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ROSA CERA
Introduzione
Gioco e apprendimento sono due concetti intrecciati tra loro; il gioco è fonte inesauribile di
apprendimento soprattutto in età infantile, ma la dimensione ludica non appartiene solo all’età
infantile, bensì anche a quella adulta. Studiosi come Montessori, Rosa Agazzi e Dewey hanno
sottolineato la capacità del bambino di apprendere attraverso il gioco, le esperienze e il “fare” che
contribuiscono a svilupparne la creatività. La Montessori ha proposto una scuola a misura di
bambino, dove tutto doveva essere maneggiato e spostato liberamente dal bambino; l’Agazzi
sosteneva che il materiale didattico dovesse essere un insieme di “cianfrusaglie” di cui i bambini si
servivano per allestire un “museo”; Dewey ritiene che la scuola debba porre l’attenzione su quattro
interessi fondamentali:
- La conversazione e la comunicazione;
- L’indagine o la scoperta delle cose;
- La fabbricazione o la costruzione delle cose.
La creatività viene considerata come un qualcosa che non può essere appesa ma che può essere
sicuramente incoraggiata e stimolata attraverso l’utilizzazione di adeguate metodologie didattiche
ludiche e cooperative. Le tre parole chiavi sono apprendimento, gioco e animazione. Il primo
capitolo mette in luce i modelli teorici dell’apprendimento e approfondisce concetti come la
metacognizione, intesa come conoscenza e controllo del proprio funzionamento cognitivo e di
quello degli altri. Il secondo capitolo illustra le problematiche dell’apprendimento in età infantile
sottolineando il rapporto tra creatività e apprendimento. Dal punto di vista didattico, sono state
individuate alcune metodologie adatte per stimolare lo sviluppo delle abilità creative come il
“problem solving” e il “brainstorming”. Il terzo capitolo argomenta le teorie sul gioco, illustra la
storia e il concetto di gioco. È indispensabile qui far riferimento a Freobel secondo cui il gioco
favorisce lo sviluppo del bambino, aiutandolo a capire come relazionarsi con gli altri, nonché i
giocattoli, definiti “doni”, che aiutano il bambino a scoprire le diverse forme generali dell’universo.
Il quarto capitolo verte sul concetto di animazione, considerata come attività in grado di favorire
trasformazioni nel soggetto, di sviluppare le capacità di riflettere su se stesso al fine di acquisire
maggiore consapevolezza di sé. Il quinto capitolo approfondisce le tematiche relative alle tecniche
di animazione: il metodo autobiografico, il metodo dell’alterità, quello collaborativo. Le tecniche
ludiche analizzate sono: i giochi di cooperazione, i giochi di comunicazione, il brainstorming, le
tecniche di drammatizzazione tra cui il teatro di burattini, teatro dell’ombra e teatro dell’oppresso.
Le correnti di pensiero, in campo psicologico, che hanno studiato i processi di apprendimento sono:
- Il comportamentismo
- Il cognitivismo
- Il post cognitivismo: costruttivismo, contestualismo e culturalismo.
La SCIENZA COGNITIVA sceglie come proprio oggetto di studio il funzionamento dei processi
mentali che sono in stretto rapporto con l’apprendimento, lo determinano e lo influenzano. I
cognitivisti ritengono che la comprensione del funzionamento dei processi d’apprendimento
dipenda molto dallo studio delle attività cognitive che consentono di ricevere e trasmettere
informazioni.
2. La metacognizione
Il concetto di metacognizione nasce in ambito cognitivista nei primi anni settanta. Flavell e Brown
hanno elaborato le due definizioni più emblematiche del concetto di metacognizione.
PRIMA il soggetto ricorre alla funzione di PIANIFICAZIONE che consiste nell’immaginare come
procedere per risolvere un problema; DURANTE il soggetto si dedica alla funzione del
RAGIONAMENTO, cioè riflette sulla modificazione delle strategie; DOPO il soggetto svolge le
funzioni di CONTROLLO, di TRANSFER, di GENERALIZZAZIONE, di MANTENIMENTO.
Le attività metacognitve pongono il soggetto che apprende in una situazione che DEMETRIO
chiama “bi-locazione cognitiva” che consiste nelle capacità di assumere un’adeguata distanza dalle
situazioni che il soggetto vive in prima persona, in modo da poter descrivere se stessi e la situazione
vissuta nel modo più oggettivo possibile. La pratica della bi-locazione cognitiva consente di pensare
e di riflettere sulle modalità e sulle peculiarità del proprio apprendere. La didattica costruttivista
tende a promuovere percorsi di costruzione di consapevolezza metacognitiva e di conoscenza di sé.
Il discente conquista e acquista gli attrezzi necessari per conoscere e gestire i propri comportamenti
di apprendimento. Significa concedere lo spazio temporale e mentale per ragionare sul come e non
solo sul cosa, sul processo e non solo sul prodotto. Ciò contribuisce a far acquisire maggiore
consapevolezza nelle proprie capacità. Il soggetto, in grado di apprendere, è colui che sa utilizzare
le strategie efficaci nell’acquisizione e nella memorizzazione delle conoscenze. Sono e attività
L’acquisizione e l’organizzazione logica delle conoscenze implica che i concetti più generali
includano quelli più specifici. In questo modo il soggetto riesce a dare una struttura reticolare e
complessa al primo sapere in cui confluiscono i pensieri, i sentimento e le azioni. Secondo Novak
l’interazione di questi tre elementi viene definita “costruttivismo umano”.
DEWEY: ha sempre ritenuto essenziale intrecciare il momento teorico con quello pratico, in
modo tale che il fare diventasse fondamentale nei processi di apprendimento. Ha ribadito
l’importanza di porre al centro delle attività di apprendimento il soggetto con i propri
bisogni e le proprie iniziative e aspirazioni.
FREINET: riteneva fondamentale porre le capacità di auto organizzazione dell’individuo
alla base dei suoi studi pedagogici, promuovendo così una formazione aperta e basata
sull’autodirezione. L’esperienza e il lavoro in comune rappresentano i fondamenti della
pedagogia.
AUSBEL: ritiene che un apprendimento per essere significativo necessita della disponibilità
del soggetto di apprendere i contenuti di conoscenza in maniera significativa e non
meccanica.
