Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La psicologia clinica si occupa dello studio della persona nella sua globalità. Verranno
approfonditi strumenti utilizzati dall’operatore per la conoscenza dell’utente nei vari
contesti: colloquio come tecnica comunicativo relazionale e l’osservazione come strumento
di ricerca.l’educatore necessita di principi guida sulla natura del funzionamento del nome
sull’influenza dei contesti sociali.
CAPITOLO 1 La psicologia clinica nella pratica educativa: la psicologia clinica disciplina che si
occupa dello studio la persona nella sua totalità e che costituisce un indispensabile guida
nella prassi educativa
Il primo dottorato di ricerca in psicologia clinica nel 1896 da Witmer che propone l’uso del metodo
clinico basato su studi di laboratorio. Nel XX secolo la psicologia clinica si è evoluta fino a
raggiungere una grande diffusione dopo la seconda guerra mondiale si avvale di alcuni canali di
informazione, quali quelli derivanti dall’informazione verbale (informazioni fornite dalla persona nel
corso di un colloquio, di un’intervista) e dall’osservazione diretta della condotta Dell’individuo
(informazioni provenienti dalla comunicazione verbale durante il colloquio). Un’attenzione
particolare merita la stanza di consultazione vale a dire il setting o meglio la situazione, dovrebbe
rappresentare un ambiente nella cui atmosfera l’utente dovrebbe sentirsi accolto e contenuto,
dovrebbe facilitare la conoscenza. Le fondamentali tipologie di intervento:
-La psicoterapia è un intervento professionale rivolto ad un individuo, una coppia, un nucleo
familiare, un gruppo di persone, finalizzato a raggiungere un cambiamento nei loro funzionamento
mentale, è una prestazione riservata a medici e psicologi e implica di risolvere disagi soggettivi e
interpersonali e il miglioramento di uno stile di vita.
-La consulenza psicologica prevede di aiutare un sistema sociale scuola, clinica, comunità ad
acquisire conoscenze abilità indirizzate al cambiamento del sistema sociale stesso. L’intervento di
consuelling consiste nel creare una condizione spazio temporale nella quale sia possibile durante la
seduta con il cliente incontrarsi e conoscersi. Il consuelling è un intervento psicologico finalizzato a
migliorare il benessere dell’individuo mai possibile un suo utilizzo anche da parte di altre figure
professionali senza formazione specifica in campo psicologico. L’educatore ad esempio attraverso
questo non si pone obiettivi psicologici terapeutici o curativi ma cerca soluzioni a problemi di vita e
situazioni di normalità.
Per chiarire ulteriormente la distinzione tra consuelling psicoterapia si possono evidenziare alcune
differenze: il primo in genere si pone obiettivi più circoscritti e definiti raggiungibili in un tempo
relativamente breve e sono collegati a difficoltà o conflittualità evolutive. Nella psicoterapia gli
obiettivi possono essere molto più diversificati più ambiziosi e mirare a cambiamenti significativi e
duraturi. Solamente la psicoterapia può affrontare problematiche connesse con la psicopatologia
mentre la consultazione per definizione, si colloca nel campo della normalità.ambedue i tipi di
intervento comprendono le seguenti fasi:
1 fase preliminare (accettazione o non accettazione del caso).nel caso della psicoterapia, il
professionista valuta la propria capacità in relazione alla natura dei bisogni dell’utenza. Nel caso
della consulenza esamina e verifica quanto e come le proprie competenze siano idonee.
2 fase di avvia della relazione. Dopo l’accettazione del caso il professionista sia nella psicoterapia
che nella consulenza si attiva per poi stabilire un’appropriata relazione.
4 fase di individuazione delle finalità. Sia nella psicoterapia che nella consultazione le finalità
dell’intervento possono essere sviluppate progressivamente.
6 fase finale. Il processo migliore per arrivare alla conclusione implica che entrambi, clinico e
utente, collaborino nel prendere tale decisione. I problemi di separazione sono meno considerevoli
nel caso della consulenza.i motivi che convincono il clinico a terminare il lavoro riguardano la
valutazione dell’efficacia del suo intervento.
-Psicoanalitica: secondo tale approccio l’obiettivo mette in primo piano la maturazione del proprio
sé e della propria identità, l’intervento rende consci emozioni, sentimenti vissuti dal paziente nel
passato vuole consentire al paziente la libertà di elaborare e sentire intravedere soluzioni
alternative.
-Relazionale: il modello si avvicina a quello della psicoanalisi e mette in primo piano il gioco delle
emozioni che si sperimentano nella relazione terapeutica.
-Psicoterapia del gioco con i bambini: si basa sull’assunto che attraverso il gioco il bambino può
esprimere le proprie emozioni.
-Centrata sul cliente: il terapeuta ponendosi in una condizione di parità ascolta attivamente senza
pregiudizi, si propone di facilitare il processo di crescita, l’auto adattamento e la
responsabilizzazione del soggetto.
-Esistenziale: lo psicoterapeuta esistenziale opera dando sostegno di empatia, lo scopo principale è
quello di rendere più consapevole il paziente delle sue potenziali capacità e di favorire assunzione
di responsabilità.
-Sulla crisi: gli interventi sulla crisi sono di breve durata vengono utilizzati nelle situazioni di
emergenza (morte, divorzio).
Il colloquio costituisce una costante relazionale nell’ambito educativo ai fine di fare emergere le
risorse della persona aumentare la consapevolezza di sé, il grado di autonomia e di integrazione
sociale. Franza distingue le condotte relazionali dell’educatore in dimensione di controllo,
dimensione emozionale dimensione di congruenza-trasparenza-autenticità. La dimensione di
controllo prevede alcune condotte dell’educatore:
-Autorevoli: quando l’educatore instaura una buona relazione basata sul rispetto vicendevole dei
propri ruoli delle proprie competenze, costruisce un clima di vicinanza attiva la partecipazione la
collaborazione con l’altro.
-Autoritaria: le regole sociali e istituzionali vengono imposte rigidamente e le eventuali
trasgressioni vengono punite; viene assunta una posizione di distacco e di superiorità nei confronti
dell’utente viene negata la comunicazione.
-Antiautoritarie: tali condotte si hanno quando l’operatore educativo si pone in modo simmetrico
con l’utente, evita il conflitto, non si assume la parte di responsabilità della relazione educativa
detta del proprio ruolo.
La dimensione emozionale si riferisce alla componente socioaffettiva dell’educatore è dipendente
dal grado di maturità psichica conseguita. Invece la dimensione di congruenza-trasparenza-
autenticità riguarda la capacità comunicativa dell’operatore educativo che dovrebbe essere:
A seconda degli obiettivi dell’intervento, i colloqui educativo può essere distinto in:
La figura dell’educatore nel mondo classico è colui che è dedito all’istruzione alla guida dei
fanciulli, educare significa gestire l’esperienza assimilata, crescere le conoscenze facilitare i
cambiamenti, mutamenti evolutivi.l’educatore deve collaborar e con lo psicologo clinico per
raggiungere finalità comuni. L’educazione è un processo che guida tutta la vita, l’educatore
dovrebbe far emergere le potenzialità del soggetto e giungere a un cambiamento della condizione
problematica renderlo consapevole del proprio stato. Nell’affrontare situazioni disfunzionali
professionista si assume la responsabilità di programmare e gestire un intervento con
consapevolezza. L’educatore deve identificare la presenza di dinamiche relazionali nei diversi
contesti: famiglia, gruppo, comunità. La famiglia costituisce il principale sistema di riferimento del
soggetto, l’operatore Deve conoscere la situazione e le dinamiche familiari e comprendere le
regole del nucleo familiare. Si potrebbe definire il gruppo come il contesto nel quale il soggetto
appaga il proprio bisogno di appartenenza. Si rivela fondamentale per l’educatore in fase di
progettazione dell’intervento conoscere dinamiche che si strutturano nel gruppo. La comunità è
per l’individuo un ulteriore spazio di azione relazionale nell’integrazione tra il soggetto e l’ambiente
sociale. Relazione e comunicazione sono elementi essenziali dell’azione educativa. L’la relazione tra
operatore educativo e utente affinché risulti efficiente deve avere finalità ben definite, la capacità
comunicativa è una competenza basilare dell’educatore. La percezione di onnipotenza e quella di
impotenza andrebbero contrastate perché disfunzionali alla relazione. In sintesi potremmo dire che
l’educatore struttura la relazione educativa, sceglie gli strumenti tecnici per l’intervento di aiuto,
individua le modalità di azione che permettono il conseguimento degli obiettivi.
