Sei sulla pagina 1di 71

LE PSICOTERAPIE: CLASSIFICAZIONE

E ASPETTI SPECIFICI
E LE INDICAZIONI ALLA
PSICOTERAPIA

Prof. Mario Fulcheri


Cattedra di Psicologia Clinica
Università degli Studi “G. d’Annunzio”
Chieti-Pescara
“La psicoterapia è il trattamento, con mezzi psicologici, di problemi di
natura psichica, in cui una persona appositamente qualificata stabilisce
deliberatamente una relazione professionale col paziente con lo scopo di:
rimuovere, modificare o attenuare i sintomi esistenti, mediare i modi di
comportamento disturbanti, promuovere la crescita e lo sviluppo positivi
della personalità”. (Wolberg, 1967)
(Fulcheri, 2005)
La psicoterapia è un intervento nel quale un professionista competente e un
soggetto che gli si rivolge si incontrano con un chiaro e concordato scopo
e, per quanto i modelli di psicoterapia siano vari, tutti hanno l’obiettivo
terapeutico comune di alleviare il disagio psicologico ed emotivo del
paziente mediante l’induzione di cambiamenti nelle modalità di pensiero,
nei sentimenti e nei comportamenti (Strupp, 1986).
(Munno, 2008)
L’area della psicoterapia è, ormai da un decennio, sia stabilmente
formalizzata sia definita nei suoi ambiti. Nel nostro paese, infatti,
l’abilitazione a questa professione è subordinata all’iscrizione in
appositi elenchi degli Albi Professionali dei medici e degli
psicologi, secondo le precise normative previste dalla Legge 18
febbraio 1989, n. 56. Questa stabilisce che la laurea in Medicina o
in Psicologia debbano essere completate dalle specializzazioni in
Psichiatria, Psicologia Clinica, Neuropsichiatria infantile (per i
medici); Psicologia Clinica, Psicologia della salute, Psicologia del
ciclo di vita (per gli psicologi) o dai corsi quadriennali delle Scuole
di Psicoterapia riconosciute dal Ministero (sia per medici sia per
psicologi). A fronte di questa normativa, e onde evitare ambiguità,
indichiamo che per psicoterapia si intende (A. Pazzagli, 1994):
1. La pratica degli operatori specializzati (psicologi, psichiatri, psicologi clinici, neuropsichiatri
infantili) nel settore dell’aiuto ai sofferenti di disturbi psichici di vario tipo. Il primo aspetto
che differenzia la psicoterapia da tutti gli altri interventi d’aiuto è costituito dal fatto che è
un intervento sulla psicopatologia. Compito dell’operatore è quello dell’accoglimento, della
comprensione dell’individuo, della decodificazione dei messaggi, ma anche della
trasmissione di ciò che si è compreso del suo disturbo per aiutarlo a superarlo.
2. Tutte le psicoterapie istituzionalizzate, formalizzate e riconosciute dal Ministero; in questo
caso non si tratta di un atteggiamento psicoterapeutico come parte di una professione, ma la
psicoterapia è l’intervento professionale stesso. Il suo oggetto di studio è la mente come
entità che continuamente si modifica anche nella relazione e a causa di essa e che non è
immediatamente collegabile alla realtà esterna condivisa. Rientrano in quest’area tutte le
forme di psicoterapia riconosciute, tra le quali si ricordano:
– la psicoanalisi, la psicologia individuale, la psicologia analitica, e le psicoterapie ad
indirizzo psicodinamico;
– le psicoterapie umanistico-esperienziali;
– le psicoterapie relazionali;
– le psicoterapie cognitivo-comportamentali;
– le psicoterapie brevi;
– le psicoterapie di sostegno;
– le psicoterapie focali;
– le psicoterapie della coppia o della famiglia.
Classificazioni e aspetti specifici delle
psicoterapie
Principali approcci psicoterapeutici:
 Psicoanalisi;

 Psicoterapia psicodinamica;

 Psicoterapia di gruppo;

 Psicoterapia sistemico-relazionale (terapia familiare);

 Psicoterapia cognitiva-comportamentale;

 Psicoterapia interpersonale;

 Psicoterapia di Liaison;

 Psicoterapia d’urgenza.

