importante precisare che all’interno di una stessa una società è possibile individuare più modelli
culturali: subculture: segmenti di popolazione appartenenti a una società più ampia e distinguibili sulla
base di parametri culturali (es. hacker, naturisti, hippy ecc.). controculture: gruppi che, respingendo i
valori e le norme prevalenti in una data società, elaborano e diffondono valori alternativi a quelli della
cultura dominante.

Una cultura comprende:

aspetti materiali: artefatti prodotti da una società (oggetti tangibili: penna, computer)

aspetti immateriali: linguaggio, valori e norme I valori sono le idee che definiscono ciò che è
considerato importante, degno e desiderabile in una cultura, comportano cioè un dover essere.

Essi guidano gli esseri umani nella loro interazione con l’ambiente sociale.

Le norme sono regole di comportamento che riflettono o incarnano i valori di una cultura. Esse sono
più specifiche e imperative dei valori.

La loro efficacia sociale dipende eminentemente, anche se non esclusivamente, da forme di controllo
esterno del comportamento. A loro volta si differenziano in costruttive e regolative. a) Le norme
costitutive costituiscono, cioè generano, una pratica che prima della loro formulazione non esisteva.
Rientrano tra queste, ad esempio, le regole dei giochi b) Le norme regolative, invece, si limitano a
regolamentare delle pratiche già esistenti. In questo tipo rientra la grande maggioranza delle norme, dai
precetti religiosi alle leggi dello stato

I concetti sono le proposizioni descrittive della realtà che i soggetti utilizzano per organizzare
cognitivamente la loro esperienza.

I simboli sono segni sia convenzionali, tali in virtù di una convenzione, sia analogici, cioè capaci di
evocare una relazione tra un oggetto concreto e un’idea astratta in cui non c’è relazione diretta con
l’oggetto. (Es: scrittura egiziane e scrittura latina) I simboli sono diversi dai segnali, che hanno un puro
valore informativo e non evocativo

La cultura in antropologia

L'antropologia è in senso stretto la scienza che studia l'uomo come fenomeno biologico naturale
(antropologia biologica); in senso lato, scienza che studia l'uomo sia dal punto di vista biologico
(antropologia fisica), comportamentale (etologia umana), nonché psicologico, sociale, economico
(antropologia culturale)

Modelli teorici

5.1. Evoluzionismo Secondo la teoria evoluzionistica, proposta da C. Darwin, alcune popolazioni hanno
maggiori capacità di adattamento che permettono loro di sopravvivere. La differenza tra le popolazioni
occidentali (Europa e Usa) e le altre (africane, australiane, ecc.) dipendeva dal grado di civiltà: si
parlava di popoli civili e non. Per queste popolazioni considerate arretrate fu coniato il termine di
primitivi, cioè di inferiori. Erano inferiori dal punto di vista naturale (Darwin), economico (Marx), religioso
(Frazer) o tecnologico (Morgan).

Diffusionismo

I diffusionisti ritenevano che tratti culturali, originati in alcuni luoghi, si fossero estesi in altri posti a
seconda di dove l’uomo si insediava. Dunque, tratti culturali uguali erano presenti in culture diverse e
l’obiettivo dei diffusionisti era quello di rilevare il loro luogo d’origine.

Massimo rappresentante: Boas

Nell’opera L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiul (1897) descrisse il
potlatch, un insieme di pratiche rituali diffuse tra le popolazioni indiane stanziate sulla costa della
Columbia Britannica e sull’isola di Vancouver. Nello specifico è un complesso cerimoniale di
ostentazione di ricchezza realizzato in grandissime feste, in cui un capo decide di sommergere gli
avversari con fastosissimi banchetti, regali e distribuzione di beni. Boas dimostra come presso gli
indiani Kwakiul la potenza di un popolo era dimostrata dalla fastosità con cui ricoprivano di doni i propri
rivali. Questi venivano superati nel potlatch attraverso l’esibizione della potenza economica, la
consumazione e la distribuzione dei beni del popolo “donante”.

La scuola sociologica francese

In Francia invece l’antropologia si studia insieme alla sociologia e alla filosofia. Importanti contributi allo
sviluppo della disciplina provengono da Émile Durkheim, interessato alla funzione dei vari aspetti della
società (ad esempio, la funzione della religione). Se fu Spencer a buttare le basi del funzionalismo, fu
Émile Durkheim (1858-1917) a utilizzare per primo questo concetto per studiare le società.

Se la società, come un organismo, è costituita da molte parti diverse che contribuiscono nella stessa
misura al funzionamento del tutto, per spiegare un fatto sociale (un rito, una credenza, un obbligo) è
necessario mostrarne la funzione nell'ordinamento della società.
l’autore tenta di ricostruire l’origine della religione, e di formulare una teoria generale dei fenomeni
religiosi. Secondo Durkheim la forma originaria della religione sarebbe il totemismo, visto come il
sistema religioso più semplice, al cui interno agivano rappresentazioni collettive, dunque dell’intero
gruppo sociale e non del singolo. Le figure di animali, di piante e di fenomeni naturali rappresentanti un
determinato totem, esprimevano l’idea di forza associata simbolicamente al clan, unità sociale
primordiale. L’immagine simbolica del totem altro non era che la proiezione della società nel suo
insieme, valori e norme, per cui finiva per essere adorata, come entità suprema la società, da cui
dipendono gli individui. Nella religione Durkheim vedeva fondamentalmente un fatto sociale e una
modalità attraverso la quale la società impone il suo potere sugli individui.

Funzionalismo

Nasce con l’idea di voler paragonare le società agli organismi viventi, ritenendo che le loro diverse parti
costituissero sistemi che cooperavano insieme per garantire come un tutto funzionante.

Si diffuse in Gran Bretagna e il massimo esponente fu B.Malinowski (funzionalismo moderno).

Questa scuola di pensiero si è interessata all'analisi dei fattori che contribuiscono al mantenimento
dell'equilibrio interno di una società, intesa come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le
sue varie parti. La scuola funzionalista privilegia la ricerca sul campo e l’osservazione diretta dei
fenomeni culturali

Questa scuola di pensiero si è interessata all'analisi dei fattori che contribuiscono al mantenimento
dell'equilibrio interno di una società, intesa come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le
sue varie parti. La scuola funzionalista privilegia la ricerca sul campo e l’osservazione diretta dei
fenomeni culturali

Malinowski infatti visse a lungo in Melanesia, studiando la popolazione dei Trobriandesi. La sua opera
Gli Argonauti del Pacifico occidentale (1973) resta un modello di monografia antropologica. Il testo
inaugura una nuova epoca, in quanto l’osservazione partecipante permette all’antropologo di entrare
nel cuore dei problemi culturali e di capirne il significato. L’opera descrive la vita di villaggi melanesiani,
ne esamina gli elementi culturali e si ferma a osservare una pratica di scambio rituale chiamato kula, un
fenomeno di notevole rilevanza sociale che occupa un posto fondamentale nella vita tribale degli
indigeni. Si tratta di uno scambio cerimoniale di collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie
bianche,

Egli sostiene che il trobriandese lavora spinto da motivi assai complessi di natura sociale e tradizionale,
mirando a obiettivi che non sempre hanno a che vedere con l’immediata utilità. Esiste una complessità
delle azioni umane che non possono essere ridotte alla sfera economica.

Un altro pensiero comune è quello della promiscuità primitiva. Malinowski sostiene che non è mai
esistita questa pratica.

Esercitò un'enorme influenza con il suo strutturalismo, anche al di fuori del campo antropologico. Lo
strutturalismo rifiuta il concetto di libertà e scelta umana e si concentra invece sul modo in cui
l'esperienza e il comportamento umano sono determinati da varie strutture.

Nel tentativo di cogliere le strutture profonde, universali e atemporali, che soggiacciono al pensiero
umano, Lévi-Strauss è giunto a postulare l'esistenza di una logica binaria che, allo scopo di classificare
e ordinare il mondo, costruisce categorie mediante un sistema bipolare di opposizioni o contrasti (caldo
versus freddo, crudo versus cotto, destra versus sinistra ecc.).

Alla luce di questa fondamentale acquisizione Levi-Strauss ha indagato alcuni temi nodali dell'agire
umano, quali i sistemi di parentela, al fine di individuare la logica sottostante, ossia la struttura
invariante, rispetto a cui essi sono tutti trasformazioni. Per Lévi-Strauss l'elemento centrale nella
costituzione delle unità e dei gruppi di parentela è l'unione matrimoniale (struttura), che egli considera
essere uno scambio, messo in atto dai maschi, delle donne e delle loro capacità riproduttive.
L’antropologia italiana

Alla fine dell’800 gli studi folklorici italiani si aprono anche ad altri ambiti di studio come le fiabe e gli usi
e costumi. In questo periodo l’autore più rappresentativo fu Giuseppe Pitré, medico siciliano che fece
dello studio del folklore la sua principale attività, tanto da produrre una vera e propria Biblioteca di
tradizioni popolari siciliane tra il 1870 e il 1913, che comprende poesia, canti, le feste, i giochi,
credenze, pregiudizi, medicina popolare, indovinelli, favole, etc. Un ambito che Pitrè chiamava
“demopsicologia”

De Martino descrisse il magismo come il primo tentativo coerente, da parte dell’uomo, di affermare la
propria presenza nel mondo. La magia si configura non come una semplice risposta allo stress emotivo
procurato da situazioni dall'esito incerto, ma come una lotta intrapresa dagli esseri umani per esistere. I
comportamenti stereotipati dei riti magici offrono all’uomo rassicuranti modelli da seguire e lo aiutano a
sopportare una sorta di "crisi della presenza" che si verifica quando l'individuo, al cospetto di particolari
eventi o situazioni (malattia, morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi
radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in una storia umana", scrive de Martino)

Negli anni ‘40, l'antropologia culturale statunitense fu influenzata dalla scuola di F. Boas che dimostrò
come la cultura fosse indipendente dai fattori razziali e avesse in sé caratteri tipici per ciascun gruppo
etnico e pertanto fosse un prodotto autonomo di ogni popolo. Su questa strada vennero condotte
indagini sui "caratteri nazionali" delle singole culture e sul potere condizionante che queste hanno sulla
personalità dei singoli: si affermò così una scuola, denominata "cultura e personalità" di cui i massimi
esponenti sono stati: R. Benedict, R. Linton, M. Mead, A. Kardiner

Individuo e società: una relazione di tipo circolare

G. Bateson:

naven era un rituale di travestimento che veniva effettuato quando un giovane compiva per la prima
volta nella sua vita un’azione rispondente ad un valore positivo e fondamentale della cultura locale
(uccisione di un nemico, cambiamento di status sociale ecc.). In questa occasione i suoi parenti di
entrambi i sessi si travestivano assumendo caratteristiche e comportamenti che richiamavano quelli del
sesso contrario. Nel rituale un ruolo importante era quello del wau , il fratello della madre dell’individuo
(laua), in onore del quale si celebrava il naven. Il fratello della madre, dunque il detentore dell’autorità
sul figlio di quest’ultima si travestiva da donna, rappresentando la caricatura della “debolezza emotiva”
femminile mentre atteggiandosi in maniera clownesca era oggetto di scherno e riso da parte delle
persone circostanti. Al contrario gli individui di sesso femminile assumevano un comportamento di
fierezza che normalmente assumevano di rado.

Così l’inversione dei ruoli durante il rituale permetteva ai soggetti di una data cultura di assumere i
segni di un’identità diversa dalla propria, esibendo sentimenti contrastanti con il tono emotivo tipico del
proprio sesso.

travestendosi da donna il wau poteva manifestare soddisfazione e affetto per il figlio della sorella;
mentre travestendosi da uomini, la madre del giovane e le altre donne della famiglia

potevano mostrarsi soddisfatte e orgogliose per le azioni di un giovane del quale si erano prese cura e che aveva
raggiunto ora un obiettivo socialmente e culturalmente approvato. Bateson notò che da parte del marito
l'accentuarsi dell'adesione al modello maschile fatto di forza, coraggio, fierezza, aggressività ecc. ingenera nella
moglie un atteggiamento di sottomissione via via crescente. Questo fenomeno se non interrotto dall'esterno (o
come in questo caso dal rito naven) può portare ad estreme conseguenze→ serve a evitare conflitti, catartico.

A questo punto Bateson conia il concetto di schismogenesi per indicare il “processo di differenziazione
nelle norme del comportamento individuale risultante da interazione cumulativa tra individui”2 . Ossia,
l'insieme di interazioni tra gli individui o gruppi di individui dà origine a divisioni tra i gruppi o gli individui
stessi.
Bateson distingue una schismogenesi (dal greco antico skhisma, divisione e genesis, nascita,
creazione) complementare nel caso in cui il comportamento di un individuo incoraggia un altro a
rispondere in maniera opposta (se per esempio l’uomo e’ prepotente, la donna e’ docile e più nel tempo
l’uomo sarà prepotente, più la donna sarà docile); una schismogenesi simmetrica quando un modello di
comportamento di un individuo stimola in un altro individuo un atteggiamento analogo, producendo una
competizione crescente sulla base di atteggiamenti analoghi

Il ruolo della cultura in adolescenza

Fino alla metà degli anni 1920, gli antropologi americani si concentrarono sulle culture indiane degli
Stati Uniti. Margaret Mead è stata la prima antropologa a studiare una cultura al di fuori del continente
americano. Nel periodo compreso tra il 1926 e il 1927 condusse una ricerca nelle isole Samoa, un
arcipelago della Polinesia. La Mead si interessa come i suoi predecessori all’influenza esercitata dalla
cultura sull’individuo e dalle modalità di trasmissione dei valori che consentivano a quest’ultimo di
adattarsi con successo, sul piano del comportamento e della condivisione dei valori, ai modelli della
propria società

Nell’opera L’adolescente in una società primitiva(1930) la studiosa si focalizza sul periodo di vita
adolescenziale della donna samoana. Venivano analizzati tanto il contesto sociale quanto il processo
educativo che presso questa società concorrevano alla formazione della personalità della donna,
durante l’adolescenza. Attraverso la sua opera la Mead mostrò la differenza dei metodi educativi seguiti
dai Samoni ma anche l’alto grado di socializzazione da essi prodotto. Questo studio mostrava come
l’adolescenza in una società primitiva, semplice, fosse una fase della vita dell’individuo meno esposta a
traumi di quanto non fosse nella società occidentale e nella società americana in particolare. Tale
differenza dipenderebbe da due fattori: la mancanza di messaggi concorrenziali e produttivistici inviati
dalla cultura dell’individuo; la mancanza di alternative rilevanti nelle scelte che si presentano al giovane
durante il periodo adolescenziale.

Relativismo culturale

I lavori di Margaret Mead, come del resto quelli di Ruth Benedict e di altri antropologi statunitensi
rappresentarono un momento importante per l’antropologia americana. Con i loro lavori hanno
contribuito ad introdurre in antropologia il concetto di relativismo culturale. Con questa espressione si
tende ad indicare la concezione secondo cui un’azione o un valore devono per poter essere compresi
essere considerati all’interno del contesto complessivo entro cui si collocano. Dunque, nello studio
dell’essere umano, inteso nella sua personalità e nel suo agire, gli studiosi iniziarono a volgere
particolare attenzione al sistema in cui è inserito e di cui fa parte.