CAPITOLO 2: le teorie della psicologia clinica nel percorso educativo.
Consiste nella comprensione della persona nella sua totalità. La personalità si costruisce
gradatamente durante lo sviluppo mediante le interazioni con l’ambiente sociale e culturale. I
fattori di rischio riguardano situazioni avverse che possono essere:
-transitori cioè stati di difficoltà e di stress a breve termine ad esempio problemi di salute, periodi
di disoccupazione.
-Continuativi, cioè fattori che influenzano fortemente le condizioni di vita ad esempio disagi
inerenti al contesto di vita della famiglia deficit fisici.
E i fattori protettivi sono elementi di sostegno per la persona.
La conoscenza delle teorie della personalità permette agli educatori di interpretare le
problematiche dell’utente e a conoscere le aree del funzionamento degli utenti che sono: l’area del
processo, che si riferisce ai fattori processuali, l’area della struttura che riguarda gli elementi più
stabili e durevoli, l’area dello sviluppo, l’area della psicopatologia, l’aria del cambiamento.
Le principali teorie della personalità sono: l’autorealizzazione, l’apprendimento sociale e la
psicodinamica.
Le teorie dell’autorealizzazione mettono l’accento sui tentativi degli individui di aprirsi alle varie
esperienze.secondo quanto affermato dalla teoria dei bisogni di Maslow lo sviluppo del massimo
potenziale è reso possibile solo se viene soddisfatta una serie di bisogni; bisogni carenziali,
fisiologici di sicurezza, di apparenza e amore, di stima, di autorealizzazione.
L’approccio centrato sul cliente di Rogers sostiene che tutte le persone sono motivate a
migliorare se stessi e possiedono le potenzialità per farlo. Secondo Rogers e lo psicoterapeuta
dovrebbe possedere due qualità fondamentali: congruenza di empatia. Ogni uomo ha una propria
tendenza all’autorealizzazione definita tendenza attualizzante. Secondo Rogers un’altra virtù di un
valido psicoterapeuta è offrire un’accettazione positiva incondizionata.
Le teorie dell’apprendimento sociale infatti enfatizzano lo studio del soggetto nel contesto in cui
vive, secondo bandura ai fini del benessere è importante la percezione che un soggetto a te la
propria capacità di confrontarsi con le provi le sfide della vita, autoefficacia percepita.
Le teorie psicodinamiche focalizzano l’attenzione sulle strutture psichiche il loro funzionamento.
Per il buon funzionamento della persona risultano fondamentali armonia interiore e la capacità di
instaurare relazioni.
3. La prospettiva psicodinamica
L’espressione psicodinamica risale alla fine dell’ottocento si riferisce ad un insieme di fenomeni
riconducibili a fattori psichici di funzionamento della persona e non direttamente a disfunzioni
organiche o del sistema nervoso. La visione psicodinamica viene condivisa da numerose
prospettive teoriche, consideriamo tra le principali la teoria dell’attaccamento di Bowlby
secondo cui il soggetto è motivato da spinte interne alla costruzione di legami affettivi con le
figure significative apparenti nel suo contesto di crescita. La teoria dell’attaccamento privilegia le
indagini Basate sull’osservazione diretta del bambino. Sia per Bowlby che per Freud e e centrale
l’idea che l’esperienza infantile non vada perduta, Freud sia interessato al mondo interno del
bambino invece Bowlby attenzione sul mondo relazionale esterno postulando l’ipotesi
fondamentale che lo stringere legami emotivamente significativi è un comportamento istintivo che
svolge una funzione primaria di sopravvivenza e di adattamento all’ambiente circostante, la
socialità è un bisogno primario. Il legame di attaccamento è una relazione stabile che si instaura tra
il bambino e la persona adulta che si prende cura di lui sin dalla nascita, il fine dell’attaccamento e
di cercare la vicinanza con l’adulto soprattutto nelle situazioni di pericolo, da ciò deriva un
sentimento di sicurezza nel bambino. Il concetto di base sicura e la base da cui un bambino parte
per esplorare il mondo e a cui può fare ritorno in ogni momento di difficoltà. Nell’interazione il
bambino costruisce i modelli operativi interni che consistono in una rappresentazione di sé,
dell’altro della relazione. La funzione di questi modelli operativi interni nel bambino è quella di
organizzare le conoscenze acquisite di sé ed è la figura di attaccamento per poter pianificare il
proprio comportamento sulla base della previsione delle probabili risposte degli altri alle sue
azioni. Essi influenzano percezioni, pensieri, sentimenti tutta la personalità dell’individuo. il
bambino, quindi, costruisce rappresentazioni mentali che funzionano come modelli, mappe di
comportamento nel corso dello sviluppo e tendono ad essere stabili nel tempo. L’educatore
attraverso il suo intervento può promuovere un cambiamento nella riorganizzazione nella
modificazione degli stili relazionali dell’individuo per il miglioramento della qualità di vita. La teoria
Freudiana di Freud ritiene che il bambino piccolo tende alla gratificazione dei bisogni di cibo, di
contatto e di calore. L’apparato psichico viene tripartito da Freud in: l’inconscio che riguarda
pensieri e sentimenti rimossi, non è in grado di accedere alla coscienza. Il preconscio può
diventare inconscio poiché non è ostacolato dalla coscienza. il conscio si riferisce a ciò di cui un
soggetto è consapevole. Nella seconda topica Freud descrive la mente come composta da tre
strutture: es, io e super io. L es è la sede delle pulsioni, la dimora di desideri innati e vuole
soddisfazione immediata opera in particolare nei sogni e nelle condotte impulsive. L’ io è il
meccanismo di adattamento alla realtà richiama alla mente eventi passati è il mediatore tra mondo
interno (es) il mondo esterno. Le minacce derivanti dall’Es e dall’ambiente procurano angoscia;
quando l’angoscia così forte da intimorire l’io subentrano i meccanismi di difesa generando
distorsioni della realtà e consentono un soddisfacimento parziale delle pulsioni ricordiamo per
esempio la riflessione, la rimozione, la proiezione e la formazione reattiva (agire in modo contrario).
Il super io si sviluppa gradualmente nel bambino mediante l’interiorizzazione dei valori, divieti,
norme. La sua funzione è l’autocritica, la coscienza morale, la costruzione di ideali, il super io agisce
in modo sostanzialmente inconscio reprimere emozioni e contrasta L’io e l’Es.m, esso ambisce alla
perfezione. Secondo Freud lo sviluppo della personalità di base avviene mediante stadi
Psicosessuali. A ciascuno stadio definito in relazione alla parte del corpo su cui sono centrate le
emozioni. Oggi noi pensiamo che più verosimilmente l’io o sistema nervoso centrale debba
contattare e gestire molti più interlocutori interni e non solo tre, i tanti interlocutori potrebbero
corrispondere ad altrettanti incontri significativi. Tali esperienze sensoriali si assumono il ruolo di
stimoli guida e si identificano come la base della vita affettiva. Freud trascura affetti emozioni. Oggi
giorno gli psicoanalisti al fine di migliorare la cura dei pazienti sono sempre più convinti che sia
vincente il metodo clinico che utilizza il riconoscimento analitico delle emozioni, l’ascolto empatico
del paziente del proprio controtransfert. La teoria psicosociale dello sviluppo di Erikson a
modificato la teoria Freudiana , Eriksson afferma che il bambino tenta di sviluppare un senso di
fiducia negli altri e quando il bambino sperimenta fallimenti si formeranno degli schemi cognitivi
che avranno ripercussioni a livello evolutivo. In ciascuno degli otto stadi del ciclo vitale da lui
descritti a luogo una crisi psicologica:
5. Il modello sistemico
Dal punto di vista psicologico un sistema è un insieme di persone in relazione tra loro, nel passato
lo studio del comportamento umano veniva studiato ricercando le cause all’interno del corpo della
psiche umana. Con l’approccio sistemico si pone invece l’attenzione e non su ciò che succede
all’interno della mente ma sulle relazioni che ogni individuo instaura, l’individuo fa parte di una
serie infinita di sistemi in ognuno dei quali assume dei ruoli e comunica, costruisce una rete di
relazioni significative. Un sistema necessita una riorganizzazione, basti pensare ai cambiamenti che
emergono in famiglia, le relazioni familiari evolvono fino al raggiungimento di un nuovo equilibrio.