Munno, 2008
Psicoanalisi
SCOPO: progressiva integrazione del materiale rimosso nella struttura
globale della personalità al fine di giungere a una sua
ristrutturazione, ottenendo come risultato indiretto il miglioramento
della sintomatologia
FONDAMENTI TEORICI:
- Transfert: l’insieme dei sentimenti e comportamenti del paziente
nei confronti dell’analista che deriva dai desideri infantili del
soggetto verso i propri genitori; questi sentimenti inconsci
emergono permettendo così al paziente di ottenere la gratificazione
attraverso l’analista.
- Controtransfert: risposta emotiva a livello inconscio dell’analista a
stimoli provenienti dal paziente. È importante che il clinico
riconosca tali sentimenti per evitare che possano essere d’ostacolo
alla relazione terapeutica (Kernberg, 1976).
- Interpretazione: rielaborazione esplicitata dell’analista del legame
esistente tra un sintomo, un comportamento o un’emozione e i vissuti
inconsci.
- Resistenza: si tratta della repressione di idee e impulsi inaccettabili alla
coscienza che possono manifestarsi attraverso lunghi periodi di silenzio,
ritardi agli appuntamenti, mancati pagamenti. E’ fondamentale
superarla per lo svolgimento del processo analitico.
FREQUENZA E DURATA: la durata è compresa di solito da un minimo
di tre fino a cinque o più anni, per quattro, cinque incontri a settimana.
SETTING: di solito il paziente è steso su un lettino o su un divano e
l’analista si pone dietro di lui. Le verbalizzazioni del terapeuta sono
limitate. Tali aspetti favoriscono la regressione che, a sua volta, facilita
il riemergere dei vissuti inconsci.
Munno, 2008
TECNICHE DI TRATTAMENTO
- Libere associazioni: espressione del paziente di tutto quello che gli viene in
mento senza censure;
- Attenzione fluttuante: capacità dell’analista di prestare un’accurata
attenzione sia ai contenuti del paziente sia ai propri vissuti soggettivi.
- Regola dell’astinenza: posticipazione della gratificazione di ogni desiderio
istintuale (non permettendo al paziente di gratificare, nella relazione analitica,
il desiderio di affetto e amore originato nell’infanzia), così da generare una
tensione che permetta l’esplicitazione di associazioni rilevanti utilizzate
dall’analista con lo scopo di aumentare la consapevolezza del paziente.
RUOLO DEL TERAPEUTA: ruolo di specchio riflettente; assoluta neutralità;
frustrazione del paziente
FATTORE TEUAPEUTICO: dominanza dell’introspezione in un ambiente
relativamente deprivato.
Munno, 2008
INDICAZIONI:
- Profonda motivazione;
- Sensibilità psicologica;
- Precedenti relazioni oggettuali buone;
- Capacità di mantenere la nevrosi di transfert;
- Buona sopportazione della frustrazione;
- Nevrosi;
- Lieve psicopatologia caratteriale
CONTROINDICAZIONI:
- Psicosi;
- Dipendenze da sostanze;
- Impossibilità di modificare le reali condizioni di vita del paziente (l’analisi potrebbe peggiorare la
situazione);
- Disturbo antisociale di personalità;
- Limiti di tempo;
- Una storia di grave sadismo e violenza;
- Intelligenza di livello inferiore o troppo superiore alla media;
- Incapacità di instaurare legami emotivi con gli altri.
Munno, 2008
Psicoterapia psicodinamica
Si è sviluppata dalla psicoanalisi classica ed è stata definita in diversi e
numerosi modi: psicoterapia psicoanalitica, espressivo-supportiva,
orientata all’insight, esplorativa, svelante e intensiva.
Tiene conto dei sintomi e della loro riduzione, si occupa della
soluzione di conflitti circoscritti, cerca di ottenere degli equilibri
psico-emozionali il più possibile stabili attraverso la sostituzione di
meccanismi di difesa non adattivi con altri più egosintonici e
consoni a una vita relazionale soddisfacente (Svartberg, 2004).
SCOPI:
- Migliorare l’insight;

- Alleviare la sintomatologia;

- Sostenere un funzionamento psichico equilibrato;

- Migliorare la conoscenza di sé, sostenendo una crescita personale.