Pertanto nella valutazione di un comportamento dobbiamo porci tre domande: a) Questa persona si
comporta regolarmente con la situazione? b) Altre persone si comporterebbero allo stesso modo, nella
stessa situazione? c) Questa persona si comporta cosi anche in altre situazioni? (Kelly,1973)

A differenza del passato, oggi c’è più consapevolezza negli studiosi del ruolo che la cultura gioca nella
crescita e nello sviluppo degli individui; essa è in qualche modo il filtro attraverso il quale si sperimenta
il mondo,

L’errore di attribuzione fondamentale (Ross, 1977) vale a dire la tendenza ad attribuire le cause delle
azioni altrui a fattori personali piuttosto che situazionali è più debole in Giappone, in India e Cina
(Morris e Peng, 1994; Kitayama e Masuda, 1997). Gli effetti della dissonanza cognitiva molto
consistenti nelle culture occidentali, risultano invece minori nelle culture orientali, per cui l’incongruenza
tra il proprio pensiero e le proprie azioni sembra minacciare in misura minore il senso del sé degli
orientali
La cultura è:

1 Società e Cultura

A Ereditata

B Appresa durante il processo di socializzazione

C Presente solo in gruppi sociali grandi come la nazione

D Un insieme di individui

Le idee che definiscono ciò che è considerato importante, degno e


desiderabile in una cultura sono espresse attraverso:

2 Caratteristiche della cultura

A Norme

B Concetti

C Valori

D Simboli

L'antropologia può essere definita:

3 La cultura in antropologia

A Lo studio della natura dell’uomo e delle società umane presenti e passate


B Lo studio della natura dell’uomo e delle società umane solo presenti

C Scienza che studia l'uomo dal punto di vista biologico

D Scienza che studia l'uomo dal punto di vista comportamentale

Durkheim nell’opera Le forme elementari della vita religiosa (1912) si


interessa di ricostruire l’origine della religione e asserisce:

4 La storia dellâantropologia culturale

A Nel totemismo agiscono le rappresentazioni del singolo individuo

B La forma originaria della religione è il totemismo

C Tra religione e società non vi è alcun legame

D Il totemismo è una forma strutturale di organizzazione sociale che sancisce


le relazioni tra gli individui

Secondo R. Benedict ciò che contraddistingue una società da un’altra con


tratti culturali uguali è:

5 La cultura come complesso di tratti

A La struttura dei rapporti di parentela

B La religione presente

C La presenza o meno del naven

D La modellizzazione del tratto


Bateson si discosta degli antropologi del tempo perché vede il rapporto tra
società e individuo in maniera:

6 Individuo e società : una relazione di tipo circolare

A Causale

B Lineare

C Circolare

D Simmetrica

! M. Mead in Sesso e temperamento in tre società primitive (1935) e Maschio


e femmina (1949) asserisce:

7 Il ruolo della cultura in adolescenza

A La cultura è la forza principale che forma la personalità individuale di


maschi e femmine in qualsiasi società

B La biologia è la forza principale che forma la personalità individuale di


maschi e femmine in qualsiasi società

C I modelli culturali non hanno alcun potere nell’attribuire ruoli e inclinazioni


diverse a uomini e donne

D L’adolescenza in una società primitiva è una fase della vita dell’individuo più
esposta a traumi di quanto non fosse nella società occidentale e nella
società americana

Con relativismo culturale si intende:

8
Relativismo culturale

A La cultura è relativa nell’interpretazione dell’agire umano

B Un’azione o un valore devono per poter essere compresi essere considerati


all’interno del contesto complessivo entro cui si collocano

C Un comportamento deve essere letto in funzione della personalità di chi


compie l’azione

D Che è poco importante conoscere la cultura di una data società

Il tokolosh e il munaciello sono un esempio di:

9 Lâantropologia oggi

A Stregoneria

B Come lo sviluppo tecnologico modifica alcune credenze popolari

C Come l’Africa è piena di credenze popolari inesistenti in altri Paesi

D Tratti culturali uguali (credenza in uno spirito) in società diverse

Islamismo e Cristianesimo:

10 Cristianesimo e Islamismo: due modi di vivere

A Nel Cristianesimo la religione determina la cultura di un popolo senza


risentire dell’influenza del sistema giuridico presente

B Nell’islamismo religione e sistema giuridico sono indipendenti


C Nella società islamica e cristiana gli uomini e le donne hanno uguali diritti

D Il Corano è più prescrittivo della Bibbia cristiana

58.

la Psicologia del Turismo studia l’uomo in quanto turista, ma non solo. Il discorso è di sicuro più ampio
ed articolato e richiede un’attenta riflessione ed analisi su cosa sia il “turismo” e su quali siano i fattori
che concorrono nel svilupparlo. Al giorno d’oggi, il turismo rappresenta una delle principali attività
economiche del mondo

Il turismo è un sistema complesso nel quale giocano un ruolo importante le relazioni. Concetto
quest’ultimo che può esprimersi in vari modi: dai rapporti di amicizia che si instaurano con gli altri
visitatori, ai rapporti sociali che si sviluppano con i residenti e persino i rapporti emotivi che si
stabiliscono con il luogo visitato

Daniel Goleman utilizza il termine intelligenza emotiva sociale riferendosi a quell'insieme di


caratteristiche che ci permettono di relazionarci positivamente con gli altri e di interagire in modo
costruttivo con essi. Una delle componenti più importanti di questo aspetto dell'intelligenza è costituita
dall'empatia,

Ma cos’è l’empatia? Come può essere definita? C’è differenza tra i termini empatia e simpatia, talvolta
usati impropriamente come sinonimi. Il termine einfühlung (in tedesco empatia), coniato da Tichener,
evidenzia bene la differenza tra le due condizioni. L’empatia riguarda, infatti, il “sentire dentro” lo stato
emotivo di un altro, vale a dire condividere l’emozione dell’altro al punto che essa diventa, se pure in
modo vicario, la propria emozione. Nell’empatia la distanza tra le persone si riduce, a tal punto, che chi
empatizza fa proprie le emozioni altrui. Laura Boella nel suo libro “Sentire l'altro. Conoscere e praticare
l'empatia” (Raffaello Cortina Editore, 2006) la definisce con “l'atto attraverso cui ci rendiamo conto che
un altro, un'altra, è soggetto di esperienza come lo siamo noi: vive sentimenti ed emozioni, compie atti
volitivi e cognitivi

In genere, si fa riferimento a due fondamentali tipi di empatia, definiti come empatia cognitiva ed
empatia affettiva-emozionale (Stephan e Finlay, 1999). La prima consiste principalmente nell’assumere
il ruolo o la prospettiva dell’altro – vedendo il mondo dal suo punto di vista – mentre la seconda
consiste essenzialmente in risposte emozionali che possono essere simili a quelle dell’altra persona
(empatia parallela) o in reazione alle esperienze emozionali dell’altro (empatia reattiva).

Esiste un sostanziale accordo fra tutti i ricercatori sul fatto che sono essenzialmente due i processi
cognitivi il cui sviluppo è indispensabile perché si possa parlare propriamente di esperienza empatica:
l’abilità di discriminare e di riconoscere correttamente gli stati affettivi altrui e l’abilità di assumere il
ruolo (role-taking) e la prospettiva dell’altro (perspective-taking)

Con role taking in letteratura si definisce la capacità di mettersi nei panni degli altri, assumendone la
prospettiva e il ruolo, anche quando questo è diverso dal proprio, senza per questo perdere la
consapevolezza del proprio punto di vista, che si conserva attivo e saliente.

Con il termine perspective taking si designa, invece, la capacità di assumere il punto di vista degli altri
in modo da poter inferire la visione che gli altri hanno della realtà. Con perspective taking o assunzione
di prospettiva si intende, dunque, la capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi della persona con
cui empatizziamo.

Una domanda sorge spontanea: si può imparare l'empatia? La risposta è sì. Si tratta di una
competenza che si può imparare, che si può sviluppare e affinare nel tempo e nel contatto con le
persone, partendo da un'intelligenza emotiva e sociale “di base”. Daniel Goleman nel suo libro:
“Lavorare con intelligenza emotiva” (Rizzoli, 1998), individua le cinque dimensioni dell'intelligenza
emotiva. La consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione, afferiscono alla “competenza
personale” che determina il modo in cui controlliamo noi stessi. L'empatia e le abilità sociali afferiscono
invece alle “competenze sociali” delle persone e ne condizionano il modo nel quale gestiscono le
relazioni con gli altri.

i. Ascoltare attivamente significa, essere empatici, mettersi "nei panni dell'altro", riconoscere e
accettare il suo punto di vista, accogliendo e comprendendo le emozioni, i dubbi, le preoccupazioni che
manifesta. Ma ciò non basta. Per ascoltare attivamente è necessario restituire tale comprensione e
dimostrare in tal modo la presenza nella relazione, il rispetto e il riconoscimento dell’altro:“ci sono,
ascolto, colgo e capisco il contenuto e le emozioni che lo accompagnano”.

L’accettazione positiva incondizionata Strettamente connessa e correlata a questo aspetto è la capacità


di accettazione positiva incondizionata. (Rogers, “La terapia centrata sul cliente, 1951.) Con ciò si
intende un atteggiamento non valutativo e non giudicante. L’utente viene apprezzato senza cadere nel
giudizio selettivo o nel pregiudizio. Si tratta di un sentimento spontaneo e senza riserve, che trasmette
all’altro sincero interesse senza pretendere nulla in cambio e presuppone il rispetto profondo per l’altra
persona e l’ascolto attivo

Ma cosa si ascolta? L’ascolto attivo si basa su: - ascolto dei contenuti, attraverso: ciò che racconta
con le parole (verbale) ciò che non dice con il silenzio, ascolto/osservazione delle tonalità e del modo
in cui esprime i contenuti (paraverbale) ascolto/osservazione degli sguardi, della gestualità, di come
l’altro si presenta e si muove (linguaggio non verbale)

Ascolto attivo=promuovere una costruzione della realtà

È importante sottolineare due principali tecniche di base dell’ascolto attivo:

la riformulazione e la chiarificazione. La riformulazione consiste nel ridire ciò che l’altro ha appena
detto utilizzando le stesse parole o in maniera più concisa, non aggiungendo nulla di proprio al
contenuto, evitando in tal modo l’interpretazione. Attraverso la riformulazione l’operatore può ottenere
l’accordo da parte della persona e la persona ha la conferma di essere stata ascoltata. La
riformulazione svolge quindi una duplice funzione: garantisce la corretta ricezione di un messaggio
ricevuto dall’utente e, contemporaneamente, comunica all’utente stesso il rispetto e l’attenzione di cui è
fatto oggetto. È come se l’operatore inviasse questo messaggio: “Sono qui per ascoltarti, sono
interessato a capirti con certezza, ti confermo che ti sto seguendo, continua pure”. La persona se si
riconosce nella riformulazione è sicura di essere stata ascoltata e compresa e così è portata a
esprimersi ulteriormente e a collaborare. E’ anche facilitata a rimanere concentrata sul problema e su
come lo vive. La chiarificazione, invece, agevola la comprensione sottolineando anche le emozioni che
accompagnano il contenuto (ad esempio “Mi sembra di cogliere dal suo sguardo uno stato di
preoccupazione”, “Dalle sue parole ho l’impressione di cogliere delle perplessità circa……..”). Anche in
questo caso l’attenzione è posta tanto alla comunicazione verbale quanto a quella non verbale. Gli
ostacoli più frequenti all’ascolto attivo e comprensivo sono: la soggettività (interpretazione soggettiva),
la deformazione professionale (rispondere con una condotta abituale), il significato razionale (fermarsi
al significato letterale delle frasi.
Daniel Goleman utilizza il termine “intelligenza emotiva sociale” riferendosi
a:

1 Premessa

A L’insieme di caratteristiche che ci mettono di interagire con gli altri in modo


costruttivo

B È una particolare intelligenza che si adopera esclusivamente quando ci


troviamo in un gruppo

C È una particolare intelligenza che si adopera a contatto con i bambini

D È un’intelligenza esclusivamente adolescenziale

Una delle componenti dell’intelligenza emotiva sociale è:

2 Premessa

A La cordialità

B La socievolezza

C L’empatia

D La simpatia

L’empatia è:

3 CosâÚ lâempatia?

A Avere gli stessi obiettivi e aspirazioni dell’altro


B Andare d’accordo con tutti

C Sentire lo stato emotivo dell’altro

D Entrare in simpatia con l’altro

Comunicare in modo efficace significa:

4 Comunicare e comprendere

A Saper ascoltare e saper fare domande mantenendo una reale attenzione


alle risposte emotive del nostro interlocutore

B Usare una buona dialettica ed essere comprensivi

C Prestare attenzione esclusivamente al messaggio verbale

D Prestare attenzione al solo messaggio non verbale

Ascolto attivo vuol dire:

5 Lâascolto empatico

A Sentire dentro di se le stesse emozioni dell’altro

B Camminare nelle sue scarpe

C Ridire ciò che l’altro ha detto con le sue stesse parole

D Promuovere una costruzione della realtà

6 Ascolto empatico:
Lâascolto empatico

A Mettersi nei panni dell’altro

B Favorire la comprensione tra le persone

C Promuovere la costruzione della realtà

D Ascoltare in silenzio

La riformulazione è una tecnica di base dell’ascolto attivo e consiste nel:

7 La riformulazione e la chiarificazione

A Ridire ciò che l’altro ha appena detto utilizzando un linguaggio più consono
e più articolato

B Ridire ciò che l’altro ha espresso tramite il linguaggio non verbale

C Ridire ciò che l’altro ha appena detto, utilizzando le stesse parole, non
aggiungendo nulla di proprio al contenuto

D Restituire all’altro ciò che è emerso dal rapporto empatico

L’empatia è una competenza che si può apprendere:

8 Empatia e tecniche di ascolto negli operatori turistici

A Solo seguendo una terapia individuale

B E affinare nel tempo e a contatto con le persone, partendo da


un’intelligenza emotiva di base
C Tramite un corso di training autogeno

D Adoperando tecniche specifiche

! Il role taking è:

9 CosâÚ lâempatia?

A L’abilità cognitiva di decentrarsi dalla propria posizione per assumere quella


dell’altro

B Riuscire a far comprendere all’altro il proprio punto di vista

C Comprendere e assistere chi abbiamo di fronte

D Lo spirito di iniziativa e il buon dialogo

La chiarificazione è una tecnica che:

10 La riformulazione e la chiarificazione

A Agevola la comprensione, sottolineando anche le emozioni che


l’accompagnano

B Agevola la comprensione, discutendo minuziosamente su quanto è stato


detto

C Consiste nel ridire ciò che l’altro ha appena detto, con termini e vocaboli
differenti

D Basa la sua attenzione sulla comunicazione verbale


59.

L’attrazione interpersonale e comportamento prosociale

Origine dell’attrazione

L’uomo in genere è portato ad accoppiarsi per procreare Ma perché tizio e non caio? E cosa colpisce in
“quella” determinata persona? Per dare una risposta cerchiamo di vedere cosa dà origine all’attrazione.
Gli aspetti che precedono l'attrazione sono cinque:

1. prossimità; 2. somiglianza; 3. complementarietà; 4. caratteristiche fisiche; 5. reciprocità


dell’attrazione.

1. Prossimità. Uno degli aspetti più semplici che determina l'attrazione è la vicinanza, o prossimità. Le
persone che con l’individuo interagiscono più spesso, nelle varie sfere della vita -amicizia, studi,
professione, vita sociale, convivenza-, hanno maggiori possibilità di diventarne compagno di vita (è la
cosiddetta vicinanza fisica). Le persone più prossime sono anche quelle che ci sono più vicine quando
ne abbiamo bisogno, per fornirci appoggio o anche solo per una chiacchierata amichevole (vicinanza
funzionale e psicologica). La vicinanza, oltre ad essere una buona base per la nascita dell’attrazione,
fornisce anche maggiori occasioni per verificare i presupposti per l'instaurarsi di rapporti affettivi.

. Somiglianza (indicata da Byrne come legge dell’attrazione). E’ stato dimostrato che le persone
preferiscono chi si trova nella loro stessa posizione sociale e culturale – religione, valori, status
economico, interessi, atteggiamenti-. Questo vale sia per le relazioni di coppia sia per quelle amicali. I
ricercatori descrivono due situazioni di somiglianza in cui si creano relazioni: • a campi chiusi, in cui le
persone sono costrette ad interagire tra di loro perché vivono in contesti fisicamente vicini; • a campi
aperti, in cui le persone sono libere di interagire a seconda delle loro scelte. In questo caso le persone
tendono a scegliere gli ambienti da frequentare, dove incontrano persone potenzialmente simili. Perché
la somiglianza è così importante per l'attrazione? • il gradimento porta a pensare che ci saranno
maggiori probabilità di iniziare una relazione; • l’approvazione per le nostre credenze e caratteristiche
culturali, sociali, economiche e di valori, fa sentire più vicini; • il disaccordo su questioni importanti crea
inferenze negative tra gli individui, portando alla repulsione tra dissimili.

Complementarietà. Il fatto che le persone scelgono quelle maggiormente somiglianti da un punto di


vista sociale e culturale, non vuol dire che anche da un punto di vista psicologico l’attrazione si
determini tra simili. Persone ad esempio molto rabbiose hanno bisogno di essere contenute da persone
più tranquille e tolleranti.

Caratteristiche fisiche. La gradevolezza fisica risulta predittiva dell’attrazione, soprattutto perché tanto
peso è dato all'aspetto fisico nella nostra società.

5. Reciprocità dell’attrazione. L'aspetto più importante che determina l'attrazione è la sua reciprocità,
cioè il fatto di ritenere di essere graditi all'altro. L'approvazione da parte degli altri è una delle maggiori
gratificazioni che possiamo ricevere: tenderemo, quindi, a contraccambiare l'interesse che gli altri
provano per noi, a meno che questo non sia percepito come falso.

Passiamo ora ad analizzare due teorie sociali sull'attrazione interpersonale: 1. lo scambio sociale; 2.
l'equità. · La teoria dello scambio sociale è il modello del mercato applicato alle relazioni interpersonali.
George Homans, sociologo statunitense, effettuò lo studio dei fattori che rendono una relazione
soddisfacente e stabile.

I benefici di una relazione affettiva si traducono nell’interesse e nella partecipazione che i partner
mostrano nella relazione; i costi, invece, possono essere rappresentati dai tradimenti, dalle cattive
abitudini, dagli obblighi.

La teoria dell’equità
Una critica mossa da alcuni studiosi alla teoria dello scambio sociale è che essa ignora una variabile
essenziale: l'equità. Secondo la teoria dell'equità (elaborata da Elaine Hatfield Walster e Elen
Berscheid), in una relazione profitti e i costi personali devono essere equivalenti ai profitti e ai costi
dell’altro.

