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1.
Occorre conoscere i processi di crescita del soggetto, processi che iniziano dal grembo materno per tutto
l'arco della vita.
A tal fine🡪 riflessione delle diverse teorie sui processi di sviluppo per selezionare quelle azione e quei
presupposti teorici su cui fondare la nostra azione.
- Realizzazione di attività di ricerca azione per acquisire conoscenze delle migliori pratiche per aiutare
i soggetti.
- La creazione di strumenti a servizi per la formazione integrale dei giovani
- Integrare quadro normativo nazionale e europeo, con obbiettivi condivisi U.E. di cui l'inclusione
sociale è fondamentale, e quindi favorire competenze di problem solving,.
- La cultura non è più capitale invisibile come lo definiva Gozzer,
ma visibile per le ricadute sociali che ha sul lavoro ecc.
Storia del percorso di sviluppo del soggetto che può essere lineare oppure presentare interruzioni,
momenti di criticità ecc.
Oggi si guarda alla psicologia come modalità interpretativa dei processi mentali per valorizzare il
potenziale di sviluppo e talenti del soggetto.
Le discipline sono parte essenziali del curricolo nell'ambito del quale troviamo saperi curricolari e
non
Conoscere i processi di crescita psicologica dei soggetti in età evolutiva significa interpretare le
cause delle eventuali disfunzioni, per sapere come funziona il corpo e la mente, per crescere e
migliorare.
A Assertività
B Prosocialità
C Mansuetudine
D La ricerca su Internet
A Orientamento
C Istruzione
D Formazione
2. I modelli teorici
Teorie della contiguità (di stimolo e risposta) Watson e del rinforzo (Skinner e Thorndike)
- Solo successivamente con Tolmam avremo un'apertura agli aspetti simbolici e cognitivi e verrà
reintrodotta la separazione tra realtà fisica e intellettuale.
Sviluppo della Gestalt rintracciabile in Kurt Lewin 🡪 teoria del campo l’individuo è inserito in uno spazio
vitale che è un campo di forze nel quale si sviluppano dinamiche di gruppo.
Dagli anni 20 agli anni 40 grande successo della psicoanalisi sriechita dagli apporti di Jung , Adler ec..
- Prospettiva dinamica che vede l'uomo come essere biologico spinto fin dalla nascita da pulsioni
(sessuali e aggressivo), da desideri mossi dal principio di piacere (inconscio) spingendo sulla
coscienza
- Tentativo del miglior adattamento che per Freud è razionale ed oggettiva, la realtà non può essere
modificata, l'io e la coscienza ( istanza di realtà) impongono allora all'uomo di autoregolarsi.
- Nuove teorie psicodinamiche che pongono accento anche sul rapporto io e ambiente e di come
l’ambiente condizioni l'io (Anna Freud, Erikson ecc.)
- Per la teoria delle “relazioni oggettuali" i primi rapporti tra bambino e le figure di riferimento
portavano alla formazione di modelli interni, influenzanti le relazioni umani costruite dall'individuo
nel corso della vita
Melanie Klein propose lo sviluppo psicologico come il prodotto di un conflitto amore/ odio e
confronti dell"oggetto (il seno materno) che il bambino avverte come buono o cattivo a seconda
della disponibilità materna.
Il contesto che il bambino incontra sono determinanti dei comportamenti e successive patologie e nevrosi.
Il mancato superamento di questi studi determina la fissazione della libido in queste zone erogene.
Suzione🡪 tabagismo in età adulta.
In quest’ottica l’individuo viene visto come un sistema energetico regolato da tre i stanze: Es, Io, Superio
costante mediazione e conflittualità.
L’individuo per sopravvivere ad eventi che non sa gestire svilupperà meccanismi di difesa considerate forme
di adattamento, sono processi inconsci per gestire l’angoscia generata dal conflitto delle istanza della
personalità
Meccanismi di difesa adattivi perché sono forme di adattamento all'ambiente, ci fanno meglio adattare
all’ambiente, ma se usati in modo rigido possono essere disadattivi e sono manifestazione di patologie.
Collaborazione tra logica e psicologia per Piaget e non separazione è tramite questa collaborazione che
possiamo comprendere meglio lo sviluppo della conoscenza.
I modelli teorici
A Abbandona i concetti di "io" e "coscienza" e restringe la psicologia sia animale sia umana
allo studio del comportamento
C Introduce la soggettività
2 I modelli teorici
A Da Bruner
B Da Piaget
C Da Damiano
3 I modelli teorici
C Si introduce un'azione che determina successo e risultato atteso viene rinforzata nel suo
reiterato compimento
D Rinforza la personalizzazione
Una "gestalt" è:
4 I modelli teorici
A Una metodologia
B Un sussidio
5 I modelli teorici
B è la dinamica di gruppo
C È una nuova prospettiva dinamica che concepisce l'uomo come un essere biologico
dotato di una esistenza psichica, di cui è inconsapevole, caratterizzata sin dalla nascita
da spinte pulsionali e istintuali (di tipo sessuale ed aggressivo) e da desideri mossi dal
principio del piacere
D è la teoria di Bruner
6 I modelli teorici
B Nella fase di sviluppo dello schema corporeo per cui il bambino si rappresenta se stesso
7 I modelli teorici
B Comportamenti aggressivi
D Dispersione scolastica
Secondo J. Piaget:
8 I modelli teorici
C Il bambino è autistico
9 I modelli teorici
C Pulsione desiderativa
D Adattamento
10 I modelli teorici
A L' apprendimento è un processo conoscitivo che trae origine dal bisogno di costruzione
e di strutturazione del reale
3. La struttura dell'io
- Il problem solving in situazioni critiche avviene in ogni età del soggetto ed interessa elementi e
processi cognitivi, emozionali e affettivi, comportamentali e relazionali.
- Il rapporto tra motivazione ed apprendimento è essenziale per far costruire al soggetto un progetto
di vita personale
TEST DI AUTOVALUTAZIONE
1 La struttura dell'Io
A Solo nell'adulto
B Nella giovinezza
2 La struttura dell'Io
3 La struttura dell'Io
A Le condizioni economiche
C Il contesto culturale
D I premi e le punizioni
4 La struttura dell'Io
A È mansueta
C Si adatta a tutto
D Non reagisce
5 La struttura dell'Io
D Ubbidisce ai genitori
6 La struttura dell'Io
7 La struttura dell'Io
A Prospettive di lavoro
B Orientamento familiare
8 La struttura dell'Io
9 La struttura dell'Io
B Dell'educazione familiare
C Dell'educazione scolastica
10 La struttura dell'Io
C L'attivazione di progetti
D La fruizione di finanziamenti
4. I mutamenti sociali
I mutamenti sociali
Integrare materiale
1 I mutamenti sociali
A Dall'immigrazione
C Dalla democrazia
2 I mutamenti sociali
3 I mutamenti sociali
4 I mutamenti sociali
I mutamenti sociali
C Prevale il pragmatismo
6 I mutamenti sociali
A Rifiuta la postmodernità
B Critica le tecnologie
7 I mutamenti sociali
A Ottimismo ed entusiasmo
B Forti sensazioni di incertezza, la perdita di punti di riferimento, forti
insicurezze e disorientamenti, condizioni di disagio
C Pragmatismo
8 I mutamenti sociali
A La multimedialità
B I saperi sociali
D Le buone pratiche
9 I mutamenti sociali
A Ai saperi disciplinari
10 I mutamenti sociali
C Traguardi di competenza
D Obiettivi formativi
Tutta ka conoscenza nasce da un problema🡪 problema che ci poniamo come funziona l’uomo.
Se non c'è sensazjone e percezione non ci può essere pensiero e memoria, non abbiamo nulla.
Senza pensiero abbiamo solo input (conservati nella memoria) e output, automatismi di base.
- Percettive
- Motorie
- Linguistiche🡪 pensiero e linguaggio estremamente connessi (Vigostkij)
- Attentive mnemoniche.
Già negli esperimenti condotti da Renè Spitz si erano individuate sei fasi nella costruzione della personalità:
Sviluppo intellettivo.
I giovani, con una buona formazione, vanno incontro a scelte relative al loro futuro.
A Percezioni
B Conoscenze
D Intelligenze multiple
A Le percezioni
B Le intelligenze multiple
C Le inferenze
D Stimoli-risposte
A Le traduce in emozioni
C Le mette in memoria
D Le rimuove
A La rimuove
B Agisce emotivamente
C La traduce in linguaggio
D Reagisce
C Motorie
D Di assimilazione
A Sviluppo motorio
C Prove ed errori
B Sensibilità nei confronti del gruppo dei pari e del prossimo in generale
C La dovuta attenzione per i contenuti delle lezioni
B Problematiche burocratiche
! L'apprendimento è:
10
Modello di conoscenza: ma come funziona?
B Prodotto dell'insegnamento
a) la conoscenza delle caratteristiche dei soggetti: nella attuale situazione di forte mutamento istituzionale
e sociale, risulta assolutamente necessario che le caratteristiche dei bambini siano adeguatamente
conosciute, sia conosciuta la sua storia personale e diventino elementi per decidere quali sono gli obiettivi
educativi e le modalità per raggiungerli
Decisioni in tal senso sono la sostanza dell'autonomia degli istituti scolastici e delle istituzioni universitarie e
formative.
Altro elemento importante nella costruzione della personalità del soggetto e nella formazione di obiettivi
formativi di “saper essere” è l'individuazione di motivazioni personali
Le motivazioni
Attenzione e impegno nelle attività formative sono promossi Dalla qualità delle proposte formative
Azjone formativa ed efficace deve decidere🡪 quali devono essere le competenze che gli allievi devono
possedere alla fine del percorso
Problemi relativi alle attività didattiche si riferiscono alla ridefinizione dei curricula in regime di
autonomia pedagogica
!! Per promuovere in maniera adeguata i processi formativi occorre
conoscere:
B Il curricolo scolastico
C L'ambiente familiare
C Lo sviluppo motorio
A Decentramento
C Centralità dell'allievo
D Autoregolazione e decisionalità
Il senso dell'autonomia è:
A Trasparenza
B Economicità
A Saper essere
B Sapere
C Saper fare
D Sviluppo di abilità
L'apprendimento necessita:
A Di risorse economiche
B Di docenti severi
C Di motivazione
C Dall'assenza di problemi
D Dalla molteplicità del materiale disponibile
Ma per ottenere questi risultati è essenziale che le attività didattiche vengano contestualizzate
in sfondi integratori che diano loro senso e significato.
Occorre, in particolare, attivare una didattica di laboratorio che veda i ragazzi impegnati a
condividere problemi da risolvere e progetti da porre in essere.
Così essi apprendono che ogni attività, come ogni lavoro, deve tendere ad uno scopo
realizzativo ed utile, acquisiscono proceduralità operative, imparano a scambiare esperienze,
idee ed
a collaborare. 🡪 Si facilita la motivazione che sostiene l’attività e spinge il soggetto ad agire,
attribuendo significato e senso alle sue attività.
La didattica laboratoriale 🡪 maggiore motivazione, si basa su metodi quali ricerca azione svolta
sulle discipline che vengono ricostruite nell’attività laboratoriale
.
Le ragioni dei cambiamenti in essere
Indicazioni Nazionali 2007🡪 uso curricolo verticale invece dei programmi nazionali
Il curricolo verticale
Il processo di elaborazione deL CURRICOLO VERTICALE inizia con
• la definizione degli obiettivi formativi, in linea con standard Nazionali ed
Europei di qualità dell’offerta formativa
• La definizione di obiettivi generali del processo formativo
• L’individuazione di Obiettivi di apprendimento disciplinari.
• La definizione di traguardi di competenza
La motivazione:
Crea disorientamenti
Elimina l'insuccesso
La curiosità è sollecitata:
Dai compagni
La ripetizione
Il movimento
L'attenzione
La motivazione attribuisce:
Nuovi problemi
Nuove attività
Autovalutazione
Guadagni immediati
Relazioni interpersonali
Un buon piano dell’offerta formativa per svolgere la sua funzione deve tenere conto delle caratteristiche
dei giovani nell’ambito della società contemporanea complessa quindi in continua evoluzione.
Al fine di realizzare un buon curricolo i docenti devono conoscere le motivazioni personali dei giovani.
Un buon piano dell'offerta formativa, per svolgere la sua funzione, deve tener conto:
A L'ambiente familiare di provenienza dei soggetti e la qualità delle relazioni che essi vi
hanno stabilito
B L'assetto economico della famiglia di provenienza nonché quella del singolo soggetto
A Di abilità
C Dell'istruzione
D Strategie di fuga
Imparare ad imparare:
B Risorse economiche
C Risorse multimediali
D Risorse umane
! La valutazione del profilo dell'allievo alla fine di un percorso formativo necessita di standard di riferimento
La valutazione è uno strumento per l'incremento della qualità ed ha per oggetto i processi di crescita della
personalità integrale dei soggetti
Un processo di formazione per essere efficace deve favorire un pensiero critico e divergente
C Le abilità costruite
D Le scelte operate
A Standard di riferimento
L'apprendimento si avvale:
B Ad abilità lavorative
C A conoscenze disciplinari
D A processi di socializzazione
B Risorse economiche
Il docente deve curare prioritariamente la qualità della comunicazzione anche mediante le tic
I linguaggi multimediali sono linguaggi integrati della comunicazione e dell'informazione mediante le tic
1 Formazione e media
2
Formazione e media
A Emozioni
C Ordini
D Regole
3 Formazione e media
4 Formazione e media
A Condivisa e chiara
B Ricercata
! Le tic sono:
5 Formazione e media
A Automazione dell'informazione
B Facilitatori dell'apprendimento
D Linguaggi informatici
6 Formazione e media
B Tecnologie dell'informatica
D Il linguaggio logo
7 Formazione e media
A Una prolunga grafica per soggetti disabili
C L'automazione dell'informazione
D Il software
! L'informatica è:
8 Formazione e media
B Automazione dell'informazione
Internet è:
9 Formazione e media
B Qualcosa di pericoloso
10 Formazione e media
D Di tutors
Integrare slide
Piaget e Vygotskij
Piaget, studioso di epistemologia genetica, analizza i processi mentali che sottendono i comportamenti
infantili e introduce il concetto che “l’ontogenesi ripete la filogenesi” ovvero lo sviluppo del singolo
ripercorre lo sviluppo della specie.
Lo psicologo studia la logica formale ed il suo rapporto con la psicologia dello sviluppo
intellettuale.
problematica
• Il “colloquio clinico”
intelligente;
e processi di accomodamento;
c) prevalere di processi di accomodamento nelle attività imitative svolte dai
L.Vygotskij sostiene che l’origine del linguaggio è sociale. Le parole esprimono il pensiero
Costruttivismo
Prospettiva situazionista guarda all'agire della persona in una situazione comunicativa di gruppo
Lo spazio fisico per l’apprendimento deve avere banchi disposti a formare tavoli di lavoro per la soluzioni di
problemi condivisi ecc.
A Le discipline scolastiche
C Il sistema di valutazione
B Situazioni di disagio
D Situazioni di disagio
D Dalle discipline
C Materiali semplici
D Un curricolo essenziale
Un ambiente costruttivista è:
C Costruttivo di istruzione
C Essenziale
D Sociale
A File di banchi ordinati l'uno dietro l'altro per favorire ascolto e disciplina
B Una cattedra disposta in modo frontale rispetto agli allievi, così da favorire
un maggiore controllo da parte del docente e un'attenzione maggiore da
parte dei discenti
B Di amicizia
In Pedagogia l’allievo possiede, quale potenziale individuale di apprendimento (p.i.a.) Dispositivi cognitivi,
stili di apprendimento e strategie personali, esperienze e credenze.
Jerome Bruner
Bruner massimo esponente dello Strutturalismo 🡪 È una teoria dell'apprendimento che considera, da parte
del soggetto, il bisogno di costruzione e di strutturazione del reale, implicito nell'interazione io-ambiente.
Bruner supera Piaget che interpretava rigidamente gli stadi di sviluppo evolutivo.
Bruner supera la teoria degli stadi evolutivi formulata dal Piaget in quanto li interpreta come segmenti rigidi
di sviluppo nell’ambito dei quali interagiscono processi di apprendimento e processi di maturazione
analizzati al fine di determinare comportamenti e schemi mentali.
Secondo il Bruner tale segmentazione, invece, limita una reale conoscenza dei processi di pensiero infantili
e dei percorsi di apprendimento.
all’ambiente:
a) esecutiva
b) iconica
c) simbolica
Il rapporto che il bambino stabilisce con la madre rappresenta input fondamentale per
Aquisition Device) che vengono attivati dall’ambiente linguistico (LASS: Linguage Aquisition
System Supporty)
La scuola deve attivare i dispositivi di apprendimento con sfondi integratori altamente costruttivisti.
Il rapporto che il bambino stabilisce con la madre rappresenta input fondamentale per l’apprendimento del
linguaggio e la costruzione di strutture e costrutti linguistici in quanto la madre rappresenta per il bambino
il contatto primario con l’ambiente che lo circonda.
Elio Damiano
Le t.i.c. sono:
A Tecniche di apprendimento
D Dispositivi hardware
Lo strutturalismo:
J. Bruner:
J. Piaget:
Daniel Goleman:
D È un comportamentista
Gowin:
9 Novak:
Teorie dell'apprendimento e qualità dei processi
D È un comportamentista
Elio Damiano:
Il modello di saggezza in continuo divenire (sincod): Propone al soggetto uno sviluppo continuo per
migliorare
Integrare slide
1 ! Le competenze determinano:
Apprendimento e personalità globale
A Situazioni di apprendimento
C Ordine e compostezza
I docenti ricercano:
D Apprendimento di gruppo
La didattica di laboratorio:
D Insegna l'informatica
6
Apprendimento e personalità globale
Le dinamiche di gruppo:
A Soggettivi e personali
Il diario di bordo:
Le ramificazioni dell'io sono elementi motivazionali per orientare i processi di crescita e di inclusione sociale
: spiegare ai bambini le parti io bambino, adulto, genitore secondo analisi transazionale di Berne.
C Facilita la comunicazione
C I materiali prodotti
B In tempi circoscritti
C In età scolastica
C Il desiderio di compagnia
8
Gli ambienti di apprendimento
Il feedback è attivato:
C Dalla valutazione
Teorie cognitive (Piaget, Kurt Lewin, Bruner , Tolman)🡪 apprendimento è un processo cognitivo
che trae origine dal bisogno gli costruzione del reale. Viene analizzato come fatto globale
Vengono analizzati i diversi fattori incidono sul rapporto motivazione -apprendimento
Operatore→ buon comunicatore che ha il compito di facilitare l’acquisizione di una buona idea
di sè
Gli strumenti cognitivi→ conoscenze che divengono abilità nella loro dimensione applicativa,
saperi divengono saper far.
Peer tutoring
Dinamiche di gruppo
Interessante appare il modello “sincond” che sembra essere particolarmente efficace per promuovere
“saper essere” ovvero obiettivi formativi in tal senso. Ciascun soggetto, secondo il modello di “saggezza in
continuo divenire”, cresce e matura in modo costante e personalizzato. Si appoggia sul metodo Sincod
Protocollo quotidiano→ altro strumento oltre al diario di bordo che registra l’organizzazione e lo
svolgimento degli aspetti più importanti dei processi educativi e la valutazione degli esiti.
Tramite le buone pratiche il soggetto diviene consapevole del miglioramento continuo. Molto efficace in
questo senso l’applicazione di tecniche di benchmarking per individuare tappe di sviluppo in rapporto agli
obbiettivi, redigere curve di andamento dei processi nel tempo.
18. La valutazione
Valutazione in termini di funzione regolativa come idea di sè, autovalutazione in rapporto ai processi di
sviluppo e crescita globali.
Occorre individuare qual è la molla che spinge ad agire per prendere coscienza di sè e sapere quale
atteggiamento è risolutivo in una determinata situazione.
Ogni individuo sceglie quali sono le aree della propria vita che lo assorbono quotidianamente e descriverà
di conseguenza le ramificazioni che le sue azioni producono.
La cultura della valutazione è stata storicamente determinata dalla legge 517/77, consigliava di
valutare i processi di crescita, con valutazioni d’ingresso nel percroso, durante e alla fine.
Legge 169 2008 non muta l’oggetto della valutazione, quindi rimane una valutazione formativa.
Novità
Art. 2 – Valutazione del comportamento degli studenti anche in relazione alla partecipazione
alle attività ed agli interventi educativi anche fuori sede
Art. 3 Voto numerico espresso in decimi e non inferiore a 6/10 per l’ammissione alla classe
successiva o all’esame conclusivo del ciclo.
Art. 4 Valutazione sul rendimento scolastico degli studenti: dall’a.s. 2008-09 nella scuola
primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti e la certificazione delle
competenze sono effettuate mediante attribuzione di voti in decimi ed illustrati con giudizio
analitico sul livello globale di maturazione raggiunto.
Problemi:
Introduzione dei voti→ Equivoci circa una valutazione dei prodotti – e non dei processi – che si
traduce in un calcolo della media dei voti
Voto di condotta associato alla prevenzione ed al trattamento del bullismo→assume agli occhi
dell’utenza una valenza punitiva e non viene correlato con obiettivi formativi
Accountability:
POF e curricolo verticale che devono essere personalizzati sugli alunni e adeguati al contesto
socio-culturale
La valutazione ha funzione regolativa del POF, verifica congruenza tra scelte progettuali,
organizzative, le risorse, gli esiti.
Competenze si traducono in obiettivi formativi (saper essere) cittadinanza attiva, come agire e
relazionarsi nelle diverse situazioni
20. Accountability
Accountability termine che nasce in Inghilterra negli anni ‘80 e significa rendicontazione ovvero
assunzione di responsabilità. Lo troviamo tra i 7 principi delle norme della vita pubblica stilati a
Londra nel 94 e pubblicati nel 95 con il titolo “standards in public life”.
l’efficacia dell’azione
efficacia nell’uso delle risorse.
Inghilterra 1998 Education reform act, si istituisce un sistema di accountability esteso a tutte le
scuole della Gran Bretagna, noi abbiamo fatto ciò più tardi con le indagini PISA-OCSE (INVALSI)
Altro modo di rendicontare è di fare ispezioni nelle istituzioni scolastiche, così in Inghilterra
venne redatto un resoconto di tali ispezioni nel 1996 lo school inspections act.
Governo Thatcher introduce la libera iscrizione, in modo che la famiglia potessero scegliere
scuole con standard migliori.
Superamento del meccanismo di assegnazione automatica dell’istituto più vicino alla residenza
familiare.
21.
Accountability in USA
2002 Bush→ Legge federale chiamata “no child left behind”, introduce una rendicontazione dei risultati per
le scuole pubbliche.
Sistema di accountability prevede la verifica degli standard di contenuto e prestazioni→ se inferiori agli
standard le scuole hanno 5 anni per migliorare la loro offerta formativa, altrimenti riorganizzazione
completa della scuola.
Piano di miglioramento introduce elementi che rendano recessivi i punti deboli e potenzino i punti deboli.
Non vi sono standard nazionali , ma solo statali così come esami e prove, curricolo didattico.
Hanushek nel 2003 delinea i saperi essenziali che caratterizzano un sistema di accountability: deve
consentire di rilevare i risultati delle singole scuole, ci devono essere sanzioni e ricompense, deve isolare le
variabili ambientali (ceto ecc.) che hanno una grande incidenza sulla scuola e sui processi di
apprendimento.
L'approccio longitudinale viene per lo più utilizzato nelle sperimentazioni per vedere l’efficacia di
un’innovazione.
I progressi sono rilevati dal NAEP che è il programma americano di valutazione del sistema educativo, dal
1990, sia a livello nazionale che dei singoli stati
23.
Prestazione autentiche
Permettono allo studente di dimostrare ciò che “sa fare con ciò che sa”, utilizzando conoscenze, abilità e
disposizioni in situazioni contestualizzate, simili o analoghe al reale.
Prove di prestazioni importanti da definire, non sono solo compiti da assegnare agli studenti, ma
comprendere molte abilità e hanno un’applicazione diretta nella vita.
Si tratta di favorire nello studente la costruzione di una rete di strumenti, metodi, correlazioni, abilità
generali capaci di aiutarlo a formare un sistema dinamico autoconsistente di metodi, nozioni, legami,
abilità, e quindi la necessità di sviluppare approcci e strumenti per favorire l'esplorazione,
l'autovalutazione, la creazione di percorsi autonomi : imparare ad imparare.
Sistema di valutazione:
attribuzione di voti e valutazione della condotta, è necessario costruire un sistema di valutazione con
indicatori di conoscenze e di competenze e con descrittori di comportamento
24.
26.
Formazione e media
Giudizio di valore espresso su più dimensioni (formative e organizzative) del contesto scolastico con
l'indicazione della loro distanza da livelli definiti come ottimali. • La valutazione di sistema ha una natura
funzionale e serve principalmente ad orientare le decisioni di politica scolastica ed a regolare l'interno del
sistema.
Lo sviluppo qualitativo del sistema formativo è uno degli indicatori più importanti del livello di civiltà
raggiunto, subordinato alla consapevolezza del ruolo strategico dell’istruzione e dell’educazione nel
contesto delle politiche sociali, poiché il "profitto" sociale è indotto dalla qualità del sistema scolastico
In ogni settore della società civile in cui vi sia un'attività complessa, la qualità del servizio è direttamente
collegata alla qualità della ricerca che viene prodotta, tanto che l'abbassarsi del livello della ricerca
corrisponde al deterioramento del servizio stesso.
Metodologia scientifica
È stato osservato (Popper) che una corretta impostazione scientifica segue il modello a spirale problemi -
teorie - critiche.
Un analogo processo a spirale può essere previsto nel contesto scolastico, inteso come fornitore di un
servizio, in cui il percorso si articola in • analisi dei bisogni (problemi) • ipotesi di progetto (teorie) •
valutazione (critiche)
Documentazione: Uno dei drammi organizzativi e gestionali della scuola è che si tratta di un'organizzazione
senza memoria: all'interno di essa le persone fanno esperienze bellissime, destinate ad andarsene con chi
le ha fatte, senza che alla scuola resti nulla. Urge inserire la categoria della documentazione • Il servizio
scolastico non è un buon servizio se non: – si insegnano contenuti esplicitati e concordati; – si opera
collegialmente, in modo verificabile e formalizzato; – si tengono sotto controllo i costi.
Progettualità
• - La progettazione dell'attività scolastica deve avere come oggetto almeno tre elementi: – il percorso di
apprendimento, ed i risultati che gli alunni dovranno realizzare; – il percorso di insegnamento, cioè che
cosa la scuola si impegna a fare per indurre quei risultati; – il nesso - congetturale, probabilistico tra i due
processi.
Resta al MIUR il potere di indirizzo espresso dalle Indicazioni Nazionali per la costruzione del curricolo
La Psicologia guida ed orienta il cambiamento della scuola dove vanno a declinarsi ed applicarsi teorie e
principi di Psicologia
Il Governo di centro destra Moratti nel 2004 emana le Indicazioni Nazionali per la costruzione dei Piani di
studio personalizzati
Nelle alternanze governative il Governo Fioroni, di centro sinistra, introduce la costruzione del Curricolo
verticale:e esprime una continuità verticale, di accompagnamento della crescita dell’allievo nei segmenti
scolastici ed una continuità orizzontale con il territorio (famiglia etc).
Nell’ambito della continuità abbiamo anche l’esigenza di introdurre una discontinuità critica (Cerini) ovvero
livelli di problematicità dell’ambiente.
Nel curricolo occorrono livelli di discontinuità critica per far “inciampare” gli allievi nei problemi (Dario
Antiseri): dal problema nascono domande le cui risposte sono nei saperi disciplinari.
Traguardi di competenze:
Le Indicazioni Nazionali pongono i traguardi di competenze quali mete prescrittive (cfr. otto competenze
chiave dell’U.E. anno 2006), mettono anche l’accento sulla contestualizzazione delle conoscenze
nell’esperienza quotidiana.
Gli allievi sono bambini planetari perché sono a contatto con compagni di razze, etnie, religione, usi e
costumi diversi.
Allievi planetari che si muovono in tempi e spazi contratti e vengono a contatto con una pluralità di etnie e
culture.
Oggi l’Autonomia pedagogica sollecita una riflessione globale, rigorosa e sistematica sulle discipline
Le Indicazioni Nazionali chiedono ai docenti, per realizzare la centralità dell’allievo sia sul piano
organizzativo,sia su quello relazionale e didattico,di predisporre, in sostituzione dei Programmi
nazionali e dei documenti di programmazione didattica, Il CURRICOLO VERTICALE
la descrizione del contesto sociale della postmodernità e la definizione degli obiettivi formativi
dell’allievo in quadri culturali di un nuovo umanesimo dell’uomo planetario;
La definizione di obiettivi generali del processo formativo in linea con standard di qualità dell’offerta
formativa e con finalità formative di cittadinanza attiva
Nelle classi tradizionali (minimaliste), prevale la presenza delle banche d'informazione e dei compiti da
eseguire: agli studenti non è permesso di gestire il proprio apprendimento.
Gli ambienti costruttivisti sono, invece, ricchi. In essi prevale la presenza di strumenti per la
simulazione, per la costruzione di modelli, strumenti di authoring ipermediale: l'allievo è responsabile
del suo apprendimento (generativo, cioè attivo e autonomo, ancorato a problemi autentici, cooperativo),
mentre l'insegnante assume il ruolo di consulente, assistente e guida Si costruiscono sfondi integratori
ricchi di stimolazioni e densi di criticità.
Il problem posing
Dalla logica della Programmazione a quella della Progettazione e della Personalizzazione: costruzione
di un insieme organizzato di Unità di Apprendimento (UA) e di Unità di Lavoro nell’ambito del
CURRICOLO VERTICALE processo soggettivo di apprendimento costruzione delle discipline “dal di
dentro”
Psicologia Sociale
31.
Psicologia Sociale→La psicologia sociale è quella scienza che studia le caratteristiche universali dell’individuo in
relazione all’altro, inserito in un contesto sociale; cioè delle relazioni interpersonali e sociali.
Per concludere: la psicologia sociale si differenzia dalla sociologia che studia prevalente le società;
quindi l’ambiente sociale. Si discosta anche dalla psicologia della personalità interessata alle
caratteristiche dell’essere umano. Essa studia le caratteristiche dell’essere umano in relazione alle
caratteristiche dell’ambiente in cui vive, particolarmente ambiente sociale e di come questi due si
influenzano reciprocamente. E’ proprio la loro relazione l’oggetto della psicologia sociale.
L’Io secondo la fenomenologia è sempre coscienza intenzionata, cioè sempre in relazione con un TU
(inteso come altro soggetto, ma anche intero mondo). Husserl eredita questo concetto da Brentano.
Egli dà pari dignità alle forme trascendentali della soggettività e al mondo oggettivo, che esiste al di là
del pensiero. Si oppone così all’idealismo che fa dipendere la conoscenza esclusivamente dal soggetto
o (la realtà è pensiero). Si oppone anche al positivismo che, all’opposto dell’idealismo, esclude la
partecipazione attiva del soggetto dalla conoscenza.
Per la fenomenologia, invece, il soggetto pensante (persona) e la realtà oggettiva esterna (ambiente
fisico e sociale) coesistono, influenzandosi vicendevolmente, nel momento conoscitivo. Questo significa
che il soggetto in base alle sue funzioni percepisce in un certo modo la realtà, ma anche questa, per
come è fatta, condizione la persona e con le sue funzioni.
Non solo la conoscenza richiede una coessenzialità tra persona e ambiente fisico e sociale, ma il
costruttivismo afferma anche una cosa in più: persona e ambiente fisico e sociale si costruiscono nel
rapportarsi continuamente l’uno all’altro.
Questa visione (Popper 1972) ci pone di fronte ad una realtà dinamica e storica. “Dinamica” perché il
Sé all’interno di continue relazioni sociali si evolve arricchendosi dei diversi incontri. La crescita è data
da un rapporto dialettico tra dare e prendere dall’altro e dalla società. Proprio perché dinamica la realtà
e la conoscenza sono e divengono; in questo senso la verità è “storica” perché ciò che ci orienta non è
una verità assoluta, ma una ricerca di verità condizionata dalle credenze e valori del momento storico in
cui si vive.
In sintesi, secondo questa visione della psicologia sociale si terrà conto della :
1. Relazione coessenziale tra soggetto e società. Tutto quanto esiste è il frutto di continue relazioni.
Siamo sistemi che per esistere e sopravvivere si nutrono di relazioni. Le identità prese isolatamente
non hanno senso.
3. Cornice etica che fa da sfondo agli assunti di base della psicologia sociale. Ogni cultura fonda le sue
regole su norme morali. Quindi le regole di una società non sono solo funzionali alla sua
organizzazione per la sopravvivenza, ma sottostanno anche ad alcuni principi etici. Secondo Popper
l’uomo è l’unico essere vivente capace di morire per un’ideologia, quindi per un valore etico.
Il Sé umano, l’ambiente, la cultura e la loro relazione, in un’ottica fenomenologica/costruttivista
1. L’essere umano è caratterizzato da un livello razionale, uno fantastico (pensiero), da emozioni e dal
livello senso-motorio. E’ in interazione con il mondo sociale secondo tutti questi livelli
2. Questi livelli sono inseriti in una cornice etica che li orienta. Non basta che sia arrabbiato per
uccidere qualcuno.
Il livello razionale (o sfera razionale) rappresenta il "come" una persona legge la realta', piu'
banalmente come pensa.
- Il livello fantastico ( o sfera fantastica) è dato dalle immagini o anche da un pensare logico che non
necessariamente richieda esame di realta'. Io posso fantasticare di cose che non esistono e forse non
esisteranno mai.
- Il livello emotivo ( o sfera emotiva) ci dice chi veramente siamo in quel determinato momento. I nostri
pensieri possono camuffare cosa veramente proviamo, molto piu' difficilmente possono farlo le nostre
emozioni. Esse fungono da motivazione al nostro agire.
- Il livello senso-motorio, esprime quello che sentiamo e pensiamo attraverso posture somatiche,
contrazioni muscolari o parti eccessivamente controllate
I VALORI. Va sottolineata la dimensione etica. L’uomo, a differenza di una macchina e di altre specie
viventi, è alla continua ricerca di senso. Questa ricerca ha come presupposto i valori morali
Da alcuni studi recenti sembrerebbe che il bisogno etico sia, negli esseri umani, geneticamente
determinato.
I valori, per una società democratica del tipo europeo o Americano (Stati Uniti), che sottostanno alla
base dei nostri comportamenti sono:
Le relazioni necessitano del rispetto delle differenze. Punti di vista diversi creano conflitto. Secondo
Cattaneo, ciò che caratterizza una nuova idea è ch'ella nasce dal conflitto di più menti, e che fra le
diversi opinioni si giunga ad un accordo, in una mente solitaria, non sarebbe nata. Il conflitto può
essere superato con una posizione prepotente o collaborativa. L’atteggiamento intersoggettivo
rappresenterebbe proprio la possibilità di trovare compromessi possibili nel rispetto delle singole
società ed è l’atteggiamento richiesto ad una società democratica. Il rispetto per la soggettività dell’altro
è possibile grazie all’empatia che ci permette di cogliere i vissuti del TU mettendoci nei suoi panni,
come se fossimo lui, sapendo, però, di essere una persona diversa
La libertà etica rappresenta la capacita' di poter scegliere, non quello che si ritiene comodo, ma
quello che si considera più giusto. Questa è una prerogativa prettamente umana
La possibilità di scegliere ci rende automaticamente responsabili delle scelte che operiamo. Essa
dipende dalla consapevolezza che abbiamo relativamente alle conseguenze dei nostri comportamenti.
Non riteniamo responsabile un bambino di un anno se brucia la tovaglia con una candela accesa,
perchè non sa che il fuoco brucia. E’ responsabile una madre che lancia un oggetto contro il figlio
perché sa che può fargli molto male. Quindi, per stabilire la responsabilità di una persona per una certa
azione, è necessario che egli abbia consapevolezza delle conseguenze.
RELAZIONE TRA SÉ UMANO E IL CONTESTO SOCIALE Ogni società ha le sue regole quindi
influenza in un certo modo i singoli individui. Anche questi ultimi, però, influenzano le società. Essendo
diversi sono diversamente influenzati. Norme sociali e culturali condizionano i livelli razionale emotivo e
senso-motorio. Ci sono culture ad esempio che favoriscono il contatto fisico ed altre che lo aborriscono.
Una volta si diceva che i bambini non bisognava toccarli mai. E’ evidente che questo tipo di
atteggiamento creava difficoltà nella vicinanza fisica come anche nella dimensione sessuale.
Così, semplificando: - Le società orientali sono più centrate sul “divenire”, quindi sul fluire
dell’esperienza. Per la conoscenza razionale, l’intuizione quindi è preferita alla riflessione.
- Le società occidentali al contrario sono più centrate sull’ “identità” . Per la conoscenza razionale
prediligono la riflessione analitica. Quindi un’analisi delle situazioni che richiedono una presa a distanza
dall’esperienza diretta. Nelle relazioni preferiscono l’autonomia (non per i bambini ma per gli adulti),
facilitando la competizione,
ALUTAZIONE
B Emozioni e comportamenti
C Cognizioni ed emozioni
D Io, Es e Super Io
D Rispetto per noi stessi e per gli altri, scegliere ciò che è più giusto,
assumerci le responsabilità delle nostre azioni
La Psicologia Sociale nasce nel primo decennio del 1900 con la pubblicazione del libro “La Psicologia
dei Popoli” di W. Wundt—> Lo scopo dell’autore era quello di delineare l'evoluzione filogenetica della
mente umana a partire dai suoi prodotti collettivi (linguaggio, società, religione, arte, cultura, politica,
ecc.), osservati comparativamente in diverse condizioni storiche e socioculturali, secondo un'ottica
centrata sulla comunità e non sull'individuo..
All’inizio si cercava la psicologia obbiettiva, ottica positivista→ contributo del comportamentismo in questo
senso che studia il fenomeno osservabile.
Proprio il COGNITIVISMO si oppone con forza al comportamentismo. Nella sua formulazione iniziale,
costituita da costellazioni di singole teorie, emerge una visione dell’uomo come calcolatore: la mente
analizza ed elabora le informazioni in ingresso per trasformarle in altro. Il soggetto non è allora più
passivo, ma riscopre la sua natura creativa, intesa come la capacità di operare nell’ambiente
circostante, modificandolo.
GESTALT
Tra queste due macroteorie si collocano altre impostazioni teoriche, non meno importanti, quali la
psicologia della Gestalt, il cui oggetto di studio è il dato fenomenico immediato, cioè la realtà così come
si presenta all’esperienza, distinta dalla realtà fisica.
Tali principi sono stati applicati in maniera originale anche alla psicologia sociale, portando alla
formulazione di teorie (di particolare rilievo la teoria di Lewin) che sono state spunto di numerose
riflessioni successive.
la Psicologia della Gestalt che apre la strada all'importanza dell'elaborazione percettivo-cognitiva degli stimoli da
parte degli individui e dà un imponente rilievo all’interpretazione degli stimoli da parte dell’individuo. La teoria
della Gestalt pone cioè l'enfasi sui fenomeni così come l'individuo li percepisce e li vive, contribuendo così a far
abbandonare l'idea della “tabula rasa” e il paradigma della scuola di Wilhelm Wundt (1875), la quale voleva
ricondurre l'esperienza psicologica a singoli elementi costitutivi. Avanzata inizialmente come una teoria sulle
percezioni dell’individuo del mondo fisico, la psicologia della Gestalt studia il modo soggettivo in cui un oggetto
appare alla mente delle persone (la “Gestalt”, o forma), piuttosto che la combinazione degli attributi fisici
oggettivi: secondo questa teoria non è possibile comprendere il modo in cui viene percepito un oggetto
unicamente dallo studio degli elementi costituiti della percezione. L’intero è diverso dalla somma delle sue
singole parti. Bisogna concentrarci sulla fenomenologia del soggetto della percezione- vale a dire, sul modo in cui
un oggetto si presenta alle persone- piuttosto che sui singoli elementi dello stimolo dell’oggetto. L’ approccio
della Gestalt venne formulato per la prima volta in Germania nella prima parte del 1900 da parte di Kofka,
Kohler, Wertheimer e i loro studenti e colleghi. Sul finire degli anni ’30, alcuni di questi personaggi emigrarono
negli Stati uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste. Wolfgang Köhler diede evidenza empirica a quanto
affermato dalla Gestalt, dimostrando che il funzionamento della mente di fronte ad un problema è un processo
“produttivo”, che non avviene sulla base di tentativi ed errori, ma attraverso un preciso atto mentale che porta a
cogliere la relazione tra gli elementi presenti nel campo percettivo così da strutturarlo cognitivamente. Famoso è il
suo esperimento su uno scimpanzè, Sultano→ prende con il bastoncino troppo corto per arrivare al frutto, il
bastone più lungo posto fuori dalla gabbia.
Kurt Lewin→ padre della psicologia sociale, allievo di Kholer, formula la teoria del campo,
L’iniziativa più audace da parte di Lewin fu quella di applicare i principi della Gestalt alla percezione
sociale, al modo in cui le persone percepiscono gli altri e alle loro motivazioni, intenzioni e
comportamenti. Lewin fu il primo scienziato a comprendere appieno l’importanza di assumere la
prospettiva della persona che si trova in qualsiasi situazione sociale, per poter vedere come essa
contribuisce (percepisce, interpreta, cambia) l’ambiente sociale.
La teoria del campo:
La teoria del campo di Lewin spiega il comportamento in relazione alla situazione in cui lo stesso si
verifica. I motivi del comportamento di una persona non si ricercano in ciò che è accaduto alla stessa
nel corso della sua vita passata, ma si prendono in esame le interrelazioni attuali tra la persona e
l'ambiente. Generalmente la teoria del campo è sintetizzata con la formula:
C = f (P, A) in cui si mette in risalto che il comportamento (C) di un individuo è una funzione regolata
da fattori interdipendenti costituiti dalla sua personalità (P), e dall'ambiente (A) che lo circonda
Lewin utilizza metafore di tipo spaziale (psicologia topologica), poichè misurare in cifre le situazioni
umane risulta essere estremamente complesso. Egli ritiene che ogni oggetto (materiale e non), ha una
sua valenza, positiva o negativa. Queste valenze sono forze psicologiche che ci spingono in una
direzione piuttosto che in un'altra. Ci avviciniamo così alle forze positive e tendiamo ad allontanarci da
quelle negative. L'ambiente (definito anche “spazio vitale” o “campo psicologico” o “ambiente psichico”),
avendo anch'esso una valenza, può determinare il comportamento della persona che in esso si
relaziona.
Il campo psicologico presenta un insieme di fatti interdipendenti (passati, presenti e futuri), che
coesistono e che possono influire sulla persona. Essi sono: - lo spazio di vita (dato dalla
rappresentazione psicologica soggettiva che la persona ha dell'ambiente) - i fatti sociali e/o ambientali
(ciò che accade oggettivamente senza che ciò influenzi in quel momento lo spazio di vita della persona)
- la zona di frontiera (dove lo spazio di vita ed il mondo esterno si incontrano; rappresenta quindi il
confine tra oggettività e soggettività).
Riassumendo possiamo ritenere che la vera caratteristica del campo lewiniano è l’interdipendenza dei
fatti:
- le proprietà di ogni fatto derivano dalla relazione di tutti gli altri fatti presenti
- ogni fatto trova la sua spiegazione e la sua funzione nel partecipare alla dinamica stessa del sistema.
L’azione, promossa da un soggetto attivo, presenta risultati che modificano la situazione sia in senso
sociale che in senso psicologico (processo circolare).