Il sistema cresce e si sviluppa, ogni comportamento acquista un suo significato solo se analizzato
all’interno del contesto in cui si manifesta. un comportamento problematico non è più del singolo
individuo ma frutto di una disfunzionalità relazionale dell’intera famiglia. L’intervento prevede
l’osservazione del contesto, l’educatore non si colloca come esterno al sistema ma partecipa la
costruzione del sistema che sta osservando. L’intervento si propone di originare un contesto
all’interno del quale i cambiamenti siano resi possibili, è possibile ridefinire il contesto stesso.
3 l’attività educativa è conoscenza del sé dell’utente. Il professionista si propone come una figura di
supporto.
4 l’attività educativa è uno spazio psichico di libero movimento. L’educatore dovrebbe attuare con
l’utente un percorso personale che faciliti in quest’ultimo la scoperta della propria autostima, delle
proprie qualità e potenzialità, che accresca libertà e creatività come conseguenza di un pieno
accesso alle proprie risorse.
Per le professioni di aiuto è utile un’approfondita conoscenza del funzionamento mentale normale
e patologico, in altre parole di alcuni concetti chiave della psicopatologia che permettono di
riconoscere precocemente segnali di disagio.
Definizione di psicopatologia il disturbo mentale: la scelta del modello teorico, del paradigma di
riferimento definisce ciò che è normale o patologico. La psicopatologia è lo studio sistemico
dell’esperienza delle cognizioni e dei comportamenti abnormi e indaga il funzionamento anormale
delle attività della psiche. Ma cosa si intende per anormalità psichica? Il concetto di anormalità
psichica è andato evolversi nel corso della storia, il comportamento anomalo veniva considerato il
segno dello sfavore degli dei o della possessione demoniaca. Nel V secolo a.C. Ippocrate, sottrai la
medicina alla sfera della religione, con la teoria della somatogenesi secondo la quale disturbi del
soma potevano essere considerati come cause dei disturbi del pensiero e dell’azione. Il disturbo
psichico entrava quindi ufficialmente nel campo medico. Definire che cosa sia il comportamento
patologico è una delle sfide più grandi che gli studiosi di psicologia clinica si sono trovati ad
affrontare nella storia, vi sono alcuni modelli teorici principali che definiscono, descrivono e
analizzano il disturbo mentale secondo prospettive diverse:
-Modello organogenetico: il disturbo mentale è descritto analizzato secondo il modello meccanico
di malattia.
-Modello sociogenetico: il disturbo psichico è descritto analizzato come reazione sana ad una
società malata.
-Modello Psicogenetico (psicoanalitico, comportamentisti, cognitivista, sistemico). Il disturbo
psichico è descritto dal modello psicoanalitico come esito di un conflitto psichico tra istanze
contrapposte, è descritto dal modello comportamentisti co come comportamento inadeguato
frutto di un processo di apprendimento e dal modello cognitivista come la conseguenza
dell’attivazione di un sistema che modifica la processazione delle informazioni; dal modello
sistemico come un deficit di adattamento.
-Modello biopsicosociale: in questo modello viene attribuita uguale importanza ai fattori biologici,
psicologici e sociali nel determinare il disturbo mentale. In generale la definizione di un
comportamento patologico prendi considerazione diverse caratteristiche tra cui infrequenza
statistica del comportamento (il fatto che non sia statisticamente rappresentato data popolazione),
la devianza delle norme sociali, il disagio individuale, l’incapacità o disfunzione nello svolgere una
qualche attività. I criteri comunemente usati per definire un comportamento patologico sono
numerosi e nessuno di essi, isolatamente, può portare ad una diagnosi di psicopatologia,
ritroviamo:
-La ricerca di aiuto: criterio poco funzionale rappresenta un indicatore parziale.
-Irrazionalità-pericolosità: un comportamento irrazionale fuori controllo non sempre indicatore di
psicopatologia.
-Devianza è considerato infallibile questo criterio, la salute mentale viene fatta coincidere con la
convenzionalità e nemmeno questo è un parametro assoluto.
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) tende a considerare come disturbo
ciò che è definibile da qualsivoglia sindrome comportamentale negativa, c’è bisogno di posizione
intermedia che riconosca la realtà di alcune condizioni mentali non classificabili come disturbi.i tre
criteri descritti possono fungere da utili indicatori di psicopatologia ma presentano grossi limiti. Tra
i criteri più utili per definire e identificare un disturbo mentale ritroviamo invece il distress
emozionale, cioè la sofferenza emozionale dell’individuo, può avere un notevole potenziale
orientativo. Infine, tra i più utili vi è il criterio del danno significativo ad alcune funzioni della
persona.
Il continuum normalità-patologia: oggi gli psicologi sono molto più prudenti nell’individuare una
netta linea di demarcazione tra malattia e salute mentale, Fulcheri definisce alcune condizioni che
può sperimentare l’individuo in un continuum dalla normalità alla patologia. La condizione di
benessere psichico, la condizione di disagio psichico, la condizione di malessere psichico, la
condizione di disturbo psichico (quando il soggetto non trova risoluzione alla sofferenza
accompagnata da sintomi clinici o alterazioni del comportamento), condizioni di malattia mentale
cronica (quando perdurano nel tempo). In primo luogo occorre dire che permane un’area di
conflitto psichico anche all’interno della persona considerata sana. Una personalità ritenuta
normale può entrare in qualsiasi momento nella sua esistenza nella patologia mentale e viceversa,
la salute come la malattia acquista un senso di relatività e non di assolutezza. Agli inizi del XX
secolo, grazie al pensiero di Freud e all’adozione dell’ottica psicoanalitica della psicopatologia,
prende piede l’idea secondo cui le forme di disagio psicologico sono soluzioni che il soggetto si dà
in consciamente e che risultano collocabili lungo un continuum che unisce normalità e patologia. Il
disturbo psichico non si esaurisce in sentimenti di sofferenza legata eventi drammatici ma richiede
la presenza di una risposta patologica dell’individuo all’evento lesivo contingente. Per l’operatore
che vuole comprendere disagio mentale, i criteri utili come indicatori di problematicità sono la
pervasività, quanto cioè provochi danno allo svolgersi quotidiano della vita del soggetto, il fattore
tempo, la dose di malessere soggettivo e quali sono le risorse soggettive, sono questi infatti gli
indicatori che ci permettono di definire con più chiarezza la patologia rispetto alla normalità
piuttosto che focalizzarsi sui sintomi. La personalità viene concettualizzata, pertanto come un
sistema complesso che si autoregola.
. Relativismo storico e culturale: l’espressione dei sintomi invece cambia dato che i pazienti
avendo bisogno di credere la propria sintomatologia reale, inconsciamente mimano sintomi
comuni alla propria cultura. Krapelin è stato riconosciuto come il fondatore della psichiatria
culturale un esempio di sindrome culturale nella società occidentale e l’anoressia nervosa, la paura
di ingrassare non divenne un criterio fino al 1930, nella seconda guerra se ne parlava poco sono i
decenni seguenti che portano alla sua diffusione. Questa raddoppia o triplica negli anni 60 in
coincidenza con il cambiamento dell’immagine di donna. Per i relativisti culturali, una sindrome
legata alla cultura è un’espressione di angoscia specifica di quella cultura, le credenze culturali sono
visti come costitutive della sindrome. per gli universalistici, le sindromi culturali sono espressioni
culturalmente elaborate. Teniamo conto che vi sono elementi universali, bisogni primari alla base
del comportamento umano che trascendono le differenze culturali.
1 il microsistema: riguarda i contesti dei quali il bambino ha esperienza diretta nella sua vita
quotidiana e ne viene influenzato direttamente ad esempio la famiglia, la scuola, l’operatore
educativo.
2 il mesosistema: si riferisce alle relazioni tra i differenti microsistemi ad esempio incomprensioni
tra casa e scuola.
3 l’ecosistema: include i contesti nei quali il bambino non è direttamente coinvolto ma che
incidono sul suo sviluppo direttamente ad esempio l’orario lavorativo dei genitori.
4 il macrosistema: ingloba la cultura ad esempio, i valori sociali, le istituzioni, ideologie.
