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PSICOPATOLOGIA

La psicologia clinica si occupa dello studio della persona nella sua globalità. Verranno
approfonditi strumenti utilizzati dall’operatore per la conoscenza dell’utente nei vari
contesti: colloquio come tecnica comunicativo relazionale e l’osservazione come strumento
di ricerca.l’educatore necessita di principi guida sulla natura del funzionamento del nome
sull’influenza dei contesti sociali.

CAPITOLO 1 La psicologia clinica nella pratica educativa: la psicologia clinica disciplina che si
occupa dello studio la persona nella sua totalità e che costituisce un indispensabile guida
nella prassi educativa

La genesi della psicologia clinica e i suoi ambiti di intervento: la psicologia clinica è la


dimensione applicativa di tipo clinico della scienza psicologica che si esprime con interventi di tipo
Psico diagnostico e di aiuto psicologico. Il vocabolo clinica dal greco cline originariamente
significava letto e si riferiva alle attività svolte dal medico a letto del malato. Pertanto sin dal suo
significato originario, la psicologia clinica ingloba la sofferenza la malattia con il fine di avvalersi di
competenze e metodologie psicologiche per fornire assistenza e sostegno gli individui. Come vera
e propria disciplina scientifica nasce nel 1879 con Wundr negli Stati Uniti Breuer e Freud
pubblicano a Vienna studi sull’isteria e viene inaugurato

Il primo dottorato di ricerca in psicologia clinica nel 1896 da Witmer che propone l’uso del metodo
clinico basato su studi di laboratorio. Nel XX secolo la psicologia clinica si è evoluta fino a
raggiungere una grande diffusione dopo la seconda guerra mondiale si avvale di alcuni canali di
informazione, quali quelli derivanti dall’informazione verbale (informazioni fornite dalla persona nel
corso di un colloquio, di un’intervista) e dall’osservazione diretta della condotta Dell’individuo
(informazioni provenienti dalla comunicazione verbale durante il colloquio). Un’attenzione
particolare merita la stanza di consultazione vale a dire il setting o meglio la situazione, dovrebbe
rappresentare un ambiente nella cui atmosfera l’utente dovrebbe sentirsi accolto e contenuto,
dovrebbe facilitare la conoscenza. Le fondamentali tipologie di intervento:
-La psicoterapia è un intervento professionale rivolto ad un individuo, una coppia, un nucleo
familiare, un gruppo di persone, finalizzato a raggiungere un cambiamento nei loro funzionamento
mentale, è una prestazione riservata a medici e psicologi e implica di risolvere disagi soggettivi e
interpersonali e il miglioramento di uno stile di vita.
-La consulenza psicologica prevede di aiutare un sistema sociale scuola, clinica, comunità ad
acquisire conoscenze abilità indirizzate al cambiamento del sistema sociale stesso. L’intervento di
consuelling consiste nel creare una condizione spazio temporale nella quale sia possibile durante la
seduta con il cliente incontrarsi e conoscersi. Il consuelling è un intervento psicologico finalizzato a
migliorare il benessere dell’individuo mai possibile un suo utilizzo anche da parte di altre figure
professionali senza formazione specifica in campo psicologico. L’educatore ad esempio attraverso
questo non si pone obiettivi psicologici terapeutici o curativi ma cerca soluzioni a problemi di vita e
situazioni di normalità.

Per chiarire ulteriormente la distinzione tra consuelling psicoterapia si possono evidenziare alcune
differenze: il primo in genere si pone obiettivi più circoscritti e definiti raggiungibili in un tempo
relativamente breve e sono collegati a difficoltà o conflittualità evolutive. Nella psicoterapia gli
obiettivi possono essere molto più diversificati più ambiziosi e mirare a cambiamenti significativi e
duraturi. Solamente la psicoterapia può affrontare problematiche connesse con la psicopatologia
mentre la consultazione per definizione, si colloca nel campo della normalità.ambedue i tipi di
intervento comprendono le seguenti fasi:

1 fase preliminare (accettazione o non accettazione del caso).nel caso della psicoterapia, il
professionista valuta la propria capacità in relazione alla natura dei bisogni dell’utenza. Nel caso
della consulenza esamina e verifica quanto e come le proprie competenze siano idonee.

2 fase di avvia della relazione. Dopo l’accettazione del caso il professionista sia nella psicoterapia
che nella consulenza si attiva per poi stabilire un’appropriata relazione.

3 fase di valutazione.nel caso della psicoterapia il clinico attraverso il colloquio o l’intervista,


l’osservazione i test psicologici raccoglie i dati necessari.

4 fase di individuazione delle finalità. Sia nella psicoterapia che nella consultazione le finalità
dell’intervento possono essere sviluppate progressivamente.

5 fase dell’intervento vero e proprio. La frequenza e la durata dell’intervento, i tempi luoghi


dipendono dal programma del professionista dell’utente.

6 fase finale. Il processo migliore per arrivare alla conclusione implica che entrambi, clinico e
utente, collaborino nel prendere tale decisione. I problemi di separazione sono meno considerevoli
nel caso della consulenza.i motivi che convincono il clinico a terminare il lavoro riguardano la
valutazione dell’efficacia del suo intervento.

Gli interventi possono essere individuali, di gruppo, sull’ambiente e sulla comunità.


Negli interventi individuali clinico presta aiuto a una sola persona, la psicoterapia individuale può
assumere le seguenti forme:

-Psicoanalitica: secondo tale approccio l’obiettivo mette in primo piano la maturazione del proprio
sé e della propria identità, l’intervento rende consci emozioni, sentimenti vissuti dal paziente nel
passato vuole consentire al paziente la libertà di elaborare e sentire intravedere soluzioni
alternative.

-Relazionale: il modello si avvicina a quello della psicoanalisi e mette in primo piano il gioco delle
emozioni che si sperimentano nella relazione terapeutica.

-Psicoterapia del gioco con i bambini: si basa sull’assunto che attraverso il gioco il bambino può
esprimere le proprie emozioni.

-Centrata sul cliente: il terapeuta ponendosi in una condizione di parità ascolta attivamente senza
pregiudizi, si propone di facilitare il processo di crescita, l’auto adattamento e la
responsabilizzazione del soggetto.
-Esistenziale: lo psicoterapeuta esistenziale opera dando sostegno di empatia, lo scopo principale è
quello di rendere più consapevole il paziente delle sue potenziali capacità e di favorire assunzione
di responsabilità.

-Gestalitica: l’individuo e l’ambiente rappresentano un unico ecosistema interagente, che si


autoregola e cresce funzione di ogni elemento che ne fa parte.l’approccio gesta litico si occupa
soprattutto di osservare e verificare la consapevolezza del processo dei pensieri, dei sentimenti e
delle azioni di un individuo, prestando maggiore attenzione al cosa e a come piuttosto che al
perché di un’azione di un comportamento.

-Sulla crisi: gli interventi sulla crisi sono di breve durata vengono utilizzati nelle situazioni di
emergenza (morte, divorzio).

-Comportamentale: il terapeuta comportamentale vuole aiutare il paziente a modificare i suoi


comportamenti o sintomi problematici.

-Cognitiva: si propone di modificare i comportamenti sentimenti dell’individuo trasformando nei


pensieri.

-Cognitivo comportamentale: è finalizzato a modificare i pensieri distorti, le emozioni disfunzionali


e comportamenti disadattiva dell’individuo portando alla riduzione eliminazione del sintomo.
L’intervento si propone di individuare e definire il tipo di pensiero che accompagna le emozioni
negative.negli interventi di gruppo il clinico cerca di aiutare ciascun partecipante impiegando il
gruppo come agente di cambiamento, i partecipanti a un gruppo osservandosi ascoltando si
possono imparare molto su se stessi. Gli interventi possono essere di diverso tipo.
-Coppie famiglie: i disagi psicologici possono essere radicati nei conflitti familiari risolti, il clinico
può vedere l’intera famiglia con un singolo gruppo (terapia congiunta) oppure separatamente
(terapia parallela), oppure i problemi vengono discussi da un solo membro (terapia individuale). La
strategia di intervento prevede che il clinico mostra le dinamiche dei sentimenti di ciascun membro
familiare e aiutarli vedere i blocchi comunicativi, si mira a favorire l’attuazione di relazioni più
positive tra i componenti.
La prospettiva psicodinamica attribuisce importanza ai conflitti risalenti al precoci esperienze
familiari, implica che il clinico aiuti i componenti della famiglia ad esplorare i ricordi sentimenti.
La prospettiva comportamentale prevede che il clinico con regale disfunzioni familiari
aumentando i rinforzi positivi dei componenti familiari.
-Gruppi psicoterapeutici offrono la possibilità di ascoltare e discutere i propri sentimenti sia positivi
che negativi, permettono ai soggetti di osservare e comprendere i propri pattern relazionali.
L’osservazione delle interazioni altrui permette di ricavare importanti feedback su se stessi.
Gli interventi sull’ambiente sulla comunità si prefiggono di lavorare con un gruppo che condivide il
medesimo ambiente di vita con l’obiettivo di creare un luogo migliore dove vivere.
2. Colloquio educativo

Il colloquio costituisce una costante relazionale nell’ambito educativo ai fine di fare emergere le
risorse della persona aumentare la consapevolezza di sé, il grado di autonomia e di integrazione
sociale. Franza distingue le condotte relazionali dell’educatore in dimensione di controllo,
dimensione emozionale dimensione di congruenza-trasparenza-autenticità. La dimensione di
controllo prevede alcune condotte dell’educatore:
-Autorevoli: quando l’educatore instaura una buona relazione basata sul rispetto vicendevole dei
propri ruoli delle proprie competenze, costruisce un clima di vicinanza attiva la partecipazione la
collaborazione con l’altro.
-Autoritaria: le regole sociali e istituzionali vengono imposte rigidamente e le eventuali
trasgressioni vengono punite; viene assunta una posizione di distacco e di superiorità nei confronti
dell’utente viene negata la comunicazione.
-Antiautoritarie: tali condotte si hanno quando l’operatore educativo si pone in modo simmetrico
con l’utente, evita il conflitto, non si assume la parte di responsabilità della relazione educativa
detta del proprio ruolo.
La dimensione emozionale si riferisce alla componente socioaffettiva dell’educatore è dipendente
dal grado di maturità psichica conseguita. Invece la dimensione di congruenza-trasparenza-
autenticità riguarda la capacità comunicativa dell’operatore educativo che dovrebbe essere:

-Congruente: è presente una correlazione tra le esperienze, l’educatore in grado di comunicare il


proprio punto di vista.
-Trasparente: l’educatore rende nota la situazione educativa gli individui coinvolti nel progetto di
intervento.
-Autentica: l’operatore educativo si mostra responsabile nello svolgimento del suo ruolo dovrebbe
impiegare contenuti relazione agli scopi della presa in carico educativa.
Gli ambiti di intervento dell’operatore educativo sono i progetti di vita dei soggetti il loro
adattamento cognitivo sociale relazionale alla realtà.

Il colloquio educativo comprende le seguenti fasi:


1 la preparazione dell’incontro: l’educatore predispone un ambiente funzionale.
2 l’accoglienza: messaggi di accoglienza, l’educatore si dovrebbe presentare e chiarire il proprio
ruolo.
3 la focalizzazione: si propone di circoscrivere il bisogno alla base potrebbe essere una buona idea
lasciare la parola l’utenza.
4 l’approfondimento: mira definire il problema, le strategie e le risorse idonee per la loro soluzione.
5 è auspicabile fare una sintesi di ciò che è emerso, si comunicheranno poi le decisioni prese in
termini progettuali e l’eventuale invio altre figure professionali.

A seconda degli obiettivi dell’intervento, i colloqui educativo può essere distinto in:

-Colloquio di consulenza: l’educatore consente all’utente di confrontarsi sulle rappresentazioni


della situazione ritenuta problematica.
-Colloquio di progettazione: atti a ricostruire la storia definire le ipotesi, le finalità per il
conseguimento dello scopo generale.
-Colloquio di sostegno: l’operatore educativo sostiene gli utenti.
Nella gestione dei colloqui educativo ci sembra basilare che l’educatore si ponga in una posizione
di ascolto attivo l’ascolto attivo può facilitare la comunicazione la relazione reciproca, ascoltare
attivamente implica dare vita a un processo di feedback.

3. L’osservazione dei contesti educativi

E lo osservazione dovrebbe accompagnare stabilmente la realizzazione del progetto; tutti i membri


del gruppo di lavoro contribuiranno con i loro diversi punti di vista alla descrizione della situazione.
L’osservazione e quindi un atto conoscitivo si propone di acquisire le informazioni. Se viene svolta
mediante procedimenti strutturali, controllati e replicabile obiettiva viceversa se è esposta al rischio
della soggettività e delle distorsioni non consente una rilevazione del tutto in parziale la realtà. È
importante la scelta del contesto in cui l’osservazione viene effettuata l’osservatore può scegliere di
avere il massimo grado di controllo ovvero un’osservazione in laboratorio, al contrario
l’osservazione si definisce naturalistica quanto avviene nell’ambiente naturale.occorre precisare che
il cambiamento di una determinata condotta di un soggetto può essere attribuito al fatto di essere
osservato: si parlerà in questo caso di reattività di un comportamento. La reattività può essere
contrastata attraverso alcune tecniche: il prolungamento delle osservazioni, osservare senza essere
visti, lasciare che i soggetti da osservare familiarizzino con la presenza dell’osservatore,
l’osservatore maschera che cosa sta osservando ad esempio si dice a genitori che si osserva gioco
del bambino mentre si osserva anche il Cargiver. Le osservazioni possono essere dirette cioè
condotte dal vivo o video registrate. La durata e la frequenza sono variabili, è possibile utilizzare i
seguenti metodi:

-l’osservazione diaristica, a intervalli giornalieri perlopiù regolari


-Il campionamento temporale a intervalli intermittenti.
-La descrizione campione: arco di tempo abbastanza lungo

Ci sono tre modalità di osservare:


-L’osservazione partecipante quando vi è il coinvolgimento dell’osservatore nel contesto.
-L’osservazione è distaccata quando l’osservatore distante
L’osservazione è critica quando l’osservatore interviene in modi e tempi opportuni.

4. Le competenze psicologiche dell’educatore

La figura dell’educatore nel mondo classico è colui che è dedito all’istruzione alla guida dei
fanciulli, educare significa gestire l’esperienza assimilata, crescere le conoscenze facilitare i
cambiamenti, mutamenti evolutivi.l’educatore deve collaborar e con lo psicologo clinico per
raggiungere finalità comuni. L’educazione è un processo che guida tutta la vita, l’educatore
dovrebbe far emergere le potenzialità del soggetto e giungere a un cambiamento della condizione
problematica renderlo consapevole del proprio stato. Nell’affrontare situazioni disfunzionali
professionista si assume la responsabilità di programmare e gestire un intervento con
consapevolezza. L’educatore deve identificare la presenza di dinamiche relazionali nei diversi
contesti: famiglia, gruppo, comunità. La famiglia costituisce il principale sistema di riferimento del
soggetto, l’operatore Deve conoscere la situazione e le dinamiche familiari e comprendere le
regole del nucleo familiare. Si potrebbe definire il gruppo come il contesto nel quale il soggetto
appaga il proprio bisogno di appartenenza. Si rivela fondamentale per l’educatore in fase di
progettazione dell’intervento conoscere dinamiche che si strutturano nel gruppo. La comunità è
per l’individuo un ulteriore spazio di azione relazionale nell’integrazione tra il soggetto e l’ambiente
sociale. Relazione e comunicazione sono elementi essenziali dell’azione educativa. L’la relazione tra
operatore educativo e utente affinché risulti efficiente deve avere finalità ben definite, la capacità
comunicativa è una competenza basilare dell’educatore. La percezione di onnipotenza e quella di
impotenza andrebbero contrastate perché disfunzionali alla relazione. In sintesi potremmo dire che
l’educatore struttura la relazione educativa, sceglie gli strumenti tecnici per l’intervento di aiuto,
individua le modalità di azione che permettono il conseguimento degli obiettivi.
CAPITOLO 2: le teorie della psicologia clinica nel percorso educativo.

L’importanza dell’inquadramento teorico nell’attività educativa: la scelta di uno specifico


modello teorico serve a determinare il piano interpretativo all’interno del quale porre l’evento
psicologico.gli educatori necessitano di principi guida, l’orientamento teorico è un supporto che
permette di prevedere determinate condotte cosicché il professionista può essere in grado di
anticipare le problematiche, i bisogni, le potenzialità degli utenti; presentiamo i principali modelli
teorici.

2. Le teorie della personalità

Consiste nella comprensione della persona nella sua totalità. La personalità si costruisce
gradatamente durante lo sviluppo mediante le interazioni con l’ambiente sociale e culturale. I
fattori di rischio riguardano situazioni avverse che possono essere:
-transitori cioè stati di difficoltà e di stress a breve termine ad esempio problemi di salute, periodi
di disoccupazione.
-Continuativi, cioè fattori che influenzano fortemente le condizioni di vita ad esempio disagi
inerenti al contesto di vita della famiglia deficit fisici.
E i fattori protettivi sono elementi di sostegno per la persona.
La conoscenza delle teorie della personalità permette agli educatori di interpretare le
problematiche dell’utente e a conoscere le aree del funzionamento degli utenti che sono: l’area del
processo, che si riferisce ai fattori processuali, l’area della struttura che riguarda gli elementi più
stabili e durevoli, l’area dello sviluppo, l’area della psicopatologia, l’aria del cambiamento.
Le principali teorie della personalità sono: l’autorealizzazione, l’apprendimento sociale e la
psicodinamica.

Le teorie dell’autorealizzazione mettono l’accento sui tentativi degli individui di aprirsi alle varie
esperienze.secondo quanto affermato dalla teoria dei bisogni di Maslow lo sviluppo del massimo
potenziale è reso possibile solo se viene soddisfatta una serie di bisogni; bisogni carenziali,
fisiologici di sicurezza, di apparenza e amore, di stima, di autorealizzazione.
L’approccio centrato sul cliente di Rogers sostiene che tutte le persone sono motivate a
migliorare se stessi e possiedono le potenzialità per farlo. Secondo Rogers e lo psicoterapeuta
dovrebbe possedere due qualità fondamentali: congruenza di empatia. Ogni uomo ha una propria
tendenza all’autorealizzazione definita tendenza attualizzante. Secondo Rogers un’altra virtù di un
valido psicoterapeuta è offrire un’accettazione positiva incondizionata.
Le teorie dell’apprendimento sociale infatti enfatizzano lo studio del soggetto nel contesto in cui
vive, secondo bandura ai fini del benessere è importante la percezione che un soggetto a te la
propria capacità di confrontarsi con le provi le sfide della vita, autoefficacia percepita.
Le teorie psicodinamiche focalizzano l’attenzione sulle strutture psichiche il loro funzionamento.
Per il buon funzionamento della persona risultano fondamentali armonia interiore e la capacità di
instaurare relazioni.