Dinamiche di gruppo:
Nell’analisi lewiniana il gruppo è un fenomeno, non una somma di fenomeni rappresentati dall’agire e
pensare dei suoi singoli membri;
è un’unità che la psicologia sociale può assumere nel suo studio così come altre unita quali, ad
esempio, la persona. Il gruppo è un sistema dinamico: Lewin parla di totalità dinamica
Per quanto riguarda l'interrelazione tra le parti di un gruppo, Lewin fa riferimento all'interdipendenza del
destino e del compito.
-L'interdipendenza del compito costituisce un elemento più forte e diretto d'unificazione, perché lo
scopo determina tra i membri un rapporto di ripercussione circolare degli esiti. L'interdipendenza del
compito può essere positiva o negativa: nel primo caso, si ha collaborazione ed il successo di tutto il
gruppo; nel secondo, invece, si ha competizione e la riuscita di un membro a detrimento degli altri.
Ricerca azione: introdotta da Lewin negli anni ‘40, introduce la ciclicità tra teoria e prassi
, in modo che le ipotesi guidino le azioni e queste ultime modifichino le conoscenze stesse. La ricerca-
azione è, dunque, un processo ciclico che implica diverse fasi: a) è necessario identificare e definire in
maniera operazionale i problemi per i quali è necessario l’intervento; b) la raccolta dei dati permette di
determinare gli obiettivi dell’intervento; c) gli obiettivi sono tradotti in programmi di azione da
implementare; d) vengono valutati i risultati dei programmi di intervento, in modo da e)dare inizio a un
nuovo ciclo.
NEOCOMPORTAMENTISMO
Già dagli anni Trenta, il comportamentismo inizia a modificarsi e a essere messo in discussione dagli
studiosi del tempo. In quegli anni, le numerose scoperte delle neuroscienze sull’attività cerebrale
portano a disconfermare l’assunto di base del comportamentismo, ovvero che i processi mentali non
devono essere presi in considerazione, in quanto non conoscibili e osservabili. Nasce così il Neo-
comportamentismo, il cui obiettivo è rintracciare dei meccanismi di mediazione tra stimolo e risposta
Tra stimolo e risposta si interpone, cioè, la mediazione dell’ “organismo”. Tale mediazione, per alcuni
autori (come ad esempio Hebb), è di natura neurologica, mentre per altri è di natura più squisitamente
psicologica.
Si trasforma così in S-O-R: tra stimolo e risposta si interpone, cioè, la mediazione dell’ “organismo”.
Tale mediazione, per alcuni autori (come ad esempio Hebb), è di natura neurologica, mentre per altri è
di natura più squisitamente psicologica.
Toleman mappe cognitive che ci aiutando ad orientarci nel mondo, la risposta ad uno stimolo sarà
individualizzata.
. Tali mappe si costituiscono sulla base delle aspettative del soggetto in relazione alle conseguenze di
un comportamento specifico, piuttosto che sulla sua storia d’apprendimento. Il comportamento sarebbe
frutto di un “apprendimento latente”, dato dalla conoscenza dell’ambiente all’interno del quale il
soggetto agisce.
Ma la rottura profonda di Bandura con il comportamentismo avviene con la formulazione del concetto di
“autoefficacia percepita”
L’autoefficacia può essere definita come una capacità generativa la cui funzione è di
organizzare elementi particolari in modo da orientare le singole sottoabilità cognitive, sociali,
emozionali e comportamentali in maniera efficiente per assolvere a scopi specifica, supera il
concetto, rinforzo punizione.
L’autoefficacia, dunque, corrisponde alla convinzione di “sapere di saper fare”; essa deriva da
fattori di esperienza e di apprendimento sociale. In genere le persone con un basso senso di
autoefficacia percepita evitano i compiti impegnativi, al contrario, gli individui che hanno un alto livello di
autoefficacia percepita sono generalmente attratti da compiti difficili,
Un enorme contributo al clima culturale del cognitivismo è dato, negli anni Cinquanta, dai lavori di
Jerom Bruner (1956) e di Noam Chomsky (1957), con la riscoperta del “soggetto creativo”, che agisce
non solo in risposta a specifici stimoli ambientali, ma anche sulla base di competenze innate. Bruner,
nel suo pioneristico “A study of thinking” (1957), scritto insieme a Goodnow e Austin, analizza i processi
con cui si ottengono, mantengono e comunicano le informazioni. Si tratta di comprendere come gli
individui raggruppino il mondo circostante intorno a concetti tramite categorie, classi ordinate.Tali
categorizzazioni sono rese possibili dal linguaggio, che rappresenta così il mezzo tramite il quale la
mente struttura la “realtà”.
Al contrario, Chomsky, all’interno di “Le strutture della sintassi” (1957) ipotizza l’esistenza di un
dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD– Language Acquisition Device), che
presuppone l’esistenza di una “grammatica universale”, contenente la descrizione degli aspetti
strutturali condivisi da tutte le lingue naturali; l’acquisizione del linguaggio non consiste nell’imitazione
degli adulti, ma è un processo attivo di scoperta di regole e di verifica di ipotesi. La riflessione di
Chomsky sul linguaggio rappresenta una feroce critica all’impostazione comportamentista del
linguaggio.
Skinner infatti, nel suo “Verbal Behavior” (1957), aveva indicato come il linguaggio, al pari degli altri
comportamenti, fosse dipendente dagli stimoli ambientali e fosse modellabile da rinforzi e punizioni.
Il 1954 è l’anno di pubblicazione di “Handbook of Social Psychology”, in cui Sheerer espone l’ottica
cognitiva in psicologia sociale, sottolineando che “la teoria cognitiva si occupa soprattutto del problema
di come l’uomo raccolga informazioni e conoscenze del mondo che gli sta attorno e come agisca
nell’ambiente e sull’ambiente circostante in base a queste conoscenze” (Sheerer, 1954). Tuttavia, ben
presto la psicologia sociale di stampo cognitivo si discosta dall’impostazione auspicata da Sheerer, per
indirizzarsi in maniera specifica e quasi assoluta allo studio dei processi mentali in termini di “
trattamento dell’informazione”. Un proliferare di modelli derivati dalla teoria della comunicazione e della
cibernetica fa sì che prenda forma un paradigma per l’analisi della sequenza input-elaborazione-output.
Tale paradigma prende il nome di Human Information Processing (HIP), in quanto, come il nome
suggerisce, si propone di analizzare i processi di elaborazione delle informazioni.
In tale prospettiva la ricerca su cui il cognitivismo si concentra è l’analisi dei processi di raccolta e
trattamento dell’informazione; in questo senso, i modelli derivati dalla cibernetica risultano i più
adeguati a descrivere questo tipo di analisi.
1 Introduzione
A “Psychology as the behaviorist views it” di Watson
2 Comportamentismo
A Rinforzo
B Apprendimento
C Punizione
D Campo psicologico
B È un sistema dinamico
6 Neo-comportamentismo
A Osservazione
B Ostilità
C Organismo
D Ottimizzazione
A Condizionamento operante
8 La svolta cognitivista
A Skinner e Pavlov
B Bruner e Chomsky
C Tolman e Bandura
D Lewin e Watson
Per Chomsky l’acquisizione del linguaggio è:
B Modellata dall’ambiente
B A un computer
C A un labirinto
1 Introduzione
2 Comportamentismo
A Rinforzo
B Apprendimento
C Punizione
D Campo psicologico
B È un sistema dinamico
6 Neo-comportamentismo
A Osservazione
B Ostilità
C Organismo
D Ottimizzazione
A Condizionamento operante
8 La svolta cognitivista
A Skinner e Pavlov
B Bruner e Chomsky
C Tolman e Bandura
D Lewin e Watson
Per Chomsky l’acquisizione del linguaggio è:
B Modellata dall’ambiente
B A un computer
C A un labirinto
33.
La nascita del cognitivismo avviene per mezzo di un distacco graduale del modello comportamentale,
che fino agli anni Cinquanta aveva rappresentato la cornice epistemologica di riferimento della ricerca
psicologica. Nell’ambito specifico della psicologia sociale, la riflessione teorica risulta influenzata, da un
lato dall’eredità di Lewin e dall’altro dal modello neocomportamentista S-O-R. Questi modelli cercano di
dare risposte generali sul comportamento umano in relazione. Ad un certo punto si avverte la necessità
di una ricerca obiettiva, che fornisca leggi universali, su attività specifiche della psiche.
Essa ruota intorno alla constatazione che l’uomo ha una tendenza naturale a ricercare una coerenza
tra ciò che fa o dice e ciò che pensa, cioè tra comportamenti (ciò che fa) e atteggiamenti (ciò che
pensa). Tuttavia, quando la coerenza tra atteggiamenti e comportamenti viene a mancare, si genera
una situazione di disagio, definita da Festinger “dissonanza”.
Secondo Festinger, due elementi possono essere dissonanti tra loro per motivi di: logica interna
(“fumo” e “il fumo fa male”) contrasto con norme culturali (“mangio carne di maiale” e “sono
musulmano praticante”) contrasto con precedenti esperienze personali (“sono stato campione
olimpionico” e “sono sedentario”).
Affinchè si elimini la dissonanza tra due elementi, è possibile: produrre un cambiamento nell’ambiente,
se è questo uno degli elementi dissonnanti; cambiare il proprio comportamento; effettuare una
“ristrutturazione cognitiva” (ovvero, modificare il proprio mondo di opinioni e credenze in merito agli
elementi causa di dissonanza, attraverso ad esempio l’aggiunta di nuove informazioni e l’eliminazione
di altre informIn altre parole, per recuperare uno stato di equilibrio psicologico, o ci convinciamo che ciò
che facciamo vada bene (“i dolci non sono poi così calorici”), oppure ci decidiamo a comportarci
diversamente (limitiamo il consumo di zuccheri). azioni contrastanti).
La dissonanza insorge dunque nel momento post-decisionale, perché il soggetto continua a possedere,
a livello cognitivo, elementi che riflettono le caratteristiche favorevoli delle alternative rifiutate e le
caratteristiche sfavorevoli delle alternative prescelte. Non è il conflitto che invece sorge in un momento
predecisionale.
Oltre che in condizioni di libera scelta, la dissonanza può originarsi anche in caso di accordo forzato,
ossia quando siamo costretti ad agire in modo non coerente con le nostre opinioni personali. In questo
caso si può produrre il comportamento richiesto senza un effettivo mutamento dell’opinione personale:
si verifica cioè acquiescenza. Tale situazione può generare dissonanza. Si può produrre acquiescenza
attraverso l’offerta di una ricompensa oppure la minaccia di punizioni.
All’interno della discussione aperta dalla teoria festingeriana, Brehm e Cohen (1962) introducono il
concetto di commitment (impegno): più della scelta imposta (che genera sempre problemi), quello che
influisce sulla creazione di situazioni di dissonanza è il senso soggettivo della scelta, ovvero la
decisione di impegnarsi in una determinata azione.
Psicologia ingenua: Nel panorama delle mini-teorie, oltre a quella di Festinger, spicca la riflessione
teorica di Franz Heider (1958), che stupisce il panorama culturale americano in relazione al modo di
ragionare, riflettere e sperimentare sui fenomeni psicosociali, in quanto fa ricorso a quella che viene
definita “psicologia ingenua”.
Si occupa dell’attitudine delle persone ad interpretare in termini di stati mentali i nostri comportamenti e
i comportamenti degli altri a partire dalle informazioni derivanti dal senso comune e dalla nostra
esperienza. Questa tendenza che abbiamo di conoscere gli altri è una funzione adattiva:
Attribuzione causale:Il primo studioso che si è occupato dell’attribuzione causale è stato Heider (1958).
Egli considerava la persona profana come uno scienziato ingenuo, che, nel tentativo di spiegare il
comportamento (proprio e altrui) collega il comportamento osservabile a cause non osservabili.
Si pensano:
- Cause interne alla persona 1. Permanenti (disposizioni, tratti di personalità, abilità, intelligenza…) 2.
Temporanee (stato di salute, fatica, umore, motivazione…) - Cause esterne alla persona (situazione) 1.
Permanenti (difficoltà del compito, norme sociali, disposizioni dell’ambiente sociale..) 2. Temporanee
(cattivo tempo, umore delle altre persone…).
Questo tipo di analisi situazionale induce l’individuo a commettere spesso errori o bias di attribuzioni:
tendenze distorsive che avvengono abitualmente nei processi di interazione sociale. Tra questi errori
quelli che più comunemente un individuo compie sono:
L’errore fondamentale di attribuzione si riferisce alla tendenza generale delle persone a sovrastimare
l’impatto dei fattori disposizionali (cioè, attribuire le cause a fattori interni) e sottostimare i fattori
situazionali (cioè attribuire le cause a fattori esterni).
- la divergenza attore osservatore: esiste una tendenza diffusa che porta gli attori ad attribuire il proprio
comportamento a fattori situazionali, mentre gli osservatori spiegano lo stesso comportamento in
termini di fattori disposizionali-persona.
LA PSICOLOGIA EUROPEA
la Psicologia Sociale Europea era priva di una propria istituzionalizzazione, solo negli anni ’60 gli
americani presero l’iniziativa di riunire ad Oslo Sociologi e Psicologi sociali provenienti da tutta Europa.
- la psicologia sociale americana, detta anche “psicologia sociale psicologica” per le sue connessioni
con il cognitivismo e il comportamentismo
- la psicologia sociale auropea, detta anche “psicologia sociale sociologica” che deriva principalmente
dal contributo di Kurt Lewin.
Il filone europeo con Tajfel e Moscovici ha avuto più successo. Questi teorici hanno ben integrato, nella
ricerca, livello individuale e sociale
- Tajfel si dedica agli studi sull’identità sociale e le relazioni inter-gruppi in cui viene sottolineata la
dimensione sociale del comportamento individuale mentre la dimensione di gruppo e il contesto
d’azione sono considerati come costitutivi dell’individuo stesso.
- Moscovici si dedica agli studi sulle rappresentazioni sociali di secondo cui il processo di conoscenza
della realtà esterna è il prodotto di un costante confronto con altri punti di vista, non solo nell’interazione
immediata, ma anche nel rapporto con i sedimenti della costruzione collettiva della conoscenza
depositati nel senso comune e nei modi in cui uno specifico sistema sociale tende a spiegarsi i
fenomeni e gli eventi
3. Confronto Sociale: l'individuo confronta continuamente il proprio ingroup con l'outgroup di riferimento,
commettendo continui bias valutativi in favore del proprio ingroup. Il proprio gruppo viene
implicitamente considerato "migliore" rispetto agli "altri",
Ancoraggio: L’ancoraggio è un processo che permette l’assimilazione di stimoli nuovi al nostro sistema
di categorie e di porlo a confronto con quelli esistenti. Denominazione, classificazione ed
etichettamento sono le operazioni che permettono la categorizzazione di un oggetto, cioè di assegnarlo
ad una categoria in relazione al suo grado di somiglianza con un prototipo (
L’attribuzione causale:
1 La psicologia ingenua
A Comportamentismo
B Gestalt
C Mini-teorie
D Esistenzialismo
! La “libera scelta”:
7 La psicologia ingenua
A Tajfel e Moscovici
B Bruner e Chomsky
C Skinner e Pavolv
D Heider e Kelley
34.
La psicologia di comunità studia l’individuo in relazione alla società e non avulso dall’ambiente in cui
vive, partendo dal presupposto che l’identità personale non può prescindere dalla “rete sociale” in cui
siamo immersi. In questo capitolo vengono analizzati i principali riferimenti teorici che nel corso degli
anni hanno indagato la relazione persona-società, ponendo grande attenzione ai due obiettivi
fondamentali della psicologia di comunità: la prevenzione e l’empowerment.
- La prevenzione intesa come l'insieme di azioni finalizzate ad impedire o ridurre il rischio, ossia
la probabilità che si verifichino eventi non desiderati.
- L’empowerment come un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le
organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il
proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita.
APPROCCIO ECOLOGICO
Barker (1968) definisce i behavior setting come l’unità ambientale minima in cui si attuano
comportamenti intenzionali significativi.
In altri termini, sapere in quale contesto ambientale le persone agiscono, consente di comprenderne e
prevederne il comportamento anche avendo scarse informazioni sulle caratteristiche dei singoli
individui. Le aspettative e i modelli comportamentali di un certo setting tendono a rimanere stabili anche
quando le persone nel setting mutano. In questo senso il cambiamento di ambiente ad esempio il
trasferimento da una grande metropoli ad un piccolo centro di provincia porterà quella persona a
riadattare i propri comportamento secondo gli usi e costumi del nuovo contesto. L’analisi del’autore si
spinge a valutare il “sovradimensionamento” e il “sottodimensionamento”. Questi definisce
“sovradimensionamento” l’eccessiva presenza di persone ad occupare poche posizioni in un setting e
“sottodimensionamento” un setting nel quale non ci sono le persone sufficienti per occupare le posizioni
essenziali.
La psicologia Umanistica nasce in USA con il contributo di Rogers e Maslow, si oppone all
meccanicismo del Comportamentismo, ma anche alla prima psicoterapia freudiana che
rimetteva tutto alle pulsioni umane.
attenzione ale emozioni e all'esperienza soggettiva-> gruppo come sostegno alla realizzazione
del singolo.
Rogers focalizza 3 concetti chiavi per lo sviluppo
Maslow definisce sano l’individuo che liberamente sviluppa le potenzialità senza essere
conformista.
Sulla base dei principi delle correnti appena menzionate gli obiettivi principali della
psicologia di comunità sono:
Empowerment
Tipi di empowerment
• è specifico rispetto alla cultura, alla società e alla popolazione e quindi richiede che
l’azione sia calata nel contesto locale
• si basa sull’assunto che gli assetti culturali della comunità sono rafforzati attraverso il
dialogo e l’azione.
Comunità virtuali.
Gruppi sociali per valori condivisi, e non re nazonalità ,perde potere questo tipo di
identificazione in questo contesto, inoltre i rapporti sono velocizzati.
Per Wellman, studioso delle comunità virtuali, esse non vanno viste in contrapposizione
a quelle fisiche poichè diverse nei tempi, negli spazi e nelle modalità.
. La sempre crescente interazione e interdipendenza fra reale e virtuale contribuisce a
creare per l’individuo un nuovo ambiente sociale, caratterizzato dall’appartenenza a
molteplici reti di relazioni, fisiche e non, che determinano la nascita di quelle che
Wellman definisce “comunità personali” di ogni individuo,
Bauman sostiene che l'annullamento delle distanze spazio temporali, resa possibile
dalle nuove tecnologie, tende a polarizzare la globalizzazione. La comunicazione
all’interno delle comunità virtuali è una comunicazione sempre più veloce ma sempre
più incapace di tradurre la complessità di un messaggio, confondendone
pericolosamente una parte con il tutto; è una comunicazione consumistica, priva di un
reale valore di scambio ma destinata all'"usa e getta", senza impegno e senza
responsabilità reciproche tra comunicanti.
Nella società liquida prevalgono quelle che Bertman, citato in Vite di corsa, ha definito
'cultura dell’adesso‘ e ‘cultura della fretta’ che insieme mettono in crisi anche le
dimensioni costitutive più intime della personalità e del comportamento, come le
aspirazioni e le potenzialità di “costruirsi persone”
Vita liquida” e “modernità liquida” sono profondamente connesse tra loro. … Il carattere
liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita
liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o
di tenersi in rotta a lungo
Il comportamento dell’individuo
Lâeredità di Lewin
Passivo
Attivo
La psicologia umanistica
Bauman e Rappaport
Rogers e Maslow
Kant e Popper
Bruner e Chomsky
Interazione ed empowerment
Prevenzione e interazione
Prevenzione ed empowerment
La prevenzione
L’empowerment organizzativo:
Lâempowerment
Le comunità virtuali
Zygmunt Bauman
Società critica
Società morta
Società virtuale
Società liquida
Questa teoria è fondata sul fatto che i primi tipi di attaccamento hanno un substrato
biologico.
. Questa teoria dimostra come i primi legami affettivi possono o meno creare una
personalità sicura
In un articolo del 1991 pubblicato sull’ “American Psychologist “ John Bowlby e Mary
Ainsworth definiscono la teoria dell’attaccamento come un approccio etologico allo
sviluppo della personalità. All’interno di questo percorso evolutivo, Bowlby sottolinea il
primato dei legami emotivi tra il bambino e le sue figure di accudimento, in particolar modo la
madre e le conseguenze negative di relazioni di attaccamento carenti→ esperimento di Harlow
sulle piccole scimmie Rhesus.
L’apporto decisivo che Mary Ainsworth fornì alla teoria dell’attaccamento fu quello di
aver individuato, per la prima volta, tre modelli tipici di attaccamento, attraverso la
messa a punto di una accurata procedura sperimentale su base osservativa : la Strange
Situation Procedure (SSP). Questo strumento si proponeva di valutare l’equilibrio tra il
sistema di attaccamento e il sistema di esplorazione del bambino. Si tratta di una
procedura standardizzata effettuata in un laboratorio che consiste nell’osservazione di
otto sequenze, per una durata totale di circa mezz’ora. Le sequenze in questione sono
costanti e stabiliscono che il bambino (di 12 mesi d’età) sia in compagnia, congiunta o
alternata, della madre e di una persona estranea. Si passa quindi ad osservare le
reazioni del bambino alla separazione e al ricongiungimento alla madre e l’intera
sequenza viene videoregistrata. I bambini presi in considerazione hanno un’età non
inferiore ai dodici mesi, che corrisponde all’inizio della deambulazione. La peculiarità
della procedura ovvero, l’ambiente nuovo nel quale il bambino si trova, la presenza di
un adulto estraneo e il successivo allontanamento della madre sono tutti fattori di stress
per il bambino che non fanno altro che promuovere in lui la comparsa di un
comportamento d’attaccamento. I momenti cruciali sui quali si focalizza l’attenzione
sono quelli della separazione del ricongiungimento alla madre.
I bambini “sicuri” (tipo B) (66 %) alla separazione dalla madre piangono, si disperano,
la chiamano affannosamente e cercano di seguirla; al ricongiungimento cercano subito
un contatto con lei. Una volta tranquillizzati sono in grado di riprendere il gioco interrotto
e di esplorare liberamente l’ambiente intorno a loro, appaiono di nuovo felici e sicuri. Le
osservazioni domestiche evidenziarono che questi bambini sicuri potevano fare
affidamento su delle madri affettuose ed attente che spesso si intrattenevano con loro.
Nel bambino l'aspettativa circa l'accessibilità e responsività della madre si costruisce
proprio attraverso l'esperienza di averla vissuta come generalmente sensibile e
responsiva ai propri segnali. Egli ha interiorizzato una buona fiducia di base nei
confronti della madre percependola come una base sicura alla quale può fare sempre
riferimento in tutti i momenti di paura, difficoltà, stress e dolore.
Gli studi di Mary Main e colleghi, ideatori dell’ Adult Attachment Interview (AAI), hanno
permesso di identificare l’esistenza di un forte legame tra il tipo attaccamento del
genitore e quello del bambino che si manifesta attraverso la capacità della madre di
rispondere in maniera adeguata alle richieste del piccolo e di interpretare correttamente
i suoi bisogni.
I soggetti classificati come sicuri – autonomi (free), parlano in maniera sicura delle
proprie esperienze di attaccamento, il loro racconto è coerente. Il quadro che emerge
attraverso i loro ricordi non è per forza quello di un’ infanzia totalmente felice e
spensierata, ma sono comunque arrivati ad elaborare le proprie esperienze con le figure
di accudimento in maniera chiara e consapevole. Sono in grado di parlare liberamente
sia degli gli aspetti piacevoli che di quelli dolorosi.
Gli adulti classificati come distanzianti – dismissing (Ds), hanno pochi ricordi, le risposte
sono generalmente brevi . Essi tendono a minimizzare l’influenza che tali esperienze
hanno avuto sulla loro vita. La descrizione è spesso idealizzata o al contrario
svalutante.
Gli adulti definiti preoccupati – coinvolti, entangled (E), riportano generalmente frasi
lunghe e confuse, incomplete o incomprensibili. Il loro stato mentale è confuso e non
obiettivo rispetto alla propria esperienza di attaccamento. Spesso usano frasi dirette,
rivolte al genitore come se fosse lì Rabbia e confusione la fanno da padroni. Si tratta di
persone ancora coinvolte, invischiate in dinamiche familiari passate e presenti.
Infine, gli adulti assegnati alla categoria non risolto – unresolved (U), manifestano una
mancata risoluzione di episodi traumatici come lutti e abusi. I soggetti manifestano un
coinvolgimento ancora vivido e quindi attuale, unitamente a uno stato mentale
disorientato, rispetto a queste esperienze traumatiche. Questa classificazione è sempre
accostata a una delle altre tre categorie principali per meglio definire l’intervista nel suo
complesso.
La cosa più rilevante che emerge dai diversi studi che correlano l’AAI alla SSP, è che
non sono tanto gli eventi infantili dei genitori in quanto tali, positivi o negativi che siano,
a predire la qualità della relazione di attaccamento con i propri figli, bensì quanto questi
siano stati elaborati e integrati in un modello coerente di sé (Caviglia,2003). La
corrispondenza tra attaccamento sicuro o insicuro del bambino e del genitore è del 78%
(Main 1995). Tutti questi dati non fanno altro che avvalorare l’ipotesi bowlbiana della
trasmissione intergenerazionale dei modelli operativi interni.
Attaccamento con lutti o traumi non risolti (U) Attaccamento disorganizzato (D)
(Hesse,1999)
L’etologia è definita come:
Introduzione
Introduzione
Introduzione
Un insieme di regole che la madre fornisce al bambino nei primi tre anni
di vita
Introduzione
Attaccamento sicuro
Attaccamento multiplo
Attaccamento disorganizzato
Attaccamento ansioso-ambivalente
Konrad Loren
Mary Main
Mary Ainsworth
Parlare liberamente di sé
Insieme iniziarono a studiare il lavoro di alcuni tra i più famosi terapeuti dell’epoca: Fritz
Perls, creatore della Gestalt, Virginia Satir, terapeuta familiare, e Milton Erickson,
ipnoterapeuta di fama mondiale. Il tutto, sulla scia degli studi di Gregory Bateson,
antropologo inglese esperto di comunicazione e teoria dei sistemi.
Partiamo dal presupposto che in qualsiasi situazione ci troviamo, noi non siamo passivi
recettori di stimoli, ma ne “selezioniamo” ed “elaboriamo” solo alcuni, ignorandone altri.
Tutto questo però senza averne consapevolezza. Questo meccanismo viene attivato
per rispondere ad un principio economico dell’organismo.
Perché si chiama così: L'idea di base è che ci sia una connessione fra: I processi
neurologici ("neuro"), il linguaggio ("linguistico"), gli schemi comportamentali appresi
con l‘esperienza ("programmazione").
l motivo per cui la PNL ha riscosso enorme successo (sia in termini di diffusione di
manuali e testi, ma anche di corsi e seminari) risiede proprio in quelli che sono gli
obiettivi che essa si pone: migliorare la comunicazione interpersonale e controllare
alcuni processi del nostro cervello che nonostante siano “automatici”, possono essere
riportati alla coscienza per essere modificati in accordo con i propri obiettivi
3.1. I canali di accesso I segnali d’accesso costituiscono il modo in cui i cinque sensi si
interfacciano alla realtà immagazzinando l’informazione che poi verrà raccolta nella
memoria. Andremo brevemente qui a considerare i SEGNALI OCULARI D'ACCESSO
(basandoci sul libro di Bandler R., Grinder J., “La Struttura della Magia” del 1975).
Esiste un stretto legame tra corpo e mente: nel corpo riflettiamo i nostri processi mentali
attraverso macro e micro movimenti delle mani, degli occhi e di tutto il corpo. Quindi,
come sottolineato più volte, secondo la PNL è possibile comprendere il comportamento
ed i processi mentali di chi ci sta di fronte a partire da indici non verbali, come i
movimenti oculari. Questo perché, se osserviamo la persona con cui stiamo parlando,
noteremo che raramente ci fisserà in modo continuo, spesso le sue pupille si
muoveranno in varie direzioni, soprattutto quando è lei a parlare.
V = visualizzazione. Quando una persona guarda in avanti con lo sguardo sfocato sta
creando delle immagini. Un esempio tipico riguarda gli studenti che sembrano guardare
e vedere l'insegnante che sta spiegando, mentre in realtà pensano ad altre cose. Vc =
Visivo costruito. Il movimento in alto a destra dei bulbi oculari indica un accesso
all’emisfero sinistro del cervello durante le operazioni di costruzione delle immagini.
Vr = Visivo ricordato. Il movimento in alto a sinistra dei bulbi oculari indica un accesso
all’emisfero destro del cervello durante le operazioni di richiamo delle immagini
effettivamente viste.
I processi mentali di filtraggio delle informazioni vengono raccolti, dalla PNL, in tre
categorie:
Questo è uno dei principi della PNL: se ci troviamo in accordo, in allineamento (dal
punto di vista verbale e/o non verbale) o se c’è somiglianza con l’altra persona, allora il
rapporto sarà di armonia, affinità e concordanza, ovvero si è in uno stato di rapport con
quella persona.
CosâÚ?
Il cervello umano:
CosâÚ?
La PNL è:
Una scienza
Il “Rapport”:
I canali di accesso
Il movimento in orizzontale a sinistra dei bulbi oculari, che
indica le operazioni di richiamo dei suoni effettivamente uditi
È inevitabile
37.
Analisi Transazionale
L'Analisi Transazionale è un approccio psicologico nato nel corso degli anni 50' negli
USA, precisamente in California a San Francisco, dal lavoro e dalla riflessione di un
gruppo di psicoanalisti che vedono universalmente riconosciuto come caposcuola e
fondatore del movimento lo psichiatra Eric Berne. Il nome stesso della teoria definisce
chiaramente l'oggetto principale di analisi: “la Transazione”. Con transazione indichiamo
lo scambio che si verifica tra due o più persone, ad esempio un dialogo o anche uno
scambio di manifestazioni di affetto. D'altro canto il termine “Analisi” ci suggerisce al
contempo che questa teoria riguarda pure gli aspetti più interni e profondi dell'individuo.
L'Associazione Internazionale di Analisi Transazionale la definisce come “Una teoria
della personalità e una psicoterapia sistemica ai fini del cambiamento e della crescita
della personalità”
L’analisi transazionale, come vedremo, ha come oggetto lo studio di alcuni
comportamenti umani caratterizzati da certi ruoli sociali quali il Genitore, il Bambino,
l’Adulto. Inoltre approfondisce lo studio di ruoli (giochi di ruolo) e copioni, come sintesi
tra attitudini personali e interazione sociale.
Nella figura 1 del precedente paragrafo è rappresentato il modello strutturale degli stati
dell'io, che guarda al contenuto, con la figura seguente riportiamo invece il modello
funzionale degli stati dell'io, che riguarda il processo, il modo in cui utilizziamo gli stati
dell'io e dunque il modo in cui ci presentiamo al mondo. “Il modello funzionale classifica
i comportamenti osservati, mentre il modello strutturale classifica i ricordi e le strategie
immagazzinate in memoria”(Stewart – Jones, 1987).
Ogni Stato dell'Io, infatti, può essere caratterizzato da una diversa funzione operativa
che descrive come una persona usa i suoi stati dell’Io per rapportarsi a se stesso e agli
altri. Come vediamo in figura Lo Stato dell’Io Bambino è diviso in due, Bambino Adattato
e Bambino Libero. Quando ci comportiamo usando lo stato del Bambino Adattato si
evince molto facilmente dal nostro comportamento che siamo sotto il dominio
dell'influenza genitoriale, in sintesi ci comportiamo in risposta a quelle che sono state le
aspettative genitoriali. Il Bambino Adattato può essere compiacente, laborioso,
accondiscendente, per lo più asseconda le regole, ma Bambino Adattato può anche
essere colui che esprime un comportamento di ribellione alle regole e seppure facente
parte della categoria BA, viene indicato come Bambino Ribelle. Esempio di Bambino
Adattato: Immaginate una situazione lavorativa in cui un vostro collega vi chiede
costantemente di effettuare dei cambi turno, motivandone la necessità con
problematiche di ordine familiare e rimandandovi spesso “Dai che tu non hai ancora
famiglia e sicuramente sei più libero di me!” Questa stessa persona al lavoro è un punto
di riferimento per voi, quando siete arrivati non sapevate quasi nulla di come si svolgeva
il lavoro e lui vi ha insegnato molte cose. A mano a mano vi accorgete che per andare
incontro alle esigenze del vostro collega state lavorando quasi tutti i fine settimana del
mese, come conseguenza le vostre uscite con gli amici si sono notevolmente ridotte,
cosa che vi dispiace molto. Cosa vi spinge a sentirvi così in obbligo con questa
persona? Oramai avete anche iniziato a covare un po' di rabbia nei suoi confronti,
pensate che forse se ne approfitta un po' e cominciate a domandarvi “Ma perché non
riesco a dirgli di no?” La risposta è semplice, non volete rischiare di sembrare poco
comprensivi con lui, di modificare l'immagine che lui ha di voi, in sostanza di
compromettere il vostro rapporto! Assecondate quindi il bisogno dell'altro rinunciando
ad uno vostro in fondo in fondo per paura di poter essere giudicati male. Esperienza di
questo tipo sono molto comuni, e secondo l'AT andando a risalire all'infanzia di un
individuo come quello descritto nell'esempio è facile rintracciare esperienze di crescita
in cui le figure genitoriali di riferimento hanno mandato forte il messaggio di dover
compiacere per essere voluti bene. Sin dalle prime esperienze di vita, abbiamo
imparato che alcuni nostri modi di essere erano proibiti o rifiutati dai nostri genitori, così
come dal contesto sociale di appartenenza, di conseguenza, abbiamo iniziato a
reprimere tali espressioni per poter vivere tranquilli. Come abbiamo già accennato, una
forma di BA potrebbe però essere anche meno remissiva di quella descritta, viene infatti
definita come Bambino Ribelle. Il comportamento di ribellione alle regole è comunque
una risposta ad una aspettativa genitoriale, solo che invece di corrispondere facciamo
tutto il possibile per fare il contrario delle regole che ci sono state imposte. Anche in
questo caso le nostre energie anziché essere impiegate per fare ciò che desideriamo
vengono impiegate per contravvenire a delle regole. Questa modalità ad una
osservazione superficiale farebbe molto pensare alla “Libertà” , ma la libertà di
esprimere realmente ciò che si vuole, in termini di comportamenti, atteggiamenti,
pensieri ed emozioni è quella del bambino libero (BL) che si traduce nella spontaneità e
non nella ribellione alle regole sociali. Si può essere spontanei e liberi rimanendo
perfettamente ancorati alle regole che caratterizzano il nostro contesto sociale Esempio
di bambino ribelle: Il vostro capo assegna alla vostra equipe di lavoro un compito molto
difficile da finire entro un termine prestabilito. Vi accorgete che non avete molto tempo
per portarlo a termine, di fatto avete lo stesso tempo che hanno tutti, ma a scadenza
avvenuta vi trovate a dover dire al vostro capo che non siete riusciti a portare al termine
il lavoro e, cosa particolare, dentro di voi sentite una strana sensazione di rivalsa, vi
dite: “Ah, così la prossima volta impari a darmi così poco preavviso!”. In entrambi gli
esempi riportati la spinta a comportarci in maniera adattata è inconsapevole, ma di fatto
produce un danno per la nostra vita. In sintesi tutte le volte che rispondiamo alle
pressioni esterne in maniera analoga a come da bambini reagivamo alle regole siamo
nel Bambino Adattato. In particolare, se riproduciamo un comportamento di ribellione
siamo nel Bambino Ribelle. La funzione del BA non produce solo danni, anzi, è molto
importante nel processo di crescita di ciascuno, il Bambino Adattato ha aspetti positivi
proprio perché fa si che possiamo adattarci alle regole sociali del contesto in cui
viviamo, e quindi quando riproponiamo gli schemi di adeguamento acquisiti,
risparmiamo energia mentale e otteniamo quello che vogliamo senza disagio per noi
stessi o per gli altri (Es.: guardiamo a destra e a sinistra prima di attraversare). E’
negativo, invece quando ci comportiamo in un modo che non è adeguato alla nostra
situazione da adulti (Es.: arrossiamo quando parliamo in pubblico, mettiamo il broncio
per richiedere attenzioni, abbiamo reazioni di angoscia esagerata di fronte ad una
separazione). Il Bambino Libero, chiamato anche Bambino Naturale, è quella parte che
si esprime spontaneamente senza preoccuparsi delle reazioni dei genitori. Questa
funzione espressiva è poco rispettata culturalmente proprio perché viene richiesto molto
adattamento. È vero anche che la comunità ha bisogno di regole per funzionare e per
organizzarsi. Alcuni teorici sostengono che anche il BL possa avere aspetti negativi, un
esempio molto simpatico degli effetti dannosi che può avere la libera espressione del
BL lo si trova sempre nel testo di Stewart e Joines citato prima. Si descrivono infatti le
conseguenze che potreste avere se ad esempio vi metteste a ruttare liberamente
durante un pranzo di gala. Chiaramente starete esprimendo il vostro BL e non vi starete
censurando, ma le conseguenze per voi nel rapporto con gli altri sarebbero
sicuramente meno negative se invece di ruttare aveste deciso di trattenervi, in sostanza
di adattarvi alla situazione. Qui è chiaro anche ciò che dicevamo prima rispetto
all’importanza del BA, in quanto ci consente, senza troppi sforzi, di stare alle norme
culturali di appartenenza. In psicologia sociale quando parliamo di norme ci riferiamo a
delle aspettative condivise di come dovrebbero comportarsi i membri di un gruppo. Se
pensiamo agli stati dell’io possiamo facilmente domandarci: “Come ci aspettiamo debba
essere il comportamento di un genitore nella nostra cultura?” “E quello di un bambino?”
“Come viene identificato l’atteggiamento di un adulto nelle diverse culture?” Berne nella
sua definizione degli stati dell’io ha tenuto conto delle definizioni sociali che la cultura, in
questo caso quella della società occidentale, attribuisce al genitore, all’adulto e al
bambino. La spontaneità che caratterizza i bambini per come il nostro sistema sociale e
culturale li identifica non apparteneva di certo alle caratteristiche che facevano di un
bambino ciò che culturalmente ci si aspettava dovesse caratterizzarlo prima nel 1800.
Tutto Andando avanti nella lettura tenete presente questo inciso che ci da la misura di
come sia sempre presente, seppure stiamo descrivendo una struttura intrapsichica, il
livello di inter-relazione tra individuo e lo specifico ambiente sociale in cui è inserito.
Lo Stato dell’Io Adulto non è suddiviso. É lo stato dell'io che manifesta la sua funzione
operativa attraverso una elaborazione logica dei dati. É l’osservazione di una persona
che è nel qui ed ora, che fa domande, che raccoglie informazioni e che agisce, come
abbiamo già accennato, risponde congruentemente alla realtà che lo circonda. Sempre
a proposito di norme sociali prendiamo un attimo ad esempio un esperimento di Asch
del 1951
Passando allo Stato dell’Io Genitore vediamo che sono descritte due funzioni operative:
Genitore Normativo e Genitore Affettivo. Il GN si manifesta attraverso una serie di
messaggi proibitivi, fortemente protettivi, esigenti ecc. Un verbo che caratterizza
l'espressione di questa parte è il “Devi”. Molto spesso da bambini i nostri genitori ci
dicono cosa fare, ci controllano, ci criticano con frasi del tipo “ Non correre per strada”
“Devi studiare” “Devi andare a dormire presto” “Stupido” “Buono” “Intelligente” “Scemo”
e così via. A livello del comportamento non verbale questo stato funzionale appare un
po' rigido. Il GA si manifesta invece attraverso atteggiamenti e messaggi per lo più
permissivi che possono essere utili o meno al bambino, sono messaggi di sostegno, di
accoglienza, di benevolenza. Le funzioni del genitore possono rivolgersi sia all'esterno,
quindi verso altre persone, che, attraverso un dialogo interno, al nostro stato dell'io
Bambino interiore. Così come per il BA anche GN e GA possono avere sia funzioni
positive che negative. Fu un allievo di Berne, Stephen Karpman , ad ipotizzare la
presenza di questi due versanti per ogni funzione degli stati dell'io. Per positivo
intendiamo quel versante le cui modalità operative favoriscono scelte e comportamenti
di tipo costruttivo sia per l'individuo che per la società. Il versante negativo è invece
riferito a quelle operazioni che favoriscono scelte e comportamenti sia auto che etero
distruttivi. Il GN è positivo quando è in grado di dare direttive ferme, adeguate alle
circostanza, senza svalutare l'altro. Pensiamo ad esempio all'importanza delle regole
come guida e contenimento per il bambino. Il GN è negativo invece quando è
fortemente castrante, giudicante, estremamente proibitivo anche quando non ce ne è
effettivo bisogno. É colui che nell'atto di criticare l'altro tende a sminuirlo, o nel dialogo
interno tende a sminuire il nostro stato dell'io bambino. Pensate a tutte le volte che vi
siete detti “Cretino! Sono un cretino! Non devo fidarmi mai più delle persone”. In questo
caso non è altro che il vostro GN negativo interno a giudicare il vostro stato dell'io
bambino, magari proprio quello libero che si era lasciato andare in una relazione che poi
è finita male. Lo stato dell'io Adulto ad una stessa condizione avrebbe reagito provando
dolore per la separazione, sentimento congruente con l'evento, ma senza generalizzare
a tutto il genere umano un estremo atteggiamento di diffidenza. Passando al GA
positivo, è colui che si prende cura di se stesso e degli altri quando esiste un reale
bisogno, pensiamo all'importanza di una vicinanza affettiva, di un sostegno, di rinforzo
positivo e accompagnamento sano alla crescita personale. D'altra parte anche un GA
può essere negativo nella misura in cui si sostituisce al bambino, fa le cose al posto suo
per agevolarlo, è estremamente permissivo, non è capace di dare frustrazioni
importantissime per la crescita personale. Mette in atto tutta una serie di comportamenti
che seppure apparentemente buoni, di fatto compromettono molto le possibilità di
crescita individuale, comportamenti che sono finalizzati a mantenere una relazione di
dipendenza. In sintesi tende all'iperprotezione interferendo con la maturazione e la
presa di responsabilità dell'altro.
! L’analisi transazionale è:
I. Stewart
E. Berne
S. Karpman
E. Aroson
Una transazione è:
Uno scambio tra due persone o più persone, sia verbale che
non verbale
38.
Transazione
Transazioni ulteriori:
Siamo ora del principio dell'Okness che è alla base di tutte le teorizzazioni dell'Analisi
transazionale e che descrive in pratica una posizione esistenziale, un modo di intendere le
persone, → Harris
Tabella 1
Io non sono ok tu non sei ok Niente va bene,non c'è nulla da fare (desolazione e
impotenza)
Questo concetto indica che tutte le persone di base possiedono un potenziale, un valore
che quindi sono sostanzialmente “OK”.
Pensate ad esempio ad un bambino che viene maltrattato e/o fortemente trascurato dai
propri genitori, egli per proteggersi svilupperà un atteggiamento difensivo nei confronti
degli altri che possiamo definire sano in quanto gli garantirà protezione. Ma lo stesso
atteggiamento in età adulta può trasformarsi in una incapacità di affidamento agli altri, di
amore, in un atteggiamento controllante verso l'esterno che continua ad essere
percepito come minaccioso anche quando di fatto non lo è.
Quante volte vi sarà capitato di dire a voi stessi “Ma come è possibile che quella data
cosa, situazione, o altro che riguarda la vostra vita, vada sempre a finire allo stesso
modo?” “Perché continua a succedermi sempre la stessa cosa?” E. Berne ha spiegato
tutto questo con la teoria dei giochi, in uno dei suoi testi aveva definito i giochi come
una serie di transazioni ulteriori che conducono ad un tornaconto ben definito. Quando
parliamo di tornaconto in AT non ci riferiamo ad una cosa convenzionalmente positiva. Il
tornaconto ha a che vedere sì con quanto noi ricaviamo da una certa situazione, ma
non nel senso di guadagno oggettivo, ma nel senso di una riconferma. Il tornaconto è il
finale prestabilito di un gioco, ed è legato al nostro copione di vita.