Due teorie sull’amore: la teoria triangolare, l’approccio sociobiologico

La teoria triangolare dell'amore di Sternberg 1986/'88

Oltre alla distinzione tra innamoramento e attrazione gli psicologi sociali hanno formulato diversi
approcci alla teoria sull’amore. Parleremo di quello più importante cioè: la teoria triangolare dell’amore
di Sternberg 1986/'88

Secondo Sternberg l'amore è composto da tre elementi basilari: l'intimità, la passione e l'impegno: ·
l’intimità: i sentimenti di vicinanza e di legame con il partner · la passione: è l’eccitazione psicologica e
fisica che si prova nei confronti del partner · l’impegno: comporta due decisioni: una a breve termine
(quella di amare il partner) e una a lungo termine (mantenere l’amore e restare con il partner).

- L'approccio sociobiologico all'amore è basato sull'idea che l'evoluzione del comportamento umano
è avvenuta perché si è massimizzato il successo riproduttivo. Esso sostiene che per i due sessi questo
si traduce in differenti pattern comportamentali: i maschi si accoppiano spesso con molte femmine,
mentre le femmine prestano maggiore attenzione alla scelta del maschio. Questo spiegherebbe le
diverse strategie messe in atto dagli uomini e dalle donne nelle relazioni amorose. Le donne quindi
cercherebbero un uomo che possa provvedere alle risorse richieste e fornire il sostegno necessario per
crescere la prole (aspetto economico-sociale). Gli uomini cercherebbero una donna che sia in grado di
riprodurre la specie (aspetto fisico-salute). Molti studi hanno confermato queste ipotesi, ma allo stesso
tempo alla teoria sono state avanzate critiche, in quanto da una parte è considerata troppo flessibile e
in grado di spiegare qualsiasi cosa,

Il comportamento prosociale

Il comportamento prosociale è una qualsiasi azione commessa allo scopo di arrecare beneficio ad
un'altra persona. Un comportamento prosociale che non tiene conto del proprio interesse è l'altruismo.
Le domande che ci si è posti a questo riguardo sono varie. Le persone aiutano solo quando c’è qualche
forma di beneficio per se stessi o anche quando non c’è nessun vantaggio personale? Le persone
aiutano sulla base di una motivazione altruistica o anche sulla base di una motivazione egoistica? Vi è
l’empatia alla base del comportamento prosociale o vi sono anche altre motivazione? In psicologia
sociale lo studio dei fattori causali della messa in atto di comportamenti prosociali e altruistici è recente.
Essa prende avvio dall’analisi di episodi di mancato soccorso

1. La probabilità di attuazione di comportamenti altruistici è governata in parte da fattori relativi alla


situazione. Tra questi un ruolo importante è giocato dalla consapevolezza di essere o meno l’unica
persona presente, cioè l’unica possibilità per la vittima di ricevere aiuto. In questo caso intervengono
due fenomeni: l’ignoranza pluralistica o collettiva, e la diffusione della responsabilità, di cui parleremo
diffusamente più avanti.

2. Lo studio del comportamento prosociale si è indirizzato anche verso l’analisi dei tratti associati alla
personalità altruistica; tuttavia si constatò che la dimensione di personalità non era di per sé sufficiente
per prevedere la messa in atto di comportamenti altruistici. Si è visto come l’elemento principale che
precede l’attuazione di una risposta prosociale sia l’empatia

Alcuni autori (Cialdini) hanno messo in luce come spesso l’interesse per la sorte dell’altro non sia frutto
di una vera e propria empatia, quanto piuttosto di un proprio stato d’animo negativo che trova nel
comportamento altruistico una modalità di alleviamento: secondo l’ipotesi del sollievo dallo stato
d’animo negativo,
Le teorie sul comportamento prosociale: sociobiologia e psicologia sociale La sociobiologia I moderni
sociobiologi, che si rifanno alla teoria dell'evoluzione di Darwin, hanno tentato di spiegare l'esistenza
del comportamento prosociale in tre modi:

1. Secondo la selezione parentale, la scelta che le persone fanno di aiutare qualcuno è influenzata
dall'importanza biologica del risultato: le persone aiutano coloro con cui è più stretta la parentela,
specialmente se questo aiuto aumenta la probabilità che la persona avrà in futuro una discendenza.
Limite: non spiega i casi in cui si aiutano dei non consanguinei.

2. Secondo la norma della reciprocità, le persone aiutano gli altri con l'idea implicita che il loro
comportamento verrà in futuro ricambiato;

3. Secondo l’apprendimento delle norme sociali. In base all'assunto che nei nostri geni è presente
l'abilità ad imparare e a rispettare le regole sociali

La psicologia sociale

La psicologia sociale condivide l'idea che il comportamento altruistico può essere fondato sull'interesse
individuale. In particolare la teoria dello scambio sociale sostiene che gran parte delle nostre azioni
sono provocate dal desiderio di massimizzare i guadagni e minimizzare i costi. Dunque le persone
aiutano quando è nel loro interesse farlo, ma non quando i costi superano i benefici. Sembrerebbe così
che l'altruismo non esista.

Batson concorda col fatto che in determinate situazioni le persone aiutano per ragioni egoistiche ma
sostiene anche che in altri casi il loro unico obiettivo è aiutare un'altra persona nonostante ciò richieda
dei costi personali. Questo avviene quando si avverte empatia per la persona bisognosa, cioè quando
sentiamo il dolore ed il bisogno che ha l'altro di essere aiutato.

Il caso di Kitty L'effetto spettatore è un fenomeno ben noto in psicologia sociale che fa riferimento ad
comportamento sano e non patologico, sebbene non sia sempre molto ammirevole. Fu studiato e
descritto per la prima volta dagli psicologi Bibb Latanè e John Darley che presero spunto dalla tragica
vicenda di una ragazza di New York: Kitty Genovese. New York, 1964. Kitty Genovese era una ragazza
che un giorno normale stava tornando a casa quando venne aggredita e pugnalata. La donna cominciò
a chiedere aiuto e qualcuno intimò al malfattore di fermarsi e questi corse via. Solo un paio di circa una
dozzina di spettatori chiamò la polizia fornendo però un resoconto poco chiaro (un litigio, un furto, ecc.),
tanto che la polizia non intervenne immediatamente e nessuno chiamò l'ambulanza.

Perchè nessuno intervenne? L'effetto spettatore secondo Latanè e Darley può essere spiegato
attraverso due fenomeni: ignoranza pluralistica e diffusione di responsabilità. L'ignoranza pluralistica o
collettiva non è nient'altro che l'estremizzazione del normale processo attraverso cui impariamo a
comportarci in un contesto osservando ciò che fanno i consimili. Nel momento in cui accediamo in un
nuovo ambiente prendiamo spunto dagli altri per capire come agire e ci lasciamo guidare da chi sembra
saperne più di noi. Ciò accade anche nelle situazioni ambigue, dove non sappiamo dare
un'interpretazione corretta di ciò che accade: se gli altri non fanno nulla allora con maggiore probabilità
il singolo individuo diventa spettatore di quanto accade. All'ignoranza collettiva segue un altro
fenomeno per completare la spiegazione dell'effetto spettatore: la diffusione della responsabilità. Se
assistiamo ad una richiesta di aiuto insieme ad altre persone ci sentiamo meno responsabili nei
confronti di chi è in difficoltà perché altre persone stanno ricevendo la stessa richiesta. L'effetto del
fenomeno descritto in precedenza è questo: se gli altri che sono nella stessa condizione non si
attivano, io singolo, poco coinvolto e poco responsabilizzato, non faccio nulla e resto uno spettatore
passivo.

1 ! I cinque aspetti che precedono l'attrazione sono:


Lâorigine dellâattrazione

A Prossimità, caratteristiche fisiche, somiglianza, complessità, reciprocità


dell'attrazione

B Prossimità, somiglianza, complementarietà, caratteristiche fisiche,


reciprocità dell'attrazione

C Somiglianza, differenza di genere, aspetto fisico, prossimità, attrazione


reciproca

D Lontananza, attrazione reciproca, caratteristiche fisiche, somiglianza,


complessità

Nella teoria dello scambio sociale Homans afferma che:

2 Due teorie sociali sullâattrazione interpersonale

A Il modo in cui le persone percepiscono la loro relazione dipende dalla


valutazione dei profitti e dei costi

B Le persone non cercano solo profitti ma vogliono evitare le delusioni

C Le persone sono obbligate ad avere delle relazioni

D Gli elementi che favoriscono le relazioni sono uguaglianza di opinioni e


atteggiamenti simili

! Secondo la Teoria dell'equità di Walster e Berscheid:

3 Due teorie sociali sullâattrazione interpersonale

A In una relazione i benefici devono sempre superare i costi


B I profitti e i costi che diamo in una relazione devono essere inferiori ai profitti
e ai costi dell'altra persona

C I profitti e i costi in una relazione devono avere costi bassi e massimi profitti

D I profitti e i costi che diamo in una relazione devono essere equivalenti ai


profitti e ai costi dati dall'altra persona

Sternberg nella teoria triangolare dell'amore sostiene che l'amore è


composto da tre elementi basilari:

4 Due teorie sullâamore

A Passione, intimità, simpatia

B Intimità, passione, impegno

C Impegno, compassione, intimità

D Simpatia, infatuazione, amicizia

La combinazione fra le tre componenti basilari dell'amore danno origine a 8


forme di amore variamente rappresentate nelle relazioni sociali e sono:

5 Due teorie sullâamore

A Assenza d'amore, simpatia, infatuazione, amore vissuto, amore romantico,


amicizia, amore fatuo, amore vuoto

B Simpatia, amore vissuto, amore romantico, infatuazione, amicizia, amore


fatuo, gelosia, tradimento

C Assenza d'amore, simpatia, infatuazione, differenza di età, amore


romantico, amicizia, amore fatuo, amore vissuto

D Infatuazione, differenza di età, amore romantico, amicizia, amore fatuo,


amore vissuto, compassione, simpatia

Il comportamento prosociale, rappresenta:

6 Il comportamento prosociale

A Qualsiasi azione commessa allo scopo di arrecare beneficio ad un'altra


persona

B Ostilità

C Tutte le azioni buone che cancellano quelle cattive

D Qualsiasi comportamento educato

I moderni sociobiologi hanno tentato di spiegare l'esistenza del


comportamento prosociale in tre modi secondo:

7 Le teorie sul comportamento prosociale

A La sensibilità, altruismo e la selezione parentale

B La selezione parentale, la norma della reciprocità e l'apprendimento delle


norme sociali

C La selezione parentale, l'apprendimento delle norme sociali e il senso di


responsabilità

D Il senso di responsabilità, la selezione parentale e l'apprendimento delle


norme sociali
L'ipotesi del sollievo dello stato negativo di Cialdini afferma che:

8 Il comportamento prosociale

A Le persone aiutano qualcun altro per ricevere un compenso economico

B Le persone aiutano solo ed esclusivamente quando si sentono felici

C Le persone aiutano qualcun altro allo scopo di aiutare se stesse, ovvero di


alleviare la propria tristezza e depressione

D Le persone aiutano solo i più deboli

Le condizioni sociali ed ambientali che esercitano un'influenza sulla


possibilità di intervenire in caso di emergenza sono:

9 Alcune determinanti situazionali del comportamento prosociale

A Diffusione di responsabilità, ignoranza collettiva, sovraccarico urbano

B Diffusione di responsabilità, conoscenza della vittima, sovraccarico urbano

C Frutto dell'interazione con gli altri

D Dipende solo ed esclusivamente dalla situazione

L'elemento principale che precede l'attuazione di una risposta di aiuto è:

10 Alcune determinanti situazionali del comportamento prosociale


A La sensibilità

B L'empatia

C La simpatia

D Il senso di responsabilità

60.

3) Molto diffuso e preso in alta considerazione nel panorama scientifico è il modello GAM (General
Aggression Model) che collega l’esposizione a contenuti mediatici violenti a variabili legate alle
differenze individuali, nella spiegazione dello sviluppo di comportamenti aggressivi. Secondo questo
modello, variabili situazionali e componenti individuali interagiscono fra loro, influenzando lo stato
d’animo dell’attore sociale sul piano cognitivo, emotivo e dell’attivazione fisiologica (Anderson &
Bushman, 2001) 4)

Disimpegno morale

Questa scala misura tre differenti momenti del processo di disimpegno morale (Bandura, 1990): (1) la
ridefinizione della condotta immorale, che tende a minimizzare l’atto immorale compiuto; (2) la
distorsione delle conseguenze dell’atto, ritenute meno gravi di quanto realmente esse siano; (3) la
diversa considerazione della vittima che tramite l’attribuzione di colpa o di biasimo è ritenuta meritevole
dell’offesa ricevuta. I risultati hanno evidenziato che la recenza di esposizione a GTA IV influenzava
negativamente il giudizio morale: tanto più di recente i partecipanti allo studio avevano giocato a GTA
IV, tanto più alto era il loro disimpegno morale, misurato considerando cinque sottocomponenti

Sulla base delle meta-analisi finora condotte, sembra che gli effetti provocati dai videogiochi siano
meno forti di quelli provocati dalla violenza in televisione; la discrepanza potrebbe però essere dovuta
al minor numero di studi sui videogame (Polman, de Castro, & van Aken, 2008). 5) Diversamente
(Anderson et al., 2010; Bushman, 2011) ci sarebbero almeno tre ragioni per cui gli effetti generati dai
videogiochi ad alto contenuto violento siano peggiori rispetto a quelli generati dai mass media: nei
videogame il giocatore è diretto protagonista di ciò che accade diversamente da quanto accade quando
è spettatore di violenza trasmessa attraverso i mass media. Inpiù alto era il loro disimpegno morale,
misurato considerando cinque sottocomponenti

! Secondo Anderson e Bushman l'esposizione a videogiochi violenti è


correlata con:

I videogiochi possono avere effetti negativi? Violenza e immoralità nel


1 mondo virtuale
A L'aumento temporaneo dell'aggressione

B L'aumento prolungato dell'aggressione

C La diminuzione temporanea dell'aggressione

D La violenza domestica

L'acronimo GAM sta per:

I videogiochi possono avere effetti negativi? Violenza e immoralità nel


2 mondo virtuale

A Game Aggression Model

B General Aggression Model

C General Ansiety Model

D Game Action Model

! Secondo il modello GAM variabili situazionali e differenze individuali:

I videogiochi possono avere effetti negativi? Violenza e immoralità nel


3 mondo virtuale

A Non interagiscono tra loro

B Interagiscono tra loro influenzando lo stato d'animo dell'attore sociale


temporaneamente

C Interagiscono tra loro influenzando lo stato d'animo dell'attore sociale


D Interagiscono tra loro non influenzando lo stato d'animo dell'attore sociale

Il GAM è stato utilizzato con riferimento all'esposizione a media come tv e


cinema ma:

I videogiochi possono avere effetti negativi? Violenza e immoralità nel


4 mondo virtuale

A È stato predittivo anche rispetto ai videogame

B Non è considerato predittivo rispetto ai videogame

C Non è più in uso

D È predittivo solo rispetto a videogame di vecchia generazione

! Per quanto riguarda gli effetti derivanti dalla fruizione di videogiochi


violenti, sono stati finora riscontrati:

I videogiochi possono avere effetti negativi? Violenza e immoralità nel


5 mondo virtuale

A L'assenza di pensieri aggressivi o variazioni fisiologiche

B La diminuzione di pensieri aggressivi e nessuna variazione fisiologica

C L'aumento di pensieri aggressivi o il verificarsi di variazioni fisiologiche

D L'aumento di comportamenti aggressivi o il verificarsi di variazioni


fisiologiche
Sulla base delle meta-analisi finora condotte, sembra che gli effetti provocati
dai videogiochi siano:

I videogiochi possono avere effetti negativi? Violenza e immoralità nel


6 mondo virtuale

A Meno dannosi rispetto a quelli dei mass media

B Più dannosi rispetto a quelli dei mass media

C Per nulla dannosi

D Dannosi tanto quanto quelli dei mass media

Secondo McCormik:

7 Una nuova generazione di videogiochi

A Il fatto di commettere atti immorali in un videogioco è più condannabile del


permettere la pratica di sport violenti o rischiosi

B L'immoralità non è possibile nei videogiochi

C Il fatto di commettere atti immorali in un videogioco non è più condannabile


del farlo nella vita reale

D Il fatto di commettere atti immorali in un videogioco non è più condannabile


del permettere la pratica di sport violenti o rischiosi

La Scala del Disimpegno Morale di Bandura misura:

8 Videogame e sganciamento morale: un nuovo filone di ricerca


A Tre differenti momenti del processo di disimpegno morale

B Il grado di moralità delle persone

C Tre differenti aspetti del disimpegno morale

D Tre differenti modalità di disimpegno morale

Un recente rapporto (The Henry J. Kaiser Family Foundation, 2005) ha


evidenziato che:

9 Videogame e sganciamento morale: un nuovo filone di ricerca

A Il 20% dei ragazzi riporta che i genitori non controllano l'età minima
consigliata sull'apposita etichetta prima di acquistare un prodotto video
ludico

B Il 50% dei ragazzi riporta che i genitori non controllano l'età minima
consigliata sull'apposita etichetta prima di acquistare un prodotto video
ludico

C Il 90% dei ragazzi riporta che i genitori non controllano l'età minima
consigliata sull'apposita etichetta prima di acquistare un prodotto video
ludico

D Non è rilevante ai fini della ricerca il controllo dei genitori sui videogiochi dei
propri figli

! Una conoscenza più approfondita dei processi che regolano l'esposizione


a videogame violenti permetterebbe:

10 Videogame e sganciamento morale: un nuovo filone di ricerca


A Di evitare la diffusione dei videogiochi violenti tra i giovani

B Di prevenire in modo più adeguato i rischi che essi prevedono

C Di prevenire in modo più adeguato l'isolamento dei giovani a causa dei


videogiochi

D Di prevenire in modo più adeguato i comportamenti aggressivi dei giovani


nella vita reale

61.