3. La prospettiva psicodinamica
L’espressione psicodinamica risale alla fine dell’ottocento si riferisce ad un insieme di fenomeni
riconducibili a fattori psichici di funzionamento della persona e non direttamente a disfunzioni
organiche o del sistema nervoso. La visione psicodinamica viene condivisa da numerose
prospettive teoriche, consideriamo tra le principali la teoria dell’attaccamento di Bowlby
secondo cui il soggetto è motivato da spinte interne alla costruzione di legami affettivi con le
figure significative apparenti nel suo contesto di crescita. La teoria dell’attaccamento privilegia le
indagini Basate sull’osservazione diretta del bambino. Sia per Bowlby che per Freud e e centrale
l’idea che l’esperienza infantile non vada perduta, Freud sia interessato al mondo interno del
bambino invece Bowlby attenzione sul mondo relazionale esterno postulando l’ipotesi
fondamentale che lo stringere legami emotivamente significativi è un comportamento istintivo che
svolge una funzione primaria di sopravvivenza e di adattamento all’ambiente circostante, la
socialità è un bisogno primario. Il legame di attaccamento è una relazione stabile che si instaura tra
il bambino e la persona adulta che si prende cura di lui sin dalla nascita, il fine dell’attaccamento e
di cercare la vicinanza con l’adulto soprattutto nelle situazioni di pericolo, da ciò deriva un
sentimento di sicurezza nel bambino. Il concetto di base sicura e la base da cui un bambino parte
per esplorare il mondo e a cui può fare ritorno in ogni momento di difficoltà. Nell’interazione il
bambino costruisce i modelli operativi interni che consistono in una rappresentazione di sé,
dell’altro della relazione. La funzione di questi modelli operativi interni nel bambino è quella di
organizzare le conoscenze acquisite di sé ed è la figura di attaccamento per poter pianificare il
proprio comportamento sulla base della previsione delle probabili risposte degli altri alle sue
azioni. Essi influenzano percezioni, pensieri, sentimenti tutta la personalità dell’individuo. il
bambino, quindi, costruisce rappresentazioni mentali che funzionano come modelli, mappe di
comportamento nel corso dello sviluppo e tendono ad essere stabili nel tempo. L’educatore
attraverso il suo intervento può promuovere un cambiamento nella riorganizzazione nella
modificazione degli stili relazionali dell’individuo per il miglioramento della qualità di vita. La teoria
Freudiana di Freud ritiene che il bambino piccolo tende alla gratificazione dei bisogni di cibo, di
contatto e di calore. L’apparato psichico viene tripartito da Freud in: l’inconscio che riguarda
pensieri e sentimenti rimossi, non è in grado di accedere alla coscienza. Il preconscio può
diventare inconscio poiché non è ostacolato dalla coscienza. il conscio si riferisce a ciò di cui un
soggetto è consapevole. Nella seconda topica Freud descrive la mente come composta da tre
strutture: es, io e super io. L es è la sede delle pulsioni, la dimora di desideri innati e vuole
soddisfazione immediata opera in particolare nei sogni e nelle condotte impulsive. L’ io è il
meccanismo di adattamento alla realtà richiama alla mente eventi passati è il mediatore tra mondo
interno (es) il mondo esterno. Le minacce derivanti dall’Es e dall’ambiente procurano angoscia;
quando l’angoscia così forte da intimorire l’io subentrano i meccanismi di difesa generando
distorsioni della realtà e consentono un soddisfacimento parziale delle pulsioni ricordiamo per
esempio la riflessione, la rimozione, la proiezione e la formazione reattiva (agire in modo contrario).
Il super io si sviluppa gradualmente nel bambino mediante l’interiorizzazione dei valori, divieti,
norme. La sua funzione è l’autocritica, la coscienza morale, la costruzione di ideali, il super io agisce
in modo sostanzialmente inconscio reprimere emozioni e contrasta L’io e l’Es.m, esso ambisce alla
perfezione. Secondo Freud lo sviluppo della personalità di base avviene mediante stadi
Psicosessuali. A ciascuno stadio definito in relazione alla parte del corpo su cui sono centrate le
emozioni. Oggi noi pensiamo che più verosimilmente l’io o sistema nervoso centrale debba
contattare e gestire molti più interlocutori interni e non solo tre, i tanti interlocutori potrebbero
corrispondere ad altrettanti incontri significativi. Tali esperienze sensoriali si assumono il ruolo di
stimoli guida e si identificano come la base della vita affettiva. Freud trascura affetti emozioni. Oggi
giorno gli psicoanalisti al fine di migliorare la cura dei pazienti sono sempre più convinti che sia
vincente il metodo clinico che utilizza il riconoscimento analitico delle emozioni, l’ascolto empatico
del paziente del proprio controtransfert. La teoria psicosociale dello sviluppo di Erikson a
modificato la teoria Freudiana , Eriksson afferma che il bambino tenta di sviluppare un senso di
fiducia negli altri e quando il bambino sperimenta fallimenti si formeranno degli schemi cognitivi
che avranno ripercussioni a livello evolutivo. In ciascuno degli otto stadi del ciclo vitale da lui
descritti a luogo una crisi psicologica:

1 fiducia-sfiducia (zero-un anno), dipende dal soddisfacimento dei bisogni fondamentali


2 autonomia-vergogna o dubbio (1-3 anni), acquisizione di una maggiore indipendenza in termini
di autocontrollo o senso di vergogna o dubbio sulla propria capacità di essere autonomo.
3 iniziativa-senso di colpa (3-5 anni), nascita del senso di sé come persona e tentativi di
indipendenza o senso di colpa.
4 industriosità-inferiorità (6-11 anni), costruzione di un’identità sessuale o dispersione per
mancanza di integrazione dei propri ruoli.
5 identità e rifiuto-dispersione di identità (12-20 anni), ricerca della vicinanza con persone
affettivamente importanti o Evitamento isolamento sociale.
6 intimità e solidarietà-isolamento (20-40 anni), ricerca nella vicinanza con persone affettivamente
importanti o Evitamento isolamento sociale.
7 generativita-stagnazione o autoassorbimento (40-65 anni), preoccupazione di creare la
generazione successiva e interesse per gli altri o interesse concentrato sul se.
8 integrità-dispersione (oltre i 65 anni), accettazione della propria vita o disperazione per gli
obiettivi non conseguiti, confusione.
Con il trascorrere del tempo la corrente psicoanalitica è stata oggetto di revisioni che hanno posto
l’accento sull’importanza di prendere in considerazione le capacità relazionali. L’accento posto
sull’interazione tra istanze interni ed esterni ha dato vita alla teoria delle relazioni oggettuali. La
costruzione del sé, secondo tale paradigma si delinea sin dall’inizio della vita dell’individuo sulla
base delle relazioni, Winnicott focalizza l’attenzione sulla rilevanza della relazione madre bambino
per lo sviluppo nei primi due anni di vita: il concetto di holding indica la situazione di
contenimento mentre quello di Handling si riferisce al maneggiamento che può aiutare il bambino
ad apprendere i codici comunicativi; il concetto di object presenting riguarda i modi tramite i quali
una madre può insegnare al bambino la conoscenza degli oggetti della realtà.la doppia
dipendenza (dipendenza senza sentirsi dipendente) e la capacità di quest’ultima di agevolare la
creazione di uno spazio illusorio in cui la mente del piccolo può esercitarsi tra il mondo dei suoi
oggetti interni e la realtà. Un buon equilibrio materno porta il bambino ad essere confortato dalla
presenza di un mondo di illusioni e successivamente incoraggiato ad abbandonarlo. La madre
partecipa al mondo illusorio del bambino gli offre modalità di accettare la realtà, funzione di
Rêverie. Winnicott utilizza il concetto di oggetto transizionale: i bambini dai sei mesi ai due anni
hanno un oggetto particolare ad esempio un orsacchiotto e con la prolungata intrusione di una
madre di un ambiente che ostacola il mondo illusorio del bambino, il bambino perde il contatto
con il suo sè, con il suo mondo interno: si instaura cioè un falso sè. D’altra parte, non sembra facile
creare costruire un senso di sé autentico.

4. Il paradigma cognitivo costruttivista.


L’approccio cognitivo costruttivista si focalizza principalmente sugli aspetti della conoscenza
personale, cioè sulle modalità tramite le quali ogni individuo rappresenta il mondo. Tale
prospettiva evidenzia come le rappresentazioni soggettive della realtà costruite da ciascuno
corrispondono a specifici processi individuali, è basilare la ricostruzione da parte dell’utente della
funzione dei sintomi.

5. Il modello sistemico
Dal punto di vista psicologico un sistema è un insieme di persone in relazione tra loro, nel passato
lo studio del comportamento umano veniva studiato ricercando le cause all’interno del corpo della
psiche umana. Con l’approccio sistemico si pone invece l’attenzione e non su ciò che succede
all’interno della mente ma sulle relazioni che ogni individuo instaura, l’individuo fa parte di una
serie infinita di sistemi in ognuno dei quali assume dei ruoli e comunica, costruisce una rete di
relazioni significative. Un sistema necessita una riorganizzazione, basti pensare ai cambiamenti che
emergono in famiglia, le relazioni familiari evolvono fino al raggiungimento di un nuovo equilibrio.
Il sistema cresce e si sviluppa, ogni comportamento acquista un suo significato solo se analizzato
all’interno del contesto in cui si manifesta. un comportamento problematico non è più del singolo
individuo ma frutto di una disfunzionalità relazionale dell’intera famiglia. L’intervento prevede
l’osservazione del contesto, l’educatore non si colloca come esterno al sistema ma partecipa la
costruzione del sistema che sta osservando. L’intervento si propone di originare un contesto
all’interno del quale i cambiamenti siano resi possibili, è possibile ridefinire il contesto stesso.

6. Metafore dell’operare educativo


1 l’attività educativa si svolge all’interno di una situazione psicologica. Gli interlocutori dialogano
come se fossero in un teatro, l’educatore similmente a regista assume un ruolo dinamico degli
attori sono gli utenti. Le esperienze vissute all’interno del contesto familiare scolastico eccetera
possono rappresentare incontri significativi, alcuni possono essere ostacoli nella costruzione dei
successivi. Ipotizziamo si costruiscono allora teatri mentali che condizionano la vita futura degli
utenti.

2 l’attività educativa è un viaggio. L’attività educativa è paragonabile un viaggio che l’educatore


l’utente intraprendono insieme, l’operatore accompagna nel percorso educativo.

3 l’attività educativa è conoscenza del sé dell’utente. Il professionista si propone come una figura di
supporto.

4 l’attività educativa è uno spazio psichico di libero movimento. L’educatore dovrebbe attuare con
l’utente un percorso personale che faciliti in quest’ultimo la scoperta della propria autostima, delle
proprie qualità e potenzialità, che accresca libertà e creatività come conseguenza di un pieno
accesso alle proprie risorse.

CAPITOLO 3: la conoscenza della psicopatologia nel processo educativo

1. La psicopatologia: i concetti chiave per le professioni di aiuto

Per le professioni di aiuto è utile un’approfondita conoscenza del funzionamento mentale normale
e patologico, in altre parole di alcuni concetti chiave della psicopatologia che permettono di
riconoscere precocemente segnali di disagio.

Definizione di psicopatologia il disturbo mentale: la scelta del modello teorico, del paradigma di
riferimento definisce ciò che è normale o patologico. La psicopatologia è lo studio sistemico
dell’esperienza delle cognizioni e dei comportamenti abnormi e indaga il funzionamento anormale
delle attività della psiche. Ma cosa si intende per anormalità psichica? Il concetto di anormalità
psichica è andato evolversi nel corso della storia, il comportamento anomalo veniva considerato il
segno dello sfavore degli dei o della possessione demoniaca. Nel V secolo a.C. Ippocrate, sottrai la
medicina alla sfera della religione, con la teoria della somatogenesi secondo la quale disturbi del
soma potevano essere considerati come cause dei disturbi del pensiero e dell’azione. Il disturbo
psichico entrava quindi ufficialmente nel campo medico. Definire che cosa sia il comportamento
patologico è una delle sfide più grandi che gli studiosi di psicologia clinica si sono trovati ad
affrontare nella storia, vi sono alcuni modelli teorici principali che definiscono, descrivono e
analizzano il disturbo mentale secondo prospettive diverse:
-Modello organogenetico: il disturbo mentale è descritto analizzato secondo il modello meccanico
di malattia.
-Modello sociogenetico: il disturbo psichico è descritto analizzato come reazione sana ad una
società malata.
-Modello Psicogenetico (psicoanalitico, comportamentisti, cognitivista, sistemico). Il disturbo
psichico è descritto dal modello psicoanalitico come esito di un conflitto psichico tra istanze
contrapposte, è descritto dal modello comportamentisti co come comportamento inadeguato
frutto di un processo di apprendimento e dal modello cognitivista come la conseguenza
dell’attivazione di un sistema che modifica la processazione delle informazioni; dal modello
sistemico come un deficit di adattamento.
-Modello biopsicosociale: in questo modello viene attribuita uguale importanza ai fattori biologici,
psicologici e sociali nel determinare il disturbo mentale. In generale la definizione di un
comportamento patologico prendi considerazione diverse caratteristiche tra cui infrequenza
statistica del comportamento (il fatto che non sia statisticamente rappresentato data popolazione),
la devianza delle norme sociali, il disagio individuale, l’incapacità o disfunzione nello svolgere una
qualche attività. I criteri comunemente usati per definire un comportamento patologico sono
numerosi e nessuno di essi, isolatamente, può portare ad una diagnosi di psicopatologia,
ritroviamo:
-La ricerca di aiuto: criterio poco funzionale rappresenta un indicatore parziale.
-Irrazionalità-pericolosità: un comportamento irrazionale fuori controllo non sempre indicatore di
psicopatologia.
-Devianza è considerato infallibile questo criterio, la salute mentale viene fatta coincidere con la
convenzionalità e nemmeno questo è un parametro assoluto.
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) tende a considerare come disturbo
ciò che è definibile da qualsivoglia sindrome comportamentale negativa, c’è bisogno di posizione
intermedia che riconosca la realtà di alcune condizioni mentali non classificabili come disturbi.i tre
criteri descritti possono fungere da utili indicatori di psicopatologia ma presentano grossi limiti. Tra
i criteri più utili per definire e identificare un disturbo mentale ritroviamo invece il distress
emozionale, cioè la sofferenza emozionale dell’individuo, può avere un notevole potenziale
orientativo. Infine, tra i più utili vi è il criterio del danno significativo ad alcune funzioni della
persona.

Il continuum normalità-patologia: oggi gli psicologi sono molto più prudenti nell’individuare una
netta linea di demarcazione tra malattia e salute mentale, Fulcheri definisce alcune condizioni che
può sperimentare l’individuo in un continuum dalla normalità alla patologia. La condizione di
benessere psichico, la condizione di disagio psichico, la condizione di malessere psichico, la
condizione di disturbo psichico (quando il soggetto non trova risoluzione alla sofferenza
accompagnata da sintomi clinici o alterazioni del comportamento), condizioni di malattia mentale
cronica (quando perdurano nel tempo). In primo luogo occorre dire che permane un’area di
conflitto psichico anche all’interno della persona considerata sana. Una personalità ritenuta
normale può entrare in qualsiasi momento nella sua esistenza nella patologia mentale e viceversa,
la salute come la malattia acquista un senso di relatività e non di assolutezza. Agli inizi del XX
secolo, grazie al pensiero di Freud e all’adozione dell’ottica psicoanalitica della psicopatologia,
prende piede l’idea secondo cui le forme di disagio psicologico sono soluzioni che il soggetto si dà
in consciamente e che risultano collocabili lungo un continuum che unisce normalità e patologia. Il
disturbo psichico non si esaurisce in sentimenti di sofferenza legata eventi drammatici ma richiede
la presenza di una risposta patologica dell’individuo all’evento lesivo contingente. Per l’operatore
che vuole comprendere disagio mentale, i criteri utili come indicatori di problematicità sono la
pervasività, quanto cioè provochi danno allo svolgersi quotidiano della vita del soggetto, il fattore
tempo, la dose di malessere soggettivo e quali sono le risorse soggettive, sono questi infatti gli
indicatori che ci permettono di definire con più chiarezza la patologia rispetto alla normalità
piuttosto che focalizzarsi sui sintomi. La personalità viene concettualizzata, pertanto come un
sistema complesso che si autoregola.

. Relativismo storico e culturale: l’espressione dei sintomi invece cambia dato che i pazienti
avendo bisogno di credere la propria sintomatologia reale, inconsciamente mimano sintomi
comuni alla propria cultura. Krapelin è stato riconosciuto come il fondatore della psichiatria
culturale un esempio di sindrome culturale nella società occidentale e l’anoressia nervosa, la paura
di ingrassare non divenne un criterio fino al 1930, nella seconda guerra se ne parlava poco sono i
decenni seguenti che portano alla sua diffusione. Questa raddoppia o triplica negli anni 60 in
coincidenza con il cambiamento dell’immagine di donna. Per i relativisti culturali, una sindrome
legata alla cultura è un’espressione di angoscia specifica di quella cultura, le credenze culturali sono
visti come costitutive della sindrome. per gli universalistici, le sindromi culturali sono espressioni
culturalmente elaborate. Teniamo conto che vi sono elementi universali, bisogni primari alla base
del comportamento umano che trascendono le differenze culturali.

2. Tentativi di classificazione psicopatologica: in psicologia clinica il processo di valutazione


psicodiagnostica si tratta di dare un senso alle manifestazioni psicopatologiche. La diagnosi
nosografico-descrittiva permette di collocare il disturbo all’interno del quadro noto alla comunità
scientifica; la classificazione va conosciuta come utile fonte di informazioni da affiancare ad
elementi nel contesto dinamico relazionale. Per spiegare la psicopatologia descriverle classificarla si
possono così distinguere le psicopatologie interpretativo-esplicative che si basano sui paradigmi
teorici dei principali modelli di lettura nel disagio mentale e le psicopatologie nosografico
descrittive. nell’approccio interpretativo-esplicativo simpatizzano le ragioni psicologiche e si
indagano i meccanismi che sono alla base dei comportamenti o dei sintomi. Nell’approccio
nosografico-descrittivo simpatizza invece la sintomatologia osservabile descrivibile. Le origini della
moderna classificazione possono essere rintracciate con Kraepelin, i suoi testi riportano una prima
forma di sistema classificatorio che si rivela però poco flessibile, la malattia mentale però entra
nella medicina. I clinici hanno oggi nei confronti della classificazione in genere posizioni antitetiche
se ne interessano perlopiù psichiatri che ritengono questa uno dei pochi strumenti a loro
disposizione per legittimare il loro ingresso nel campo medico. il mondo scientifico comincia ad
operare per una classificazione condivisa il the DSM manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali. I DSM sono stati creati sulla base del consenso di ricercatori, si avvalgono di una
valutazione multiassiale (l’individuo viene valutato tenendo in considerazione cinque dimensioni
definire assi) e si basano sul presupposto che i disturbi psichici siano entità discrete cioè finite,
descrivibili. I DSM usano criteri di inclusione ed esclusione. Il sistema multi-assiale è utile per
organizzare e comunicare l’informazione clinica.
1 asse I. disturbi clinici
2 Asse II. Disturbi di personalità. Ritardo mentale.
3 Asse III. Condizioni mediche generali.
4 Asse IV. problemi psico-sociali ambientali.
5 Asse V. valutazione globale del funzionamento.

Al DSM IV è correlata la classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e


comportamentali ICD 10 dell’OMS pubblicata nel 1992, sistema di codificazione ufficiale europeo.
IL DSM e l’ICS Sono stati creati principalmente per ragioni di ricerca epidemiologica ed esigenza di
un linguaggio comune. È importante che l’operatore acquisisca la consapevolezza che conoscere la
diagnosi non significa conoscere l’altro. L’attenzione ai sintomi è necessaria ma non sufficiente; è
importante leggere dietro i sintomi per costruire un’interpretazione.

3 conoscere la diagnosi: quale valore aggiuntivo per le professioni educative?


La valutazione diagnostica è indubbiamente un intervento che appartiene alle competenze
psicologiche, cliniche e non è utilizzabile da altre categorie professionali, è tuttavia inevitabile che
altri operatori che praticano la relazione di aiuto si imbatte in situazioni di disagio rispetto alle quali
sono chiamati a cogliere gli eventuali segnali di disagio emotivo e a fornire quella funzione
terapeutica di base. La persona dovrebbe trovare nell’educatore una persona capace di
comprendere la sua richiesta d’aiuto che potrà poi essere indirizza la servizi specialistici,
concludiamo dicendo che l’educatore non ha il compito di fare diagnosi ma è tenuto a conoscere
l’altro.

CAPITOLO 4: l’approccio educativo e disturbi dello sviluppo.

1. I contesti di crescita del bambino:


È importante possedere adeguate conoscenze in ambito infantile al fine di essere in grado di
riconoscere le condotte tipiche della tappa evolutiva attraversata dal bambino i comportamenti
indicatori invece di disturbi severi. Ricordiamo che nel ciclo di vita la persona si confronta con un
susseguirsi di compiti evolutivi che devono trovare una risoluzione del momento appropriato. In
quest’ottica sia una visione dello sviluppo in termini di adattamento e quest’ultimo il risultato delle
continue interazioni tra bambino e contesto, l’ambiente ecologico è formato da quattro tipologie
di sottosistemi che influenzano lo sviluppo del bambino:

1 il microsistema: riguarda i contesti dei quali il bambino ha esperienza diretta nella sua vita
quotidiana e ne viene influenzato direttamente ad esempio la famiglia, la scuola, l’operatore
educativo.
2 il mesosistema: si riferisce alle relazioni tra i differenti microsistemi ad esempio incomprensioni
tra casa e scuola.
3 l’ecosistema: include i contesti nei quali il bambino non è direttamente coinvolto ma che
incidono sul suo sviluppo direttamente ad esempio l’orario lavorativo dei genitori.
4 il macrosistema: ingloba la cultura ad esempio, i valori sociali, le istituzioni, ideologie.