1. Ripetitività: Ogni persona gioca il suo gioco più volte nel tempo, gli altri interlocutori o
la situazione può variare, ma lo schema del gioco rimane lo stesso
4. I giochi comportano uno scambio di transazioni ulteriori tra gli interlocutori: ciò che
accade a livello di scambi sociali è diverso da ciò che accade a livello psicologico.
Secondo Karpman, ogni qualvolta giochiamo entriamo in uno dei ruoli descritti in figura,
Persecutore, Salvatore o Vittima Il persecutore sminuisce gli altri e li calpesta, la sua
posizione è “Io sono ok, gli altri non sono ok”, gli altri sono dunque considerati come
inferiori a lui. La sua posizione è one-up. Anche il Salvatore considera gli altri inferiori a
lui, e si mette in una posizione di superiorità aiutando gli altri piuttosto che calpestandoli,
ma allo stesso modo sente di essere superiore, la sua convinzione è questa: “L’altro
non è capace per cui sono io a doverlo aiutare”. Una vittima invece si trova in una
posizione “Io non ok” , si considera inferiore “one-down” e spesso si troverà incastrato in
relazioni o con Persecutori o con Salvatori. Ognuno dei tre ruoli comporta comunque
una svalutazione, o verso gli altri (Salvatore e Persecutore) o verso se stessi (Vittima).
Quando una persona si trova in uno di questi tre ruoli sta rispondendo al passato, più
che alla situazione attuale, sta utilizzando vecchie decisioni di copione per affrontare
situazioni del qui ed ora, per questo vengono considerate come posizioni non
autentiche e caratterizzate da emozioni parassite. Di solito durante un gioco si parte da
una posizione per arrivare ad un'altra. Pensate a Jack e Jean, a come i ruoli
Persecutore/Vittima si siano capovolti alla fine della storia. Possiamo utilizzare i giochi
anche per confermare le nostre posizioni di vita, quelle descritte nel paragrafo
sull’Okness. Una persona come Jean, che gioca a “Ti ho beccato figlio di Puttana” è
sostanzialmente convinta di stare confermando la posizione “Io sono ok, tu non sei ok”.
Esistono transazioni:
Transazioni
Transazione ulteriore
Transazione ulteriore
Transazione ulteriore
L’Okness descrive:
Vittima
Salvatore
Carnefice
Ripetitività e Circolarità
39,
Attenzione all’infanzia nasce con Rousseau nell’800, prima erano piccoli adulti.
E’ emerso così che il neonato, il bambino e poi l’adolescente differiscono dall’adulto non
solo per capacità quantitativamente ma anche qualitativamente diverse. I nuovi
atteggiamenti sociali hanno sviluppato competenze diverse: il bambino dell’800 era
diverso da quello del 900 e ancora di più da quello del 2000
La psicologia sociale in ambito evolutivo dovrebbe interessarsi di come le culture sociali
influenzano l’ambiente del bambino e il bambino stesso nella sua crescita.
APPROCCIO COMPORTAMENTISTA
APPROCCIO ORGANISMICO
C. APPROCCIO PSICOANALITICO
Lo sviluppo è un cambiamento qualitativo che procede per stadi. Tre sono le istanze
che governano la crescita: ES o aspetto istintuale, Super-Io, cioè regole e limiti imposti
dal mondo esterno; IO, come mediatore tra bisogni istintivi e realtà esterna; - Il metodo
sperimentale di ricerca è l’osservatore col minimo di controllo
Secondo una teoria sociogenetica (in Doise,’ 97) esisterebbe un rapporto ricorsivo tra
regolazioni sociali e individuali: in ogni momento dello sviluppo, sono certe competenze
acquisite che consentono al piccolo di partecipare a interazione sociali relativamente
complesse, che a loro volta creano nuove competenze individuali, che permettono
nuove interazioni sociali e così all’infinito.
Ad esempio, il sorriso specifico del bambino viene corrisposto da quello della madre che
porta il bambino a sporgersi verso di lei e così via. Perché vi sia uno sviluppo cognitivo
nel bambino occorre che le sue competenze siano sostenute a più riprese da
costruzioni sociali.
Cooley (1902) riconosce che la costruzione del Sé deriva innanzitutto dalle attribuzioni
che gli altri fanno su noi stessi, introducendo il concetto del “sé visto allo specchio”;
Mead (1934) sottolinea anch’egli l’importanza delle interazioni personali nella
costruzione del Sé attraverso delle generalizzazioni sulle valutazioni che gli altri danno
della persona.
Volendo provare una sintesi tra tutte queste teorie , potremmo dire che il Sè alla nascita
esiste nel senso di unità minima molto dipendente dall’ambiente. Tale unità è
prevalentemente formata da comportamenti innati di tipo riflesso. Questo Sè è molto
diverso dal Sé umano che diventerà negli anni successivi. Ci vorranno 5/6 anni perchè il
Sè del bambino arrivi a sviluppare, anche se in modo limitato, un po’ tutte le potenzialità
di un Sè umano.
Sembra che il bambino abbia la capacità innata di cogliere unità, ma che le unità
elementari siano solo piccolissimi frammenti di realtà. Infatti, da studi condotti su
neonati sembra che questi siano in grado di riconoscere i visi rispetto a figure non
strutturate; il neonato ha la possibilità di complessificare tali unità minime2 . La capacità
di cominciare a creare strutture di conoscenza più complesse e stabilizzare quelle
semplici dipende molto dall’interazione sociale del neonato. Il piccolo alla nascita coglie
piccoli frammenti/unità, come gli occhi della madre, la voce della madre, ecc. Ha la
capacità di rappresentarsi delle immagini3 . Sono, perciò, unità molto elementari.
All’inizio la conoscenza è molto ridotta e il neonato impiegherà del tempo perché le
unità più elementari si trasformino in quelle più complesse. Il tempo da solo è una
condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto è anche il tipo di esperienza con le
figure di riferimento e con l’ambiente in genere a condizionare il tipo di sviluppo delle
strutture elementari innate che si complessificano.
Per lo sviluppo umano, a seconda dei momenti storici si è data più enfasi al
condizionamento biologico o ambientale. Oggi si tende a sostenere la teoria dei tre
fattori: modello bio-psico sociale, secondo il quale lo sviluppo umano è condizionato
biologicamente, ma anche fortemente dalla storia personale e dall’ambiente sociale in
cui cresce.
Sviluppo del Sé e personalità dei genitori Lo sviluppo del neonato risente degli stati
cognitivi ed emotivi dei genitori e in modo particolare delle aspettative che questi
riversano su di lui. I tratti caratteriali di mamma e papà sviluppano atteggiamenti di
dipendenza o autonomia nel piccolo, al di là della cultura di appartenenza.
A volte possono nascere conflitti tra relazione familiare e contesto sociale allargato per
problemi trans-generazionali, laddove le diverse generazioni sono portatrici di valori
diversi. A partire dagli anni 50, negli stati Uniti e in Europa si è verificato un
cambiamento di atteggiamento pedagogico. Secondo un approccio umanistico, il
bambino doveva crescere spontaneamente.
Esiste un temperamento di base della persona che verrà strutturato sulla base di
capacità innate e apprese. Come abbiamo visto ogni temperamento è in parte
condizionato geneticamente ma anche rinforzato positivamente o negativamente dal
contesto. Così, un bambino con un temperamento mite potrebbe essere stimolato in
modo tale da potenziarlo o ridurlo. Allo stesso modo, un neonato con temperamento
esuberante potrebbe essere bloccato. Se si iperstimola un temperamento mite o si
blocca troppo un temperamento esuberante, si potrebbero avere importanti disfunzioni
nello sviluppo del Sè accompagnate da sofferenza. Se lo sviluppo è funzionale il
neonato strutturerà i propri comportamenti e bisogni in modo adeguato,
congruentemente con il proprio temperamento di base.
- Abbastanza coerenza tra e diverse figure che se ne prendono cura a partire dal padre
e dalla madre
- buona capacità empatica che significa comprendere il bambino nelle sue esigenze
declinando gratificazione frustrazione in modo adeguato all’età
- Non solo la madre ma l’intero contesto nel quale è inserito il bambino, integrandosi,
possono permettere uno sviluppo sano o disfunzionale
La cultura
La cultura
Sempre
Mai
gli è capace di relazione duale e solo intorno ai 4 mesi comincia a essere capace di
avere interazioni a tre. La cultura di appartenenza incide sul progetto educativo materno
La sensibilità tattile sarebbe invece presente fin dall’inizio della vita fetale. Ciò è
ulteriormente confermato dal fatto che alla nascita il neonato preferisce il suono della
voce materna, attutito, come nella vita intrauterina, a quello di altr
Il neonato di quattro giorni si orienta preferibilmente verso l’odore del liquido amniotico
rispetto a quello del latte artificiale.
La memoria somatica
C’è una credenza molto pericolosa da sfatare, quella secondo cui il primo anno di vita
non sia molto significativo per lo sviluppo della persona, perché tanto il piccolo non
“capisce nulla”. Attenzione a questo “non capisce nulla”: la memoria di questo periodo
non è legata al pensiero ma al corpo. E’, quindi, una memoria molto più potente, nel
senso che il piacere e il dolore, non sono ricordati, ma incarnati. Se troppo spaventato, il
bambino assumerà posture di tensione e respiro bloccato. Questa memoria senso-
motoria è molto più difficile da modificare.
Queste ricerche evidenziano come la cultura sociale possa dirigere molte delle abilità
che andremo poi a sviluppare
Non esiste sviluppo sano, se non all’interno di una relazione sana. Nel neonato,
probabilmente, esiste un’aspettativa innata di percezioni serene e calde, che non sono
ancora pensieri, cui si lega il piacere. Queste percezioni si integrano con l’aspetto della
sensibilità muscolare (propriocezione). La percezione di un viso rilassato e di un tono di
voce sereno, combinate con l’esperienza di un contatto con un corpo normalmente
tonico e forte, aiutano il bambino a riprodurre un tono muscolare simile e gli permettono
di costruire rappresentazioni mentali della madre positive: il volto della madre percepito
visivamente si lega ad un’esperienza di piacere.
Allo stesso modo, quando il neonato è affamato e piange, se la madre arriva
sufficientemente in tempo, il piccolo fa un’esperienza positiva di gratificazione. Se al
contrario la mamma tarda eccessivamente il bambino si dispera, poi si deprime. La
tensione conseguente ad una continua frustrazione darà luogo ad un atteggiamento
somatico costantemente teso.
Il piccolo del primo anno è prevalentemente senso-motorio. Quindi tutti i giochi che
stimolano i cinque sensi sono per lui molto graditi. L’ideale sarebbe non trascurarne
nessuno: stimolatelo quindi a vedere, ascoltare, toccare, odorare, gustare. Stimolare
molto o poco dipende anche dalla cultura di appartenenza delle famiglie oltre che dal
carattere delle persone. Dalla cultura dipende anche il tipo di stimolo.
Secondo e terzo anno
Identità.
Dopo il primo anno, il bambino inizia a percepirsi come unità e riconosce le proprie parti
del corpo. Quindi, è più differenziato rispetto all’altro. Dopo i due anni, inizia ad
adoperare il pronome personale “IO”, quindi si riconosce anche cognitivamente come
unità, diversa dall’altro. Una cosa è intuirsi come unità (primo anno), altra è saperlo
(secondo anno)
Empatia. Il bambino dopo il I anno, inizia a comprendere che le sue azioni provocano
risposte emotive nell’altro: nasce l’empatia. Intorno ai due anni, la capacità empatica
comincia a proporsi come una modalità di “prendersi cura di”
Relazioni sociali. In questo periodo, i rapporti con gli altri sono più schivi. Il bambino di
un anno corre da tutti basta che gli si dà un po’ di attenzione. A diciotto mesi il piccolo
diventa più selettivo, così come l’attenzione in genere. Ora è sufficientemente capace di
capire che le sue azioni (fisiche) possono fare bene o male ad un altro. Intorno ai due
anni, la relazione diviene sempre più desiderata ed allargata ad altre persone. Nasce la
categoria degli amici. Il bambino di questa età non è ancora capace di organizzare un
gioco con un coetaneo. Per tale ragione può giocare con bambini più grandi o con
adulti. Due bambini di due anni nella stesa stanza giocano separatamente, al massimo
litigano
L’ipotesi sociale fa riferimento alle capacità del bambino di comunicare prima di saper
parlare utilizzando gesti e vocalizzi. Bruner (1983), ispirandosi a Vygotskij, sostiene che
i piccoli apprendono il linguaggio all’interno di relazioni importanti grazie a giochi
routinari che includono parole e gesti comunicativi. Intorno ai due anni si acquisisce la
capacità di riflettere su .Percepisce la stabilità degli oggetti, per cui, ora, può avere
rappresentazione mentali di oggetti e persone indipendentemente dalla esperienza
sensoriale diretta (Piaget). Questa nuova capacità influenza molto le relazioni sociali,
perché l’altro esiste nel suo agire al di là dell’ essere presente . Intorno ai tre anni si
presentano i primi ragionamenti. I piccoli argomentano bene e vi sfidano ragionando. E’
l’inizio della competizione sul piano logico-verbale, con un bisogno maggiore di
affermare la propria identità.
La teoria della mente. Secondo questa teoria il bambino al di sotto dei cinque anni, se
pone l’oggetto in una scatola in presenza di un Tu e poi lo sposta quando il Tu è
assente, è convinto che il Tu si aspetti di trovarlo nella seconda posizione (che non ha
visto). Ciò significa che egli attribuisce all’altro le proprie percezioni, sebbene sia
evidente che l’altro, non presente, non le possa percepire. Intorno ai cinque anni invece
il bambino è in grado di comprendere che possono esistere valutazioni diverse dalla
sua, rispetto alla stessa situazione. Questo rappresenta un grosso passo in avanti nel
superamento dell’egocentrismo
Intorno ai cinque anni il bambino prende consapevolezza della morte. Prima ne parla
ma come se non ne cogliesse il significato profondo. Mio figlio, in seguito ad un lutto
familiare importante, a 5 anni, realizzò cosa fosse la morte, entrò in un angoscia
fortissima.
Attraverso il linguaggio
Attraverso il corpo
Attraverso il pensiero
Il cervello del bambino alla nascita avrebbe:
Appreso
Innato
Assente
Lasciandolo piangere
A due anni
Ad un anno
Alla nascita
A tre anni
Ad un anno
A cinque anni
1.1. Acquisizioni sociali Fino ai sei anni il bambino è più decisamente autocentrato, e il
valore degli scambi con gli adulti è enorme. Sono gli adulti che impongono la loro
visione del mondo, definiscono le regole e organizzano il gioco tra bambini (che non
sanno mettersi regole tra loro e organizzarsi). E’ dagli adulti che il piccolo apprende
cosa è giusto o sbagliato; ma il valore etico non è ancora capito fino in fondo
1.2. Acquisizioni psicologiche Queste importanti acquisizioni sociali vanno di pari passo
con l’evoluzione biologica e psicologica. Psicologicamente il bambino di 6-7 anni non
riesce ancora a ragionare in modo astratto, è legato al pensiero concreto, ma, in modo
più raffinato rispetto al bambino piccolo: introduce nel suo ragionamento la reversibilità,
cioè la capacità di ricostruire le azioni attraverso processi mentali all’inverso. Ad
esempio sa che due palline di plastilina uguali per dimensioni restano tali anche se
facciamo loro cambiare forma
Cosa significa studiare l’adolescenza dal punto di vista della psicologia sociale? a.
Implica, in prima battuta, studiare in che modo i sistemi sociali, da quelli più distali al
giovane (società) a quelli più prossimali (famiglia, gruppo dei pari), influiscano sulle
strutturazioni biologiche e psicologiche responsabili del comportamento dei giovani
Implica inoltre il valutare la funzione psico - sociale dei giovani nella nostra realtà (ad
esempio i giovani sono innovatori o solo sismografi dell’esistente?2 ; qual è il ruolo
sociale dei giovani adolescenti e post adolescenti nella nostra società?... )
Adolescere = crescere
E’ una fase dello sviluppo che va dalla pubertà (tra gli 8 e i 13-14 anni, secondo le
epoche e le culture, perché legata all’alimentazione e alle condizioni igienico-sanitarie,
che comportano differenze nel ritmo di crescita) e l’acquisizione dell’autonomia –es.
scelta lavorativa o lavoro, con variazioni imposte dalle culture- in genere tra i 18-20
anni. Si caratterizza per modificazioni biologiche (endocrinologiche, neurologiche,
corporee), acquisizione di una identità psicologica (sé, identità sessuale), inizio di una
identità sociale (autonomia, valori, identità lavorativa…).
L’inizio dell’adolescenza (11-12 a. per le ragazze e 13-14 per i ragazzi) e i primi 3 anni
di vita sono le fasi della vita in cui vi è il più tumultuoso rimaneggiamento
endocrinologico, cerebrale e corporeo nel suo complesso. Si completa la maturazione
degli organi riproduttivi. Aumenta la pulsione sessuale. Sotto l’influenza degli ormoni
sessuali il cervello si sviluppa in senso maschile o femminile,
Nel preadolescente comincia a maturare il pensiero ipotetico-deduttivo (si fanno ipotesi
e deduzioni, si ipotizza il futuro e si è capaci di sviluppare progettualità).
Gli adolescenti ne possono usare molti: alcuni più adattivi (cioè che favoriscono
l’adattamento all’ambiente e vanno verso la norma), altri più disadattivi (che possono
andare cioè verso la disfunzionalità). Adattivi: sublimazione (es. invece di aggredire
sublimo l’impulso nello sport), altruismo, umorismo… Meno adattivi: idealizzazione,
inversione dell’affetto (odio quello che prima amavo –per favorire la
separazione/individuazione-), rimozione (escludo dalla consapevolezza), proiezione
(dico che l’altro è respingente, rabbioso…ma sono io ad essere così)… Disadattivi:
regressione (invece di rompere la simbiosi con i genitori regredisce a fasi precedenti
dello sviluppo), acting out (perdita di controllo nella rabbia, ad esempio…),
somatizzazione… Psicotici: proiezione delirante, distorsione psicotica. Adolescenti
normali possono usare tutti questi meccanismi di difesa. Tuttavia se il ricorso a
meccanismi disadattivi è esteso questo è indice di problematicità.
Anche l’idea che i giovani siano responsabili, nelle società occidentali in crisi, della loro
emarginazione dai processi culturali e produttivi, viene messa in crisi dalle ricerche degli
psicologi sociali. Con l’espressione conflitto (o gap) generazionale invertito ci si riferisce
alla tendenza del mondo “adulto” a tenere ai margini e ritardare l’ingresso dei giovani
nei processi produttivi e decisionali, salvaguardando il proprio status sociale9 . Altra
opinione abbastanza comune è che i giovani abbiano una cattiva opinione del mondo
adulto. Le ricerche evidenziano, al contrario, che i giovani hanno opinioni sugli adulti
mediamente migliori di quanto gli adulti le abbiano sui giovani. Ulteriore esempio di
conflitto generazionale invertito.
Preadolescente 9-14 anni Questa è la fase della ribellione onnipotente, con scarso
senso realistico.
Prima erano i genitori ad essere onnipotenti; ora crede di poter competere con loro
anche se di fatto né è ancora dipendente. Il preadolescente, non è ancora capace di
valutazioni autonome, sebbene convinto di esserlo: “So cosa è giusto fare, tu non
capisci!”. Questo è il motivo per cui possiamo assistere, all’inizio della scuola media, a
fenomeni di bullismo: il senso di forza onnipotente che non riconosce i propri limiti, in
una personalità aggressiva e poco equilibrata, porta a comportamenti di prepotenza e
prevaricazione,
A 14 anni il ragazzo sa che la realtà si impone ai suoi bisogni, che spesso non ce la fa a
superare gli ostacoli, il mondo appare più ingiusto, gli altri possono progettare
volutamente di fargli del male e lui ha imparato a prevederlo. Questo crea molto dolore
e senso di precarietà. Da qui l’angoscia esistenziale, la ricerca di senso, la valutazione
del limite e della morte
! A sei-sette anni:
Seconda infanzia
Il bambino è autocentrato
Seconda infanzia
L’adolescenza è:
E’ un periodo di crisi
! Nell’adolescenza:
Il pensiero è concreto
Essere impulsivo
L’adolescenza:
Adolescenti e adulti
! Il pensiero ipotetico-deduttivo:
E’ presente nell’adolescenza
43.
I principi cardine della ricerca sulla Cognizione Sociale possono essere così
categorizzati: 1. La realtà non esiste indipendentemente dalla mente che la percepisce
e la modella: l’individuo è un elaboratore attivo di informazioni, le INTERPRETA E le
ORDINA. È UN ORGANISMO PENSANTE CHE UTILIZZA LA PROPRIA ATTIVITÀ
COGNITIVA PER RELAZIONARSI ALL'AMBIENTE IN CUI VIVE
Ricercatore di coerenza (anni 60): Tra gli anni '50 e '60 studiosi come Festinger con la
sua teoria della dissonanza cognitiva (1957) e Heider (1958) autore della teoria
dell'equilibrio propongono una concezione dell'uomo come ricercatore di coerenza teso
a cogliere l'equilibrio, da un lato, tra le credenze che possiede, dall'altro, tra il proprio
sistema di credenze ed i propri comportamenti.
Scienziato ingenuo (anni 70): A partire dagli anni '70, si afferma una nuova
prospettiva che propone una concezione dell'individuo inteso non più come ricercatore
di coerenza, ma come uno scienziato ingenuo.
Lo scienziato ingenuo, al fine di spiegare gli eventi, mette in atto un'analisi cognitiva
delle informazioni riguardanti quegli eventi (es:incontro un amico che mi saluta
freddamente e mi do le seguenti spiegazioni : “probabilmente era di corsa”, oppure “era
preoccupato per qualcosa” o ancora “era imbarazzato dal non rivedermi da tanto”)
Stratega motivato (dagli anni 90 ad oggi): In anni più recenti, le ricerche psicosociali
hanno sottolineato che l'individuo, nell'elaborare le informazioni, sceglie le strategie che
preferisce in base alle sue necessità ed ai suoi obiettivi. Il modello di uomo come
economizzatore di risorse cognitive si perfeziona,
Le nostre teorie sul mondo sociale o schemi (Bartlett 1932; Markus 1977; Taylor e
Crocker 1981) influenzano profondamente le informazioni che registriamo, su cui
riflettiamo e che, successivamente, ricordiamo. Gli schemi sono strutture cognitive che
organizzano le informazioni su determinati temi o argomenti, come le persone, noi
stessi, i ruoli sociali. Dal momento in cui formiamo uno schema, si producono effetti
interessanti sul modo in cui elaboriamo e memorizziamo nuove informazioni. Esso
agisce da filtro, rifiutando le informazioni che sono contraddittorie o incoerenti rispetto al
tema prevalente
Gli schemi assumono una notevole rilevanza perché riducono l’ambiguità che, a volte,
incontriamo con informazioni suscettibili di più interpretazioni. Le persone
impiegherebbero, dunque, gli schemi per completare le loro lacune informative allorchè
non del tutto sicure di ciò che stanno osservando. Essi ci guiderebbero altresì nella
costruzione di nuove conoscenze (influenzano l’elaborazione, la codifica in memoria e
l’interpretazione delle informazioni) e nella scelta dei comportamenti da mettere in atto
in determinate situazioni (se nella mia mente esiste uno schema che mi dice che una
particolare situazione potrebbe essere pericolosa, sceglierò di mettere in atto dei
comportamenti adeguati a far sì che possa tenermi lontano dall’ipotetica minaccia). Il
vero problema è che le persone spesso vedono il mondo in maniera tale da credere di
aver invocato lo schema giusto anche quando ciò non è esattamente vero. Esistono
diversi tipi di schemi sociali
- Schemi di persone
- Schemi di sé
- Schemi di ruolo
Gli schemi di ruolo definiscono i comportamenti previsti in relazione alle posizioni che le
persone occupano in una data realtà sociale
Gli schemi di eventi contemplano le conoscenze relative al modo con cui ci si comporta
nelle diverse situazioni sociali, comprese le aspettative che abbiamo sul modo in cui si
comporteranno gli altri (scripts o copione).
La cultura in cui siamo cresciuti costituisce una fonte fondamentale dei nostri schemi,
che ci guideranno nell’interpretare noi stessi ed il nostro mondo sociale.
Frederic Bartlett (1932) osservò che culture diverse possiedono schemi fra loro molto
differenti in funzione di ciò che è ritenuto importante in quella determinata cultura.
In molte culture occidentali le persone hanno una visione di sé indipendente che esalta
l’individualismo (Kitayama e Markus 1994) : gli occidentali imparano, dunque, a definire
se stessi in chiave di netta separazione dagli altri, valorizzando la loro unicità. Le culture
non occidentali, invece, possiedono una visione di sé interdipendente, in cui viene
valorizzata l’associazione fra le persone. L’indipendenza e l’unicità sono disapprovate.
a. Errori
effetto precedenza (primacy)” [Jones et al., 1968], per cui l’individuo si lascerebbe
influenzare dalle primissime impressioni su un dato evento e, dunque, guidare nelle
interpretazioni successive.
. Altro errore potrebbe essere quello del cosiddetto “effetto recenza (recency)”, per cui
le informazioni ricevute per ultime produrrebbero l’impatto maggiore
Altro errore consueto è quello detto “effetto persistenza” (Ross, Lepper e Hubbard,
1975) che si verificherebbe quando le credenze dei soggetti persistono anche dopo che
ne sono state confutate le prove a sostegno; quando, cioè, nonostante le prove siano
contrarie al mio pensiero, per confermarlo, vado a ritroso nella mia memoria alla ricerca
di fatti accaduti in passato, dove, in circostanze simili, non sono riuscito (o, al contrario,
sono riuscito) in quella determinata performance (commetto un errore a lavoro e non lo
ammetto perché mi ripeto di non aver mai sbagliato in passato in compiti simili).
“profezia che si autoavvera” (Rosenthal e Jacobson, 1968). Questo significa che, anche
quando le persone cercano di relazionarsi agli altri in maniera imparziale e priva di
condizionamenti, sono le loro aspettative ad intromettersi ed a modificarne il
comportamento, il quale, a sua volta, modifica il comportamento della persona con cui
stanno interagendo
b. Scorciatoie
Sovente, le persone, nel compiere delle scelte si avvalgono di scorciatoie mentali che
faciliterebbero le loro decisioni. Non è detto, però, che queste scorciatoie portino
sempre alla scelta migliore. Con il termine “euristica” ci si riferisce, dunque, ad un
insieme di regole che gli individui seguirebbero per formulare giudizi in maniera rapida
ed efficiente (“euristica del giudizio”).
- Euristica della disponibilità: quando formuliamo giudizi sulla base della facilità con cui
riconduciamo esempi alla mente, esempi passati.
Gli schemi inoltre fungono da guide della memoria: la memoria umana è ricostruttiva, e
le persone riempiono gli spazi vuoti con le informazioni coerenti con i propri schemi. La
scelta dello schema da applicare alle diverse situazioni dipende dall’accessibilità.
Esistono due tipi di accessibilità: in base all’esperienza passata: questi schemi sono
sempre accessibili
Pensieri controllati
Scommessa
Previsione
Scorciatoia mentale
Aspettativa sociale
Flavell (1981a, cit. in Flavell et al., 1993) come “ogni conoscenza o attività cognitiva
che prende come oggetto, o regola, ogni aspetto di qualsiasi impresa cognitiva”
Cornoldi (1995) la definisce come “l’insieme delle attività psichiche che presiedono al
funzionamento cognitivo”, ma distingue due ambiti di applicazione: i processi
metacognitivi di controllo, che guidano l’effettivo funzionamento cognitivo e la
conoscenza metacognitiva (o metaconoscenza) sul funzionamento mentale.
Es: devo preparare un esame in nemmeno due settimane e, dato il pochissimo tempo a
disposizione (consapevolezza della situazione problematica), valuto la necessità di
creare un programma di studio intensivo, magari avvalendomi anche della
collaborazione dei miei colleghi, al fine di raggiungere il risultato sperato, quello ciòè di
superare l’esame al meglio delle mie possibilità (pianificazione)
Semerari e i suoi collaboratori (Semerari, 1999) hanno proposto una valutazione delle
funzioni metacognitive a partire da una suddivisione delle stesse in
3.1. Autoriflessività
2. capacità di pensare i propri pensieri ed emozioni “io penso che sei buono… sono
contento di pensare che sei buono”
2) la capacità di distinguere tra ciò che l’altro pensa e ciò che prova “ l’altro pensa
questo e prova (sentimento) questo…”
Come ovvia conseguenza si verifica che negli ambienti socialmente più avvantaggiati le
famiglie utilizzano di più la riflessione e la comunicazione come scambio di riflessioni
Sviluppo della Teoria della Mente Gli scimpanzé hanno una Teoria della Mente? In altre
parole, sono in grado di attribuire stati mentali a sé e agli altri? Nel loro articolo (“Does
the chimpanzee have a Theory of Mind?”), Premack e Woodruff (1978) dimostrarono
che scimpanzé addestrati al linguaggio sono in grado di mettere in atto comportamenti
intenzionali e quindi di stabilire una connessione tra le proprie azioni e gli scopi altrui.
Tuttavia non riescono ad attribuire stati mentali ad altri conspecifici. E’ probabile che i
primati non umani si limitino al “tentativo di influenzare quello che l’altro fa (il
comportamento), ma non provano ad influenzare ciò che l’altro crede”
L’acquisizione di una Teoria della Mente è, quindi, una prerogativa della mente umana
normale. Dagli studi sulla comprensione del funzionamento mentale dei primati presero
avvio molte ricerche sul compito della falsa credenza
Questa nozione è diventata un criterio evolutivo molto importante per stabilire in che
momento i bambini sviluppano completamente una Teoria della Mente strutturalmente
simile a quella adulta. Heinz Wimmer e Joseph Perner (1983) furono i primi a utilizzare
una procedura sperimentale per verificare la capacità di “comprendere la nozione di
falsa credenza”: il False Belief Task
ricerca evolutiva ha dimostrato che verso i quattro anni i bambini normali distinguono
chiaramente lo stato reale delle cose (“la cioccolata è sotto la seconda tazza”) dalla
rappresentazione del personaggio (“la cioccolata è sotto la prima tazza”) e predicono il
comportamento del personaggio non in funzione dello stato di fatto, ma in funzione della
rappresentazione mentale che gli attribuiscono. In altre parole intorno ai quattro anni di
età il bambino riesce a rappresentarsi che l’oggetto verrà cercato dove il personaggio
crede che sia e non dove realmente è. Questi bambini differenziano bene le loro
rappresentazioni da quelle altrui in situazioni di “falsa credenza di primo ordine”.
Wimmer e Perner (1983) conclusero che tali risultati non potevano essere attribuiti
soltanto all’“effetto collaterale di un aumento delle capacità di memoria e di
elaborazione centrale”, ma andavano collegati all’emergere di una “nuova abilità
cognitiva”. La capacità di comprendere relazioni rappresentazionali di falsa credenza
sembra essere universale e indipendente dalla cultura, all’interno di un processo
evolutivo più generale, che sembra indicare che verso questa età i bambini normali
sviluppano quella struttura essenziale del sistema di concetti e inferenze mentalistiche
che è detto “Teoria della Mente”. Tuttavia, è possibile riconoscere in alcune abilità già
presenti nei primi due anni di vita gli antecedenti di tale funzione metacognitiva.
Se si guarda allo sviluppo del bambino prima dei quattro anni è possibile individuare
nell’attenzione preferenziale del neonato per il comportamento umano un prerequisito
essenziale per lo sviluppo di una Teoria della Mente. Alla nascita infatti, il cucciolo
d’uomo si rivolge preferibilmente a quegli stimoli che presentano elementi disposti a
forma di volto.
Secondo Baron-Cohen (1994, cit. in Camaioni, 1995) proprio il mancato sviluppo della
comunicazione intenzionale nei bambini autistici, porta a ipotizzare che il meccanismo
dell’attenzione condivisa sia un precursore fondamentale per il successivo sviluppo di
una Teoria della Mente.
Sempre verso la stessa età si può inoltre osservare quello che viene definito
“riferimento sociale”: il bambino è in grado di utilizzare la madre come base per
decodificare la valenza emozionale di un evento nuovo o sconosciuto e utilizza la sua
reazione emotiva per la propria azione (Klinnert et al., 1983, cit. in Camaioni, 1995) [ES:
“Se mamma si mostra spaventata, vuol dire che ciò che è successo è pericoloso”]
Verso i diciotto mesi compare un altro precursore della Teoria della Mente: il gioco
simbolico. Il gioco simbolico consiste nella capacità di utilizzare oggetti o situazioni
presenti in funzione di altri non presenti
Alla base delle spiegazioni relative allo sviluppo metacognitivo del bambino, si dividono
due grandi filoni di ricerca: la prospettiva interindividuale e quella sociale.
Prospettiva interindividuale
Teoria della teoria (Theory theory) Bambino come piccolo scienziato che avanza
supposizioni che utilizza per dare significato alla propria esperienza; a fronte di prove
contrarie riformula nuove ipotesi (Meltzoff, 1997).
• Teoria della simulazione Il bambino utilizza l’esperienza come fonte di conoscenza dei
propri stati interni. Quando vede un adulto o un compagno compiere certe azioni vi
attribuisce il medesimo significato come se fosse lui a compiere quelle azioni. Poiché è
in grado di identificarsi con l’altro
PROSPETTIVA SOCIALE
Nel corso degli ultimi anni, gli studi sulla metacognizione si sono spostati dalla ricerca di
una definizione chiara di Teoria della Mente e del suo sviluppo verso l’osservazione di
quei fattori in grado di influenzare tale sviluppo.
John Bowlby (1969), ideatore della “Teoria dell’Attaccamento”, aveva osservato che le
esperienze precoci del bambino, relative alle sue figure di attaccamento (genitori ed, in
particolar modo, la madre), sono di particolare importanza per le loro implicazioni sulla
padronanza di sé, sulla regolazione emotiva e sulla vicinanza interpersonale.
ES: “Se mamma si prende cura di me, anche gli altri lo faranno”.Il bambino si
rappresenterà se stesso (CHI SONO?), il mondo e gli altri, in base a come la madre
(mondo del neonato) sarà stata in grado di rispondere ai suoi bisogni (“Se mamma mi
cura, vuol dire che valgo; se valgo per mamma, vuol dire che valgo per tutti.
Inoltre, attraverso il comportamento del caregiver nei primi mesi di vita il bambino si
sposta progressivamente da un modello riflessivo comportamentale ad uno
mentalistico. Questo passaggio avviene tramite l’interazione con il genitore, che dà
rilevanza e attenzione agli stati interni e sintonizza i suoi comportamenti alle risposte e
ai bisogni del piccolo,realtà osservabile e stati mentali sottostanti (Fonagy e Target,
1997). Anche il linguaggio è un forte mediatore tra realtà interna e comportamento
osservabile. Scambi comunicativi orientati metacognitivamente possono facilitare lo
sviluppo di una Teoria della Mente e delle conoscenze metacognitive generali del
bambino.
Nel bambino, lo sviluppo della metacognizione, conosciuta anche come funzione
riflessiva del Sé, ha inizio durante l’infanzia, momento evolutivo in cui avviene
gradualmente un passaggio dai modelli mentali teleologici a quelli mentalizzati: tale
passaggio dipende principalmente dalla qualità delle relazioni interpersonali tra il
bambino e l’adulto che si prende cura di lui. La mentalizzazione, infatti, fa parte di un
processo intersoggettivo tra bambino e adulto di riferimento (generalmente la madre), e
avviene attraverso l’esperienza che il bambino fa di quanto i propri stati mentali siano
stati capiti e pensati grazie a interazioni affettuose con il genitore;
La Metacognizione
AutoriflessivitÃ
1 anno
2 anni
3 anni
4 anni
Gioco simbolico
Pensiero magico
Pensiero logico
L’inserimento precoce
Il rendimento
La velocità di apprendimento
La relazione bambino-insegnante
Falso
44.
Secondo la prospettiva evoluzionistica (Darwin 1872) gli stati emotivi guidano il nostro comportamento
secondo due principi vitali: quello dell’auto-conservazione e quello della salvaguardia della specie. Le
emozioni, infatti, svolgono fondamentali funzioni adattive:
Per meglio comprendere la grande influenza delle emozioni sulla mente razionale- e capire come mai il
sentimento e la ragione entrino in conflitto così tanto facilmente- bisogna considerare il modo in cui si è
evoluto il cervello umano. Nell’arco di milioni di anni di evoluzione il cervello ha sviluppato i suoi centri
superiori elaborando e raffinando le aree inferiori, più antiche. La parte più primitiva del cervello, che
l’uomo ha in comune con tutte le specie dotate di un sistema nervoso relativamente sviluppato, è il
tronco cerebrale. Esso regola funzioni vegetative fondamentali come il respiro e il metabolismo degli
altri organi, le reazioni e i movimenti stereotipati. Non si può affermare che questo cervello sia in grado
di pensare o di apprendere; piuttosto si tratta di una serie di centri regolatori programmati per
mantenere il corretto funzionamento e l’appropriata reattività dell’organismo, in modo da assicurarne la
sopravvivenza. Da questa struttura molto primitiva, il tronco cerebrale, derivano i centri emozionali.
Poiché questa parte del cervello circonda e delimita il tronco, venne chiamata “sistema limbico” (dal
latino limbus, “anello”). Dunque quando siamo stretti nella morsa del desiderio o dell’ira, follemente
innamorati o terrorizzati a morte, siamo in balia del sistema limbico. Milioni di anni dopo, nel corso
dell’evoluzione, da questi centri emozionali si evolsero le aree del cervello pensante, ossia la
“neocorteccia”. Il fatto che il cervello pensante si sia evoluto da quello emozionale ci dice molto sui
rapporti tra pensiero e sentimento: molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello
emozionale. Quando si evolse, il sistema limbico perfezionò due strumenti potenti: l’apprendimento e la
memoria. Queste conquiste consentivano ad un animale di essere più intelligente nelle sue scelte per
la sopravvivenza: se un tipo di cibo si era rivelato nocivo la volta successiva poteva essere evitato.
Questa nuova componente del cervello, la neocorteccia, consentì l’aggiunta di altrettante nuove
sfumature alla vita emotiva. Prendiamo ad esempio l’amore. Le strutture limbiche generano sentimenti
di piacere e di desiderio- ossia, le emozioni che alimentano la passione sessuale. Ma fu l’aggiunta della
neocorteccia e delle sue connessioni con il sistema limbico, a permettere il legame affettivo madrefiglio
e cioè quel sentimento che rende possibile lo sviluppo umano rappresentando la base dell’unità
familiare e della dedizione a lungo termine necessaria per allevare i figli.
negli schizofrenici tali connessioni non funzionino bene infatti questi soggetti non sanno controllare le
loro emozioni, diventando in alcuni casi molto aggressivi o spaventati. Allo stesso modo anche gli
adolescenti non hanno ancora ben definito i collegamenti tra la neocorteccia e sistemi sottocorticali ed
è normale quindi nel loro caso parlare di immaturità emotiva. L’amigdala, che fa parte del sistema
limbico, è coinvolta nella risposta emotiva; se viene resecata dal resto del cervello, il risultato è
un’evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi- condizione che viene a
volte indicata con l’espressione “cecità affettiva”. I soggetti con l’amigdala resecata, ad esempio,
possono descrivere una città, una persona, ma non sono più in grado di dire se a loro questa città piace
oppure no: viene persa la connotazione emotiva.
Nel corso degli anni sono stati vari gli autori che con le loro teorie e i loro studi sperimentali hanno
deposto a favore dell’innatismo delle espressioni emotive. Secondo Darwin, alcune emozioni primarie
vengono espresse attraverso il volto in modo identico in tutte le culture del mondo. Anche Lorenz nel
1965, dedicandosi allo studio degli animali, ha sostenuto l'innatismo delle emozioni, ritenendo che negli
animali e negli esseri umani ci sono espressioni emotive e atteggiamenti molto simili. Altrettanti studi
hanno tuttavia confermato che sono anche, e soprattutto, fattori socioculturali ad influire sul modo in cui
le persone manifestano le proprie emozioni
Eckman elabora una teoria bilanciata tra genetica ed apprendimento e ritiene che, nonostante siano
fondamentali i fattori innati, sicuramente i processi di socializzazione incidono sul nostro modo di vivere
le emozioni (ad esempio il mascheramento delle emozioni non è un processo innato ma il risultato di un
apprendimento culturale). Nel suo esperimento “multietnico” su due gruppi culturalmente diversi di
soggetti (americani e giapponesi) scopre che l’atteggiamento emotivo di tutti i partecipanti in assenza
dello sperimentatore nella stanza è relativamente simile. In presenza dello sperimentatore, tuttavia, i
giapponesi sembrano essere un popolo molto più “inibito” da un punto di vista emotivo: questo dimostra
l’ effetto dell’influenza sociale sul vissuto emotivo
Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole piani di azione dei quali ci ha
dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. Nel nostro repertorio, ogni
emozione ha un ruolo unico:
• Quando siamo in collera, il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un’arma o
afferrare un pugno all’avversario;
Se abbiamo paura, il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli delle gambe,
rendendo così più facile la fuga
Nella felicità, uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale
che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilità di energia, insieme all’inibizione di centri che
generano pensieri angosciosi.
Nella sorpresa il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più ampia e di far
arrivare più luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni
sull’evento inatteso
In tutto il mondo l’espressione di disgusto è la stessa, e invia il medesimo messaggio: qualcosa offende
il gusto o l’olfatto, anche metaforicamente. Come già aveva osservato Darwin, l’espressione facciale
del disgusto- il labbro superiore sollevato lateralmente mentre il naso tende ad arricciarsi- indica il
tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso
La tristezza ha la funzione di farci adeguare ad una perdita significativa, ad esempio a una grande
delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino
Ad esempio, la perdita di una persona amata suscita universalmente tristezza e dolore. Ma il modo in
cui esterniamo il nostro lutto- il modo in cui le nostre emozioni sono esibite in pubblico o trattenute in
modo da esprimerle solo in privato- è forgiato dalla cultura.
L’intelligenza emotiva è stata trattata la prima volta nel 1990 dai professori Peter Salovey e John D.
Mayer nel loro articolo “Emotional Intelligence”. Definiscono l’intelligenza emotiva come “La capacità di
controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste
informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”.
Controllo delle emozioni: la capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati si
fonda sull’autoconsapevolezza.
Motivazione di se stessi: la capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo è una dote
essenziale per concentrare l’attenzione, per trovare motivazione e controllo di sé. I
Riconoscimento delle emozioni altrui: l’empatia, un’altra capacità basata sulla consapevolezza delle
proprie emozioni, è fondamentale nella realizzazione con gli altri
Gestione delle relazioni: l’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di dominare le
emozioni altrui
Differenze interpersonali
Meyer ritiene che le persone siano classificabili in diverse categorie a seconda del modo in cui
percepiscono e gestiscono le proprie emozioni:
- Gli autoconsapevoli: Consapevoli dei propri stati d’animo nel momento in cui essi si presentano,
queste persone sono comprensibilmente alquanto sofisticate riguardo alla propria vita emotiva.
- I sopraffatti: Si tratta di persone spesso sommerse dalle proprie emozioni e incapaci di sfuggir loro,
come se nella loro mente loro avessero preso il sopravvento.