È possibile rispondere ai diversi bisogni delle famiglie non solo attraverso interventi terapeutici
bensì mediante interventi di facilitazione di sostegno attuati dall’educatore. I programmi di
formazione e le abilità sociali indirizzati alla coppia genitoriale sono un esempio di intervento
educativo che prevede il coinvolgimento della famiglia, l’obiettivo di migliorare la qualità della vita
familiare; non bisogna sottovalutare che per la riuscita dell’intervento possa essere determinante il
coinvolgimento del complessivo contesto sociale istituzionale. Piaget individua stadi evolutivi che
consentono di acquisire tutte le potenzialità introduce la teoria dello sviluppo cognitivo che
comprende quattro stadi o periodo (lo stadio è una tappe evolutive che comporta il
conseguimento progressivo di competenze).
1 Nello stadio sensomotorio (dalla nascita ai due anni circa) il bambino comprende il mondo
limitatamente alle azioni fisiche, l’apprendimento è attivo e concreto. Il bambino evolve dall’utilizzo
di semplici riflessi, adattamenti non intenzionali alla realtà e intenzionali che ricorrono alla
combinazione mentali di schemi già posseduti. In questo periodo un oggetto costituisce, all’inizio
uno stimolo che genera un riflesso, in seguito diviene una realtà sulla quale è possibile agire
sempre più con intenzionalità.la finalità dello stadio lo sviluppo della permanenza dell’oggetto, vale
a dire della capacità del bambino di comprendere che gli oggetti hanno una propria esistenza
indipendentemente dal rapporto che ha con ognuno di essi. Il bambino diventa capace di
conservare un’immagine mentale di un oggetto anche quando non è visibile nel suo campo
percettivo.
2 nello stadio preoperazionale (dai due ai sette anni circa) il bambino è in grado di usare simboli
(immagini mentali, gesti, parole) in maniera sempre più organizzata per rappresentare oggetti ed
eventi. L’oggetto può essere rappresentato mentalmente, lo sviluppo delle funzioni rappresentative
favorito dal gioco, dall’attività imitativa. In questo stadio l’oggetto viene rappresentato in termini
funzionali. Il bambino è egocentrico e centrato su di sé, incapace di immedesimarsi negli altri.
3 nello stadio operativo concreto (dai sette agli 11 anni) il bambino acquisisce limitate strutture
logiche che consentono di compiere azioni mentali, inizia a considerare il punto di vista altrui
poiché il pensiero egocentrico viene sostituito dal pensiero per razionale. Le operazioni mentali
vengono applicate unicamente ad oggetti concreti e non ho ancora a ipotesi astratte.
4 nello stadio operatorio formale (dagli 11 ai 15 anni) a luogo l’acquisizione del pensiero astratto,
del ragionamento deduttivo (capacità di risalire dal generale al particolare).
La qualità della relazione dei genitori può incidere sullo sviluppo del bambino, la disgregazione
familiare e poi ad esempio la separazione del divorzio potrebbe portare uno sconvolgimento
dell’ambiente e una ridefinizione dei ruoli e funzioni familiari; l’età in cui si verifica potrebbe
condizionare le modalità con le quali il bambino fronteggia il mondo interno e l’esterno. Inoltre i
bambini che vivono accanto a genitori con un quadro psicopatologico evidenziano numerosi
problemi. Un altro consistente fattore di rischio per il bambino è costituito dalla psicosi di un
genitore, i pattern di personalità si formano nel corso dell’infanzia questi possono rimanere stabili
o maturare in relazione ad alcuni fattori: le predisposizioni biologiche, l’età e la fase evolutiva, la
tipologia di famiglia, le influenze culturali, gli eventi di vita. Il bambino continua a subire l’influenza
delle persone che appartengono al suo ambiente interpersonale.
2. Il bambino in difficoltà
L’educatore dovrebbe evitare di presentarsi come se fosse nella posizione di amico e tantomeno di
genitore. In questi casi il rischio per il bambino può manifestarsi negli anni successivi proprio
perché ha percepito l’assenza di regole chiare e solide. Nei suoi comportamenti il bambino può
quindi esprimere tale confusione, un altro rischio è che il minore potrebbe mantenere una
dipendenza assoluta dalla figura di riferimento. Si possono creare situazioni di disequilibrio nella
relazione tra professionista e famiglia: ad esempio la famiglia può negare l’intervento
dell’educatore oppure mostrare un eccessivo coinvolgimento. Educatore è un agente di
cambiamento dovrebbe avere maturato la competenza di individuare azioni volte a potenziare le
risorse ancora disponibili nell’individuo, gli interventi possono essere: psicologico relazionali,
intellettuali (recupero delle capacità cognitive), Manuali operativi, espressivo creativi, culturali,
animati (giochi, sport). Il gioco riveste un ruolo significativo nell’approccio educativo del bambino e
nel bambino con psicopatologia grave l’attività ludica e limitata.
3. La psicopatologia evolutiva:
è nel tentativo di comprendere il malessere del bambino di descriverlo il clinico si avvale di
strumenti come il manuale diagnostico e l’ICD 10, durante i primi tre anni di vita del bambino è
molto più problematico definire disturbi psicopatologici. La psicopatologia evolutiva si occupa
dello studio dei disturbi dell’infanzia inquadrandoli nel contesto del normale sviluppo. Le
psicopatologia dello sviluppo più frequenti possono essere distinte in disturbi esternalizzanti: che
includono comportamenti rivolti verso l’esterno a zia in più l’aggressività, impulsività, iperattività,
ribellione. Tra questi c’è il disturbo da deficit di attenzione-iperattività e il disturbo positivo
provocatorio e il disturbo della condotta.
I disturbi internalizzanti comprendono condotte dirette in maggior misura all’interiorità ad
esempio la depressione, l’ansia l’isolamento sociale tra questi ci sono i disturbi d’ansia dell’umore
dell’infanzia. I costumi e i valori di una cultura rappresentano punti di riferimento. di fronte a un
disturbo psicologico manifestato da un bambino è lecito chiedersi in che misura esso derivi da
caratteristiche innate o da esperienze successive alla sua nascita, ci sono differenti approcci che
possono influenzare il modo in cui il bambino viene preso in considerazione nella valutazione.
L’approccio Psico biologico valuta l’incidenza delle componenti genetiche, l’approccio cognitivista
riconosce l’importanza della struttura biologica e dell’esperienza. Gli approcci sociale,
comportamentista e psicodinamico ritengono determinanti i fattori esperienziali. l’approccio
dell’apprendimento sociale dice che i disturbi psicologici sono l’esito dell’interazione tra fattori
motivazionali sociali ed esperienziali. Possono presentarsi nel bambino molte problematiche che si
ritrovano nell’adulto, ma uno specifico disturbo infantile non deve essere considerato in
automatico un precursore dell’omonimo disturbo dell’adulto.
8. I disturbi dell’umore
Il bambino affetto da depressione manifesta bassi livelli di affettività positiva e alti livelli di
affettività negativa. E il bambino depresso presenta autosvalutazione, accentuata irritabilità disturbi
del sonno, modificazione dell’appetito, perdita della consueta energia, a scarse abilità sociali. La
depressione esiste come funzione adattiva risposta alla frustrazione nell’ambito dell’interazione
madre bambino. Tra i fattori di rischio per l’insorgenza di disturbi depressivi spiccano la perdita di
uno dei genitori, l’abbandono, l’abuso, il trauma, i conflitti familiari. La depressione si manifesta
nell’infanzia. La depressione anaclitica (dipendente dall’ambiente di cura) e l’hospital Ismo sono
forme gravi di depressione infantile derivanti dalle privazioni della figura materna. I bambini con
depressione nel primo anno appaiono tristi, seri, privi di allegria, all’inizio piangono con
espressione dolorosa dopodiché si arrabbiano e poi smettono di piangere. Nei primi mesi il
bambino depresso si muove poco e in seguito diventa irrequieto; lo sviluppo motorio e la cresci
mento corporeo subiscono una decelerazione; la depressione tra uno e tre anni si manifesta con
espressione triste del volto, ritardo dello sviluppo motorio e in questo caso è legata alla perdita
dell’oggetto d’amore, e alla perdita della stima di sé. Tra i 3:05 anni la depressione infantile
caratterizzata da aspetto triste, irritabilità, ritiro sociale, il gioco con i pari viene ridotto e
aumentano le attività solitarie. Tra i cinque e i 13 anni c’è autodisprezzo e autosvalutazione. I
disturbi depressivi se non trattati e possono causare arresto ritardo evolutivo, problemi scolastici,
disturbi della condotta, suicidio. La prevenzione sembra un approccio primario, nell’approccio
educativo ci sembra prioritario sostenere la famiglia intervenendo anche sull’ambiente sociale. Il
bambino con disturbo bipolare presenta instabilità e intensità dell’umore, manca di sensibilità
verso gli altri, è impulsivo, iperattivo; tale disturbo a conseguenze negative sulle relazioni e sembra
determinato da deficit neuropsicologici.