È possibile rispondere ai diversi bisogni delle famiglie non solo attraverso interventi terapeutici
bensì mediante interventi di facilitazione di sostegno attuati dall’educatore. I programmi di
formazione e le abilità sociali indirizzati alla coppia genitoriale sono un esempio di intervento
educativo che prevede il coinvolgimento della famiglia, l’obiettivo di migliorare la qualità della vita
familiare; non bisogna sottovalutare che per la riuscita dell’intervento possa essere determinante il
coinvolgimento del complessivo contesto sociale istituzionale. Piaget individua stadi evolutivi che
consentono di acquisire tutte le potenzialità introduce la teoria dello sviluppo cognitivo che
comprende quattro stadi o periodo (lo stadio è una tappe evolutive che comporta il
conseguimento progressivo di competenze).

1 Nello stadio sensomotorio (dalla nascita ai due anni circa) il bambino comprende il mondo
limitatamente alle azioni fisiche, l’apprendimento è attivo e concreto. Il bambino evolve dall’utilizzo
di semplici riflessi, adattamenti non intenzionali alla realtà e intenzionali che ricorrono alla
combinazione mentali di schemi già posseduti. In questo periodo un oggetto costituisce, all’inizio
uno stimolo che genera un riflesso, in seguito diviene una realtà sulla quale è possibile agire
sempre più con intenzionalità.la finalità dello stadio lo sviluppo della permanenza dell’oggetto, vale
a dire della capacità del bambino di comprendere che gli oggetti hanno una propria esistenza
indipendentemente dal rapporto che ha con ognuno di essi. Il bambino diventa capace di
conservare un’immagine mentale di un oggetto anche quando non è visibile nel suo campo
percettivo.
2 nello stadio preoperazionale (dai due ai sette anni circa) il bambino è in grado di usare simboli
(immagini mentali, gesti, parole) in maniera sempre più organizzata per rappresentare oggetti ed
eventi. L’oggetto può essere rappresentato mentalmente, lo sviluppo delle funzioni rappresentative
favorito dal gioco, dall’attività imitativa. In questo stadio l’oggetto viene rappresentato in termini
funzionali. Il bambino è egocentrico e centrato su di sé, incapace di immedesimarsi negli altri.
3 nello stadio operativo concreto (dai sette agli 11 anni) il bambino acquisisce limitate strutture
logiche che consentono di compiere azioni mentali, inizia a considerare il punto di vista altrui
poiché il pensiero egocentrico viene sostituito dal pensiero per razionale. Le operazioni mentali
vengono applicate unicamente ad oggetti concreti e non ho ancora a ipotesi astratte.
4 nello stadio operatorio formale (dagli 11 ai 15 anni) a luogo l’acquisizione del pensiero astratto,
del ragionamento deduttivo (capacità di risalire dal generale al particolare).

La qualità della relazione dei genitori può incidere sullo sviluppo del bambino, la disgregazione
familiare e poi ad esempio la separazione del divorzio potrebbe portare uno sconvolgimento
dell’ambiente e una ridefinizione dei ruoli e funzioni familiari; l’età in cui si verifica potrebbe
condizionare le modalità con le quali il bambino fronteggia il mondo interno e l’esterno. Inoltre i
bambini che vivono accanto a genitori con un quadro psicopatologico evidenziano numerosi
problemi. Un altro consistente fattore di rischio per il bambino è costituito dalla psicosi di un
genitore, i pattern di personalità si formano nel corso dell’infanzia questi possono rimanere stabili
o maturare in relazione ad alcuni fattori: le predisposizioni biologiche, l’età e la fase evolutiva, la
tipologia di famiglia, le influenze culturali, gli eventi di vita. Il bambino continua a subire l’influenza
delle persone che appartengono al suo ambiente interpersonale.

2. Il bambino in difficoltà
L’educatore dovrebbe evitare di presentarsi come se fosse nella posizione di amico e tantomeno di
genitore. In questi casi il rischio per il bambino può manifestarsi negli anni successivi proprio
perché ha percepito l’assenza di regole chiare e solide. Nei suoi comportamenti il bambino può
quindi esprimere tale confusione, un altro rischio è che il minore potrebbe mantenere una
dipendenza assoluta dalla figura di riferimento. Si possono creare situazioni di disequilibrio nella
relazione tra professionista e famiglia: ad esempio la famiglia può negare l’intervento
dell’educatore oppure mostrare un eccessivo coinvolgimento. Educatore è un agente di
cambiamento dovrebbe avere maturato la competenza di individuare azioni volte a potenziare le
risorse ancora disponibili nell’individuo, gli interventi possono essere: psicologico relazionali,
intellettuali (recupero delle capacità cognitive), Manuali operativi, espressivo creativi, culturali,
animati (giochi, sport). Il gioco riveste un ruolo significativo nell’approccio educativo del bambino e
nel bambino con psicopatologia grave l’attività ludica e limitata.

3. La psicopatologia evolutiva:
è nel tentativo di comprendere il malessere del bambino di descriverlo il clinico si avvale di
strumenti come il manuale diagnostico e l’ICD 10, durante i primi tre anni di vita del bambino è
molto più problematico definire disturbi psicopatologici. La psicopatologia evolutiva si occupa
dello studio dei disturbi dell’infanzia inquadrandoli nel contesto del normale sviluppo. Le
psicopatologia dello sviluppo più frequenti possono essere distinte in disturbi esternalizzanti: che
includono comportamenti rivolti verso l’esterno a zia in più l’aggressività, impulsività, iperattività,
ribellione. Tra questi c’è il disturbo da deficit di attenzione-iperattività e il disturbo positivo
provocatorio e il disturbo della condotta.
I disturbi internalizzanti comprendono condotte dirette in maggior misura all’interiorità ad
esempio la depressione, l’ansia l’isolamento sociale tra questi ci sono i disturbi d’ansia dell’umore
dell’infanzia. I costumi e i valori di una cultura rappresentano punti di riferimento. di fronte a un
disturbo psicologico manifestato da un bambino è lecito chiedersi in che misura esso derivi da
caratteristiche innate o da esperienze successive alla sua nascita, ci sono differenti approcci che
possono influenzare il modo in cui il bambino viene preso in considerazione nella valutazione.
L’approccio Psico biologico valuta l’incidenza delle componenti genetiche, l’approccio cognitivista
riconosce l’importanza della struttura biologica e dell’esperienza. Gli approcci sociale,
comportamentista e psicodinamico ritengono determinanti i fattori esperienziali. l’approccio
dell’apprendimento sociale dice che i disturbi psicologici sono l’esito dell’interazione tra fattori
motivazionali sociali ed esperienziali. Possono presentarsi nel bambino molte problematiche che si
ritrovano nell’adulto, ma uno specifico disturbo infantile non deve essere considerato in
automatico un precursore dell’omonimo disturbo dell’adulto.

4. L’equilibrio psico fisiologico nell’età dello sviluppo.


Il processo di integrazione psicofisiologica necessita di un adeguato contesto di crescita e di una
madre capace di adattarsi alle necessità del bambino se questo non avviene l’esperienza corporea
non risulta integrata con quella psicologica il soggetto va verso lo squilibrio a causa della scissione
tra mente e corpo, la persona struttura un falso se. Tale situazione facilita l’istaurarsi di disturbi fisici
sia funzionali che organici. La Mahler ritiene che la nascita psicologica non coincide con la nascita
biologica. Il bambino nelle prime settimane di vita non ha una percezione della propria
individualità e gli fai esperienza delle sensazioni provenienti da una figura materna come fossero
da lui stesso prodotti si trova quindi nella fase di autismo fisiologico. Secondo Mahler verso i due
mesi di vita subentra la fase simbiotica in cui la madre non viene ancora percepita come separata.
Quando la madre soddisfa i bisogni del piccolo pone le basi della fiducia in se stesso. Gli autori
sostengono che intorno ai 5-6 mesi nella fase di individuazione-separazione, il bambino nasce
psicologicamente inizia a superare la fase simbiotica comincia differenziarsi e da uno a due anni
circa il bambino attraversa la fase della sperimentazione è consapevole del proprio status di
individuo comprende di non essere al centro del mondo. Poco alla volta il piccolo sopporta
separazioni sempre più lunghe dalla madre la ricorda la sente disponibile anche quando lei non è
presente. Nella fase della costanza dell’oggetto il bambino interiorizza le figure genitoriali che
vivono nella sua mente anche quando non sono presenti fisicamente.tutti i disturbi in età infantile
possono essere gli indicatori di una disfunzione all’interno della diade madre bambino.

5. Il disturbo da deficit di attenzione iperattività


Il disturbo da deficit di attenzione-iper attività DDAI è caratterizzato da una persistente grave
assenza di attenzione, iperattività e impulsività. Il bambino con disturbo da deficit di attenzione
manifesta difficoltà nel controllare la propria attività, è incapace di smettere di parlare o di agitarsi,
è instabile, invadente, disorganizzato, ha difficoltà ad andare d’accordo con i pari e a instaurare
relazioni amicali. l’adolescenza portano alcuni individui una diminuzione della gravità dei sintomi.
Vi sono evidenze a sostegno dell’ influenza di fattori genetici neurobiologici nell’eziologia del
disturbo. E altri fattori di rischio sono il basso peso alla nascita e il fumo della madre.i fattori
genetici interagiscono con i fattori familiari che possono contribuire a mantenere o ad aggravare i
sintomi. Nella progettazione e nell’attivazione di un percorso educativo è necessario rispettare due
condizioni preliminari: la precocità dell’intervento, che dovrebbe partire dei primi anni di scolarità,
la multidimensionali ta dell’intervento che deve svolgersi su più livelli: il singolo bambino, la classe,
il contesto familiare. È fondamentale fornire al bambino frequenti e consistenti rinforzi non appena
mette in atto il comportamento desiderato. Le strategie prescelte dovrebbero essere collocate
all’interno di un piano globale predisposto tra le varie figure educative, bisogna rendere coerente
l’ambiente di vita del bambino creando una reale partnership educativa tra scuola e famiglia. Ci
siamo uno studio di Cornoldi e colleghi che hai evidenziato quanto e come i bambini con DDAI
manifestano difficoltà di pianificazione della propria condotta e di strategie efficienti per
fronteggiare compiti specifici perché da soli non sono in grado di autoregolarsi. Questi dati vanno
presi in considerazione nell’ambito educativo e scolastico, contesto interessato dalla problematica.
Il rinforzo viene dato e diminuito gradualmente.

6. Il disturbo positivo provocatorio


E in alcuni casi precede il disturbo della condotta, risulta connotato da una modalità di condotta
ostile, non cooperativa, negativi stica e provocatoria nei confronti delle persone che si prendono
cura del bambino. Questo compromette il funzionamento familiare, scolastico e sociale, il bambino
con disturbo positivo provocatorio spesso collerico, vendicativo, rispettoso, perde il controllo,
rifiuta di rispettare le regole, a scarsa tolleranza alla frustrazione, scarsa stima di sé. il bambino
sente con facilità che gli altri gli mancano di rispetto, sembra ignaro delle conseguenze di queste
condotte si sente giustificato ad avere determinati comportamenti se si sente vittima di ingiustizie.
Tale disturbo sembra verificarsi famiglie dove le pratiche educative sono rigide, incoerenti. La
condotta oppositiva può avere la funzione di proteggere aspetti fragili di sé. Riteniamo che
l’operatore educativo debba impatti zar è con le preoccupazioni del bambino, mostrarsi flessibile
ed essere attento e fermo nel porre dei limiti.

7. Il disturbo della condotta


Il Dc è connotato da livelli pervasiva ed elevati di aggressività, avidità, opportunismo, crudeltà verso
le persone gli animali. Tale disturbo si rileva connotato da insensibilità, instabilità affettiva,
malvagità e mancanza di rimorso e di coscienza morale. Il bambino non appare responsivo ai
sentimenti altrui, risulta incapace di un adeguato contatto emotivo. Il disturbo che si manifesta in
infanzia è un fattore predisponente il manifestarsi del disturbo antisociale di personalità in età
adulta. È possibile differenziare due tipologie di decorso dei problemi della condotta; alcune
persone iniziano a tre anni e proseguono fino all’età adulta, in altre il disturbo pare essere
circoscritto nell’adolescenza in quest’altro caso l’età infantile viene vissuta normalmente il
comportamento antisociale si manifesta nel corso dell’adolescenza per poi tornare a uno stile di
vita non problematico nell’età adulta. La causa è da attribuirsi alla scarsa corrispondenza tra la
maturazione fisica dell’adolescente e le opportunità di assumersi le responsabilità della vita adulta.
l’interazione di fattori individuali con i fattori socio culturali può aumentare la probabilità che
l’individuo manifesti condotte aggressive precoci e persistenti. L’intervento dell’educatore
dovrebbe a nostro avviso estendersi a sistemi coinvolti nella vita del bambino nell’intento di
potenziare al massimo le possibilità di migliorare, con rinforzi positivi e perdita di privilegi quando
si comporta in modo aggressivo e antisociale.

8. I disturbi dell’umore
Il bambino affetto da depressione manifesta bassi livelli di affettività positiva e alti livelli di
affettività negativa. E il bambino depresso presenta autosvalutazione, accentuata irritabilità disturbi
del sonno, modificazione dell’appetito, perdita della consueta energia, a scarse abilità sociali. La
depressione esiste come funzione adattiva risposta alla frustrazione nell’ambito dell’interazione
madre bambino. Tra i fattori di rischio per l’insorgenza di disturbi depressivi spiccano la perdita di
uno dei genitori, l’abbandono, l’abuso, il trauma, i conflitti familiari. La depressione si manifesta
nell’infanzia. La depressione anaclitica (dipendente dall’ambiente di cura) e l’hospital Ismo sono
forme gravi di depressione infantile derivanti dalle privazioni della figura materna. I bambini con
depressione nel primo anno appaiono tristi, seri, privi di allegria, all’inizio piangono con
espressione dolorosa dopodiché si arrabbiano e poi smettono di piangere. Nei primi mesi il
bambino depresso si muove poco e in seguito diventa irrequieto; lo sviluppo motorio e la cresci
mento corporeo subiscono una decelerazione; la depressione tra uno e tre anni si manifesta con
espressione triste del volto, ritardo dello sviluppo motorio e in questo caso è legata alla perdita
dell’oggetto d’amore, e alla perdita della stima di sé. Tra i 3:05 anni la depressione infantile
caratterizzata da aspetto triste, irritabilità, ritiro sociale, il gioco con i pari viene ridotto e
aumentano le attività solitarie. Tra i cinque e i 13 anni c’è autodisprezzo e autosvalutazione. I
disturbi depressivi se non trattati e possono causare arresto ritardo evolutivo, problemi scolastici,
disturbi della condotta, suicidio. La prevenzione sembra un approccio primario, nell’approccio
educativo ci sembra prioritario sostenere la famiglia intervenendo anche sull’ambiente sociale. Il
bambino con disturbo bipolare presenta instabilità e intensità dell’umore, manca di sensibilità
verso gli altri, è impulsivo, iperattivo; tale disturbo a conseguenze negative sulle relazioni e sembra
determinato da deficit neuropsicologici.

9. I disturbi d’ansia
Notiamo che nel bambino affetto da ansia si riscontrano alti livelli di affettività negativa ma non
bassi livelli di affettività positiva, ci sono livelli persistenti di ansia e paura. L’angoscia può divenire
agitazione e disagio e ossessione. La fonte di ansia può non risultare sempre chiara. lo sviluppo
può generare ansia nel bambino che incontra difficoltà ad attraversare le tappe evolutive. Nel corso
del normale sviluppo il bambino crescendo apprende e riconosce la sua paura e sa gestirla se c’è
un disturbo le paure e possono impedire l’acquisizione di competenze adeguate a diversi stadi
evolutivi. I disturbi d’ansia includono una paura pervasiva e un eccessivo stato di allerta è presente
un’erronea valutazione cognitiva della situazione delle proprie abilità per fronteggiarla, reazioni
fisiologiche (mal di testa, sudorazione eccessiva, agitazione, sensazione di soffocamento, difficoltà
di respirazione). Il disturbo d’ansia generalizzato sia quando il bambino prova ansia esagerata non
transitoria e non giustificata dal contesto. il disturbo ossessivo-compulsivo si presenta quando il
bambino ripete di frequente alcune azioni che provocano tensione e sono di ostacolo al normale
svolgimento della vita normale ad esempio in agitazione per immagini o pensieri ricorrenti, oppure
ripete i comportamenti non funzionali che nel suo intento dovrebbero diminuire l’ansia e la
tensione. Il bambino è dominato da perfezionismo. Nel disturbo d’ansia da separazione il bambino
evidenzia eccessiva inappropriata ansia da separazione da casa o dal Cargiver. Consideriamo che è
una fobia può svilupparsi proprio quando l’ansia del bambino viene spostata su un oggetto o su
una situazione che normalmente non vengono considerati pericolosi; l’intensità dei sintomi
dipende dall’intensità della paura i sintomi svaniscono se la situazione fobica viene evitata o
l’oggetto fobico viene allontanato. una tipica fobia infantile riconducibile nella fobia della scuola
che può associarsi ad ansia di separazione oppure la paura di andare a scuola può essere legata
alla preoccupazione di fallire o al disagio. L’obiettivo principale dell’intervento educativo dovrebbe
essere quello di favorire il reinserimento scolastico preparandolo all’evento gradatamente, e
necessario un lavoro di aiuto alla genitoriali ta, un rinforzo dell’autostima del bambino, in tal modo
si prevengono anche futuri problemi di disadattamento sociale. Il bambino con fobia sociale tende
a giocare solo con i componenti della famiglia o con i coetanei che conosce bene talvolta rifiuta di
parlare, nei luoghi affollati sta incollato ai Cargiver si rannicchia negli angoli. Il bambino con un
disturbo d’ansia tende a sovrastimare la pericolosità di determinate situazione e a sottostimare la
propria capacità di farvi fronte, di conseguenza l’ansia ostacola le abilità sociali. Il disturbo post
traumatico da stress si presenta nel bambino che è stato esposto esperienze traumatiche, le
risposte al trauma dipendono dall’età del bambino, dal livello di esposizione del trauma e dalla sua
durata, dallo stile ad attivo, dal supporto ricevuto dopo il trauma.

10. Le difficoltà di apprendimento


Il bambino con queste difficoltà si rivela solitamente l’intelligenza media o superiore alla media, i
disturbi dell’apprendimento includono:
-Il disturbo della lettura: in cui il bambino trovo assai difficoltoso riconoscere le parole e
comprendere ciò che legge, interferisce con i risultati scolastici, con l’autostima, tale disturbo tende
a persistere anche in età adulta.
-Il disturbo dell’espressione scritta: c’è una compromissione della capacità di comporre testi scritti
mediante calligrafia stentata, errori ortografici, grammaticali, di punteggiatura.
-Il disturbo del calcolo: è caratterizzato da difficoltà a riconoscere ricordare esattamente regole e
simboli aritmetici, contare con precisione e velocità, a mettere i numeri in colonna.
Il bambino con i disturbi dell’apprendimento manifesta difficoltà attribuibili a fattori esterni egli
non è stato esposto ad un ambiente che ha compromesso l’apprendimento.

I disturbi della comunicazione possono riguardare:


-L’espressione del linguaggio: ha difficoltà ad esprimersi
-Il disturbo della fonazione: ha un eloquio poco chiaro anche se comprende il lessico è in grado di
usarlo congruamente.
-La balbuzie: prolunga i suoni, fa lunghe Posey tra le parole.
I disturbi della comunicazione eccetto la balbuzie diminuiscono con l’avanzare dell’età.

I disturbi delle capacità motorie si presentano quando si ha una marcata compromissione dello
sviluppo della coordinazione motoria.