Il potere delle parole.

La comunicazione è un processo: - Sistemico in quanto le persone coinvolte fanno parte di un sistema


di influenzamento reciproco; - Pragmatico in quanto ciò che conta sono gli effetti del comunicare, non le
intenzioni, conta il messaggio che l’altro recepisce, la risposta che si ottiene; - Strategico in quanto la
persona che ha chiari obiettivi da raggiungere si dota di una strategia ben precisa. Paul Watzlawick
definisce la comunicazione un “processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco che
avviene in un determinato contesto

In Psicologia Sociale queste parole rientrano nella definizione di etichette denigratorie, ossia singoli
termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del gruppo sociale o
dell’individuo a cui si riferiscono

Le etichette denigratorie sono per loro natura espressioni di pregiudizio (Simon & Greenberg, 1996).
Per tale ragione, esse hanno solitamente un impatto negativo sugli individui che ne sono bersaglio. I
destinatari dell'offesa non sono esclusivamente coloro che ne sono vittima diretta, ma anche tutti i
membri del gruppo sociale offeso

Lo spettatore come “mediatore” 11. Se da un lato le etichette denigratorie possono rafforzare il


pregiudizio e la discriminazione, dall’altro gli atteggiamenti delle persone che ne sono spettatrici
possono moderare tali effetti negativi

TEST DI AUTOVALUTAZIONE
Paul Watzlawick definisce la comunicazione come:

1 Introduzione

A Un processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco che avviene in un


determinato contesto

B Un processo che avviene solo a livello verbale

C Un processo che avviene soprattutto a livello non verbale

D Un processo che esclude il silenzio

Per "etichette denigratorie" si intende:

2 Etichette denigratorie

A Singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del
gruppo sociale

B Singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del
gruppo sociale o dell'individuo a cui si riferiscono

C Singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti solo
dell'individuo a cui si riferiscono

D Atteggiamenti denigratori che l'individuo ha verso se stesso

Caratteristica peculiare delle etichette denigratorie è che:

3 Etichette denigratorie
A Sono generiche

B Possono essere utilizzate per offendere qualsiasi individuo

C Hanno un destinatario ben definito

D Non hanno un destinatario ben definito

Gli effetti delle etichette denigratorie possono ricadere:

4 Conseguenze delle etichette denigratorie

A Solo sul destinatario

B Solo sullo spettatore

C Su entrambi

D Sul mittente

Tra gli effetti sul destinatario si menzionano:

5 Conseguenze delle etichette denigratorie

A Paura

B Emozioni negative di ansia e rabbia, maggiori livelli di depressione ed una più bassa
autostima

C Disprezzo verso se stessi

D Odio
Tra gli effetti sullo spettatore si annoverano:

6 Conseguenze delle etichette denigratorie

A Commiserazione

B Rabbia

C Disgusto

D Distanza sociale dal gruppo e dagli individui a cui gli insulti si riferiscono

Rispetto agli effetti delle etichette denigratorie, il contesto:

7 Il ruolo del contesto

A Può influenzare sia l'accettazione sia gli effetti che l'utilizzo delle etichette denigratorie

B Non ha alcuna influenza

C Peggiora l'influenza delle etichette

D Alleggerisce il valore dell'etichetta

La"riappropriazione del linguaggio denigratorio" si ha quando:

8 Il ruolo del contesto

A Le etichette vengono utilizzate da un membro del gruppo offeso, assumendo una


connotazione meno negativa

B Il gruppo offeso ricambia l'offesa


C Il gruppo offeso non percepisce l'offesa

D Il gruppo offeso rivendica i propri diritti

Lo spettatore può fungere da "mediatore" all'offesa quando:

9 Il ruolo del contesto

A Non appartiene al gruppo offeso

B Appartiene al gruppo offeso

C Non si lascia condizionare dalle etichette

D Ha un atteggiamento favorevole nei confronti del gruppo offeso

La comunicazione è un processo:

10 Introduzione

A Sistemico

B Pragmatico

C Strategico

D Sistemico, pragmatico e strategico


62.

Negazione della moralità nel linguaggio degli insulti.

Sviluppo morale e dimensioni della moralità


4) La questione di cosa sia morale o immorale, della divisione tra bene e male, tra giusto e
sbagliato è stata al centro del pensiero filosofico occidentale fin dalle sue origini. 5) In
psicologia è stato Piaget (1932) a parlare per primo di “sviluppo morale” nel bambino,
evidenziando come la capacità di discernere fra giusto e sbagliato nascerebbe tra gli 8 ed i 10
anni con lo sviluppo del gioco cooperativo, quando, cioè, il bambino impara a mettersi nei panni
degli altri

. 6) La psicologia dello sviluppo morale ha individuato due principali dimensioni della moralità:
una riguarda il far male e la cura degli altri (Gilligan), l’altra riguarda la giustizia e la reciprocità
(Piaget).

Ellemers e collaboratori (per una rassegna, vedi Ellemers, Pagliaro, & Barreto, 2013) hanno
approfondito questa questione studiando la moralità come dimensione fondamentale per la
regolazione dei comportamenti all’interno dei gruppi e per la valorizzazione dell’ingroup.
Secondo questo approccio, la moralità si riferisce a comportamenti corretti e appropriati verso
gli altri, e può essere definita da tratti quali onestà, sincerità e affidabilità. A sua volta, la
moralità si contrappone alla socievolezza, intesa come l'abilità di formare connessioni sociali
con gli altri e definita da caratteristiche quali amichevole e piacevole, e alla competenza, che
riguarda l’efficacia e l’abilità delle persone di svolgere con successo determinati compiti (Leach,
Ellemers, & Barreto, 2007).

'importanza di tali dimensioni è spiegata dal fatto che, per sopravvivere, le persone devono
comprendere se gli altri siano animati da buone o cattive intenzioni verso di loro, ossia se siano
morali e socievoli, così come se siano in grado di mettere in atto tali intenzioni, ossia se siano
competenti (vedi anche Fiske, Cuddy, &Glick, 2007). Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato
che la moralità, rispetto a socievolezza e competenza, è la dimensione predominante
attraverso cui giudichiamo sia gli individui sia i gruppi. Infatti, le persone si identificano
maggiormente con gruppi che considerano morali e tendono ad allontanarsi dal proprio gruppo
quando questo è percepito come immorali

“LA NEGAZIONE DELLA MORALITÀ NEL LINGUAGGIO DEGLI INSULTI”

A conferma del maggior peso della moralità nel giudizio sociale, uno studio successivo di
Rubini e Albarello (2012) ha evidenziato che gli insulti di tipo morale sono nel complesso
percepiti come più severi, seguiti da quelli di competenza e infine di socievolezza. Anche in
questo studio, è emersa una differenziazione di genere, dovuta tuttavia al target a cui sono
indirizzati gli insulti: quando il target è un uomo, infatti, gli insulti di moralità sono percepiti come
più gravi rispetto a quelli relativi alle altre due categorie, mentre i termini denotanti assenza di
moralità e di competenza sono risultati ugualmente offensivi quando il target è femminile

Per “comportamento prosociale” si intende:

1 La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Azioni dirette ad aiutare o beneficiare un'altra persona o gruppo di persone

B Occuparsi di volontariato

C Fare beneficenza

D Stabilire una relazione intima con l'altro


! Orientare i membri della società verso comportamenti socialmente adeguati:

2 La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Aumenterebbe il rischio di condotte aggressive e violente

B Attiverebbe strategie idonee a prevenire atti di violenza e di aggressività

C Non produrrebbe cambiamenti nella società

D Favorirebbe il benessere psicologico dell'individuo

3 ! Il primo autore a parlare di “sviluppo morale” è stato:


La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Kohlberg

B Erickson

C Piaget

D Gilligan

! Le persone con ideologie liberali considerano più importanti i valori:

La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti


A Legati al danno/cura degli altri e all'uguaglianza

B Legati al rispetto dell'autorità, alla lealtà verso il proprio gruppo e alla


purezza

C Legati al rispetto di se stessi

D Legati al benessere personale

! La moralità:

5 La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Si sovrappone alla socievolezza ed alla competenza


B Si contrappone alla socievolezza ed alla competenza

C Non è la dimensione predominante attraverso cui giudichiamo sia gli individui sia
i gruppi

D È una dimensione secondaria, dopo socievolezza e competenza

Gli insulti:

6 La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Tendono a rendere l'altro oggetto di disprezzo, negando ciò che è a lui vicino e
caro e colpendolo nell'onore e nella reputazione

B Rappresentano una pratica sociale relativamente poco frequente nelle


interazioni tra persone
C Si dividono in collettivi ed individuali

D Quando necessari sono utili

Gli insulti relazionali:

7 La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Fanno riferimento alle persone vicine all'individuo insultato e al suo gruppo di


appartenenza

B Si riferiscono alla negazione di proprietà individuali ‘normali di tipo intellettivo (ad


es., “stupido”) o fisico (“ciccione”)

C Comprendono le imprecazioni riguardanti le figure religiose


D Non differiscono dagli insulti individualistici

Nelle culture “collettiviste” sono molto diffusi gli insulti:

8 La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Relativi alla famiglia ed alle relazioni sociali

B Relativi alla inadeguatezza sociale e all'incapacità sessuale maschile

C Relativi alla competenza personale

D Relativi al proprio valore


Gli epiteti più frequenti e diffusi riguardano:

A Da un lato la moralità, nella sua accezione di purezza sessuale e dall'altro la


competenza

B Una visione dell'altro come meno umano

C La famiglia

D I valori

1 ! Gli studi di Rubini e Albarello (2011, 2012):


0
La negazione della moralità nel linguaggio degli insulti

A Evidenziano che gli insulti di tipo morale sono nel complesso percepiti come più
severi

B Non riportano alcune differenze di genere, dovute al maggiore uso di insulti di


tipo morale e legati alla sessualità da parte dei maschi

C Evidenziano il ruolo secondario della dimensione di moralità nella svalutazione


dell'altro

D Dimostrano come il linguaggio costituisca un mezzo privilegiato per la


trasmissione di giudizi sociali

63.

Percepire gli altri: il ruolo fondamentale di calore e competenza

Questo articolo si pone, dunque, come obiettivo, quello di analizzare, attraverso studi recentissimi, quali
“scorciatoie” la mente utilizza per percepire gli altri individui, ovvero, su quali caratteristiche si basa la
“percezione sociale”
La Percezione sociale è quella parte della percezione che permette alle persone di capire le altre
persone nel loro mondo sociale. Ci consente dunque di esprimere giudizi e impressioni su altre
persone.

Secondo Fiske e collaboratori (Fiske, Cuddy, Glick, & Xu, 2002) calore e competenza sono
dimensioni fondamentali del giudizio sociale poiché rispondono a due domande fondamentali
che ci si pone quando si entra in interazione con persone sconosciute: È un amico o un
nemico? (calore); è in grado di danneggiarmi? (competenza). In altre parole, ci interessa
comprendere le buone o cattive intenzioni di chi ci sta di fronte e la sua capacità di metterle in
atto. Queste due dimensioni, sebbene indicate con nomi diversi, ricorrono in più di mezzo
secolo di riIntellettuale buono/cattivo (competenza) versus sociale buono/cattivo (calore). Altri
autori hanno parlato di agency versus communion (Bakan, 1966), di tratti vantaggiosi per il sé
(sicuro di sé, ambizioso, pratico, intelligente) versus tratti vantaggiosi per gli altri (conciliante,
tollerante, affidabile; Peeters & Czapinsky, 1990), di competenza versus moralità1 (Wojciszke,
1994, 2005). Qualunque sia l’etichetta, calore e competenza sono considerate le due
dimensioni fondamentali del giudizio sociale cerca in psicologia.

il calore è più importante quando si valuta il comportamento degli altri (Abele & Wojciszke,
2007), che le persone percepiscono il calore di qualcuno più rapidamente rispetto alla
competenza e che ciò avviene in una frazione di secondo La centralità del calore rispetto alla
competenza è stata spiegata principalmente come funzionale: capire se le intenzioni di una
persona sono buone o cattive è prioritario rispetto a comprenderne la capacità di metterle in
atto

Calore e competenza nella percezione dei gruppi

I gruppi ai quali si appartiene (ingroup) vengono generalmente valutati positivamente su


entrambe le dimensioni, quelli di cui non si è membri, gli outgroup, possono invece essere
oggetto di valutazioni negative su entrambe le dimensioni, oppure di valutazioni miste

I primi lavori concernenti la percezione delle persone evidenziavano che quando una persona
veniva valutata positivamente su una dimensione, veniva valutata positivamente anche
sull’altra (un fenomeno noto in psicologia sociale come effetto alone; Rosenberg et al., 1968).

Tuttavia, come sottolineato da Judd, James-Hawkins, Yzerbyt e Kashima (2005), in queste


ricerche i target venivano valutati uno alla volta. Invece, esprimere valutazioni in contesti
comparativi fa emergere un fenomeno diverso, noto come processo di compensazione (Judd et
al., 2005). In altre parole, percepire un gruppo migliore di un altro su una delle due dimensioni
porta a compensare tale valutazione sull’altra dimensione: dunque, un gruppo può essere
caloroso o competente, ma non entrambe le cose. Secondo gli autori, quando due gruppi (o
individui) vengono messi a confronto, l’idea che ci debbano essere buone qualità in tutti è ciò
che sottende tale compensazione (v
Combinazioni diverse di calore e competenza elicitano anche emozioni diverse. Come già
detto, calore e competenza si legano a quanto ci piace e rispettiamo un determinato target.
Così, un gruppo valutato positivamente su entrambe le dimensioni suscita in noi sentimenti di
ammirazione e orgoglio (soprattutto se si tratta dell’ingroup), ma gruppi stereotipizzati in modo
negativo su entrambe le dimensioni suscitano disprezzo e disgusto

! Per “schemi” si intende:

1 La percezione sociale

A Filtri attraverso cui “leggiamo” noi stessi ed il mondo, guidandoci


nella comprensione della realtà, nelle scelte e nei comportamenti

B Strutture cognitive che consentono una visione esatta del reale

C La verità intrinseca delle cose

D Tutti gli errori che commettiano nell'interpretare la realtà


Per “giudizio sociale” si intende:

2 La percezione sociale

A Giudicare la realtà come buona o cattiva

B Comprendere e dare un senso all'ambiente sociale che ci circonda

C Categorizzare le persone in giuste e sbagliate

D L'idea che gli altri hanno di noi

3 ! Le dimensioni fondamentali del giudizio sociale sono:


Dimensioni fondamentali del giudizio sociale

A Rispetto ed educazione

B Competenza ed empatia

C Calore e competenza

D Calore ed empatia

Per calore si intende:

4 Dimensioni fondamentali del giudizio sociale


A Tutti quegli aspetti di una persona che rispecchiano amichevolezza,
socievolezza, sincerità, buone intenzioni, fiducia

B Intelligenza, abilità, capacità, creatività ed efficacia

C Empatia

D Competenza sociale

! Nell'interpretazione del comportamento altrui risulta centrale il


ruolo:

5 Dimensioni fondamentali del giudizio sociale

A Della competenza
B Del calore

C Di entrambe

D Dipende dalla situazione

Nella valutazione di noi stessi, risulterebbe centrale:

6 Dimensioni fondamentali del giudizio sociale

A Prima il calore, poi la competenza

B Entrambe
C Il calore

D La competenza

Rispetto agli stereotipi sociali, l'ingroup:

7 Giudizi relativi ai gruppi sociali

A È generalmente valutato positivamente su entrambe le dimensioni


di calore e competenza

B È oggetto di valutazioni negative su entrambe le dimensioni

C È oggetto di valutazioni miste


D Non è soggetto a valutazioni

Si parla di “effetto alone”:

8 Giudizi relativi ai gruppi sociali

A Quando una persona viene valutata positivamente su una


dimensione e viene valutata positivamente anche sull'altra

B Quando percepire un gruppo (o un individuo) come migliore di un


altro su una delle due dimensioni porta a compensare tale
valutazione sull'altra dimensione

C Quando il nostro giudizio sociale “sporca” la percezione della realtà

D Quando la realtà non è completamente percepibile


Un gruppo valutato positivamente su entrambe le dimensioni suscita
in noi sentimenti di:

9 Giudizi relativi ai gruppi sociali

A Competizione

B Gioia

C Invidia

D Ammirazione e orgoglio

1 Gruppi stereotipizzati in modo negativo su entrambe le dimensioni


0 suscitano:
Giudizi relativi ai gruppi sociali

A Disprezzo e disgusto

B Rabbia

C Paura

D Indifferenza

64.