9. I disturbi d’ansia
Notiamo che nel bambino affetto da ansia si riscontrano alti livelli di affettività negativa ma non
bassi livelli di affettività positiva, ci sono livelli persistenti di ansia e paura. L’angoscia può divenire
agitazione e disagio e ossessione. La fonte di ansia può non risultare sempre chiara. lo sviluppo
può generare ansia nel bambino che incontra difficoltà ad attraversare le tappe evolutive. Nel corso
del normale sviluppo il bambino crescendo apprende e riconosce la sua paura e sa gestirla se c’è
un disturbo le paure e possono impedire l’acquisizione di competenze adeguate a diversi stadi
evolutivi. I disturbi d’ansia includono una paura pervasiva e un eccessivo stato di allerta è presente
un’erronea valutazione cognitiva della situazione delle proprie abilità per fronteggiarla, reazioni
fisiologiche (mal di testa, sudorazione eccessiva, agitazione, sensazione di soffocamento, difficoltà
di respirazione). Il disturbo d’ansia generalizzato sia quando il bambino prova ansia esagerata non
transitoria e non giustificata dal contesto. il disturbo ossessivo-compulsivo si presenta quando il
bambino ripete di frequente alcune azioni che provocano tensione e sono di ostacolo al normale
svolgimento della vita normale ad esempio in agitazione per immagini o pensieri ricorrenti, oppure
ripete i comportamenti non funzionali che nel suo intento dovrebbero diminuire l’ansia e la
tensione. Il bambino è dominato da perfezionismo. Nel disturbo d’ansia da separazione il bambino
evidenzia eccessiva inappropriata ansia da separazione da casa o dal Cargiver. Consideriamo che è
una fobia può svilupparsi proprio quando l’ansia del bambino viene spostata su un oggetto o su
una situazione che normalmente non vengono considerati pericolosi; l’intensità dei sintomi
dipende dall’intensità della paura i sintomi svaniscono se la situazione fobica viene evitata o
l’oggetto fobico viene allontanato. una tipica fobia infantile riconducibile nella fobia della scuola
che può associarsi ad ansia di separazione oppure la paura di andare a scuola può essere legata
alla preoccupazione di fallire o al disagio. L’obiettivo principale dell’intervento educativo dovrebbe
essere quello di favorire il reinserimento scolastico preparandolo all’evento gradatamente, e
necessario un lavoro di aiuto alla genitoriali ta, un rinforzo dell’autostima del bambino, in tal modo
si prevengono anche futuri problemi di disadattamento sociale. Il bambino con fobia sociale tende
a giocare solo con i componenti della famiglia o con i coetanei che conosce bene talvolta rifiuta di
parlare, nei luoghi affollati sta incollato ai Cargiver si rannicchia negli angoli. Il bambino con un
disturbo d’ansia tende a sovrastimare la pericolosità di determinate situazione e a sottostimare la
propria capacità di farvi fronte, di conseguenza l’ansia ostacola le abilità sociali. Il disturbo post
traumatico da stress si presenta nel bambino che è stato esposto esperienze traumatiche, le
risposte al trauma dipendono dall’età del bambino, dal livello di esposizione del trauma e dalla sua
durata, dallo stile ad attivo, dal supporto ricevuto dopo il trauma.
I disturbi delle capacità motorie si presentano quando si ha una marcata compromissione dello
sviluppo della coordinazione motoria.
La soluzione di questi problemi fornisce risorse per affrontare gli ostacoli che si presenteranno
successivamente. L’adolescenza che va dagli 11 ai 18 anni ma ormai gli autori sono concordi che la
fase andrebbe ampliata fino ai 25, ai caratteri della sperimentazione di sé, del cambiamento, ampio
ma continua , dei compiti evolutivi. Gli adolescenti contemporanei non riconoscendosi così
trasgressivi e contestatari sembrano non volersi staccare più dalla famiglia. Il conflitto prevalente
non sembra più essere quello tra legame dipendenza ma piuttosto tra legami perdita paura di
perdere il legame. Condividiamo l’idea che l’adolescenza non sia tanto una rottura con il passato
quanto un periodo continuo di transizione che coinvolge processi di Risignificazione
dell’esperienza. La realizzazione dei compiti di sviluppo adopera dell’adolescente comporta una
profonda Risimbolizzazione del sé che si ridefinisce continuamente. Nell’adolescenza i compiti
possono essere riassunti in questo modo: -compiti in rapporto alla maturazione sessuale, -compiti
in rapporto all’allargamento degli interessi personali e sociali, con l’acquisizione del pensiero
ipotetico-deduttivo, lamenta lizzazione delle emozioni e la costruzione di un proprio progetto di
crescita di un sistema di valori. -Compiti in rapporto all’identità alla riorganizzazione del concetto di
sè. Dal punto di vista emotivo l’adolescente deve affidare la propria capacità di gestire le emozioni
il cervello dell’adolescente funziona in modo più emotivo rispetto a quello del bambino dell’adulto
i cambiamenti di umore spesso sono legati anche a queste modificazioni.
-SIB impulsivo: episodico ho ripetuto, eventi volti al piacere tende a divenire una sorta di
dipendenza.
-SIB compulsivo: include comportamenti ripetuti o ritualistiche che si presentano molte volte al
giorno.
-SIB stereotipico: caratteristico delle persone con gravi ritardi mentali, ha una qualità ripetuta,
ritmica, guidata da esempio battere la testa ripetutamente.
-SIB maggiore: è la più grave delle mutilazioni ad esempio autocastrazione, asportazione di parti
del corpo e solitamente si presenta come evento isolato durante episodi psicotici.
Da un punto di vista sociale il fenomeno dell’autolesionismo sembra presente da sempre la storia
dell’uomo fa parte dei riti, il rito richiama il concetto del riconoscimento sociale o della prova fisica
da superare. L’adolescente per conoscersi e riconoscersi si deve sperimentare fino a spingersi verso
il proprio limite superamento del quale si sentirà legittimato dal diritto dell’esistenza con un forte
impatto positivo sull’autostima. L’autolesionismo poi da solitario nascosto può divenire un
fenomeno trendy di tendenza esempio la Moda emo. Quindi non necessariamente sia a che fare
con una patologia schizofrenica, dal punto di vista psicologico alcuni giovani iniziano facendosi
male spesso per cancellare i ricordi dolorosi, emozioni negative cercano di moderare la sofferenza.
C’è un fatto anche chimico di cui non abbiamo parlato che agevole rinforza il bisogno del taglio
come soluzione alla sofferenza: le ferite causano infatti un immediato rilascio di endorfine che
hanno un effetto calmante a livello celebrale. l’effetto della condotta autolesionista quindi è una
sorta di chiusura del soggetto all’interno dell’oggetto di sfogo. Il soggetto sente meno l’esigenza di
relazionarsi al mondo come se diventasse insensibile rispetto adesso sensibile solo nel momento in
cui si procura la ferita. L’autolesionismo dunque coincide con l’affermazione di una personalità
introversa e solitaria. Gli educatori sono nella posizione privilegiata di non essere percepiti dai
ragazzi come adulti da cui nascondersi può porre domande giuste rompere il ghiaccio e dovrà
essere pronto a percepire e mettersi in ascolto, raccogliere le ansie contenerle e renderle non solo
possibili ma pensabili.
I disturbi dell’umore
L’umore incide sulla percezione di sé, degli altri e dell’ambiente. I disturbi dell’umore possono
implicare alterazioni della sfera emotiva, cognitiva e psicomotoria è utile considerare due categorie
di disturbi dell’umore: i disturbi depressivi e quelli bipolari. I disturbi depressivi (unipolari) Sono
sintomi fisici che includono scarsa energia, stanchezza, rallentamento, agitazione, ritiro sociale,
trascuratezza del proprio aspetto fisico, pensieri suicidari. Il disturbo depressivo maggiore include
umore depresso, perdita di piacere di interesse e le attività abituali, perdita dell’appetito, insonnia,
pensieri di morte suicidio.si tratta di un disturbo episodico poiché i sintomi tendono a scomparire
dopo un periodo di tempo.il disturbo distimico presenta una sintomatologia attenuata; ci sembra
utile descrivere come nei disturbi bipolari la persona esprima i sintomi di maniacalità e di
depressione, la mania riguarda uno stato di forte esaltazione o irritabilità e durante l’episodio
maniacale l’individuo può produrre un flusso incessante di parole può diventare più socievole, o
invadente, sono presenti distraibilità e grandiosità. Il contenuto del pensiero è costituito da idee di
grandezza con iper valutazione delle proprie capacità intellettive fisiche.