11. I disturbi dell’alimentazione, dell’evacuazione del sonno


L’alimentazione sembra legata all’interazione precoce tra madre bambino e oltre ad appagare la
fame fisiologica e e per il bambino un modo per esplorare il mondo. Si organizzano nel lattante le
prime interiorizzazione di interazioni umane. Pensiamo che il comportamento alimentare sia parte
integrante dello sviluppo della condotta di attaccamento che si rafforza o si debilita mediante
l’interazione tra madre e bambino. Se la madre mostra difficoltà a comprendere i segnali del
bambino e a rispondervi il piccolo associerà il momento Alimentaria stati emotivi negativi di
conseguenza il bambino può rifiutare il cibo quando la sua condotta alimentare viene condizionata
dal conflitto emotivo con la madre. Nel corso del primo anno di vita il passaggio dal riflesso di
suzione ai pattern e volontari dell’alimentazione avviene tramite la maturazione neurologica e le
esperienze affettive e sociali di apprendimento che coinvolgono il Cargiver il suo ambiente sociale.
Anche le esperienze relazionali passate al Cargiver con le proprie figure di accudimento possono
incidere sull’istaurarsi di disturbi alimentari. I disturbi della nutrizione della prima infanzia della
fanciullezza concernono il continuo rigurgito e rimasticamento del cibo, l’ingestione di sostanze
non commestibili, l’incapacità di consumare cibo in modo appropriato, poi c’è la bulimia nervosa e
l’anoressia nervosa. Suggeriamo all’educatore di prestare particolare attenzione alla relazione
madre bambino al fine di cercare di affievolire l’angoscia materna e orientare la famiglia verso il
sostegno psicologico. I disturbi dell’evacuazione consiste nell’incapacità di controllare
l’eliminazione delle feci (encopresi) o dell’urina (enuresi) nel bambino dopo cinque anni di età. Ci
può essere un evento che segna la vita del bambino ad esempio nascita di un fratello, separazione
dei genitori che possono portare all’insorgenza dell’enuresi. Pensiamo che l’intervento debba
essere mirato alla correzione delle misure educative negative ad esempio posizioni rigide di fronte
all’educazione sfinterica. L’educatore dovrebbe avere presente che i disturbi del sonno possono
essere sintomatici di disturbi interattivi tra Cargiver e bambino, possono manifestarsi in presenza di
malattie, stress, transizioni evolutive e tendono a risolversi con relazioni tranquille e di ritrovamento
di sicurezza.

12. Il ritardo mentale


Sia il ritardo mentale in presenza di un funzionamento intellettivo al di sotto della media quoziente
intellettivo di 70 o inferiore e di deficit del comportamento ad attivo. Nel ritardo mentale profondo
il livello mentale non supera i 23 anni, nel ritardo mentale moderato normalmente il bambino non
oltrepassa un’età mentale di 67 anni, qui è possibile una certa autonomia nelle condotte sociali,
soprattutto se il bambino cresce in un contesto stimolante. Il ritardo mentale lieve l’insuccesso
scolastico è il primo indicatore, il linguaggio non presenta grosse anomalie, l’inserimento sociale è
perlopiù buono. Possibili cause di ritardo mentale Sono le anomalie genetiche o cromosomiche ad
esempio la sindrome di Down, le lesioni celebrale, le infezioni, fattori ambientali. Pensiamo che
l’educatore debba focalizzarsi sui punti di forza dei soggetti aiutare ad acquisire le competenze
necessarie per funzionare nella comunità, l’intervento educativo con la famiglia non dovrebbe
essere trascurato.

13. Il disturbo autistico


Si tratta di un disturbo pervasivo dello sviluppo i cui sintomi basilari sono l’incapacità di relazionarsi
con gli altri, problemi di comunicazione, difficoltà a sviluppare la teoria della mente. Le prime teorie
ipotizzavano che dipendesse dai genitori capaci di fornire sostegno emotivo al figlio tale
prospettiva è stata Sostituita da teorie che riconoscono l’influenza di fattori genetici e
neurobiologici nel disturbo. Il disturbo autistico a un esordio precoce può manifestarsi nei primi
mesi di vita. Le capacità cognitive delle persone autistiche possono essere nella norma o addirittura
avanzate. Sono presenti interessi e comportamenti ristretti, ripetitivi, stereotipati e non implicano di
comunicazione spontanea. La solitudine del bambino autistico rappresenta un aspetto
caratteristico del suo disturbo, di rado si avvicinano gli altri eludono il contatto visivo, possono
essere attratti da oggetti verso quali sviluppano un forte attaccamento. Secondo alcuni studiosi i
bambini autistici non avrebbero sviluppato una teoria della mente e tale deficit sarebbe alla base
delle disfunzioni sociali, la teoria della mente basilare per entrare in relazione con gli altri si
sviluppa tra i due anni e mezzo e cinque. Questi appaiono incapaci di comprendere il modo di
vedere degli altri non sono quindi in grado di provare empatia. i bambini autistici mostrano
sovente problemi linguistici, è possibile riscontrare ecolalia: il bambino ripete ciò che ha sentito
dire da un’altra persona. E c’è poi un deficit per quanto riguarda il limite dei neuroni specchio che
non consentirebbero il rispecchiamento delle emozioni interattive. I cambiamenti nella routine
quotidiana inquietano i bambini con autismo e possono generare crisi, tendono all’attuazione di
condotte stereotipate. L’obiettivo generale dell’attività educativa dovrebbe essere quello di creare
le condizioni Per poterlo far adattare all’ambiente e migliorare l’adattamento sociale, è importante
la collaborazione tra famiglia, scuola e istituzioni. La realizzazione la verifica costante di programmi
educativi personalizzati deve essere progettata e portare a favorire il conseguimento del massimo
grado di autonomia.

14. Il disturbo dell’attaccamento il lutto prolungato


I disturbi dell’attaccamento costituiscono un disturbo del sentimento di sicurezza e protezione del
bambino che provoca angoscia il bambino può essere incapace di intraprendere la maggior parte
delle interazioni sociali, risulta freddo, incapace di instaurare una relazione significativa oppure al
contrario il bambino non è in grado di mostrare attaccamenti selettivi, si comporta in modo
eccessivamente familiare con persone sconosciute e mostra eccessiva socievolezza. I disturbi
dell’attaccamento sono maggiormente riscontrabili nei bambini che hanno vissuto una
deprivazione precoce, in alcuni casi il bambino ha una figura preferenziale ma la relazione con tale
figura è disturbata. L’operatore educativo deve tenere conto delle implicazioni della relazione tra
Cargiver e bambino. Le relazioni possono essere caratterizzate da ansia, derivata dalle interazioni
passati attuali del Cargiver. L’intervento educativo volto a fornire un diverso ambiente di
accudimento capace di supporto può portare ad un notevole miglioramento. Le reazioni ad un
evento luttuoso possono svilupparsi nel tempo il bambino può divenire passivo è chiuso in sé,
alcuni bambini evidenziano ansia da separazione, altri realizzano il CarGiver morto ed esprimono
rabbia aggressività verso quello in vita. La reazione prolungata al lutto si differenzia dalla normale
elaborazione del lutto per la presenza di regressione nelle acquisizioni evolutive, diminuita
tolleranza alla frustrazione, disturbi del sonno, dell’alimentazione. L’intervento educativo può
aiutare il bambino a comprendere i motivi della perdita e avere sostegno emotivo.

15. Il disturbo dell’identità di genere


Il bambino con questo disturbo esprime un forte rifiuto del suo genere un orientamento al genero
posto al proprio, tale identificazione può esprimersi nei giochi simbolici, nell’attività ludica. Il
bambino prova vergogna e soffre per la propria diversità può essere presente una preoccupazione
ripetuta per il desiderio di appartenere al sesso opposto; può causare difficoltà familiari, il rifiuto
dei coetanei, l’isolamento e il limitare l’apprendimento, si sviluppa tra i 18 e i 36 mesi.

16. Il disturbo psicotico


È caratterizzato dalla perdita dell’esame di realtà, presenza di disturbi del pensiero, da deliri e
allucinazioni. La condizione può essere grave ad esempio nella schizofrenia o transitoria ad
esempio nel caso di una depressione grave. Il bambino psicotico può presentare eloquio
incoerente, disturbi dell’affettività, insufficiente cura di sé, difficoltà di portare a compimento le
attività quotidiane. Può essere esageratamente solitario e smodatamente dipendente. Le fantasie
possono essere vissute come verità, la storia evolutiva del bambino con psicosi e varia può essere
connotata da grave disagio difficoltà viso spaziali (deficit della memoria dell’immaginazione visiva),
o uditive che possono pregiudicare le relazioni sociali del bambino. L’educatore dovrebbe cercare
l’aiuto e il sostegno di altre figure professionali.

17. L’operatore educativo base sicura


L’educatore contiene, ascolta, ripara e aiuta a ricostruire è una base sicura. Tali disturbi
psicopatologici hanno la prerogativa di autoguarigione se l’ambiente fornisce quello che gli è
mancato nelle prime fasi della vita si rivela imprescindibile la funzione di scaffolding vale a dire
l’impalcatura o sostegno che il professionista dovrebbe fornire al bambino. La relazione base sicura
rappresenta il nucleo fondante dell’intervento educativo, lo strumento che il bambino può
utilizzare per il cambiamento, per il recupero e per il superamento del disagio.

CAPITOLO 5: l’educatore il disagio psichico dell’adolescente.

1. I compiti evolutivi dell’adolescente


Hall ha descritto l’orientamento introspettivo dell’adolescente e la sua instabilità affettiva.
Havighurst è stato il primo a proporre la nozione di compiti di sviluppo, compiti che si presentano
in un determinato periodo della vita, un loro fallimento conduce all’infelicità. I principali compiti
dell’adolescenza:

-Instaurare relazioni con i coetanei


-Acquisire un ruolo sociale maschile o femminile
-Accettare il proprio quarto usarlo in modo efficace
-Conseguire indipendenza emotiva dai genitori ad altri adulti.
-Raggiungere la sicurezza derivata dall’indipendenza economica
-Prepararsi per un’occupazione è una professione orientarsi
-Prepararsi al matrimonio la vita familiare
-Acquisire la competenza civica
-Acquisire un comportamento socialmente responsabile
-Acquisire un sistema di valori una conoscenza etica.

La soluzione di questi problemi fornisce risorse per affrontare gli ostacoli che si presenteranno
successivamente. L’adolescenza che va dagli 11 ai 18 anni ma ormai gli autori sono concordi che la
fase andrebbe ampliata fino ai 25, ai caratteri della sperimentazione di sé, del cambiamento, ampio
ma continua , dei compiti evolutivi. Gli adolescenti contemporanei non riconoscendosi così
trasgressivi e contestatari sembrano non volersi staccare più dalla famiglia. Il conflitto prevalente
non sembra più essere quello tra legame dipendenza ma piuttosto tra legami perdita paura di
perdere il legame. Condividiamo l’idea che l’adolescenza non sia tanto una rottura con il passato
quanto un periodo continuo di transizione che coinvolge processi di Risignificazione
dell’esperienza. La realizzazione dei compiti di sviluppo adopera dell’adolescente comporta una
profonda Risimbolizzazione del sé che si ridefinisce continuamente. Nell’adolescenza i compiti
possono essere riassunti in questo modo: -compiti in rapporto alla maturazione sessuale, -compiti
in rapporto all’allargamento degli interessi personali e sociali, con l’acquisizione del pensiero
ipotetico-deduttivo, lamenta lizzazione delle emozioni e la costruzione di un proprio progetto di
crescita di un sistema di valori. -Compiti in rapporto all’identità alla riorganizzazione del concetto di
sè. Dal punto di vista emotivo l’adolescente deve affidare la propria capacità di gestire le emozioni
il cervello dell’adolescente funziona in modo più emotivo rispetto a quello del bambino dell’adulto
i cambiamenti di umore spesso sono legati anche a queste modificazioni.

2. La cautela nella diagnosi in adolescenza


Solo con la pubblicazione del DSM III viene inserita una sezione dedicata ai disturbi diagnosticati
nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza ma i classificatori tendono a riferirsi ad infanzia e
ad età adulta ignorando l’adolescenza. Parleremo in termini di sintomi di disagio come soluzioni
controproducenti elaborate dall’adolescente in difficoltà. Innanzitutto, la psicopatologia
dell’adolescenza è legata ad almeno due concezioni: 1 l’adolescente è un essere in via di sviluppo
fisico e psichico, pertanto ogni sintomo deve essere considerato all’interno di un processo
maturativo. 2 l’apparato psichico in questa età a un’organizzazione e funzionamento che va
rapportato alla situazione relazionale affettivo della famiglia e del contesto di vita.

3. Il significato psicoanalitico dei sintomi in adolescenza


L’Anna Freud in l’io e i meccanismi di difesa parla di ascetismo e intellettualizzazione come di due
modalità difensive in adolescenza. L’adolescente in cerca di un’identità ed è sensibile all’immagine
di sé che gli altri gli rimandano.questo effetto specchio lo rende vulnerabile alle categorizzazioni
pericolose (drogati, delinquenti) perché dà all’adolescente un modello, il senso di appartenere a
una nuova famiglia. L’adolescente ha una forte propensione a esprimere la sua sofferenza
attraverso disordini del comportamento quali atti delittuosi, disturbi della condotta alimentare,
tossicomanie, tentativi di suicidio. I sintomi psicopatologici servono all’adolescente per trovare un
compromesso tra il dentro il fuori che mantenga dei legami di dipendenza assicurando però uno
statuto di parziale autonomia, il compagno di viaggio è il corpo: corpo come mezzo di espressione
e di comunicazione.a questa età predomina reagito sul pensato, una sorta di atteggiamento
difensivo nei confronti del pensiero stesso. I disturbi del comportamento in adolescenza portano a
un esteriorizzazione del conflitto che consente di evitare un’elaborazione emotiva e di scaricare
attraverso il gesto. l’adolescente può scegliere di far parlare il corpo e l’azione quindi il corpo
diventa centrale.ciò che avviene in adolescenza può determinare il modo in cui soggetto utilizzerà
in futuro le sue potenzialità: o in una direzione tale da assicurare il mantenimento sufficiente della
stima di sé oppure in un’altra direzione diversa che lo porta a sviluppare condotte negative di auto
sabotaggio delle proprie potenzialità.il sintomo lo imprigiona e contribuisce a un’immagine
negativa di sé, quell’identità negativa di cui parla Erikson. Il sintomo così come il comportamento
patologico hanno la funzione di evitare il conflitto offrendo una possibile soluzione; l’investimento
sul sintomo porta un disinvestimento oggettuale. Inoltre, accanto a disagi psicologici transitori
possono evidenziarsi problematiche più gravi.

4. Adolescenza devianza delinquenza


Alcuni comportamenti devianti si caratterizzano per un elevato grado di impulsività e mancanza di
responsabilità, è opportuno operare una distinzione tra la fisiologica tendenza alla trascrizione al
acting out in adolescenza e comportamenti più propriamente devianti. I diversi comportamenti
devianti devono essere letti nel loro significato sociale (norme condivise), ma anche soggettivo
tenendo conto della storia personale dell’adolescente e dei suoi legami affettivi originari.
Comportamenti di isolamento, di marginalità e di devianza sociale, di micro criminalità, di
tossicodipendenza possono in alcuni casi strutturarsi in un disturbo di personalità (borderline,
narcisistico, antisociale). Ci si riferisce a questo gruppo di adolescenti che sembrano incapaci di
esteriorizzare il loro disagio lasciandolo in espresso il latente e che presentano una personalità
falsamente adatta alle richieste familiari e sociali. Per quanto riguarda l’atteggiamento
delinquenziale si parla di organizzazione psichica intermedia del giovane, si tratta di adolescenti
che sono andati incontro ad un ambiente sfavorevole presentano dipendenza.trattasi di giovani
lucidi per cui l’attività delinquenziale non provoca senso di colpa che non hanno definito la loro
identità e sono alla ricerca dell’altro, hanno la necessità di far scomparire un dispiacere con un
piacere immediato. Si tratta di soggetti poco autonomi dipendenti, vulnerabili che si sentono
minacciati, rigettati abbandonati. la continuità di un comportamento di sociale è influenzata
dall’esperienza di vita di tali soggetti. Se individui ad alto rischio incontrano fattori ambientali
positivi possono raggiungere un punto di svolta, l’educatore nella relazione quotidiana con
l’adolescente dovrebbe cogliere il senso del gesto deviante e restituirglielo, facilitando in questo
modo la graduale acquisizione di questi strumenti cognitivi affettivi che permettono la gestione
delle emozioni.

5. Disturbo borderline adolescenza


Il disturbo di personalità in adolescenza continua rimanere controverso ancora oggi ci sono
indicatori stabilità e pervasività che non efficaci nell’adolescenza dato che si distingue per essere
una fase del ciclo di vita in cui la tendenza al continuo cambiamento alla regola. Tra i disturbi di
personalità quello più spesso correlato all’adolescenza il disturbo borderline che quando si
manifesta in adolescenza le stesse caratteristiche per l’adulto ci sono tre gruppi di sintomi: a carico
dell’area dell’identità, degli affetti e dell’impulsività. Rispetto all’identità il senso di sé e
dell’adolescente assume caratteristiche stabili che si concretizzano in atteggiamenti di dipendenza,
sottomissione, ribellione. L’adolescente può ricercare un’identità in prestito. Per quanto riguarda gli
effetti è sempre presente una condizione depressiva che si traduce in sentimenti di vuoto, inutilità,
inadeguatezza, vergogna. L’impulsività si evidenzia in forme etero ed autodistruttive: tentativi di
suicidio, assumere droghe sono spesso l’espressione più drammatica di un’organizzazione
borderline della personalità.
6. Altri disturbi psichici
Il disturbo dell’identità è stato eliminato dalle ultime versioni del DSM. Si tratta di un disagio
soggettivo che riguarda la capacità di integrare alcuni aspetti di se. Questi aspetti si possono
tradurre in un blocco evolutivo che crea sofferenza, a questo disturbo si associano spesso ansia e
depressione. Per quanto riguarda i disturbi dell’umore come la depressione disturbi d’ansia come
fobie, ossessioni vengono applicate con molta cautela, le stesse categorie diagnostiche create per
l’età adulta. Nell’adolescente sono presenti solo alcuni sintomi e del disturbo dell’umore ed ansia. Il
tema della psicosi è ancora più controverso vi è infatti una grande resistenza a formulare una
diagnosi di psicosi e di schizofrenia.i sintomi hanno a che fare con la perdita del senso di identità, è
difficile distinguerli dai normali comportamenti proprio di questa età. un esempio di ciò è
rappresentato dalla dismorfofobia ovvero dal timore di subire una qualche metamorfosi al corpo.
In adolescenza questi sentimenti assumono il carattere di un disturbo quando ti vengono
convinzioni deliranti. L’educatore dovrà valutare le strategie educative da mettere in campo, caso
per caso è indispensabile un approccio multidisciplinare di più professionisti.

7. Uso Abuso di sostanze


È proprio un’adolescenza che prendono l’avvio le condotte di sperimentazione, l’estensione del
fenomeno del consumo produce soggetti vulnerabili per i quali l’uso si può tradurre in abuso e
disturbo da uso di sostanze. Oggi tante sostanze non sono considerate pericolose ma del tutto
controllabili. L’utilizzo del club drugs ha insinuato negli adolescenti un nuovo modo di intendere il
divertimento realizzabile nel fine settimana, pochi di loro hanno una percezione corretta del rischio
della dipendenza psicologica del consumo. Che l’uso si stabilizzi o meno dipende dalla qualità
dell’incontro individuo-sostanza, c’è una differenza sostanziale tra consumo di sostanze e
dipendenza.con consumo ci si riferisce ad un uso saltuario un regolare di dosi tali da non
pregiudicare la vita quotidiana (tenuto sotto controllo).per dipendenza si intende una relazione con
la sostanza caratterizzata da perdita di controllo con fenomeni di dominanza (si è ossessionati),
tolleranza (il bisogno di aumentare la quantità assunta), astinenza (sintomi fisici alla sospensione
dell’uso) e gravi conseguenze sulla vita quotidiana. La dipendenza è comunque un fenomeno
piuttosto raro prima di vent’anni. I fattori cognitivi che possono facilitare l’incontro con le sostanze
sono da ricercarsi in un atteggiamento generalmente favorevole nei confronti del consumo
sopravvalutare le proprie capacità di controllarne l’uso. Alcuni fattori motivazionali possono
contribuire invece al consolidarsi dell’uso che si collegano ad alcuni bisogni: il bisogno di provare
emozioni forti, la ricerca del rischio, di situazioni al limite, il bisogno di regolare e gestire le
emozioni migliorando l’immagine di sé, infine l’appartenenza al gruppo e la condivisione del
consumo livello rituale rappresentano un altro importante fattore. Tutte le droghe funzionerebbero
nell’ottica di offuscare i processi mentali, allontanando confondendo costrutti difficili da affrontare
ed elaborare consentendo agli utilizzatori di dimenticare se stessi. L’uso di droghe diviene quindi
un abile strategia o soluzione per attenuare la percezione della pochezza dell’immagine di sé.