VIGOTSKIANI: hanno sempre riconosciuto il ruolo della consapevolezza interiore del
soggetto nello sviluppo, nonché l’importanza della partecipazione ai discorsi sociali al fine
di favorire lo sviluppo della conoscenza.
PIAGET: ha ipotizzato un ruolo sempre più forte del soggetto che tende a costruirsi una
personale visione della realtà con la quale interagisce.
- Prima fase: elaborazione di un progetto d’azione che prevede l’integrazione tra le diverse
dimensioni del sé e la percezione della situazione da affrontare.
- Seconda fase: realizzazione del progetto d’azione
- Terza fase: procedimenti di riflessione al termine dell’azione.
Il senso di efficacia è in stretta relazione con alcune sottofunzioni dell’auto regolazione: stabilire
obiettivi, autovalutazione, automonitoraggio, pianificazione e gestione del tempo, uso di strategie. Il
senso di efficacia influenza anche le valutazioni delle proprie prestazioni. L’efficacia del soggetto
influenza anche la pianificazione e la gestione del tempo e l’utilizzazione di determinate strategie di
studio da parte degli studenti. Tanto più elevato è il senso di efficacia tanto maggiore sarà la sua
capacità di apprendere determinate strategie e di saperle utilizzare nei contesti appropriati. La
capacità di auto regolazione apprenditiva dipende anche dalle competenze metacognitive del
soggetto, il quale dovrebbe conoscere non solo il funzionamento del proprio processo cognitivo ma
anche le variabili del compito da affrontare.
Le teorie elaborate nel corso del ‘900 fino agli anni Cinquanta hanno messo in discussione un
vecchio modo di considerare l’istruzione come passiva e basata sulla memorizzazione meccanica di
concetti. In questo periodo sorgono le scuole nuove e un’educazione non più passiva ma attiva,
volta a considerare l’infanzia un’età pre-intellettuale e pre-morale. Con L’ATTIVISMO il fanciullo
diviene il protagonista assoluto del proprio processo di apprendimento, all’interno del quale
vengono valorizzati il “fare”, le attività manuali, il gioco e il lavoro. Tra i maggiori teorici
dell’attivismo troviamo:
Maria MONTESSORI, fondatrice della casa dei bambini nel 1907; con il suo metodo
Montessori cerca di studiare la natura del fanciullo, ponendo attenzione alle attività senso
motorie del bambino. Per la Montesori era essenziale porre il bambino nelle condizioni di
poter lavorare e muoversi liberamente all’interno di uno spazio scientifico e didattico.
Importante è il concetto di “mente assorbente” del fanciullo, una mente capace di assorbire e
assimilare tutto, il più delle volte in modo inconscio.
Rosa AGAZZI elaborò un metodo innovatore per la scuola dell’infanzia basato sul principio
della continuità tra il clima familiare e l’asilo. Le attività didattiche dovevano essere libere e
attive, dovevano svolgersi in un ambiente ordinato. La novità dell’Agazzi era il materiale
didattico che si basava su un insieme di “cianfrusaglie”, materiale di riciclo che i fanciulli
raccoglievano e portavano a scuola e con il quale si allestiva un museo.
John DEWEY: ispirandosi alla corrente del pensiero del pragmatismo ritiene essenziale
collegare i momenti della didattica teorica a quella pratica, alla didattica del “fare”
considerata come pilastro fondamentale dell’apprendimento. Secondo Dewey la vita del
bambino doveva essere posta al centro dell’interesse scolastico e dell’attività didattica. Egli
riteneva che il compito della scuola fosse quello di interessarsi a quattro punti fondamentali:
l’interesse per la conversazione, quello per l’indagine, quello per la fabbricazione delle cose
e quello per l’espressione artistica. Dewey considera il bambino un “soggetto sociale” i cui
interessi erano legati alla vita sociale. Sottolineò l’importanza di incentivare l’educazione
cognitiva attraverso un curriculum di studi che ponesse come base la scienza.
1.1. Psicologia e processi cognitivi
Grande contributo alla conoscenza del funzionamento dei processi cognitivi è stato offerto dalla
psicologia e in particolare dagli studi di PIAGET, VYGOTSKIJ e BRUNER.
La pedagogia, tenendo conto della teoria di Gardner, ha tratto alcune indicazioni. Infatti questa
teoria ha indotto la pedagogia a prendere atto della necessità di rafforzare quella che Baldacci
chiama istruzione individualizzata, poiché ogni fanciullo possiede non solo i propri ritmi e stili di
apprendimento, ma anche perché ognuno possiede abilità e potenzialità diverse.
Apprendimento e creatività sono molto correlate poiché lo sforzo creativo produce apprendimento.
TAYLOR: ha individuato diversi livelli di creatività, dal più facile al più complesso:
creatività espressiva (livello più basso, espressa in modo spontaneo e originale), creatività
produttiva (esercitare controllo sul gioco affinando le tecniche), creatività inventiva
(comprende abilità inventive), creatività innovativa (presente in pochi soggetti e si
Educare significa aiutare il bambino sin dai primi anni di vita ad acquisire coscienza della propria
creatività ponendolo nelle condizioni di svolgere attività sperimentali. Secondo il punto di vista
pedagogico la creatività non può essere appresa ma può comunque essere incoraggiata attraverso
adeguate letture e discussioni. Un modo per incoraggiare la creatività giunge dall’ “Emilio” di
Rousseau. Nel terzo libero Rousseau racconto della necessità di preparare Emilio al lavoro di
falegname inteso come lavoro basato sull’arte e l’abilità manuale e creativa. Per Rousseau le
conoscenze possono essere acquisite attraverso l’esperienza perché essa è fonte di verità. Rousseau
ritiene che sia solo attraverso l’esperienza che i fanciulli possano sviluppare la creatività e il
pensiero critico. L’errore rappresenta un valore didattico attraverso cui acquisire conoscenze. Rosa
Agazzi parla di ordine inteso come situazione finalizzato a guardare le situazioni con occhio
intelligente e a organizzare l’ambiente educativo; ordine inteso anche come processo, cioè attento
al modo in cui il bambino scandisce le esperienze da compiere nel corso della giornata scolastica.