La negoziazione

La negoziazione è “un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire cosa ognuna
dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al raggiungimento di un accordo
mutuamente vantaggioso”.

La negoziazione, la mediazione e la sensibilità di sentire le potenziali dispute ancora prima che si


presentino, in modo da poterle prevenire, sono abilità essenziali in questo mondo diventato ormai un
villaggio globale complesso e in rapido cambiamento
Fisher e Ury nel loro libro Getting to Yes pubblicato nel 1981 sintetizzano 3 tipi fondamentali di
negoziazione: negoziazione morbida o soft, negoziazione dura e negoziazione principled (per principi
ragionati). Gli autori enfatizzano le caratteristiche della negoziazione per principi ragionati delineandone
gli elementi da applicare nei diversi contesti negoziali: “ogni negoziazione è diversa, ma gli elementi di
base non cambiano”. I negoziatori principled sono risolutori di problemi e persone cooperative, che
hanno come fine principale il raggiungimento di risultati “saggi”. Secondo gli autori questo tipo di
risultati potrebbe essere ottenuto rispettando le seguenti norme: 1) Separare le persone dai problemi;
2) Investigare gli interessi reciproci e non impuntarsi per difendere i propri; 3) Evitare una linea di
confine troppo rigida; 4) “Ampliare la torta”, attraverso un processo di creazione di nuove opzioni e
possibilità; 5) Cercare di giungere a dei risultati basati su standard non troppo elevati; 6) Investire sui
principi e non sulla pressione sotto cui mettere la controparte

Le emozioni, come già precedentemente accennato, svolgono un ruolo primario nel processo di
comunicazione umana. Esse riassumono un ordine complesso di informazioni che sono elaborate
anche a livello inconscio e che aiutano gli individui a capire, con una valutazione tacita, rapida e
sofisticata, quali eventi e interazioni interpersonali hanno significato per ciascuno come organismo
biologico e quali cose hanno significato in termini di “azioni nelle quali siamo pronti ad impegnarci
(Liotti, 1994; Safrn, 1998). I processi affettivi/emotivi svolgono un ruolo cruciale nel direzionare il
comportamento. Le persone possono comunicare emozioni ad altre persone senza essere consapevoli
completamente del fatto che lo stanno facendo.

Cognizioni →influenzano la percezione d un evento

Emozioni→ direzionano la risposta delle parti

Tipi di cognizione nella negoziazione e valutazione

1) Pensiero dicotomico: detto anche “tutto o nulla” o “pensiero polarizzato”. Alcuni autori sintetizzano
questo tipo di distorsione con l’aforisma “Chi non è con me è contro di me”. La risposta è spesso una
risposta di sfida e non di cooperazione. Le esperienze vengono, quindi, classificate come pieni
successi o totali fallimenti. Esempi: “Se non sarò in grado di portare a casa un risultato negoziale
eccellente sarà un fallimento”. I comportamenti della controparte così come i propri sono valutati
attraverso criteri netti: giusto/sbagliato, corretto/scorretto, vittima/colpevole, buono/cattivo.

2) Ipergeneralizzazione: una singola esperienza contingente è considerata la base di una teoria


generale. Per esempio un negoziatore viene ingannato dalla controparte, o ritiene di essere stato
ingannato, e conclude che tutti i negoziatori sono bugiardi.

3) Catastrofizzazione: senza alcuna prova e senza considerare atri possibili scenari, il futuro è
anticipato negativamente. Un minimo fattore viene considerato come il segno di un già anticipato
evento negativo. Per esempio “Poiché non sono in grado di padroneggiare tutti i problemi, la
negoziazione sarà certamente un disastro”; oppure “Sono così nervoso che non sarò per nulla capace
di fare una buona figura”.

4) Inferenza arbitraria: è uno dei più importanti processi di distorsione dell’elaborazione


dell’informazione che porta il soggetto a dedurre una conclusione da un evento in assenza di
un’evidenza sostanziale che la supporti. Una momentanea delusione può diventare una memoria
dominante. Per esempio un negoziatore che aspetta la controparte, che ha chiesto una pausa per fare
una telefonata, può inferire: “La mia controparte è disposta a trascurare i nostri ultimi accordi!” oppure
“Costui è debole e codardo!”.
5) Astrazione selettiva: alcuni aspetti di una tipica situazione negativa sono attesi o ricordati a spese
degli aspetti più positivi, anche a dispetto dell’ immagine complessiva. Alcuni dettagli

6) Etichettamento: in questa distorsione cognitiva, i comportamenti sono generalizzati e considerati


come tratti permanenti che definiscono se stessi o la controparte. Vengono attribuite etichette fisse e
globali senza considerare che l’evidenza può condurre più ragionevolmente a una conclusione diversa.
Ad esempio dopo aver commesso un errore concludere: “Sono veramente stupido!” oppure se è stato
commesso da un altro “Costui è proprio incapace!”, invece di riconoscere gli errori come comportamenti
contingenti e contestuali come ad esempio quelli che derivano da stanchezza.

7) Personalizzazione: questo tipo di distorsione porta a ritenere che gli altri si stiano comportando in
modo negativo esclusivamente a causa delle proprie azioni, senza considerare altre possibili
spiegazioni alternative. Per esempio: “La persona con cui sto parlando è uscita dalla stanza perché ho
detto qualcosa di sbagliato”; oppure se la controparte appare distratta si conclude: “Sono sicuro che ha
qualcosa contro di me!” oppure: “Costui sta architettando una manovra scorretta per approfittarsi di
me”.

8) Visione a tunnel: questo tipo di distorsione porta le persone a vedere solamente gli aspetti positivi o
solamente quelli negativi di una situazione, in base allo stato mentale generale. Per esempio: “La
controparte ha rifiutato una delle mie proposte di compromesso. È stata critica

La negoziazione è:

1 La negoziazione come forma di prevenzione del conflitto

A Finalizzata al raggiungimento di un accordo mutuamente vantaggioso per le


parti

B Finalizzata al raggiungimento di un accordo svantaggioso per una delle


parti

C Finalizzata al raggiungimento di obiettivi del negoziatore

D Finalizzata al conflitto

2 In base a diverse teorie per prevenire il conflitto è utile:


La negoziazione come forma di prevenzione del conflitto

A Evitare la controparte

B Adottare un atteggiamento competitivo

C Adottare un atteggiamento cooperativo

D Agire con aggressività

Nei processi negoziali sono centrali:

3 Aspetti cognitivi ed emotivi della negoziazione

A Le tendenze aggressive

B Le abitudini familiari

C I processi cognitivi ed emotivi

D Le caratteristiche fisiche

4 Il ruolo delle emozioni nei processi negoziali è quello di:


Emozioni e negoziazione

A Orientare le risposte delle parti

B Favorire comportamenti aggressivi

C Ridurre le capacità cognitive

D Rendere meno aggressive le parti

Il ruolo della cognizione nei processi negoziali è quello di:

5 Cognizione e negoziazione

A Influenzare la percezione delle varie situazioni

B Apparire più intelligente all'interlocutore

C Nullo

D Reprimere le emozioni

L'ipergeneralizzazione è una distorsione cognitiva che porta a:

6 Cognizione e negoziazione
A Anticipare negativamente il futuro

B Avere un pensiero "tutto o nulla"

C Considerare una singola esperienza come la base per una teoria generale

D Una forma di pensiero polrizzato

La catastrofizzazione porta a:

7 Cognizione e negoziazione

A Avere un pensiero polarizzato

B Avere una visione a tunnel

C Anticipare negativamente il futuro senza alcuna prova

D Una forma di ipergeneralizzazione

L'esito di un processo negoziale:

8 Comunicazione e processo negoziale

A Non dipende dalle abilità emotive delle parti


B Dipende dalle abilità di padroneggiare solo le componenti verbali del
linguaggio

C Dipende dalle abilità di padroneggiare le componenti verbali e non verbali


del linguaggio

D Dipende dalle abilità di padroneggiare solo le componenti non verbali del


linguaggio

! Le abilità di gestione della non crisi comprendono:

9 Gestione della crisi

A Capacità di avere un atteggiamento aggressivo

B Capacità di identificare una crisi

C Capacità di regolazione emotiva

D Capacità riflessive

Per favorire un esito favorevole di una negoziazione è necessario:

10 Comunicazione e processo negoziale

A Usare un pensiero dicotomico


B Avere un atteggiamento aggressivo

C Utilizzare le proprie abilità per ottenere solo i propri scopi

D Evitare l'uso di espressioni eccessivamente aggressive o passive

65.

Prossemica

. Tutto avviene in modo inconsapevole, spontaneo, veloce e fluido. Ciò nonostante, nelle relazioni di
tutti i giorni le distanze che stabiliamo sono un preciso indice della nostra situazione sociale, del nostro
sesso, del tipo di rapporto che stiamo intrattenendo, del nostro disagio o della nostra soddisfazione,
ecc. La prossemica è quella branca della psicologia che studia i comportamenti spaziali, ovvero il modo
in cui ci collochiamo nello spazio e regoliamo le nostre distanze rispetto agli altri e all'ambiente.

a. Osservando la Figura 1, facendo attenzione all'organizzazione spaziale della triade di amici formata
da due ragazze e un ragazzo. Secondo i risultati dei nostri studi, quello che avviene comunemente in
questi casi è che il ragazzo si siede a lato delle due ragazze, alla loro destra o sinistra, e non al centro.
In questo modo sottolinea il fatto che è un maschio

Un discorso a parte, però, merita il livello di attrazione reciproca. Se fra una femmina e un maschio che
interagiscono c'è una reciproca attrazione, di solito fra i due si verifica anche un progressivo
avvicinamento. In alcune ricerche si è voluto vedere se questo sia dovuto prevalentemente alla
femmina, al maschio, oppure ad entrambi. Questi studi suggeriscono che in casi del genere la riduzione
della distanza è da attribuire ad una strategia di avvicinamento messa in atto principalmente dalla
femmina. In coppie di amici dello stesso sesso si registra un altro fenomeno interessante. Mentre nelle
femmine la vicinanza è proporzionale al grado di attrazione reciproca, ovvero più ci si piace, più si sta
vicine, nel caso dei maschi il grado di amicizia non lo si può misurare con la distanza.

Volete un sistema affidabile per misurare l'affiatamento in una coppia di coniugi? Secondo i risultati
della ricerca di Grane, Russell e Griffin (1983), la distanza con cui la coppia sta seduta nella propria
casa e la sistemazione dei posti intorno al tavolo di cucina costituiscono ottimi "termometri"
dell'andamento della relazione. In coniugi prossimi al divorzio le distanze aumentano e più si
mantengono elevate nel corso del tempo, minori saranno le possibilità di riconciliazione. Anche la
distanza che tengono i figli nei confronti dei genitori è un'altra "cartina di tornasole" che ci può indicare
se i rapporti sono sereni o turbolenti.

La regolazione della distanza Le distanze personali tendono ad aumentare in funzione dell'età, a partire
dai cinque anni circa. Al di sotto di questa soglia temporale, infatti, non è individuabile un vero e proprio
spazio personale

Un momento cruciale è poi segnato dal raggiungimento della maturità sessuale. A questo punto, per i
maschi in particolare, le distanze aumentano, sia nel senso che nei rapporti con gli altri tendono a
tenersi a maggiore distanza, sia nel senso che gli adulti, nei loro confronti, non tollerano più invasioni
del proprio spazio personale. Non tutti, comunque, manteniamo le stesse distanze a parità d'età e di
sesso. Le ricerche hanno dimostrato che anche i fattori di personalità giocano un ruolo importante.
Individui ansiosi o introversi, ad esempio, mantengono distanze personali maggiori.
Se ci si avvicina in modo inappropriato alle persone, queste percepiscono un'invasione del loro spazio
personale che spesso si traduce in un vissuto di stress, d'irritazione o d'inimicizia. È come se fossero
messe sotto pressione. In un celebre esperimento di Felipe e Sommer condotto negli anni Sessanta, un
collaboratore dello sperimentatore cercava, in un parco, panchine occupate da una sola persona e si
poneva a sedere al loro fianco a circa 15 centimetri di distanza. Ciò non è appropriato, perché quando
ci sediamo in una panchina già occupata sappiamo di doverci sistemare il più lontano possibile da chi vi
è già seduto. Risultato: dopo un minuto dall'invasione, il 20% dei soggetti aveva lasciato la panchina
per il disagio, mentre dopo 20 minuti se ne era andato il 65%, contro il 35%> in una situazione di
controllo, in cui nessuno si sedeva accanto

La prossemica è:

1 La prossemica

A La disciplina che studia la gestione dello spazio e delle distanze nella comunicazione

B Lo studio del comportamento non verbale

C Lo studio del comportamento verbale

D La disciplina che si occupa di indagare i rapporti tra le persone

La scelta della distanza da assumere dagli altri avviene:

2 La prossemica

A In modo consapevole

B In modo inconsapevole
C Entrambe le precedenti

D Non è una scelta

Nell'organizzazione spaziale formata da 2 ragazze e un ragazzo in base ai risultati di


studi il ragazzo si siede:

3 La prossemica

A Al centro

B Di lato

C Resta in piedi

D Dipende dal caso

Secondo uno studio di Grane, Russel e Griffin, la distanza tra i membri di una coppia
indica:

4 La prossemica

A L'andamento della relazione

B La cultura di appartenenza
C L'età dei coniugi

D Non indica niente

Rispetto alle differenze di genere tra coppie di amici dello stesso sesso è stato
osservato:

5 La prossemica

A Le femmine interagiscono a distanze maggiori

B Non ci sono differenze

C I maschi interagiscono ad una maggiore distanza

D Dipende dal caso

! Le distanze personali variano con l'età:

6 La prossemica

A Sono maggiorni prima dei 5 anni

B Sono minori prima dei 5 anni


C Non variano con l'età

D Sono minori negli adulti

Rispetto alla regolazione della distanza:

7 La prossemica

A Non incidono i fattori ambientali

B Non incidono le caratteristiche di personalità

C Incidono fattori esterni: lavoro, grado professionale ec

D Non incidono le caratteristiche fisiche

Quando le persone percepiscono un invasione dello spazio personale:

8 La prossemica

A Urlano

B Diventano aggressive

C Non sperimentano reazioni fisiologiche di stress


D Sperimentano un attivazione fisiologica

Nell'esperimento di Felipe e Sommer condotto negli anni sessanta, dopo un minuto


dall'invasione:

9 La prossemica

A Il 20% dei soggetti restava seduto

B Il 20% dei soggetti intraprendeva una conversazione

C Il 90% dei soggetti lasciava la panchina

D Il 65% dei soggetti lasciava la panchina dopo 20 minuti

! Se tra una femmina e un maschio c'è attrazione:

10 La prossemica

A Non si avvicinano

B Non c'è una riduzione della distanza

C Si verifica un progressivo avvicinamento


D Si verifica un progressivo avvicinamento per una strategia messa in atto generalmente
dall'uomo

66.
L’amore nella società contemporanea.

Oltre gli aspetti psicologici della relazione sentimentale, che saranno illustrati più specificatamente nei
capitoli successivi, sembra utile e necessario considerare anche un aspetto "macro" costituito
dall'influenza che la nostra attuale epoca storica esercita sulle dinamiche umane e relazionali e che ha
contribuito a indebolire i legami sentimentali. L'amore è condizionato anche dalle trasformazioni sociali
che sono avvenute nel corso degli anni. Gli anni Sessanta, anni di rivoluzione culturale, hanno dato vita a
un nuovo sistema di valori incentrato sulla libertà individuale, la realizzazione personale, l'appagamento di
sé, la tolleranza verso il comportamento altrui, e sul rifiuto del controllo sociale della comunità locale e
delle istituzioni politiche e religiose. In seguito all'affermarsi di questi nuovi valori - che possono essere
sintetizzati dal termine "individualizzazione" (Beck, 2000) - l

Antony Giddens, già nel 1995 ne Le trasformazioni dell'intimità, scriveva che l'amore romantico ha
lasciato il posto all'amore da lui definito convergente o sessualità duttile, cioè un amore svincolato dal
matrimonio. Venendo meno quella coincidenza tra sessualità, amore e procreazione, la sessualità è
duttile proprio perché è libera dai vincoli della riproduzione.