- I rassegnati: Sebbene queste persone abbiano spesso idee chiare sui propri sentimenti, anch’esse
tendono tuttavia ad accettarli senza cercare di modificarli. Sembra che in questa categoria rientrino due
tipi di soggetti: in primo luogo quelli che solitamente hanno stati d’animo positivi e perciò sono
scarsamente motivati a modificarli; e in secondo luogo coloro che, nonostante siano chiaramente
consapevoli dei propri stati d’animo, e siano suscettibili a sentimenti negativi, tuttavia li accettano
assumendo un atteggiamento di laissez-faire
Generalmente le persone possono essere divise, da un punto di vista emozionale, in due grandi
macrocategorie: appassionate e indifferenti. Per alcune persone la consapevolezza delle emozioni è
travolgente, mentre per altri a mala pena esiste
In alcuni casi estremi, gli autori hanno parlato di “alessitimia”: la difficoltà o anche l’incapacità di alcune
persone ad esprimere verbalmente i propri stati emotivi e le emozioni che vengono sperimentate
2 Emozioni e cervello
A Il sistema limbico
B L’amigdala
C Il tronco cerebrale
D La neocorteccia
3 Emozioni e cervello
B Dell’amigdala
Nel suo esperimento sulle emozioni, Ekman dimostra che i giapponesi sono:
5 Emozione e azione
C I muscoli si rilassano
L'intelligenza emotiva :
6 Lâintelligenza emotiva
A E' un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare,
comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni
7 Lâintelligenza emotiva
La mindfulness:
8 Lâintelligenza emotiva
A Aumenta l’autoconsapevolezza
B Diminuisce l’autoconsapevolezza
9 Differenze interindividuali
A Rassegnate
B Auto consapevoli
C Sopraffatte
La rabbia è evitata:
10 Le emozioni e la cultura
B In Italia
D In sud America
45.
Le emozioni primarie
Gioia , amore, tristezza, rabbia, paura sono definite emozioni primarie. Tali emozioni sono identificate
come primarie perché ritenute Ognuna di queste emozioni può variare di intensità creandosi così delle
sfumature diverse che si
distribuiscono secondo un continuum di tipo verticale come nell’esempio che segue:alla base delle
emozioni più sociali e complesse che da loro vengono determinate. Alcuni autori a queste prime
emozioni uniscono il disgusto, l’interesse e la sorpresa. In questa sede, tratteremo le prime: la gioia,
intesa come amore, la tristezza, la rabbia e la paura. Le emozioni secondarie o sociali sono la
vergogna, la gelosia, la colpa, l’orgoglio, la competizione e la timidezza e sono strettamente dipendenti
dalla cultura e dall’educazione ricevuta. Per alcuni autori, è dalla combinazione delle emozioni primarie
che derivano le altre. Uno studioso che si è particolarmente dedicato alle emozioni è Robert Plutchik
(1928-2006) (7). Egli distinse le emozioni in primarie e complesse. Il suo punto di partenza è di natura
evolutiva. Infatti la tesi su cui si fondano le sue ricerche è che le emozioni siano risposte evolutive per
consentire alle specie animali di sopravvivere (Plutchik, 1980)
Argomenta infatti che ognuna delle emozioni primarie agisce come interruttore per un comportamento
con un alto valore di sopravvivenza (es. paura: risposta di lotta-o-fuga / fight-or-flight response). Per
l’autore, ogni emozione primaria ha il suo opposto e dalle intersecazioni di queste ultime nascerebbero
le secondarie
La ruota delle emozioni da lui creata evidenzia gli opposti e l’intensità delle emozioni, via via
decrescente verso l’esterno, più i vari stati intermedi (decrescendo di intensità le emozioni si mescolano
sempre più facilmente)
Dove il secondo cerchio contiene le emozioni primarie (in senso orario dall’alto: gioia, fiducia, paura,
sorpresa, tristezza, disgusto, rabbia, anticipazione). Nel cerchio centrale abbiamo le manifestazioni di
maggiore intensità di ognuna delle emozioni primarie (rispettivamente: estasi, ammirazione, terrore,
stupore, angoscia. schifo, collera, vigilanza). Nel cerchio più esterno invece ci sono le corrispondenti
manifestazioni di minore intensità (rispettivamente: serenità, accettazione, apprensione, distrazione,
pensosità, noia, irritazione, interesse). Le emozioni poi si combinano tra loro.
. La prima teoria chiara e coerente sull’emozione è quella elaborata da James (1884); nella visione di
James l’emozione è vista come il risultato di una pregressa modificazione di parametri fisiologici. Gli
elementi valutativi-cognitivi non precedono le risposte espressivo-motorie ma, al contrario, queste
ultime determinano i primi. James propose per primo una definizione empirica e verificabile di
emozione; egli ritenne di identificare l’emozione nel «sentire» le modificazioni periferiche dell’organismo
(teoria periferica o teoria del feedback); di conseguenza: «non tremiamo perché abbiamo paura, ma
abbiamo paura perché tremiamo». James propone una radicazione biologica dell’emozione (concetto di
attivazione fisiologica), soprattutto nei visceri. Diverse furono le teorie cognitive. Una delle prime teorie
cognitiviste dell’emozione è stata quella formulata da Magda Arnold (Arnold, 1960; Mandler, 1982;
Sommers e Scioli, 1986). La sua teoria della valutazione cognitiva suggerisce che quando ci
imbattiamo per la prima volta in una situazione la valutiamo spontaneamente come buona o cattiva,
utile o dannosa. Secondo Arnold le valutazioni, a loro volta, introducono delle "tendenze ad agire".
Le emozioni sono causate da fattori interni cosi come da fattori esterni; interni come ricordi, pensieri,
sensazioni che possono anche farci stare male o esterni come il lavoro, la scuol
3 Analisi particolareggiata delle diverse emozioni Di ciascuna emozione valuteremo cos’è e quali sono
gli schemi senso-motori ad essa associati (in linea di massima, per imparare a leggerli nel corpo degli
altri) e come possono esserci utili anche quando non ci sono riferiti e gli altri non li raccontano e capire
a cosa serve un emozione.
“Quello che caratterizza di più gli esseri umani”. La paura è il sentimento che ci accompagna di più nel
percorso della vita. La nostra vita è costantemente in pericolo per questo la paura ci protegge. A cosa
serve in realtà la paura : ci invita alla prudenza
Nella paura, il sistema muscolare può collassarsi fino allo svenimento o irrigidirsi fino alla paralisi. Il
cuore batte più forte , la pelle diventa bianca e bagnata dal sudore. Il sudore è freddo.
Le persone sagge vivono una sana tristezza con una prospettiva di speranza; chi raggiungere la
capacità di vivere una sana tristezza può dire di essere saggio
Abbiamo emozioni che definiamo vere e incarnatw ovvero congrue al contesto e recitate quando
mettiamo un’emozione al posto di un’altra per paura di mostrarsi.
1 Le emozioni primarie
2 Le emozioni primarie
4 La paura
C A renderci autonomi
5 La rabbia
6 La tristezza
A Positive e negative
B Un’emozione recitata
C Un’emozione mista
D Un’emozione di copertura
D Un’emozione ambivalente
46.
Secondo Oyserman e Markus (1998): le varie culture elaborano diverse rappresentazioni sociali che
riguardano le caratteristiche ritenute appropriate e positive del Sé. Le differenze sono evidenti se si
confrontano le culture sulla base della dimensione individualismo – collettivismo
Il termine identità diviene popolare nelle scienze sociali solo negli anni ’50 del secolo scorso (Gleason
1983), anche se le sue radici filosofiche hanno origini molto più antiche e si collegano a un insieme
articolato di riflessioni relative soprattutto ai dilemmi della permanenza nel mezzo del continuo
mutamento e dell’unità e della specificità nel mezzo della manifesta diversità. È comunque
caratteristica dell’identità, nel momento del suo successo, collocarsi a un “crocevia” (Lévi-Strauss:
1980, 11) che interessa praticamente tutte le scienze sociali, dalla psicanalisi all’antropologia, dalla
filosofia alla sociologia, dalla psicologia sociale alla critica letteraria.
Uno dei primi psicoanalisti a cercare di legare lo sviluppo dell’identità alla relazione sociale è Erikson
(1950, 1968). È al lavoro di questo autore – e alla sua introduzione del concetto di crisi d’identità
Il concetto d’identità serve a Erikson soprattutto per legare lo sviluppo evolutivo della personalità –
intesa nei termini freudiani come relazione tra es, io e super io – alla situazione relazionale e sociale in
cui tale sviluppo ha luogo. Il senso d’individualità, di unicità, risultato finale di un corretto sviluppo della
personalità e fonte indispensabile per un’azione sociale consapevole e adeguata, può svilupparsi solo
in un costante dialogo con il contesto esterno, interiorizzando le sue norme culturali, interpretando
differenti ruoli e ottenendo continui riconoscimenti. Lo sviluppo interiore della personalità individuale e
dell’esperienza sociale va di pari passo
“l’identità è intesa come un’entità dinamica costituita da più dimensioni, un sistema di tensione”
(Palmonari, 1997, ) dove gli aspetti biologici, le esperienze personali, l’ambiente di vita famigliare,
sociale e culturale, concorrono a dare significato, forma e continuità all’esistenza (Kroger, 1996)
Psicologia sociale e identità
Un altro ambito rilevante di sviluppo del concetto d’identità è rappresentato dalla psicologia sociale e,
più in generale, dalle riflessioni relative ai concetti di ruolo, di senso di appartenenza e di pregiudizi
L’identità è sinonimo d’identificazione e rimanda al senso di unione emotiva con gli altri, percepiti come
parte del medesimo gruppo
L’identità serve a segnalare la necessità concettuale di uno spazio intermedio tra individuo e società,
uno spazio che consenta di superare la dicotomia tra un soggetto autonomo, dotato di esistenza
presociale e che si scontra continuamente con i vincoli a lui imposti dalle strutture sociali esterne, e,
dall’altro, un forte determinismo sociologico, che trasforma gli individui in riproduttori acritici di ruoli,
atteggiamenti e valori creati dalle strutture sociali in base a una generale esigenza funzionale dell’intera
società.
L’identità è così un continuo processo comunicativo e relazionale che consente agli individui di
percepirsi e di comprendersi come soggetti autonomi nel momento in cui sono così percepiti e
compresi dagli altri.
a. Perdere l’identità o non vedersela collettivamente riconosciuta significa perdere i punti di riferimento,
la capacità di collocarsi nella mappa sociale e di muoversi verso un obiettivo preciso, con un progetto
originale.
Identità come faccia, individuazione e identificazione Valuteremo alcuni concetti che sono stati utilizzati
in letteratura per definire quello di identità sociale, secondo un visione più dettagliata: faccia,
individuazione e identificazione. Il termine di faccia rimanda al lavoro di Erving Goffman (1959. 1961,
1967) e vuole evidenziare la capacità/necessità di gestire una particolare immagine di sé entro
specifiche situazioni sociali.
. Per faccia si intende quindi un’immagine di se stessi, delineata in termini di attributi sociali positivi;
un’immagine, tuttavia, che gli altri possono condividere, come avviene quando una persona conferisce
prestigio alla propria professione o religione comportandosi in modo da ricevere l’approvazione degli
altri (Goffman: 1967, 8-9). Ha inoltre un carattere relazionale e di costruzione sociale: è qualcosa che è
attribuito dagli altri, è legata al riconoscimento concesso dalle situazioni e dai pubblici.
Con individuazione, si tratta di porre in primo piano : «l’immagine che l’individuo si è fatto di se stesso
attraverso la sua irripetibile esperienza di vita e la memoria narrativa che fonda la sua continuità nel
tempo»
Senso, stabilità e coerenza che non sono garantiti da un’essenza interiore, ma da attivi processi
comunicativi e relazionali. La narrazione e l’esperienza del narrare sono gli elementi principali che
consentono di produrre un senso di sé che sia contemporaneamente distinto, riconoscibile, con dei
confini percepibili ma anche aperto, capace di includere i mutamenti, di rielaborare gli eventi, di
ricomporre la frammentarietà dell’esperienza e della memoria
e. Un individuo che è ” individuato”, sarà in grado di raccontare la propria storia di vita, di riconoscere
ad esempio le proprie modalità di relazione con la famiglia di origine, di comprenderne i limiti e le
risorse, di conseguenza un individuo che sarà in grado di fare dei progetti, così alla domanda chi sono,
sarà in grado di rispondere coerentemente alla propria storia di vita.
Infine, con il termine identificazione – o collocazione sociale – si intende fare riferimento alla
dimensione della partecipazione e del coinvolgimento. Vengono posti in primo piano gli elementi che
consentono agli individui di collocarsi entro uno spazio morale, cioè di tracciare le coordinate– giusto/
sbagliato, bene/male, bello/brutto, vicino/lontano, degno/indegno, ecc. – che strutturano il senso delle
situazioni di cui si fa esperienza
L’autostima
La stima di sé, elemento capace di misurare la capacità di collaborazione sociale, aumenta nella
misura in cui si è accettati o scelti dagli altri, mentre l’esclusione tende ad abbassarla. Bisogno di
intrattenere e mantenere ampie relazioni sociali
Secondo E.H. Erikson, ai fini della comprensione dell’origine della stima di sé, risulta particolarmente
importante focalizzare l’attenzione su quanto avviene nella fase che comincia alla nascita e si conclude
all’incirca durante il primo anno di vita. Compito fondamentale di tale fase è quello di acquisire un buon
equilibrio tra fiducia di base e sfiducia di base, in se stessi e negli altri. Fiducia e sfiducia, secondo
Erikson, originano dalla qualità della relazione che il bambino sperimenta con la propria madre e
devono essere modulate dalla speranza che i propri bisogni e le proprie richieste non verranno
disattesi, almeno non più di tanto, non fino al punto, cioè, di perdere la speranza.
Il concetto di autostima
a) L’AMORE PER SE STESSI: è ciò che ci consente di apprezzarci ed accettarci nonostante i nostri
difetti ed indipendentemente dalle nostre prestazioni
LA FIDUCIA IN SE STESSI: essere fiduciosi significa pensare che si è capaci di agire in maniera
adeguata nelle situazioni importanti
Esistono diverse modalità per migliorare l’autostima: a. Una buona immagine di sé, favorisce dei
rimandi positivi; b. Lavorare sui sensi di colpa fino a quello più ancestrale del non essere stati amati e
quindi non avere avuto la fiducia di base; c. Riequilibrare il principio del dovere e principio del piacere;
d. Favorire lo sviluppo di un buon principio di realtà rispetto ai nostri punti di debolezza e ai nostri punti
di forza.
Per liberarsi dall'autostima da successo e orientarsi verso un autostima più autentica, occorre tenere in
conto quello che per noi è veramente importante, come senso della vita e valori da seguire. Ecco alcuni
suggerimenti:
La psicologia sociale è:
C Disciplina che si occupa dello studio delle relazioni tra culture diverse
Il sé è:
2 Il sé
D Il Sé è un concetto temporale
! L’autostima è:
3 Lâautostima
A L’autostima è una caratteristica sociale
! L’identità è:
5 LâidentitÃ
6 Il concetto di autostima
Il sé è multidimensionale in quanto:
7 Il sé
L’empatia è:
9 Lâidentità e il confronto
Il concetto di autostima:
10 Lâautostima
A Gli individui con una buona autostima non credono nelle proprie capacità
47.
La comunicazione verbale
Comunicazione interpersonale
La comunicazione sociale più nota come comunicazione di massa viene realizzata da una o poche
persone ed è rivolta a molti individui (televisione, stampa, radio, pubblicità, utenti e riceventi).
La comunicazione interpersonale coinvolge 2 o più persone e si basa sempre su una relazione in cui gli
interlocutori si influenzano sempre l’un l’altro, anche quando non se ne rende conto
Roman Jakobson ha descritto il processo comunicativo indicandone sei elementi essenziali, ricorrenti in
qualsiasi forma di comunicazione: mittente (o emittente), destinatario (o ricevente), messaggio,
referente, canale e codice § Mittente – anche detto trasmittente, è chi invia il messaggio, dando così
inizio alla comunicazione. § Destinatario – anche detto destinatario, è colui a cui viene inviato il
messaggio
§ Messaggio – anche detto contenuto, riguarda ciò che viene comunicato e può essere di varia natura.
§ Canale – mezzo attraverso il quale il messaggio è trasmesso (i segni grafici, se il messaggio è scritto;
l’aria, se mittente e destinatario sono vicini; il telefono, se invece sono lontani; …)
§ Codice – linguaggio usato per la comunicazione, che può essere verbale o non verbale
volte si può verificare che, pur alla presenza di tutti i requisiti, la comunicazione risulti disturbata e il
messaggio non raggiunga il destinatario in modo chiaro. Per spiegare tale fenomeno, si ricorre ad
un’altra parola, rumore: qualunque disturbo o interferenza che altera il processo comunicativo
Un altro fattore che incide sulla comunicazione e del quale si deve tenere conto quando si formula un
messaggio è quello indicato con la parola ridondanza, vale a dire l’eccesso di elementi che rinforzano il
messaggio, ripetendo le informazioni
Fondamentale è che l’emittente e il ricevente abbiano in comune lo stesso codice per potersi capire.
L’emittente codifica mentalmente il messaggio e lo invia,
Durante un corso sulla comunicazione che ho ripetuto per due edizioni, mi è capitato spessissimo che
le persone messe a confronto per comunicare si fraintendessero. Tecnica della rifocalizzazione. Se
volete essere sicuri di essere stati capiti, relativamente ad un proposta importante che state facendo, vi
consiglierei di chiedere cosa avete detto, ovviamente lo fate in modo delicato: “Mi scusi, giusto perché
non ci siano fraintesi che poi possano disturbarla volgiamo provare e focalizzare quanto abbiamo
appena detto?” . Lo stesso vale per voi: provate a ripetere quanto vi ha detto il cliente per verificare che
abbiate capito proprio bene: “
Ognuno di noi ha un proprio stile di comunicazione che dipende da vari fattori: Esperienze sociali fatte
(apparteniamo a una cultura in cui si parla molto o poco, veniamo da un ambiente che imponeva il
silenzio, ecc,) Conoscenze (abbiamo a disposizione un grosso vocabolario, abbiamo o meno una
buona cultura) Valori e abitudini di vita (preferiamo parlare o ascoltare, siamo introversi o estroversi,
ecc.)
Secondo molti psicologi e sociologi la comunicazione interpersonale tende oggi ad essere scarsa e
superficiale in quanto: 1) Non si è capaci di comunicare 2) Si ha poco tempo di dedicare agli altri 3) Si è
sempre più individualisti 4) Si preferiscono altri mezzi di comunicazione
COMUNICARE -> dal latino: [communicare], mettere in comune, derivato di [commune], propriamente,
che compie il suo dovere con gli altri, composto di [cum] insieme e [munis] ufficio, incarico, dovere,
funzione. PARLARE NON SIGNIFICA COMUNICARE
Linguaggio
I linguaggi sono i mezzi attraverso i quali vengono soddisfatte le esigenze comunicative; sono, in altre
parole, sistemi di segni mediante i quali si comunica.
§ L’uomo lo usa alternandolo o insieme alle parole: immagini, uso dei colori, gesti, atteggiamenti,
movimenti del corpo, suoni, odori, profumi, uso dello spazio e della disposizione in esso di cose o
persone
§ È controllabile
Le abilità verbali consistono, a seconda delle situazioni, di saper utilizzare: domande chiuse, aperte,
riflesse, libera informazione, autoapertura, cambio di argomento.
La domanda aperta, invece, è strutturata in modo da ricavare una maggiore quantità di informazioni
dall’altro
Nella domanda riflessa, infine, la persona può riconoscere all’interno dei segmenti finali dell’intervento
altrui degli stimoli di aggancio intorno ai quali costruire un’informazione da rilanciare
Passando alla libera informazione, possiamo dire che si tratta di una informazione che eccede in
qualche modo la domanda o è data senza essere sollecitata
Nell’ambito dello scambio verbale, anche il silenzio (momenti di pausa e di assenza di parola)
costituisce un modo strategico di comunicare e il suo significato varia con le situazioni, con le relazioni
e con la cultura di riferimento
Un esempio è dato dal linguaggio burocratico o burocratese, usato dalle pubbliche amministrazioni.
“Burocrazia” deriva dall’unione della parola francese bureau, che significa “ufficio”, con quella della
lingua greca cratia, che significa “potere”: questo linguaggio è espressione di un potere, quello
esercitato dall’apparato degli uffici amministrativi pubblici.
Caratteristiche - È un linguaggio di tipo misto, perché si configura come un incrocio di diversi linguaggi
specialistici, come quello giuridico, economico e finanziario – con largo uso di parole ed espressioni
latine
È complesso, formale, caratterizzato da un lessico (parole) tecnico, antiquato, difficile e da una sintassi
(organizzazione delle frasi e del periodo) involuta e complicata
Fra il linguaggio e la cultura esiste un rapporto molto stretto, al punto tale che si può affermare che la
lingua incarna la cultura
In psicologia abbiamo due filoni di ricerca che si sono occupati del complesso rapporto fra lingua e
cultura, cercando di individuare le connessioni intrinseche e reciproche di questo rapporto. Si sono
realizzati aspri dibattiti scientifici fra la posizione innatista di Chomsky, da un lato, e la teoria della
relatività linguistica di Sapir-Worf, dall’altro.
Egli suddivide ogni lingua in due strutture: superficiale e profonda. La prima riguarda l’articolazione e la
seconda spiega la capacità di ogni bambino di imparare una lingua nell’arco di due o tre anni e la
capacità di produrre e comprendere un’infinità di espressioni nuove mai incontrate prima.
Senza questo dispositivo innato il bambino non avrebbe né tempo sufficiente né stimoli per poter
imparare una lingua. È secondo questa prospettiva che Chomsky presuppone che il pensiero dia forma
al linguaggio.
. I fondatori della teoria della relatività linguistica: l’ipotesi di Sapir – Whorf Opposta è la visione di
Whorf, fondatore della teoria della relatività linguistica. Egli postula che sia lingua a condizionare lo
sviluppo cognitivo:
Ne consegue: 1) il mondo è concepito in modo diverso da coloro che si servono di linguaggi dalla
struttura dissimile; 2) la struttura del linguaggio è causa di queste diverse concezioni del mondo.
Un fattore fondamentale è la motivazione a comunicare che può essere dovuto spesso al solo desiderio
di essere ascoltati da qualcuno. Se la motivazione è assente la comunicazione non ha neanche inizio e
si blocca sul nascere. Se la motivazione è scarsa, la comunicazione fa fatica ad andare avanti, creando
tensioni o incomprensioni fra gli interlocutori. Tuttavia, anche una motivazione eccessiva è disturbante
in quanto chi ascolta potrebbe non avere voglia in quel momento di comunicare o di trattare quel
determinato argomento. Se invece la motivazione iniziale è discreta, il desiderio di comunicare tende
ad aumentare progressivamente anche se ciò dipende molto dal tipo di relazione.
Un’altra condizione fondamentale per comunicare in modo efficace è l’autenticità, intesa come la reale
disponibilità verso gli altri.
Un altro fattore facilitante è la congruenza, ossia la coerenza tra ciò che si esprime a parole e ciò che si
manifesta al livello non verbale e paraverbale.
Anche ad essere attenti ai bisogni degli altri facilita la comunicazione poiché si tende a prendere
l’iniziativa e di solito a parlare per primi, ponendo così le basi per una possibile futura comunicazione.
Avere frequenti rapporti sociali è sicuramente un fattore positivo poiché consente di apprendere vari stili
di comunicazione,
Non avere pregiudizi nei confronti di chi parla è basilare perché possa esserci comunicazione,
relazione e comprensione.
L’ENTUSIASMO è l’autentica forza della comunicazione: “parliamo con la mente ma comunichiamo con
il cuore”. Una comunicazione efficace, davvero interattiva e produttiva è una comunicazione che genera
un rapporto
Il DIALOGO presuppone:
2) Tutti possono imparare e tutti possono insegnare qualcosa; in altri termini, non ci sono ruoli
unidirezionali.
Interrompere. Sovrapporsi.
OSTACOLI ALLA BUONA COMUNICAZIONE Dare consigli (non chiesti). ESEMPI PRATICI Devi fare
così.
Chi riceve messaggi barriera come quelli sopra descritti riceve in ogni caso dei racket. I racket hanno lo
scopo di togliere energia, indebolire l’altro e rafforzare il sé e non sono certo tra i presupposti di un
colloquio che vuole essere una comunicazione efficace ed autentica
Presupposti per poter comunicare in maniera efficace - Ascoltare in modo attento, empatico e
interessato - Osservare e valutare la comunicazione non verbale - Comprendere le pause di silenzio e
saperle gestire - Accettare tutto ciò che l’interlocutore dice, anche quando contrasta con le nostre
opinioni - Essere realmente disponibili a comunicare - Non imporsi in nessun modo
- Considerare l’interlocutore come persona degna di essere ascoltata I fattori che sostengono una
BUONA COMUNICAZIONE EFFICACE sono invece:
Segnali di sintonizzazione. Risonanza. Matching (combaciare con la mappa del mondo dell’atro).
Pacing (andare al passo). Calibrazione. Attenzione ai feedback.
1 Le abilità verbali
C Autochiusura
5
Le parole della comunicazione
A Contesto e rumore
C Solo contesto
D Solo rumore
Gli autori che si sono occupati del complesso rapporto fra lingua e cultura
sono:
6 Linguaggio,comunicazione e cultura
A Watzlawick e Beavin
B Jackson e Beavin
C Watzlawick e Jackson
D Chomsky e Sapir-Whorf
7 Linguaggio,comunicazione e cultura
8 La comunicazione efficace
B Non ascolto
9 Modelli di comunicazione
48.
. Diversi autori riconoscono l’esistenza di gesti che si possono riscontrare in tutte le razze e le
popolazioni, come, per esempio, il muovere le mani verso il naso o il toccarsi i capelli in momenti di
perplessità e di imbarazzo. Se tuttavia consideriamo i condizionamenti sia psicologici sia culturali che
intervengono nella comunicazione non verbale, possiamo comprendere che la facoltà di esprimersi non
verbalmente è sì universale, ma la sua funzione e il suo significato variano a livello individuale, culturale
e linguistico. Se infatti alcuni aspetti della comunicazione non verbale sono comuni a tutte le culture
(tutti i membri della specie umana usano a scopo comunicativo il volto, gli arti, la postura, la voce), non
tutti gli esseri umani ricorrono agli stessi segnali con la medesima frequenza e con la medesima
ricchezza espressiva.
La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di un’
interazione che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio, quindi il significato delle
parole, ma che fanno riferimento al linguaggio del corpo, a quella parte della comunicazione non
parlata tra le persone. I messaggi verbali costituiscono solo una parte limitata della comunicazione
interpersonale.
è stato elaborato un modello del processo comunicativo che rimane valido ancora oggi e che è
considerato una sorta di riferimento universale per comprendere il modo in cui deduciamo il significato
dei messaggi altrui. Lo studio evidenziava l’esistenza di tre elementi che sono alla base di qualunque
atto comunicativo: il linguaggio del corpo, la voce e le parole. Da questo studio è emerso che il 55% del
significato di qualsiasi messaggio viene dedotto dal linguaggio visivo del corpo (gesti, posture, mimica
facciale); il 38% viene dedotto da elementi vocali del parlato (tono, volume e ritmo della voce); mentre il
7% dalle parole (Mehrabian, 1971).
Al centro dell’ analisi del rapporto tra comunicazione e comportamento è il concetto di intenzionalità, la
distinzione tra segno e simbolo e tra comportamento espressivo e simbolico (Anolli, Ciceri, 1992).
Il segno è un segnale che ha una relazione intrinseca con ciò che significa e in genere non richiede
l’attivazione di un processo intenzionale. Il segno non ha un carattere specificamente comunicativo e
può essere l’espressione di una risposta comportamentale fisiologica, o una caratteristica dello stile
personale.
Il simbolo, invece, è un segnale che sta per qualcos’altro, il cui uso richiede un atto intenzionale,
essendo il risultato di una convenzione sociale
La psicologia ha prodotto diverse prospettive teoriche rispetto alla distinzione tra comportamento
espressivo e simbolico che spesso sono opposte tra loro. Gli studiosi della scuola di Palo Alto,
Watzlawick, Beavin e Jackson (1967), affermano che qualsiasi comportamento agito in presenza di
un'altra persona, indipendentemente dal grado di intenzionalità che comporta, diviene comunicazione,
sostenendo che all’interno di un interazione non sia possibile non comunicare
Altri autori, tra cui Fraser, considerano la comunicazione come qualcosa che implica sempre “un codice
socialmente condiviso e un azione intenzionale di chi codifica e decodifica”,
Il comportamento non verbale comunicativo, raggruppa gesti che consentono, in maniera consapevole,
di inviare specifici segnali al ricevente. Il comportamento non verbale interattivo, invece, include i gesti
utilizzati per influenzare il comportamento interattivo degli altri.
ri. Secondo i modelli intermedi il linguaggio del corpo non rappresenta ne una modalità solo espressiva,
né una modalità solo comunicativa,
Per lungo tempo il tema dell’ origine della comunicazione non verbale è stato al centro di controversie
tra studiosi innatisti che ne ipotizzavano l’origine genetica e studiosi ambientalisti che enfatizzavano
l’importanza dell’ apprendimento e di fattori culturali.
Tali controversie hanno portato poi all’elaborazione di un modello che considera l’origine del linguaggio
del corpo come né innata né esclusivamente appresa, ma assume forme differenti in rapporto ai diversi
segnali del repertorio comunicativo.
Segnali come l’ espressione facciale delle emozioni hanno una forte connotazione biologica e innata e
presentano similitudini con i segnali utilizzati dai primati non umani.
Il carattere universale e innato della comunicazione corporea è dimostrato anche dalla corrispondenza
neurofisiologica tra emozioni e muscoli facciali (Ekman, 1982). La cultura di appartenenza stabilisce le
circostanze e gli eventi che provocano determinate emozioni e governa l’espressione e le reazioni che
esse possono suscitare.
Una delle principali funzioni è legata all’espressione delle emozioni attraverso il comportamento
esteriore. I segnali emessi dal corpo manifestano gli stati emotivi dell'individuo, molto spesso in modo
più chiaro che con le parole. Molte ricerche dimostrano che i segnali non verbali sono molto più efficaci
delle parole nel comunicare le emozioni
Un ulteriore funzione è quella di feedback attraverso cui l’emittente può monitorare la ricezione e
interpretazione del messaggio. Il linguaggio del corpo è stato studiato a diversi livelli: intrapersonale,
interpersonale, situazionale, posizionale e ideologico.
Il livello intrapersonale concentra l’attenzione sulla dimensione individuale del comportamento non
verbale e sui processi interni alla persona, focalizzandosi sul legame tra i sistemi di rappresentazione
mentale e aspetti non verbali della comunicazione. Attraverso questo livello di analisi è possibile
inferire, da alcuni segnali del corpo, le rappresentazioni mentali attive in un determinato momento in
una persona
. Il livello situazionale analizza le dinamiche delle relazioni che si stabiliscono in un dato momento da
determinati individui in una situazione
Il livello posizionale esamina la regolazione dei processi comunicativi non verbali in rapporto a variabili
quali lo status e il ruolo, prendendo in esame le differenze di posizione sociale preesistenti all’
interazione non verbale
gli arabi tendono stare molto più vicini rispetto agli Europei e agli Americani
In tutto il mondo il linguaggio corporeo dei politici è oggetto di grande interesse, essendo persone che
passano gran parte del proprio tempo a eludere, evitare, fingere, mentire e nascondere i propri
sentimenti, a usare paraventi e salutare amici inesistenti nella folla, ma spesso il linguaggio del corpo
tradisce svelando le loro reali intenzioni.
Il linguaggio del corpo è il riflesso dello stato emozionale di un soggetto. Ogni gesto o movimento può
essere un indizio importante per capire cosa stia provando e quali siano le intenzioni di una persona in
un determinato momento
DIFFERENZE DI GENERE
Numerosi psicologi hanno condotto diverse ricerche in cui è stata riscontrata una maggiore abilità delle
donne nel riconoscere e valutare i segnali del linguaggio corporeo. In uno di questi studi, ad esempio,
sono stati mostrati ad un gruppo di persone dei brevi filmati privi di sonoro, in cui un uomo e una donna
comunicavano tra loro.
Ai partecipanti è stato poi chiesto di ricostruire l’argomento del dialogo utilizzando come informazioni le
espressioni della coppia, ed è emerso che l’87% delle donne ha interpretato in maniera corretta la
scena, mentre gli uomini sono nel 42% dei casi è stato osservato che il cervello delle donne vi sono
dalle 14 alle 16 aree cerebrali preposte a tali funzioni rispetto alle 4-6 dell’uomo. Tale differenza è stata
spiegata anche in riferimento alla necessità da parte delle donne di sviluppare la capacità di
interpretare i segnali non verbali, dovendosi affidare quasi esclusivamente a questi nell’ accadimento
del bambino nei suoi primi anni di vita per comunicare.
Il volto rappresenta l’area del corpo più significativa da un punto di vista comunicativo ed espressivo e
il segnale non verbale su cui si può esercitare un maggiore controllo. Si può ipotizzare che le
espressioni facciali e i muscoli mimici corrispondenti, si siano evoluti per l’elevato valore adattivo che
essi assumono nella vita di gruppo dei mammiferi. L’espressione delle emozioni attraverso il volto
costituisce un importante fattore di regolazione della vita degli individui all’ interno del gruppo sociale. “
A partire dagli studi di Darwin ripresi poi da Ekman e Friesen è stata riconosciuta quindi l’universalità
delle emozioni fondamentali e delle caratteristiche con cui queste si manifestano attraverso specifiche
espressioni del volto. Questi programmi innati di espressione delle emozioni vengono poi controllati
dalle persone attraverso meccanismi che regolano e modulano il modo in cui queste emozioni vengono
esternalizzate
Uno dei segnali del corpo meno evidenti ma più efficaci da un punto di vista comunicativo è il palmo
delle mani per impartire ordini o direttive, nonché nella stretta di mano.
Lo sguardo
Lo sguardo è un potente segnale non verbale che rappresenta uno dei più importanti codici
comunicativi, di cui gli occhi svolgono una funzione chiave. L’occhio anatomicamente comprende un
ampia struttura di terminazioni nervose ed è circondato da muscoli extraoculari che possono contrarsi
migliaia di volte al giorno in altrettanti modi diversi.
Nel corso di una conversazione, in concomitanza delle sequenze degli scambi, lo sguardo regola
l’alternanza dei turni, segnala l’intenzione di prendere parola, comunica che si è finito di parlare. Alcuni
spunti pratici:
1. Occhiata di traverso comunica interesse, incertezza o ostilità; 2. Battito delle palpebre se fatto con
frequenza comunica può denotare imbarazzo e menzogna, oppure può rappresentare un tentativo di
escludere qualcuno dalla propria visuale per noia, disinteresse, o senso di superiorità; 3. Sguardi
fulminei, quando gli occhi sguizzano da una parte all’altra, rappresentano il tentativo di una persona di
cercare vie di fuga e segnala insicurezza in ordine agli eventi in corso.
L’antropologo E.T. Hall che nel 1963 ha introdotto tale termine, lo definisce come “lo studio dei modi
con cui l’uomo acquista conoscenza dei contenuti delle menti degli altri uomini, attraverso giudizi su
modelli di comportamento, associati a gradi di vicinanza ad essi”
La distanza intima, dal contatto fisico fino a 45 cm, che si instaura quando c’è un rapporto di estrema
confidenza come tra la mamma e il bambino, persone innamorate o anche per comunicare affetto in
particolari situazioni sociali come ad esempio il saluto tra amici che non si vedono da tempo. Questa
distanza consente di rimanere a stretto contatto con l’interlocutore, potendone percepire il respiro,
l’odore della pelle, il profumo ed anche vivere situazioni emotive molto intense.
La distanza personale, nelle due varianti di vicinanza (tra i 45 e i 75 cm) e lontananza (tra i 75 ed i 120
cm), è quella più frequentemente utilizzata nella vita di relazione dell’uomo quando abitualmente
chiacchiera con gli altri, spiega un problema, discute un evento. Solitamente la vicinanza, senza mai
diventare intima, è direttamente proporzionale al grado di conoscenza e di confidenza con l’altro ed è
ancora tale da poterne consentire, allungando una mano, un contatto.
Tipica e ricorrente nelle situazioni di rapporto professionale è la distanza “sociale” (da m 1,20 a m 3,50)
che non impone necessariamente una relazione diretta con chi sta di fronte (F.Casolo, S.Melica, 2005).
La distanza “pubblica” è una variante della distanza sociale che porta lo spazio di relazione ad una
distanza superiore ai 3,50 m, utilizzata prevalentemente per situazioni comunicative generalmente
monodirezionali (lezione universitaria, rappresentazioni teatrali, concerti, comizi
B In percentuale minore dal linguaggio visivo del corpo rispetto alle parole e
agli elementi vocali
7 Differenze di genere
D Un fattore di regolazione della vita degli individui all’ interno del gruppo
sociale
49.
È importante sottolineare che non tutto quello che viene comunicato arriva al ricevente. Mediamente
infatti, attribuendo al messaggio che si vuole comunicare un valore 100, l’emittente riesce a comunicare
solo 70. A causa dei disturbi o ostacoli nello scambio comunicativo (come rumore, disattenzione,
scarso interesse, stanchezza, limiti culturali o fisici del ricevente, distacco o eccessivo coinvolgimento
emotivo) il ricevente viene a contatto solo con il 40% del messaggio e ne capisce il 20%.
E’ importante aggiungere che viene ricordato dal ricevente solo il 15-20% di ciò che ascolta (ad
esempio in una lezione frontale), il 30-35% di ciò che vede (il canale visivo è molto più potente
dell’uditivo per memorizzare): la percentuale di ricordo sale al 60-70% se il canale uditivo viene
supportato da quello visivo
L’emittente dovrebbe
a. definire l’obiettivo della comunicazione: se il ricevente sa qual è la finalità della
b. dare precedenza alle informazioni riguardanti i fatti rispetto alle opinioni, evitando così di
d. esprimere con precisione semantica e sintattica il proprio pensiero, cioè essere chiaro.
h. è anche importante essere obiettivi, e interagire con il ricevente cogliendone, attraverso il linguaggio
verbale e non verbale,
Il ricevente dovrebbe a. essere ben disposto alla comunicazione. b. avere capacità di ascolto. c.
essere in grado di capire e interpretare i significati simbolici dei messaggi. d. comprendere gli schemi di
riferimento dell’emittente. e. porre domande affinché l’emittente precisi il suo pensiero.
Uno dei primi studi scientifici sulla comunicazione può essere fatto risalire a Paul Watzlawick il quale,
all’interno del volume “La pragmatica della comunicazione umana” (1971), ha concettualizzato i principi
fondamentali della comunicazione, definendola come: “uno scambio interattivo fra due o più
partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far
condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e
di segnalazione secondo la cultura di riferimento”
Per “funzione pragmatica della comunicazione”, si intende la capacità del linguaggio d’avere
conseguenze sui comportamenti umani nei contesti in cui agisce. Non esiste comunicazione senza un
comportamento, né un comportamento che non comunichi qualcosa.
Watzlawick sottolineò come anche “le nevrosi, le psicosi e in generale le forme di psicopatologia non
nascono nell’individuo isolato, ma nel tipo di interazione patologica che si instaura tra individui”,
Watzlawick basa la sua elaborazione teorica su cinque assiomi, affermazioni basilari che riflettono i
meccanismi che si innescano nell’interazione tra segni e simboli. PRIMO ASSIOMA: non si può non
comunicare Qualsiasi comportamento (verbale = parole; o non verbale = espressioni del viso o azioni o
contesto) comunica qualcosa alle persone presenti.
Questo aspetto relazionale, il più delle volte implicito, del messaggio è definito “metacomunicazione”.
Sincronicamente o addirittura prima di analizzare il contenuto manifesto dei sistemi verbali, esiste un
“tendere a” codefinire le regole del gioco relazionale implicito. Perché l’aspetto metacomunicativo sia
congruo con la comunicazione verbale e non verbale ci dovrebbe essere reciproca consapevolezza dei
ruoli relazionali.
la comunicazione dipende dalla punteggiatura (dalla mappa) utilizzata dai soggetti che comunicano La
realtà in quanto tale non esiste. Esiste la mappa (=punteggiatura) che ciascuno di noi ha per leggerla e
che può differire da persona a persona. Lo slogan che riassume efficacemente questo assioma è “La
mappa non è il territorio!” E’ evidente che le personali letture della realtà comunicativa influenzano
moltissimo il passaggio dei contenuti dell’informazione. Ma da cosa dipende la mappa o punteggiatura
della realtà? Dall’insieme di convinzioni, credenze e valori che si formano all’interno di ciascuno di noi
per cultura, esperienze, strutturazione psicologica e biologica. Un disaccordo su come punteggiare una
sequenza di eventi può essere all’origine di un conflitto di relazione. Un tipico errore di punteggiatura è
rappresentato dalla profezia che si autoavvera in cui il soggetto crede di reagire ai comportamenti altrui
mentre in realtà li provoca.
Il topo ha una punteggiatura della realtà diversa da quello dello sperimentatore e pensa: “Ho addestrato
il mio sperimentatore. Ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare” Marito e moglie credono
entrambi di “leggere bene” la realtà e che i problemi siano provocati dal partner
Il doppio messaggio o doppio legame normalmente genera molto stress nella comunicazione. Per
uscire da un doppio messaggio dobbiamo porci ad un livello meta-comunicativo; dobbiamo cioè
esplicitare che c’è una doppia informazione, altrimenti rimaniamo paralizzati e sbagliamo comunque ci
comportiamo
QUINTO ASSIOMA: Gli scambi comunicativi possono essere simmetrici o complementari a seconda
che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Introduzione
D Crea interferenza
Emittente e ricevente:
A Semantica
B Sintassi
C Pragmatica
D Semiotica
!! La comunicazione è:
C Un dibattito
D Un’attività inconsapevole
C Una affermazione che riflette i meccanismi che si innescano nell’interazione tra segni e
simboli
A Si riferisce al fatto che in uno scambio comunicativo c’è un reciproco riconoscimento del
turno di parola, di chi afferma e di chi risponde
B Si riferisce al fatto che ciascuno ha una propria mappa per leggere la realtà
50,
Il conflitto
La lingua latina, come sempre soccorre il bisogno esplicativo: il vocabolo conflitto è una parola colta
che riprende il latino CONFLICTUS dal verbo CONFLIGERE, composto da CUM, con e di un raro
FLIGERE, urtare, sbattere contro. Il prefisso CUM indica che l' "urto" non è unilaterale. Ma coinvolge
almeno due parti: è così definita una lotta, un contrasto, un coinvolgimento di due o più persone. Kurt
Lewin, psicologo tedesco, pioniere della Psicologia Sociale, così lo definisce: "Il conflitto è quella
situazione in cui le forze di valore, approssimativamente uguali ma dirette in senso opposto, agiscono
simultaneamente sull'individuo".
Il conflitto in psicologia sociale può essere definito come “una situazione in cui forze di valore
approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto agiscono simultaneamente sull’individuo” (K.
Lewin).