Le potenzialità creative possono essere estrinsecate in ambiti disciplinari come quello della musica
e del linguaggio. Attraverso la musica il soggetto genera quella che Bruner definisce sorpresa
produttiva, intesa come l’inatteso che colpisce l’osservatore. Per Bruner sono le antinomie, passione
e decoro, dilazione e immediatezza, a dare forma a un prodotto originale. La musica, dal punto di
vista pedagogico, consente di sviluppare il pensiero creativo. La lingua a sua volta porta i segni
della creatività umana perché è la forma per mezzo della quale l’uomo organizza la comprensione
della realtà. È attraverso la lingua che ogni bambino impara a rappresentare la realtà. Musica, lingua
e gioco consentono ai bambini di esprimere le loro doti di fantasia e immaginazione.
soggetto esprime il proprio pensiero e si confronta con gli altri. Prima di acquisire la
capacità di soluzione del problema, il bambino sviluppa le competenze linguistiche e
comunicative attraverso il gioco.
3. Gioco e linguaggio
Le teorie di Piaget e Vygotskij hanno posto al centro dell’attenzione il rapporto tra pensiero e
linguaggio; successivamente, negli anni Settanta, si è affermata la teoria di Bruner e non si è più
parlato di competenza linguistica ma di quella comunicativa considerando il linguaggio come un
sistema inserito all’interno di specifici contesti di cui ne subisce l’influenza.
Vygotskij: non è d’accordo con Piaget poiché considera lo sviluppo del linguaggio come
autonomo dal pensiero ed ha una funzione comunicativa e si caratterizza per il suo aspetto
sociale. Per lui lo sviluppo del linguaggio segue un percorso inverso affondando le sue
radici nel contesto sociale. Il linguaggio egocentrico rappresenta uno stadio di transizione
nel passaggio dal linguaggio sociale a quello interiore. Fino ai 6 anni il bambino esprime le
prorpie operazioni mentali attraverso il linguaggio egocentrico.
4. Gioco e narrazione
4.1. La competenza narrativa
Alcuni studiosi hanno individuato 5 componenti che sono alla base di una storia:
- L’inizio formale
- L’evento iniziale
- I tentativi dei personaggi di raggiungere uno scopo
- La risoluzione del problema
- Le conseguenze e la conclusione
4.2. Diversi testi e generi di lettura
Esistono diversi tipi di testi, per questo è essenziale che i ragazzi acquisiscano le abilità necessarie
richieste nella lettura. L’acquisizione di tali abilità porrà il lettore nelle condizione di saper
individuare i motivi e gli scopi della propria lettura. Imparare a leggere significa non solo riuscire a
comprendere ciò che si legge ma anche capire perché si legge. La lettura dell’adulto al bambino si
basa su una socialità condivisa. È sempre la voce che consente di cogliere la sintassi del racconto, il
ritmo e la struttura del testo per poter cogliere il significato di quanto viene letto, il bambino ha
bisogno di un TEMPO LENTO per poter appagare la propria curiosità. Le strategie che l’adulto può
adottare per rendere il testo comprensibile al bambino sono:
La lettura ad alta voce, soprattutto se illustrato, rappresenta per il bambino un GIOCO. Secondo
Bruner la lettura di un libro è luogo di negoziazione di significati poiché con la lettura il bambino
impara a collegare le parole con gli oggetti. Quest’abilità il fanciullo l’acquisisce tramite i giochi
sociali. Lucia LUMBELLI afferma che il bambino per essere adeguatamente stimolato alla lettura
dovrebbe essere lui stesso artefice della lettura e non solo ascoltatore. L’insegnante dovrebbe
lasciare che il bambino legga da solo il testo di figure, limitandosi ad assecondarlo e a supportarlo
soltanto nei suoi tentativi interpretativi. Una tecnica molto efficace è quella del
RISPECCHIAMENTO VERBALE ideata da Rogers, consistente nel tradurre, da parte
dell’insegnante, tutti i comportamenti osservabili e restituendoli al bambino nel modo più oggettivo
possibile. A questa tecnica però andrebbe affiancato l’intervento verbale dell’insegnante finalizzato
a stimolare il fanciullo a esprimere la sua lettura con parole chiare.
Secondo Froebel il gioco rappresenta il versante in cui confluiscono l’attività cognitiva e quella
creativa, e dove trovano pace le tensioni e i conflitti di cui è caratterizzata l’infanzia. nel modello
pedagogico di Froebel un ruolo importante lo svolgono la sfera estetica e quella fisica della
personalità infantile. Per quanto concerne la dimensione estetica, Froebel ci offre l’immagine di un
fanciullo ludico, impegnato a sviluppare le proprie capacità espressivo-creative. Il gioco in tal
senso consente di integrare il bisogno cognitivo con quello creativo. Fra le diverse attività artistiche
Froebel fa riferimento al disegno che “sta propriamente tra parola e cosa”. Anche per la Agazzi il
disegno e il canto sono dei punti fondamentali per il suo modello pedagogico. La studiosa
conferisce valore minore all’attività del disegno rispetto a quella del canto perché il disegno resta
circoscritto mentre il canto sviluppa il senso estetico e spirituale. Per quanto concerne la
dimensione fisica, secondo Froebel, vediamo che egli sostiene che l’attività e il fare precedono
sempre il pensiero in quanto il bambino riesce a comprendere a pieno solo ciò che fa. Il corpo
necessita, quindi, come lo spirito di essere educato. Il GIOCO COGNITIVO consiste in quelle
attività ludiche che esaltano le esperienze sensorio-percettive, linguistiche e logiche. Per quanto
concerne l’attività linguistica bisogna programmarla sia sul piano strutturale che metodologico. Il
bambino si serve del linguaggio per conoscere e comunicare (piano strutturale); sul piano
metodologico, le insegnanti sono chiamate a stimolare il fanciullo. Il GIOCO ESPRESSIVO
consente all’infanzia di comprendere e interpretare i molteplici risvolti della realtà con cui
interagisce. Il gioco espressivo consente all’insegnante di diagnosticare e interpretare il mondo
affettivo del bambino.
Al gioco sono stati attribuiti significati e funzioni differenti. Il gioco cambia le proprie funzioni a
seconda del contesto in cui si svolge. Molte sono le variabili che influenzano il significato del
gioco. Dal punto di vista pedagogico, il gioco ha cominciato ad assumere un significato educativo a
partire dall’800 con la teoria di Froebel.