Forse è proprio l'aver Un altro aspetto dell'amore romantico è che esso presupponeva una forte
asimmetria nella coppia e una soggezione domestica delle donne. Quella che sembra delinearsi oggi è la
possibilità di una relazione pura basata sulla parità sessuale. L'emancipazione femminile ha aperto spazi
verso nuove modalità di stare insieme e l'amore convergente diventa all'interno della relazione pura un
dare e avere reciproco, nel senso che entrambi traggono benefici da "ritenere che valga la pena
continuare" (Giddens 1995)posto l'amore al centro del matrimonio uno dei fattori che hanno reso più
fragile di un tempo l'amore coniugale. Infatti, nelle società tradizionali i sentimenti degli individui erano del
tutto irrilevanti, esisteva un'alleanza tra famiglie, i cosiddetti "matrimoni combinati", pertanto la stabilità
matrimoniale era garantita appunto da interessi economici o di potere che stavano alla base di tale
alleanza

Alla ricerca dell'amore impossibile

In seguito alla trasformazione delle modalità di corteggiamento e dei


criteri di scelta del partner, si assiste a una visione ambigua
dell'amore: da un lato oggi più che mai sembrerebbe che si ha
bisogno d'amore ancora più che in passato poiché altre forme di vita
associativa si sono progressivamente inaridite, le reti di vicinato quasi
non esistono più soprattutto nei grandi centri e si sono allentati anche
i legami di parentela, allo stesso tempo però si ha anche paura
dell'amore per il timore di perdere la libertà. Il termine "liquido",
introdotto da Bauman (2004) per descrivere oltre che la società
postmoderna anche l'amore, rende bene il significato ditale ambiguità,
cioè l'individuo sembra oscillare tra un desiderio di intimità con il
proprio partner, e un sentimento di paura di perdere o sacrificare la
propria autonomia . Mentre i legami richiedono impegno, "connettere"
e disconnettere" è "un gioco da bambini" come ritiene Bauman La
difficile sfida di oggi è forse quella di riuscire a coniugare l'autonomia
e la libertà di scelta individuale con la responsabilità e la solidarietà
familiare Per raggiungere l'equilibrio tra libertà e responsabilità e
ambire quindi a una sorta di stabilità - in un mondo in cui la stabilità
non è più garantita da regole e norme sociali - ciascun individuo
potrebbe forse fare leva sulla propria crescita personale, attraverso
l'acquisizione e il potenziamento di competenze specifiche descritte
da Aquilar come: competenza cognitiva e metacognitiva, competenza
emotiva e meta-emotiva, competenza comunicativa e meta-
comunicativa, competenza motivazionale e multi motivazionale,
competenza negoziale e post-negoziale (Aquilar, 2012)(2013).

Come la sociologa israeliana Eva Illouz, che nel suo saggio intitolato
Perché l'amore fa soffrire (2013) descrive che una delle difficoltà di
approcciare all'amore sta soprattutto nella fobia da impegno, la paura
di perdere la libertà, di perdere la possibilità di ricercare nuovi e
migliori possibilità

In tale panorama sociale, il legame affettivo è temuto non solo per la paura di perdere la
propria libertà. L'individualismo ha provocato una certa paura dell'amore legata alla paura di
soffrire. A causa di questi timori e fobie si è andata configurando nel corso degli anni una
nuova tipologia caratteriale definita da Ghezzani (2012)
"anoressia sentimentale" cioè inibizione o rifiuto del desiderio di contrarre relazioni amorose,
della cui intensità esclusività e durata si ha paura, odio o anche ripugnanza. L'autore individua
due tipologie di caratteri: il dipendente affettivo che non vuole diventare schiavo dell'amore,
dipendendo dalla volontà della persona amata confrontandosi con la vergogna di essere stato
sopraffatto; il narcisista isterico che teme che la consapevolezza dei propri eventuali bisogni
insoddisfatti (carenze di accudimento e di amore, frustrazioni dei propri desideri, occasioni che
negate) spinga alla ribellione, al cambiamento traumatico della propria vita e del proprio
mondo, col rischio di doversi confrontare con l'orrore della colpa, del disordine, del caos
(Ghezzani, 2012).

Un secondo elemento da considerare è la crescente ambiguità nei rituali di corteggiamento.


Nella società post-moderna il corteggiamento diventa sempre più ambiguo, talvolta implica
travisamenti, incomprensioni dovute proprio alla volontà delle persone di non prendere alcuna
posizione

L'individualizzazione ha condotto anche a ciò che gli autori Beck e Beck-Gernsheim chiamano
appunto "caos delle relazioni amorose" (Beck, Beck-Gernsheim, 2008), un'espressione
perfettamente calzante e condivisa anche da altri autori (Illouz, 2013), proprio perché l'amore è
diventato un ambito nel quale non c'è più alcuna regola, dove tutto è in qualche modo
rinegoziabile, ri-giocabile, sospeso e ripreso

Volendo fare un paragone rispetto alle società tradizionali vediamo come le relazioni amorose
sono diventate sempre più "caotiche". Innanzitutto sembra esserci nella società
contemporanea una mancata chiarezza e condivisione dei codici dell'incontro amoroso che
erano, invece, presenti nella società tradizionale.

La rivoluzione culturale degli anni '60 ha dato vita ad un nuovo


sistema di valori incentrato:

1 La famiglia mutevole
A Sul guadagno economico

B Sulla libertà individuale

C Sulla religione

D Sulla priorità delle relazioni intime

Gli autori per sintetizzare i valori della società moderna utilizzano il


termine:

2 La famiglia mutevole

A Cooperazione

B Individualizzazione
C Agonismo

D Edonismo

Il modo in cui ciascun individuo vive le relazioni intime dipende da


fattori:

3 Dalla fusione all'individualizzazione

A Solo psicologici

B Solo legati alla personalità

C Sia psicologici che culturali

D Da imposizioni esterne
Tra le trasformazioni sociali che hanno modificato le relazioni intime
troviamo:

4 Dalla fusione all'individualizzazione

A Cambiamenti economici

B L'abbassamento del tasso demografico

C Il bisogno di autoaffermazione personale

D L'aumento del controllo da parte delle istituzioni


! Le relazioni attuali definite "caotiche" si differenziano da quelle
tradizionali per:

5 Caos delle relazioni amorose

A L'ambiguità nei rituali di corteggiamento

B Non si differenziano

C L'assenza di regole

D La presenza di regole

! Le relazioni "caotiche" sono caratterizzate da:

6 Caos delle relazioni amorose


A Rituali di corteggiamento imposti

B Chiarezza nei rituali di corteggiamento

C Mancata chiarezza e condivisione dei codici dell'incontro amoroso

D Condivisione dei codici dell'incontro amoroso

L'individualizzazione pone l'accento su:

7 Dalla fusione all'individualizzazione

A I vincoli religiosi

B I vincoli delle tradizioni

C La conquista della libertà


D La cooperazione per il raggiungimento di uno scopo comune

! Nel capitolo il termine "fobia da impegno" è utilizzato da:

8 Alla ricerca dell'amore impossibile

A Aquilar

B Bauman

C Eva Illouz

D Ghezzani

9 L'"anoressia sentimentale" è:
Alla ricerca dell'amore impossibile

A Un Disturbo del Comportamento Alimentare

B Il sentimento che accompagna il rifiuto del cibo

C Un termine utilizzato da Ghezzani per descrivere il rifiuto per le


relazioni amorose

D Un termine utilizzato da Bauman per descrivere il rifiuto delle


relazioni amorose

! Il termine "liquido" viene utilizzato da Bauman per descrivere:

1
0 Alla ricerca dell'amore impossibile
A La società contemporanea

B La società degli anni '50

C La società post-moderna e l'amore

D Il desiderio di intimità

67.

Comportamentismo si basa sul condizionamento classico di Pavlov

Skinner: condizionamento operante, rinforzo positivo , negativo, punizione + o - . senso matematico dei
termini. Funziona più efficacemente il rinforzo positivo, frequenza intermittente

Thorndike Apprendimento per prove ed errori

Shaping

Mi basta che sia chiaro il concetto “shaping” come "rinforzo di approssimazioni processive”. E vorrei
fosse

chiaro anche che il "non premiare", quando il cane se lo aspetterebbe (perché in uno step precedente

è stato premiato), ovvero l'ignorare, qui diventa una punizione negativa: ti nego (sottraggo, segno - )

il premio perché non voglio "più" che tu faccia così (saltare il nulla), ma voglia spingerti a fare cosà

(saltare l'ostacolo). Ovviamente questo tipo di punizione non è assolutamente coercitiva, perché non
si obbliga il cane a fare assolutamente nulla:

Il comportamentismo si basava sugli studi di:

1 Storia del comportamentismo

A Skinner

B Pavlov

C Thorndike

D Watson

Ivan Pavlov ha elaborato la teoria del:

2 Storia del comportamentismo

A Condizionamento classico

B Condizionamento operante

C Apprendimento per prove ed errori

D Rinforzo intermittente
! I meccanismi alla base del processo di Condizionamento Operante si
fondano su:

3 Storia del comportamentismo

A Ciò che precede il comportamento richiesto

B Le conseguenze del comportamento richiesto, rinforzi e punizioni

C Punizioni

D Rinforzi

Per “rinforzo positivo” si intende:

4 Rinforzi e punizioni

A Un comportamento sbagliato che viene corretto

B Un comportamento emesso correttamente

C Un premio per un'azione corretta

D Un qualcosa che viene fatto affinché non venga ripetuto un comportamento


sbagliato
Per "punizione" si intende:

5 Rinforzi e punizioni

A Tutto ciò che fa sì che una risposta (operante), ovvero un certo


comportamento, non venga ripetuta, dimuisca e vada ad estinguersi

B Tutto ciò che fa sì che una risposta (operante), ovvero un certo


comportamento, venga ripetuta, si verifichi il più spesso possibile

C Tutto ciò che fa sì che un comportamento possa essere moralmente


corretto

D Tutto ciò che fa sì che un comportamento possa portare a conseguenze


positive per chi lo emette

Per Skinner, a modellare i comportamenti risulterebbero più adeguati:

6 Rinforzi e punizioni

A I rinforzi

B Le punizioni

C I rinforzi positivi

D Le punizioni positive
Per essere più efficaci, i rinforzi dovrebbero essere:

7 Rinforzi e punizioni

A Continui

B Intermittenti

C Prima continui, poi intermittenti

D Non ha importanza la frequenza

La tecnica dello "shaping" si basa su:

8 Shaping: modellare il comportamento

A Rinforzi per approssimazione

B Rinforzi a tasso e frequenza variabili

C Punizioni

D Rinforzi negativi

9 Per rinforzo per approssimazione si intende:


Shaping: modellare il comportamento

A Premiare tutti quei comportamenti che, se anche non perfettamente corretti,


si avvicinano comunque a quello desiderato

B Rinforzare tutti i comportamenti che si desiderano

C Rinforzare in maniera intermittente

D Rinforzare in maniera continua

I rinforzi e le punizioni, positivi e negativi, in generale vanno intesi in senso:

10 Rinforzi e punizioni

A Morale

B Matematico

C Strategico

D Pragmatico

68.

Tecniche di negoziazione

Ricalco e guida “Ricalcare” significa, dopo aver individuato con la calibrazione le modalità espressive
dell’interlocutore, riproporre a questo tali modalità, creando così una sensazione di confidenza, di
identità di vedute e comportamento. In altri termini, significa “entrare in risonanza” con l’interlocutore. E’
questa la premessa necessaria per giungere allo scopo delle tecniche di calibrazione e ricalco: la
guida. Si definisce “guida” la tecnica che permette, attraverso una “sovrapposizione di mappe” –
ottenuta tramite sintonia e ricalco – di portare l’interlocutore a seguirci verso il nostro obiettivo.

Ricalco formale: questo tipo di ricalco può essere definito anche rispecchiamento o mirroring, in quanto
si riferisce alla forma della comunicazione. Esso corrisponde alla riproduzione della fisiologia, degli
atteggiamenti corporei e delle posture dell’interlocutore

Ricalco paraverbale: consiste nell’adottare uno stile di conversazione simile, con il medesimo tono di
voce, ritmo di parola, volume, ecc.

Ricalco emotivo: utilizzare tale ricalco significa cercare di vivere e manifestare le emozioni vissute
dall’altro, intanto che racconta un fatto, un’esperienza o una sensazione.

Ricalco culturale: mira invece ad adeguarsi al registro (stile e livello di discorso) dell’interlocutore. Esso
prevede l’utilizzo di particolari terminologie, stili espositivi e argomentazioni specifici della persona.

Ricalco nel contatto visivo: quando parliamo direttamente a qualcuno ci manteniamo quasi sempre in
contatto visivo, incrociando brevemente e di frequente il suo sguardo

Ricalco della distanza: molte persone si sono trovate almeno una volta nell’imbarazzo di ristabilire la
propria distanza soggettiva di comfort rispetto a un interlocutore che continua ad avvicinarsi e che
evidentemente ha una soglia diversa di disagio. Tale soglia dipende da fattori culturali e da fattori
soggettivi.

Il contatto in positivo

Il contatto deve avere, come già detto, una connotazione positiva sin dal suo inizio. Ciò significa
tentare ottenere dall’interlocutore almeno un segno di acquiescenza ed evitare di sentirsi opporre un no
alla sua iniziativa. Nel caso di un venditore con il suo cliente, ad esempio, non conviene farsi avanti con
il classico: “Le posso essere utile?”. Ci si sentirebbe rispondere di no in un caso su due. Lo stesso vale
per la variante: “In che cosa la posso servire?”. Il cliente che desidera solo guardarsi intorno può
rispondere ancora di no, o accennare con il capo, o fare finta di non avere udito: il senso resta sempre
lo stesso, quello del diniego. Altro è se il venditore afferma: “Guardi pure con comodo quello che le
interessa”. Egli pone con ciò stesso il cliente nella situazione che la sua frase descrive, anche se questi
rispondesse: “Ho poco tempo e cerco un oggetto preciso”.

La guida

All’interno di un rapporto soddisfacente diventa possibile orientare la negoziazione verso il


raggiungimento di un obiettivo

1. Test: dopo aver effettuato il ricalco (di qualsiasi tipo) effettuate un piccolo cambiamento, per esempio
tirandovi leggermente su con il busto, oppure spostate un poco la gamba accavallata, oppure vi
schiarite la voce e osservate cosa accade

2. Apertura: immaginate che la persona con la quale state parlando abbia assunto la famosa posizione
di chiusura che tanto preoccupa i venditori. Ricorderete che suggerivamo di assumere la stessa
posizione. A questo punto cominciate a cambiare. Spostatevi in modo quasi impercettibile in avanti,
lasciate le gambe incrociate ma aprite le braccia,

presupposti della comunicazione “Persuadere”, “influenzare”, “sedurre”, “guidare” sono tutte parole che
presuppongono una interazione con gli altri, una comunicazione; viene infatti spontaneo domandarsi
chi o che cosa persuadere, influenzare, sedurre o guidare. Questo significa che la comunicazione
esiste in quanto relazione. La parola “comunicazione”, nell’uso comune, è soggetta a innumerevoli
interpretazioni e significati, ma una cosa è certa: essa è il mezzo a nostra disposizione per rapportarci
al mondo che ci circonda!

La comunicazione implica una relazione La bidirezionalità implica, effettivamente, una relazione tra due termini.
Tale relazione si può stabilire a tre diversi livelli: → rapporto uno-a-uno; → rapporto uno-a-molti; → rapporto
interiore

5 Assiomi, focus su

Terzo assioma: la punteggiatura della sequenza di eventi L’interazione tra due persone che
comunicano è, di fatto, una sequenza di scambi. Possiamo immaginare che la comunicazione tra il
soggetto A e il soggetto B sia più o meno rappresentabile così: In realtà, però, ogni risposta di B
condiziona lo stimolo di A; ovvero: Sembra che sia sempre A a fornire lo stimolo con i successivi
rinforzi, e sempre B a fornire le risposte. In realtà, i punti di vista si possono “ribaltare”, considerando
che ogni risposta di B può anche essere uno stimolo per A. Questo è il feedback che gli interlocutori si
danno reciprocamente nel contesto della situazione comunicazionale. Nel darsi i feedback, essi
costruiscono involontariamente un gioco di ruolo. In una conversazione, infatti, capita spesso che il
ruolo preponderante venga assunto talvolta dall’individuo A, talvolta dall’individuo B, a seconda dei
momenti. Si dice, allora, che la punteggiatura degli eventi cambia:

! Il ricalco formale è:

1 Le tipologie di ricalco

A Un ricalco verbale

B Un ricalco non verbale

C Non è una tecnica negoziale

D Relativo al tono della voce

2 Il ricalco visivo è:
Le tipologie di ricalco

A Un ricalco verbale

B Negativo per l'istaurarsi della sintonia

C Un modo per favorire una relazione positiva

D Fonte di disagio

! La comunicazione è:

3 Lo studio della comunicazione

A Sempre unidirezionale

B Sempre bidirezionale

C Sia unidirezionale che bidirezionale

D Coincidente con l'informazione

4 ! L'informazione è:
Lo studio della comunicazione

A Sempre bidirezionale

B Sempre unidirezionale

C Uguale alla comunicazione

D Indipendente dal feedback

La comunicazione:

5 Lo studio della comunicazione

A Prevede sempre una relazione

B Indipendente dalla relazione

C Coincide con l'informazione

D Indipendente dal feedback

Il primo assioma della comunicazione umana è:

6 Lo studio della comunicazione


A Non è possibile comunicare

B Non è possibile non comunicare

C La comunicazione è solo verbale

D La comunicazione è solo non verbale

Il secondo assioma della comunicazione umana è:

7 Lo studio della comunicazione

A Non è possibile comunicare

B La comunicazione trasmette sempre un'informazione

C L'informazione prevede sempre una comunicazione

D La comunicazione è solo verbale

Il ricalco paraverbale consiste nell'adottare uno stile di conversazione:

8 Le tipologie di ricalco

A Diverso da quello dell'interlocutore


B Con tono di voce, ritmo e volume simile a quello dell'interlocutore

C Simile nel contenuto a quello dell'interlocutore

D Finto

! La guida:

9 La guida

A Non è una tecnica negoziale

B Prevede l'uso di aspetti sia verbali che non verbali della comunicazione

C Ostacola il raggiungimento di un rapporto soddisfacente

D Basata solo su aspetti verbali della comunicazione

Utilizzare il ricalco emotivo significa:

10 Le tipologie di ricalco

A Indurre emozioni nell'interlocutore

B Evitare le emozioni
C Cercare di vivere e manifestare le emozioni dell'interlocutore

D Esprimere le proprie emozioni

68.