8. Compulsioni e dipendenze da comportamento


Tradizionalmente ricercatori e chimici limitavano il concetto di dipendenza ad alcol e droghe; negli
ultimi decenni invece l’addiction viene considerata una forma di disturbo mentale che si traduce in
una relazione disfunzionale con alcuni comportamenti. Esempio: acquisto, gioco, utilizzo di
Internet. Dall’osservazione clinica molte dipendenze patologiche sembrano presentare le stesse
caratteristiche comuni: la compulsivi ta, la perdita di controllo, problemi di salute, familiari,
lavorativi eccetera. si usano gli stessi criteri diagnostici utilizzati per le dipendenze da sostanze si
mette insieme la tossico dipendenza con le dipendenze comportamentali. Tra le forme di
dipendenza di comportamento in adolescenza hai dato risalto al gioco d’azzardo, alle dipendenze
tecnologiche, la dipendenza da shopping.la dipendenza patologica permette all’adolescente di
trovare un rifugio della mente, la realtà tende ad essere sostituita da un altro mondo. queste nuove
forme di dipendenza sembrano essere agevolate dall’innovazione tecnologica che spinge alla
gratificazione immediata. Gli adolescenti possono instaurare una relazione tossica di dipendenza
con i video poker, macchinette facilmente accessibili anche online mi sempre più disponibili.i rischi
principali sono legati al dispendio di denaro alla depressione l’isolamento, lo stesso discorso può
valere per l’utilizzo di Internet. L’uso eccessivo del web e può condurre a comportamenti
problematici Internet addiction, è un’espressione che indica un’interazione eccessiva tra individui in
macchina con dipendenza.il pericolo principale che Internet diventi la parte centrale della vita
adolescenziale e il soggetto può giungere ad abitare un mondo onirico fantastico che trova
preferibile al mondo reale. Questo porta al rischio di isolarsi alla distorsione del senso del sé e
perdita del contatto vitale con la realtà. Rispetto allo shopping compulsivo si mostra una
dipendenza dall’attività di acquisto e dal controllo sulle spese qui le donne risultano più
compulsive degli uomini è un fenomeno in crescita anche come shopping online.

9 problematiche legate all’alimentazione


La definizione di disturbo del comportamento alimentare intende sottolineare la tendenza ad
esprimere la sofferenza psichica attraverso il comportamento, tale tendenza ad esprimere con
l’azione attraverso il corpo è una caratteristica fase specifica dell’adolescenza. Anoressia e bulimia
sono isindromi culture Bound. Per l’anoressia nervosa i criteri diagnostici si possono riassumere nel
modo seguente: rifiuto di mantenere il peso al di sopra o a livello normale per l’età e la statura,
intensa paura di acquistare peso, disturbi del modo in cui sono vissuti il peso, la taglia le forme
corporee, amenorrea nelle donne(assenza di ciclo). L’anoressia nervosa viene divisa in due sottotipi
diagnostici: con restrizioni e con abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto o uso di
lassativi). Nel secondo tipo esistono rischi medici significativi associati alle condotte di
eliminazione. L’abbuffata è un sintomo peculiare necessario della bulimia nervosa le cui
caratteristiche principali si possono riassumere nel modo seguente: abbuffate ricorrenti, ricorrenti
condotte compensatorie, entrambi presenti almeno due volte alla settimana per tre mesi, la
presenza di un’autostima influenzata dal peso. Anche i pazienti che soffrono di bulimia nervosa
sono ulteriormente suddivisi in sottotipi a seconda dell’uso regolare o meno del vomito
autoindotto, dei lassativi o diuretici: con condotte di eliminazione e senza condotte di eliminazione.
Vi è poi un’ampia ed eterogenea categoria diagnostica riassunta in disturbi dell’alimentazione non
altrimenti specificati tra questi ad esempio l’iperfagia, eccesso di cibo o l’obesità psicogena, per
queste patologie l’adolescenza è il periodo di maggiore vulnerabilità. L’adolescente attraverso il
controllo ossessivo del corpo, del cibo arriva a sperimentare un senso di auto efficacia che lo porta
a ripetere il comportamento per tentare di regolare gli stati affettivi non riuscendo in altro modo. le
anoressiche trasformano la loro ansia i loro problemi psicologici attraverso la manipolazione della
quantità e della dimensione del cibo assunto, il controllo del cibo e dei pasti e paradossalmente è
più semplice del controllo delle proprie emozioni. Nella bulimia non sono presenti il delirio di ogni
potenza o l’autocompiacimento che invece l’anoressia fornisce, le bulimiche hanno un livello di
autostima molto basso che fa i conti più spesso con il fallimento di sé e per la perdita di controllo,
differenza dell’anoressica che invece è più proiettata rifugiarsi in un ambito mentale quasi ad
essere sostitutivo del corpo stesso. Per gli educatori è particolarmente importante saper leggere
alcuni segni che contraddistinguono l’esordio del disturbo: la tendenza al isolamento, il rifiuto di
partecipare a uscite di gruppo, l’eccessivo impegno scolastico, l’eccessivo impegno nell’attività
sportiva o l’abbandono improvviso, il cambiamento significativo del carattere del tono
dell’umore.l’adolescente diventano il voto, irascibile, piange senza motivo, a scatti di ira frequenti
ed improvvisi. In questa fase di vita un periodo di attenzione ossessiva nei confronti del corpo è
comunque fisiologico importante rimanere attenti alla pervasività di questi comportamenti, nei casi
gravi l’unico intervento possibile a quello multiprofessionali in setting. L’educatore non dovrà
cadere nella trappola di un utile braccio di ferro affinché l’adolescente mangi ma tu la fornire al
giovane un buon rispecchiamento di sì puntando l’attenzione su altri aspetti della sua vita.

10. Autolesionismo: un gioco da ragazzi?


L’autolesionismo fa riferimento in questa sede a quelle azioni intenzionali di danneggiamento del
tessuto quel polio senza intento suicida cosciente, l’esordio sembra riconducibile intorno ai 13 15
anni. Si parla di SIB e considera le azioni autolesive come intenzionali, ripetute, abbassa letalità, che
alterano danneggiano il tessuto corporeo senza alcun intento suicida cosciente. Il SIB rientra
all’interno di una più ampia gamma di comportamenti di auto danneggiamento che la comunità
scientifica riporta oggi sotto il nome di DSHS (sindrome da auto ferimento intenzionale). Oltre al
SIB infatti vengono inserite le condotte di: Self poisoning o auto avvelenamento; Self harming o
auto danneggiamento.
Il comportamento più frequente risulta il tagliarsi, bruciarsi, colpirsi interferire con la guarigione,
mordersi, strapparsi capelli. Alcuni tendono a procurarsi la ferita sempre nel medesimo modo quasi
a volersi identificare con essa una dipendenza dall’oggetto per riconoscersi in qualcosa auto
riconoscersi. Le parti più frequentemente prese di mira sono le braccia, le gambe il torace. La
volontà di nascondere le tracce della propria condotta alla stessa valenza simbolica che nel
disturbo del comportamento alimentare alla negazione del cibo.la sede della lesione può essere
uno degli indicatori per comprendere il significato soggetto attribuisce. La componente di
autopunizione provocazione di rifiuto sociale verso di sé è più esplicita per esempio nella scelta del
viso come siete di lesioni. In sostanza il motto dell’autolesionista potrebbe essere: sono io a farmi
del male non tu! Nel SIB è possibile notare quattro diverse categorie patologiche di auto ferita.

-SIB impulsivo: episodico ho ripetuto, eventi volti al piacere tende a divenire una sorta di
dipendenza.
-SIB compulsivo: include comportamenti ripetuti o ritualistiche che si presentano molte volte al
giorno.
-SIB stereotipico: caratteristico delle persone con gravi ritardi mentali, ha una qualità ripetuta,
ritmica, guidata da esempio battere la testa ripetutamente.
-SIB maggiore: è la più grave delle mutilazioni ad esempio autocastrazione, asportazione di parti
del corpo e solitamente si presenta come evento isolato durante episodi psicotici.
Da un punto di vista sociale il fenomeno dell’autolesionismo sembra presente da sempre la storia
dell’uomo fa parte dei riti, il rito richiama il concetto del riconoscimento sociale o della prova fisica
da superare. L’adolescente per conoscersi e riconoscersi si deve sperimentare fino a spingersi verso
il proprio limite superamento del quale si sentirà legittimato dal diritto dell’esistenza con un forte
impatto positivo sull’autostima. L’autolesionismo poi da solitario nascosto può divenire un
fenomeno trendy di tendenza esempio la Moda emo. Quindi non necessariamente sia a che fare
con una patologia schizofrenica, dal punto di vista psicologico alcuni giovani iniziano facendosi
male spesso per cancellare i ricordi dolorosi, emozioni negative cercano di moderare la sofferenza.
C’è un fatto anche chimico di cui non abbiamo parlato che agevole rinforza il bisogno del taglio
come soluzione alla sofferenza: le ferite causano infatti un immediato rilascio di endorfine che
hanno un effetto calmante a livello celebrale. l’effetto della condotta autolesionista quindi è una
sorta di chiusura del soggetto all’interno dell’oggetto di sfogo. Il soggetto sente meno l’esigenza di
relazionarsi al mondo come se diventasse insensibile rispetto adesso sensibile solo nel momento in
cui si procura la ferita. L’autolesionismo dunque coincide con l’affermazione di una personalità
introversa e solitaria. Gli educatori sono nella posizione privilegiata di non essere percepiti dai
ragazzi come adulti da cui nascondersi può porre domande giuste rompere il ghiaccio e dovrà
essere pronto a percepire e mettersi in ascolto, raccogliere le ansie contenerle e renderle non solo
possibili ma pensabili.

11. Tentato suicidio


Il tentativo di suicidio è un fenomeno giovanile o pensano suicidio arrivano innescarlo ma in realtà
lo realizzano in percentuale minore rispetto agli adulti. Anche qui si tenta di trovare una soluzione
ad attiva o è il sintomo di una malattia mentale? Lo status psichico del tentato suicidio è molto
differente da quello di altre forme di auto danneggiamento, vi è una perdita di contatto con la
realtà esterna il resto somiglia quindi ad un momento psicotico acuto.il corpo in quel momento
non è più sentito come parte integrante di tematiche non oggetto esterno il nemico da battere.
Attraverso la morte l’adolescente vuole realizzare la fantasia di uscire da una situazione
intollerabile.ma è necessario distinguere tra il suicidio riuscito e il suicidio dimostrativo. Il primo
presenta modalità di attuazione diverse tra maschi femmine e se non è riuscito si può parlare di
suicidio mancato.il suicidio dimostrativo e la messa in atto di un gesto autolesionista per richiamare
l’attenzione sul proprio malessere ed è più frequente esempio con ingestione di medicinali, taglio
superficiale delle vene. Possiamo individuare almeno sei livelli di espressione di tale
comportamento ideazione generica di voler morire, ideazione di un piano, minaccia di suicidio,
attuazione di comportamenti autolesivi, suicidio dimostrativo, suicidio riuscito. il 90% dei casi
suicida rappresenta l’ultimo atto di una sequenza di disturbi che a loro volta sono risultato di un
accumulo di eventi esistenziali traumatici.nel 10% dei casi invece è un comportamento dettato da
un impulso che non può essere previsto.la prevenzione primaria diviene particolarmente difficile
perché i ricercatori non hanno ancora trovato un accordo sui principali fattori di rischio l’educatore
potrà invece impegnarsi in un intervento di prevenzione secondaria quale la presa in carico
dell’adolescente che tenti per la prima volta il suicidio per cercare di aiutarlo ad affrontare in modo
diverso il dolore.

12. Approccio educativo ai nuovi canali espressive e comunicative l’adolescente


L’istituzioni educative devono mettere il giovane alle condizioni di agire per se stesso potenziando
quelle risorse personali per sperimentare indipendenza, autonomia e adultità. L’educatore
seguendo le indicazioni di un approccio clinico che gli consentono di comprendere la realtà
psichica del giovane dovrà seguire un approccio promozionale dovrà ridimensionare gli interventi i
programmi indirizzati al potenziamento di competenze emotive e cognitive. Compas individua tre
possibili livelli di intervento: programmi che mirano al miglioramento delle capacità di
fronteggiamento; programmi che mirano allo sviluppo di un ambiente sociale adeguato;
programmi che mirano alla promozione della salute fisica e mentale. I primi sono il campo di
interesse della nostra trattazione.i programmi indirizzati alla promozione delle abilità di
fronteggiamento anno quindi lo scopo di insegnare all’adolescente ad identificare gli elementi di
stress della propria vita, a mettere in atto strategie adeguate per farvi fronte. Sono pertanto mirati
al potenziamento al miglioramento delle risorse personali. In situazioni dove alcuni comportamenti
disfunzionali sono già comparsi è importante un lavoro di un’équipe pluri professionale, sviluppare
progettualità comuni. L’educatore deve quindi saper lavorare in gruppo e conoscere nuove
modalità espressive e comunicative degli adolescenti.

CAPITOLO 6: l’approccio educativo ai disturbi dell’età adulta

Educazione e la rieducazione dell’adulto


Una persona è considerata adulta quando si ritiene che abbia raggiunto uno sviluppo
sufficientemente autonomo a livello biopsichico. Tra i 40 e i sessant’anni iniziano cambiamenti del
corpo, in campo psicologico lo sviluppo procede in funzione dell’adattamento: la persona si trova a
confrontarsi con nuovi compiti evolutivi, nuove problematiche, nuovi conflitti. la relazione d’amore
di coppia rappresenta uno dei nodi intorno ai quali si sviluppa la vita adulta è uno dei principali
anche la genitorialità e la componente del lavoro.l’età di mezzo sembrerebbe caratterizzata da una
situazione di crisi che può sfociare in disturbi psicopatologici. Le tecniche riabilitative avrebbero il
fine di potenziare le capacità residue dell’individuo portatore del disagio, quindi di valorizzare la
persona.in relazione allo scopo da conseguire pensiamo che l’intervento riabilitativo possa essere:
-Psicologico relazionale: agisce sulla capacità del soggetto di definire il proprio sè e di essere in
grado di interagire con gli altri.
-Manuale operativo: riguarda il lavoro pratico che necessita l’impiego delle mani
-Espressivo creativo: include una parte della dimensione cognitivo relazionale una parte della
dimensione operativa.
Le attività animati ive possono permettere il recupero delle potenzialità e delle capacità espressive
mediante l’uso più completo del proprio corpo e tramite l’accrescimento delle relazioni
significative.nell’ambito dell’animazione identifichiamo le seguenti attività: la progettazione di spazi
strutture ricreative, la drammatizzazione, l’organizzazione di feste, la pianificazione di escursioni,
soggiorni, l’organizzazione del tempo libero attraverso sport e giochi.

I disturbi dell’umore
L’umore incide sulla percezione di sé, degli altri e dell’ambiente. I disturbi dell’umore possono
implicare alterazioni della sfera emotiva, cognitiva e psicomotoria è utile considerare due categorie
di disturbi dell’umore: i disturbi depressivi e quelli bipolari. I disturbi depressivi (unipolari) Sono
sintomi fisici che includono scarsa energia, stanchezza, rallentamento, agitazione, ritiro sociale,
trascuratezza del proprio aspetto fisico, pensieri suicidari. Il disturbo depressivo maggiore include
umore depresso, perdita di piacere di interesse e le attività abituali, perdita dell’appetito, insonnia,
pensieri di morte suicidio.si tratta di un disturbo episodico poiché i sintomi tendono a scomparire
dopo un periodo di tempo.il disturbo distimico presenta una sintomatologia attenuata; ci sembra
utile descrivere come nei disturbi bipolari la persona esprima i sintomi di maniacalità e di
depressione, la mania riguarda uno stato di forte esaltazione o irritabilità e durante l’episodio
maniacale l’individuo può produrre un flusso incessante di parole può diventare più socievole, o
invadente, sono presenti distraibilità e grandiosità. Il contenuto del pensiero è costituito da idee di
grandezza con iper valutazione delle proprie capacità intellettive fisiche.
Il disturbo bipolare I comprende un singolo episodio maniacale un episodio misto.
Il disturbo bipolare II, prevede almeno un episodio di depressione maggiore e almeno un episodio
di ipomania.
Il disturbo ciclotimico include sintomi frequenti ma deboli di depressione, alternati a sintomi di
lieve mania.
Nella genesi dei disturbi dell’umore ci sembrano implicati fattori biologici, psico-sociali e genetici.ci
sembra utile allora porre l’accento sulla relazione tra madre e bambino che si è carente può
determinare un senso di insicurezza sensibilizzare il soggetto alle separazioni e alle perdite,
incrementando di conseguenza la sua vulnerabilità depressiva.inoltre un modo di pensare
pessimistico, la visione negativa di sé e dell’ambiente possono contribuire all’istaurarsi di disturbi
depressivi.l’intervento educativo della persona che presenta disturbi bipolari dovrebbe considerare
la comprensione e la prevenzione degli stressor psico-sociali ai quali è sottoposta; in altre parole
dovrebbe aiutare il soggetto a valutare meno negativamente se stesso il mondo. Al suicidio si
associerebbero malattie come la schizofrenia, il disturbo borderline, disturbi alimentari, alcolismo.
Nel cercare di capire il fenomeno del suicidio ci sembra importante considerare i fattori
socioculturali che influenzerebbero la condotta suicidaria. Altri fattori che influenzano il suicidio
sono rappresentati da difficili condizioni sociali, povertà, isolamento, lutto, possono essere molte le
cause. L’intervento educativo può aiutare il soggetto ad incrementare le capacità di problem
solving a fargli vedere opzioni differenti a dissuaderlo dal mettere in pratica un atto distruttivo.

I disturbi d’ansia
L’ansia tende a riguardare una minaccia futura; la seconda, la paura è una reazione a un pericolo
immediato e quindi concerne una minaccia presente.i fattori culturali incidono sul rischio di
sviluppare un disturbo d’ansia ma anche gli aspetti biologici e cognitivi. Il modello psicodinamico
da Freud attribuisce un ruolo preminente nella genesi dei disturbi d’ansia, alla dinamica relazionale
connessa con l’esperienza di vita del soggetto. Bowlby evidenzia come l’assenza di un rapporto di
accudimento e di contenimento generi nel bambino in sicurezza e ansia che non gli consentirà di
fronteggiare la separazione. Ci sembra utile a questo punto esaminare le fobie. Consideriamo la
fobia come una paura accentuata e spropositata di una situazione di un oggetto. Abbiamo la fobia
specifica che riguarda ad esempio la claustrofobia, l’acrofobia (la paura dell’altezza). Poi c’è la fobia
sociale generata dalla paura dell’esposizione a persone non familiari al giudizio altrui e può
riguardare la maggior parte delle interazioni sociali (fobia sociale generalizzata) oppure può essere
di pertinenza in un’unica situazione sociale (fobia sociale specifica). Il disturbo d’ansia generalizzato
si caratterizza per l’ansia ad esempio per la salute, la situazione economica eccetera. Il disturbo di
panico è connotato da attacchi di panico con sintomi fisici, senso di depersonalizzazione, paura di
perdere il controllo, di impazzire e di morire. Parliamo di attacco di panico Situazionale quando è
legato alla situazione specifica mentre parliamo di attacco di panico inaspettato quando si
manifesta anche mentre l’individuo rilassato dorme. Il disturbo ossessivo-compulsivo che
consiste nella presenza di pensieri persistenti ad esempio, la paura di contaminarsi o nel bisogno di
reiterare di continuo comportamenti o azioni mentali per ridurre l’ansia provocata dai pensieri
ossessivi. Nel disturbo post traumatico da stress sembra presente una risposta estrema a un
evento traumatico che ha causato paura intensa, la persona ad esempio rivive spesso il trauma
richiama alla mente la situazione traumatica.
Crediamo che l’intervento educativo debba avere come obiettivo quello di sostenere l’utente nella
comprensione del proprio disturbo.

I disturbi somatoformi
In questi disturbi problemi psicologici si esprimono mediante sintomi fisici per i quali non sarebbe
individuabile alcuna causa organica. Il disturbo di somatizzazione si caratterizza per lamentele
somatiche ricorrenti e multiple per le quali viene richiesto di continuo l’aiuto medico. Tali sintomi
interferiscono a livello sociale e lavorativo. il disagio algico consiste nella presenza di un dolore
cronico e grave che limita la vita dell’individuo, l’oggetto della lamentela somatica è limitata al
dolore e non hai sintomi adesso correlati. Il disturbo da conversione che coinvolge sintomi
motori o sensoriali ad esempio improvvisa paralisi o cecità, l’ansia il conflitto psicologico rimosso si
convertono in sintomi. Nel disturbo da dismorfismo corporeo l’individuo prova una
preoccupazione intensa perché immagino esagera un difetto del proprio aspetto fisico. Possiamo
descrivere come ipocondria, la pervasiva convinzione di avere una grave malattia che persiste.
L’espressione del sintomo somatico sarebbe l’indicatore di un conflitto psichico interno.