Froebel secondo la sua teoria i giochi dell’infanzia non sono come frivolezze, ma come cose
di molta importanza e di un profondo significato. Per Froebel il gioco consente al bambino
di capire come porsi nei confronti degli altri e sono proprio i giocattoli, chiamati da Froebel
“doni”, ad aiutare il fanciullo a scoprire le diverse forme generali dell’universo. Alla teoria
di Froebel si opposero le sorelle Agazzi le quali offrirono una visione del gioco più
completa.
Sorelle Agazzi: il gioco dovrebbe valorizzare personalità del bambino e non dovrebbe essere
contrapposto al lavoro poiché gioco e lavoro sono compresenti.
Montessori: il gioco si presenta come impegnato e concentrato, simile al lavoro e diverso da
quello che la Montessori definisce come gioco insensato e dispersivo.
Dewey: considera il gioco come un’attività che deve preparare il bambino al lavoro.
Piaget: i bambini si servono del gioco per trasformare la realtà esterna adattandola alla
propria motivazione e al proprio mondo interiore.
Vygotskij: il gioco è strettamente legato a tre aspetti di carattere emancipatorio:
- Il gioco si presenta come atto di mediazione tra i propri bisogni e la realtà contingente;
- Il gioco è un contesto liberatorio
- Il gioco apre una zona di “sviluppo prossimale” in quanto giocando il bambino compie
azioni diverse da quelle quotidiane.
Bruner: investiga sul rapporto tra il gioco e le strategie per lo sviluppo dei problemi.
Il gioco come contesto di sviluppo di competenze relazionali e metacognitive è inteso come luogo
privilegiato in cui si creano pratiche di relazioni e comunicazione. Tutte le forme di gioco di ruolo
traggono origine dal mondo sociale. Tra le varie funzioni svolte dal gioco abbiamo quelle di
favorire lo sviluppo affettivo e cognitivo del bambino, inoltre svolge il ruolo di mediatore. Il gioco
quindi:
Le considerazioni sul gioco nelle istituzioni educative partono dall’asilo nido per poi procede alla
scuola materna, elementare e infine secondaria. L’ASILO NIDO è considerato un luogo privilegiato
in cui vengono offerte al bambino occasioni di arricchimento della propria personalità. Le situazioni
che il bambino vive nel nido sono tre:
- Situazioni di routine
- Attività libere
- Attività strutturate
giochi con del materiale amorfo. DECROLY suggerisce l’importanza dei giochi visivi, uditivo-
motori, quelli di avviamento al calcolo aritmetico. Nella SCUOLA ELEMENTARE prevale il
primato del cognitivo sul ludico. Alle elementari si tende a creare una separazione tra il tempo
scolastico e quello libero. Una tipologia può essere il gioco di ricerca-azione suggerito da Acerbi
che vede i bambini impegnati nella raccolta di testimonianze ludiche del passato raccolte tramite
interviste ai loro nonni. Nella SCUOLA SECONDARIA il tempo dedicato al gioco è sempre più
ristretto, a volte ritenuto anche inopportuno considerata l’età dei frequentanti. Giochi utili
potrebbero essere quelli di orientamento scolastico e di preparazione alla future professioni.
4. Il gioco in ospedale
Il ricovero in ospedale è spesso vissuto dal bambino come un’esperienza traumatica. In un simile
contesto diventa essenziale il ruolo svolto dal gioco in ospedale, il quale rappresenta un elemento di
continuità con l’ambiente familiare e sociale di provenienza. Il gioco svolge una funzione
terapeutica soprattutto per i bambini affetti da malattie croniche. I motivi per cui si è ritenuto
opportuno l’inserimento delle attività ludiche in ospedale derivano dalla necessità di considerare il
paziente nella sua visione olistica e non solo come un oggetto affetto da una malattia. La prima
normativa nella quale si prevedeva la necessità di una figura educativa che potesse affiancare quelle
sanitarie risale al 1936. I due motivi su cui si basava tale affermazione consistevano nel voler
evitare che i bambini ricoverati subissero danni alla carriera scolastica e danni morali. Le cliniche
pediatriche, quindi, mutarono il loro aspetto logistico, le pareti diventarono colorate, furono
introdotti giochi, musica e libri. Nel 1998 giunge la circolare ministeriale n.353 del 7 agosto, in cui
veniva riconosciuta l’importanza della scuola in ospedale. Il ruolo svolge il ruolo di garantire il
benessere psicofisico di ogni bambino in quanto lo aiuta a recuperare la normalità. La figura adulta
dell’educatrice/animatrice diventa essenziale in quanto serve da mediatrice tra i bambini e tra i
bambini e i giochi. Il gioco mediato dall’adulto assolve una funzione terapeutica. All’animatore
spetta la scelta adatta del gioco e dei giocattoli. Con i bambini impossibilitati a muoversi dal proprio
letto l’animatore svolge una funzione più complessa per tre motivi:
Il genere di gioco drammatico è senza dubbio il più importante poiché i bambini possono trasferire
le loro ansie sui burattini.
La funzione delle regole è stata studiata da Vygotskij e Bruner. La regola si presenta come
condizione indispensabile affinchè il gioco possa realizzarsi ed è imprescindibile anche in qualsiasi
relazione educativa che possa definirsi tale. La funzione della regola nel gioco è stata oggetto di
riflessioni.
Huizinga: in ogni gioco è necessario che ci sia l’idea di onestà e libertà, l’assenza di tali
principi determina la fine del gioco stesso.
Bateson: è il gioco stesso che necessita della violazione delle regole, poiché esso viola le
leggi del mondo reale.