Il disturbo bipolare I comprende un singolo episodio maniacale un episodio misto.
Il disturbo bipolare II, prevede almeno un episodio di depressione maggiore e almeno un episodio
di ipomania.
Il disturbo ciclotimico include sintomi frequenti ma deboli di depressione, alternati a sintomi di
lieve mania.
Nella genesi dei disturbi dell’umore ci sembrano implicati fattori biologici, psico-sociali e genetici.ci
sembra utile allora porre l’accento sulla relazione tra madre e bambino che si è carente può
determinare un senso di insicurezza sensibilizzare il soggetto alle separazioni e alle perdite,
incrementando di conseguenza la sua vulnerabilità depressiva.inoltre un modo di pensare
pessimistico, la visione negativa di sé e dell’ambiente possono contribuire all’istaurarsi di disturbi
depressivi.l’intervento educativo della persona che presenta disturbi bipolari dovrebbe considerare
la comprensione e la prevenzione degli stressor psico-sociali ai quali è sottoposta; in altre parole
dovrebbe aiutare il soggetto a valutare meno negativamente se stesso il mondo. Al suicidio si
associerebbero malattie come la schizofrenia, il disturbo borderline, disturbi alimentari, alcolismo.
Nel cercare di capire il fenomeno del suicidio ci sembra importante considerare i fattori
socioculturali che influenzerebbero la condotta suicidaria. Altri fattori che influenzano il suicidio
sono rappresentati da difficili condizioni sociali, povertà, isolamento, lutto, possono essere molte le
cause. L’intervento educativo può aiutare il soggetto ad incrementare le capacità di problem
solving a fargli vedere opzioni differenti a dissuaderlo dal mettere in pratica un atto distruttivo.
I disturbi d’ansia
L’ansia tende a riguardare una minaccia futura; la seconda, la paura è una reazione a un pericolo
immediato e quindi concerne una minaccia presente.i fattori culturali incidono sul rischio di
sviluppare un disturbo d’ansia ma anche gli aspetti biologici e cognitivi. Il modello psicodinamico
da Freud attribuisce un ruolo preminente nella genesi dei disturbi d’ansia, alla dinamica relazionale
connessa con l’esperienza di vita del soggetto. Bowlby evidenzia come l’assenza di un rapporto di
accudimento e di contenimento generi nel bambino in sicurezza e ansia che non gli consentirà di
fronteggiare la separazione. Ci sembra utile a questo punto esaminare le fobie. Consideriamo la
fobia come una paura accentuata e spropositata di una situazione di un oggetto. Abbiamo la fobia
specifica che riguarda ad esempio la claustrofobia, l’acrofobia (la paura dell’altezza). Poi c’è la fobia
sociale generata dalla paura dell’esposizione a persone non familiari al giudizio altrui e può
riguardare la maggior parte delle interazioni sociali (fobia sociale generalizzata) oppure può essere
di pertinenza in un’unica situazione sociale (fobia sociale specifica). Il disturbo d’ansia generalizzato
si caratterizza per l’ansia ad esempio per la salute, la situazione economica eccetera. Il disturbo di
panico è connotato da attacchi di panico con sintomi fisici, senso di depersonalizzazione, paura di
perdere il controllo, di impazzire e di morire. Parliamo di attacco di panico Situazionale quando è
legato alla situazione specifica mentre parliamo di attacco di panico inaspettato quando si
manifesta anche mentre l’individuo rilassato dorme. Il disturbo ossessivo-compulsivo che
consiste nella presenza di pensieri persistenti ad esempio, la paura di contaminarsi o nel bisogno di
reiterare di continuo comportamenti o azioni mentali per ridurre l’ansia provocata dai pensieri
ossessivi. Nel disturbo post traumatico da stress sembra presente una risposta estrema a un
evento traumatico che ha causato paura intensa, la persona ad esempio rivive spesso il trauma
richiama alla mente la situazione traumatica.
Crediamo che l’intervento educativo debba avere come obiettivo quello di sostenere l’utente nella
comprensione del proprio disturbo.
I disturbi somatoformi
In questi disturbi problemi psicologici si esprimono mediante sintomi fisici per i quali non sarebbe
individuabile alcuna causa organica. Il disturbo di somatizzazione si caratterizza per lamentele
somatiche ricorrenti e multiple per le quali viene richiesto di continuo l’aiuto medico. Tali sintomi
interferiscono a livello sociale e lavorativo. il disagio algico consiste nella presenza di un dolore
cronico e grave che limita la vita dell’individuo, l’oggetto della lamentela somatica è limitata al
dolore e non hai sintomi adesso correlati. Il disturbo da conversione che coinvolge sintomi
motori o sensoriali ad esempio improvvisa paralisi o cecità, l’ansia il conflitto psicologico rimosso si
convertono in sintomi. Nel disturbo da dismorfismo corporeo l’individuo prova una
preoccupazione intensa perché immagino esagera un difetto del proprio aspetto fisico. Possiamo
descrivere come ipocondria, la pervasiva convinzione di avere una grave malattia che persiste.
L’espressione del sintomo somatico sarebbe l’indicatore di un conflitto psichico interno.
I disturbi dissociativi
I disturbi dissociativi racchiudono psicopatologie connotate da un’alterazione delle funzioni della
coscienza, della memoria dell’identità. Freud sostenne che i contenuti mentali in accettabili esclusi
dalla coscienza, cioè rimossi rimangono attivi nell’inconscio e possono modificare l’attività mentale.
La funzione della dissociazione è quella di proteggere l’individuo dall’angoscia. Il paradigma
psicoanalitico attuale tende a evidenziare la rilevanza della dissociazione come meccanismo
difensivo rispetto ad eventi traumatici reali. La dissociazione consente così al soggetto di
distanziarsi da un evento traumatico, isolandolo dalla coscienza, il sè nel dissociato viene
mantenuto intero differenza della scissione. Nell’amnesia dissociativa psicogena la persona non è
in grado di ricordare esperienze traumatiche, l’informazione non viene persa ma non è recuperabile
per tutta la durata di amnesia che poi scompare inaspettatamente. Nei disturbi dissociativi non
sono presenti deficit della memoria implicita (esempio saper nuotare), mentre sono presenti deficit
della memoria esplicita (la capacità di ricordare a livello cosciente ciò che appartiene
all’esperienza). Nella fuga dissociativa psicogena l’amnesia è maggiore rispetto all’amnesia
dissociativa, l’individuo si allontana da casa, dal lavoro. Il disturbo dissociativo dell’identità
consiste nella consistenza nello stesso soggetto di due o più personalità, le varie identità sono in
genere piuttosto diverse, perfino opposte. In genere la personalità principale non ha
consapevolezza dell’esistenza delle altre, le transizioni da un’identità all’altra sono sovente
scatenate da stress psicosociale, le singole personalità possono presentare specifici disturbi
mentali. Il disturbo di depersonalizzazione altera la percezione e l’esperienza di sé, le esperienze
sensoriali.la persona l’impressione di muoversi come in un sogno in un mondo reale è un distacco
verso se stessi e il proprio corpo.