I disturbi dissociativi
I disturbi dissociativi racchiudono psicopatologie connotate da un’alterazione delle funzioni della
coscienza, della memoria dell’identità. Freud sostenne che i contenuti mentali in accettabili esclusi
dalla coscienza, cioè rimossi rimangono attivi nell’inconscio e possono modificare l’attività mentale.
La funzione della dissociazione è quella di proteggere l’individuo dall’angoscia. Il paradigma
psicoanalitico attuale tende a evidenziare la rilevanza della dissociazione come meccanismo
difensivo rispetto ad eventi traumatici reali. La dissociazione consente così al soggetto di
distanziarsi da un evento traumatico, isolandolo dalla coscienza, il sè nel dissociato viene
mantenuto intero differenza della scissione. Nell’amnesia dissociativa psicogena la persona non è
in grado di ricordare esperienze traumatiche, l’informazione non viene persa ma non è recuperabile
per tutta la durata di amnesia che poi scompare inaspettatamente. Nei disturbi dissociativi non
sono presenti deficit della memoria implicita (esempio saper nuotare), mentre sono presenti deficit
della memoria esplicita (la capacità di ricordare a livello cosciente ciò che appartiene
all’esperienza). Nella fuga dissociativa psicogena l’amnesia è maggiore rispetto all’amnesia
dissociativa, l’individuo si allontana da casa, dal lavoro. Il disturbo dissociativo dell’identità
consiste nella consistenza nello stesso soggetto di due o più personalità, le varie identità sono in
genere piuttosto diverse, perfino opposte. In genere la personalità principale non ha
consapevolezza dell’esistenza delle altre, le transizioni da un’identità all’altra sono sovente
scatenate da stress psicosociale, le singole personalità possono presentare specifici disturbi
mentali. Il disturbo di depersonalizzazione altera la percezione e l’esperienza di sé, le esperienze
sensoriali.la persona l’impressione di muoversi come in un sogno in un mondo reale è un distacco
verso se stessi e il proprio corpo.

I disturbi di personalità
Possiamo definire la personalità come una modalità strutturata di comportamento, pensiero e
sentimento che deriva da aspetti biologici evolutive sociali. Il disturbo schizoide di personalità,
l’individuo non desidera e non tra i piaceri da relazioni sociali, l’interesse sessuale scarso. Alla base
del ritiro schizoide potrebbero esserci delle cure materne precoci molto carenti. Il disturbo
schizotipico di personalità e in cui l’individuo non desidera e non tra i piaceri da relazioni sociali,
interesse sessuale scarso, alla base del ritiro schizoide potrebbero esserci delle cure materne
precoci molto carenti. Il soggetto con disturbo schizzotipico di personalità appare isolato,
anaffettivo e a differenza di quello schizoide sono presenti paranoia o sospettosità, credenze strane
e pensiero magico, ricorrenti alterazioni percettive. Il soggetto con disturbo paranoide di
personalità è sospettoso in maniera pervasiva, si aspetta di essere sfruttata, ingannata e
danneggiata, di conseguenza si chiude in se stessa e tende a scorgere significati nascosti nelle
condotte altrui e dubita senza giustificazione della fedeltà del partner. La persona con disturbo
paranoide di personalità tende ad avere storie segnate da sentimenti di umiliazione e vergogna. il
disturbo borderline di personalità è difficile da trattare ed è associato a condotte suicidarie, le
emozioni possono cambiare bruscamente, impulsività e instabilità dell’umore, condotte impulsive
autolesive. Secondo Kernberg con esperienze infantili negative si sviluppa un Io instabile che è una
delle caratteristiche basilari del disturbo borderline di personalità. Consideriamo ora il disturbo
antisociale di personalità caratterizzato da violazione dei diritti altrui a partire da i 15 anni di età e
disturbo della condotta: editabile aggressivo, agisce in maniera impulsiva, non prova rimorso, non
considera i sentimenti altrui. Nel disturbo narcisistico di personalità sono presenti un’idea
grandiosa della propria importanza di eccessiva attenzione per la propria bellezza, un estremo
bisogno di ammirazione, assenza di empatia. L’individuo con disturbo narcisistico di personalità
maschera la sua debole stima di sé attraverso l’esteriorizzazione della propria importanza, tenta di
rafforzare il senso della propria autostima mediante la continua ricerca di approvazione da parte
degli altri. Il disturbo istrionico di personalità consiste in una condotta teatrale è drammatica di
continua ricerca dell’attenzione altrui mediante l’esibizione dell’aspetto fisico, possiamo ipotizzare
che la manifestazione della seduttività sia stata incoraggiata dalla seduttività genitoriale. Il
disturbo dipendente di personalità si incentra su scarsa autonomia, l’individuo a un intenso
bisogno di essere accudito ha difficoltà a prendere decisioni senza richiedere ad altri, necessita che
gli altri si assumono la responsabilità della maggior parte degli aspetti della sua vita, si percepisce
come debole e indifeso. Questo disturbo potrebbe essere ricondotto a problematiche di
attaccamento. Il disturbo evitante di personalità si manifesta con una forte riluttanza nell’entrare
in relazione con gli altri, potrebbe riflettere l’influenza di un ambiente in cui il bambino viene
insegnato a temere persone situazioni realtà innocue. Nel disturbo ossessivo-compulsivo di
personalità la persona estremamente attenta ai dettagli, l’organizzazione alle regole, a differenza
del disturbo ossessivo-compulsivo quello di personalità non presenta ossessioni e compulsioni.
L’educatore cercherà di comprendere il sistema affettivo che quasi sempre domina il soggetto
portatore di disturbi ed impedire che egli si senta solo.
I disturbi dell’alimentazione
Solitamente l’Alessia nervosa insorge in ritardo l’essenziale la bulimia nella tarda adolescenza nella
prima età adulta, i livelli di autostima sono associati alla matrice è la perdita di peso.similmente alle
persone anoressiche per le persone bulimiche la forma il peso corporeo sono estremamente
importanti per l’autostima. Molte teorie psicodinamiche dicono che la causa di disturbi alimentari si
concentrerebbe sulle relazioni disturbate tra genitore e figlio su alcune caratteristiche di
personalità. Il controllo sul corpo rappresenterebbe un disperato tentativo di acquisire un senso di
individualità ed efficace nelle relazioni e nella vita. L’esordio tardivo della bulimia nervosa in
concomitanza con separazione coniugale uscita dei figli adulti dalla famiglia potrebbe trovare una
spiegazione nella ricerca di Patton: l’autore ipotizza che l’abbuffata sarebbe una condotta difensiva
nei confronti dell’angoscia abbandonica.

I disturbi sessuali dell’identità di genere


Le disfunzioni sessuali si riferiscono ad alterazioni della funzionalità sessuale:
-I disturbi del desiderio sessuale; si riferiscono alla carenza o la mancanza di fantasie e impulsi
sessuali.
-I disturbi dell’eccitazione sessuale; riguardano la difficoltà a raggiungere e mantenere l’eccitazione
sessuale.
-I disturbi dell’orgasmo e e da dolore Sessuale.
I fattori correlati a un maggiore o minore rischio di disfunzioni sessuali sarebbero riconducibili a
fattori biologici e psico-sociali, la coppia che si trova in questa situazione potrebbe richiedere un
training specifico.
Nelle parafilie gli individui sono attratti in modo ricorrente da oggetti ad attività sessuali
inconsueti:
-Voyeurismo: gratificazione sessuale tramite l’osservazione di altre persone mentre sono svestite tu
coinvolti in attività sessuali.
-L’esibizionismo: l’esposizione dei propri genitali è un estraneo.
-Il froutteurismo: toccare in modo sessualmente orientato una persona non consenziente.
-Il feticismo: implica l’impiego intenso di un oggetto in animato (scarpe da donna, biancheria
intima), -Il feticismo di travestimento, -Il sadismo sessuale, -il masochismo sessuale, -la pedofilia:
sottotipo della pedofilia è l’incesto.
Considerando la violenza sessuale questa provoca nella vittima o trauma psicologico, la persona
violenta devo sviluppare il disturbo post traumatico da stress, tra le variabili che
contraddistinguono gli stupratori includiamo tratti di personalità antisociale impulsivi, ostilità verso
le donne.

I disturbi fittizi
I disturbi fittizi si riferiscono a condizioni mentali nelle quali il soggetto produce sotto controllo
volontario o simula sintomi psichici o fisici. Aggiungiamo la descrizione della sindrome di
Munchausen per procura.si tratta di una variante dei disturbi fittizi, nel senso che il Cargiver causa
ripetutamente danni fisici o patologie al figlio alla persona di cui si prende cura e si presenta con
grande preoccupazione al medico per i problemi di salute del soggetto che gli stesso danneggiato.

I disturbi da uso dipendenza da sostanze


Una delle principali motivazioni al consumo di sostanze e il desiderio di alterare gli stati dell’umore,
cioè di attenuare gli stati dell’umore negativi intensificati vuole positivi riducendo la tensione, l’uso
continuativo delle diverse sostanze innesca la dipendenza patologica.nel consumo patologico di
sostanze distinguiamo l’abuso e la dipendenza. L’abuso di sostanze si verifica quando l’uso della
sostanza è ripetuto anche in situazioni nelle quali è fisicamente pericoloso, senza che vi siano
associati fenomeni come la tolleranza all’astinenza. La dipendenza da sostanze comporta la
presenza di problemi legati al loro uso: assumerne più di quanta se ne vorrebbe e implica sintomi
di astinenza o tolleranza. I sintomi di astinenza sono gli effetti fisici e psicologici negativi che si
manifestano quando la persona smette di assumere la sostanza, la tolleranza invece concerne la
necessità di assumere la sostanza in dosi sempre più elevate. L’abuso e la dipendenza da alcol: è
relativo al consumo eccessivo e dannoso di alcolici che ha conseguenze negative nell’ambito
lavorativo e sociale, con l’astinenza si può manifestare il delirium tremens connotato da tremori
deliri, allucinazioni visive e tattili, rischio di morte. L’abuso cronico di alcol provoca un
deterioramento psicologico e a conseguenze pericolose sull’organismo. L’abuso la dipendenza da
alcol possono essere associati contemporaneamente all’abuso di altre sostanze in questo caso si
parla di poliabuso. L’alcol può diventare uno strumento di compensazione di sentimenti di
inferiorità. Pensiamo che l’intervento educativo debba lavorare al fine di accrescere l’autostima del
soggetto e la sua fiducia nella propria capacità di controllare il desiderio di bere. La tossico
dipendenza: forti dosi di marijuana producono rapidi cambiamenti delle emozioni, diminuiscono il
livello di attenzione, generano difficoltà di memoria, l’uso costante può portare all’insorgere di
tolleranza. Gli oppiacei come l’eroina generano il Rush una sensazione di benessere, di fiducia in sé
e di totale assenza di energia. La dose eccessiva di eroina può condurre all’overdose definibile
come uno stato di coma. Gli stimolanti come la cocaina agiscono sul cervello e sul sistema nervoso
simpatico incrementando lo stato di vigilanza dell’attività motoria, l’uso cronico della sostanza può
portare a depressione. Le anfetamine come noto agiscono a livello del sistema nervoso centrale, gli
allucinogeni causano modificazioni della percezione, lo stato di coscienza risulta alterato e si
verificano derealizzazione e depersonalizzazione. Ci riferiamoci ora ad un’abitudine molto diffusa la
gente, nicotina dipendenza. La nicotina contenuta nel tabacco può indurre dipendenza provoca
modificazioni che comportano un’elevata produzione di dopamina. Si tratta di un
neurotrasmettitore responsabili delle sensazioni di piacere, la nicotina stimola la parte del cervello
responsabile dello stato di veglia vigilanza migliorando le funzioni cognitive, la capacità di
concentrazione, riducendo le reazioni da stress procurando rilassamento. L’astinenza di nicotina
conduce ad una vera e propria sindrome di astinenza caratterizzata da insonnia, frustrazione,
rabbia, e liquirizia, impazienza. La strategia più sensata nell’ottica della prevenzione e scoraggiare il
soggetto e incominciare ad usare una sostanza educarlo sui rischi. I programmi a nostro avviso
dovrebbero essere volte ad accrescere l’autostima e concentrarsi sulla prevenzione alla ricaduta.

I disturbi del controllo degli impulsi


La caratteristica basilare dei disturbi del controllo degli impulsi coincide con l’impossibilità di
resistere alla tentazione di compiere un atto che danneggia se stessi o gli altri individui. Il soggetto
sperimenta una sensazione crescente di tensione prima di passare all’atto, prova sollievo, piacere
gratificazione quando lo compie, mentre può provare rimorso sentirsi in colpa dopo l’atto. Il
disturbo esplosivo intermittente, si riferisce all’incapacità di resistere impulsi aggressivi, di rabbia
violenza. La piromania si esprime con un intenso sessione verso il fuoco i suoi effetti. La
cleptomania è connotata dalla ricorrente in capacità di resistere all’impulso di rubare oggetti. La
Tricotillomania è caratterizzata dal lato di strapparsi capelli, ciglia e sopracciglia. Lo shopping
compulsivo manifesta avere propria crisi di acquisto. Il gioco d’azzardo patologico. L’intervento
educativo secondo noi dovrebbe aiutare la persona con disturbo del controllo degli impulsi entrare
in contatto con il mondo interiore per elaborare il bisogno urgente controllare i propri impulsi. In
adolescenza e poi ed adulta la tanto ambivalente quanto assoluta dipendenza di una persona
idealizzata entra spesso nello stile di vita delle persone e invade frequentemente la loro ideologia.
Allo sviluppo delle dipendenze da sostanze contribuiscono fattori genetici ambientali. La
dipendenza ci sembra comunque prima di tutto un bisogno della mente e non del cervello il
soggetto cerca inconsciamente di dipendere da qualcuno qualcosa. Il problema della cura per
queste persone si presenta arduo, la dipendenza assoluta integrata e fusa con il sè. Curare queste
persone difficoltoso, non sempre servono gli psicofarmaci e lo psicoterapeuta quest’ultimo se pure
figura utile e temuto perché rappresenta nel vissuto del soggetto un’immagine che evoca la
dipendenza assoluta e quindi la psicoterapia non è inizialmente utile.la figura dell’educatore può
giocare invece all’inizio un ruolo importante dato che appare un interlocutore meno pericoloso.

I disturbi del sonno


Distinguiamo:
-i disturbi del sonno correlati da un altro disturbo mentale (disturbi d’ansia, dell’umore, psicotici,
demenze)
-i disturbi del sonno dovuti a condizioni mediche generali
-I disturbi del sonno indotti da sostanze
-I disturbi primari del sonno , questi si suddividono in parasonnie e, in cui il disturbo riguarda la
presenza durante il sonno di eventi anomali ad esempio incubi, sonnambulismo e dissonnie ovvero
sono alterato a livello qualitativo, quantitativo.nel dettaglio le dissonnie comprendono:
L’insonnia primaria: concerne la difficoltà nell’addormentamento o nel mantenimento di un sonno
continuativo.
L’ipersonnia primaria e la narcolessia: implicano una grave sono lenza nelle ore di urne, attacchi di
sonno improvvisi.
Disturbi del ritmo sonno sveglia
I disturbi del sonno collegati alla respirazione: comportano la presenza di apnee durante il sonno. I
disturbi del sonno sono un sintomo di alterazione di un equilibrio ambientale situazionale o
differenti condizioni patologiche, fisiche psichiche. Gli educatori possono esistere con delicatezza
nell’indurre il soggetto seguire un’igiene secondo i consigli medici.

I disturbi psicofisiologici
Alcuni disturbi sono provocati o aggravati da fattori psicologici e dallo stress. Selye introdusse
l’espressione sindrome generale di adattamento per riferirsi alla risposta biologica è uno stress
fisico intenso e prolungato. In particolare nella prima fase fase di allarme lo stress è attiva il sistema
nervoso autonomo; nella seconda fase, fase di resistenza all’organismo cerca di adattarsi allo stress
attraverso i meccanismi di coping dei quali dispone; nella terza fase, fase dell’esaurimento
l’organismo soffre danni irreversibili o muore se lo stress persiste o se il corpo non è in grado di
adattarsi. Le ricerche hanno sottolineato come sia la modalità in cui l’ambiente viene valutato
percepito a determinare se un fattore di stress è presente o meno. Un soggetto ha uno stato di
stress quando stabilisce che ciò che gli viene richiesto è superiore alle sue abilità e alle sue risorse.
Se dunque lo stress genera delle conseguenze sia a livello psicologico sia a livello fisiologico d’altro
canto la reazione allo stress può essere considerata come una strategia di fronteggiamento, le
tecniche di coping. Il coping si riferisce infatti alle strategie attuate dal soggetto per far fronte allo
stress, è centrato sul problema quando l’individuo agisce per risolverlo e sull’emozione quando la
persona tenta di diminuire le emozioni negative. Il coping di Evita mento si verifica quando
l’individuo nega l’esistenza di un problema o non agisce.

I disturbi psicotici
Le psicosi si riferiscono a condizioni psicopatologiche caratterizzate dalla perdita del contatto con
la realtà. Inizieremo con la schizofrenia, la schizofrenia deteriora le capacità del soggetto in ambito
relazionale con conseguente isolamento sociale. L’esordio è collocabile tra i 20-25 anni. La
schizofrenia è preceduta da una fase prodromica, il soggetto riduce le relazioni interpersonali,
appare chiuso in se stesso, sono presenti insonnia, difficoltà di concentrazione, idee bizzarre. Il
soggetto è pervaso da un senso di vuoto, di angosce di insicurezze: nasce il delirio. La fase
prodromica porta a quella attiva in cui sintomi divengono deliri e allucinazioni. Segue infine la fase
residua in cui sono più evidenti ritiro sociale l appiattimento affettivo. I deliri esprimono
interlocutori interiori che sovrastano l’ego, si tratta di convinzioni sostenute nonostante vengano
contraddette dalle evidenze. Il contenuto dell’idea delirante può essere di persecuzione, di
riferimento. Nel delirio di controllo la persona crede che le azioni o il corpo vengono manipolati da
forze esterne. Nel delirio somatico per esempio la persona credi di avere gravi malattie infettive. Le
allucinazioni sono distorsioni della percezione, esperienze sensoriali in assenza di stimoli quelle più
frequenti sono uditive, visive, olfattive e gustative, ceneestetiche. I sintomi negativi della
schizofrenia includono deficit comportamentali come l’alogia, è un disturbo linguistico, la quantità
di linguaggio è povera oppure vaga e ripetitiva. L’abulia o apatia è un’assenza di energia.
L’anedonia è una perdita di interesse per piacere, la socialità, l’appiattimento dell’affettività che
riguarda l’assenza di espressione esterna delle emozioni. Nella schizofrenia i sintomi disorganizzati
si riferiscono al comportamento disorganizzato e all’eloquio disorganizzato. Il comportamento
disorganizzato e relativo alla perdita della capacità di organizzare la propria condotta e uniformarlo
alle norme. L’eloquio disorganizzato disturbo formale del pensiero si manifesta con l’incapacità
della persona di organizzare le idee e di parlare in modo coerente. Altri sintomi della schizofrenia
sui quali desideriamo soffermarci sono l’affettività inappropriata e la Catatonia. L’affettività
inappropriata si verifica quando le risposte emotive dell’individuo sono discordanti rispetto al
contesto. La Catatonia è un’anomalia motoria in cui l’individuo gesticola ripetutamente con
complessi e bizzarri movimenti degli arti. Sono presenti alcuni sottotipi della schizofrenia. La
schizofrenia di tipo paranoide: presenta deliri e allucinazioni uditive, l’eloquio non è disorganizzato.
La schizofrenia di tipo catatonico: sottolinea il deficit dell’attività motoria che può implicare posture
catatoniche(posture bizzarre), ecolalia(ripetizione a pappagallo di una parola). La schizofrenia di
tipo disorganizzato: si manifesta principalmente mediante eloquio disorganizzato e incoerente,
affettività appiattita.
Numerosi studi avvalorano la tesi secondo cui una predisposizione per la schizofrenia può essere
trasmessa per via genetica, nello sviluppo della schizofrenia lo stress psicologico ricoprirebbe un
ruolo determinante interagendo con fattori genetici e neurobiologici di notevole rilevanza anche i
rapporti madre figlio. È fondamentale che l’utente intraprende una corretta farmacoterapia e
fornire sostegno informazioni alla sua famiglia, un’appropriata psicoterapia individuale o familiare.
L’intervento educativo deve proporsi di insegnare alla persona come gestire le situazioni
interpersonali e nuovi comportamenti sociali. Oltre alla schizofrenia segnaliamo altre forme di
disturbo psicotico: il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizoaffettivo (include i sintomi della
schizofrenia i sintomi del disturbo affettivo), la psicosi breve, il disturbo delirante (dove
predominano deliri stabili). Individuo con disturbo delirante presenta alterazioni dell’umore in
particolari stati depressivi e ci sono diverse tipologie di questo: la tipologia somatica vado
parentesi tonda pensare di avere una malattia incurabile o parte del corpo deforme), la tipologia di
infestazione, tipologia di gelosia, tipologia erotomatica (invenzioni di essere amato da un’altra
persona), tipologia di grandezza, tipologia di persecuzione.