FONDAMENTI TEORICI:
- I fattori emozionali condizionano il comportamento umano, per
tale ragione la comprensione di se stessi e la capacità di insight
sono indispensabili per modificare e controllare il
comportamento;
- La maggior parte dei vissuti emozionali è radicata nell’inconscio,
quindi non accessibile alla conoscenza e all’introspezione;
- È possibile ottenere consapevolezza, stabilità e controllo
emozionale maggiori grazie ai processi che permettono di rendere
coscienti i significati profondi alla base dei conflitti e delle
tensioni inconsce (Svartberg et al., 2004).
(Munno, 2008)
Continuum espressivo-supportivo
La psicoterapia psicodinamica può collocarsi lungo un continuum di interventi che
hanno
ai loro estremi, da una parte, le terapie espressive (a orientamento introspettivo) e,
dall’altra, le terapie di sostegno (Gabbard, 2007).
1. Terapie espressive: si basano sull’introspezione grazie alla quale il paziente può
comprendere il funzionamento della propria personalità
FREQUENZA E DURATA: da una a tre volte alla settimana, a breve o a lungo termine
SETTING: paziente e terapeuta uno di fronte all’altro, in alcuni casi uso del lettino.
SCOPI: riorganizzazione parziale della personalità e delle difese attraverso la
risoluzione dei conflitti preconsci e consci; sollievo del sintomo.
TECNICHE:
- Dinamiche e difese analizzate parzialmente;
- Confronto, chiarificazione parziale e interpretazione (hic et nunc); associazioni
libere limitate;
- Attenzione sugli eventi interpersonali attuali;
- Analisi del transfert negativo;
- Transfert positivo lasciato inesplorato se non costituisce un ostacolo alla terapia;
-
RUOLO DEL TERAPEUTA: atteggiamento attivo e partecipe; neutralità modificata;
gratificazione implicita del paziente
FATTORE TERAPEUTICO: possibilità di introspezione all’interno di un ambiente
empatico e di identificazione con un “oggetto buono”
INDICAZIONI:
- Un Io sufficientemente forte;
- Nevrosi;
- Lieve o modesta psicopatologia caratteriale, in particolare personalità narcisistica
o borderline;
- Motivazione e sensibilità psicologica di grado profondo o moderato;
- Capacità di formare un’alleanza terapeutica; esame di realtà conservato;
- Relazioni oggettuali significative;
- Buon controllo degli impulsi;
- Capacità di introspezione;
- Parziale sopportazione della frustrazione.
CONTROINDICAZIONI:
- Psicosi;
- Incapacità di instaurare relazioni significative. (Munno,
2008)
2. Psicoterapie di supporto:
FREQUENZA E DURATA: una volta alla settimana o meno, a breve
termine o intermittente a lungo termine.
SETTING: paziente e terapeuta uno di fronte all’altro, è controindicato
l’uso del lettino.
SCOPI:
- Reintegrazione dell’Io e delle capacità di coping;
- Ripristino di un equilibrio preesistente;
- Rafforzamento delle difese;
- Miglioramento dell’adattamento sociale;
- Accettazione della malattia;
- Miglioramento della sintomatologia.
TECNICHE
- Instaurazione di un’alleanza terapeutica e di una relazione oggettuale
reale;
- Attenzione agli eventi di vita consci;
- Confronto, chiarificazione e interpretazione dell’hic et nunc per
rinforzare le difese;
- Suggestione, rinforzo, incoraggiamento, consigli e rassicurazioni;
- Abreazione utile;
- Le libere associazioni sono controindicate;
- La regressione è scoraggiata;
- L’analisi del transfert è utilizzata di rado.
RUOLO DEL TERAPEUTA: ridotta neutralità; partecipazione attiva;
gratificazione esplicita.
FATTORE TERAPEUTICO: Io ausiliario; ambiente di sostegno;
introspezione (limitata).
INDICAZIONI:
- Gravi disturbi del carattere;
- Psicosi latenti o manifeste;
- Crisi acute;
- Grave crisi esistenziale;
- Difetti dell’Io di natura persistente;
- Scarsa capacità di tollerare le frustrazioni;
- Malattia fisica;
- Motivazione e capacità di instaurare un’alleanza terapeutica;
- Mancanza di sensibilità psicologica;
- Compromissione del giudizio di realtà;
- Relazioni oggettuali gravemente compromesse;
- Intelligenza limitata;
- Scarso controllo degli impulsi;
- Scarsa capacità di osservazione;
- Disfunzioni cognitive su base organica.
CONTROINDICAZIONI:
- Possibilità di incoraggiare regressione e dipendenza eccessiva.
(Munno, 2008)
Psicoterapia sistemico-relazionale
La terapia della famiglia nasce nell’ambito del disturbo schizofrenico e si
rifà
alla teoria della comunicazione e alla teoria dei sistemi di Von Bertalanffy
(1968), applicati al sistema familiare. Si fonda sull’ipotesi che la malattia
psichiatrica sia causata da turbe relazionali all’interno della famiglia intesa
come sistema, cioè un’unità con una particolare omeostasi relazionale che
viene mantenuta nonostante possa essere disattivata.
Gli obiettivi sono:
- La scoperta e il riconoscimento dei modelli sottostanti che portano alla
conservazione degli equilibri disadattivi all’interno del nucleo familiare;
- Aiutare la famiglia a comprendere il significato, l’utilità e lo scopo di
tali modelli;
- Trasformare l’organizzazione del sistema stesso ricreando nuovi
equilibri che si basino su dinamiche familiari maggiormente adattive.
Tale approccio postula l’esistenza del “paziente designato”, cioè di un