Il luogo riservato al gioco è definito “spazio semi-determinato” e si tratta di un angolo che può
subire trasformazioni ma che conserva intatta la propria struttura. Le mutazioni avvengono
attraverso lo spostamento e la ricombinazioni di vari oggetti. Il bambino ha bisogno di
scombinare e ricombinare e questo serve per sviluppare le sue capacità creative. Il bambino
oltre ad attribuire al luogo ludico una valenza sociale, considera lo spazio come un angolo
individuale in cui può svolgere il gioco personale. Il luogo in cui il bambino svolge il gioco è un
luogo di confine, non tollera intrusioni. I luoghi di gioco possono a volte procurare al bambino
delle paure quando sono sconosciuti ma possono diventare occasioni per acquisire nuovi
apprendimenti. Il gioco svolto nei luoghi all’aperto può offrirsi quale strumento di maturazione
fisica ed estetico-affettiva della personalità infantile. Il giardino della scuola dell’infanzia
potrebbe diventare il luogo privilegiato se solo fosse adeguatamente preparato. Il gioco, avendo
numerose ricadute pedagogiche, potrebbe diventare uno strumento con il quale educare il
bambino alla conoscenze e al rispetto dell’educazione. I bambini hanno bisogno di poter
svolgere i loro giochi in luoghi differenti e di organizzare liberamente il loro tempo. Oggi i
bambini sono impegnati in tante attività che occupano il loro tempo libero, ma nonostante ciò
risultano annoiati, poiché le attività che svolgono sono frutto non di una loro scelta ma di quella
dei genitori.
Piaget, Vygotskij e Winnicott hanno studiato lo sviluppo del bambino per distinguere se stesso dal
mondo.
Winnicott: il bambino tende a passare da una fase di fusione con l’ambiente a una in cui
inizia ad acquisire consapevolezza della propria individualità; da una fase in cui non vi è
alcun tipo di integrazione a una fase di integrazione, in cui il bambino comincia a percepire
di avere un dentro e un fuori. Il distacco dalla madre causa nel bambino un forte senso di
frustrazione dovuta alla presa di coscienza della perdita di funzione con la madre. Quando si
rende conto di essere un soggetto diverso ricorre all’utilizzo del gioco transizionale, per il
bambino il gioco è di suo possesso ma allo stesso tempo è diverso da lui. Il giocattolo
consente al bambino di prendere le distanze dalla madre, ma nello stesso tempo ristabilisce
un nuovo rapporto con lei.
Piaget: afferma che il gioco simbolico consente al piccolo di evocare e anticipare la realtà. Il
gioco simbolico ha una natura transizionale perché viene svolto da un lato in situazioni quasi
di costrizione e dall’altro il pensiero risulta essere svincolato dalla realtà. Verso i due anni il
bambino tende s impegnarsi nella scoperta del mondo esternp ms cerca allo stesso tempo di
controllare il suo mondo interno, fatto di sentimenti, paure e affetti. Il primo gioco del
bambino è l’adulto. Il ruolo dell’adulto nei giochi come quelli madre figlio, è di mediatore
tra bimbo e mondo esterno.
Bruner: sostiene che il gioco rappresenta un’occasione per ricercare nuove combinazioni
comportamentali che non potrebbero altrimenti essere sperimentate sotto pressione
funzionale.
È molto difficile conoscere con esattezza il tipo di comportamento corretto da adottare con i
bambini nelle diverse situazioni; si consiglia di rispondere e ben interpretare i primi segnali del
bimbo (pianto, vocalizzi..), di porre attenzione alle retroazioni che il bambino produce durante
l’interazione, cercare di essere coerenti nei ritmi e nella regolarità nelle attività condivise.
Il gioco cooperativo più diffuso è quello del “far finta” cioè il gioco di finzione. Nel gioco di
finzione i bambini devono trovare un’intesa soddisfacente e un accordo sui significati della finzione
ludica. Il gioco di finzione consiste in un’attività creativa in cui i soggetti, gli oggetti e i luoghi
vengono reinventati e nelle recitazioni effettuate i bambini non seguono un copione. Affinchè il
gioco di finzione possa svolgersi è necessario che i bambini condividano un patrimonio comune di
conoscenze ed esperienze. Le comunicazioni e le regole che i bambini pattuiscono prima dell’inizio
del gioco riguardano: il racconto (durante il gioco si apre una parentesi in cui si spiega come deve
procedere la storia), il suggerimento (interruzione del gioco per dare informazioni su come deve
procedere il racconto), la strutturazione (i bambini negoziano i ruoli e i personaggi senza ammettere
la finzione) e la proposta di finzione (viene chiaramente dichiarato il significato fittizio del gioco).
Dal punto di vista cognitivo per poter giocare insieme è necessario che i bambini siano almeno in
parte capaci di decentramento, cioè siano in grado di realizzare che gli altri possono avere punti di
vista diversi. Dal punto di vista emotivo il piacere che traggono dal gioco in comune deve poter
compensare le frustrazioni inevitabili prodotte dalla riduzione della libertà che esso comporta. Il
gioco collettivo si basa su una mescolanza di momenti in cui il bambino può far prevalere il proprio
egocentrismo e le proprie idee e momenti in cui deve scendere a patti. Le due razioni opposte che
possono essere generate nel gioco cooperativo possono essere quelle di CONFLITTUALITA’ o
Le tecniche utilizzate dai bambini per condividere i giochi di finzione che la Bondioli ha
individuato sono:
- Tecniche di adattamento
- Tecniche di assecondamento
- Tecniche di sollecitazione
- Tecniche di espansione
- Tecniche di gestione di gruppo
9. Giochi e giocattoli
Le funzioni svolte dall’osservazione nelle scuole dell’infanzia e nei nidi non possono avere
connotazione valutativa: l’osservazione viene raramente usata come strumento di valutazione dei
bambini. Le sue funzioni principali sono due:
Piaget definisce il rapporto tra adulto e bambino basato sulla coercizione educativa poiché la mente
dell’adulto esercita un notevole controllo sulla mente del bambino, ancora non socializzata e
matura. Il ruolo dell’adulto è quello di mediatore delle relazioni che il bambino instaura all’interno
di precisi contesti. Sono necessarie:
Così l’osservazione può diventare uno strumento efficace di descrizione delle relazioni fra vincoli e
possibilità.
Il concetto di animazione nasce in Francia intorno alla prima metà del 1900 su iniziativa di alcuni
intellettuali di creare la “Maison de la culture”, un luogo dove era possibile dispensare
gratuitamente cultura alle masse. Nasce la figura dell’animatore culturale; alla sua nascita questa
figura aveva forti connotazioni politico-sociali. Bersnard ha individuato tre fattori che fanno
dell’animazione un fenomeno sociale:
La prima e la terza sono quelle che hanno maggiore connotazione educativa. In Italia i primi centri
culturali nascono verso la seconda metà del 1900. Dopo gli anni novanta si concepisce l’animazione
in due modi diversi: da una parte viene intesa come qualcosa di effimero, dall’altra parte come
qualcosa dal valore scientifico e pedagogico. Oggi l’animazione ha il compito di facilitare i processi
di autentificazione dell’esistenza degli individui all’interno di una comunità. L’agire animativo si
caratterizza per tre elementi: la dimensione interiore dell’essere umano, l’apertura alla reciprocità,
la dimensione esteriore verso la quale sono proiettate le possibilità di comportamento personale.