CAPITOLO 7: è l’approccio educativo e disturbi dell’età senile

Normalità e patologia nell’invecchiamento


Delineiamo tre tipi di invecchiamento:

-L’invecchiamento primario: costituisce normale invecchiamento che comporta reversibili


cambiamenti biologici e psicologici, sia cognitivi che affettivi.
-L’invecchiamento secondario: è considerato patologico perché l’invecchiamento primario si
sommano alcune malattie.
-Invecchiamento terziario: riguarda il declino in arrestabile rapido e include un abbassamento
improvviso delle funzioni fisiche e cognitive.

Ci sono due fasce di anziani i giovani vecchi tra i 65 e i 75 anni e appartengono alla terza età, i
vecchi vecchi che hanno oltre 75 anni fanno parte della quarta età. Nel corso dell’invecchiamento i
cambiamenti biologici incidono sullo stato psicologico della persona, tra le modificazioni
biologiche ci sono i cambiamenti a carico dei sistemi nervosi, respiratorio, muscolare, urinario,
genitale e digestivo. Tra i cambiamenti sociali annoveriamo le modificazioni della struttura familiare
e il pensionamento. Lo stato psicologico della persona può essere influenzato da eventi di vita
stressanti come le malattie. Secondo Montagnier gli elementi stressanti possono accelerare i
processi ossidativi che contribuiscono all’invecchiamento. Il vissuto della malattia nell’anziano è
connotato da un senso di inutilità e dalla paura di pesare sui familiari. L’anziano si trova a
fronteggiare i problemi di adattamento a causa della perdita della forza fisica del crescente rischio
di isolamento, il declino fisico della persona anziana è legato alle dimensioni del funzionamento
sensoriale, la forza muscolare, i sistemi di memoria, linguaggio. La perdita di efficienza fisica rende
l’anziano meno sicuro di sè. Come afferma Winnicott un ambiente facilitante così come sostiene la
crescita psicologica e fisica del bambino può in parte compensare la mancanza di autonomia e di
competenze che caratterizza la persona anziana. Le problematiche psichiche fisiologiche
dell’anziano aumentano se l’ambiente circostante sfavorevole, questo sottolinea l’importanza di
interventi educativi appropriati che possono concorrere a favorire una terza-quarta età serena. Se
l’io della persona anziana non è sufficientemente forte per fronteggiare le frustrazioni provenienti
dall’esterno e dall’interno appaiono segnali di disadattamento, stati di depressione e di abbandono
e con tendenza a lasciarsi andare oppure rifiuto del presente. Per quanto concerne l’adattamento il
disadattamento dell’anziano Erikson definisce come disperazione il venir meno del compito di
accettazione dei limiti della propria vita. Progettare un piano educativo implica individuare ad
Hawk le opportunità positive e vantaggiose per la vita dell’anziano, rinforzare l’immagine che
l’anziano ha di sé, che la società a di lui per restituire dignità sociale. È importante avere un
ambiente facilitante che risponde ai bisogni dell’anziano.

I modelli dell’invecchiamento
La teoria del disimpegno delinea un ritiro fisico, sociale e psicologico della persona anziana che
dedica le sue risorse residue alla protezione del proprio sé. Secondo la teoria dell’attività la persona
deve mantenere inalterati lo stile di vita gli interessi personali dalla maturità all’età senile. La
persona anziana continua ad essere impegnata in attività connesse ai vecchi o i nuovi ruoli. La
teoria della continuità pone in primo piano l’importanza di non cambiare stile di vita e di
mantenere una continuità con il livello di attività lavorativa, familiari e sociali. La teoria del
Successful aging (dell’invecchiare bene) si realizza con tre indicazioni strategiche: la selettività che
riguarda il bisogno di focalizzarsi su determinati ambiti delle proprie attività e competenze
maggiormente esercitate in passato, l’ottimizzazione delle capacità personali, la compensazione
che consente di controbilanciare le abilità non più presenti con sostegni provenienti dall’ambiente
esterno e con le proprie capacità ancora sufficientemente integre.

I disturbi cognitivi dell’età anziana


In questo paragrafo esamineremo due principali disturbi cognitivi della senilità: la demenza e il
delirium. Definiamo la demenza come un processo patologico caratterizzato da un graduale e
globale deterioramento delle funzioni cognitive e in particolare della memoria. Le demenze
possono essere primarie quando hanno una base degenerativa (l’Alzheimer) o secondarie quando
sono connesse diverse patologie internistiche e neurologiche (malattia di Parkinson). La demenza si
instaura lentamente, il decorso progressivo e il disturbo mnesico iniziale riguarda l’incapacità di
ricordare episodi recenti come gli avvenimenti della giornata, in seguito sia la compromissione
della memoria lungo termine, sono presenti alterazioni emotive, il linguaggio subisce un
deterioramento, nell’occhio e vago impreciso. La malattia di Alzheimer è una forma di demenza su
base degenerativa con esordio precoce prima dei 65 anni o con esordio tardivo ai 65 anni, questa
demenza a una componente genetica ed è caratterizzata da deficit della capacità di immaginazione
e richiamare i ricordi, cioè perdita del patrimonio conoscitivo, delle capacità linguistiche.nelle fasi
iniziali le abilità motorie rimangono sostanzialmente integre. Durante tutto il decorso della malattia
possono presentarsi disturbi della condotta. La demenza vascolare è causata da una malattia
vascolare ed è caratterizzata da un deterioramento irregolare del funzionamento cognitivo. Sono
presenti fasi di improvvisa diminuzione dell’abilità cognitiva, seguite da periodi relativa
stabilizzazione del quadro clinico. La demenza fronto temporale è caratterizzata da cambiamenti
sociali ed emotivi, sono presenti deficit di memoria tuttavia sono più compromessi le funzioni
esecutive. Poi ci sono demenze causati da traumi e malattie.

Il delirium va incontro a completa remissione se la patologia medica che ne è la causa viene


trattata correttamente. Viene descritto come uno stato confuso, possono essere presenti deliri e
allucinazioni e si manifesta con momenti di lucidità nei quali è coerente e vigile nel corso della
giornata. Il presupposto dell’intervento psicosociale nelle demenze è rappresentato dall’idea che la
sintomatologia e i comportamenti del soggetto esprimano non solo il processo patologico di base,
pensi rispecchino anche il contesto ambientale sociale, le reazioni emotive della persona. Inoltre,
nella pratica educativa possono rilevarsi utili le conoscenze del soggetto allo scopo di rafforzare le
risorse personali e le capacità residue. La finalità dell’intervento ed incrementare l’autosufficienza e
migliorare la qualità della vita dell’utente della sua famiglia, ridurre l’ansia e la solitudine. Risulta
vantaggioso fornire ai familiari informazioni inerenti agli individui, al fine di permettere la
comprensione di comportamenti che potrebbero apparire spiegabili ed eludere reazioni incongrue.

I disturbi psicologici dell’età avanzata


Nell’età senile aumentano le probabilità di disturbi come la depressione, nella persona anziana la
depressione può presentarsi in modo differente rispetto ad altre età, preoccupazioni, ansia, disturbi
cognitivi, irrequietezza. I disturbi d’ansia sono più frequenti della depressione e sono spesso
associati allo stress che accompagna l’invecchiamento. Le conseguenze fisiologiche dell’abuso della
dipendenza da sostanze si aggravano con il crescere dell’età ad esempio con l’invecchiamento
diminuisce la tolleranza all’alcol e può condurre a delirium. Nell’anziano sono riscontrabili:
-I disturbi psicotici a esordio tardivo: caratterizzati da deliri, i disturbi deliranti paranoidi possono
essere secondaria un problema di delirium, legati alla perdita di funzioni cognitive sensoriali o
isolamento sociale. I tratti di personalità hanno la tendenza ad aggravarsi con il progredire dell’età,
l’esordio tardivo sembra dipendere maggiormente da fattori ambientali in meno da fattori genetici.
-I disturbi psicotici esordito in età giovanile: ci sono cronicizzati e persistono nell’età anziana
(schizofrenia residua).
-I sintomi psicotici che si manifestano nel contesto dei disturbi mentali organici: possono
presentarsi nei soggetti affetti da epilessia in seguito a traumi cranici, stress emotivi.
Per aiutare l’anziano importante intervenire sull’isolamento.

CAPITOLO 8: promozione del benessere prevenzione

Gli interventi educativi, formativi riabilitativi


Il setting lavorativo viene definito in termini di relazione di aiuto e di promozione nel contesto della
vita quotidiana, ci sono due tipologie di operatore: l’operatore socio sanitario l’operatore socio
educativo. L’approccio dell’operatore verso l’utenza si diversifica in rapporto alla situazione in cui
opera. Da tempo fanno ormai parte del nostro territorio categorie sociali l’individuo anche stranieri
immigrati che sperimentano difficoltà di ordine sociale culturale. Gli interventi dell’educatore
dovrebbero essere politico sociali political correct per garantire pari opportunità nel
riconoscimento dei diritti di cittadinanza. L’educatore non è uno specialista di una patologia è un
attivatore di relazioni sociali, aiuta i soggetti affidati alle sue competenze professionali a
relazionarsi con la realtà e le realtà sociali. Educare significa formare il cliente a pensare con lo
scopo di trasmettere favorire la sua stabilità e la sua autodeterminazione. L’intervento
dell’educatore sull’individuo incide sulle relazioni interpersonali e sul suo ambiente di vita, egli è
responsabile:
- nei confronti di se stesso educatore: saper osservare, saper ascoltare, poter riflettere su se stessi,
avere cura di sé, avere consapevolezza dei propri limiti dei propri errori, confrontarsi con la nuova
tolleranza le costruzioni, valorizzare le nuove potenzialità.
-Nei confronti dell’utenza: lo scopo consiste nel promuovere la massima autonomia, dovrebbe
mancare l’empatia.
-nei confronti della professione
-Nei confronti dei colleghi di altri professionisti: risultano fondamentali rispetto la collaborazione
reciproca.
-Nei confronti della struttura a cui appartiene.
-Nei confronti della comunità: l’educatore non dovrebbe essere all’oscuro delle reali risorse
territoriali.
-Nei confronti delle politiche sociali.
Morin propone i sette saperi necessari all’educazione dei quali l’operatore dovrebbe tenere conto
nell’attuazione di interventi: la cecità della conoscenza, i principi di una conoscenza pertinente, la
condizione umana, identità terrestre, la gestione delle incertezze, la comprensione, l’etica del
genere umano.
La competenza educativa include la competenza personale, metodologica e cognitivo disciplinare.
La competenza personale consiste in una buona interpretazione del ruolo professionale di una
buona gestione delle dinamiche tra loro il soggetto che lo interpreta, pensiamo siano di grande
utilità una formazione personale universitaria è un training esperienziale diretto Nel tirocinio del
laboratorio. La competenza metodologica concerne nella progettazione e valutazione degli
interventi. La competenza cognitivo disciplinare riguarda le conoscenze che guidano nell’analisi del
reale. Molti autori sostengono che l’interesse dell’educatore non si limiti a teorie modelli inerenti
all’educazione ma che si estenda ad altri contributi ad esempio: a porto pedagogico, psicologico,
socio antropologico, filosofico sociologico, medico, del servizio sociale, giuridico, economico, della
comunicazione multimediale. Sembra naturale che l’attuazione di un progetto educativo richiede
da parte dell’educatore la programmazione, la gestione la verifica degli interventi educativi diretti
al recupero e alla crescita delle persone in stato di difficoltà. Le componenti essenziali
dell’intervento educativo sono: la relazione tra educatore utente, la finalità che ci prefigge di
raggiungere, gli strumenti e metodi educativi. Instaurare un legame significativo l’utente
coinvolgerlo attivamente è basilare per il suo percorso educativo e maturativo di realizzazione
personale. L’attività che l’educatore svolge possono avere:
-Funzione di rete: quando hanno come focus la relazione tra educatore utente.l’obiettivo di creare
una relazione educativa e giungere ad un cambiamento.
-Funzioni indirette: nel momento in cui l’attenzione posta sull’organizzazione e sui procedimenti
dell’intervento.le attività di progettazione, programmazione, verifica e valutazione influenzano
indirettamente la relazione tra educatore utente.
-Funzione di secondo livello: quando le attività di formazione, di coordinamento e di supervisione
sono rivolte ai colleghi, dal suo operatori, soggetti con funzioni educative.
L’educatore si troverà a fronteggiare i casi educativi che si differenziano dalla realtà lui nota e
incontrerà limitazioni metodologiche dovranno essere superate. L’educatore opera nella scena
educativa con un atteggiamento indirizzato alla cura educativa, diventa comprensibile come
progettazione e programmazione costituiscono la sorgente di ogni progetto programma di
intervento educativo. Progettare significa tendere verso un fine da conseguire; programmare
implica invece la fase operativa, organizzativa e strumentale del piano progettuale. La
programmazione include: obiettivi prefissati che dovrebbero concernere l’attivazione delle risorse
personali, l’incremento della fiducia, tempi da rispettare, modalità, verifiche da eseguire,
valutazione. E il protocollo metodologico è operativo include alcune fasi:
1 preparazione del progetto relativo programma di intervento: riguarda la raccolta di informazioni
conoscitive (conoscenza dell’utenza, dei progetti e dei programmi, di metodi, strumenti, contesti),
la formazione di ipotesi di intervento, l’individuazione di eventuali risorse dei soggetti,
l’elaborazione di un programma definitivo.
2 formulazione delle finalità funzionali al percorso formativo: vengono tracciati gli obiettivi
generali, stabiliti sottoobiettivi.
3 intervento educativo: questa fase centrale prevede l’elaborazione delle attività e degli interventi
da attuare, delle procedure operative dei soggetti partner coinvolti nella collaborazione.
4 conoscenza dell’utenza: i dati conoscitivi possono essere raccolti in luoghi formali come la scuola
e il lavoro e in luoghi informali dove gli utenti scelgono di trascorrere il tempo libero.
5 scelta degli strumenti di lavoro: si tratta di selezionare i mezzi adeguati, griglie di osservazione,
interviste, questionari, lezione frontale, la discussione in piccoli gruppi, role play.
6 valutazione e autovalutazione: in quest’ultima fase vengono valutati l’efficacia delle attività
realizzate, lo stato di benessere dell’utenza i risultati conseguiti. È opportuno documentare il lavoro
svolto con schede di osservazione, griglie costruiti ad hoc, diari di bordo.
Cerchiamo ora di considerare gli spazi nei quali il professionista opera, il setting è una parte del
contesto per realizzare la relazione educativa, l’intervento non può che essere individuale è
opportuno ottenere la collaborazione la famiglia.l’intervento elettivo prevede un setting di gruppo
quando l’operatore all’opportunità di relazionarsi con il simbolo osservando anche quello che
avviene nelle interazioni le singole gli altri. L’intervento sulla famiglia si propone di osservare il
ristrutturare stili interattivi organizzativi disagevoli. Gli interventi a favore di una rete di persone
possono riguardare ad esempio l’integrazione sociale scolastica di minori extracomunitari
promuovendo attività collaborative tra associazioni, gruppi e singoli. Gli interventi possono essere
residenziali, semi residenziali, diurni. L’opera dell’educatore può assumere una connotazione
differente in relazione al datore di lavoro per conto del quale egli svolge l’attività perché lo espone
richieste, vincoli, opportunità diversificate che però non devono avere recrudescenza negative
sull’utenza. Il compito dell’educatore potrebbe consistere nell’orientare e sostenere l’individuo nel
viaggio di conoscenza di sé, nel proporre nuovi finalità e opportunità. La buona riuscita del
percorso educativo può essere ostacolata dall’imitazione inerenti a difficoltà dell’educatore ad
operare a causa di determinate caratteristiche di personalità; esposizione dell’utente a modelli
relazionali invasivi; risorse materiali ed economiche; incomprensioni che coinvolgono l’équipe.
L’incontro tra educatore ed educando e perciò incontro di esistenze, nel corso del quale ciascun
impara non solo più cose dell’altro ma più cose su di sè. Al centro di ogni intervento riabilitativo si
pone la dinamica relazionale che si instaura giorno per giorno tra educatore utente, l’obiettivo
finale dell’intervento è quello di pervenire all’incremento del livello di funzionamento
indispensabile per vivere in modo adeguato, all’integrazione sociale, la reintegrazione del mondo
nel lavoro, la normale quotidianità della persona.

La risposta emotiva dell’educatore


Le caratteristiche dei singoli individui coinvolti nella relazione stessa hanno un ruolo rilevante nel
determinare il percorso fatto. Ci si ritrova inevitabilmente a fare i conti con aspetti soggettivi,
personali: ambizioni, fantasie, aspettative, bisogni, giudizi e pregiudizi che appartengono entrambi
membri dell’interazione. Per risposta emotiva dell’educatore intendiamo quello stretto legame che
esiste tra i sentimenti personali e i suoi concreti interventi e comportamenti professionali. La parola
transfert descrive i sentimenti che gli utenti sperimentano nei confronti degli operatori e per
controtransfert si fa riferimento a tutti i sentimenti che questi ultimi provano nei confronti degli
utenti, si può parlare di controtranfert educativo perché nell’attività lavorativa spesso: sono i
sentimenti degli operatori a determinare la qualità del lavoro fornito, i pregiudizi personali e
familiari possono condurre ad attività non sempre adatta alla situazione, lo stress professionale e il
Bornout si verificano con maggiore frequenza quando si trascurano le emozioni degli operatori
relazione agli utenti, spesso si tendono ad evitare argomenti delicati che mettono l’operatore in
difficoltà anche se centrali per l’utente. In psicoanalisi il medico dovrebbe controllare il
controtransfert. Questo conserva nell’intervento un significato negativoostacola la scientificità.
Heimann mette in risalto la svolta verso una concezione totale del controtransfert, accentuato il
suo valore positivo come essenziale mezzo diagnostico e lo ha definito una creazione del paziente.
I suoi sentimenti si formano nell’analista ma come prodotti del paziente. Oggi si pensa che il
controtransfert sia una parte essenziale della relazione psicoanalitica, usare la nostra soggettività
vuol dire renderla consapevole, è importante la consapevolezza e l’uso di tali sentimenti nella
relazione. Il rapporto educatore utente non si trova sullo stesso livello c’è una dipendenza dal lato
di chi chiede aiuto. Questa dipendenza riproduce il modello della famiglia, se c’è qualcosa che si
deve superare non riguarda il coinvolgimento emotivo ma le barriere, gli ostacoli che lo stesso
operatore oppone alla percezione del proprio vissuto affettivo. Se gli aspetti emotivi vengono
repressi possono portare a un vero e proprio crollo dell’operatore. Per l’educatore le emozioni
correlate alla relazione con l’utente possono rappresentare qualche volta un pericolo a causa di
eventuali sovrapposizioni di parti di sé e con quelle dell’altro. Per risposta emotiva intendiamo
proprio la capacità dell’educatore di cogliere gli effetti emozionali che il contatto con l’utente
evoca a livello di vissuti personali per verificare quanto questi incidano sull’obiettività della propria
risposta, e il coinvolgimento emotivo potrà fungere da strumento di lavoro: come mezzo di
mediazione o porta d’accesso, come sostegno zona franca dove offrire all’interessato l’occasione di
fermarsi, superare i propri blocchi e ripartire. In pratica il controtransfert permette di penetrare i
significati così come vengono provati dal dente.