In ogni situazione conflittuale si possono rintracciare tendenze verso almeno due forme di
comportamento: - Tendenze rivolte al raggiungimento di un obiettivo (tendenze appetitive). - Tendenze
rivolte all’evitamento di eventi indesiderati (tendenze avversative)
Conflitto tra due tendenze appetitive (attrazione-attrazione): il soggetto dovrà scegliere tra due obiettivi
ugualmente positivi ma la situazione è tale per cui può raggiungerne soltanto uno; questo è il tipo di
conflitto più innocuo in quanto i due obiettivi non si equivalgono mai in maniera completa e perché, al
tempo stesso, l’individuo nutre, in partenza, qualche preferenza rispetto ad uno dei due obiettivi, o
ancora perchè un cambiamento della situazione sposta l’interesse su uno dei due. 2) Conflitto tra una
tendenza appetitiva ed una avversativa (attrazione-avversione): se le due tendenze sono di forza
simile, il soggetto rimane sospeso ed indeciso. In questo tipo di conflitto rientrano tutte le situazioni
nelle quali il soddisfacimento di un desiderio è condizionato al pagamento di un prezzo elevato. 3)
Conflitto tra due tendenze avversative (avversione-avversione): nel conflitto di questo tipo il soggetto si
trova di fronte a due oggetti o situazioni ugualmente negativi o spiacevoli. Se la ritirata non è possibile,
di solito si opera la scelta del male minore. 4) Conflitto tra due tendenze che sono in sé sia appetitive
che avversative: il soggetto si trova di fronte ad oggetti o situazioni che evocano contemporaneamente
attrazione e repulsione. E’ importante sottolineare che i conflitti più acuti si verificano allorché tendenze
incompatibili sono caratterizzate dalla medesima intensità.
L’appartenenza ai due generi, le diverse età, l’appartenenza a diverse classi sociali, professioni
impongono di volta in volta regole di comportamento diverse, a volte incompatibili. In questo caso, la
variabile “ruolo” assume notevole importanza; il conflitto, infatti, può nascere allorché l’individuo si
ritrova ad occupare, contemporaneamente, due posizioni differenti che prescrivono atteggiamenti
diversi: si parla allora di conflitto tra ruoli.
Come possiamo risolvere un conflitto legato al doppio ruolo? Il conflitto tra i ruoli può essere risolto nei
seguenti modi:
1. La separazione consiste nel tentativo di separare, sia nel tempo che nello spazio, i due ruoli in
conflitto. Ad es. il soggetto che fa parte di 2 gruppi che esigono comportamenti diversi, può cambiare
passando da un gruppo all’altro. Tale meccanismo può agire anche a livello più profondo. L’Io, sede del
conflitto, può separare i due ruoli distaccandosi interiormente da uno di essi, pur attuandoli entrambi
nella realtà. I ruoli scartati dall’Io sono vissuti come carichi di sensi di colpa, a volte proiettati su un io
ausiliario, che il soggetto non riconosce come appartenente alla propria personalità. (es.: il bambino
attribuisce le azioni cattive al Diavolo e le buone azioni a se stesso).
2. Il compromesso, attraverso il quale l’individuo può scegliere di rinviare l’azione in attesa che uno dei
due gruppi, o entrambi, in conflitto tra loro, attenuino le proprie esigenze nei confronti di un soggetto. In
alternativa, l’individuo può tentare di ristrutturare il ruolo stesso con l’obiettivo di adattarlo a ciascuno
dei due gruppi; ancora, l’individuo può risolvere il conflitto attraverso la forma di compromesso più
diplomatica ma, al tempo stesso, più difficile da attuare, ovvero utilizzare un ruolo contro l’altro al fine di
indicare a ciascun gruppo che le esigenze richieste sono incompatibili, il tutto al fine di far sì che le
esigenze stesse vengano attenuate.
3. La fuga, (soluzione negativa) attraverso la quale l’individuo può districarsi dai due ruoli in conflitto
evitando qualsiasi tipo di scelta e qualsiasi tipo di mediazione o separazione tra gli elementi in
questione
La gerarchia dei gradi di obbligatorietà dei ruoli, senza la quale l’individuo si troverebbe in uno stato di
conflitto permanente, ovvero alcuni ruoli possono essere temporaneamente abbandonati a vantaggio di
altri.
Approccio cognitivo al conflitto Un altro approccio classico al problema del conflitto è quello adottato
dagli psicologi cognitivisti. In questo ambito un ruolo fondamentale è occupato dalla teoria della
dissonanza cognitiva postulata da Festinger.
Per “dissonanza cognitiva”, Festinger intende lo stato di disagio che l’individuo sperimenta allorché è
consapevole della contraddittorietà, o della mancanza di armonia, fra due o più contenuti mentali o
cognizioni. Nella sua teoria, Festinger sostiene che le persone tendono ad evitare o alleviare questi
stati di disagio, comportandosi in maniera tale da ridurre la dissonanza o da mantenere l’armonia fra i
loro diversi atteggiamenti, convinzioni e conoscenze.
In alternativa, l’individuo può ridurre la dissonanza cognitiva integrando un nuovo elemento cognitivo in
aggiunta agli elementi consonanti, il tutto al fine di modificare il rapporto con gli elementi dissonanti.
Come scrivono Spaltro e De Vito Piscicelli, “Il conflitto non è una malattia misteriosa di cui non si
conosce la causa, ma è un processo fisiologico che, se non viene regolato, può diventare malattia" .
"Ogni situazione lavorativa è di necessità conflittuale ... Il conflitto è una qualità umana come il
mangiare, il bere il camminare ed il comunicare, solo che ci si riferisce non ad una qualità individuale,
ma ad una qualità relazionale. E, soprattutto, il conflitto non è una patologia relazionale, ma è la
relazione in se stessa”.
Questa è la sfida: creare le condizioni affinché le relazioni possano alimentarsi non solo nella simpatia
ma anche nella discordanza e nella diversità. Cercare di apprendere la capacità di stare dentro il
conflitto e di vivere la diversità come momento di crescita e non più come un fattore di paura e di
minaccia. La diversità perde così la sua connotazione di antagonismo e diventa un elemento evolutivo,
di arricchimento, se supportata da un atteggiamento intersoggettivo
Il conflitto diventa così un’opportunità di leggere se stessi, di osservare quelle parti di noi che non
conosciamo, che la relazione con l’altro fa emergere in modo più eclatante.
Alcune riflessioni possono aiutarci a vedere da un altro punto di vista il conflitto e fornire spunti per
gestire i conflitti in modo non violento, costruttivo, trasformandoli in un’opportunità evolutiva e di
crescita reciproca: Ricordiamo che il conflitto è un problema da gestire, e non una guerra da
combattere.
Non è l’assenza di conflitto a determinare il benessere. Anzi l’assenza totale di conflitto di solito
segnala appiattimento, paura reciproca, rancori nascosti, immaturità. Molto raramente l’assenza totale
di conflitto è indice di totale accordo
Esiti negativi e positivi della soluzione di un conflitto Gli esiti del conflitto sono di vario tipo. Un esito
possibile è la completa sottomissione alla autorità di qualcuno (uno cede ad un altro), un altro è il
compromesso (tutti concedono qualcosa agli altri). Spesso, quando le persone non riescono a trovare
in sé la capacità di risolvere conflitti, si affidano alla mediazione di un terzo. Altre volte la strategia è il
disimpegno, una vera e propria fuga dall’ambito conflittuale (quieto vivere) che di solito porta ad
esplosioni di conflitto ancora più ampio in un secondo momento. Apprendere l’arte del compromesso è
qualcosa di possibile. Innanzitutto va detto che il compromesso si attua attraverso la concessione
reciproca; tutti lasciano qualcosa ma tutti guadagnano qualcosa. E’ proprio la sensazione piacevole di
aver vinto tutti che fa sentire le persone bene e che permette di affrontare successivi conflitti senza
eccessivi patemi.
Cosa genera un conflitto Una situazione conflittuale tra due persone può essere generata da diverse
cause, ed in particolare dalla presenza di:
1. Soggetti litigiosi: persone che sul piano caratteriale, per propria indole, sono predisposte al conflitto,
ovvero tendono a generare situazioni relazionali di tipo conflittuale, al di là del contenuto di
comunicazione trasmesso
2. Scarsità di risorse: alcune situazioni di conflitto possono essere generate da una scarsità di risorse
(es guerre civili delle popolazioni africane), ovvero da situazioni in cui una persona necessità di un
qualsiasi tipo di risorsa che però non gli viene data.
3. Lotta di potere: nella relazione tra due persone possono essere distinti due piani: piano verticale,
quando tra le due persone c’è un rapporto gerarchico; piano orizzontale, quando le due persone sono
legate da un rapporto paritario, non gerarchico. La disparità di piano diventa potenzialmente conflittuale
quando genera una lotta di potere in cui uno intende prevaricare l’altro
4. Invasione: il conflitto può essere generato anche dall’invasione da parte dell’altro del proprio ambito
spaziale, di ruolo professionale, ecc., ovvero quando si verifica un’invasione del proprio uovo
prossemico e/o psicologico
5. Disconferma: il conflitto interpersonale può essere generato anche da un atteggiamento di
disconferma dell’altro, ovvero da un atteggiamento di indifferenza che significa la mancata
riconoscenza dell’esistenza dell’altro
6. Differenza di bilancio: una situazione potenzialmente conflittuale può scaturire quando una persona
presume di aver maturato un credito nei confronti dell’altro che però non gli viene restituito. (Ad
esempio: “con tutto quello che ho fatto io per te….”
Come risolvere il conflitto Date queste premesse, è importante sottolineare che il conflitto non può
essere risolto, bensì gestito e trasformato in altro, andando ad incidere sulla relazione. A questo
proposito si possono utilizzare alcune strategie:
1.La metacomunicazione: per riposizionare ad un livello di equilibrio i piani relazionali tra due soggetti,
si può decidere di andare oltre al contenuto della comunicazione per spostare la conversazione sul
problema di comunicazione insorto. Ovvero si travalica la situazione per parlare della situazione in sè.
2. Disarmo unilaterale: di fronte ad una persona ‘’armata’’ si può reagire tentando di fargli ‘’posare le
armi’’ gettandole per primo, oppure facendo leva su un atteggiamento assertivo.
3. Intervento di una terza persona: alcune situazioni di conflitto possono richiedere, per essere gestite
(non in modo deresponsabilizzante da parte di chiede a un terzo), l’intervento di un soggetto terzo che
però per essere efficace deve possedere due caratteristiche: essere equidistante,ovvero mantenere
una distanza orizzontale uguale tra le due persone in conflitto, ed essere super partes, ovvero
mantenere un’uguale distanza verticale nei confroLa via maestre per risolvere il conflitto: la
negoziazione
La negoziazione è “un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire
cosa ognuna dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al raggiungimento di
Prendiamo tempo
Esprimere i bisogni che sono all’origine dei sentimenti Le azioni degli altri possono essere il fattore
scatenante, non la causa dei nostri sentimenti, i quali hanno origine nei nostri bisogni.
Evitare il “muro contro muro” Questo ci invita a non reagire a ciò che leggiamo come provocazioni,
trovando una strada diversa da quella che ci suggerisce la contrapposizione.
Rispettare i contenuti del conflitto Durante una comunicazione conflittuale evitiamo di rimandare il
problema ad un quadro generale, ad una situazione precedente.
La negoziazione non è:
La persuasione, intesa come prepotenza, cioè il voler convincere a tutti i costi l'altro della bontà delle
nostre prospettive.
La suggestione, una specie di ipnosi, che non lascia il partner libero di scegliere.
L'imbonimento.
Il dilemma può essere descritto come segue. Due criminali vengono accusati di aver commesso un
reato. Gli investigatori li arrestano entrambi e li chiudono in due celle diverse, impedendo loro di
comunicare. Ad ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l'accaduto, oppure non
confessare. Viene inoltre spiegato loro che:
1. se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l'altro viene però condannato a 7 anni
di carcere.
3. se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno, perché comunque già
colpevoli di porto abusivo di armi.
4. La miglior strategia di questo gioco non cooperativo è (confessa, confessa). Per ognuno dei due lo
scopo è infatti di minimizzare la propria condanna; e ogni prigioniero: confessando: rischia 0 o 6 anni
non confessando: rischia 1 o 7 anni
5. La strategia non confessa è strettamente dominata dalla strategia confessa. Eliminando le strategie
strettamente dominate si arriva all'equilibrio di Nash, dove i due prigionieri confessano e hanno 6 anni
di carcere. Il risultato migliore per i due ("ottimo paretiano") è naturalmente di non confessare (1 anno di
carcere invece di 6), ma questo non è un equilibrio.
6. Supponiamo che i due si siano promessi di non confessare in caso di arresto. Sono ora rinchiusi in
due celle diverse e si domandano se la promessa sarà mantenuta dall'altro; se un prigioniero non
rispetta la promessa e l'altro sì, il primo è allora liberato
Introduzione
D Due o più gruppi sociali in lotta tra loro per ottenere risorse esclusive
A Sapir – Whorf
B Chomsky
C Freud
D Pavlov
4
Secondo Kurt Lewin il conflitto in psicologia sociale può essere definito
come:
B Una situazione in cui forze diverse sono dirette in senso uguale e non
agiscono sull’individuo
C Una situazione in cui forze uguali sono dirette in senso uguale e non
agiscono sull’individuo
A Freud
B Maslow
C Gordon
D Festinger
A Spaltro e Piscitelli
B Festinger
C Freud
D Pavlov
A Lo scontro aggressivo
C Il giudizio
B La calma e la comprensione
C L’empatia e la condivisione
D Il perdono e la cooperazione
A Un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire cosa
ognuna dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al
raggiungimento di un accordo mutuamente vantaggioso
A Confessa-confessa
B Confessa-non confessa
51.
L’aggressività
K. Lorenz
Uno dei fondatori dell'etologia e premio Nobel nel 1973, ha studiato le abitudini comportamentali degli
animali e ha elaborato una teoria estesa al genere umano. Egli distingue componenti innate e
componenti apprese del comportamento. La selezione naturale avrebbe determinato caratteristiche
fisiche per la sopravvivenza mentre le componenti apprese sarebbero alla base di caratteristiche
psicologico - comportamentali.
Altri autori come Tinberg (1953) e Van Lawich, ad esempio, valorizzano maggiormente l'ambiente e
considerano l'aggressività non è solo un istinto proveniente dall'interno ma anche una risposta a stimoli
ambientali
L’aggressività nell’età evolutiva Nel bambino l'aggressività appare sin dall'infanzia ed assolve alla
funzione di acquisizione di autonomia, utile al distacco dalla protezione delle figure genitoriali. Il
bambino, attraverso l'aggressività, impara ad affrontare il mondo, ad interagire con oggetti e persone
per conoscere e gestire ciò che lo circonda.
Nel corso della crescita, con l'interazione sociale il bambino progressivamente impara che può essere
aggressivo in vario modo e che non tutte le manifestazioni aggressive sono permesse.
Nell'adolescenza, l'aggressività si carica di molteplici significati, adattivi e non, che si completeranno
nell'età adulta
La biologia ha dato un importante contribuito allo studio del comportamento aggressivo tramite ricerche
sul comportamento animale ed umano. Gli etologi hanno definito l'aggressività una modalità
comportamentale necessaria non solo per la sopravvivenza del singolo e della specie, ma per
l'evolversi di entrambi.
La ricerca genetica A partire dal XIX secolo gli studiosi hanno cercato di individuare le basi genetiche
dell'aggressività. Lombroso, fondatore dell'antropologia criminale, fortemente influenzato dalla
fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia, ha ricercato l'esistenza del “gene del male”,
asserendo che esistono peculiari caratteristiche anatomiche in soggetti che hanno una innata
inclinazione al male
Tuttavia da tempo è stato visto come in alcuni casi le alterazioni dei cromosomi sessuali siano in
stretta relazione con i comportamenti aggressivi in soggetti con il genotipo XYY a 47 cromosomi, che
vengono descritti come violenti, impulsivi e tendenti ad azioni criminose.
Hook (1973) postula che, a questo proposito l'aspetto più importante non sia l'aumento della
aggressività quanto un aumento della impulsività
Il notevole progresso nella conoscenza neuroanatomica, alla base del comportamento aggressivo, si è
basata su studi di fisiologia sperimentale effettuati su animali (Moruzzi, 1975), sui risultati delle
osservazioni dirette ed indirette scaturite dal lesione chirurgica e sulla stimolazione elettrica di alcune
aree cerebrali di pazienti con gravi patologie a fini terapici. I sistemi neuronali implicati sono molteplici e
situati principalmente nel sistema limbico e nel tronco dell'encefalo (Fuster, 1980; Volavka V.,1995).
Studi su animali, ed in particolare sulle scimmie, hanno evidenziato come l'amigdalectomia riduca la
risposta a stimoli minacciosi
"il fatto che l'amigdala, le fibre amigdalo-ipotalamiche e la regione laterale ipotalamica mostrano tutte,
se pure in grado diverso, una importanza cruciale nei riguardi di questo siano implicate nel
comportamento (aggressivo) ci mostra come esso sia legato alla integrità di un circuito più che di un
vero e proprio centro nel senso classico della parola. Esiste in complesso una regione che inizia nel
telencefalo, continua nel sistema limbico attraversa tutto l'ipotalamo e finisce nel mesencefalo, dalla cui
eccitazione risulta un comportamento aggressivo e di lotta..."
Gli ormoni più frequentemente studiati come modulatori dei comportamenti aggressivi nell'uomo sono
quelli sessuali e steroidei in genere
All’interno di questa prospettiva vengono analizzati i fattori interni che mediano l’aggressività (la
frustrazione, l’eccitazione o i vissuti emotivi connotati negativamente)
Zillmann nel 1979 con la teoria del trasferimento dell'eccitazione assume una prospettiva simile a quella
di Berkowitz riconoscendo però un contributo fondamentale all’interpretazione cognitiva dell’eccitazione
nel provocare l’aggressività. Secondo l’autore, è l’interpretazione che i soggetti danno all’attivazione di
uno stato emotivo a determinare una reazione aggressiva da parte loro.
4. L’approccio comportamentista (Il condizionamento operante) Una risposta aggressiva emessa dal
soggetto può essere mantenuta come stile abituale d’interazione, nel momento in cui permette di
raggiungere un obiettivo desiderato. In questo senso, allora, molti comportamenti aggressivi vengono
rinforzati, più o meno consapevolmente, dall’ambiente di vita del soggetto
Il comportamento aggressivo può inoltre essere rinforzato, nella misura in cui permette di evitare una
conseguenza sgradita
Albert Bandura nel 1973 teorizza la teoria dell’apprendimento sociale e postula che l'aggressività può
essere appresa per imitazione osservando i comportamenti degli altri. Come per la maggior parte dei
comportamenti sociali, anche gli atteggiamenti aggressivi possono essere appresi osservando altri che
li agiscono e osservando soprattutto le conseguenze che quei comportamenti generano. Esperimento
del pupazzo Bobo
Il modello sociologico
Quando studiamo l'influenza dei fattori socio-culturali sui comportamenti aggressivi, il campo di
indagine si dilata fino ad assumere contorni sfumati, imprecisi dove spesso rischiamo di confondere
opinioni personali con dati oggettivi e/o inconfutabili; d'altra parte le anomalie neurobiologiche non sono
sufficienti a spiegare la "cultura della violenza" che esiste in certi strati sociali di molti paesi, nè dall'altra
a spiegare come in piccole comunità religiose e/o laiche esista una insignificante frequenza di atti
violenti.
Il comportamento aggressivo può essere indotto per mera obbedienza. L’obbedienza è una particolare
forma di conformità che si esplicita quando tra la fonte di influenza e il bersaglio vi è una differenza di
status, di tipo qualitativo. Sulla base dell’autorità che gli è riconosciuta un individuo esercita in modo
esplicito e diretto una pressione su altri individui. Il comportamenti di obbedienza diventa l’esito delle
pressioni esercitate dal contesto e dalle situazioni in cui le persone agiscono. Vi è quindi uno “stato
eteronomico”, inteso come stato mentale che dispone un individuo a orientare il proprio comportamento
secondo le disposizioni date da altri di status superiore.
Il ricercatore attraverso una serie di esperimenti, studia l’innesco di modelli comportamentali aggressivi
indotti da dinamiche di gruppo (senso di appartenenza, distinzione ingroup- out-group, norme di
gruppo, diffusione di responsabilità); elementi situazionali ( anonimato, ridotta prospettiva temporale,
contesto elicitante violenza). La teoria della deindividuazione spiega l’aggressività in termini di riduzione
del controllo sul comportamento individuale indotto dai fattori sopraindicati. Un soggetto per il solo fatto
di essere inserito all’interno di un gruppo, la cui norma condivisa è quella dell’aggressività, riduce fino
ad annullare l’autopresentazione e la responsabilità delle proprie azioni.
comportamento autorevole/assertivo
A Disadattava
B Adattiva
C Disadattata
D Compiacente
A Acquisizione di autonomia
B Affidamento all’adulto
4 La ricerca genetica
A Esaustive
B Parziali e frammentarie
C Fasulle
D Inoppugnabili
6 Il modello cognitivo-neoassociazionista
8 Il modello sociologico
La persona autorevole:
D Ingoia la rabbia
52.
Più specificamente, i gruppi sociali rappresentano quindi “l’insieme di due o più persone che
interagiscono reciprocamente e sono interdipendenti, nel senso che sono spinti dai propri bisogni e
obiettivi ad affidarsi l’uno all’altro e a influenzare reciprocamente il comportamento” (Lewin, 1948).
Se durante gli anni ’60 si verifica una sorta di calo di interesse per lo studio dei gruppi e ci si concentra
su un approccio più di tipo individualistico e di ricerca di laboratorio, è pur vero che gli anni ’90
rappresenteranno invece una cornice importante per lo sviluppo di nuovi studi orientati sui gruppi che
vedranno schierati due filoni: coloro che studieranno i gruppi, secondo una visione più individualistica e
che dunque considereranno gli stessi come somma delle parti costituenti, e coloro che invece, in
un’ottica collettivistica, affronteranno lo studio dei gruppi tenendo conto di come questi ultimi influenzino
il comportamento dei singoli individui che vanno a costituirlo.
Non in tutti i gruppi è prevista una interazione che sia diretta ed è questo il caso dei “piccoli gruppi”, in
cui vi è reciproca influenza pur non essendoci necessariamente interazione continuativa e diretta;
differentemente quelli “faccia a faccia” prevedono un’interazione diretta oltre che un’ influenza reciproca
tra i membri, che si ritrovano coinvolti spesso in riunioni di gruppo, con ruoli diversificati tra loro
E’ interessante notare come vi siano altre differenze relative ad essi: i gruppi si distinguono infatti in
primari, in cui le persone interagiscono, mosse da un legame affettivo e da una forte coesione interna,
in maniera diretta, possedendo un forte senso di appartenenza, e i gruppi secondari, che mirano al
raggiungimento di scopi comuni da parte di tutti i componenti (che posseggono ruoli differenziati ma
interdipendenti e orientati ad un obiettivo), vi è identificazione; ancora, esistono i gruppi di riferimento
che rappresentano quelli a cui si appartiene o a cui si aspira di appartenere, con cui l’individuo si
identifica. Li unisce uno o più obiettivi da raggiungere che un’identificazione vera e propria. Essi inoltre
possono essere formali, cioè garantiti da protezione istituzionale e con obiettivi e attività specifici, ed
informali, in cui, più che gli obiettivi e le attività, contano in prima istanza le relazioni esistenti tra i
componenti. Sono anche distinguibili i gruppi strumentali (orientati prettamente allo scopo) da quelli
espressivi (con forte orientamento emozionale). Infine rintracciamo una differenza evidente tra quelli
che possono essere gruppi creati ad hoc detti appunto artificiali diversamente da quelli preesistenti
definiti gruppi naturali.
. Gli status in un gruppo Sherif e Sherif (1969) definiscono la struttura di un gruppo come “una rete
interdipendente di ruoli e status gerarchici”.
“il sistema di status è il pattern generale di influenza sociale fra i membri di un gruppo”
Esistono due indicatori che consentono di individuare lo status che un soggetto occupa in un gruppo: la
capacità di proporre idee (chiaramente chi ha uno status elevato avrà un maggiore grado di iniziativa) e
la valutazione consensuale del prestigio (la valutazione che faranno gli altri membri del gruppo sarà
influenzata dalla posizione occupata da colui che farà la proposta
Secondo Sherif (1948) è possibile osservare i comportamenti verbali e non verbali: per quanto riguarda
i primi, ci riferiamo al fatto che le persone con status elevato
interagiscano più frequentemente con gli altri membri, con maggiori interventi sia nei termini di assiduità
nel prender parole e sia per una maggior durata della stessa; ancora è stato notato come esse
effettuino un maggior numero di critiche, diano più comandi, compiano interruzioni più frequenti degli
interlocutori, avendo anche un maggior numero di comunicazioni da parte degli altri membri. Per quel
che concerne gli aspetti legati al non verbale, riscontreremo delle differenze nell’abbigliamento, negli
accessori, nel maggior uso dello spazio personale, nel maggiore contatto fisico e in posture più aperte
e rilassate, compreso lo sguardo che verrà più volte rivolto all’interlocutore durante le interazioni; inoltre
è stata riscontrata in queste persone (con status elevato) una maggiore adeguatezza tra
comunicazione verbale e non verbale (congruenza tra mimica, gesti, intonazione vocale ecc..).
I ruoli in un gruppo
Ben distinti dagli status, nel gruppo, vi sono i ruoli, che rappresentano “l'insieme di attività e relazioni
che ci si aspetta da parte di una persona che occupa una particolare posizione all'interno della società,
e da parte di altri nei confronti della persona in questione” (Brofenbrenner, 1979); questi ultimi possono
essere formali (se sono oggettivamente riconoscibili anche dall’esterno)
Benne e Sheats (1948), nei loro studi, hanno riscontrato tre tipologie di ruoli all’interno dei gruppi: quelli
relativi al compito; quelli relativi alla manutenzione della vita collettiva sul versante socio – affettivo e sul
versante del gruppo; e quelli individuali (Bombardi, Rutelli, Chemello, 1994
vi è il propositore di idee, che suggerisce modi in cui poter raggiungere gli obiettivi (information giver), vi
è colui che è critico e le mette in discussione (evaluator critic)
coordinatore, che ha il compito di raccogliere idee e critiche e cercare di utilizzarle per perseguire gli
obiettivi. Per quel che riguarda i secondi, quelli legati alla vita collettiva, sono ruoli connessi per lo più
allo stato emotivo del gruppo e quindi anche ai rapporti al suo interno: troviamo colui che stimola i
rapporti, incoraggiando il contributo generale (encourager) e colui che li media, cercando di trovare
punti di incontro (harmonizer)
Infine, ritroviamo i ruoli individuali, che usano il gruppo per soddisfare i propri bisogni:
E’ interessante poter fare riferimento, avendo voi a che fare con gruppi di diverso tipo, a tre ruoli
sempre rintracciabili in ogni gruppo:
il leader, il nuovo arrivato e il capro espiatorio (Levine e Moreland, 1990); quello del leader è un ruolo
indispensabile e centrale in un gruppo ed è sempre presente all’interno di ogni gruppo;
il “nuovo arrivato” è colui che avrà tutta una serie di resistenze e una certa cautela nell’entrare a far
parte di un gruppo già formato (chiaramente ciò comporterà anche una certa iniziale diffidenza e il
bisogno di integrarsi e di sentirsi accettato dal gruppo già compatto);
infine, il capro espiatorio ha un ruolo apparentemente “negativo” ma in realtà è basilare nella vita di
ogni gruppo, in quanto in esso vengono proiettate tutte quelle caratteristiche mal tollerate che in realtà
ogni membro del gruppo, in quantità maggiori o minori, possiede. Esiste inoltre il ruolo del “clown” che
rappresenterà un “contenitore” più strettamente affettivo ed emotivo, capace di allentare le tensioni che
si generano nel gruppo, facendo leva sull’aspetto più ludico e leggero ed usando questa modalità
anche per fare emergere aspetti critici o situazioni problematiche.
“le nome costituiscono scale di valori che definiscono le aspettative condivise rispetto al modo in cui
dovrebbero comportarsi i membri del gruppo” (Levine e Moreland, 1990);
un gruppo rispetta o viola certe norme, implicite o esplicite che siano, sempre secondo parametri ed
attese comuni. Esse sono fondamentali sia per il raggiungimento degli scopi e sia per la definizione dei
rapporti all’interno e all’esterno del gruppo stesso. Sono esplicite o implicite a seconda della
formalizzazione che posseggono e di quanto siano espresse direttamente tra i membri del gruppo; e
sono centrali o periferiche a seconda di quanto siano fondamentali per il gruppo.
Sono stati individuati tre tipi di norme (Opp, 1982) divisibili in norme istituzionali, imposte da autorità
esterne o dal leader che possono riguardare gruppi sportivi, federazioni, ecc., in cui è necessario che vi
siano una certa precisione organizzativa a sancirne l’efficacia;
le norme volontarie che originano dalle contrattazioni tra i membri per fronteggiare i conflitti e che
rappresentano quelle norme a cui gli individui pervengono attraverso la negoziazione: immaginiamo
situazioni di lavoro stressanti e lavoratori molto sovraccarichi, determinati interventi, come la rotazione
di turni lavorativi o degli incarichi, divengono norme vere e proprie per far fronte alle esigenze generali;
infine le norme evolutive, nascono qualora i comportamenti che appagano un membro vengano appresi
anche dagli altri, che li diffondono nel resto del gruppo
Le fasi di sviluppo
Una volta fatto cenno a quelle che sono le caratteristiche peculiari di ogni gruppo, è importante
comprendere più nello specifico come quest’ultimo venga a formarsi tramite varie fasi di sviluppo.
La formazione rappresenta la prima fase del gruppo, in cui appunto esso si forma e in cui avviene la
prima fase di conoscenza tra i membri, che si orienteranno anche a seconda della leadership presente;
la seconda fase, quella del conflitto, è fondamentale per far emergere le tematiche di divergenza tra i
membri e per far sì che questi ultimi trovino dei punti di incontro attraverso la mediazione e la
negoziazione dei significati condivisi dalla maggioranza;
la fase dell’evoluzione rappresenta l’apice del raggiungimento di armonia e unità, in cui la coesione
conferisce un senso di sicurezza e appartenenza ai membri e garantisce la creazione di una identità
positiva di gruppo;
l’esecuzione del compito è la fase performante di un gruppo, in cui esso si accinge ad essere
produttivo per il raggiungimento di uno scopo comune.
additivo, che è la somma delle singole prestazioni dei membri del gruppo; disgiunto, in cui la
prestazione del gruppo corrisponde alla prestazione del suo membro migliore; di tipo congiunto laddove
per un successo comune, ciascun membro deve svolgere al meglio la propria parte e di tipo complesso
Le fasi appena descritte hanno sicuramente a che vedere col Modello di Levine e Moreland (1994)
definito “modello temporale della socializzazione al gruppo”, che dà un’importanza peculiare alla
reciprocità dell’individuo e del gruppo, in quanto se è vero che l’individuo deve fronteggiare dei
personali cambiamenti quando entra a far parte di un gruppo, è anche vero che il gruppo stesso
dovrà accomodarsi ai suoi nuovi membri. I due autori si soffermano in particolare su alcuni aspetti
specifici, caratteristici di questo processo:
la ricognizione iniziale, i cambiamenti nel concetto di sé quando si entra a far parte di un gruppo e il
processo di iniziazione al gruppo.
La ricognizione iniziale, si fa riferimento a quel processo per il quale avviene la scelta del gruppo di cui
fare parte, secondo una serie di parametri che gli autori identificano come la valutazione dei
costi/benefici,
Il secondo punto che abbiamo preso in considerazione è un processo che si verifica non appena si
entra a far parte di un gruppo ed è sicuramente la ridefinizione che avviene di se stessi all’interno di
quest’ultimo:
A tal proposito, è interessante focalizzare l’attenzione su quelle figure di spicco, all’interno di un gruppo,
che favoriscono l’inserimento dei “novellini”: ci riferiamo al ruolo di mentor e di sponsor che
rispettivamente posseggono il ruolo formale di tutoraggio e il ruolo di “reclutatore” di nuovi membri.
Entrambi sono concentrati a favorire un clima collaborativo.
•Linguisticamente parlando…
L’entrata in un gruppo (Speltini, 2002) è sancita, anche linguisticamente, da parte dei membri con
l’attribuzione di nominativi specifici a seconda della fase in cui è il gruppo quando vi si aggiungono
membri,
i neofiti regolari, che entreranno nel gruppo con l’idea di restarci in maniera permanente; i
visitatori, che invece non mostrano un impegno sostanziale nel farne parte e che permarranno solo per
un determinato lasso temporale;
i sostituti che prendono il posto di qualcuno che ha lasciato il gruppo e che, inevitabilmente, saranno
confrontati spesso e volentieri con la persona che li precedeva; infine, abbiamo gli istituenti, che sono
coloro che hanno fondato il gruppo.
Una distinzione fondamentale nella vita di gruppo è quella tra i comportamenti diretti allo scopo e i
sentimenti per e verso gli altri nel gruppo
se è vero che il gruppo possiede una serie di caratteristiche, analizzate fino ad ora, che ci consentono
di definirlo tale (la coesione, l’interdipendenza, la condivisione di norme comuni, la presenza di ruoli
differenziati, ecc..) è altrettanto vero che il gruppo di lavoro si fonda piuttosto su una pluralità di
integrazioni, diverse dalle interazioni che caratterizzano il semplice gruppo.
Dunque se l’interazione e la interdipendenza rappresentano due elementi focali nelle due fasi (Storming
e Forming) di formazione di un gruppo, l’integrazione (nella fase di Norming) è il raggiungimento di un
equilibrio tra l’appagamento dei bisogni del singolo e quelli del gruppo tutto: è l’aspetto della
collaborazione e della continua negoziazione di esigenze tra membri e gruppo.
L’importanza delle relazioni, nel ciclo di vita di un gruppo, risulta centrale proprio per l’acquisizione, da
parte dei membri che lo costituiscono, di una vera e propria “mente di gruppo”, concetto ripreso e
sviluppato da vari autori come Mead (1934), Sherif (1936), Asch (1952) e Lewin (1952), che ha a che
vedere con la creazione di una vera e propria (id)entità sociale che i membri del gruppo sentono come
riferimento per se stessi
• Nasce nel momento in cui lo scopo di un gruppo è quello di produrre un bene o servizio • Gli obiettivi
sono più incentrati sul compito che sulla relazione • Le norme sono più formali e i ruoli più definiti • Le
relazioni contemplano maggiormente sentimenti di stima reciproca, rispetto, competizione, piuttosto che
sentimenti di solidarietà e vicinanza emotiva presenti nel gruppo sociale.
C L’insieme di due o più persone che sono simili tra loro e creano relazioni
A Sono la mera somma delle parti che li compongono e non hanno una
propria struttura e proprie dinamiche interne
C Non sono la mera somma delle parti che li compongono ed hanno una
propria struttura interna e proprie dinamiche interne
D Non sono la mera somma delle parti che li compongono e non sono dotati
di regole interne
Lo status in un gruppo è:
B Raggiungere gli scopi e definire i rapporti sia all’interno del gruppo che
all’esterno del gruppo
A Coesione
B Omogeneità
C Reciprocità
D Interazione
B E’ una fase focalizzata sull’impatto che i nuovi membri hanno sul gruppo già
formato
C E’ una fase focalizzata sull’impatto che il gruppo già formato ha sui nuovi
membri
53.
In questa lezione ci soffermeremo sugli aspetti processuali del gruppo. Dopo aver infatti approfondito le
caratteristiche più strettamente strutturali, è importante che ci avviciniamo alla vita del gruppo e alle
principali dinamiche che lo interessano.
Tramite un esperimento con degli insetti (Zajonc, Heingartner e Herman) è stato possibile dimostrare
come nel fuggire da uno stimolo fastidioso, gli scarafaggi si mostrassero più facilitati in presenza dei
loro simili. Quest’esperimento e altri che sono stati condotti sia su animali che su esseri umani, hanno
consentito di generalizzare che, quando il compito è semplice, la prestazione risulta agevolata dalla
presenza di altri, anche solo sottoforma di “spettatori”.
La situazione sembra cambiare radicalmente quando il compito cresce di difficoltà: se nel primo caso,
quando il compito è semplice, la presenza degli altri agisce aumentando l’eccitazione psicologica del
soggetto e dunque alimenta l’energia utile per il conseguimento dell’obiettivo, nel secondo caso,
quest’eccitazione complica le cose, in quanto di fronte ad un compito difficile, il soggetto necessita di
una maggiore concentrazione, e non del nervosismo che invece si genera. Ciò è provato da una
seconda teoria.
Infine, la terza teoria, riprendendo in parte la prima, si sofferma più sul conflitto che si genera in un
soggetto che stia svolgendo un compito osservato da altri, tra l’attenzione posta verso il compito e
quella verso gli altri che osservano: l’eccitazione deriverà dal dover contemporaneamente essere vigili
su entrambi gli elementi.
Ma la presenza degli altri genera sempre una maggiore attenzione? In realtà, il dover collaborare
insieme ad altre persone e quindi il poter condividere la responsabilità dell’esito, spesso, genera un
minore investimento di energie e una minore concentrazione, determinando quella che viene definita
inerzia sociale.
E’ stato anche dimostrato che questa tendenza è maggiormente riscontrabile all’interno del genere
maschile
E’ pur vero che se il gruppo può determinare questa sorta di “rilassamento generale, vi sono casi
estremi in cui essa può trasformarsi in vera e propria deindividuazione.
Il comportamento delle folle è quindi un comportamento intergruppi, per cui è forse più corretto vederne
alla base, piuttosto che una vera e propria deindividuazione, la creazione di una nuova identità sociale
che avrà una certa influenza sull’individuo.
Sicuramente è capitato a ciascuno di noi di far parte di un gruppo e di avere difficoltà ad affermare la
propria posizione o a spingere gli altri a seguirci: Steiner (1972) definisce la decisione sbagliata presa
dal gruppo, a causa di una interazione che impedisca di trovare una soluzione adeguata ad un
problema, come “perdita di processo”.
Sono varie le motivazioni che causano l’insorgere di una tale difficoltà ed esse vanno da un
accanimento del gruppo ad affidarsi al membro sbagliato, ad una carente capacità di ascolto o ancora
ad una difficoltà di uno dei componenti a superare la pressione del gruppo e ad affermare le proprie
ragioni, cercando di trovare dei punti comuni da cui far iniziare delle riflessioni risolutive.
E’ inoltre utile, a livello mnemonico, che ciascuno possa conoscere quali siano le capacità di memoria
di ciascun componente di certi dettagli piuttosto che di altri nella risoluzione di un problema, per poter
così attivare quella memoria transattiva (Hollingshead, 2001) in cui avvenga la combinazione dei ricordi
dei vari componenti. Janis, rimanendo sempre nell’ambito dei processi decisionali all’interno dei gruppi
(quasi sempre, privi di una conoscenza pregressa) elabora tra il ’72 e l’ ’82 una teoria (Groupthink)
Basandola sull’idea che in un gruppo è necessario un pensiero fortemente coeso tra i suoi membri per favorire la
presa di decisioni importanti, al di là delle situazioni contestuali→ omologazione
Più nello specifico, il groupthink espliciterà tutta una serie di problematiche legate all’illusione, creatasi
nel gruppo, di una sorta di invulnerabilità globale, che rende il gruppo immune da ogni sbaglio e lontano
dall’outgroup, considerato (in maniera forse semplicistica) negativo e di scarsa utilità. E’ anche
presente, all’interno del gruppo stesso, l’esercizio di una “pressione omologante”
verso i possibili dissenzienti, in quanto vige una sorta di unanimità ineluttabile, che non consente la
effettiva libera espressione delle personali opinioni e il reale confronto tra tutti.
Ma come si può ovviare alla situazione di groupthink? Per ovviare alla creazione di un groupthink,
risulta indispensabile la presenza di un leader capace di fronteggiare l’insorgere di un tale stile
decisionale, cercando di mantenere l’imparzialità, sollecitando la collaborazione anche di persone
facenti parte dell’outgroup,
Gli studi sulla comunicazione nei gruppi si sono orientati principalmente sulle strutture (Bales
et al., 1953) e sulle reti (Bavelas, 1948, 1950), concentrandosi su aspetti diversi. Per quel che
per quel che invece riguarda le reti esse concernono gli effettivi canali e le possibilità concrete di
produrre una comunicazione
Da alcuni studi, a proposito delle reti, Leavitt (1951) identifica quattro tipi di rete di comunicazione,
basate su due indici, quello di “distanza” e quello di “centralità”: la rete a ruota o centralizzata (l a
popolarità maggiore è del membro centrale, in cui i membri sono poco soddisfatti; inoltre è un modello
centralizzato e ben organizzato con una buona efficienza, nello svolgimento del compito, sia a livello di
qualità sia a livello di rapidità di esecuzione),
quella a Y ( più vicina alla rete a ruota, quindi in una posizione intermedia tendente alla centralizzata,
che favorisce la formazione di piccoli gruppi con rapporti privilegiati),
quella a catena (sempre in una posizione intermedia ma tendente stavolta più a quella decentralizzata)
e quella a cerchio o decentralizzata ( in cui non vi è una posizione centrale ma contiene una popolarità
ben diluita tra i membri del gruppo e, quindi, la soddisfazione è uniformemente distribuita tra i membri
del gruppo, anche in presenza di situazioni frustranti. Mantiene il grado di precisione e rapidità).
Comunicazione e potere
La leadership
Secondo French e Raven (1959) il potere poteva essere differenziato in tre sottocategorie, a seconda
dell’impatto e della modalità d’azione: il potere di ricompensa, inteso come quello fondato sulla capacità
di uno di promettere ricompense simboliche o materiali all’altro;
quello coercitivo, che è orientato sul versante della minaccia e costrizione coatta, attuando eventuali
sanzioni in caso di non adesione alle richieste; quello legittimo, che fa sì che i membri interiorizzato le
norme che legittimano il potere di coloro che lo detengono;
quello d’esempio, basato sull’identificazione dei membri con colui/ coloro che lo possiedono; ed infine, il
potere di competenza, di solito limitato ad un ambito specifico, in cui si ritiene che colui che possieda il
potere abbia effettivamente una maggiore esperienza sul campo.
Chi è il leader?
Il leader è colui che all’interno di un gruppo possiede la maggiore influenza sui membri, che è maggiore
di quella che lui stesso subisce
Sono state elaborate una serie di teorie che hanno cercato di individuare quali potessero essere le
motivazioni per cui alcune persone, piuttosto che altre, abbiano questa capacità di influenzare il gruppo:
a partire da teorie della personalità
Aspetti strutturali e peculiari dei singoli individui, come la sicurezza in se stessi, l’intelligenza, la
capacità di orientare anche le azioni degli altri verso gli obiettivi prefissati, per passare agli approcci
situazionali che sono molto più orientati al compito e alle competenze, per cui la scelta del leader
dipende dalle sue competenze rispetto agli obiettivi prefissati.
Infine abbiamo i modelli transazionali, più propensi ad una dimensione di reciproca influenza tra leader
e membri del gruppo.
Modalità di leadership
: la modalità autocratica (in cui vige una forte dipendenza da parte del gruppo verso il leader e in cui è
tutto molto orientato alla produttività e agli obiettivi);
e infine quella permissiva (in cui c’è un bassissimo intervento del leader e il gruppo non ha una buona
produttività, a causa di un clima caotico di base)
Col contributo di Bales (1950) a proposito del ruolo del leader all’interno di un gruppo è stato possibile
individuare due ruoli principali che questi può rivestire, a seconda che sia più centrato sul compito o
sulle relazioni, rivestendo, in quest’ultimo caso, un ruolo principalmente emozionale e dando
importanza in primis all’armonia presente nel gruppo.
Fiedler adoperò una scala di valutazione (LPC, LEAST PREFERRED CO-WORKER) per individuare
quale fosse la persona con cui il “potenziale leader” avesse più difficoltà a collaborare e dai risultati ne
evinse che i leader con un punteggio basso all’LPC erano maggiormente orientati al compito;
è importante tenere a mente (Heisenhardt, 1989) che quasi sempre i problemi maggiori non sono mai
dovuti ai conflitti di per sé, quanto alla impossibilità di ricorrere a delle strategie efficaci per fronteggiarli.
creare più prospettive e più strade rende possibile l’allentamento delle tensioni, grazie alla possibilità di
valutare e considerare proposte magari fino a quel momento non ritenute valide o realizzabili
Per quanto riguarda l’influenza determinata dalla maggioranza, Asch (1955; 1956) nell’ambito della
psicologia sociale (dei gruppi) ha effettuato esperimenti controllati in laboratorio.