membro della famiglia che è stato etichettato come “malato” e che

costituisce il “sintomo” della famiglia patogena. La psicoterapia

sistemico-relazionale aiuta a rivelare gli schemi ripetitivi e prevedibili

di comunicazione della famiglia che sostengono e riflettono il

comportamento del “paziente designato”.


VANTAGGI
- Tende ad essere relativamente più breve di un trattamento individuale,
soprattutto di tipo analitico;
- Permette all’individuo di concentrarsi di più sui comportamenti reali che
influenzano la sua vita con le persone che gli sono più vicine;
- I fattori legati al transfert possono essere attenuati in un assetto in cui sono i
membri reali della famiglia a costituire l’oggetto di interesse;
- Tale trattamento, a differenza delle psicoterapie individuali, tende a
promuovere atteggiamenti più responsabili anche nei confronti delle altre
persone.
INDICAZIONI:
- Nella schizofrenia;

- Nei casi in cui l’unità familiare è in pericolo e i membri sono preoccupati


più della sua sicurezza che non del proprio personale sviluppo e benessere.
CONTROINDICAZIONI: la possibilità che facili soluzioni conformiste e
semplicistiche penetrino nella pratica del trattamento familiare a causa della
sua struttura intrinsecamente conservativa.
(Munno, 2008)
Psicoterapia cognitivo-comportamentale
Tale approccio si pone l’obiettivo di modificare schemi comportamentali e/o
cognitivi disfunzionali del soggetto, utilizzando tecniche terapeutiche
combinate che derivano sia dall’approccio cognitivo sia sa quello
comportamentale (Jaconson, 1987). L’integrazioni tra tecniche cognitive
e comportamentali dipende dal fatto che comportamenti, pensieri ed
emozioni sono legati in un sistema di complesse relazioni reciproche; il
cambiamento stabile di un elemento del sistema porta all’inevitabile
modificazione di un altro.
È opportuno che il paziente che si sottopone a tale psicoterapia possieda:
- La motivazione ad un intervento breve e diretto sui propri disturbi, e non
esplorativo sulla personalità;
- Un senso di sé coeso;

- Disturbi psicopatologici circoscritti ed egodistonici, che si esprimono nel


comportamento (evitamento delle situazioni fobiche, rituali ossessivi,
riduzione dell’attività).
(Munno, 2008)
Terapia cognitiva
È di tipo strategico: si riferisce ad un obiettivo preciso e definito dal
paziente, comporta la continua ricerca di una relazione paritetica e si
svolge di solito attraverso diverse tappe:
- Auto-osservazione;
- Ricostruzione della storia personale allo scopo di mettere in evidenza
gli schemi cognitivi maladattivi appresi sin dai primi anni di vita;
- Utilizzo di tecniche terapeutiche con lo scopo di modificare i pensieri
e i comportamenti maladattivi;
- Esplorazione e successiva utilizzazione delle resistenze del paziente
alle suddette tecniche.
OBIETTIVO: cambiamento diretto delle strutture conoscitive abnormi
attraverso la critica sia dei contenuti conoscitivi sia dei processi di
pensiero.
TECNICHE:
- Riflessione critica e argomentazione logica;
- Coping imagery (uso dell’immaginazione per affrontare eventi dolorosi,
ma necessari);
- Problem-solving;
- Self- instructional training (addestramento all’attenzione);
- Stress inoculation training (controllo degli impulsi attraverso il dialogo
interno e l’immaginazione anticipatoria).