I disturbi di personalità
Possiamo definire la personalità come una modalità strutturata di comportamento, pensiero e
sentimento che deriva da aspetti biologici evolutive sociali. Il disturbo schizoide di personalità,
l’individuo non desidera e non tra i piaceri da relazioni sociali, l’interesse sessuale scarso. Alla base
del ritiro schizoide potrebbero esserci delle cure materne precoci molto carenti. Il disturbo
schizotipico di personalità e in cui l’individuo non desidera e non tra i piaceri da relazioni sociali,
interesse sessuale scarso, alla base del ritiro schizoide potrebbero esserci delle cure materne
precoci molto carenti. Il soggetto con disturbo schizzotipico di personalità appare isolato,
anaffettivo e a differenza di quello schizoide sono presenti paranoia o sospettosità, credenze strane
e pensiero magico, ricorrenti alterazioni percettive. Il soggetto con disturbo paranoide di
personalità è sospettoso in maniera pervasiva, si aspetta di essere sfruttata, ingannata e
danneggiata, di conseguenza si chiude in se stessa e tende a scorgere significati nascosti nelle
condotte altrui e dubita senza giustificazione della fedeltà del partner. La persona con disturbo
paranoide di personalità tende ad avere storie segnate da sentimenti di umiliazione e vergogna. il
disturbo borderline di personalità è difficile da trattare ed è associato a condotte suicidarie, le
emozioni possono cambiare bruscamente, impulsività e instabilità dell’umore, condotte impulsive
autolesive. Secondo Kernberg con esperienze infantili negative si sviluppa un Io instabile che è una
delle caratteristiche basilari del disturbo borderline di personalità. Consideriamo ora il disturbo
antisociale di personalità caratterizzato da violazione dei diritti altrui a partire da i 15 anni di età e
disturbo della condotta: editabile aggressivo, agisce in maniera impulsiva, non prova rimorso, non
considera i sentimenti altrui. Nel disturbo narcisistico di personalità sono presenti un’idea
grandiosa della propria importanza di eccessiva attenzione per la propria bellezza, un estremo
bisogno di ammirazione, assenza di empatia. L’individuo con disturbo narcisistico di personalità
maschera la sua debole stima di sé attraverso l’esteriorizzazione della propria importanza, tenta di
rafforzare il senso della propria autostima mediante la continua ricerca di approvazione da parte
degli altri. Il disturbo istrionico di personalità consiste in una condotta teatrale è drammatica di
continua ricerca dell’attenzione altrui mediante l’esibizione dell’aspetto fisico, possiamo ipotizzare
che la manifestazione della seduttività sia stata incoraggiata dalla seduttività genitoriale. Il
disturbo dipendente di personalità si incentra su scarsa autonomia, l’individuo a un intenso
bisogno di essere accudito ha difficoltà a prendere decisioni senza richiedere ad altri, necessita che
gli altri si assumono la responsabilità della maggior parte degli aspetti della sua vita, si percepisce
come debole e indifeso. Questo disturbo potrebbe essere ricondotto a problematiche di
attaccamento. Il disturbo evitante di personalità si manifesta con una forte riluttanza nell’entrare
in relazione con gli altri, potrebbe riflettere l’influenza di un ambiente in cui il bambino viene
insegnato a temere persone situazioni realtà innocue. Nel disturbo ossessivo-compulsivo di
personalità la persona estremamente attenta ai dettagli, l’organizzazione alle regole, a differenza
del disturbo ossessivo-compulsivo quello di personalità non presenta ossessioni e compulsioni.
L’educatore cercherà di comprendere il sistema affettivo che quasi sempre domina il soggetto
portatore di disturbi ed impedire che egli si senta solo.
I disturbi dell’alimentazione
Solitamente l’Alessia nervosa insorge in ritardo l’essenziale la bulimia nella tarda adolescenza nella
prima età adulta, i livelli di autostima sono associati alla matrice è la perdita di peso.similmente alle
persone anoressiche per le persone bulimiche la forma il peso corporeo sono estremamente
importanti per l’autostima. Molte teorie psicodinamiche dicono che la causa di disturbi alimentari si
concentrerebbe sulle relazioni disturbate tra genitore e figlio su alcune caratteristiche di
personalità. Il controllo sul corpo rappresenterebbe un disperato tentativo di acquisire un senso di
individualità ed efficace nelle relazioni e nella vita. L’esordio tardivo della bulimia nervosa in
concomitanza con separazione coniugale uscita dei figli adulti dalla famiglia potrebbe trovare una
spiegazione nella ricerca di Patton: l’autore ipotizza che l’abbuffata sarebbe una condotta difensiva
nei confronti dell’angoscia abbandonica.
I disturbi fittizi
I disturbi fittizi si riferiscono a condizioni mentali nelle quali il soggetto produce sotto controllo
volontario o simula sintomi psichici o fisici. Aggiungiamo la descrizione della sindrome di
Munchausen per procura.si tratta di una variante dei disturbi fittizi, nel senso che il Cargiver causa
ripetutamente danni fisici o patologie al figlio alla persona di cui si prende cura e si presenta con
grande preoccupazione al medico per i problemi di salute del soggetto che gli stesso danneggiato.
I disturbi psicofisiologici
Alcuni disturbi sono provocati o aggravati da fattori psicologici e dallo stress. Selye introdusse
l’espressione sindrome generale di adattamento per riferirsi alla risposta biologica è uno stress
fisico intenso e prolungato. In particolare nella prima fase fase di allarme lo stress è attiva il sistema
nervoso autonomo; nella seconda fase, fase di resistenza all’organismo cerca di adattarsi allo stress
attraverso i meccanismi di coping dei quali dispone; nella terza fase, fase dell’esaurimento
l’organismo soffre danni irreversibili o muore se lo stress persiste o se il corpo non è in grado di
adattarsi. Le ricerche hanno sottolineato come sia la modalità in cui l’ambiente viene valutato
percepito a determinare se un fattore di stress è presente o meno. Un soggetto ha uno stato di
stress quando stabilisce che ciò che gli viene richiesto è superiore alle sue abilità e alle sue risorse.
Se dunque lo stress genera delle conseguenze sia a livello psicologico sia a livello fisiologico d’altro
canto la reazione allo stress può essere considerata come una strategia di fronteggiamento, le
tecniche di coping. Il coping si riferisce infatti alle strategie attuate dal soggetto per far fronte allo
stress, è centrato sul problema quando l’individuo agisce per risolverlo e sull’emozione quando la
persona tenta di diminuire le emozioni negative. Il coping di Evita mento si verifica quando
l’individuo nega l’esistenza di un problema o non agisce.
I disturbi psicotici
Le psicosi si riferiscono a condizioni psicopatologiche caratterizzate dalla perdita del contatto con
la realtà. Inizieremo con la schizofrenia, la schizofrenia deteriora le capacità del soggetto in ambito
relazionale con conseguente isolamento sociale. L’esordio è collocabile tra i 20-25 anni. La
schizofrenia è preceduta da una fase prodromica, il soggetto riduce le relazioni interpersonali,
appare chiuso in se stesso, sono presenti insonnia, difficoltà di concentrazione, idee bizzarre. Il
soggetto è pervaso da un senso di vuoto, di angosce di insicurezze: nasce il delirio. La fase
prodromica porta a quella attiva in cui sintomi divengono deliri e allucinazioni. Segue infine la fase
residua in cui sono più evidenti ritiro sociale l appiattimento affettivo. I deliri esprimono
interlocutori interiori che sovrastano l’ego, si tratta di convinzioni sostenute nonostante vengano
contraddette dalle evidenze. Il contenuto dell’idea delirante può essere di persecuzione, di
riferimento. Nel delirio di controllo la persona crede che le azioni o il corpo vengono manipolati da
forze esterne. Nel delirio somatico per esempio la persona credi di avere gravi malattie infettive. Le
allucinazioni sono distorsioni della percezione, esperienze sensoriali in assenza di stimoli quelle più
frequenti sono uditive, visive, olfattive e gustative, ceneestetiche. I sintomi negativi della
schizofrenia includono deficit comportamentali come l’alogia, è un disturbo linguistico, la quantità
di linguaggio è povera oppure vaga e ripetitiva. L’abulia o apatia è un’assenza di energia.
L’anedonia è una perdita di interesse per piacere, la socialità, l’appiattimento dell’affettività che
riguarda l’assenza di espressione esterna delle emozioni. Nella schizofrenia i sintomi disorganizzati
si riferiscono al comportamento disorganizzato e all’eloquio disorganizzato. Il comportamento
disorganizzato e relativo alla perdita della capacità di organizzare la propria condotta e uniformarlo
alle norme. L’eloquio disorganizzato disturbo formale del pensiero si manifesta con l’incapacità
della persona di organizzare le idee e di parlare in modo coerente. Altri sintomi della schizofrenia
sui quali desideriamo soffermarci sono l’affettività inappropriata e la Catatonia. L’affettività
inappropriata si verifica quando le risposte emotive dell’individuo sono discordanti rispetto al
contesto. La Catatonia è un’anomalia motoria in cui l’individuo gesticola ripetutamente con
complessi e bizzarri movimenti degli arti. Sono presenti alcuni sottotipi della schizofrenia. La
schizofrenia di tipo paranoide: presenta deliri e allucinazioni uditive, l’eloquio non è disorganizzato.