In generale, da questi esperimenti, si è evinto che anche nella vita reale, oltre che nelle condizioni
sperimentali, la pressione sociale abbia un impatto sui comportamenti, spingendoli verso quelli
perseguiti dalla maggioranza
A tal proposito, possiamo invece fare riferimento al concetto di “influenza normativa” (Deutsch e
Gerard,1955) che spingerebbe i membri di un gruppo a dare risposte che vadano in accordo con le
attese comuni, a differenza di quella “informativa” elaborata da Festinger, secondo la quale se i soggetti
sono isolati nello svolgimento di un compito, scelgono di affidarsi alle informazioni promosse dalla
maggioranza come ritenute più attendibili.
Non è tralasciabile, come accennato precedentemente, che esistono anche situazioni in cui è la
minoranza ad esercitare un’influenza sulla maggioranza
Proprio a partire da ciò che abbiamo appena analizzato a proposito delle minoranze e delle
maggioranze, è possibile individuare in esse, una delle maggiori cause di conflitto all’interno dei gruppi.
Considerando che le conseguenze del conflitto non sono esclusivamente di stampo negativo (ostilità,
bassa collaborazione, calo del rendimento) bensì anche positive (una maggiore creatività e la
possibilità di vagliare nuove opzioni risolutive), è pur vero che, rappresentando il conflitto un momento
di possibile minaccia all’unione del gruppo, spesso quest’ultimo attua delle strategie per ovviare ad
esso, spesso causando repressione a appiattimento
fenomeno della “normalizzazione”; tale fenomeno genera una negoziazione da parte dei membri a
favore di una decisione di accordo comune, spesso associata ad una rinuncia alle proprie personali
opinioni di partenza. Gli effetti di questo processo risultano essere negativi, in quanto spesso non
producono cambiamento ma stasi, evitando la discussione che invece potrebbe generare positive
rielaborazioni delle posizioni iniziali, favorendo spunti più creativi.
quali l’identificazione sociale, per la quale gli individui si riconoscono come appartenenti ad un gruppo;
il confronto sociale, già prima citato, che contribuisce a valorizzare i gruppi in relazione ad un confronto
con altri;
ed infine la categorizzazione sociale, che consente di costituire delle categorie rappresentative del
mondo sociale, accentuando le differenze tra queste e esaltandone, invece, le somiglianze all’interno di
uno stesso gruppo.
Quest’ultima è il processo fondamentale che interessa le relazioni inter-gruppi, dal momento che
permette di ordinare e semplificare, a livello cognitivo, ciò che ci circonda, facendolo secondo le
somiglianze e le differenze
Tajfel (1981) definisce, per l’appunto, stereotipo il risultato finale della categorizzazione,
giustificazione e spiegazione per una serie di eventi ed azioni commesse da un gruppo verso
l’altro
!
I fattori fondamentali per comprendere la reazione dei singoli individui alla presenza di
altri, nello svolgimento di un compito, sono:
B L’abilità e la precisione
I tre fattori, presenti nella teoria della deindividuazione di Zimbardo, che influenzano il
comportamento degli individui sono:
A È la mancata presa di decisione da parte di un gruppo, a causa di una stasi nel gruppo
B E’ la presa di decisione sbagliata da parte di un gruppo, a causa di una interazione poco
risolutiva
Il “Groupthink” di Janis:
C E’ una situazione che viene a crearsi, nel gruppo, a seguito di un evento conflittuale tra i
membri
D E’ un’interazione che viene a crearsi, nel gruppo, a seguito di un evento conflittuale tra i
membri
A I giudizi iniziali dei membri non influenzino la tendenza successiva al rischio o alla
cautela, nel prendere decisioni
B I giudizi iniziali dei membri influenzino la tendenza successiva al rischio o alla cautela,
nel prendere decisioni
C I giudizi iniziali dei leader influenzino la tendenza successiva al rischio o alla cautela, nel
prendere decisioni
D I giudizi iniziali dei membri influenzino gli altri membri, nel prendere decisioni
A È più efficace nei compiti complessi e più soddisfacente per i membri del gruppo
B E’ più efficace nei compiti semplici e più soddisfacente per i membri del gruppo
C E’ più efficace nei compiti semplici e meno soddisfacente per i membri del gruppo
D E’ più efficace nei compiti complessi e meno soddisfacente per i membri del gruppo
Il leader è:
8
Processi e aspetti dinamici nel gruppo
A Colui che esercita la maggiore influenza nel gruppo ed ha lo status più elevato
C Colui che esercita la maggiore influenza nel gruppo ed ha lo status meno elevato
B Vi sia una motivazione innata che spinge l’individuo a valutare costantemente le proprie
capacità e le proprie opinioni, in relazione agli altri
C Vi sia una motivazione innata che spinge l’individuo a valutare costantemente le proprie
prestazioni, in relazione agli altri
C Costituire delle categorie non rappresentative del mondo sociale e consolidare l’identità
di un gruppo
La teoria sistemica rappresenta una sorta di rivoluzione nel campo della psicologia rispetto
all’approccio utilizzato per lo studio del comportamento umano. Si è passati da un modello
intrapsichico ad uno interpersonale, che tenesse conto del sistema di relazioni in cui l’individuo
è inserito e di come questi ne influenzasse l’agire, i pensieri, i desideri, le emozioni.
Alla fine degli anni trenta all’interno della psicoanalisi assistiamo ad un importante movimento
verso l’ambiente. Per Hartmann (1939) diversamente da Freud, l’Io non è il risultato
dell’adattamento dell’Es alla realtà ma ha una propria genesi autonoma con funzioni psichiche
proprie. Mentre Freud aveva chiuso il conflitto nel mondo intrapsichico tra l’Io, l’Es e il Super-io,
Hartmann, pur non escludendo quanto detto da Freud, sposta il conflitto tra l’individuo e
l’ambiente
La teoria delle relazioni oggettuali, di cui M. Klein (1932) è l’ideatrice, considera, invece, le
pulsioni solo all’interno del contesto relazionale, per cui esse emergerebbero nella relazione tra
il bambino e la madre. Dunque, al centro di questo nuovo modello teorico c’è quindi la
“relazione”.
Secondo la Klein il bambino cresce interiorizzando non un oggetto o una persona, ma un’intera
relazione.
A partire dai teorici delle relazioni oggettuali, numerosi sono stati gli studiosi che si sono
occupati in particolar modo della relazione madre-bambino, in quanto sulla base delle ricerche
condotte in ambito psicologico essa sembra essere la prima e la più importante relazione che il
bambino stabilisce con l’altro da sé. Quando il piccolo della specie umana si affaccia alla vita si
trova in una condizione di Hilflosigkeit, ossia di impotenza, immaturità tale da dipendere
totalmente dalle cure di un’altra persona. In tale contesto, la relazione con l’altro permette al
bambino di sperimentare alcune emozioni e costruire le prime esperienze emotive.
Dunque, il bambino si forma quello che Bowlby definisce “modello operativo interno” (MOI). La
rappresentazione cognitiva che il bambino si formerà della sua prima relazione di attaccamento
influenzerà tutte le successive relazioni.
Volendo riprendere la definizione di Lewin, il gruppo è: “qualcosa di più, o, per meglio dire,
qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari, e
relazioni particolari con gli altri gruppi. Quel che costituisce l’essenza non è la somiglianza o la
dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Esso può definirsi
come una totalità dinamica. Ciò significa che un cambiamento di stato di una sua parte o
frazione qualsiasi interessa lo stato di tutte le altre. Il grado di interdipendenza delle frazioni del
gruppo varia da una massa indefinita a un’unità compatta. Dipende, tra gli altri fattori,
dall’ampiezza, dall’organizzazione e dalla coesione di gruppo” (Lewin, 1951,)1 .
Come vedremo più avanti, dalla descrizione di gruppo di Lewin i ricercatori sulla famiglia
faranno propri due concetti: quello che la famiglia va al di là della somma delle sue parti e
quello di interdipendenza dei suoi membri.
Un limite degli studi sulla famiglia nell’ambito della psicologia sociale è stata, senza dubbio, la
perdita di interesse per i gruppi “vivi” a favore di quelli artificiali ( in laboratorio)
L’accento posto dalla teoria sulla ricerca di similitudini strutturali in sistemi differenti al fine di
poter formulare delle generalizzazioni, concezione definita da von Bertalanffy prospettivismo
(von Bertalanffy 1950) ci fa capire come la teoria stessa rappresenti un approccio moderno
all’unificazione della scienza. Questo nuovo sguardo ci pone di fronte ad una prospettiva in cui
unificare non significa ridurre ma organizzare: per costruire la spiegazione scientifica di un
fenomeno, non è sufficiente tentare di suddividerlo in unità di analisi più semplici e studiare tali
unità separatamente l’una dalle altre, ma è necessario studiare le interrelazioni tra queste
unità.
All’interno dell’universo i sistemi si possono ordinare in una gerarchia, con una progressiva
suddivisione in livelli sistemici, dal più grande al piccolo fino al livello elementare. I sistemi al
livello al quale ci si riferisce vengono chiamati sistemi, quelli al livello superiore sovrasistemi,
quelli al livello ancora superiore sovrasovrasistemi, quelli al livello inferiore sottosistemi e quelli
al livello ulteriormente inferiore sottosottosistemi.
Secondo la visione sistemica, è il più complesso a spiegare il più semplice, non viceversa.
L’ottica sistemica si fonda proprio su questa contemporanea valutazione dei livelli superiori e
di quelli inferiori, poiché la sua filosofia non e quella dell’esclusione, dell’ aut/aut, bensì quella
dell’inclusione di tutto ciò che è rilevante, quella del vel/vel. L’analisi di un livello non esclude
dunque Parallelamente in psicologia, con la scuola della Gestalt inizia a svilupparsi una visione
complessa allo studio dei fenomeni umani. Mentre la psicologia associazionista studia il
mentale a partire dagli elementi più semplici che lo compongono, la psicologia della gestalt è
interessata a studiare come l’interazione dei singoli elementi concorrono a dare il tuttogli altri.
Un sistema chiuso si ha qualora attraverso i suoi confini non avvenga alcuno scambio di
materiaenergia o di informazione. Mentre nei sistemi aperti il livello di entropia può aumentare,
rimanere stabile o diminuire, nei sistemi chiusi l’entropia va in genere incontro a un progressivo
aumento, e in ogni caso non può mai ridursi. Va sottolineato come in effetti nessun sistema
concreto sia completamente chiuso, e sia quindi più rispondente alla realtà parlare di sistemi
relativamente chiusi
I sistemi che interessano gli psicologi sono quelli aperti e godono delle seguenti proprietà
(Watzlawick e coll., 1971):
Totalità: ogni parte di un sistema è in rapporto con tutte le altre parti in modo tale che un
cambiamento in una parte determinerà un cambiamento in tutte le altre parti e in tutto il
sistema. La famiglia è un’ottima rappresentazione del rapporto di interdipendenza esistente tra
i comportamenti dei membri che vi fanno parte. In particolare, rappresenta un sistema con
“stato stazionario”, ossia è stabile rispetto a certe sue variabili se esse tendono a restare entro
limiti definiti. Jackson analizzando le famiglie di pazienti psichiatrici osservò che il
comportamento e la patologia del paziente costituivano “meccanismi omeostatici” che
contribuivano a fornire un equilibrio al sistema disturbato. Qualora il paziente manifestava dei
miglioramenti o dei peggioramenti (cambiamento), rompendo così l’equilibrio raggiunto, i suoi
cambiamenti avevano degli effetti sugli altri membri della famiglia che manifestavano talvolta
disturbi funzionali (interdipendenza tra le parti). Qualora le parti di un sistema non fossero tra
loro in un rapporto di dipendenza esse si presenterebbero come un agglomerato, costituito
dalla semplice somma delle parti in gioco. Tale proprietà è definita sommatività ed è in
opposizione alla totalità, in quanto in quest’ultima le parti di un sistema costituiscono una
complessità che non è possibile spiegare come per la sommatività in base agli elementi
considerati separatamente. Infatti la famiglia non è la somma dei singoli membri; esistono delle
caratteristiche che sono proprie del sistema, come il comportamento sintomatico, e che
trascendono dalle qualità individuali dei membri. Un’altra teoria dell’interazione contraddetta dal
principio di totalità è il rapporto unilaterale tra le parti che non tiene conto della circolarità delle
influenze tra i vari elementi del sistema, per cui A può influenzare B ma non viceversa. Il
concetto di unilateralità riprende il modello di causalità lineare per cui A determina B, senza
tenere conto dell’influenza che B con la sua risposta esercita su A.
Equifinalità: nei sistemi aperti vige il principio di equifinalità, secondo cui i risultati, intesi come
modificazioni del sistema dopo un lasso di tempo, sono determinati non dalle condizioni iniziali
come avviene nei sistemi chiusi ma dai parametri del sistema. Molte sono le variabili che
possono intervenire a mutare l’andamento iniziale. Dunque, essendo il sistema indipendente
dalle condizioni iniziali, stessi risultati possono essere determinati da condizioni iniziali diverse
e risultatati diversi possono essere prodotti da medesime cause
Principi di causalità
E’ possibile distinguere due differenti modalità di concepire i rapporti causali: la modalità lineare
e la modalità circolare.
La cibernetica
Negli anni in cui il paradigma sistemico faceva la sua comparsa tra gli studiosi dell’epoca, la
teoria cibernetica si poneva come un campo di studi interdisciplinare tra le scienze e
l'ingegneria. Lo sviluppo pressoché contemporaneo ha fatto in modo che tra i due orientamenti
vi fosse un ricco scambio rispetto allo studio dei sistemi umani. Entrambe le teorie hanno in
comune l’intento antiriduzionista e quello interdisciplinare. Mentre la prima si occupa di
spiegare i sistemi dal punto di vista strutturale, la seconda osserva gli stessi dal punto di vista
processuale.
o. Dunque, una parte del sistema causa una modificazione in un’altra parte che a sua volta
retroagisce modificando la prima e così via (relazione circolare). La retroazione può essere
positiva o negativa a seconda se produce un cambiamento, ossia il feedback emesso ha la
funzione di far proseguire il sistema in direzione del suo movimento precedente, comportando
una perdita di equilibrio nel sistema stesso (retroazione positiva) o se contribuisce a garantire
uno stato di omeostasi, ossia una stabilità nelle relazioni, per cui il messaggio sull’esito del
funzionamento precedente è usato per aggiustare il meccanismo che regola il funzionamento
futuro (retroazione negativa) (Watzlawick e coll., 1971)
Negli anni ‘50 Gregory Bateson , un antropologo, venendo a contatto con il pensiero
cibernetico, pensò immediatamente che potesse essere applicato per descrivere le interazioni
umane.
L’introduzione della teoria dei sistemi e della cibernetica in ambito terapeutico induce uno
spostamento di attenzione del ricercatore che inizia a focalizzarsi sul comportamento interattivo
e sui processi di autoregolazione e trasformazione della famiglia, concepita come insiemi di
individui. Sono presi in esame gli effetti che un dato comportamento ha sugli altri membri del
sistema
La sofferenza di uno dei suoi membri viene considerata come espressione della disfunzionalità
dell’intero sistema
La scuola di Palo Alto vedeva la famiglia come un sistema cibernetico, che si autogovernava
attraverso la retroazione. Con la retroazione negativa il sistema si correggeva e ritornava allo
stato originario, ogni volta che veniva colpito con informazioni nuove che tendevano invece a
sbilanciarlo (nelle famiglie schizofreniche si osservò un sistema rigido). La famiglia è un
sistema omeostatico, con una autoregolazione automatica, governata da regole precise, che
condizionavano o stabilizzavano l’ampiezza entro cui un dato sistema poteva variare
La scuola di Palo Alto, a partire dagli studi condotti sulle famiglie disfunzionali, mise in luce
come il sistema delegava ad uno dei loro membri (il membro sintomatico) il ruolo di
“componente omeostatica”, che riportava ogni volta il sistema al suo stato di tranquillità dopo
che una regola era stata minacciata. In sostanza quando un componente della famiglia
manifestava un bisogno nuovo o una maggiore necessità di svincolo, che avrebbe portato la
famiglia ad uno nuovo stadio vitale, il membro sintomatico subiva una aggravamento o un
incremento del sintomo
In una loro pubblicazione Bateson e coll. (1956) proposero l’ipotesi della teoria del doppio
legame come modalità tipica di comunicare nella famiglia con un giovane schizofrenico.
Secondo gli studiosi, chi cresce in un contesto di deutero-apprendimento (meta-
apprendimento, ovvero la capacità di apprendere ad apprendere) in cui riceve messaggi
intrinsecamente contraddittori, in cui finisce per essere costantemente punito qualunque cosa
faccia o non faccia, è comunque obbligato a trovare un modo di sopravviverci. I sintomi della
schizofrenia, allora, possono essere considerati la punta dell’iceberg di una comunicazione
interpersonale in cui per le persone è difficile trovare un senso.
Le condizioni per cui si verifichi una situazione di doppio legame sono sei (Bateson, 1972): 1.
Ci devono essere due o più persone
3. Deve esserci un’ingiunzione primaria negativa (es. se farai così e così ti punirò)
4. Deve esserci un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto e,
come la prima, sostenuta da punizione o da segnali che minacciano la sopravvivenza (questa
ingiunzione è di solito comunicata con mezzi non verbali e assume il senso di un messaggio
quale “non considerare questa come una punizione”).
5. C’è poi un’ingiunzione terziaria che impedisce alla vittima di sfuggire al conflitto (rapporto di
dipendenza tra i due interlocutori)
6. Una volta che la vittima ha imparato a percepire il suo universo sotto l’angolazione del
doppio legame, non è più necessario che le condizioni precedenti si ripresentino
Una critica che oggi possiamo muovere verso il gruppo di Palo Alto è quella di rimanere
ancorato al modello meccanicistico che si propone di superare. Infatti, l’ottica eziopatogenetica
continua a porsi come linea guida nello studio del sistema familiare dando per scontato che
uno dei due partecipanti alla relazione non sia in grado di risolvere i messaggi contraddittori
che gli vengono inviati dall’altro
Jackson fonda il Mental Research Institute (MRI), una delle più importanti scuole di teoria e
terapia sistemica che vedrà la collaborazione di tutto il gruppo di Palo Alto, eccetto Bateson
che nel 1962, torna ad occuparsi del comportamento animale.
Da una parte abbiamo “i puristi del sistema” che si occupavano dello studio dei primi assiomi
della comunicazione umana che culmineranno poi nella teoria del doppio legame, e
contemporaneamente nella East Coast operavano, invece, teorici ed operatori che partivano da
presupposti diversi da quelli di Palo Alto in California.
Del primo gruppo fanno parte i ricercatori del MRI interessati alle modalità
comportamentali/comunicative in atto nel qui ed ora senza tener conto del processo evolutivo
di cui esse fanno parte. Dunque, la dimensione esplorata è quella del presente. Conseguenza
di tale visione è la concezione dell’essere umano come un’armatura vuota in movimento,
impenetrabile nella sua componente soggettiva, attinente alla sfera delle emozioni, dei pensieri,
motivazioni, immaginazioni
Il secondo gruppo di autori, composto da terapeuti della famiglia (Ackerman, Bowen, Framo,
Whitaker e altri.) reintroduce il concetto di “tempo” nello studio del sistema familiare. Anche
essi guardano al qui ed ora ma lo fanno con un occhio diverso, in quanto leggono ogni
interazione presente in relazione al fitto intreccio di interazioni che si sono realizzate nel tempo,
per arrivare così a comprendere l’attuale condizione emotiva della famiglia nel suo insieme
Negli anni M. Klein contribuisce allo sviluppo dell’ approccio
interpersonale allo studio dell’essere umano, mediante
l’introduzione di un importante concetto:
D All’affetto ricevuto
D Il tutto è il più della somma delle sue parti e ogni parte di un sistema
è in rapporto con tutte le altre parti
C E' concettuale
D E' rigido
A Causalità circolare
B Causalità lineare
C Interdipendenza
D Reciprocità
8 La cibernetica
A Doppio legame
B Interdipendenza
C Retroazione negativa
D Equifinalità
B Un sistema chiuso
C Un agglomerato di persone
D Un sistema disfunzionale
1
0 Verso un approccio sistemico-relazionale allo studio della famiglia
La Psicologia Sociale si pone come lo studio della relazione tra l’individuo (nei suoi aspetti generali) e il
suo ambiente, come disciplina che si interessa al modo in cui le persone vengono influenzate dalla loro
interpretazione dell’ambiente sociale e come una persona percepisce o interpreta tale ambiente
(Aronson et al.2000) e quali aspetti della situazione sociale possono produrre effetti sui comportamenti
delle persone. Partendo da questa prospettiva della psicologia sociale, basandoci sulla relazione
individuo/ambiente/società, affronteremo la tematica del Problem Solving, che è la capacità di risolvere
i problemi in qualsiasi ambito.
Il primo fondamentale passo nel processo di problem solving è quello di porsi domande adeguate e
costruttive riguardanti se stessi e la situazione.
E’ dunque importante operare, prima di scegliere qualsiasi strategia di soluzione del problema, una
buona analisi del“ Problem Space” (spazio del problema ), che corrisponde alla fase più importante,
poiché una volta individuato e analizzato il problema, è possibile scegliere le misure più adeguate a
risolverlo. La fase del “Problem Space” consiste nel fare una DIAGNOSI DELLA SITUAZIONE,
definendo il tipo di problema. In questa fase è importante :
2- Raccogliere e consultare fonti informative dirette e relative norme, interpretando le informazioni per
costruire un quadro chiaro della situazione problematica.
Dopo aver analizzato il Problem Space, si procede alla fase esecutiva del PROBLEM SOLVING, in cui
entrano in gioco competenze, attitudini e tecniche per pianificare le strategie di azione da mettere in
atto. In questa fase di deve quindi:
1- Decidere di affrontare la situazione problematica, predisporre un piano d’azione con relativi obiettivi,
mezzi e risorse, assumendosene le responsabilità, valutando la relazione tra il contesto problematico, i
propri scopi, le proprie capacità e motivazione.
Si può pensare al problem solving riferendosi all’abilità in genere di trovare soluzioni in qualsiasi ambito
e non tanto alla capacità di una persona di risolvere situazioni in una materia specifica. Il problem
solver è colui che, indipendentemente dalle risorse e dalla situazione trova il modo di uscire dal
problema. Di fronte ad un problema che non riusciamo a risolvere, continuare ad utilizzare gli stessi
schemi di pensiero che l’hanno generato è evidentemente improduttivo. Per uscire dal problema
dobbiamo individuare qualcosa che ancora non abbiamo considerato
o, dobbiamo spostare il nostro punto di vista ad un livello di pensiero più alto. Per spostare il focus,
cambiare il nostro punto di vista, gli strumenti migliori che ci permettono di farlo sono le domande. Le
domande devono essere domande produttive poiché devono aiutarci ad uscire dal problema. Una
buona domanda da porsi è sempre: “Come posso risolvere questa situazione?” Tutte le domande che
iniziano con “COME POSSO…?” sono molto positive.
Come definire il ‘Problem Space’ (Lo Spazio del Problema) D
Definire il “Problem Space” (Sid Jacobson,2008) , cioè individuare gli elementi che costituiscono lo
‘Spazio del Problema’, è fondamentale per la soluzione del problema stesso. Per individuare questi
elementi è necessario definire (Sid Jacobson 2008):
-Il pubblico, ossia chi è coinvolto attivamente e passivamente nella situazione, chi ci osserva, le
relazioni e rispettivi compiti specifici;
-Il codice, cioè in che modo si è pensato al problema e si è deciso di comunicarlo agli altri;
-l’autoanalisi, i processi che si possono verificare per ostacolarci e che dobbiamo cercare di superare
sono sintetizzati nel modello chiamato delle “SETTE C” (Robert Dilts)
-La nostra esperienza da cui attingere, ossia la somma di tutte le informazioni che abbiamo e che
possiamo ottenere per poter cambiare la situazione problematica e il contesto socio-culturale in cui il
problema è inserito
. IL SE’
La prima cosa da fare per risolvere un problema, in qualsiasi ambito esso sia, è sapere chi si è come
persona e avere ben chiaro il ruolo che si occupa all’interno del contesto problematico. Un buon inizio è
esplorare cosa si dà per scontato a riguardo della situazione problematica, ossia le proprie
presupposizioni, perciò è importante riflettere sulle proprie presupposizioni di base.
Il SE’ La prima cosa da fare per risolvere un problema, in qualsiasi ambito esso sia, è sapere chi si è
come persona e avere ben chiaro il ruolo che si occupa all’interno del contesto problematico. Un buon
inizio è esplorare cosa si dà per scontato a riguardo della situazione problematica, ossia le proprie
presupposizioni, perciò è importante riflettere sulle proprie presupposizioni di base. 1. La prima
presupposizione di base da cui partire è che le proprie idee di base riguardanti le persone, la vita e il
lavoro non sono precise, ma sono solo una guida, una mappa su come funzionano le cose secondo il
proprio punto di vista, infatti agiamo in base alla nostra mappa personale su come stanno le cose.
Se vogliamo approdare ad una buona comunicazione ci si deve assumere la responsabilità che gli altri
ci comprendano, le persone reagiscono in base a ciò che pensano di sentire o capire;
Lo scopo
Chiarire i propri obiettivi è fondamentale in ogni processo di Problem Solving, l’ intenzione e lo scopo
sono fondamentali per dirigersi verso qualunque soluzione
Motivazione (volere) Mezzi (Sapere come) Opportunità (Potere, avere l’occasione di).
Definire un obiettivo “Ben formato” Per concentrare la nostra attenzione sul raggiungimento degli
obiettivi bisogna affermare con chiarezza cosa vogliamo esattamente. Per definire un obiettivo ‘Ben
Formato’ bisogna: Formulare l’ obiettivo in termini positivi:
Il concetto di codice è molto importante per capire in che termini comprendiamo effettivamente i nostri
problemi e obiettivi.
Tutte le volte che apprendiamo delle informazioni entrano in gioco tre processi:
Questi tre processi sono automatici, anche quando percepiamo il mondo intorno a noi, non è possibile
notare tutte le informazioni che ci circondano (immagini, suoni, sensazioni, gusti e odori), anche perché
se ci riuscissimo, i dati sarebbero troppi al punto da sovraccaricare il cervello; perciò come autodifesa il
nostro cervello attua il processo di cancellazione, ossia vengono percepite solo una parte delle
informazioni, mentre le altre vengono ignorate. Durante il processo di memorizzazione, avviene la
distorsione, in quanto non tutte le informazioni che si vogliono memorizzare sono compatibili con i
nostri sistemi preesistenti, quindi le adattiamo ad essi; per capire questo meccanismo basta pensare a
quante volte abbiamo modificato ciò che una persona ci ha detto per adattarlo a quello che volevamo
sentirci dire. Successivamente per organizzare il nostro pensiero ci inventiamo nuove regole, facendo
cosi delle generalizzazioni. Questi tre processi avvengo tre volte: quando raccogliamo l’informazione,
quando la immagazziniamo e in fine quando la trasformiamo in parole per comunicarla agli altri.
Autoanalisi
Capire come ci ostacoliamo da soli ci serve per analizzare in che modo applichiamo i processi di
cancellazione, distorsione e generalizzazione alle informazioni. I processi che si possono verificare per
ostacolarci e che dobbiamo cercare di superare sono sintetizzati nel modello chiamato delle “SETTE C”
(Robert Dilts) e sono:
3. Conflitto. A volte non siamo sicuri di cosa realmente vogliamo o di cosa abbiamo bisogno, questo
causerà delle incongruenze nel nostro comportamento, ossia diciamo o pensiamo una cosa, ma ne
facciamo un’altra. Una buona comunicazione e comprensione reciproca e di sé, ridurrà al minimo i
conflitti.
4. Catastrofe. Siamo il risultato del nostro passato, sia delle cose buone, cioè tutto ciò che abbiamo
imparato e che abbiamo raccolto nella nostra vita e nel nostro lavoro e sia di quelle negative, ossia tutto
quello che abbiamo vissuto come errori e le esperienze traumatiche che ci hanno lasciato dei segni.
Non fare esperienza del nostro passato , non imparare da esso può essere molto grave (catastrofico),
perché ciò può amplificare i problemi a cui andiamo incontro,
5. Convinzione. I nostri dubbi, se eccessivi, possono essere l’ostacolo più dannoso per il successo
delle nostre azioni.
6. Contesto. Lungo il nostro cammino per raggiungere il nostro obiettivo, l’ambiente in cui lavoriamo e
viviamo, ci fornirà sempre una vasta gamma di ostacoli e risorse tra cui dovremo fare una scelta.
7. Confronto. In base alle nostre esperienze passate e desideri attuali è facile crearsi delle aspettative
inappropriate. Spesso ci confrontiamo con gli altri in base alle distorsioni e generalizzazioni operate
nella nostra mente e ci aspettiamo che gli altri si comportino in base ai nostri standard
L’esperienza
Ognuno di noi ha dentro di sé un bagaglio di esperienze, che possono essere sia utili che inutili, da cui
possiamo attingere, e per farlo abbiamo comunque bisogno di un processo strutturato.
Una comunicazione è chiara quando chi ascolta capisce il messaggio, cioè alla fine della
comunicazione chi ascolta ha le stesse immagine, gli stessi suoni e le stesse sensazioni di chi ha
parlato, dalla reazione dell’ascoltatore ci rendiamo conto a che livello è avvenuta la comprensione.
Nella comunicazione è importane il Rapport, cioè la relazione funzionale di collaborazione,
comprensione e fiducia reciproca per fare in modo che le persone ci ascoltino e concordino con noi. Un
buon Rapport vuol dire che chi ci ascolta si fida di noi,
Problemi di formazione:
La formazione può influenzare sia i problemi personali e impersonali di comunicazione, cioè questi
problemi si possono presentare sia se c’è una formazione insufficiente o se la situazione può essere
migliorata se venisse svolta una formazione adeguata.
Questo si fa attraverso una task-analysis (analisi dei compiti), cercando di identificare le abilità
specifiche del compito su cui bisogna fare formazione
Il problem solving è:
Definire il sé significa:
3 Il Sé
C Se non si è convinti delle proprie capacità, significa che si hanno dei limiti, quindi
bisogna arrendersi
4 Lo scopo
A Il proprio obiettivo deve dipendere dagli altri in modo tale che qualsiasi responsabilità
non ricada su se stessi
B Si devono possedere: motivazione , mezzi ed opportunità
C Non è necessario che il proprio obiettivo sia coerente con i propri valori interni
D Bisogna raggiungere il proprio obiettivo, basandosi su ciò che non si vuole fare
A Imporre le proprie decisioni ed idee a tutte le altre persone coinvolte nel cambiamento
7 Lâesperienza-Problemi personali
A Un Buon Rapport
C Gli altri devono sforzarsi di capire l’intenzione della nostra comunicazione, non dipende
da noi cercare di fargliela comprendere
D Chi ascolta deve contenersi nelle reazioni; il tipo di reazione che ha non dipende dal
nostro tipo di comunicazione
9 Problemi di formazione
A È l’analisi dei compiti per identificare le abilità specifiche su cui fare formazione e creare
un progetto di formazione
B È un questionario che indaga la vita e le abitudini personali dei dipendenti coinvolti nella
formazione
D È un test di personalità
10 Problemi di formazione
B Soluzioni efficaci
56.
Il sistema famiglia
Il primo ad occuparsi dello studio della famiglia come sistema fu Salvador Minuchin, che con il termine
struttura familiare definisce «l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i
componenti della famiglia interagiscono»
Mappe familiari
Le mappe rappresentano lo strumento per ottenere la rappresentazione grafica di una famiglia. Una
mappa familiare è come uno schema organizzato che, anche se non ci fornisce informazioni sulle
transazioni familiari, semplifica e ci aiuta a riordinare dati e a fare delle ipotesi su quali potrebbero
essere i bisogni di una famiglia. Forniscono notizie sulla quantità d’informazioni, sui confini, sulla
struttura gerarchica e sugli schieramenti del sistema familiare.
• I confini ci dicono della permeabilità o meno di una famiglia
• La struttura gerarchica evidenzia gli aspetti strutturali del sistema e quindi le gerarchie esistenti al suo
interno (es. genitori/figli).
3 I miti familiari I miti familiari sono un insieme di credenze condivise da tutti i membri della famiglia, in
parte reali, altre frutto della fantasia, che riguardano i ruoli familiari e la natura delle relazioni tra i
membri. I miti, benché falsi e illusori, sono accettati da tutti, anzi hanno qualcosa di sacro e tabù che
nessuno oserebbe sfidare. Infatti per ogni famiglia i propri miti rappresentano la verità.
Solitamente vengono associate al mito tre immagini di ruoli familiari che Byng- Hall (1995) associa agli
script tipici della famiglia:
a) Immagini ideali: i comportamenti ai quali ognuno aspira, o quelli che un familiare induce altri
componenti della famiglia ad adottare;
b) Immagini disconosciute o ripudiate: comportamenti che sono proibiti e disapprovati negli altri e in se
stessi, anche se possono essere notate dalle persone esterne al nucleo familiare;
c) Immagini di ruolo condivise: vi è un tacito accordo che ogni componente adempirà a un ruolo
assegnatogli
Il mito familiare è dunque come un regola alla quale tutti i membri della famiglia devono attenersi, in
quanto vincolati da debiti morali e legami di realtà nei confronti del gruppo. Ci indicano ad esempio
come si fa il papà, la mamma, come si comporta un nonno ecc… Inoltre ci indicano le modalità di
fronteggiare alcuni eventi importanti come le separazioni, le nascite, i lutti: “In queste situazioni ci si
comporta in questo modo”.
condivisione totale delle informazioni: caratteristica delle famiglie in cui i membri si dicono tutto.
In alcune realtà sociali un esempio di mito diffuso è quello del familismo, caratterizzato da
un’ipervalorizzazione delle relazioni all’interno della famiglia a discapito delle relazioni sociali ad essa
esterna.
Generalmente si parte dal presupposto che l’unità d’interazione minima della famiglia sia rappresentata
dalla diade, mentre lo studio dei rapporti familiari ci insegna che le cose non stanno proprio così.
Quando pensiamo ad esempio ad una coppia senza figli, non la possiamo considerare a sé stante. Nel
loro modo di relazionarsi, in una qualche misura sarà presente almeno una delle famiglie d’origine. Se
non fisicamente, almeno nel ricordo o nel mito
Murray Bowen considera il triangolo come la forma base delle relazioni familiari e la famiglia come
un’unità emozionale costituita da numerosi triangoli reciprocamente connessi, che includono anche la
famiglia estesa.
Per esempio, se la tensione tra due individui sale a una quota insopportabile, può essere ricondotta a
un livello tollerabile tramite il coinvolgimento di un terzo, ovvero tramite la formazione di un triangolo
Tuttavia, questa modalità di scarico della tensione in un sottosistema non deve divenire abituale,
altrimenti aumenta la possibilità di creare disfunzioni nel sistema e si ha la formazione di quella che
Salvador Minuchin denomina triade rigida, ovvero una struttura triadica nella quale il confine tra il
sottosistema genitoriale e il figlio è diffuso (non ben distinto), mentre il confine intorno alla triade
genitori-figlio risulta eccessivamente rigido
Andiamo ora a vedere a cosa si riferisce Minuchin quando parla di triade rigida. All’interno di un
sistema familiare, ne distingue tre tipologie, che chiama: coalizione, triangolazione e deviazione.
La coalizione è rappresentata dall’unione tra due individui a danno di un terzo. E’ necessario fare una
distinzione tra coalizione e alleanza in quanto quest’ultima definisce l’ unione di due o più individui che
hanno un obiettivo comune e cercano di raggiungerlo nel rispetto delle relazioni del sistema
La triangolazione può essere definita come una coalizione instabile e si verifica, ad esempio, quando
un figlio viene alternativamente richiamato dai genitori e rimane confuso tra loro. In questa continua
oscillazione tra mamma e papà, schierandosi alcune volte con un genitore, altre volte con l’altro, il
genitore non scelto leggerà tale esclusione come un attacco, provocando nel figlio rimorsi e sensi di
colpa
Infine, la deviazione, è rappresentata dalla modalità di due persone che in disaccordo tra loro
indirizzano il loro conflitto su un terzo. Il passaggio del conflitto su una terza persona non lo rende
facilmente identificabile, rendendo più ostica la sua risoluzione.
Le reti sociali
Da un punto di vista socioantropologico, la rete può essere definita come “tutte o alcune unità sociali
(individui o gruppi) con cui un particolare individuo o gruppo è in contatto”
Si parla di rete personale quando la relazione è tra persone e il singolo individuo, oppure di rete
familiare quando le relazioni circondano una determinata famiglia nucleare.
Possiamo inoltre incontrare fenomeni che si producono a livello interpersonale, come ad esempio le
marce della pace o i grandi eventi musicali nei quali l’interazione di gruppo è particolarmente attivata e
può favorire un cambiamento delle relazioni preesistenti, demolendo le barriere generazionali, sociali e
culturali. Si parla al riguardo di effetto di rete.
Una definizione che vi può capitare d’incontrare frequentemente in letteratura è quella di “gruppo
umano con storia”, tradotta in maniera più esauriente da Valeria Scabini, che ci parla della famiglia
come di una “organizzazione complessa di relazioni di parentela che ha una storia e che crea storia”
Ritornando sulla difficoltà di definire una famiglia normale, Don D. Jackson afferma che “non esiste
un’entità come una famiglia normale, esiste invece un’ampia variabilità di modelli di adattamento e di
repertori comportamentali”(Jackson 1967). Walsh pone l’accento su un’idea di normalità che si riferisce
alla capacità di una famiglia di affrontare con successo compiti specifici di ogni fase del suo ciclo vitale
(
Quindi una famiglia che ha un buon funzionamento in un determinato momento del suo ciclo di vita,
non è detto che mantenga nel tempo tale caratteristica. Anche di fronte ad una famiglia che ci appare
funzionale, si deve tener presente che le caratteristiche di una famiglia si modificano in relazione alla
fase del ciclo di vita che sta attraversando, del luogo e della situazione in cui la osserviamo.
Affinché la famiglia possa funzionare in maniera adeguata sono necessari confini chiari e allo stesso
tempo flessibili, una solida gerarchia generazionale, insieme ad una condivisione paritaria del potere
nell’ambito del sottosistema genitoriale.
I confini disfunzionali sono i confini diffusi e i confini rigidi. I primi lasciano passare troppe informazioni
creando una situazione in cui i problemi di uno dei componenti della famiglia diventano i problemi di
tutti. Si pensi ad un papà che non compra un giocattolo al figlio di otto anni, spiegandogli che il suo
lavoro è diventato precario e da due mesi non percepisce lo stipendio. Tale spiegazione non protegge il
bambino e gli dà accesso a problematiche di cui non può e non deve farsi carico. Questo tipo di
famiglia viene definita “invischiata”.
I secondi non permettono la comunicazione, quindi in una famiglia dai confini rigidi ci si sente poco
presi in considerazione, non accolti e quasi mai ascoltati, generando una famiglia “disimpegnata”. Si
pensi ad un papà che non accoglie la richiesta del suo bambino senza dare alcuna spiegazione in
merito. Il bambino penserà che la sua richiesta non è degna di considerazione ma senza capirne il
perché.
E’ importante inoltre sottolineare che, per il buon funzionamento di un sistema familiare, è importante
che non soltanto i confini tra i sottosistemi ma anche quelli con l’esterno non siano diffusi o rigidi. Un
tipico esempio di disfunzionalità dei confini tra sistema familiare e ambiente è costituito dal fenomeno
della «barriera di gomma», descritto da Wynne con riferimento ai rapporti tra famiglie dove vi è la
presenza di un membro psicotico e il mondo esterno.
Con il termine “barriere di gomma” Wynne si riferisce al fatto che queste famiglie presentano
solitamente confini con l’esterno assai poco permeabili ed appaiono come circondate da una barriera
apparentemente flessibile, ma in realtà estremamente difficile da varcare
Quando parliamo invece di una solida gerarchia generazionale ci riferiamo alla struttura del potere
intesa come adempimento del ruolo genitoriale. In una famiglia ben funzionante, i genitori dovrebbero
essere in grado di esercitare la loro autorità con potere esecutivo, seppure in modo flessibile e
razionale, senza che vi siano eccessive disparità di potere tra padre e madre (Walsh 1995). Detto con
le parole di Hellinger, riferendosi al suo concetto di Ordine, “Per un corretto funzionamento di una
famiglia è necessario che i genitori sappiano fare i genitori
E’ importante sottolineare come tutti i modelli riconoscano nei concetti di flessibilità e di adattabilità i
denominatori comuni per un funzionamento familiare sano
Riordinando ciò che è stato appreso finora potremmo dire che la famiglia è considerata come un
sistema aperto, caratterizzata dalla tendenza all’omeostasi e al cambiamento. Queste due tendenze
apparentemente in contrapposizione trovano un aggancio nel concetto di omeostasi evolutiva.
Riprendendo l’idea di Minuchin (1976) possiamo ribadire il concetto di famiglia come “sistema-socio-
culturale, aperto, in trasformazione che pur nel cambiamento “mantiene se stesso” garantendo stabilità
ed assicurando “crescita psicosociale ai suoi membri”.
In quanto sistema interpersonale, la famiglia rappresenta il luogo sociale in cui si realizzano i processi
di sviluppo e di crescita dei suoi membri.
Costruiremo dunque una mappa delle famiglie che possiamo incontrare, ma attenzione… non è uno
schema rigido da applicare sempre e comunque ma va adattato in base alla specifica famiglia. Infatti,
quando ci rapportiamo alle famiglie, ma non solo, dovremmo tener presente che la mappa non è il
territorio
Questo particolare gruppo con storia, ha un proprio ciclo di vita che è un qualcosa di diverso e di più
rispetto alla somma dei cicli di vita dei suoi membri.
Questo particolare gruppo con storia, ha un proprio ciclo di vita che è un qualcosa di diverso e di più
rispetto alla somma dei cicli di vita dei suoi membri. Fruggeri definisce le famiglie come unità dinamiche
soggette a cambiamenti continui che possono manifestarsi a livelli diversi ma dipendenti tra loro:
individuale, interpersonale, gruppale e sociale. Ogni membro della famiglia cresce e si trasforma nel
tempo per cui, ogni nucleo familiare deve confrontarsi e assimilare le trasformazioni relative allo
sviluppo emotivo, cognitivo e fisico dei suoi diversi componenti (livello individuale). Pensiamo ad
esempio al processo di crescita di un figlio o all’invecchiamento di un genitore. Così pure le relazioni tra
i membri della famiglia si modificano portando con sé dei cambiamenti all’intero del nucleo (livello
interpersonale)
In una famiglia avvengono cambiamenti importanti anche in relazione a come cambia il modo in cui è
composta (livello gruppale) e questo succede, ad esempio, con l’arrivo di un figlio
Infine la struttura familiare cambia anche in seguito alle trasformazioni che avvengono nel contesto
sociale e culturale di cui fa parte: valori culturali e religiosi, regime politico, identità etnica, e soprattutto
eventi sociali e ambientali
Il tema del ciclo di vita familiare è nato e si è sviluppato in ambito sociologico nei tardi anni ‘40, grazie
all’opera di Hill e Duvall.
Il ciclo di vita familiare si articola in una serie di fasi, ognuna delle quali deve essere superata per poter
passare alla fase successiva. In ogni punto di transizione è importante notare il coinvolgimento di
quattro generazioni che si trovano a cambiare insieme.