(Munno, 2008)
Terapia comportamentale

L’intervento clinico è centrato sul comportamento osservabile del

paziente all’interno del proprio contesto ambientale. Si basa

sull’ipotesi che alcuni disturbi di tipo nevrotico siano conseguenti

ad apprendimenti erronei che si manifestano con comportamenti

non adattivi, per cui il sintomo rappresenterebbe una risposta

abnorme generata da un processo di condizionamento

(Skinner, 1953; Bandura, 1986).


OBIETTIVO: modificazione del comportamento disadattivo. Per
raggiungere tale scopo è utile:
- fornire incoraggiamento al paziente al fine di aiutarlo ad affrontare
ciò che nella realtà evita perché fonte di paura e ansia;
- guidarlo nel confronto con le situazioni temute rispettando tempi e
modi;
- indicare strategie comunicative semplici e utili per superare i
sentimenti di inferiorità e di isolamento sociale;
- nel caso di disturbi sessuali, fornire suggerimenti al fine di migliorare
la conoscenza del proprio corpo ostacolata dal disturbo stesso.
TECNICHE:
- Condizionamento e decondizionamento;
- Desensibilizzazione sistematica (fobie);
- Social skills training;
- Blocco progressivo dei rituali ossessivi;
- Tecniche di terapia del comportamento sessuale (focalizzazione
sensoriale, acquisizione della capacità di controllare l’eiaculazione,
addestramento al rilassamento e alla contrazione volontaria della
muscolatura vaginale).
CONTROINDICAZIONI DELLA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE:
- Presenza di seri o gravi disturbi di personalità (in particolare borderline);
Nei disturbi del comportamento sessuale: presenza di difficoltà comunicative e/o di
relazione con il partner.
INDICAZIONI:
- fobie;
- Disturbo ossessivo compulsivo (più efficace nei rituali di lavaggio e meno se
prevalgono le ruminazioni ideative e i dubbi ossessivi);
- Disturbo da attacco di panico;
- Distimia;
- Disfunzioni sessuali (eiaculazione precoce, impotenza, disfunzione orgasmica
femminile e vaginismo);
- Enuresi notturna;
- Sindrome di Gilles de la Tourette;
- Balbuzie;
- Anoressia nervosa e bulimia nervosa;
- Schizofrenia (trattamento familiare e di comunità).
(Munno, 2008)
Psicoterapia di gruppo
Le psicoterapie di gruppo operano in un setting che prevede la presenza
di un gruppo di pazienti che si incontrano in luoghi e tempi
concordati guidati da un terapeuta professionista allo scopo di
aiutarsi a vicenda a conseguire un cambiamento della personalità.
Gli scopi del trattamento sono l’ attenuazione dei sintomi, la
modificazione delle relazioni interpersonali, e il cambiamento delle
dinamiche intrafamiliari alterate.
Si basa sull’ipotesi che il “campo” gruppale possa essere considerato il
luogo entro cui si sviluppano forze (come tensioni e conflitti) che
spingono verso il cambiamento sia l’assetto del gruppo che le forze
che vi si oppongono.
Il terapeuta possiede una serie di dispositivi:
- interventi;

- suggerimenti;

- interpretazioni;

- utilizzo del contenimento;

- direttività;

- rinuncia consapevole e interventi direttivi.