La schizofrenia di tipo catatonico: sottolinea il deficit dell’attività motoria che può implicare posture
catatoniche(posture bizzarre), ecolalia(ripetizione a pappagallo di una parola). La schizofrenia di
tipo disorganizzato: si manifesta principalmente mediante eloquio disorganizzato e incoerente,
affettività appiattita.
Numerosi studi avvalorano la tesi secondo cui una predisposizione per la schizofrenia può essere
trasmessa per via genetica, nello sviluppo della schizofrenia lo stress psicologico ricoprirebbe un
ruolo determinante interagendo con fattori genetici e neurobiologici di notevole rilevanza anche i
rapporti madre figlio. È fondamentale che l’utente intraprende una corretta farmacoterapia e
fornire sostegno informazioni alla sua famiglia, un’appropriata psicoterapia individuale o familiare.
L’intervento educativo deve proporsi di insegnare alla persona come gestire le situazioni
interpersonali e nuovi comportamenti sociali. Oltre alla schizofrenia segnaliamo altre forme di
disturbo psicotico: il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizoaffettivo (include i sintomi della
schizofrenia i sintomi del disturbo affettivo), la psicosi breve, il disturbo delirante (dove
predominano deliri stabili). Individuo con disturbo delirante presenta alterazioni dell’umore in
particolari stati depressivi e ci sono diverse tipologie di questo: la tipologia somatica vado
parentesi tonda pensare di avere una malattia incurabile o parte del corpo deforme), la tipologia di
infestazione, tipologia di gelosia, tipologia erotomatica (invenzioni di essere amato da un’altra
persona), tipologia di grandezza, tipologia di persecuzione.
Ci sono due fasce di anziani i giovani vecchi tra i 65 e i 75 anni e appartengono alla terza età, i
vecchi vecchi che hanno oltre 75 anni fanno parte della quarta età. Nel corso dell’invecchiamento i
cambiamenti biologici incidono sullo stato psicologico della persona, tra le modificazioni
biologiche ci sono i cambiamenti a carico dei sistemi nervosi, respiratorio, muscolare, urinario,
genitale e digestivo. Tra i cambiamenti sociali annoveriamo le modificazioni della struttura familiare
e il pensionamento. Lo stato psicologico della persona può essere influenzato da eventi di vita
stressanti come le malattie. Secondo Montagnier gli elementi stressanti possono accelerare i
processi ossidativi che contribuiscono all’invecchiamento. Il vissuto della malattia nell’anziano è
connotato da un senso di inutilità e dalla paura di pesare sui familiari. L’anziano si trova a
fronteggiare i problemi di adattamento a causa della perdita della forza fisica del crescente rischio
di isolamento, il declino fisico della persona anziana è legato alle dimensioni del funzionamento
sensoriale, la forza muscolare, i sistemi di memoria, linguaggio. La perdita di efficienza fisica rende
l’anziano meno sicuro di sè. Come afferma Winnicott un ambiente facilitante così come sostiene la
crescita psicologica e fisica del bambino può in parte compensare la mancanza di autonomia e di
competenze che caratterizza la persona anziana. Le problematiche psichiche fisiologiche
dell’anziano aumentano se l’ambiente circostante sfavorevole, questo sottolinea l’importanza di
interventi educativi appropriati che possono concorrere a favorire una terza-quarta età serena. Se
l’io della persona anziana non è sufficientemente forte per fronteggiare le frustrazioni provenienti
dall’esterno e dall’interno appaiono segnali di disadattamento, stati di depressione e di abbandono
e con tendenza a lasciarsi andare oppure rifiuto del presente. Per quanto concerne l’adattamento il
disadattamento dell’anziano Erikson definisce come disperazione il venir meno del compito di
accettazione dei limiti della propria vita. Progettare un piano educativo implica individuare ad
Hawk le opportunità positive e vantaggiose per la vita dell’anziano, rinforzare l’immagine che
l’anziano ha di sé, che la società a di lui per restituire dignità sociale. È importante avere un
ambiente facilitante che risponde ai bisogni dell’anziano.
I modelli dell’invecchiamento
La teoria del disimpegno delinea un ritiro fisico, sociale e psicologico della persona anziana che
dedica le sue risorse residue alla protezione del proprio sé. Secondo la teoria dell’attività la persona
deve mantenere inalterati lo stile di vita gli interessi personali dalla maturità all’età senile. La
persona anziana continua ad essere impegnata in attività connesse ai vecchi o i nuovi ruoli. La
teoria della continuità pone in primo piano l’importanza di non cambiare stile di vita e di
mantenere una continuità con il livello di attività lavorativa, familiari e sociali. La teoria del
Successful aging (dell’invecchiare bene) si realizza con tre indicazioni strategiche: la selettività che
riguarda il bisogno di focalizzarsi su determinati ambiti delle proprie attività e competenze
maggiormente esercitate in passato, l’ottimizzazione delle capacità personali, la compensazione
che consente di controbilanciare le abilità non più presenti con sostegni provenienti dall’ambiente
esterno e con le proprie capacità ancora sufficientemente integre.
Prevenire il Burnout
Il burnout è una sindrome di esaurimento emozionale può presentarsi in soggetti che si occupano
della gente.
Il pericolo nel rapporto di aiuto e che si instauri una relazione priva di equilibrio instabile a livello
emotivo, risulta quindi importante distinguere i ruoli. Il processo di aiuto comporta il fattore
caratteristico del Burnout che lo stress sorge dalla interazione sociale tra l’operatore e il
destinatario dell’aiuto. L’esaurimento emozionale si verifica quando l’operatore eccessivamente
coinvolto a livello emotivo finendo con il sentirsi svuotato. La spersonalizzazione riguarda un
atteggiamento distaccato, freddo che può proteggere l’operatore dalla tensione del
coinvolgimento emotivo. Il sentimento di una ridotta realizzazione personale è connotato da sensi
di colpa per il modo in cui l’operatore ha trattato gli utenti, bassa autostima che possono sfociare
nella depressione. Il burnout è una risposta allo stress cronico quotidiano, diminuisce la tolleranza,
muta la modalità tramite cui individuo vede gli altri. Si propone la metafora del cortocircuito. Il
burnout nelle professioni di aiuto comprende tre fasi:
L’impatto dell’istituzione che controlla in parte l’operatore sulla forma e sul contenuto della
relazione di aiuto ha un ruolo determinante nel favorire o nell’ostacolare il Burnout. Il Burnout può
sorgere quando viene data più responsabilità di quanta ne possa gestire o con le relazioni alterate
con i colleghi o in contesti privi di armonia. I fattori esterni possono quindi alimentare il burnout
ma non sono gli unici responsabili della sua evoluzione. Occorre considerare anche i fattori interni
vale a dire le caratteristiche personali, le personalità arrischio dell’operatore sono: debole,
intollerante impaziente, fiducioso e poco ambizioso, ansioso, non in grado di controllare la
situazione, frustrato, rassegnato. L’esaurimento emozionale del burnout è spesso connesso al
deterioramento del benessere fisico e psicologico, per gestire questi sintomi fisici l’operatore può
indirizzarsi verso alcol, tranquillanti e droghe sentendosi ogni potente allo scopo di tenere a bada i
sentimenti di fallimento. A volte compare molto presto la connessione tra Burnout e abbandono
del posto di lavoro, un vantaggio rilevante dell’approccio preventivo all’individuazione precoce di
questo. Colleghi amici ed altri costituiscono il miglior sistema di allarme. Per combattere il burnout
il soggetto può ricorrere a strategie personali quali modificare il proprio stile di lavoro e prendersi
maggiormente cura di sé prevedendo delle pause. E necessario che la struttura al lavoro stabilisca
dei periodici controlli pre Burnout, controlli istituzionali con per esempio sondaggi. Esistono
strategie istituzionali per contrastare il burnout: ristrutturazione delle attività, una migliore divisione
del lavoro, modifica delle politiche istituzionali, flessibilità di permessi, miglioramento dei
programmi di formazione, servizi specifici e di consuelling. Si può affrontare poi in modo efficiente
nelle fasi di formazione degli operatori fornendo previsioni realistiche sul lavoro e motivare il
soggetto a prepararsi al meglio. Per superare, ridurre prevenire il burnout è basilare che ci sia
equilibrio tra operatore e utente né troppo coinvolto, né troppo poco.
CAPITOLO 9: lavoro di équipe importanza del gruppo