Se si incontrano difficoltà in questo processo di cambiamento, il ciclo vitale può bloccarsi, oppure la
tappa in questione può venire superata in modo incompleto.
Si può operare una distinzione tra eventi critici prevedibili o normativi (eventi che la maggior parte degli
individui e delle famiglie incontra nel corso del proprio ciclo di vita e che sono in un certo senso attesi,
come matrimonio, nascita dei figli, crescita, ecc.) ed eventi critici imprevedibili o paranormativi (eventi
che, anche se frequenti, non sono del tutto prevedibili, come crisi economiche, malattie, morti
premature, divorzi ecc.) Il blocco del ciclo vitale si verifica quando, nel corso di una determinata fase, si
verifica un evento paranormativo e successivamente non avvengono le ridefinizioni delle relazioni
interpersonali e la riorganizzazione del sistema che sarebbero necessarie per passare alla fase
successiva
Si parla invece di passaggio incompleto quando il passaggio alla fase successiva avviene soltanto
apparentemente, senza che si siano in realtà modificate le relazioni interpersonali e le modalità di
funzionamento del sistema familiare
Gli stadi del ciclo di vita non hanno un carattere universale. Ad esempio, sia il prolungamento della fase
dell’adolescenza che diventa fase del giovane adulto che le fasi del ”nido vuoto” e dell’età anziana,
rappresentano una caratteristica della società occidentale di questo secolo
Secondo Carter e McGoldrick [1980] il ciclo di vita familiare può essere suddiviso in sei stadi:
1. Giovane adulto senza legami: Nella fase precedente la formazione della famiglia è indispensabile il
“distacco emotivo” del giovane dal gruppo di origine e ciò si concretizzerà attraverso la differenziazione
e definizione del proprio sé rispetto ai familiari,
2. Formazione della coppia: In questo secondo stadio un lavoro positivo di ristrutturazione deve portare
all’organizzazione del sistema coniugale e si devono “ridefinire” le relazioni con le famiglie estese e con
i gruppi di appartenenza dei coniugi.
3. Nascita del primo figlio e famiglia con bambini piccoli: in questo stadio il processo emozionale
centrale è l’accettazione dei figli come nuovi membri del sistema. In altri termini, vuole dire: la
formazione del sottosistema genitoriale
4. Famiglia con adolescenti: Nella famiglia con adolescenti deve essere aumentata la flessibilità dei
confini all’interno della famiglia per permettere lo svincolo dei figli. Se ciò avviene, l’adolescente si
sentirà libero di entrare e uscire dal sistema famiglia senza nessun tipo di condizionamento.
5 . Famiglia in cui i figli adulti escono di casa: Nel quinto stadio il processo emozionale centrale sarà
l’accettazione di un numero sempre maggiore di movimenti di uscita e di entrata nel sistema:
6. Famiglia nell’età anziana: Il sesto stadio riguarda l’accettazione del cambiamento dei ruoli
generazionali, del mantenimento del funzionamento di coppia, del riconoscimento di un ruolo più
centrale alle generazioni di mezzo.
Ciclo di vita e processi decisionali
A Andolfi
B Minuchin
C Byng-Hall
D Bowen
2 Le mappe familiari
3 I miti familiari
C Un processo disfunzionale che in tutti i casi alimenta gli attriti tra i vari
membri
5 Le reti sociali
B Un nucleo ristretto
D Gruppo
7 Confini e gerarchie
A Origini e identità
B Controllo e protezione
C Flessibilità e adattabilità
D Rigidità e chiusura
9 Il ciclo di vita
A Occidentali e orientali
B Orientali e Islamiche
C Islamiche e occidentali
57.
La società è un insieme di individui legati da relazioni strutturate sulla base di una cultura comune. Tra
cultura e società esistono forti interrelazioni: l’esistenza dell’una è strettamente correlata all’esistenza
dell’altra.
In altre parole lo studio della natura dell’uomo e delle società umane presenti e passate
La cultura intesa nel suo senso etnografico più ampio “è quell'insieme complesso che include le
conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine
acquisita dall'uomo in quanto membro della società” 1 .
L’assimilazione da parte del bambino dei valori, norme e stili di vita della società di cui entra a far parte,
avviene attraverso il processo di socializzazione. Il bambino inerme diventa gradualmente una persona
consapevole di se stessa. Non si tratta di “programmazione culturale” ma di un apprendimento del
mondo circostante attraverso consuetudini e abitudini trasmesse attraverso le generazioni.
È importante precisare che all’interno di una stessa una società è possibile individuare più modelli
culturali: subculture: segmenti di popolazione appartenenti a una società più ampia e distinguibili sulla
base di parametri culturali (es. hacker, naturisti, hippy ecc.). controculture: gruppi che, respingendo i
valori e le norme prevalenti in una data società, elaborano e diffondono valori alternativi a quelli della
cultura dominante.
aspetti materiali: artefatti prodotti da una società (oggetti tangibili: penna, computer)
aspetti immateriali: linguaggio, valori e norme I valori sono le idee che definiscono ciò che è
considerato importante, degno e desiderabile in una cultura, comportano cioè un dover essere.
Essi guidano gli esseri umani nella loro interazione con l’ambiente sociale.
Le norme sono regole di comportamento che riflettono o incarnano i valori di una cultura. Esse sono
più specifiche e imperative dei valori.
La loro efficacia sociale dipende eminentemente, anche se non esclusivamente, da forme di controllo
esterno del comportamento. A loro volta si differenziano in costruttive e regolative. a) Le norme
costitutive costituiscono, cioè generano, una pratica che prima della loro formulazione non esisteva.
Rientrano tra queste, ad esempio, le regole dei giochi b) Le norme regolative, invece, si limitano a
regolamentare delle pratiche già esistenti. In questo tipo rientra la grande maggioranza delle norme, dai
precetti religiosi alle leggi dello stato
I concetti sono le proposizioni descrittive della realtà che i soggetti utilizzano per organizzare
cognitivamente la loro esperienza.
I simboli sono segni sia convenzionali, tali in virtù di una convenzione, sia analogici, cioè capaci di
evocare una relazione tra un oggetto concreto e un’idea astratta in cui non c’è relazione diretta con
l’oggetto. (Es: scrittura egiziane e scrittura latina) I simboli sono diversi dai segnali, che hanno un puro
valore informativo e non evocativo
La cultura in antropologia
L'antropologia è in senso stretto la scienza che studia l'uomo come fenomeno biologico naturale
(antropologia biologica); in senso lato, scienza che studia l'uomo sia dal punto di vista biologico
(antropologia fisica), comportamentale (etologia umana), nonché psicologico, sociale, economico
(antropologia culturale)
Modelli teorici
5.1. Evoluzionismo Secondo la teoria evoluzionistica, proposta da C. Darwin, alcune popolazioni hanno
maggiori capacità di adattamento che permettono loro di sopravvivere. La differenza tra le popolazioni
occidentali (Europa e Usa) e le altre (africane, australiane, ecc.) dipendeva dal grado di civiltà: si
parlava di popoli civili e non. Per queste popolazioni considerate arretrate fu coniato il termine di
primitivi, cioè di inferiori. Erano inferiori dal punto di vista naturale (Darwin), economico (Marx), religioso
(Frazer) o tecnologico (Morgan).
Diffusionismo
I diffusionisti ritenevano che tratti culturali, originati in alcuni luoghi, si fossero estesi in altri posti a
seconda di dove l’uomo si insediava. Dunque, tratti culturali uguali erano presenti in culture diverse e
l’obiettivo dei diffusionisti era quello di rilevare il loro luogo d’origine.
Nell’opera L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiul (1897) descrisse il
potlatch, un insieme di pratiche rituali diffuse tra le popolazioni indiane stanziate sulla costa della
Columbia Britannica e sull’isola di Vancouver. Nello specifico è un complesso cerimoniale di
ostentazione di ricchezza realizzato in grandissime feste, in cui un capo decide di sommergere gli
avversari con fastosissimi banchetti, regali e distribuzione di beni. Boas dimostra come presso gli
indiani Kwakiul la potenza di un popolo era dimostrata dalla fastosità con cui ricoprivano di doni i propri
rivali. Questi venivano superati nel potlatch attraverso l’esibizione della potenza economica, la
consumazione e la distribuzione dei beni del popolo “donante”.
In Francia invece l’antropologia si studia insieme alla sociologia e alla filosofia. Importanti contributi allo
sviluppo della disciplina provengono da Émile Durkheim, interessato alla funzione dei vari aspetti della
società (ad esempio, la funzione della religione). Se fu Spencer a buttare le basi del funzionalismo, fu
Émile Durkheim (1858-1917) a utilizzare per primo questo concetto per studiare le società.
Se la società, come un organismo, è costituita da molte parti diverse che contribuiscono nella stessa
misura al funzionamento del tutto, per spiegare un fatto sociale (un rito, una credenza, un obbligo) è
necessario mostrarne la funzione nell'ordinamento della società.
l’autore tenta di ricostruire l’origine della religione, e di formulare una teoria generale dei fenomeni
religiosi. Secondo Durkheim la forma originaria della religione sarebbe il totemismo, visto come il
sistema religioso più semplice, al cui interno agivano rappresentazioni collettive, dunque dell’intero
gruppo sociale e non del singolo. Le figure di animali, di piante e di fenomeni naturali rappresentanti un
determinato totem, esprimevano l’idea di forza associata simbolicamente al clan, unità sociale
primordiale. L’immagine simbolica del totem altro non era che la proiezione della società nel suo
insieme, valori e norme, per cui finiva per essere adorata, come entità suprema la società, da cui
dipendono gli individui. Nella religione Durkheim vedeva fondamentalmente un fatto sociale e una
modalità attraverso la quale la società impone il suo potere sugli individui.
Funzionalismo
Nasce con l’idea di voler paragonare le società agli organismi viventi, ritenendo che le loro diverse parti
costituissero sistemi che cooperavano insieme per garantire come un tutto funzionante.
Questa scuola di pensiero si è interessata all'analisi dei fattori che contribuiscono al mantenimento
dell'equilibrio interno di una società, intesa come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le
sue varie parti. La scuola funzionalista privilegia la ricerca sul campo e l’osservazione diretta dei
fenomeni culturali
Questa scuola di pensiero si è interessata all'analisi dei fattori che contribuiscono al mantenimento
dell'equilibrio interno di una società, intesa come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le
sue varie parti. La scuola funzionalista privilegia la ricerca sul campo e l’osservazione diretta dei
fenomeni culturali
Malinowski infatti visse a lungo in Melanesia, studiando la popolazione dei Trobriandesi. La sua opera
Gli Argonauti del Pacifico occidentale (1973) resta un modello di monografia antropologica. Il testo
inaugura una nuova epoca, in quanto l’osservazione partecipante permette all’antropologo di entrare
nel cuore dei problemi culturali e di capirne il significato. L’opera descrive la vita di villaggi melanesiani,
ne esamina gli elementi culturali e si ferma a osservare una pratica di scambio rituale chiamato kula, un
fenomeno di notevole rilevanza sociale che occupa un posto fondamentale nella vita tribale degli
indigeni. Si tratta di uno scambio cerimoniale di collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie
bianche,
Egli sostiene che il trobriandese lavora spinto da motivi assai complessi di natura sociale e tradizionale,
mirando a obiettivi che non sempre hanno a che vedere con l’immediata utilità. Esiste una complessità
delle azioni umane che non possono essere ridotte alla sfera economica.
Un altro pensiero comune è quello della promiscuità primitiva. Malinowski sostiene che non è mai
esistita questa pratica.
Esercitò un'enorme influenza con il suo strutturalismo, anche al di fuori del campo antropologico. Lo
strutturalismo rifiuta il concetto di libertà e scelta umana e si concentra invece sul modo in cui
l'esperienza e il comportamento umano sono determinati da varie strutture.
Nel tentativo di cogliere le strutture profonde, universali e atemporali, che soggiacciono al pensiero
umano, Lévi-Strauss è giunto a postulare l'esistenza di una logica binaria che, allo scopo di classificare
e ordinare il mondo, costruisce categorie mediante un sistema bipolare di opposizioni o contrasti (caldo
versus freddo, crudo versus cotto, destra versus sinistra ecc.).
Alla luce di questa fondamentale acquisizione Levi-Strauss ha indagato alcuni temi nodali dell'agire
umano, quali i sistemi di parentela, al fine di individuare la logica sottostante, ossia la struttura
invariante, rispetto a cui essi sono tutti trasformazioni. Per Lévi-Strauss l'elemento centrale nella
costituzione delle unità e dei gruppi di parentela è l'unione matrimoniale (struttura), che egli considera
essere uno scambio, messo in atto dai maschi, delle donne e delle loro capacità riproduttive.
L’antropologia italiana
Alla fine dell’800 gli studi folklorici italiani si aprono anche ad altri ambiti di studio come le fiabe e gli usi
e costumi. In questo periodo l’autore più rappresentativo fu Giuseppe Pitré, medico siciliano che fece
dello studio del folklore la sua principale attività, tanto da produrre una vera e propria Biblioteca di
tradizioni popolari siciliane tra il 1870 e il 1913, che comprende poesia, canti, le feste, i giochi,
credenze, pregiudizi, medicina popolare, indovinelli, favole, etc. Un ambito che Pitrè chiamava
“demopsicologia”
De Martino descrisse il magismo come il primo tentativo coerente, da parte dell’uomo, di affermare la
propria presenza nel mondo. La magia si configura non come una semplice risposta allo stress emotivo
procurato da situazioni dall'esito incerto, ma come una lotta intrapresa dagli esseri umani per esistere. I
comportamenti stereotipati dei riti magici offrono all’uomo rassicuranti modelli da seguire e lo aiutano a
sopportare una sorta di "crisi della presenza" che si verifica quando l'individuo, al cospetto di particolari
eventi o situazioni (malattia, morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi
radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in una storia umana", scrive de Martino)
Negli anni ‘40, l'antropologia culturale statunitense fu influenzata dalla scuola di F. Boas che dimostrò
come la cultura fosse indipendente dai fattori razziali e avesse in sé caratteri tipici per ciascun gruppo
etnico e pertanto fosse un prodotto autonomo di ogni popolo. Su questa strada vennero condotte
indagini sui "caratteri nazionali" delle singole culture e sul potere condizionante che queste hanno sulla
personalità dei singoli: si affermò così una scuola, denominata "cultura e personalità" di cui i massimi
esponenti sono stati: R. Benedict, R. Linton, M. Mead, A. Kardiner
G. Bateson:
naven era un rituale di travestimento che veniva effettuato quando un giovane compiva per la prima
volta nella sua vita un’azione rispondente ad un valore positivo e fondamentale della cultura locale
(uccisione di un nemico, cambiamento di status sociale ecc.). In questa occasione i suoi parenti di
entrambi i sessi si travestivano assumendo caratteristiche e comportamenti che richiamavano quelli del
sesso contrario. Nel rituale un ruolo importante era quello del wau , il fratello della madre dell’individuo
(laua), in onore del quale si celebrava il naven. Il fratello della madre, dunque il detentore dell’autorità
sul figlio di quest’ultima si travestiva da donna, rappresentando la caricatura della “debolezza emotiva”
femminile mentre atteggiandosi in maniera clownesca era oggetto di scherno e riso da parte delle
persone circostanti. Al contrario gli individui di sesso femminile assumevano un comportamento di
fierezza che normalmente assumevano di rado.
Così l’inversione dei ruoli durante il rituale permetteva ai soggetti di una data cultura di assumere i
segni di un’identità diversa dalla propria, esibendo sentimenti contrastanti con il tono emotivo tipico del
proprio sesso.
travestendosi da donna il wau poteva manifestare soddisfazione e affetto per il figlio della sorella;
mentre travestendosi da uomini, la madre del giovane e le altre donne della famiglia
potevano mostrarsi soddisfatte e orgogliose per le azioni di un giovane del quale si erano prese cura e che aveva
raggiunto ora un obiettivo socialmente e culturalmente approvato. Bateson notò che da parte del marito
l'accentuarsi dell'adesione al modello maschile fatto di forza, coraggio, fierezza, aggressività ecc. ingenera nella
moglie un atteggiamento di sottomissione via via crescente. Questo fenomeno se non interrotto dall'esterno (o
come in questo caso dal rito naven) può portare ad estreme conseguenze→ serve a evitare conflitti, catartico.
A questo punto Bateson conia il concetto di schismogenesi per indicare il “processo di differenziazione
nelle norme del comportamento individuale risultante da interazione cumulativa tra individui”2 . Ossia,
l'insieme di interazioni tra gli individui o gruppi di individui dà origine a divisioni tra i gruppi o gli individui
stessi.
Bateson distingue una schismogenesi (dal greco antico skhisma, divisione e genesis, nascita,
creazione) complementare nel caso in cui il comportamento di un individuo incoraggia un altro a
rispondere in maniera opposta (se per esempio l’uomo e’ prepotente, la donna e’ docile e più nel tempo
l’uomo sarà prepotente, più la donna sarà docile); una schismogenesi simmetrica quando un modello di
comportamento di un individuo stimola in un altro individuo un atteggiamento analogo, producendo una
competizione crescente sulla base di atteggiamenti analoghi
Fino alla metà degli anni 1920, gli antropologi americani si concentrarono sulle culture indiane degli
Stati Uniti. Margaret Mead è stata la prima antropologa a studiare una cultura al di fuori del continente
americano. Nel periodo compreso tra il 1926 e il 1927 condusse una ricerca nelle isole Samoa, un
arcipelago della Polinesia. La Mead si interessa come i suoi predecessori all’influenza esercitata dalla
cultura sull’individuo e dalle modalità di trasmissione dei valori che consentivano a quest’ultimo di
adattarsi con successo, sul piano del comportamento e della condivisione dei valori, ai modelli della
propria società
Nell’opera L’adolescente in una società primitiva(1930) la studiosa si focalizza sul periodo di vita
adolescenziale della donna samoana. Venivano analizzati tanto il contesto sociale quanto il processo
educativo che presso questa società concorrevano alla formazione della personalità della donna,
durante l’adolescenza. Attraverso la sua opera la Mead mostrò la differenza dei metodi educativi seguiti
dai Samoni ma anche l’alto grado di socializzazione da essi prodotto. Questo studio mostrava come
l’adolescenza in una società primitiva, semplice, fosse una fase della vita dell’individuo meno esposta a
traumi di quanto non fosse nella società occidentale e nella società americana in particolare. Tale
differenza dipenderebbe da due fattori: la mancanza di messaggi concorrenziali e produttivistici inviati
dalla cultura dell’individuo; la mancanza di alternative rilevanti nelle scelte che si presentano al giovane
durante il periodo adolescenziale.
Relativismo culturale
I lavori di Margaret Mead, come del resto quelli di Ruth Benedict e di altri antropologi statunitensi
rappresentarono un momento importante per l’antropologia americana. Con i loro lavori hanno
contribuito ad introdurre in antropologia il concetto di relativismo culturale. Con questa espressione si
tende ad indicare la concezione secondo cui un’azione o un valore devono per poter essere compresi
essere considerati all’interno del contesto complessivo entro cui si collocano. Dunque, nello studio
dell’essere umano, inteso nella sua personalità e nel suo agire, gli studiosi iniziarono a volgere
particolare attenzione al sistema in cui è inserito e di cui fa parte.
Pertanto nella valutazione di un comportamento dobbiamo porci tre domande: a) Questa persona si
comporta regolarmente con la situazione? b) Altre persone si comporterebbero allo stesso modo, nella
stessa situazione? c) Questa persona si comporta cosi anche in altre situazioni? (Kelly,1973)
A differenza del passato, oggi c’è più consapevolezza negli studiosi del ruolo che la cultura gioca nella
crescita e nello sviluppo degli individui; essa è in qualche modo il filtro attraverso il quale si sperimenta
il mondo,
L’errore di attribuzione fondamentale (Ross, 1977) vale a dire la tendenza ad attribuire le cause delle
azioni altrui a fattori personali piuttosto che situazionali è più debole in Giappone, in India e Cina
(Morris e Peng, 1994; Kitayama e Masuda, 1997). Gli effetti della dissonanza cognitiva molto
consistenti nelle culture occidentali, risultano invece minori nelle culture orientali, per cui l’incongruenza
tra il proprio pensiero e le proprie azioni sembra minacciare in misura minore il senso del sé degli
orientali
La cultura è:
1 Società e Cultura
A Ereditata
D Un insieme di individui
A Norme
B Concetti
C Valori
D Simboli
3 La cultura in antropologia
B La religione presente
A Causale
B Lineare
C Circolare
D Simmetrica
D L’adolescenza in una società primitiva è una fase della vita dell’individuo più
esposta a traumi di quanto non fosse nella società occidentale e nella
società americana
8
Relativismo culturale
9 Lâantropologia oggi
A Stregoneria
Islamismo e Cristianesimo:
58.
la Psicologia del Turismo studia l’uomo in quanto turista, ma non solo. Il discorso è di sicuro più ampio
ed articolato e richiede un’attenta riflessione ed analisi su cosa sia il “turismo” e su quali siano i fattori
che concorrono nel svilupparlo. Al giorno d’oggi, il turismo rappresenta una delle principali attività
economiche del mondo
Il turismo è un sistema complesso nel quale giocano un ruolo importante le relazioni. Concetto
quest’ultimo che può esprimersi in vari modi: dai rapporti di amicizia che si instaurano con gli altri
visitatori, ai rapporti sociali che si sviluppano con i residenti e persino i rapporti emotivi che si
stabiliscono con il luogo visitato
Ma cos’è l’empatia? Come può essere definita? C’è differenza tra i termini empatia e simpatia, talvolta
usati impropriamente come sinonimi. Il termine einfühlung (in tedesco empatia), coniato da Tichener,
evidenzia bene la differenza tra le due condizioni. L’empatia riguarda, infatti, il “sentire dentro” lo stato
emotivo di un altro, vale a dire condividere l’emozione dell’altro al punto che essa diventa, se pure in
modo vicario, la propria emozione. Nell’empatia la distanza tra le persone si riduce, a tal punto, che chi
empatizza fa proprie le emozioni altrui. Laura Boella nel suo libro “Sentire l'altro. Conoscere e praticare
l'empatia” (Raffaello Cortina Editore, 2006) la definisce con “l'atto attraverso cui ci rendiamo conto che
un altro, un'altra, è soggetto di esperienza come lo siamo noi: vive sentimenti ed emozioni, compie atti
volitivi e cognitivi
In genere, si fa riferimento a due fondamentali tipi di empatia, definiti come empatia cognitiva ed
empatia affettiva-emozionale (Stephan e Finlay, 1999). La prima consiste principalmente nell’assumere
il ruolo o la prospettiva dell’altro – vedendo il mondo dal suo punto di vista – mentre la seconda
consiste essenzialmente in risposte emozionali che possono essere simili a quelle dell’altra persona
(empatia parallela) o in reazione alle esperienze emozionali dell’altro (empatia reattiva).
Esiste un sostanziale accordo fra tutti i ricercatori sul fatto che sono essenzialmente due i processi
cognitivi il cui sviluppo è indispensabile perché si possa parlare propriamente di esperienza empatica:
l’abilità di discriminare e di riconoscere correttamente gli stati affettivi altrui e l’abilità di assumere il
ruolo (role-taking) e la prospettiva dell’altro (perspective-taking)
Con role taking in letteratura si definisce la capacità di mettersi nei panni degli altri, assumendone la
prospettiva e il ruolo, anche quando questo è diverso dal proprio, senza per questo perdere la
consapevolezza del proprio punto di vista, che si conserva attivo e saliente.
Con il termine perspective taking si designa, invece, la capacità di assumere il punto di vista degli altri
in modo da poter inferire la visione che gli altri hanno della realtà. Con perspective taking o assunzione
di prospettiva si intende, dunque, la capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi della persona con
cui empatizziamo.
Una domanda sorge spontanea: si può imparare l'empatia? La risposta è sì. Si tratta di una
competenza che si può imparare, che si può sviluppare e affinare nel tempo e nel contatto con le
persone, partendo da un'intelligenza emotiva e sociale “di base”. Daniel Goleman nel suo libro:
“Lavorare con intelligenza emotiva” (Rizzoli, 1998), individua le cinque dimensioni dell'intelligenza
emotiva. La consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione, afferiscono alla “competenza
personale” che determina il modo in cui controlliamo noi stessi. L'empatia e le abilità sociali afferiscono
invece alle “competenze sociali” delle persone e ne condizionano il modo nel quale gestiscono le
relazioni con gli altri.
i. Ascoltare attivamente significa, essere empatici, mettersi "nei panni dell'altro", riconoscere e
accettare il suo punto di vista, accogliendo e comprendendo le emozioni, i dubbi, le preoccupazioni che
manifesta. Ma ciò non basta. Per ascoltare attivamente è necessario restituire tale comprensione e
dimostrare in tal modo la presenza nella relazione, il rispetto e il riconoscimento dell’altro:“ci sono,
ascolto, colgo e capisco il contenuto e le emozioni che lo accompagnano”.
Ma cosa si ascolta? L’ascolto attivo si basa su: - ascolto dei contenuti, attraverso: ciò che racconta
con le parole (verbale) ciò che non dice con il silenzio, ascolto/osservazione delle tonalità e del modo
in cui esprime i contenuti (paraverbale) ascolto/osservazione degli sguardi, della gestualità, di come
l’altro si presenta e si muove (linguaggio non verbale)
la riformulazione e la chiarificazione. La riformulazione consiste nel ridire ciò che l’altro ha appena
detto utilizzando le stesse parole o in maniera più concisa, non aggiungendo nulla di proprio al
contenuto, evitando in tal modo l’interpretazione. Attraverso la riformulazione l’operatore può ottenere
l’accordo da parte della persona e la persona ha la conferma di essere stata ascoltata. La
riformulazione svolge quindi una duplice funzione: garantisce la corretta ricezione di un messaggio
ricevuto dall’utente e, contemporaneamente, comunica all’utente stesso il rispetto e l’attenzione di cui è
fatto oggetto. È come se l’operatore inviasse questo messaggio: “Sono qui per ascoltarti, sono
interessato a capirti con certezza, ti confermo che ti sto seguendo, continua pure”. La persona se si
riconosce nella riformulazione è sicura di essere stata ascoltata e compresa e così è portata a
esprimersi ulteriormente e a collaborare. E’ anche facilitata a rimanere concentrata sul problema e su
come lo vive. La chiarificazione, invece, agevola la comprensione sottolineando anche le emozioni che
accompagnano il contenuto (ad esempio “Mi sembra di cogliere dal suo sguardo uno stato di
preoccupazione”, “Dalle sue parole ho l’impressione di cogliere delle perplessità circa……..”). Anche in
questo caso l’attenzione è posta tanto alla comunicazione verbale quanto a quella non verbale. Gli
ostacoli più frequenti all’ascolto attivo e comprensivo sono: la soggettività (interpretazione soggettiva),
la deformazione professionale (rispondere con una condotta abituale), il significato razionale (fermarsi
al significato letterale delle frasi.
Daniel Goleman utilizza il termine “intelligenza emotiva sociale” riferendosi
a:
1 Premessa
2 Premessa
A La cordialità
B La socievolezza
C L’empatia
D La simpatia
L’empatia è:
3 CosâÚ lâempatia?
4 Comunicare e comprendere
5 Lâascolto empatico
6 Ascolto empatico:
Lâascolto empatico
D Ascoltare in silenzio
7 La riformulazione e la chiarificazione
A Ridire ciò che l’altro ha appena detto utilizzando un linguaggio più consono
e più articolato
C Ridire ciò che l’altro ha appena detto, utilizzando le stesse parole, non
aggiungendo nulla di proprio al contenuto
! Il role taking è:
9 CosâÚ lâempatia?
10 La riformulazione e la chiarificazione
C Consiste nel ridire ciò che l’altro ha appena detto, con termini e vocaboli
differenti
Origine dell’attrazione
L’uomo in genere è portato ad accoppiarsi per procreare Ma perché tizio e non caio? E cosa colpisce in
“quella” determinata persona? Per dare una risposta cerchiamo di vedere cosa dà origine all’attrazione.
Gli aspetti che precedono l'attrazione sono cinque:
1. Prossimità. Uno degli aspetti più semplici che determina l'attrazione è la vicinanza, o prossimità. Le
persone che con l’individuo interagiscono più spesso, nelle varie sfere della vita -amicizia, studi,
professione, vita sociale, convivenza-, hanno maggiori possibilità di diventarne compagno di vita (è la
cosiddetta vicinanza fisica). Le persone più prossime sono anche quelle che ci sono più vicine quando
ne abbiamo bisogno, per fornirci appoggio o anche solo per una chiacchierata amichevole (vicinanza
funzionale e psicologica). La vicinanza, oltre ad essere una buona base per la nascita dell’attrazione,
fornisce anche maggiori occasioni per verificare i presupposti per l'instaurarsi di rapporti affettivi.
. Somiglianza (indicata da Byrne come legge dell’attrazione). E’ stato dimostrato che le persone
preferiscono chi si trova nella loro stessa posizione sociale e culturale – religione, valori, status
economico, interessi, atteggiamenti-. Questo vale sia per le relazioni di coppia sia per quelle amicali. I
ricercatori descrivono due situazioni di somiglianza in cui si creano relazioni: • a campi chiusi, in cui le
persone sono costrette ad interagire tra di loro perché vivono in contesti fisicamente vicini; • a campi
aperti, in cui le persone sono libere di interagire a seconda delle loro scelte. In questo caso le persone
tendono a scegliere gli ambienti da frequentare, dove incontrano persone potenzialmente simili. Perché
la somiglianza è così importante per l'attrazione? • il gradimento porta a pensare che ci saranno
maggiori probabilità di iniziare una relazione; • l’approvazione per le nostre credenze e caratteristiche
culturali, sociali, economiche e di valori, fa sentire più vicini; • il disaccordo su questioni importanti crea
inferenze negative tra gli individui, portando alla repulsione tra dissimili.
Caratteristiche fisiche. La gradevolezza fisica risulta predittiva dell’attrazione, soprattutto perché tanto
peso è dato all'aspetto fisico nella nostra società.
5. Reciprocità dell’attrazione. L'aspetto più importante che determina l'attrazione è la sua reciprocità,
cioè il fatto di ritenere di essere graditi all'altro. L'approvazione da parte degli altri è una delle maggiori
gratificazioni che possiamo ricevere: tenderemo, quindi, a contraccambiare l'interesse che gli altri
provano per noi, a meno che questo non sia percepito come falso.
Passiamo ora ad analizzare due teorie sociali sull'attrazione interpersonale: 1. lo scambio sociale; 2.
l'equità. · La teoria dello scambio sociale è il modello del mercato applicato alle relazioni interpersonali.
George Homans, sociologo statunitense, effettuò lo studio dei fattori che rendono una relazione
soddisfacente e stabile.
I benefici di una relazione affettiva si traducono nell’interesse e nella partecipazione che i partner
mostrano nella relazione; i costi, invece, possono essere rappresentati dai tradimenti, dalle cattive
abitudini, dagli obblighi.
La teoria dell’equità
Una critica mossa da alcuni studiosi alla teoria dello scambio sociale è che essa ignora una variabile
essenziale: l'equità. Secondo la teoria dell'equità (elaborata da Elaine Hatfield Walster e Elen
Berscheid), in una relazione profitti e i costi personali devono essere equivalenti ai profitti e ai costi
dell’altro.
Oltre alla distinzione tra innamoramento e attrazione gli psicologi sociali hanno formulato diversi
approcci alla teoria sull’amore. Parleremo di quello più importante cioè: la teoria triangolare dell’amore
di Sternberg 1986/'88
Secondo Sternberg l'amore è composto da tre elementi basilari: l'intimità, la passione e l'impegno: ·
l’intimità: i sentimenti di vicinanza e di legame con il partner · la passione: è l’eccitazione psicologica e
fisica che si prova nei confronti del partner · l’impegno: comporta due decisioni: una a breve termine
(quella di amare il partner) e una a lungo termine (mantenere l’amore e restare con il partner).
- L'approccio sociobiologico all'amore è basato sull'idea che l'evoluzione del comportamento umano
è avvenuta perché si è massimizzato il successo riproduttivo. Esso sostiene che per i due sessi questo
si traduce in differenti pattern comportamentali: i maschi si accoppiano spesso con molte femmine,
mentre le femmine prestano maggiore attenzione alla scelta del maschio. Questo spiegherebbe le
diverse strategie messe in atto dagli uomini e dalle donne nelle relazioni amorose. Le donne quindi
cercherebbero un uomo che possa provvedere alle risorse richieste e fornire il sostegno necessario per
crescere la prole (aspetto economico-sociale). Gli uomini cercherebbero una donna che sia in grado di
riprodurre la specie (aspetto fisico-salute). Molti studi hanno confermato queste ipotesi, ma allo stesso
tempo alla teoria sono state avanzate critiche, in quanto da una parte è considerata troppo flessibile e
in grado di spiegare qualsiasi cosa,
Il comportamento prosociale
Il comportamento prosociale è una qualsiasi azione commessa allo scopo di arrecare beneficio ad
un'altra persona. Un comportamento prosociale che non tiene conto del proprio interesse è l'altruismo.
Le domande che ci si è posti a questo riguardo sono varie. Le persone aiutano solo quando c’è qualche
forma di beneficio per se stessi o anche quando non c’è nessun vantaggio personale? Le persone
aiutano sulla base di una motivazione altruistica o anche sulla base di una motivazione egoistica? Vi è
l’empatia alla base del comportamento prosociale o vi sono anche altre motivazione? In psicologia
sociale lo studio dei fattori causali della messa in atto di comportamenti prosociali e altruistici è recente.
Essa prende avvio dall’analisi di episodi di mancato soccorso
2. Lo studio del comportamento prosociale si è indirizzato anche verso l’analisi dei tratti associati alla
personalità altruistica; tuttavia si constatò che la dimensione di personalità non era di per sé sufficiente
per prevedere la messa in atto di comportamenti altruistici. Si è visto come l’elemento principale che
precede l’attuazione di una risposta prosociale sia l’empatia
Alcuni autori (Cialdini) hanno messo in luce come spesso l’interesse per la sorte dell’altro non sia frutto
di una vera e propria empatia, quanto piuttosto di un proprio stato d’animo negativo che trova nel
comportamento altruistico una modalità di alleviamento: secondo l’ipotesi del sollievo dallo stato
d’animo negativo,
Le teorie sul comportamento prosociale: sociobiologia e psicologia sociale La sociobiologia I moderni
sociobiologi, che si rifanno alla teoria dell'evoluzione di Darwin, hanno tentato di spiegare l'esistenza
del comportamento prosociale in tre modi:
1. Secondo la selezione parentale, la scelta che le persone fanno di aiutare qualcuno è influenzata
dall'importanza biologica del risultato: le persone aiutano coloro con cui è più stretta la parentela,
specialmente se questo aiuto aumenta la probabilità che la persona avrà in futuro una discendenza.
Limite: non spiega i casi in cui si aiutano dei non consanguinei.
2. Secondo la norma della reciprocità, le persone aiutano gli altri con l'idea implicita che il loro
comportamento verrà in futuro ricambiato;
3. Secondo l’apprendimento delle norme sociali. In base all'assunto che nei nostri geni è presente
l'abilità ad imparare e a rispettare le regole sociali
La psicologia sociale
La psicologia sociale condivide l'idea che il comportamento altruistico può essere fondato sull'interesse
individuale. In particolare la teoria dello scambio sociale sostiene che gran parte delle nostre azioni
sono provocate dal desiderio di massimizzare i guadagni e minimizzare i costi. Dunque le persone
aiutano quando è nel loro interesse farlo, ma non quando i costi superano i benefici. Sembrerebbe così
che l'altruismo non esista.
Batson concorda col fatto che in determinate situazioni le persone aiutano per ragioni egoistiche ma
sostiene anche che in altri casi il loro unico obiettivo è aiutare un'altra persona nonostante ciò richieda
dei costi personali. Questo avviene quando si avverte empatia per la persona bisognosa, cioè quando
sentiamo il dolore ed il bisogno che ha l'altro di essere aiutato.
Il caso di Kitty L'effetto spettatore è un fenomeno ben noto in psicologia sociale che fa riferimento ad
comportamento sano e non patologico, sebbene non sia sempre molto ammirevole. Fu studiato e
descritto per la prima volta dagli psicologi Bibb Latanè e John Darley che presero spunto dalla tragica
vicenda di una ragazza di New York: Kitty Genovese. New York, 1964. Kitty Genovese era una ragazza
che un giorno normale stava tornando a casa quando venne aggredita e pugnalata. La donna cominciò
a chiedere aiuto e qualcuno intimò al malfattore di fermarsi e questi corse via. Solo un paio di circa una
dozzina di spettatori chiamò la polizia fornendo però un resoconto poco chiaro (un litigio, un furto, ecc.),
tanto che la polizia non intervenne immediatamente e nessuno chiamò l'ambulanza.
Perchè nessuno intervenne? L'effetto spettatore secondo Latanè e Darley può essere spiegato
attraverso due fenomeni: ignoranza pluralistica e diffusione di responsabilità. L'ignoranza pluralistica o
collettiva non è nient'altro che l'estremizzazione del normale processo attraverso cui impariamo a
comportarci in un contesto osservando ciò che fanno i consimili. Nel momento in cui accediamo in un
nuovo ambiente prendiamo spunto dagli altri per capire come agire e ci lasciamo guidare da chi sembra
saperne più di noi. Ciò accade anche nelle situazioni ambigue, dove non sappiamo dare
un'interpretazione corretta di ciò che accade: se gli altri non fanno nulla allora con maggiore probabilità
il singolo individuo diventa spettatore di quanto accade. All'ignoranza collettiva segue un altro
fenomeno per completare la spiegazione dell'effetto spettatore: la diffusione della responsabilità. Se
assistiamo ad una richiesta di aiuto insieme ad altre persone ci sentiamo meno responsabili nei
confronti di chi è in difficoltà perché altre persone stanno ricevendo la stessa richiesta. L'effetto del
fenomeno descritto in precedenza è questo: se gli altri che sono nella stessa condizione non si
attivano, io singolo, poco coinvolto e poco responsabilizzato, non faccio nulla e resto uno spettatore
passivo.
C I profitti e i costi in una relazione devono avere costi bassi e massimi profitti
6 Il comportamento prosociale
B Ostilità
8 Il comportamento prosociale
B L'empatia
C La simpatia
D Il senso di responsabilità
60.
3) Molto diffuso e preso in alta considerazione nel panorama scientifico è il modello GAM (General
Aggression Model) che collega l’esposizione a contenuti mediatici violenti a variabili legate alle
differenze individuali, nella spiegazione dello sviluppo di comportamenti aggressivi. Secondo questo
modello, variabili situazionali e componenti individuali interagiscono fra loro, influenzando lo stato
d’animo dell’attore sociale sul piano cognitivo, emotivo e dell’attivazione fisiologica (Anderson &
Bushman, 2001) 4)
Disimpegno morale
Questa scala misura tre differenti momenti del processo di disimpegno morale (Bandura, 1990): (1) la
ridefinizione della condotta immorale, che tende a minimizzare l’atto immorale compiuto; (2) la
distorsione delle conseguenze dell’atto, ritenute meno gravi di quanto realmente esse siano; (3) la
diversa considerazione della vittima che tramite l’attribuzione di colpa o di biasimo è ritenuta meritevole
dell’offesa ricevuta. I risultati hanno evidenziato che la recenza di esposizione a GTA IV influenzava
negativamente il giudizio morale: tanto più di recente i partecipanti allo studio avevano giocato a GTA
IV, tanto più alto era il loro disimpegno morale, misurato considerando cinque sottocomponenti
Sulla base delle meta-analisi finora condotte, sembra che gli effetti provocati dai videogiochi siano
meno forti di quelli provocati dalla violenza in televisione; la discrepanza potrebbe però essere dovuta
al minor numero di studi sui videogame (Polman, de Castro, & van Aken, 2008). 5) Diversamente
(Anderson et al., 2010; Bushman, 2011) ci sarebbero almeno tre ragioni per cui gli effetti generati dai
videogiochi ad alto contenuto violento siano peggiori rispetto a quelli generati dai mass media: nei
videogame il giocatore è diretto protagonista di ciò che accade diversamente da quanto accade quando
è spettatore di violenza trasmessa attraverso i mass media. Inpiù alto era il loro disimpegno morale,
misurato considerando cinque sottocomponenti
D La violenza domestica
Secondo McCormik:
A Il 20% dei ragazzi riporta che i genitori non controllano l'età minima
consigliata sull'apposita etichetta prima di acquistare un prodotto video
ludico
B Il 50% dei ragazzi riporta che i genitori non controllano l'età minima
consigliata sull'apposita etichetta prima di acquistare un prodotto video
ludico
C Il 90% dei ragazzi riporta che i genitori non controllano l'età minima
consigliata sull'apposita etichetta prima di acquistare un prodotto video
ludico
D Non è rilevante ai fini della ricerca il controllo dei genitori sui videogiochi dei
propri figli
61.
In Psicologia Sociale queste parole rientrano nella definizione di etichette denigratorie, ossia singoli
termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del gruppo sociale o
dell’individuo a cui si riferiscono
Le etichette denigratorie sono per loro natura espressioni di pregiudizio (Simon & Greenberg, 1996).
Per tale ragione, esse hanno solitamente un impatto negativo sugli individui che ne sono bersaglio. I
destinatari dell'offesa non sono esclusivamente coloro che ne sono vittima diretta, ma anche tutti i
membri del gruppo sociale offeso
TEST DI AUTOVALUTAZIONE
Paul Watzlawick definisce la comunicazione come:
1 Introduzione
2 Etichette denigratorie
A Singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del
gruppo sociale
B Singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del
gruppo sociale o dell'individuo a cui si riferiscono
C Singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti solo
dell'individuo a cui si riferiscono
3 Etichette denigratorie
A Sono generiche
C Su entrambi
D Sul mittente
A Paura
B Emozioni negative di ansia e rabbia, maggiori livelli di depressione ed una più bassa
autostima
D Odio
Tra gli effetti sullo spettatore si annoverano:
A Commiserazione
B Rabbia
C Disgusto
D Distanza sociale dal gruppo e dagli individui a cui gli insulti si riferiscono
A Può influenzare sia l'accettazione sia gli effetti che l'utilizzo delle etichette denigratorie
La comunicazione è un processo:
10 Introduzione
A Sistemico
B Pragmatico
C Strategico
. 6) La psicologia dello sviluppo morale ha individuato due principali dimensioni della moralità:
una riguarda il far male e la cura degli altri (Gilligan), l’altra riguarda la giustizia e la reciprocità
(Piaget).
Ellemers e collaboratori (per una rassegna, vedi Ellemers, Pagliaro, & Barreto, 2013) hanno
approfondito questa questione studiando la moralità come dimensione fondamentale per la
regolazione dei comportamenti all’interno dei gruppi e per la valorizzazione dell’ingroup.
Secondo questo approccio, la moralità si riferisce a comportamenti corretti e appropriati verso
gli altri, e può essere definita da tratti quali onestà, sincerità e affidabilità. A sua volta, la
moralità si contrappone alla socievolezza, intesa come l'abilità di formare connessioni sociali
con gli altri e definita da caratteristiche quali amichevole e piacevole, e alla competenza, che
riguarda l’efficacia e l’abilità delle persone di svolgere con successo determinati compiti (Leach,
Ellemers, & Barreto, 2007).