L’animazione si basa su tre processi congiunti:
- Rivelazione
- Atti relazionali/comunicativi
- Creatività
1.1. I contesti e le funzioni dell’animazione
- Terzo livello: il potenziale educativo è più evidente in quanto esplica attraverso gli attori del
contesto che hanno la possibilità di elaborare meta-significati nei luoghi di lavoro di
comunità.
È necessario distinguere il gruppo dal gruppo di lavoro. Il gruppo si caratterizza per una pluralità di
interazioni; il gruppo di lavoro si distingue per una pluralità di integrazioni. Il gruppo nel diventare
gruppo di lavoro attraversa tre fasi: la coesione, l’interazione e l’interdipendenza. Nel momento in
cui i membri del gruppo avvertono fra di loro un senso di interdipendenza, vuol dire che il gruppo
da semplice composizione di soggetti è diventato gruppo di lavoro. L’interdipendenza è il tramite
vincolante per la maturazione del rapporto tra uguaglianze e differenze, l’equilibrio tra
soddisfazione dei bisogni individuali e dei bisogni di gruppo. Gli elementi distintivi del gruppo
sono la fiducia, la coesione e la condivisione degli obiettivi. La figura dell’animatore nei processi di
costruzione del gruppo di lavoro tende ad esercitare la propria influenza, in particolare sui gruppi
informali. Il compito dell’animatore è quello di comprendere le zone di influenza e di potere che si
creano nel gruppo. Nel gruppo di lavoro si tende a porre maggior enfasi sul prodotto e non sul
processo. Il porre maggior attenzione al prodotto significa non attribuire la dovuta importanza alle
dinamiche di gruppo. Sarebbe conveniente per l’animatore cercare di fare in modo che il processo e
il prodotto siano in relazione e che si integrino, ma per far ciò necessario riflettere sulla dimensione
del gruppo, sulla sua struttura, sui ruoli, sulla comunicazione e sull’influenza reciproca e la
leadership. La dimensione può variare da un minimo di 4 elementi a un massimo di 28; la struttura
può essere formale (quando c’è una gerarchia) e informale (basata sul modo in cui i membri
partecipano); i ruoli corrispondono alle responsabilità che ognuno ha; la comunicazione rappresenta
lo strumento essenziale attraverso il quale ognuno esprime il proprio pensiero; la leadership è quel
ruolo che tutti i membri riconoscono a un soggetto particolarmente carismatico e comunicativo. Fra
le tante funzioni dell’animatore ci sono anche quelle di gestire i conflitti all’interno del gruppo. La
mediazione si realizza attraverso tre fasi:
- Fase preliminare: la situazione più favorevole è quando tutte le parti coinvolte sono
favorevoli al colloquio
- Colloquio: parte centrale e si sviluppa in 5 fasi (introduzione, modo di vedere delle singole
parti, chiarimento del conflitto, soluzione del problema, accordo)
- Fase di attuazione: l’animatore e le parti del conflitto di rincontrano dopo un po’ dii tempo
per verificare se i termini dell’accordo sono stati rispettati.
3. Le competenze dell’animatore
L’animatore deve possedere gli strumenti adeguati per analizzare i problemi che gli individui, i
gruppi e la comunità vivono. All’animatore sono richieste le conoscenze e le abilità tipiche delle
scienze umane, in quanto gli si richiede di essere in grado di osservare le dinamiche del gruppo al
fine di comprendere i problemi. Diverse sono le tipologie di animatori culturali: abbiamo quello
socioculturale e quello interculturale. Le funzioni svolte dall’animatore sono principalmente due:
può assolvere al compito di semplice intrattenitore del gruppo, oppure può svolgere il ruolo di
animatore/conduttore, cioè colui che, oltre a preoccuparsi di facilitare la vita del gruppo, fa anche da
guida. Le competenze richieste all’animatore riguardano:
Le posizioni che l’animatore può occupare all’interno del gruppo dipendono dalla formazione del
gruppo stesso; la capacità comunicativa è quella maggiormente richiesta poiché non deve solo usare
un registro linguistico appropriato, ma deve saper usare anche il giusto tono e volume di voce.
L’animatore dovrebbe anche essere capace di leggere e interpretare i silenzi del gruppo. Per quanto
riguarda la capacità di osservazione, questa consente all’animatore di rilevare dati e informazioni
preziose per monitorare il gruppo. Le funzioni di animazioni da cui l’animatore dovrebbe prendere
esempio vengono fornite da ANZIEU e MARTIN:
Identità pedagogiche:
- Stile relazionale
- Stile sperimentale
Specificità didattiche:
effettuata nei laboratori, si presenta come uno strumento molto flessibile e facilmente utilizzabile in
ambito educativo per diversi motivi: può servire per rilevare dati e informazioni; può diventare un
utile metodo nell’educazione di strada, può essere una tecnica di animazione sociale.
L’adulto/animatore svolge un ruolo importante nei laboratori; la sua funzione è quella di produrre
stimoli, affrontare argomenti importanti e creare un clima accogliente. Il laboratorio può diventare il
luogo privilegiato di gioco per i bambini ma anche per gli adulti.
Le attività svolte nei laboratori di psicomotricità si distinguono per essere sia libere, basate sul
gioco non strutturato, sia mirate, cioè quelle pianificate e organizzate. L’educazione psicomotoria
oltre ad assolvere una funzione comunicativa importante per i bambini piccoli, corre in aiuto anche
degli adolescenti che si sentono a disagio con il proprio corpo in continuo cambiamento. Per
organizzare delle attività di psicomotricità, l’animatore esamina quattro elementi: lo spazio, il
tempo, i materiali e le relazioni. Lo spazio dovrebbe includere alcune aree particolari come quella
del gioco sensomotorio, dotato di materiale versatile; il tempo dovrebbe avere un andamento rituale,
rispettoso dei ritmi del bambino; le relazioni comprendono l’atteggiamento dell’adulto, le funzioni
di tutoring dell’insegnante, il momento delle consegne e le relazioni tra i bambini; i materiali
utilizzati si distinguono per la loro varietà formale e a volte svolgono la funzione di mediatori di
comunicazione.