FATTORI TERAPEUTICI:
- Speranza: il recupero, attraverso le esperienze nel gruppo, della
fiducia negli altri;
- L’universalità: il riconoscimento della propria appartenenza al
genere umano attraverso la comprensione del fatto di non essere
soli nella propria sofferenza;
- La conoscenza: l’apprendimento di nuovi aspetti della malattia, di
sé e degli altri;
- L’altruismo: l’attitudine a capire di essere in grado di offrire agli altri e diventare più
disponibili a ricevere da loro;
- La ricapitolazione: correzione dell’originaria esperienza infantile familiare, rivisitata
nelle relazioni stereotipe vissute con gli altri membri del gruppo;
- La socializzazione: riduzione della tendenza all’isolamento, attraverso lo sviluppo di
abilità sociali;
- L’imitazione: l’opportunità di apprendere nuovi patern di comportamento più adattivi;
- La catarsi: l’espressione di emozioni e affetti utile per comprendere come talune
espressioni non sono poi così devastanti;
- Il fattore esistenziale: il contatto con alcune dimensioni di base dell’assistenza come la
vita, la morte, la libertà, la paura, la responsabilità, l’odio e l’amore, che vengono
apertamente discusse in gruppo;
- La coesione: il senso di appartenenza e gruppalità;
- L’apprendimento interpersonale: si verifica grazie all’immediatezza del rapporto con
l’altro all’interno degli scambi che avvengono nel microcosmo gruppale.
Munno, 2008
LIVELLI TERAPEUTICI DELLA TERAPIA DI GRUPPO:
1. Gruppi di attività: il gruppo utilizza come strumento terapeutico un’attività o un
comportamento definito:
• tipi di terapia: terapia occupazionale, gruppi sportivi, musicali, di ballo, ecc.;
• presupposto terapeutico: appartenere, essere e agire in gruppo;
• Fattori terapeutici: speranza, universalità, catarsi, coesione;
• Implicazioni psicodinamiche:
a) Dipendenza da un leader o da uno specifico compito;
b) Gruppi basati sull’organizzazione;
c) Simpatia idealizzata;
d) Possibilità di sublimazione e rinforzamento del sé;
• Indicazioni: terapia di appoggio e di riabilitazione in pazienti psicotici,
psicorganici e con debolezze strutturali dell’Io.
2. Gruppi terapeutici propriamente detti: l’attività di gruppo e poco strutturata; non è

importante ciò che il gruppo fa, ma come lo fa:

• Tipi di terapia: musica, danza, tecniche corporee differenti, pittura, teatro;

• Presupposto terapeutico: partecipazione e condivisione nel gruppo;

• Fattori terapeutici: conoscenza e socializzazione;

• Implicazioni psicodinamiche:

a) Reazione speculare positiva;

b) Contesto in parte organizzato e aperto a dinamiche di gruppo egosintoniche;

• Indicazioni cliniche: terapia di appoggio e di riabilitazione in parte trasformativa, nel

caso in cui la terapia gruppale intensiva sia ostacolata da problemi clinici,

psicodinamici o pragmatici (nevrosi, disturbi di personalità e psicosi).


3. Psicoterapia di gruppo: il compito esclusivo è la psicoterapia:
• Presupposto terapeutico: cambiare nel gruppo;
• Caratteristiche:

a) Attività di gruppo non strutturata;

b) Il principale mezzo di comunicazione è la verbalizzazione libera e spontanea;

c) Il gruppo stesso svolge la funzione di agente di cambiamento terapeutico;


• Fattori terapeutici: agiscono tutti i fattori terapeutici di gruppo all’interno di
un setting determinato, con la guida di un terapeuta specializzato;
• Indicazioni cliniche: nevrosi, disturbo di personalità borderline,
tossicodipendenza, schizofrenia non in stadio acuto, disturbo del
comportamento alimentare.
I gruppi di psicoterapia possono essere distinti
in:
 Omogenei ed eterogenei: in genere si tende a formare gruppi
eterogenei allo scopo di integrare i membri del gruppo a seconda delle
differenti categorie diagnostiche, modalità comportamentali, razza,
aspetti socio-culturali, età e sesso. I bambini e gli adolescenti
ottengono maggiori benefici se introdotti in gruppi omogenei per età.
Negli altri casi sembra però che terapie di gruppo con membri dotati
di caratteristiche simili abbiano tra loro interazioni superficiali,
presentando quindi minori vantaggi dei gruppi eterogenei: dovrebbero
quindi essere costituti gruppi eterogenei per quanto concerne i
conflitti dei membri, ma omogenei per quanto riguarda i livelli di
forza dell’Io.
 Aperti o chiusi: di solito il numero dei pazienti e la composizione del
gruppo sono definiti. Si può parlare del gruppo chiuso se, nel caso in
cui alcuni pazienti abbandonino il gruppo, non ne vengono ammessi
altri. Il gruppo invece è aperto quando c’è un certo grado di fluidità.
INDICAZIONI:
- Adolescenti;
- Gravi disturbi di personalità;
- Famiglie;
- Coppie;
- In ogni caso in cui la malattia condizioni o rinforzi nei pazienti
una situazione di isolamento;
- Nel caso di pazienti particolarmente ansiosi nei confronti delle
figure autorevoli potrebbe essere di giovamento parlare e
relazionarsi con soggetti allo stesso livello.
CONTROINDICAZIONI:
- Grave presenza di rischio di suicidio;

- Comportamento sadomasochista in famiglia o nella coppia;

- Presenza di disturbo di personalità antisociale;

- Pazienti deliranti;

- Pazienti che potrebbero costituire una minaccia fisica per i membri del gruppo a
causa di esplosioni incontrollabili di aggressività;
- Incompatibilità con le norme del gruppo;

- Incapacità di sopportare l’ambiente di gruppo;

- Incompatibilità grave con uno o più membri del gruppo;

- Tendenza ad assumere un ruolo deviante;

- Disorganizzazione psicotica;

- Dipendenza da sostanze;

- Gravi somatizzazioni;

- Disfunzioni cognitive su base organica.