La rilevanza della supervisione


Non si può accedere ad un’efficace competenza relazionale senza divenire consapevole di quello
che si è, gli operatori devono andare verso una formazione permanente per imparare a fermarsi e
riflettere sull’operato. Vi era necessità di un luogo fisico ma ancora prima mentale dove poter
parlare dell’utente e anche di sé in relazione a lui. La supervisione è il luogo di aiuto della relazione
di aiuto, le sue funzioni principali sono: riattivare nell’équipe di lavoro una riflessione comune,
prendersi il tempo per riflettere, dare accesso e deflusso ad emozioni intense e spesso bloccate,
cogliere nel gruppo un senso di coesione di appartenenza, esternare vissuti, prendere
consapevolezza delle situazioni che si verificano. La supervisione esamina le dinamiche delle
relazioni di aiuto, analizza il rapporto tra queste relazioni e i ruoli. Nella relazione educativa la
quotidianità diventa caratteristica che differenzia e definisce un progetto. Nella pratica quotidiana
l’educatore dovrebbe valorizzare il proprio sì, produrre garantire i processi di sostegno, acquisire
attivare metodologie tecniche a valenza educativa e pedagogica, essere attento alle dimensioni
della negoziazione della mediazione tra le esigenze dei diversi soggetti coinvolti e dei diversi
contesti interessati. La supervisione si configura come dimensione essenziale per lo svolgimento
sempre più qualificato dell’attività educativa ne garantisce una sorta di manutenzione lavorativa.
L’esperienza di supervisione favorisce la possibilità di riflessione comune, momenti di sospensione
del giudizio e la possibilità di approfondire il da farsi. L’educatore deve a sua volta essere
supportato, trovare uno spazio di contenimento, gestire le proprie azioni. Il gruppo di formazione
supervisione consente all’educatore un’esperienza di condivisione offre sostegno e accoglienza.

Prevenire il Burnout
Il burnout è una sindrome di esaurimento emozionale può presentarsi in soggetti che si occupano
della gente.
Il pericolo nel rapporto di aiuto e che si instauri una relazione priva di equilibrio instabile a livello
emotivo, risulta quindi importante distinguere i ruoli. Il processo di aiuto comporta il fattore
caratteristico del Burnout che lo stress sorge dalla interazione sociale tra l’operatore e il
destinatario dell’aiuto. L’esaurimento emozionale si verifica quando l’operatore eccessivamente
coinvolto a livello emotivo finendo con il sentirsi svuotato. La spersonalizzazione riguarda un
atteggiamento distaccato, freddo che può proteggere l’operatore dalla tensione del
coinvolgimento emotivo. Il sentimento di una ridotta realizzazione personale è connotato da sensi
di colpa per il modo in cui l’operatore ha trattato gli utenti, bassa autostima che possono sfociare
nella depressione. Il burnout è una risposta allo stress cronico quotidiano, diminuisce la tolleranza,
muta la modalità tramite cui individuo vede gli altri. Si propone la metafora del cortocircuito. Il
burnout nelle professioni di aiuto comprende tre fasi:

1 l’operatore avverte uno squilibrio tra risorse disponibili e richieste


2 l’operatore si sente stanco, demotivato, irritabile
3 l’operatore evidenzia il distacco emotivo, cinismo, rigidità e tende a trattare gli utenti secondo
modalità impersonali e meccaniche.

L’impatto dell’istituzione che controlla in parte l’operatore sulla forma e sul contenuto della
relazione di aiuto ha un ruolo determinante nel favorire o nell’ostacolare il Burnout. Il Burnout può
sorgere quando viene data più responsabilità di quanta ne possa gestire o con le relazioni alterate
con i colleghi o in contesti privi di armonia. I fattori esterni possono quindi alimentare il burnout
ma non sono gli unici responsabili della sua evoluzione. Occorre considerare anche i fattori interni
vale a dire le caratteristiche personali, le personalità arrischio dell’operatore sono: debole,
intollerante impaziente, fiducioso e poco ambizioso, ansioso, non in grado di controllare la
situazione, frustrato, rassegnato. L’esaurimento emozionale del burnout è spesso connesso al
deterioramento del benessere fisico e psicologico, per gestire questi sintomi fisici l’operatore può
indirizzarsi verso alcol, tranquillanti e droghe sentendosi ogni potente allo scopo di tenere a bada i
sentimenti di fallimento. A volte compare molto presto la connessione tra Burnout e abbandono
del posto di lavoro, un vantaggio rilevante dell’approccio preventivo all’individuazione precoce di
questo. Colleghi amici ed altri costituiscono il miglior sistema di allarme. Per combattere il burnout
il soggetto può ricorrere a strategie personali quali modificare il proprio stile di lavoro e prendersi
maggiormente cura di sé prevedendo delle pause. E necessario che la struttura al lavoro stabilisca
dei periodici controlli pre Burnout, controlli istituzionali con per esempio sondaggi. Esistono
strategie istituzionali per contrastare il burnout: ristrutturazione delle attività, una migliore divisione
del lavoro, modifica delle politiche istituzionali, flessibilità di permessi, miglioramento dei
programmi di formazione, servizi specifici e di consuelling. Si può affrontare poi in modo efficiente
nelle fasi di formazione degli operatori fornendo previsioni realistiche sul lavoro e motivare il
soggetto a prepararsi al meglio. Per superare, ridurre prevenire il burnout è basilare che ci sia
equilibrio tra operatore e utente né troppo coinvolto, né troppo poco.
CAPITOLO 9: lavoro di équipe importanza del gruppo

Nozioni di base per lavorare con i gruppi


Reynolds, un ingegnere informatico californiano compie un esperimento con uccelli virtuali simulati
al computer e che famoso con il nome di uccelloidi di Reynolds; agli organismi artificiali vengono
attribuite alcune semplici regole di comportamento, regole locali grazie alle quali uccelli
disseminati a caso sullo schermo senza alcun comando preciso tendono a formare uno stormo ad
assumere comportamenti collettivi per evitare gli ostacoli e raggiungere obiettivi. Questo curioso
esperimento segnala la presenza in gruppo di attrattori positivi, cioè della capacità di auto
organizzazione autoregolazione. Il gruppo è qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri a
una struttura propria, fini peculiari e relazioni particolare con altri gruppi. Esso può definirsi come
una totalità dinamica. Ciò significa che è un cambiamento di stato, parti o frazione qualsiasi
interessa lo Stato di tutte le altre. In un gruppo due componenti interagiscono da una parte gli
individui che lo compongono dall’altra il campo sociale in cui agisce. L’opera di Lewin è il primo
tentativo di collegare la ricerca psicologica relazione sociale a lui si deve la nozione di gruppo
come campo di interdipendenza. La dinamica di gruppo è una disciplina che ha poco più di
sessant’anni nata dalla necessità della gestione dei conflitti sociali, per la formazione di leader. Il
gruppo inoltre concepito come un microcosmo sociale. Il lavoro di gruppo è dotato di una serie di
potenzialità che lo rendono un utile strumento-metodo per formare formarsi. L’educatore deve
possedere un bagaglio di conoscenze esperienze che gli permettono di gestire efficacemente i
gruppi, siano essi informali, formali e strutturati. All’interno di un gruppo di lavoro il conduttore è
una variabile assai rilevante. In campo psicosociale il gruppo è definito come costruito da almeno
due membri che interagiscono, una qualità fondamentale della loro relazione all’interdipendenza
dal compito è la presenza di un obiettivo comune verso cui orientare le loro azioni, quindi un
destino comune. Un piccolo gruppo o gruppo ristretto è costituito da un numero ristretto di
persone al massimo 12. Nel gestire efficacemente un gruppo è necessario che l’educatore sia
conoscenza della dinamica di gruppo, sia formato sui ruoli, sulla leadership, sull’orientamento del
gruppo stesso. Gli elementi universali e le attività rivolte alla persona, i soggetti sono: obiettivo,
metodo, ruoli, leadership, comunicazione, clima. Brevemente per obiettivo si intende il risultato
atteso, per metodo si intende l’insieme dei criteri che strutturano e guidano l’attività di gruppo, i
ruoli indicano le parti assegnate a ciascuno dovrebbero essere caratterizzati da interdipendenza e
flessibilità, la leadership è l’espressione della funzione di influenzamento di un individuo sul
gruppo. L’educatore deve assumere la funzione di leader del proprio gruppo. Gli indicatori del
clima del gruppo sono principalmente il sostegno, il calore, l’apertura. In generale il problema
iniziale quando ci si appresta a lavorare con i gruppi e quello della composizione del gruppo
stesso; se l’insieme non è stabilito a priori la prima questione affidata al conduttore è la
composizione del gruppo. L’indicazione di massima è di procedere ad uno o più colloqui
preliminari, si suggerisce di bilanciare aspetti di omogeneità ed eterogeneità, deve tenere conto di
aspetti quali il sesso, l’età, il quoziente intellettivo. Gli incontri possono variare nella loro cadenza e
durata, per cadenza un incontro la settimana è sufficiente la durata può variare dall’ora e mezza
alle due ore. All’inizio del lavoro sarà utile esplicitare il contratto del gruppo richiamando i membri
alla puntualità, la regolarità della partecipazione. Il primo stadio del gruppo definito di
orientamento e di emergeranno insicurezze, ansia, aggressività, diffidenza, passività nei confronti
del conduttore. Spetterà a questi lavorare per costruire fiducia e successivamente si assiste allo
stadio del conflitto, si tende ad affermare il proprio punto di vista e a creare i sottogruppi. Infine si
perviene allo stadio della collaborazione: le energie vengono veicolati verso il raggiungimento
degli obiettivi, la comunicazione più aperta gruppo si orienta verso la ricerca e non più verso la
richiesta passiva che il conduttore guidi il processo.

Educatore e l’importanza del lavoro di équipe


Ho una persona che soffre di disagio viene presa in carico da più operatori, i modelli organizzativi
sono in genere costituiti da équipe o gruppi di lavoro. Il lavoro di équipe sostanzialmente la
collaborazione tra diversi professionisti per portare avanti un progetto di aiuto della persona, è il
metodo più efficace di lavoro per favorire raggiungimento degli obiettivi e tutela l’operatore da
eventuali rischi di Burnout. Diversi professionisti si incontrano per comunicarsi e scambiarsi
informazioni sulla base della quale vengono formulati i piani di trattamento, l’unico approccio che
consente di affrontare tutti i bisogni degli utenti e quello multidisciplinare. Lavorare con altre figure
richiede all’educatore il superamento dei propri modelli culturali individualistici, necessaria una
flessibilità e la necessità di formare una cultura condivisa, conoscenze teoriche comuni cioè che
l’intero gruppo di lavoro svolga un training formativo apposito. Il fatto di non definire chiaramente
le competenze professionali di ogni membro porta l’intervento ad essere scarsamente efficace.
Payne afferma che il lavoro di équipe richiede che i suoi membri abbiano una chiara e definita idea
della propria funzione sottolineammo quindi l’importanza di condividere e costruire un linguaggio
comune con gli altri operatori dell’équipe. Nell’utente le Keep deve favorire un progetto globale
che coinvolga anche i sistemi in cui il soggetto inserito. Il lavoro dell’équipe si svolge inizialmente
con la stesura del profilo funzionale seguita dalla formulazione di un progetto riabilitativo-
abilitativo globale personalizzato, occorrono riunioni cadenzate, periodiche. Gli incontri di lavoro
insieme consentono di ridurre al minimo rischi di stereotipie, di rigidità.

La formazione dell’educatore attraverso il gruppo


La nascita della formazione Psico sociologica è avvenuta in Italia per la conduzione di piccoli gruppi
utilizzando i concetti e le esperienze condotte da Lewin nel 1947 negli Stati Uniti. La formazione è
un’attività educativa finalizzata ad incrementare il sapere dei soggetti deve essere piazzata e
concretizzata in termini di processo, ci sono quattro tappe: l’analisi dei bisogni, la progettazione,
l’azione formativa, la valutazione dei risultati. Pensiamo alla formazione rivolta agli educatori, si
constata la necessità di un sapere essere cioè di una trasformazione professionale soggettiva che
sottolinea la connessione tra educazione formazione. Si potrebbe dire che vi sia una dialettica
perenne tra due percorsi: dall’educazione alla formazione della formazione all’educazione.
L’educatore deve essere destinatario di una formazione continua non solo professionale ma anche
emotivo affettiva. L’uso massiccio delle teorie nel campo educativo può provocare la dissociazione
tra il sentire il pensare distruggere il contatto con il nostro essere. La teoria può funzionare come
cornice che aiuta a pensare, se ci si affidasi alla sola teoria si rischierebbe di aumentare la tendenza
alla razionalizzazione. La formazione non viene più intesa oggi soltanto come acquisizione di
conoscenze ma come trans formazione cioè apprendimento dell’esperienza che chiama in causa la
riscoperta delle dimensioni Inter soggettive, dell’immagine di sé. Il gruppo può rappresentare un
laboratorio esperienziale diventa uno strumento elettivo ed estremamente efficace di conoscenze
crescita della propria identità professionale e del proprio rapporto con il lavoro. I gruppi di
formazione devono essere contestualizzati in termini di lavoro qui e ora, in un piccolo gruppo si
possono vedere dal vivo in una sorta di laboratorio esperienziale le reazioni del gruppo. Non si
presta attenzione solo a ciò che viene detto ma si è aperta i toni della voce, i gesti, i silenzi si mira a
far apprendere attraverso l’esperienza ciò che avviene in una situazione non strutturata. Il fine
ultimo del lavoro di un gruppo di apprendimento e l’attuazione di un pensare insieme una
costruzione della conoscenza in cui ciascun interlocutore partecipa attivamente all’accumulazione
del sapere.

Un esempio di gruppo di formazione con la tecnica dello psicodramma analitico


Lo psicodramma analitico è una psicoterapia di gruppo che utilizza il gioco come parte della
esperienza clinica può essere condotto soltanto da professionisti formati e alcuni elementi utilizzati
in lessico dramma analitico come il role playling (gioco di ruolo) vengono utilizzati anche darti i
professionisti in altri contesti. L’assunzione di ruoli diversi così come si realizza attraverso il role
playing rappresenta una grande potenzialità dello psicodramma per permettere che vi sia un
accrescimento di conoscenza. L’obiettivo del gioco psicodrammatico nella prospettiva della
formazione non vuole migliorare il ruolo ma migliorare lo stato d’animo dell’individuo, anche nei
gruppi didattici il gioco separa e filtra di continuo il conscio dall’inconscio.

Due esempi di gioco psicodrammatico nella formazione


Lucia l’educatrice di una casa di cura per anziani utilizza la tecnica dello psicodramma analitico.
Racconta di una signora anziana che vive vicino a casa e che spesso aiuta giocando secondo la
tecnica del role play ling Simi ma la telefonata avvenuta il giorno prima in cui la signora chiama
Lucia il momento in cui dovrebbe uscire ad andare al lavoro Lucia cerca di mostrarsi disponibile ma
sente ansia e disagio affrettati e si sente in colpa, sceglie Mara ad interpretare il ruolo dell’anziana
signora e si mostra la risposta gentile ma risoluta. Il gioco ha fornito lo spunto per riflettere che chi
sceglie di svolgere una professione che lavora con la relazione di aiuto tende a credere di dover
essere sempre disponibile come può l’educatore preservare il suo spazio e mantenere distanza tra
educatore-utente. Il gruppo permette di allenarsi ad un sentire, la formazione più efficace passa
attraverso l’esperienza emotiva affettiva che permette di ampliare la conoscenza di sé e le proprie
competenze comunicative relazionali.

CAPITOLO 10: la professione di educatore.

La ricerca su un campione di educatori che operano in differenti realtà la figlia di indagare


come viene percepita è vissuto il lavoro di educatore

Le premesse della ricerca


L’educatore è un professionista dell’aiuto che entra in contatto con varie tipologie di utenti.il suo
ambito di esercizio professionale costituito da strutture pubbliche private aventi funzione
educativa, rieducativa, riabilitativa e di animazione sociale. Si tratta di situazioni diverse che
richiedono differenti modalità di approccio ma ho l’unica base di pertenza: la presenza di
motivazioni, conoscenze, competenze e professionalità. L’operatore educativo si trova ad essere un
effettivo elemento di cambiamento. La relazione di aiuto prevede una dinamica analoga alla
relazione tra bambino e genitore, l’impostazione educativa inciderà sul futuro, la relazione tra
educatore utente dovrebbe prevedere un percorso comune e consentire alla persona di essere
autonoma e non dipendente dalla fonte di sostegno. C’è un percorso che necessita di tempi,
strategie, metodologie precise e un obiettivo finale. Rogers afferma che ogni soggetto ha una
predisposizione innata a muoversi in direzione della crescita, della maturità e del cambiamento
positivo, il compito dell’operatore educativo deve essere soprattutto quello di fornire sostegno
emotivo è colui che fornisce aiuto mediante l’esserci, il condividere, orientare il prendersi cura. Gli
obiettivi dello studio e analizzare come viene percepita è vissuto la professione di educatore delle
persone che operano direttamente sul campo. Il disegno della ricerca prevede di analizzare come la
psicologia clinica le sue teorie vengano viste considerato nella pratica educativa, come la
conoscenza della psicopatologia posso aiutare nel percorso educativo.
Descrizione del campione strumenti utilizzati: la ricerca condotta da Samantha sagliaschi e
coordinata da Roberto pani, ha coinvolto un campione di 222 educatori con unità media di 34,81
anni il 49% opera con bambini e con adolescenti il 42% con adulti e il 9% con anziani.dalle
interviste merce che gli interventi a favore dell’età evolutiva e adolescenziale vengono attivati
tramite appoggia scolastico. Quelli diretti all’adulto includono interventi di sostegno della persona
e all’anziano sono rivolti interventi che hanno funzione assistenziale. La ricerca previsto in una
prima fase utilizzo di un questionario costruito ad hoc e volto a tracciare un profilo dell’educatore.
In una seconda fase è stata somministrata ad ogni operatore educativo l’intervista per l’educatore
da noi ideata, alcune domande riguardanti il lavoro educativo in particolare le motivazioni che
hanno determinato la scelta, le idee e i valori, le competenze ritenute essenziali, la peculiarità
l’azione nel lavoro.
Risultati discussione: l’educatore lavora per una propria scelta valoriale di professionalizzazione
che richiede formazione continua, spinto dalla motivazione di dare aiuto e sostegno, considera il
proprio lavoro impegnativo volte faticoso ma gratificante, ritiene che educare implica aiutare a far
emergere le potenzialità individuali, per favorire l’autonomia e migliora le condizioni di vita. Egli
ritiene che il rispetto per la persona dell’utente sia un principio imprescindibile, sostiene che il
requisito per svolgere al meglio la professione di educatore sia costituito dal lavoro di équipe, da
un dialogo è un confronto. Secondo l’educatore la relazione con l’utente dovrebbe essere basata
sull’empatia, non esiste per l’educatore un setting privilegiato; il setting dipende dalle
caratteristiche dell’utenza e dagli obiettivi, l’educatore lamenta che la sua figura professionale
spesso svalutata. Tra le paure nel suo lavoro spicca il timore di non riuscire ad aiutare l’utente, di
non essere all’altezza. Il punto di forza del lavoro è dato dal fatto che a prescindere dalle difficoltà
si possono incontrare successi di ricompensa agli sforzi. La mancanza di evoluzione delle persone
con le quali si opera costituisce una delle principali cause del Bornout, le principali paure
riguardano il non riuscire ad aiutare. Il lavoro dell’educatore si attua attraverso lo strumento della
relazione empatica, il setting è una parte del contesto e concretizza la qualità della cura,
dell’accudimento. Winnicott sostiene che la stabilità dell’ambiente permette al soggetto di
conoscere e sperimentare cominciare a fidarsi gradualmente dell’altro. In ogni fascia di età dei
pescatori rappresenta per l’utente una figura rassicurante di cui impara fidarsi e riveste anche una
funzione di sostegno emotivo per ricostruire una rete di rapporti sociali. L’educatore si pone in
un’ottica di ascolto non giudicante e il percorso educativo può essere paragonato a un treno in cui
c’è chi guida e chi scende e chi sale, c’è un capolinea che prevede il cambiamento. Per usare
un’altra metafora possiamo paragonare il percorso educativo ad un libro cambiare significa voltare
pagina mantenendo comunque la propria identità. L’educatore progetta organizza, gestisce verifica
le proprie attività professionali all’interno di servizi e strutture socio educative con altre figure
professionali, pensiamo che l’operatore debba possedere: capacità relazionale molto elevata,
capacità di analisi dei bisogni degli individui nella loro complessità, capacità di elaborare un
progetto di intervento educativo e di attuarlo utilizzando strumenti e tecniche diverse, capacità di
relazione, di controllo, di lavoro di gruppo, di cooperare con le famiglie.

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