Lo spazio riservato al laboratorio della lettura sarebbe consigliabile non fosse molto grande. Il
contatto precoce con il libro consente al bambino di arricchire il proprio linguaggio di parole
sempre nuove. Il laboratorio della lettura e della narrazione consente al fanciullo di sviluppare le
competenze linguistiche, anche se bisogna distinguere tra l’acquisizione del linguaggio e della
cultura e il linguaggio dell’educazione. L’acquisizione del linguaggio consiste nell’apprendimento
di determinati valori ed elementi culturali; il linguaggio dell’educazione è basato sulla negoziazione
e non si limita alla semplice esposizione dei fatti, ma contribuisce allo sviluppo del pensiero critico
e delle abilità interpretative. Bruner sostiene che il linguaggio dell’educazione deve configurarsi
come il linguaggio della creazione di cultura. Il laboratorio della lettura consente ai bambini di
acquisire il linguaggio dell’educazione e attraverso il contatto diretto con il libro riesce a
immedesimarsi nei personaggi e nelle situazioni oggetto di narrazione. La lettura non è un’attività
semplice in quanto si basa su processi di comprensione e decodificazione. L’adulto si pone come
mediatore tra il bambino e il contenuto e le immagini del testo. L’insegnante capace di animare:
emotiva, infatti alla fine della lettura si chiede al bambino di raccontare le emozioni e i sentimenti
che la lettura ha provocato.
I contesti in cui il gioco potrebbe essere utilizzato come metodo sono molteplici:
- L’animazione teatrale
- L’animazione socioculturale
- L’animazione ludico ricreativa
- L’animazione socio educativa
Il compito dell’animatore è sempre quello di porre al loro agio i membri del gruppo, di farli
esprimere e di coinvolgerli nelle attività. Considerare il gioco come metodo di animazione significa
fondare il metodo sulla partecipazione e sulla crescita personale dei soggetti coinvolti. Il gioco si
pone tra gli obiettivi prioritari quello di facilitare il processo di trasformazione e di conquista di
autonomia dei soggetti. La fase successiva alla scelta del gioco consiste nella realizzazione del
gioco stesso, la quale comprende due aspetti: la giocabilità del gioco e il ruolo e la modalità di
partecipazione del conduttore. La scelta del luogo deve essere effettuata tendendo conto sia
l’ambiente fisico che di quello psico-relazionale. Il ruolo e la modalità di partecipazione del
conduttore riguardano sempre le competenze dell’animatore. La capacità di riflettere su se stessi
consente di cogliere le incongruenze della propria personalità, al fine di facilitare la crescita
personale ed eliminare ogni atteggiamento di superiorità. Dopo la fase di realizzazione del gioco
subentra quella de “debriefing”, cioè del dopogioco, in cui si innalzano i risultati prodotti dal gioco
e la qualità del lavoro di gruppo. Il debriefing consiste in tre fasi:
La scelta del metodo e delle tecniche da utilizzare nei contesti di animazione dipende dagli obiettivi,
dal setting e dalle caratteristiche dei partecipanti. Le metodologie più utilizzate nei contesti di
animazione potrebbero essere riassunte nella:
3. Il metodo dell’alterità
Questa metodologia definisce i criteri e le modalità attraverso cui diventa possibile rapportarsi
correttamente all’altro. I contesti d’animazione si presentano quale luoghi specificatamente consoni
all’osservazione e alla conoscenza tra ii soggetto che ricercano tra loro un adeguato
accomodamento e livello di comprensione. Le finalità che questo genere di metodologia si prefigge
di conseguire consistono:
L’empatia consiste nella capacità di immedesimarsi nell’altro, leggendo l’altro attraverso i propri
valori e ideali; l’exotopia risiede nella capacità di saper prendere le distanze dall’altro ricercando
propria autonomia, ma nello stesso tempo consiste nel rispetto dell’altro.
4. Il metodo collaborativo
È utilizzata con i gruppi di lavoro. L’animazione contribuisce alla creazione del gruppo e delle
relazioni fra i componenti. Il gruppo classe si basa quindi sull’interdipendenza positiva e si pone
come obiettivo finale quello di favorire lo sviluppo di competenze sociali. Tale metodo stimola tutti
i componenti della classe a partecipare al lavoro di gruppo. È importante che nelle scuole si sviluppi
la cultura e la pratica della didattica collaborativa, ancora poco utilizzata. Gia Piaget e Dewey
avevano parlato di clima collaborativo, quindi questo metodo non dovrebbe essere del tutto
sconosciuto. Gli psicologi cognitivisti hanno posto in evidenza l’importanza del feedback ai fini
dell’apprendimento. La collaborazione che si crea all’interno dei gruppi di lavoro contribuisce
all’apprendimento di specifiche abilità come quelle sociali e comunicative-relazionali. La
metodologia collaborativa prevede:
5. Le tecniche di animazione
5.1. Le tecniche ludiche
Le tecniche fungono da veri e propri catalizzatori, in quanto facilitano l’acquisizione dei contenuti
di conoscenza e ne amplificano i significati. Quando la scelta della tecnica risulta essere appropriata
diventa più semplice anche trasmettere i contenuti, poiché la tecnica si presenta come mezzo per
trasportare le conoscenze. L’animatore, quindi, deve anche saper utilizzare correttamente la tecnica
celta e di saperla adattare alle circostanze. La scelta della tecnica da utilizzare rientra in un quadro
più ampio di progettazione dell’azione animativa. La quale si basa su tre fasi:
A tale proposito CAILLOIS ha elaborato una tassonomia ludica in cui suddivide i giochi in quattro
categorie:
I giochi di cooperazione si pongono come obiettivo prioritario quello di superare in gruppo gli
ostacoli che si presentano durante le attività. I giochi cooperativi consentono di migliorare il clima
socio affettivo tra i membri del gruppo e dimostrano di essere efficaci nell’affrontare i problemi tra
soggetti di diversa provenienze etnica e socio-culturale. Il gruppo cooperativo si differenzia da
quello tradizionale perché si basa sull’interdipendenza positiva. Le origini del gruppo cooperativo
risalgono alle società tribali. Il sentimento della competitività non risulta essere appropriato al
gruppo cooperativo poiché tende a distruggere la fiducia che ogni soggetto nutre di se stesso e il
senso di collaborazione. Questo non vuol dire che il senso di competizione sia del tutto assente nei
giochi cooperativi, ma solo che assume un valore e una funzione differente: stimola nel soggetto la
volontà di sperimentarsi e di favorire la propria crescita personale. Le attività cooperative, quindi,
contribuiscono allo sviluppo della creatività, dell’empatia e dello spirito dii sostegno tra soggetti
che lavorano insieme. I giochi cooperativi possono essere utilizzati anche nelle attività sportive e
sono considerati validi strumenti per l’educazione alla pace.