Attribuire una mente ad individui e gruppi

Il processo di percezione di mente è stato chiamato mentalizzazione (Frith & Frith, 2003). La
mentalizzazione consiste nell’inferire l’esistenza di stati mentali ed eventi interni sulla base di indici
esteriori o di una simulazione dell’esperienza dell’altro. La percezione di mente varia lungo un
continuum. Ad un estremo, gli individui falliscono nel riconoscere nell’altro intenzioni, cognizioni, ed
emozioni; questa tendenza viene chiamata dai ricercatori “dementalizzazione.” All’estremo opposto del
continuum, gli individui riconoscono pienamente gli stati mentali degli attori sociali, ciò che viene
chiamato “mentalizzazione.

primo meccanismo per conoscere la mente dell’altro sembra essere una simulazione egocentrica.
Come diceva Piaget (1932/2009), i bambini fino ai cinque anni non sono consapevoli che le percezioni
degli altri siano diverse dalle proprie; difficilmente un bambino comprende che la visione di un oggetto
possa essere diversa dalla propria, ad esempio per una persona che vede lo stesso oggetto da una
posizione diversa (Flavell, 1986). Gli adulti mantengono questa prospettiva egocentrica come punto di
partenza nei giudizi sociali. Durante lo sviluppo apprendono una serie di informazioni sociali sugli altri o
su gruppi di altri: stereotipi, aspettative, e teorie ingenue su come funzioni la mente forniscono il
secondo meccanismo per intuire gli stati mentali degli altri

Inoltre, le persone che vivono in culture che enfatizzano la prospettiva dell’altro (cioè, le culture
collettivistiche) sono più abili a superare il default egocentrico, rispetto alle persone che vivono in
culture che enfatizzano il sé (cioè, le culture individualistiche) (Wu & Keysar, 2007)

Mente, simpatia, e gruppi

Forse non vi sorprenderò dicendovi che troviamo più facile considerare la mente delle persone che ci
piacciono (McPherson-Frantz & Janoff-Bulman, 2000). Ciò può derivare sia da un effetto di familiarità
sia da attribuzioni positive (Malle & Pearce, 2001): in ogni caso, siamo più motivati a credere che le
persone che ci piacciono abbiano maggiori capacità mentali.

il fallimento nel percepire la mente può portare alla negazione di umanità, un fenomeno ben descritto
dai tragici eventi, quali i genocidi, che hanno caratterizzato la storia dell’umanità.

Agency ed experience

I partecipanti valutavano le capacità mentali (ad es., la capacità di provare dolore) di diversi target
(esseri umani, animali, e altre entità). Dall’analisi dei dati sono emerse due dimensioni di percezione di
mente: la capacità di sentire, chiamata “experience” (ad es., dolore e piacere), e la capacità di fare,
pianificare, chiamata “agency” (ad es., autocontrollo e pianificazione). È emerso, ad esempio, che Dio
viene giudicato basso in experience e alto in agency; animali e bambini alti in experience e bassi in
agency; un robot basso in experience e moderatamente alto in agency; infine, uomini, donne, e il
partecipante stesso (“you”) alti sia in experience che in agency. Questa distinzione tra agency e
experience sembra rispecchiare dimensioni di giudizio già note nelle scienze sociali. Si pensi alla
classica distinzione aristotelica tra agente morale (le cui azioni possono essere giudicate moralmente)
e paziente morale (che ha diritti morali). Nel giudizio sociale (Fiske, Cuddy, Glick, & Xu, 2002), si
utilizzano le due dimensioni fondamentali: calore (simile a experience) e competenza (simile a agency)

La negazione di tratti tipicamente umani porta ad una deumanizzazione meccanicistica (ad es., un
manager viene assimilato ad un robot), mentre la negazione di tratti unicamente umani porta ad una
deumanizzazione animalistica (ad es., un artista viene assimilato ad un animale). Si può dire lo stesso
per agency e experience? Sebbene queste due dimensioni di percezione di mente si siano rivelate utili
nelle scienze cognitive e sociali (Waytz et al., 2010), l’attribuzione di agency e experience ai gruppi
sociali rimane un tema inesplorato (ma vedi: Waytz & Young, 2012). Attualmente, stiamo conducendo
nei nostri laboratori una serie di studi per esaminare come le persone percepiscano la mente di diversi
gruppi sociali, e se l’appartenenza ad un gruppo possa moderare l’attribuzione di agency e experience
ad ingroup e outgroup.

! Il processo di percezione di mente è chiamato:

1 Mentalizzazione

A Mentalizzazione

B Cognizione

C Intuizione

D Percezione

La mentalizzazione consiste:

2 Mentalizzazione

A Nell'immaginare ciò che gli altri pensano di noi


B Nell'attribuire agli altri l'esistenza di stati mentali ed eventi interni (pensieri, emozioni)

C Nel percepire i nostri stati interni

D Nel comprendere come meglio comportarci per ottenere i nostri obiettivi

Riconoscere agli altri una mente è fondamentale per:

3 Mentalizzazione

A Capire di chi fidarsi e di chi no

B Risolvere problemi

C Comprendere, prevedere, e controllare il comportamento degli altri e sviluppare una


connessione sociale con i membri del proprio gruppo

D Essere accettato dal proprio ingroup

Per "dementalizzazione" si intende:

4 Mentalizzazione

A Entrare nella mente dell'altro


B Riconoscere pienamente gli stati mentali degli attori sociali

C Fallire nel riconoscere nell'altro intenzioni, cognizioni, ed emozioni

D Fallire nel comprendere i propri stati interni

! Gli stati mentali dell'altro si percepiscono attraverso:

5 Mentalizzazione

A L'esperienza

B L'osservazione del comportamento, il resoconto degli altri e l'intuizione

C L'osservazione

D La percezione

La capacità di mentalizzare si sviluppa:

6 Mentalizzazione

A Prima dei 5 anni

B È innata
C Dai 3 anni

D Dopo i 5 anni

Per "ingroup favoritism bias" si intende:

7 Mente, simpatia e gruppi

A Una tendenza sistematica a preferire e favorire i membri dell'ingroup rispetto a quelli


dell'outgroup, che si esprime in valutazioni positive, allocazioni di risorse, desiderio di
contatto

B Una tendenza a preferire e favorire i membri dell'outgroup

C Una errata comprensione della mente degli individui appartenenti al proprio ingroup

D Una errata comprensione della mente degli individui appartenenti all'outgroup

Gli individui attribuiscono all'ingroup:

8 Mente, simpatia e gruppi

A Più emozioni complesse rispetto all'outgroup

B Le stesse emozioni dell'outgroup


C Emozioni positive

D Emozioni meno intense rispetto all'outgroup

! Le due dimensioni della percezione di mente sono:

9 Agency ed experience

A Mentalizzazione e dementalizzazione

B Percezione ed intuizione

C Calore e competenza

D Experience ed agency

! Per "experience" si intende:

10 Agency ed experience

A L'esperienza

B La capacità di essere

C La capacità di fare
D La capacità di sentire

70.

Facebook

iteri e metodo di ricerca La procedura seguita per la presente rassegna si è ispirata alle indicazioni di
Braun e Clarke (2006) e Wilson, Gosling e Graham (2012). In particolare, seguendo questi autori, si è
proceduto inizialmente all’etichettatura degli articoli sulla base dell’argomento principale (Facebook);
successivamente tali articoli sono stati raggruppati nelle aree tematiche associate alle domande di
ricerca. Tale attività ha così permesso di sistematizzare il lavoro. Per la ricerca degli articoli da
analizzare sono stati scelti tre fra i principali database specializzati: SCOPUS (http://www.scopus.com),
Web of Knowledge di Thomson Reuter (http://wokinfo.com) e ERIC (http://eric.ed.gov). […]

Ricerca e prima selezione La ricerca ha prodotto un totale di 2.823 articoli, di cui 992 su Scopus, 1627
su WOK e 204 su ERIC. La lettura degli abstract ha condotto all’esclusione di gran parte degli studi in
quanto non pertinenti. Dopo questo ulteriore passaggio gli articoli ritenuti validi ai fini della
rassegna sono risultati 113. […] Gli articoli sono stati etichettati e classificati secondo le 5 aree di
ricerca: motivazioni psicologiche e sociologiche ed effetti associati self-presentation ruolo di
Facebook nelle relazioni degli adolescenti emozioni, sentimenti e stati d’animo su Facebook e nei
Social Network empatia su Facebook e nei Social Network.

] Le aree di ricerca più indagate risultano essere le motivazioni psicologiche e sociologiche e gli effetti
associati e la self-presentation. […]

Nella letteratura presa in esame si riscontrano tre modalità principali per il campionamento:
reclutamento in istituzione (gli adolescenti venivano invitati a partecipare alle ricerche direttamente a
scuola all’interno del College o dell’Università), reclutamento tramite web e, infine, reclutamento a
“valanga”

Nel loro studio sull’empatia nel mondo reale e nella realtà virtuale, Feng et al. (2004) hanno
osservato in tempo reale le conversazioni dei soggetti tramite un software di instant messaging e si
sono soffermati sulla relazione tra accuratezza empatica, il tipo di risposta conseguente e la
fiducia presente tra i soggetti stessi. L’altro metodo utilizzato per analizzare l’empatia virtuale è
quello di Lo (2008), che ha valutato il potenziale rappresentato dalle emoticon all’interno di
conversazioni digitali e se queste potessero effettivamente costituire una sorta di linguaggio non
verbale
Gli studi che hanno preso in esame il particolare costrutto dell’autopresentazione sono

caratterizzati dall’utilizzo di alcune misure specifiche del contesto Facebook: ad esempio, Van Der

Heide et al. (2012) si sono soffermati sulla quantità e sul tipo di foto che gli utenti inserivano nei

propri profili e li hanno confrontati con gli elementi testuali presenti all’interno degli stessi profili

(aggiornamenti di stato e commenti). Allo stesso modo, Peluchette et al. (2010) hanno considerato

misure rappresentative dell’autopresentazione il tipo di fotografie che ritraeva gli utenti,

categorizzandole in sessualmente attraenti, sfacciate, offensive con una particolare attenzione a

contenuti potenzialmente problematici. LRecentemente Nadkarni e Hofmann (2012) nella loro rassegna
hanno identificato un

modello a due fattori riguardante l’utilizzo di Facebook: il bisogno di appartenenza e il bisogno di

autopresentarsi. Ci si aspetta che i membri di culture individualistiche siano più propensi a

condividere informazioni private con i loro amici di Facebook, rispetto agli utenti che appartengono

a culture collettivistiche. Gli autori ritengono quindi che, ancor prima della personalità, sia

l’estrazione culturale a giocare un ruolo sulla quantità e sulla qualità delle informazioni che vanno a

costituire l’autopresentazione di un utentee foto, quindi, rappresentano un’ottima misura del

costrutto autopresentazione,

Costrutti psicosociali indagati Dopo avere analizzato la metodologia utilizzata nella letteratura
esaminata, si è proceduto all’analisi dei risultati ottenuti dagli studi e dai principali costrutti che sono
stati presi in considerazione. Motivazioni psicologiche e sociologiche ed effetti associati In linea
generale, le motivazioni che spingono gli adolescenti a utilizzare Facebook sono riscontrabili nel
bisogno di accettazione e di supporto da parte dei pari e di mantenere ed estendere la propria rete
sociale

Ryan e Xenos (2011) ipotizzano che Facebook gratifichi i suoi utenti secondo caratteristiche specifiche.
In particolare individui nevrotici o solitari spendono un tempo di gran lunga maggiore su Facebook
rispetto agli individui maggiormente estroversi. Mehdizadeh (2010) ha riscontrato che chi ha un tratto
narcisistico forte è più probabile che acceda un numero di volte maggiore a Facebook durante la
giornata rispetto a chi ha valori più deboli in questo costrutto.

hanno messo a confronto il tratto narcisistico con alcune abitudini riscontrabili su Facebook, come l’uso
del pronome personale negli aggiornamenti di stato, il numero di foto e il numero di amici. Questo
studio prevedeva anche un’analisi del linguaggio utilizzato dai soggetti nel descrivere profili di
personalità diverse dalla propria e per evidenziare il ruolo che il narcisismo gioca nella comunicazione
virtuale. I risultati di questi autori mostrano una correlazione positiva tra il tratto narcisistico e l’uso del
pronome personale nell’aggiornamento di stato, il numero di foto e il numero di amic

1 ! Le modalità comunicative virtuali stanno favorendo:


Introduzione

A Lo sviluppo di nuove strategie di autopreservazione

B Lo sviluppo di nuove strategie di autoanalisi

C Lo sviluppo di nuove strategie di autopresentazione

D Lo sviluppo di nuove strategie per creare relazioni

!! Per la ricerca degli articoli da analizzare sono stati scelti tre database specializzati:

2 Criteri e metodo di ricerca

A Scopus, Web of Knowledge, Eric

B Scopus, Web of Social Network, Eric

C Scopus, Web of Knowledge, Erim

D Scapus, Web of Knowledge, Eric

3 Su tutti gli articoli, ne sono stati ritenuti validi:


Ricerca e prima selezione

A 145

B 124

C 100

D 113

! Le aree di ricerca più indagate risultano essere:

4 Ricerca e prima selezione

A Le componenti psicologiche e sociologiche e gli effetti associati e la self-presentation

B Le motivazioni psicologiche e sociologiche e gli effetti associati e la self-presentation

C Il ruolo di Facebook nelle relazioni degli adolescenti e l'empatia

D Emozioni, sentimenti e stati d'animo su Facebook e nei Social Network

Le tre modalità principali per il campionamento sono:

5 Metodi di ricerca utilizzati dagli studi considerati


A Reclutamento in istituzione, reclutamento tramite web, reclutamento a valanga

B Reclutamento in istituzione, reclutamento tramite terzi, reclutamento a valanga

C Reclutamento casuale, reclutamento tramite web, reclutamento a valanga

D Reclutamento random, reclutamento tramite wen, reclutamento a valanga

Il metodo di Lo è utile per analizzare:

6 Metodi di ricerca utilizzati dagli studi considerati

A Le interazioni virtuali

B L'empatia virtuale

C L'autopresentazione virtuale

D L'empatia tra estranei

! Le motivazioni che spingono gli adolescenti a utilizzare Facebook sono


principalmente:

7 Costrutti psicosociali indagati


A Il bisogno di accettazione e supporto e l'estensione della rete sociale

B Il bisogno di confronto e supporto e l'estensione della rete sociale

C Il bisogno di conforto e condivisione

D Il bisogno di accettazione e supporto e l'estensione della rete virtuale

Individui nevrotici o solitari spendono un tempo:

8 Costrutti psicosociali indagati

A Uguale a quello speso dai soggetti estroversi

B Minore di quello speso dai soggetti estroversi

C Maggiore di quello speso dai soggetti estroversi

D Superiore alle tre ore giornaliere

Il modello a due fattori riguardante l'uso di Facebook fa riferimento a:

9 Costrutti psicosociali indagati

A Bisogno di appartenenza e bisogno di autopresentarsi


B Bisogno di sostegno e bisogno di autopresentarsi

C Bisogno di condivisione e bisogno di autopreservarsi

D Bisogno di appartenenza e bisogno di autopreservarsi

Gli aspetti dell'empatia virtuale analizzati da Feng et al. sono:

10 Costrutti psicosociali indagati

A La sfiducia tra i soggetti, la poca qualità empatica manifestata e il tipo di risposta


conseguente

B La fiducia tra i soggetti, la qualità enfatica manifestata e il tipo di risposta conseguente

C La fiducia tra i soggetti, la qualità empatica non manifestata e il tipo di risposta


conseguente

D La fiducia tra i soggetti, la qualità empatica manifestata e il tipo di risposta conseguente

71. Fiducia

Libertà
Niklas Luhmann (2000) considerava la fiducia come un “riskante Vorleistung”, o un pagamento
anticipato rischioso. Egli distinse la fiducia dalla speranza, un sentimento che nasce quando una
persona non ha alcuna possibilità di evitare un comportamento rischioso. Fidarsi non significa
semplicemente calcolare il potenziale valore di un’interazione e agire di conseguenza. La ragione
per cui la fiducia è un problema è che stimare la probabilità di un tradimento da parte di un’altra
persona è difficile, e la causa di questa difficoltà è la libertà.