Munno, 2008
Psicoterapia interpersonale
Nasce come terapia breve (dura una settimana) per la cura della depressione, in base alle teorie
della Scuola interpersonale di Sullivan (1953).
Si basa sull’ipotesi che l’esordio della sintomatologia depressiva sia legato a problematiche
interpersonali attuali piuttosto che a caratteristiche stabili della personalità (Weissman,
2007; Klerman et al. 1984; Stuart, Robertson, 2003).
RUOLO DEL TERAPEUTA: attivo e di supporto.
TECNICA:
I fase: i sintomi vengono collegati dal terapeuta alle quattro aree interpersonali, che
comprendono il lutto, i conflitti di ruolo, le transizioni di ruolo e le carenze interpersonali;
II fase: indagine specifica di una delle quattro aree interpersonali;
III fase: il terapeuta aiuta il paziente a rilevare i benefici della psicoterapia e ad acquisire
strategie per identificare e in seguito affrontare eventuali sintomi che potrebbero insorgere
in futuro.
INDICAZIONI: fase acuta della depressione; di recente stata utilizzata per una vasta gamma
di psicopatologie.
Munno, 2008
Psicoterapia di Liaison
All’interno della consulenza psicologico-clinica e psichiatrica è
prevedibile un intervento psicoterapico a volte unico a volte
contestuale a prese in carico brevi.
SCOPO: introdurre a diversi livelli e a seconda del trattamento e del
contesto, un cambiamento nel soggetto, nella sua rete relazionale o
nel contesto socioambientale.
OBIETTIVI:
- Rafforzare le difese e le capacità di adattamento dell’hic et nunc;

- Rieducare attraverso interventi diretti, indicazioni, persuasione e


riapprendimento;
- Ricostruire provocando cambiamenti nell’adattamento, nel
comportamento e nella personalità per modificare i modelli portati
avanti lungo tutta la vita.
TECNICHE:
- di sostegno: rassicurazione, suggestione e chiarificazione; sostegno delle difese
egosintoniche;
- esplorativa: interpretazione del comportamento, dei conflitti e del transfert per
incoraggiare l’insight;
- direttiva: indicazioni e persuasioni dirette a ristrutturare il modo di pensare,
sentire e comportarsi.
INDICAZIONI:
- patologie oncologiche;

- disturbi del comportamento alimentare;

- trapianti d’organo;

- malattie dermatologiche;

- psicosomatica;

- ipertensione;

- diabete.

(Munno, 2008)
Psicoterapie d’urgenza
OBIETTIVI:
- Il superamento della situazione di crisi;

- La rimozione o il miglioramento di specifici sintomi, senza


agire in modo diretto sulla struttura della personalità;
- L’accrescimento dell’autonomia al fine di intraprendere un
successivo, eventuale trattamento psicoterapico a lungo
termine;
- Favorire un buon legame terapeutico attraverso
l’investimento sull’“oggetto-terapeuta”.
DURATA E FREQUENZA: flessibile; periodo massimo di
trattamento: otto settimane.
TECNICHE:
- Trattamento immediato;

- Terapia individuale; interventi sia espressivi (facilitano l’abreazione e


la catarsi) sia di sostegno, di tipo pedagogico e cognitivo;
- interpretazione utilizzata di rado, soltanto con lo scopo di limitare
l’utilizzazione di meccanismi di difesa primitivi (negazione, proiezione
e scissione);
- Il transfert viene accettato e guidato, ma non interpretato se non nei
casi necessari e con estrema prudenza.
INDICAZIONI: qualsiasi individuo che stia attraversando un momento di
crisi;
CONTROINDICAZIONI:
- Psicosi;

- Tendenza all’acting out.