I processi di comunicazione si basano sulle relazioni e per questo motivo diventa fondamentale
avere una conoscenza generale del quadro teorico di riferimento della relazione e della
comunicazione stessa:
La scuola è chiamata a una progettazione che tenga conto della cooperazione, della gestione dei
conflitti e delle emozioni. Il gioco, quando viene pensato e utilizzato nella scuola a fini didattici,
necessita di un’organizzazione e di una gestione competente da parte degli insegnanti i quali
dovrebbero essere i primi a credere nel valore educativo delle attività ludiche e a essere consapevoli
delle finalità che intendono raggiungere. Le attività ludiche basate sulla comunicazione consentono
al docente di migliorare la qualità relazionale con i propri studenti.
I giochi di simulazione nascono come giochi bellici, di simulazione strategica che servivano per
l’addestramento militare dei giovani. Dal punto di vista didattico il modello pone al centro dei
processi di apprendimento un insieme di relazioni e processi modificabili e trasformabili. Il concetto
di modello quindi risulta essere implicitamente presente nel concetto stesso di simulazione, la quale
consiste nel progettare un modello di un sistema reale e nel condurre esperimenti con esso allo
scopo di comprendere il comportamento del sistema o di valutare varie strategie per operare sul
sistema. La valenza didattica dei giochi di simulazione risiede nel facilitare lo sviluppo di
determinare competenze come quella dell’acquisizione di automatismi che consiste nello sviluppo
di abitudini percettivo-motorie, basate sul meccanismo stimolo-risposta. Un esempio di gioco di
simulazione potrebbe essere quello del role-playing. Tale gioco deriva dall’esperienza compiuta da
Moreno con il “teatro della spontaneità” , attraverso cui si rese conto di come questa tecnica
aiutasse i soggetti a liberarsi dai sentimenti repressi.
6.3. Il braistorming
È una tecnica ideata da Alex Osborn; è strettamente legata alle dinamiche di gruppo e ai processi di
comunicazione che si realizzano nel gruppo e del gruppo con l’esterno. Tali critiche definite da
Osborne come insieme di giudizi di valore rendono difficile la comunicazione e inibiscono
l’operatività e la creatività dei soggetti. La comprensione del funzionamento del brainstorming è
collegata alla conoscenza relativa all’organizzazione e al funzionamento dei gruppi in cui tale
metodo viene utilizzato: gruppo di discussione, gruppo di orientamento, gruppo di counseling,
gruppo repressivo, gruppo di addestramento, gruppo terapeutico. Il tratto più saliente del
brainstorming consiste nel favorire lo sviluppo della creatività nei soggetti, creatività intesa come
qualcosa che riguarda l’intera personalità di un individuo. Le funzioni del brainstorming sono state
illustrate dal suo ideatore Orborn e sono:
È una tecnica di animazione di gruppo che stimola il gruppo alla riflessione e al pensiero creativo.
7. Le tecniche di drammatizzazione
Consistono nel dare forma a un dramma al fine di trovare una soluzione. Tutte le tecniche di
drammatizzazione si distinguono per la loro particolare vena didattica-educativa poiché consentono
di concretizzare i loro apprendimenti e di ricostruire la realtà servendosi dei giochi di finzione. Il
teatro favorisce lo sviluppo delle abilità comunicative ed espressive consentendo una formazione
globale della personalità. La metodologia didattica più appropriata è il laboratorio, in cui andrebbe
utilizzata una didattica flessibile e partecipata in modo da poter potenziare le abilità già possedute
dagli studenti.
È facilmente adattabile a svariati contesti può essere realizzato sia nella scuola dell’infanzia che
nella scuola primaria. Attraverso la costruzione dei burattini l’uomo ricorre a tutto il proprio
potenziale creativo. Gli elementi distintivi di questo genere di teatro sono:
Offre la possibilità di poter esprimere le proprie emozioni facendo ricorso ai diversi canali
comunicativi e all’interno di uno specifico spazio. La narrazione ricorre all’utilizzazione sia del
linguaggio verbale che non verbale. Questo genere di teatro consente ai bambini di esprimere le loro
idee e i loro sentimenti. Gli obiettivi educativi consistono nel favorire lo sviluppo di competenze
cognitive, immaginative e fantastiche, oltre a consentire al bambino di superare la paura del buio.
Il fondatore è Augusto Boal. I concetti su cui si basa il teatro dell’oppresso sono tre:
- Il rapporto attore/spettatore
- La relazione oppresso/oppressore
- La maschera sociale
8. Le tecniche multimediali
Le tecniche del mondo multimediale sono considerate valide ai fini dello sviluppo di determinate
competenze come quelle legate alla manualità, alla coordinazione oculo-manuale, al problem
solving e all’acquisizione di abilità relazionali e collaborative. La realtà virtuale, secondo Ferrarotti,
finisce per distorcere la realtà, inducendo il soggetto a illudersi di vivere una vita irreale. Luca
Giuliano, invece, valorizza gli aspetti positivi di questa nuova realtà dicendo che il virtuale
rappresenta una problematizzazione della realtà e non una perdita della materialità. L’identità
tenebrosa con il computer genera un’utilizzazione scorretta e diseducativa del computer, in cui si
realizza una depauperamento dei contenuti referenziali. Il giocatore, attraverso il videogame,
esercita le proprie capacità cognitive e impara a controllare le proprie emozioni. I pericoli più
ricorrenti potrebbero risiedere nell’alienazione dalla realtà, nell’assenza dell’imprevisto,
nell’esercitazione incontrollata del potere sull’altro.