Potere

Sebbene le persone stimino la fiducia e l’affidabilità, considerano


anche il potere un valore. Il potere interpersonale (si veda glossario)
si riferisce alla capacità di controllare le risorse, o più in generale, la
capacità di premiare e punire. L’autore di Giobbe (1:21) conclude,
rassegnato, che “The Lord gave and the Lord hath taken away.”
Quando Giobbe diventa la vittima del potere arbitrario, e quindi del
potere assoluto, non può più sperare che le sue giuste azioni siano
premiate. Comprende che fiducia e potere s’intrecciano. Se il
comportamento degli individui predicesse perfettamente le risposte
dei potenti (ad esempio Dei, genitori, dirigenti), il loro potere, allo
stesso tempo, verrebbe meno. Al contrario, se i potenti esercitassero
completamente la loro libertà di impartire premi e punizioni a loro
piacimento, le loro scelte non dipenderebbero dal singolo
comportamento preso in considerazione e quindi, la fiducia verrebbe
meno (cfr. Feuerbach, 1989/1830). Nella vita sociale di tutti i giorni,
tali estremi sono rari. Tipicamente, vi è una zona in cui fiducia e
affidabilità sono correlate. Le persone che si fidano possono
aspettarsi che la loro vulnerabilità e accettazione del rischio sia
probabilmente notata e premiata.

4 strategie per aumentare la fiducia


La prima strategia consiste nello stimolare una proiezione sociale (si
veda glossario), che può essere effettuata ponendo l’accento sulle
similitudini tra gli interagenti. La proiezione sociale si esprime
attraverso l’aspettativa di vedere gli altri agire come si farebbe
personalmente.

La seconda strategia è aumentare l’efficienza del guadagno prodotto


dalla fiducia. Nel gioco della fiducia, la triplicazione del denaro
trasferito è una convenzione. La fiducia aumenta con un moltiplicatore
più grande e l’efficienza sociale si arricchisce

La terza strategia consiste nel rendere la fiducia default. Nel gioco


standard di fiducia, i fiducianti devono intervenire per trasferire denaro
al fiduciato. Non fare nulla equivale a diffidare. I default dominano il
comportamento quando le decisioni risultano difficili.

La quarta strategia consiste nel segnalare l’affidabilità attraverso un


comportamento non verbale

1 La fiducia è:
Libertà

A Uno stato psicologico che include l'intenzione di rendersi


vulnerabile, sulla base dell'aspettativa positiva circa le intenzioni o il
comportamento di un'altra

B Aspettarsi che l'altro sia sempre per noi disponibile

C Un processo che avviene soprattutto a livello non verbale

D Libertà

Nel mondo reale, il comportamento altrui:

2 Libertà

A È sempre prevedibile
B È prevedibile solo entro determinati limiti

C Non è mai prevedibile

D È prevedibile solo quando ci fidiamo

Se i nostri comportamenti fossero sempre prevedibili:

3 Libertà

A Solo allora potremmo fidarci ciecamente degli altri

B Saremmo completamente liberi

C Non saremmo completamente liberi

D La specie prospererebbe più facilmente


La libertà è:

4 Libertà

A Decidere se fidarci o meno dell'altro

B Non lasciarsi ingannare o tradire dall'altro

C La capacità di comportarci in modo inaspettato

D Potersi sempre fidare dell'altro

5 La fiducia si distingue dalla speranza perché:


Libertà

A La fiducia nasce quando una persona non ha alcuna possibilità di


evitare un comportamento rischioso

B La speranza nasce quando una persona non ha alcuna possibilità


di evitare un comportamento rischioso

C La fiducia non presuppone rischi

D La speranza non presuppone rischi

! Fiducia e potere:

6 Potere

A Sono la stessa cosa


B Si sostituiscono

C Si escludono

D S'intrecciano

Secondo la teoria dei giochi:

7 Il gioco

A Essendo prevedibili solo in parte, i giocatori affermano la loro libertà


comportamentale e il potere di dire di no

B Nel gioco, la fiducia non si equilibra con libertà e potere

C La fiducia e l'affidabilità, sua controparte, non sono studiati


D La fiducia non esiste

Società con alti livelli di fiducia sono:

8 Oltre l'equilibrio

A Più coese e produttive di società con bassi livelli di fiducia

B Meno coese e produttive di società con bassi livelli di fiducia

C Coese e produttive quanto le società con bassi livelli di fiducia

D Non sono state ancora studiate

9 ! Le strategie per aumentare la fiducia sono:


Aumentare la fiducia

A Uno

B Due

C Tre

D Quattro

! La strategia di proiezione sociale prevede:

1
0 Aumentare la fiducia

A Fiducia nell'altro
B Mettersi nei panni dell'altro

C Prevedere ciò che gli altri faranno

D L'aspettativa di vedere gli altri agire come si farebbe personalmente

Perdono

In che cosa consiste il perdono autentico? Come distinguerlo da forme di pseudo-perdono? Gli
psicologi concordano nel ritenere che, contrariamente a quanto si possa pensare, perdonare non
significhi dimenticare, sminuire, giustificare o scusare l’accaduto, né abdicare al diritto di ottenere
giustizia, né riconciliarsi (Fincham, 2009). Innanzitutto il perdono comporta, nel momento in cui viene
accordato, il ricordo dell’accaduto e della sua gravità e, successivamente alla sua concessione, non ne
implica l’oblio. Non è del resto possibile dimenticare a comando, né sarebbe adattivo farlo, ma solo
accantonare temporaneamente i ricordi indesiderati impegnandosi in attività distraenti, come quando
andiamo al cinema con gli amici per non pensare al litigio furioso avuto con il nostro partner (Wegner,
1989)

Anche laddove una riconciliazione sia opportuna, non è inoltre detto che riesca di fatto ad avere luogo.
Fare pace è per molti versi più complesso che perdonare. Mentre il perdono può essere un atto
unilaterale e incondizionato, la riconciliazione presuppone l’impegno e gli sforzi congiunti di entrambe le
persone coinvolte, non solo della vittima che perdona, ma anche dell’offensore, che deve assumersi le
proprie responsabilità e offrire rassicurazioni circa la propria moralità e le proprie intenzioni future
(“Molte riconciliazioni promettenti falliscono perché entrambe le parti arrivano preparate a perdonare,
ma non ad essere perdonate” asseriva con acume lo scrittore inglese Charles Williams).

Che cosa è il perdono Oltre a definirlo per negazione, evidenziandone i tratti che lo distinguono dalle
dinamiche affini, gli psicologi ritengono che il perdono interpersonale possa essere connotato
positivamente come un processo prosociale (si veda glossario) attraverso il quale la vittima affronta
l’offesa subita riducendo progressivamente le sue reazioni negative a livello di pensieri, sentimenti,
motivazioni e/o comportamenti nei confronti di chi ne è stato l’autore per sostituirle con reazioni
positive.

In questo processo l’offensore viene percepito e considerato più come uno specifico individuo (Mario,
Susanna, Hussein) che non, come avviene invece nel caso del perdono intergruppi, come membro di
determinati gruppi sociali (interista, sindacalista, mussulmano). Concependolo in questi termini, la
vittima che perdona ridimensiona a poco a poco i giudizi di condanna ed i pensieri negativi su di lui,
supera il risentimento o la paura provati nei suoi riguardi, rinuncia ai propri intenti vendicativi o di fuga.
Non solo. A differenza di chi semplicemente si astiene dal vendicarsi o dall’evitare, colui che perdona
arriva anche a provare compassione per l’offensore, ad essere benevolo e generoso e, qualora a lui
legato da un rapporto stretto, a nutrire nuovamente affetto nei suoi riguardi

Se è davvero tale, il perdono comporta ripercussioni generalmente positive sia sulla salute psico-fisica
della vittima sia sul benessere delle relazioni in cui è coinvolta. Sono innumerevoli le testimonianze di
persone che, dopo aver accordato il perdono, si dicono rinate.

). Poiché la sua vita psichica cessa di essere monopolizzata dai vissuti legati all’offesa e dalla
sofferenza che ne è conseguita, la vittima che perdona è inoltre facilitata nel decentrarsi
cognitivamente, nello spostare la propria attenzione da sé agli altri, nell’essere maggiormente sollecita
ai loro bisogni e necessità, a beneficio delle relazioni sociali in cui è coinvolta.

). Ad una condizione però: analogamente alla vittima, anche colui che l’ha ferita deve dar prova di
tenere al rapporto, mostrandosi pentito, accondiscendente, e desistendo dal reiterare le proprie offese.
Se, al contrario, questi lo recepisce come una sorta di legittimazione a ferire nuovamente, il perdono
concesso in una relazione intima può rivelarsi per la vittima controproducente, portandola, come si
evince da ricerche longitudinali condotte su coppie sposate o convinventi, ad essere più insoddisfatta
della relazione e ad avere minor rispetto di sé.

maggiore benefici dalla concessione del perdono quando questo viene comunicato in modo diretto,

attraverso asserzioni verbali o segnali non verbali espliciti, che accrescano la percezione di

vicinanza ed intimità (per esempio abbracciando l’altro, sorridendogli o dicendogli “ti perdono”).

Al contrario il rapporto può risultare indebolito e venir percepito come meno soddisfacente quando

la manifestazione del perdono è accompagnata da clausole e condizioni (“ti perdonerò se…” ) che

possano apparire, agli occhi dell’offensore manipolatorie, indici di scarsa fiducia e lesive della

propria immagine personale (Waldron & Kelley, 2008). Se a ciò si aggiunge che, soprattutto

laddove non sia stato richiesto o corrisposto da atti analoghi di clemenza, il perdono tende ad

accrescere lo stress, il senso di colpa, di indebitamento e di incompetenza di chi lo riceve, si può

capire l’importanza di agire con una certa accortezza nel comunicarlo

Intervenendo soprattutto sulle reazioni affettivo-cognitive della vittima è stato possibile delineare dei
protocolli di intervento efficaci nel promuovere il perdono per una specifica offesa sofferta. Tra i più noti,
si possono ricordare quello di Robert Enright (2001) e il modello piramidale di Everett Worthington
(1998). Il primo si articola in quattro fasi principali – riconoscere l’offesa subita e la rabbia provata,
decidere di perdonare, lavorare su di sé per raggiungere il perdono, approfondire il senso del perdono e
le sue conseguenze – ciascuna delle quali a propria volta composta da diverse unità di trattamento. Il
modello piramidale per raggiungere il perdono delinea invece un processo scandito da 5 tappe,
riassumibili nell’acrostico inglese REACH: ricordare (recall, R) l’offesa, identificarsi empaticamente
(empathy, E) con chi ha offeso, offrirgli altruisticamente (altruism, A) il dono del perdono, impegnarsi
(commit, C) a perdonare e tenere saldo (hold, H) il proprio proposito

La tendenza a perdonare è innata o appresa? Oltre ad imparare a perdonare un’offesa specifica, è


anche possibile apprendere ad essere tendenzialmente inclini al perdono, a prescindere dalle offese
subite?

Origini culturali

Una ricerca longitudinale condotta su triadi famigliari composte da padre, madre e figlio/a adolescente
ha, ad esempio, provato che più i genitori sono inclini a perdonare il proprio figlio/a più questi diventa a
distanza di un anno maggiormente propenso/a a perdonarli a propria volta (Maio, Thomas, Fincham, &
Carnelley , 2008). Non solo, da adulti le persone assomigliano più ai loro genitori nella propensione a
perdonare il coniuge che non al coniuge stesso (Paleari, Donato, Iafrate, & Regalia, 2009) e hanno
un’idea del perdono molto simile a quella dei genitori (Mullet, Riviere, & Munoz-Sastre, 2006). Studi
cross-culturali evidenziano inoltre che gli individui sono più inclini a concedere il perdono, tanto ai loro
cari che alle persone sconosciute, soprattutto se sono cresciuti in paesi collettivisti asiatici, africani e
latino-americani; meno se vengono educati in paesi individualisti nordamericani ed europei (

Fattori innati

i. Gli studi etnografici indicano che il perdono è un fenomeno sociale riscontrabile in ben il 93% delle
culture, ove viene considerato uno strumento appropriato per risolvere offese e conflitti verificatesi tra
coniugi, tra genitori e figli, tra vicini e comunità in lotta. Qualcosa di simile al perdono sembra del resto
occorrere persino tra i nostri parenti più stretti, le scimmie e i primati, inclini ad esibire comportamenti
conciliatori nei confronti di coloro coi quali hanno forti legami affiliativi (Aureli, van Schaik, & van Hoof,
1989; Cords & Thurnheer, 1993). Questi dati non solo avvalorano l’ipotesi di una componente innata,
oltre che appresa, del perdono, ma ancora una volta testimoniano la valenza adattiva del processo. Il
bisogno di affiliazione ci spinge ad aprirci e affidarci agli altri, esponendoci però a ferite anche profonde,
un po’ come i porcospini di Schopenhauer che, per difendersi dal freddo di una gelida giornata
d’inverno, si avvicinano tanto gli uni agli altri da pungersi dolorosamente coi loro aculei

Nei casi di violenza ed abuso, tre sono le risposte adattive ricorrenti:

1 Premessa

A Vendetta, fuga e perdono


B Vendetta, fuga, indifferenza

C Attacco, fuga, resa

D Ostilità, rabbia e attacco

! Il perdono è in grado di:

2 Premessa

A Permettere alla vittima sempre una riconciliazione con l'aggressore

B Tutelare il benessere della vittima e delle sue relazioni

C Far dimenticare alla vittima gli abusi subiti

D Ridimensionare il danno subito

Perdonare significa:

3 Che cosa il perdono non è

A Abdicare al diritto di ottenere giustizia

B Sminuire, giustificare o scusare l'accaduto


C Perseguire una giustizia ricostituiva, orientata a ricomporre la controversia e
a ristabilire una comunanza con l'offensore attraverso l'ammissione ed il
riconoscimento concorde del torto compiuto e subito

D Punire il colpevole in modo proporzionale al danno arrecato

Attraverso il perdono la vittima:

4 Cosa è il perdono

A Si riconcilia con l'aggressore

B Deresponsabilizza il suo abusante

C Ridimensiona a poco a poco i giudizi di condanna ed i pensieri negativi sul


suo aggressore, supera il risentimento o la paura provati nei suoi riguardi,
rinuncia ai propri intenti vendicativi o di fuga

D Dimentica il torto subito

Le conseguenze del perdono sono:

5 Le conseguenze del perdono

A Negative sia sulla salute psico-fisica della vittima sia sul benessere delle
relazioni in cui è coinvolta
B Positive sia sulla salute psico-fisica della vittima sia sul benessere delle
relazioni in cui è coinvolta

C Positive solo se vi è anche una riconciliazione tra vittima e aggressore

D Positive solo se l'aggressore ammette le sue responsabilità

I fattori che possono facilitare e/o ostacolare il perdono sono:

6 Quali fattori ostacolano il perdono? Quali lo facilitano?

A Compassione e riconciliazione

B Capacità di attaccare o di fuggire

C Entità del danno subito, capacità di dimenticare il torto, possibilità che


l'aggressore sconti la sua pena

D I processi affettivo-cognitivi, che la vittima sviluppa in relazione all'offesa


patita e a chi l'ha perpetrata, i comportamenti riparatori dell'offensore e la
qualità del rapporto che, prima del verificarsi dell'offesa, eventualmente
sussisteva tra vittima ed offensore

! La tendenza al perdono è:

7 La tendenza al perdono è innata o appresa


A Sia appresa che innata

B Innata

C Appresa

D Subordinata alla tendenza alla compassione

Studi cross-culturali evidenziano che gli individui più inclini a concedere il


perdono sono:

8 La tendenza al perdono è innata o appresa

A Paesi collettivisti asiatici, africani e latino-americani

B Paesi individualisti nordamericani ed europei

C Non vi è differenza tra paesi collettivisti ed individualisti

D Paesi asiatici

Gli studi etnografici indicano che il perdono è un fenomeno sociale


riscontrabile:

9 La tendenza al perdono è innata o appresa


A Nel 50% delle culture

B Nel 30% delle culture

C Nel 73% delle culture

D In ben il 93% delle culture

L'ambiente familiare, sociale e culturale di cui facciamo parte:

10 La tendenza al perdono è innata o appresa

A Non è fondamentale

B Determina da solo la nostra propensione al perdono

C Non condiziona la nostra propensione al perdono

D Condiziona la nostra propensione al perdono, influendo sia sulla modalità di


vivere che di intendere questo delicato processo

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