'importanza di tali dimensioni è spiegata dal fatto che, per sopravvivere, le persone devono
comprendere se gli altri siano animati da buone o cattive intenzioni verso di loro, ossia se siano
morali e socievoli, così come se siano in grado di mettere in atto tali intenzioni, ossia se siano
competenti (vedi anche Fiske, Cuddy, &Glick, 2007). Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato
che la moralità, rispetto a socievolezza e competenza, è la dimensione predominante
attraverso cui giudichiamo sia gli individui sia i gruppi. Infatti, le persone si identificano
maggiormente con gruppi che considerano morali e tendono ad allontanarsi dal proprio gruppo
quando questo è percepito come immorali
A conferma del maggior peso della moralità nel giudizio sociale, uno studio successivo di
Rubini e Albarello (2012) ha evidenziato che gli insulti di tipo morale sono nel complesso
percepiti come più severi, seguiti da quelli di competenza e infine di socievolezza. Anche in
questo studio, è emersa una differenziazione di genere, dovuta tuttavia al target a cui sono
indirizzati gli insulti: quando il target è un uomo, infatti, gli insulti di moralità sono percepiti come
più gravi rispetto a quelli relativi alle altre due categorie, mentre i termini denotanti assenza di
moralità e di competenza sono risultati ugualmente offensivi quando il target è femminile
B Occuparsi di volontariato
C Fare beneficenza
A Kohlberg
B Erickson
C Piaget
D Gilligan
! La moralità:
C Non è la dimensione predominante attraverso cui giudichiamo sia gli individui sia
i gruppi
Gli insulti:
A Tendono a rendere l'altro oggetto di disprezzo, negando ciò che è a lui vicino e
caro e colpendolo nell'onore e nella reputazione
C La famiglia
D I valori
A Evidenziano che gli insulti di tipo morale sono nel complesso percepiti come più
severi
63.
Questo articolo si pone, dunque, come obiettivo, quello di analizzare, attraverso studi recentissimi, quali
“scorciatoie” la mente utilizza per percepire gli altri individui, ovvero, su quali caratteristiche si basa la
“percezione sociale”
La Percezione sociale è quella parte della percezione che permette alle persone di capire le altre
persone nel loro mondo sociale. Ci consente dunque di esprimere giudizi e impressioni su altre
persone.
Secondo Fiske e collaboratori (Fiske, Cuddy, Glick, & Xu, 2002) calore e competenza sono
dimensioni fondamentali del giudizio sociale poiché rispondono a due domande fondamentali
che ci si pone quando si entra in interazione con persone sconosciute: È un amico o un
nemico? (calore); è in grado di danneggiarmi? (competenza). In altre parole, ci interessa
comprendere le buone o cattive intenzioni di chi ci sta di fronte e la sua capacità di metterle in
atto. Queste due dimensioni, sebbene indicate con nomi diversi, ricorrono in più di mezzo
secolo di riIntellettuale buono/cattivo (competenza) versus sociale buono/cattivo (calore). Altri
autori hanno parlato di agency versus communion (Bakan, 1966), di tratti vantaggiosi per il sé
(sicuro di sé, ambizioso, pratico, intelligente) versus tratti vantaggiosi per gli altri (conciliante,
tollerante, affidabile; Peeters & Czapinsky, 1990), di competenza versus moralità1 (Wojciszke,
1994, 2005). Qualunque sia l’etichetta, calore e competenza sono considerate le due
dimensioni fondamentali del giudizio sociale cerca in psicologia.
il calore è più importante quando si valuta il comportamento degli altri (Abele & Wojciszke,
2007), che le persone percepiscono il calore di qualcuno più rapidamente rispetto alla
competenza e che ciò avviene in una frazione di secondo La centralità del calore rispetto alla
competenza è stata spiegata principalmente come funzionale: capire se le intenzioni di una
persona sono buone o cattive è prioritario rispetto a comprenderne la capacità di metterle in
atto
I primi lavori concernenti la percezione delle persone evidenziavano che quando una persona
veniva valutata positivamente su una dimensione, veniva valutata positivamente anche
sull’altra (un fenomeno noto in psicologia sociale come effetto alone; Rosenberg et al., 1968).
1 La percezione sociale
2 La percezione sociale
A Rispetto ed educazione
B Competenza ed empatia
C Calore e competenza
D Calore ed empatia
C Empatia
D Competenza sociale
A Della competenza
B Del calore
C Di entrambe
B Entrambe
C Il calore
D La competenza
A Competizione
B Gioia
C Invidia
D Ammirazione e orgoglio
A Disprezzo e disgusto
B Rabbia
C Paura
D Indifferenza
64.
La negoziazione
La negoziazione è “un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire cosa ognuna
dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al raggiungimento di un accordo
mutuamente vantaggioso”.
Le emozioni, come già precedentemente accennato, svolgono un ruolo primario nel processo di
comunicazione umana. Esse riassumono un ordine complesso di informazioni che sono elaborate
anche a livello inconscio e che aiutano gli individui a capire, con una valutazione tacita, rapida e
sofisticata, quali eventi e interazioni interpersonali hanno significato per ciascuno come organismo
biologico e quali cose hanno significato in termini di “azioni nelle quali siamo pronti ad impegnarci
(Liotti, 1994; Safrn, 1998). I processi affettivi/emotivi svolgono un ruolo cruciale nel direzionare il
comportamento. Le persone possono comunicare emozioni ad altre persone senza essere consapevoli
completamente del fatto che lo stanno facendo.
1) Pensiero dicotomico: detto anche “tutto o nulla” o “pensiero polarizzato”. Alcuni autori sintetizzano
questo tipo di distorsione con l’aforisma “Chi non è con me è contro di me”. La risposta è spesso una
risposta di sfida e non di cooperazione. Le esperienze vengono, quindi, classificate come pieni
successi o totali fallimenti. Esempi: “Se non sarò in grado di portare a casa un risultato negoziale
eccellente sarà un fallimento”. I comportamenti della controparte così come i propri sono valutati
attraverso criteri netti: giusto/sbagliato, corretto/scorretto, vittima/colpevole, buono/cattivo.
3) Catastrofizzazione: senza alcuna prova e senza considerare atri possibili scenari, il futuro è
anticipato negativamente. Un minimo fattore viene considerato come il segno di un già anticipato
evento negativo. Per esempio “Poiché non sono in grado di padroneggiare tutti i problemi, la
negoziazione sarà certamente un disastro”; oppure “Sono così nervoso che non sarò per nulla capace
di fare una buona figura”.
7) Personalizzazione: questo tipo di distorsione porta a ritenere che gli altri si stiano comportando in
modo negativo esclusivamente a causa delle proprie azioni, senza considerare altre possibili
spiegazioni alternative. Per esempio: “La persona con cui sto parlando è uscita dalla stanza perché ho
detto qualcosa di sbagliato”; oppure se la controparte appare distratta si conclude: “Sono sicuro che ha
qualcosa contro di me!” oppure: “Costui sta architettando una manovra scorretta per approfittarsi di
me”.
8) Visione a tunnel: questo tipo di distorsione porta le persone a vedere solamente gli aspetti positivi o
solamente quelli negativi di una situazione, in base allo stato mentale generale. Per esempio: “La
controparte ha rifiutato una delle mie proposte di compromesso. È stata critica
La negoziazione è:
D Finalizzata al conflitto
A Evitare la controparte
A Le tendenze aggressive
B Le abitudini familiari
D Le caratteristiche fisiche
5 Cognizione e negoziazione
C Nullo
D Reprimere le emozioni
6 Cognizione e negoziazione
A Anticipare negativamente il futuro
C Considerare una singola esperienza come la base per una teoria generale
La catastrofizzazione porta a:
7 Cognizione e negoziazione
D Capacità riflessive
65.
Prossemica
. Tutto avviene in modo inconsapevole, spontaneo, veloce e fluido. Ciò nonostante, nelle relazioni di
tutti i giorni le distanze che stabiliamo sono un preciso indice della nostra situazione sociale, del nostro
sesso, del tipo di rapporto che stiamo intrattenendo, del nostro disagio o della nostra soddisfazione,
ecc. La prossemica è quella branca della psicologia che studia i comportamenti spaziali, ovvero il modo
in cui ci collochiamo nello spazio e regoliamo le nostre distanze rispetto agli altri e all'ambiente.
a. Osservando la Figura 1, facendo attenzione all'organizzazione spaziale della triade di amici formata
da due ragazze e un ragazzo. Secondo i risultati dei nostri studi, quello che avviene comunemente in
questi casi è che il ragazzo si siede a lato delle due ragazze, alla loro destra o sinistra, e non al centro.
In questo modo sottolinea il fatto che è un maschio
Un discorso a parte, però, merita il livello di attrazione reciproca. Se fra una femmina e un maschio che
interagiscono c'è una reciproca attrazione, di solito fra i due si verifica anche un progressivo
avvicinamento. In alcune ricerche si è voluto vedere se questo sia dovuto prevalentemente alla
femmina, al maschio, oppure ad entrambi. Questi studi suggeriscono che in casi del genere la riduzione
della distanza è da attribuire ad una strategia di avvicinamento messa in atto principalmente dalla
femmina. In coppie di amici dello stesso sesso si registra un altro fenomeno interessante. Mentre nelle
femmine la vicinanza è proporzionale al grado di attrazione reciproca, ovvero più ci si piace, più si sta
vicine, nel caso dei maschi il grado di amicizia non lo si può misurare con la distanza.
Volete un sistema affidabile per misurare l'affiatamento in una coppia di coniugi? Secondo i risultati
della ricerca di Grane, Russell e Griffin (1983), la distanza con cui la coppia sta seduta nella propria
casa e la sistemazione dei posti intorno al tavolo di cucina costituiscono ottimi "termometri"
dell'andamento della relazione. In coniugi prossimi al divorzio le distanze aumentano e più si
mantengono elevate nel corso del tempo, minori saranno le possibilità di riconciliazione. Anche la
distanza che tengono i figli nei confronti dei genitori è un'altra "cartina di tornasole" che ci può indicare
se i rapporti sono sereni o turbolenti.
La regolazione della distanza Le distanze personali tendono ad aumentare in funzione dell'età, a partire
dai cinque anni circa. Al di sotto di questa soglia temporale, infatti, non è individuabile un vero e proprio
spazio personale
Un momento cruciale è poi segnato dal raggiungimento della maturità sessuale. A questo punto, per i
maschi in particolare, le distanze aumentano, sia nel senso che nei rapporti con gli altri tendono a
tenersi a maggiore distanza, sia nel senso che gli adulti, nei loro confronti, non tollerano più invasioni
del proprio spazio personale. Non tutti, comunque, manteniamo le stesse distanze a parità d'età e di
sesso. Le ricerche hanno dimostrato che anche i fattori di personalità giocano un ruolo importante.
Individui ansiosi o introversi, ad esempio, mantengono distanze personali maggiori.
Se ci si avvicina in modo inappropriato alle persone, queste percepiscono un'invasione del loro spazio
personale che spesso si traduce in un vissuto di stress, d'irritazione o d'inimicizia. È come se fossero
messe sotto pressione. In un celebre esperimento di Felipe e Sommer condotto negli anni Sessanta, un
collaboratore dello sperimentatore cercava, in un parco, panchine occupate da una sola persona e si
poneva a sedere al loro fianco a circa 15 centimetri di distanza. Ciò non è appropriato, perché quando
ci sediamo in una panchina già occupata sappiamo di doverci sistemare il più lontano possibile da chi vi
è già seduto. Risultato: dopo un minuto dall'invasione, il 20% dei soggetti aveva lasciato la panchina
per il disagio, mentre dopo 20 minuti se ne era andato il 65%, contro il 35%> in una situazione di
controllo, in cui nessuno si sedeva accanto
La prossemica è:
1 La prossemica
A La disciplina che studia la gestione dello spazio e delle distanze nella comunicazione
2 La prossemica
A In modo consapevole
B In modo inconsapevole
C Entrambe le precedenti
3 La prossemica
A Al centro
B Di lato
C Resta in piedi
Secondo uno studio di Grane, Russel e Griffin, la distanza tra i membri di una coppia
indica:
4 La prossemica
B La cultura di appartenenza
C L'età dei coniugi
Rispetto alle differenze di genere tra coppie di amici dello stesso sesso è stato
osservato:
5 La prossemica
6 La prossemica
7 La prossemica
8 La prossemica
A Urlano
B Diventano aggressive
9 La prossemica
10 La prossemica
A Non si avvicinano
66.
L’amore nella società contemporanea.
Oltre gli aspetti psicologici della relazione sentimentale, che saranno illustrati più specificatamente nei
capitoli successivi, sembra utile e necessario considerare anche un aspetto "macro" costituito
dall'influenza che la nostra attuale epoca storica esercita sulle dinamiche umane e relazionali e che ha
contribuito a indebolire i legami sentimentali. L'amore è condizionato anche dalle trasformazioni sociali
che sono avvenute nel corso degli anni. Gli anni Sessanta, anni di rivoluzione culturale, hanno dato vita a
un nuovo sistema di valori incentrato sulla libertà individuale, la realizzazione personale, l'appagamento di
sé, la tolleranza verso il comportamento altrui, e sul rifiuto del controllo sociale della comunità locale e
delle istituzioni politiche e religiose. In seguito all'affermarsi di questi nuovi valori - che possono essere
sintetizzati dal termine "individualizzazione" (Beck, 2000) - l
Antony Giddens, già nel 1995 ne Le trasformazioni dell'intimità, scriveva che l'amore romantico ha
lasciato il posto all'amore da lui definito convergente o sessualità duttile, cioè un amore svincolato dal
matrimonio. Venendo meno quella coincidenza tra sessualità, amore e procreazione, la sessualità è
duttile proprio perché è libera dai vincoli della riproduzione.
Forse è proprio l'aver Un altro aspetto dell'amore romantico è che esso presupponeva una forte
asimmetria nella coppia e una soggezione domestica delle donne. Quella che sembra delinearsi oggi è la
possibilità di una relazione pura basata sulla parità sessuale. L'emancipazione femminile ha aperto spazi
verso nuove modalità di stare insieme e l'amore convergente diventa all'interno della relazione pura un
dare e avere reciproco, nel senso che entrambi traggono benefici da "ritenere che valga la pena
continuare" (Giddens 1995)posto l'amore al centro del matrimonio uno dei fattori che hanno reso più
fragile di un tempo l'amore coniugale. Infatti, nelle società tradizionali i sentimenti degli individui erano del
tutto irrilevanti, esisteva un'alleanza tra famiglie, i cosiddetti "matrimoni combinati", pertanto la stabilità
matrimoniale era garantita appunto da interessi economici o di potere che stavano alla base di tale
alleanza
Come la sociologa israeliana Eva Illouz, che nel suo saggio intitolato
Perché l'amore fa soffrire (2013) descrive che una delle difficoltà di
approcciare all'amore sta soprattutto nella fobia da impegno, la paura
di perdere la libertà, di perdere la possibilità di ricercare nuovi e
migliori possibilità
In tale panorama sociale, il legame affettivo è temuto non solo per la paura di perdere la
propria libertà. L'individualismo ha provocato una certa paura dell'amore legata alla paura di
soffrire. A causa di questi timori e fobie si è andata configurando nel corso degli anni una
nuova tipologia caratteriale definita da Ghezzani (2012)
"anoressia sentimentale" cioè inibizione o rifiuto del desiderio di contrarre relazioni amorose,
della cui intensità esclusività e durata si ha paura, odio o anche ripugnanza. L'autore individua
due tipologie di caratteri: il dipendente affettivo che non vuole diventare schiavo dell'amore,
dipendendo dalla volontà della persona amata confrontandosi con la vergogna di essere stato
sopraffatto; il narcisista isterico che teme che la consapevolezza dei propri eventuali bisogni
insoddisfatti (carenze di accudimento e di amore, frustrazioni dei propri desideri, occasioni che
negate) spinga alla ribellione, al cambiamento traumatico della propria vita e del proprio
mondo, col rischio di doversi confrontare con l'orrore della colpa, del disordine, del caos
(Ghezzani, 2012).
L'individualizzazione ha condotto anche a ciò che gli autori Beck e Beck-Gernsheim chiamano
appunto "caos delle relazioni amorose" (Beck, Beck-Gernsheim, 2008), un'espressione
perfettamente calzante e condivisa anche da altri autori (Illouz, 2013), proprio perché l'amore è
diventato un ambito nel quale non c'è più alcuna regola, dove tutto è in qualche modo
rinegoziabile, ri-giocabile, sospeso e ripreso
Volendo fare un paragone rispetto alle società tradizionali vediamo come le relazioni amorose
sono diventate sempre più "caotiche". Innanzitutto sembra esserci nella società
contemporanea una mancata chiarezza e condivisione dei codici dell'incontro amoroso che
erano, invece, presenti nella società tradizionale.
1 La famiglia mutevole
A Sul guadagno economico
C Sulla religione
2 La famiglia mutevole
A Cooperazione
B Individualizzazione
C Agonismo
D Edonismo
A Solo psicologici
D Da imposizioni esterne
Tra le trasformazioni sociali che hanno modificato le relazioni intime
troviamo:
A Cambiamenti economici
B Non si differenziano
C L'assenza di regole
D La presenza di regole
A I vincoli religiosi
A Aquilar
B Bauman
C Eva Illouz
D Ghezzani
9 L'"anoressia sentimentale" è:
Alla ricerca dell'amore impossibile
1
0 Alla ricerca dell'amore impossibile
A La società contemporanea
D Il desiderio di intimità
67.
Skinner: condizionamento operante, rinforzo positivo , negativo, punizione + o - . senso matematico dei
termini. Funziona più efficacemente il rinforzo positivo, frequenza intermittente
Shaping
Mi basta che sia chiaro il concetto “shaping” come "rinforzo di approssimazioni processive”. E vorrei
fosse
chiaro anche che il "non premiare", quando il cane se lo aspetterebbe (perché in uno step precedente
è stato premiato), ovvero l'ignorare, qui diventa una punizione negativa: ti nego (sottraggo, segno - )
il premio perché non voglio "più" che tu faccia così (saltare il nulla), ma voglia spingerti a fare cosà
(saltare l'ostacolo). Ovviamente questo tipo di punizione non è assolutamente coercitiva, perché non
si obbliga il cane a fare assolutamente nulla:
A Skinner
B Pavlov
C Thorndike
D Watson
A Condizionamento classico
B Condizionamento operante
D Rinforzo intermittente
! I meccanismi alla base del processo di Condizionamento Operante si
fondano su:
C Punizioni
D Rinforzi
4 Rinforzi e punizioni
5 Rinforzi e punizioni
6 Rinforzi e punizioni
A I rinforzi
B Le punizioni
C I rinforzi positivi
D Le punizioni positive
Per essere più efficaci, i rinforzi dovrebbero essere:
7 Rinforzi e punizioni
A Continui
B Intermittenti
C Punizioni
D Rinforzi negativi
10 Rinforzi e punizioni
A Morale
B Matematico
C Strategico
D Pragmatico
68.
Tecniche di negoziazione
Ricalco e guida “Ricalcare” significa, dopo aver individuato con la calibrazione le modalità espressive
dell’interlocutore, riproporre a questo tali modalità, creando così una sensazione di confidenza, di
identità di vedute e comportamento. In altri termini, significa “entrare in risonanza” con l’interlocutore. E’
questa la premessa necessaria per giungere allo scopo delle tecniche di calibrazione e ricalco: la
guida. Si definisce “guida” la tecnica che permette, attraverso una “sovrapposizione di mappe” –
ottenuta tramite sintonia e ricalco – di portare l’interlocutore a seguirci verso il nostro obiettivo.
Ricalco formale: questo tipo di ricalco può essere definito anche rispecchiamento o mirroring, in quanto
si riferisce alla forma della comunicazione. Esso corrisponde alla riproduzione della fisiologia, degli
atteggiamenti corporei e delle posture dell’interlocutore
Ricalco paraverbale: consiste nell’adottare uno stile di conversazione simile, con il medesimo tono di
voce, ritmo di parola, volume, ecc.
Ricalco emotivo: utilizzare tale ricalco significa cercare di vivere e manifestare le emozioni vissute
dall’altro, intanto che racconta un fatto, un’esperienza o una sensazione.
Ricalco culturale: mira invece ad adeguarsi al registro (stile e livello di discorso) dell’interlocutore. Esso
prevede l’utilizzo di particolari terminologie, stili espositivi e argomentazioni specifici della persona.
Ricalco nel contatto visivo: quando parliamo direttamente a qualcuno ci manteniamo quasi sempre in
contatto visivo, incrociando brevemente e di frequente il suo sguardo
Ricalco della distanza: molte persone si sono trovate almeno una volta nell’imbarazzo di ristabilire la
propria distanza soggettiva di comfort rispetto a un interlocutore che continua ad avvicinarsi e che
evidentemente ha una soglia diversa di disagio. Tale soglia dipende da fattori culturali e da fattori
soggettivi.
Il contatto in positivo
Il contatto deve avere, come già detto, una connotazione positiva sin dal suo inizio. Ciò significa
tentare ottenere dall’interlocutore almeno un segno di acquiescenza ed evitare di sentirsi opporre un no
alla sua iniziativa. Nel caso di un venditore con il suo cliente, ad esempio, non conviene farsi avanti con
il classico: “Le posso essere utile?”. Ci si sentirebbe rispondere di no in un caso su due. Lo stesso vale
per la variante: “In che cosa la posso servire?”. Il cliente che desidera solo guardarsi intorno può
rispondere ancora di no, o accennare con il capo, o fare finta di non avere udito: il senso resta sempre
lo stesso, quello del diniego. Altro è se il venditore afferma: “Guardi pure con comodo quello che le
interessa”. Egli pone con ciò stesso il cliente nella situazione che la sua frase descrive, anche se questi
rispondesse: “Ho poco tempo e cerco un oggetto preciso”.
La guida
1. Test: dopo aver effettuato il ricalco (di qualsiasi tipo) effettuate un piccolo cambiamento, per esempio
tirandovi leggermente su con il busto, oppure spostate un poco la gamba accavallata, oppure vi
schiarite la voce e osservate cosa accade
2. Apertura: immaginate che la persona con la quale state parlando abbia assunto la famosa posizione
di chiusura che tanto preoccupa i venditori. Ricorderete che suggerivamo di assumere la stessa
posizione. A questo punto cominciate a cambiare. Spostatevi in modo quasi impercettibile in avanti,
lasciate le gambe incrociate ma aprite le braccia,
presupposti della comunicazione “Persuadere”, “influenzare”, “sedurre”, “guidare” sono tutte parole che
presuppongono una interazione con gli altri, una comunicazione; viene infatti spontaneo domandarsi
chi o che cosa persuadere, influenzare, sedurre o guidare. Questo significa che la comunicazione
esiste in quanto relazione. La parola “comunicazione”, nell’uso comune, è soggetta a innumerevoli
interpretazioni e significati, ma una cosa è certa: essa è il mezzo a nostra disposizione per rapportarci
al mondo che ci circonda!
La comunicazione implica una relazione La bidirezionalità implica, effettivamente, una relazione tra due termini.
Tale relazione si può stabilire a tre diversi livelli: → rapporto uno-a-uno; → rapporto uno-a-molti; → rapporto
interiore
5 Assiomi, focus su
Terzo assioma: la punteggiatura della sequenza di eventi L’interazione tra due persone che
comunicano è, di fatto, una sequenza di scambi. Possiamo immaginare che la comunicazione tra il
soggetto A e il soggetto B sia più o meno rappresentabile così: In realtà, però, ogni risposta di B
condiziona lo stimolo di A; ovvero: Sembra che sia sempre A a fornire lo stimolo con i successivi
rinforzi, e sempre B a fornire le risposte. In realtà, i punti di vista si possono “ribaltare”, considerando
che ogni risposta di B può anche essere uno stimolo per A. Questo è il feedback che gli interlocutori si
danno reciprocamente nel contesto della situazione comunicazionale. Nel darsi i feedback, essi
costruiscono involontariamente un gioco di ruolo. In una conversazione, infatti, capita spesso che il
ruolo preponderante venga assunto talvolta dall’individuo A, talvolta dall’individuo B, a seconda dei
momenti. Si dice, allora, che la punteggiatura degli eventi cambia:
! Il ricalco formale è:
1 Le tipologie di ricalco
A Un ricalco verbale
2 Il ricalco visivo è:
Le tipologie di ricalco
A Un ricalco verbale
D Fonte di disagio
! La comunicazione è:
A Sempre unidirezionale
B Sempre bidirezionale
4 ! L'informazione è:
Lo studio della comunicazione
A Sempre bidirezionale
B Sempre unidirezionale
La comunicazione:
8 Le tipologie di ricalco
D Finto
! La guida:
9 La guida
B Prevede l'uso di aspetti sia verbali che non verbali della comunicazione
10 Le tipologie di ricalco
B Evitare le emozioni
C Cercare di vivere e manifestare le emozioni dell'interlocutore
68.
Il processo di percezione di mente è stato chiamato mentalizzazione (Frith & Frith, 2003). La
mentalizzazione consiste nell’inferire l’esistenza di stati mentali ed eventi interni sulla base di indici
esteriori o di una simulazione dell’esperienza dell’altro. La percezione di mente varia lungo un
continuum. Ad un estremo, gli individui falliscono nel riconoscere nell’altro intenzioni, cognizioni, ed
emozioni; questa tendenza viene chiamata dai ricercatori “dementalizzazione.” All’estremo opposto del
continuum, gli individui riconoscono pienamente gli stati mentali degli attori sociali, ciò che viene
chiamato “mentalizzazione.
primo meccanismo per conoscere la mente dell’altro sembra essere una simulazione egocentrica.
Come diceva Piaget (1932/2009), i bambini fino ai cinque anni non sono consapevoli che le percezioni
degli altri siano diverse dalle proprie; difficilmente un bambino comprende che la visione di un oggetto
possa essere diversa dalla propria, ad esempio per una persona che vede lo stesso oggetto da una
posizione diversa (Flavell, 1986). Gli adulti mantengono questa prospettiva egocentrica come punto di
partenza nei giudizi sociali. Durante lo sviluppo apprendono una serie di informazioni sociali sugli altri o
su gruppi di altri: stereotipi, aspettative, e teorie ingenue su come funzioni la mente forniscono il
secondo meccanismo per intuire gli stati mentali degli altri
Inoltre, le persone che vivono in culture che enfatizzano la prospettiva dell’altro (cioè, le culture
collettivistiche) sono più abili a superare il default egocentrico, rispetto alle persone che vivono in
culture che enfatizzano il sé (cioè, le culture individualistiche) (Wu & Keysar, 2007)
Forse non vi sorprenderò dicendovi che troviamo più facile considerare la mente delle persone che ci
piacciono (McPherson-Frantz & Janoff-Bulman, 2000). Ciò può derivare sia da un effetto di familiarità
sia da attribuzioni positive (Malle & Pearce, 2001): in ogni caso, siamo più motivati a credere che le
persone che ci piacciono abbiano maggiori capacità mentali.
il fallimento nel percepire la mente può portare alla negazione di umanità, un fenomeno ben descritto
dai tragici eventi, quali i genocidi, che hanno caratterizzato la storia dell’umanità.
Agency ed experience
I partecipanti valutavano le capacità mentali (ad es., la capacità di provare dolore) di diversi target
(esseri umani, animali, e altre entità). Dall’analisi dei dati sono emerse due dimensioni di percezione di
mente: la capacità di sentire, chiamata “experience” (ad es., dolore e piacere), e la capacità di fare,
pianificare, chiamata “agency” (ad es., autocontrollo e pianificazione). È emerso, ad esempio, che Dio
viene giudicato basso in experience e alto in agency; animali e bambini alti in experience e bassi in
agency; un robot basso in experience e moderatamente alto in agency; infine, uomini, donne, e il
partecipante stesso (“you”) alti sia in experience che in agency. Questa distinzione tra agency e
experience sembra rispecchiare dimensioni di giudizio già note nelle scienze sociali. Si pensi alla
classica distinzione aristotelica tra agente morale (le cui azioni possono essere giudicate moralmente)
e paziente morale (che ha diritti morali). Nel giudizio sociale (Fiske, Cuddy, Glick, & Xu, 2002), si
utilizzano le due dimensioni fondamentali: calore (simile a experience) e competenza (simile a agency)
La negazione di tratti tipicamente umani porta ad una deumanizzazione meccanicistica (ad es., un
manager viene assimilato ad un robot), mentre la negazione di tratti unicamente umani porta ad una
deumanizzazione animalistica (ad es., un artista viene assimilato ad un animale). Si può dire lo stesso
per agency e experience? Sebbene queste due dimensioni di percezione di mente si siano rivelate utili
nelle scienze cognitive e sociali (Waytz et al., 2010), l’attribuzione di agency e experience ai gruppi
sociali rimane un tema inesplorato (ma vedi: Waytz & Young, 2012). Attualmente, stiamo conducendo
nei nostri laboratori una serie di studi per esaminare come le persone percepiscano la mente di diversi
gruppi sociali, e se l’appartenenza ad un gruppo possa moderare l’attribuzione di agency e experience
ad ingroup e outgroup.
1 Mentalizzazione
A Mentalizzazione
B Cognizione
C Intuizione
D Percezione
La mentalizzazione consiste:
2 Mentalizzazione
3 Mentalizzazione
B Risolvere problemi
4 Mentalizzazione
5 Mentalizzazione
A L'esperienza
C L'osservazione
D La percezione
6 Mentalizzazione
B È innata
C Dai 3 anni
D Dopo i 5 anni
C Una errata comprensione della mente degli individui appartenenti al proprio ingroup
9 Agency ed experience
A Mentalizzazione e dementalizzazione
B Percezione ed intuizione
C Calore e competenza
D Experience ed agency
10 Agency ed experience
A L'esperienza
B La capacità di essere
C La capacità di fare
D La capacità di sentire
70.
iteri e metodo di ricerca La procedura seguita per la presente rassegna si è ispirata alle indicazioni di
Braun e Clarke (2006) e Wilson, Gosling e Graham (2012). In particolare, seguendo questi autori, si è
proceduto inizialmente all’etichettatura degli articoli sulla base dell’argomento principale (Facebook);
successivamente tali articoli sono stati raggruppati nelle aree tematiche associate alle domande di
ricerca. Tale attività ha così permesso di sistematizzare il lavoro. Per la ricerca degli articoli da
analizzare sono stati scelti tre fra i principali database specializzati: SCOPUS (http://www.scopus.com),
Web of Knowledge di Thomson Reuter (http://wokinfo.com) e ERIC (http://eric.ed.gov). […]
Ricerca e prima selezione La ricerca ha prodotto un totale di 2.823 articoli, di cui 992 su Scopus, 1627
su WOK e 204 su ERIC. La lettura degli abstract ha condotto all’esclusione di gran parte degli studi in
quanto non pertinenti. Dopo questo ulteriore passaggio gli articoli ritenuti validi ai fini della
rassegna sono risultati 113. […] Gli articoli sono stati etichettati e classificati secondo le 5 aree di
ricerca: motivazioni psicologiche e sociologiche ed effetti associati self-presentation ruolo di
Facebook nelle relazioni degli adolescenti emozioni, sentimenti e stati d’animo su Facebook e nei
Social Network empatia su Facebook e nei Social Network.
] Le aree di ricerca più indagate risultano essere le motivazioni psicologiche e sociologiche e gli effetti
associati e la self-presentation. […]
Nella letteratura presa in esame si riscontrano tre modalità principali per il campionamento:
reclutamento in istituzione (gli adolescenti venivano invitati a partecipare alle ricerche direttamente a
scuola all’interno del College o dell’Università), reclutamento tramite web e, infine, reclutamento a
“valanga”
Nel loro studio sull’empatia nel mondo reale e nella realtà virtuale, Feng et al. (2004) hanno
osservato in tempo reale le conversazioni dei soggetti tramite un software di instant messaging e si
sono soffermati sulla relazione tra accuratezza empatica, il tipo di risposta conseguente e la
fiducia presente tra i soggetti stessi. L’altro metodo utilizzato per analizzare l’empatia virtuale è
quello di Lo (2008), che ha valutato il potenziale rappresentato dalle emoticon all’interno di
conversazioni digitali e se queste potessero effettivamente costituire una sorta di linguaggio non
verbale
Gli studi che hanno preso in esame il particolare costrutto dell’autopresentazione sono
caratterizzati dall’utilizzo di alcune misure specifiche del contesto Facebook: ad esempio, Van Der
Heide et al. (2012) si sono soffermati sulla quantità e sul tipo di foto che gli utenti inserivano nei
propri profili e li hanno confrontati con gli elementi testuali presenti all’interno degli stessi profili
(aggiornamenti di stato e commenti). Allo stesso modo, Peluchette et al. (2010) hanno considerato
contenuti potenzialmente problematici. LRecentemente Nadkarni e Hofmann (2012) nella loro rassegna
hanno identificato un
condividere informazioni private con i loro amici di Facebook, rispetto agli utenti che appartengono
a culture collettivistiche. Gli autori ritengono quindi che, ancor prima della personalità, sia
l’estrazione culturale a giocare un ruolo sulla quantità e sulla qualità delle informazioni che vanno a
costrutto autopresentazione,
Costrutti psicosociali indagati Dopo avere analizzato la metodologia utilizzata nella letteratura
esaminata, si è proceduto all’analisi dei risultati ottenuti dagli studi e dai principali costrutti che sono
stati presi in considerazione. Motivazioni psicologiche e sociologiche ed effetti associati In linea
generale, le motivazioni che spingono gli adolescenti a utilizzare Facebook sono riscontrabili nel
bisogno di accettazione e di supporto da parte dei pari e di mantenere ed estendere la propria rete
sociale
Ryan e Xenos (2011) ipotizzano che Facebook gratifichi i suoi utenti secondo caratteristiche specifiche.
In particolare individui nevrotici o solitari spendono un tempo di gran lunga maggiore su Facebook
rispetto agli individui maggiormente estroversi. Mehdizadeh (2010) ha riscontrato che chi ha un tratto
narcisistico forte è più probabile che acceda un numero di volte maggiore a Facebook durante la
giornata rispetto a chi ha valori più deboli in questo costrutto.
hanno messo a confronto il tratto narcisistico con alcune abitudini riscontrabili su Facebook, come l’uso
del pronome personale negli aggiornamenti di stato, il numero di foto e il numero di amici. Questo
studio prevedeva anche un’analisi del linguaggio utilizzato dai soggetti nel descrivere profili di
personalità diverse dalla propria e per evidenziare il ruolo che il narcisismo gioca nella comunicazione
virtuale. I risultati di questi autori mostrano una correlazione positiva tra il tratto narcisistico e l’uso del
pronome personale nell’aggiornamento di stato, il numero di foto e il numero di amic
!! Per la ricerca degli articoli da analizzare sono stati scelti tre database specializzati:
A 145
B 124
C 100
D 113
A Le interazioni virtuali
B L'empatia virtuale
C L'autopresentazione virtuale
71. Fiducia
Libertà
Niklas Luhmann (2000) considerava la fiducia come un “riskante Vorleistung”, o un pagamento
anticipato rischioso. Egli distinse la fiducia dalla speranza, un sentimento che nasce quando una
persona non ha alcuna possibilità di evitare un comportamento rischioso. Fidarsi non significa
semplicemente calcolare il potenziale valore di un’interazione e agire di conseguenza. La ragione
per cui la fiducia è un problema è che stimare la probabilità di un tradimento da parte di un’altra
persona è difficile, e la causa di questa difficoltà è la libertà.
Potere
1 La fiducia è:
Libertà
D Libertà
2 Libertà
A È sempre prevedibile
B È prevedibile solo entro determinati limiti
3 Libertà
4 Libertà
! Fiducia e potere:
6 Potere
C Si escludono
D S'intrecciano
7 Il gioco
8 Oltre l'equilibrio
A Uno
B Due
C Tre
D Quattro
1
0 Aumentare la fiducia
A Fiducia nell'altro
B Mettersi nei panni dell'altro
Perdono
In che cosa consiste il perdono autentico? Come distinguerlo da forme di pseudo-perdono? Gli
psicologi concordano nel ritenere che, contrariamente a quanto si possa pensare, perdonare non
significhi dimenticare, sminuire, giustificare o scusare l’accaduto, né abdicare al diritto di ottenere
giustizia, né riconciliarsi (Fincham, 2009). Innanzitutto il perdono comporta, nel momento in cui viene
accordato, il ricordo dell’accaduto e della sua gravità e, successivamente alla sua concessione, non ne
implica l’oblio. Non è del resto possibile dimenticare a comando, né sarebbe adattivo farlo, ma solo
accantonare temporaneamente i ricordi indesiderati impegnandosi in attività distraenti, come quando
andiamo al cinema con gli amici per non pensare al litigio furioso avuto con il nostro partner (Wegner,
1989)
Anche laddove una riconciliazione sia opportuna, non è inoltre detto che riesca di fatto ad avere luogo.
Fare pace è per molti versi più complesso che perdonare. Mentre il perdono può essere un atto
unilaterale e incondizionato, la riconciliazione presuppone l’impegno e gli sforzi congiunti di entrambe le
persone coinvolte, non solo della vittima che perdona, ma anche dell’offensore, che deve assumersi le
proprie responsabilità e offrire rassicurazioni circa la propria moralità e le proprie intenzioni future
(“Molte riconciliazioni promettenti falliscono perché entrambe le parti arrivano preparate a perdonare,
ma non ad essere perdonate” asseriva con acume lo scrittore inglese Charles Williams).
Che cosa è il perdono Oltre a definirlo per negazione, evidenziandone i tratti che lo distinguono dalle
dinamiche affini, gli psicologi ritengono che il perdono interpersonale possa essere connotato
positivamente come un processo prosociale (si veda glossario) attraverso il quale la vittima affronta
l’offesa subita riducendo progressivamente le sue reazioni negative a livello di pensieri, sentimenti,
motivazioni e/o comportamenti nei confronti di chi ne è stato l’autore per sostituirle con reazioni
positive.
In questo processo l’offensore viene percepito e considerato più come uno specifico individuo (Mario,
Susanna, Hussein) che non, come avviene invece nel caso del perdono intergruppi, come membro di
determinati gruppi sociali (interista, sindacalista, mussulmano). Concependolo in questi termini, la
vittima che perdona ridimensiona a poco a poco i giudizi di condanna ed i pensieri negativi su di lui,
supera il risentimento o la paura provati nei suoi riguardi, rinuncia ai propri intenti vendicativi o di fuga.
Non solo. A differenza di chi semplicemente si astiene dal vendicarsi o dall’evitare, colui che perdona
arriva anche a provare compassione per l’offensore, ad essere benevolo e generoso e, qualora a lui
legato da un rapporto stretto, a nutrire nuovamente affetto nei suoi riguardi
Se è davvero tale, il perdono comporta ripercussioni generalmente positive sia sulla salute psico-fisica
della vittima sia sul benessere delle relazioni in cui è coinvolta. Sono innumerevoli le testimonianze di
persone che, dopo aver accordato il perdono, si dicono rinate.
). Poiché la sua vita psichica cessa di essere monopolizzata dai vissuti legati all’offesa e dalla
sofferenza che ne è conseguita, la vittima che perdona è inoltre facilitata nel decentrarsi
cognitivamente, nello spostare la propria attenzione da sé agli altri, nell’essere maggiormente sollecita
ai loro bisogni e necessità, a beneficio delle relazioni sociali in cui è coinvolta.
). Ad una condizione però: analogamente alla vittima, anche colui che l’ha ferita deve dar prova di
tenere al rapporto, mostrandosi pentito, accondiscendente, e desistendo dal reiterare le proprie offese.
Se, al contrario, questi lo recepisce come una sorta di legittimazione a ferire nuovamente, il perdono
concesso in una relazione intima può rivelarsi per la vittima controproducente, portandola, come si
evince da ricerche longitudinali condotte su coppie sposate o convinventi, ad essere più insoddisfatta
della relazione e ad avere minor rispetto di sé.
maggiore benefici dalla concessione del perdono quando questo viene comunicato in modo diretto,
attraverso asserzioni verbali o segnali non verbali espliciti, che accrescano la percezione di
vicinanza ed intimità (per esempio abbracciando l’altro, sorridendogli o dicendogli “ti perdono”).
Al contrario il rapporto può risultare indebolito e venir percepito come meno soddisfacente quando
la manifestazione del perdono è accompagnata da clausole e condizioni (“ti perdonerò se…” ) che
possano apparire, agli occhi dell’offensore manipolatorie, indici di scarsa fiducia e lesive della
propria immagine personale (Waldron & Kelley, 2008). Se a ciò si aggiunge che, soprattutto
laddove non sia stato richiesto o corrisposto da atti analoghi di clemenza, il perdono tende ad
Intervenendo soprattutto sulle reazioni affettivo-cognitive della vittima è stato possibile delineare dei
protocolli di intervento efficaci nel promuovere il perdono per una specifica offesa sofferta. Tra i più noti,
si possono ricordare quello di Robert Enright (2001) e il modello piramidale di Everett Worthington
(1998). Il primo si articola in quattro fasi principali – riconoscere l’offesa subita e la rabbia provata,
decidere di perdonare, lavorare su di sé per raggiungere il perdono, approfondire il senso del perdono e
le sue conseguenze – ciascuna delle quali a propria volta composta da diverse unità di trattamento. Il
modello piramidale per raggiungere il perdono delinea invece un processo scandito da 5 tappe,
riassumibili nell’acrostico inglese REACH: ricordare (recall, R) l’offesa, identificarsi empaticamente
(empathy, E) con chi ha offeso, offrirgli altruisticamente (altruism, A) il dono del perdono, impegnarsi
(commit, C) a perdonare e tenere saldo (hold, H) il proprio proposito
Origini culturali
Una ricerca longitudinale condotta su triadi famigliari composte da padre, madre e figlio/a adolescente
ha, ad esempio, provato che più i genitori sono inclini a perdonare il proprio figlio/a più questi diventa a
distanza di un anno maggiormente propenso/a a perdonarli a propria volta (Maio, Thomas, Fincham, &
Carnelley , 2008). Non solo, da adulti le persone assomigliano più ai loro genitori nella propensione a
perdonare il coniuge che non al coniuge stesso (Paleari, Donato, Iafrate, & Regalia, 2009) e hanno
un’idea del perdono molto simile a quella dei genitori (Mullet, Riviere, & Munoz-Sastre, 2006). Studi
cross-culturali evidenziano inoltre che gli individui sono più inclini a concedere il perdono, tanto ai loro
cari che alle persone sconosciute, soprattutto se sono cresciuti in paesi collettivisti asiatici, africani e
latino-americani; meno se vengono educati in paesi individualisti nordamericani ed europei (
Fattori innati
i. Gli studi etnografici indicano che il perdono è un fenomeno sociale riscontrabile in ben il 93% delle
culture, ove viene considerato uno strumento appropriato per risolvere offese e conflitti verificatesi tra
coniugi, tra genitori e figli, tra vicini e comunità in lotta. Qualcosa di simile al perdono sembra del resto
occorrere persino tra i nostri parenti più stretti, le scimmie e i primati, inclini ad esibire comportamenti
conciliatori nei confronti di coloro coi quali hanno forti legami affiliativi (Aureli, van Schaik, & van Hoof,
1989; Cords & Thurnheer, 1993). Questi dati non solo avvalorano l’ipotesi di una componente innata,
oltre che appresa, del perdono, ma ancora una volta testimoniano la valenza adattiva del processo. Il
bisogno di affiliazione ci spinge ad aprirci e affidarci agli altri, esponendoci però a ferite anche profonde,
un po’ come i porcospini di Schopenhauer che, per difendersi dal freddo di una gelida giornata
d’inverno, si avvicinano tanto gli uni agli altri da pungersi dolorosamente coi loro aculei
1 Premessa
2 Premessa
Perdonare significa:
4 Cosa è il perdono
A Negative sia sulla salute psico-fisica della vittima sia sul benessere delle
relazioni in cui è coinvolta
B Positive sia sulla salute psico-fisica della vittima sia sul benessere delle
relazioni in cui è coinvolta
A Compassione e riconciliazione
! La tendenza al perdono è:
B Innata
C Appresa
D Paesi asiatici
A Non è fondamentale