(Munno, 2008)
Per approfondimento consultare il capitolo 6 Concetto

di Psicologia Clinica come galassia, come sistema

complesso che è andato evolvendosi pp. 42-52 in

Le attuali frontiere della psicologia clinica di M.

Fulcheri
Concetto di Psicologia Clinica come galassia, come sistema complesso che è andato
evolvendosi

Le costellazioni: nelle attuali frontiere della Psicologia Clinica si possono ipotizzare,


sempre nell’ambito della metafora astronomica, sei principali costellazioni
paradigmatiche:
1) La costellazione psicodinamica, forse quella più complessa, in quanto rappresentata
dalla “stella polare” della Psicoanalisi di Freud, a buona ragione identificata come
“l’alimento vitale” nella fondazione e per lo sviluppo di tutta la Psicologia Clinica
(Imbasciati, 1994), oltre che dalle altre due “stelle” di particolare rilievo e
brillantezza, e cioé le Scuole di psicologia del profondo originate da Adler (la
Psicologia Individuale) e da Jung (la Psicologia Analitica), ma anche da tutte le più
o meno visibili “stelline”, accomunate dal riconoscimento dell’inconscio e della
centralità del rapporto interpersonale come fulcro di conoscenza (sul piano teorico)
e di mutamento (sul piano terapeutico), come quelle relative alle Scuole create da
Lacan, piuttosto che da Reich (carattero-analitico), oltre alle varie espressioni delle
“psicoterapie di derivazione psicoanalitica”, della psicoanalisi della relazione, della
gruppo-analisi, della psicoterapia analitico-immaginativa, di quella conversazionale.
Affinità e presupposti comuni: – negli assunti teorici, il disturbo come
espressione della presenza di conflitti inconsci; – negli scopi, il
riconoscimento consapevole del conflitto attraverso l’esplorazione
dinamica e l’esperienza relazionale; – nel processo terapeutico,
l’emergenza e la comprensione degli impulsi e delle difese
inconsce; – nelle tecniche operative, l’interpretazione attraverso le
associazioni libere, l’analisi dei sogni e delle fantasie ricorrenti, e
l’utilizzo del transfert e del controtransfert.
2) La costellazione umanistica-esper(i)enziale, a sua volta costituita dal
modello gestaltico, da quello rogersiano, da quello esistenziale e
della dasein-analyse, da quello dell’analisi transazionale, da quello
dello psicodramma moreniano, da quello delle psicoterapie
espressive.
Affinità e presupposti comuni: – negli assunti teorici, il disturbo come
espressione dell’incapacità di entrare in relazione con la propria
interiorità; – negli scopi, la consapevolezza della propria capacità di
crescita; – nel processo terapeutico, la comprensione della propria
modalità di esistenza; – nelle tecniche operative, la partecipazione
emotivo-affettivo-empatica, le tecniche di gruppo, quelle
psicodrammatiche, le tecniche verbali (direttive e non direttive), e
quelle artistico-espressive.
3) La costellazione biologico-funzionale1, contraddistinta dal modello ipnotico-
sofrologico, da quello della programmazione neurolinguistica, da quello delle
tecniche immaginative-suggestive-meditative, da quelle centrate sul corpo.
Affinità e presupposti comuni: – negli assunti teorici, il disturbo come espressione di
anomali vissuti emotivi neuro-psico-fisiologici e di disarmonia nell’unità mente-
corpo; – negli scopi, la modificazione degli stati emotivi e l’armonizzazione
psicosomatica; – nel processo terapeutico, l’elaborazione attraverso stati
coscienziali e livelli di vigilanza neuro-psico-fisiologici; – nelle tecniche
operative, quelle immaginative, suggestive, ricostruttive-elaborative.
4) La costellazione comportamentista, caratterizzata eminentemente dal modello
classico comportamentista, da quello a orientamento neuro-psico-fisiologico, da
quello delle tecniche di bio-feed-back, da quello dell’apprendimento osservativo
(modelling).
Affinità e presupposti comuni: – negli assunti teorici, il disturbo come espressione di
un comportamento disadattivo; – negli scopi, la modificazione del
comportamento; – nel processo terapeutico, l’apprendimento per
condizionamento operante, controcondizionamento, ricondizionamento attraverso
stimoli appropriati; – nelle tecniche operative, quelle direttive, condizionanti-
decondizionanti.
5) La costellazione cognitivista, a sua volta costituita dal modello
neocomportamentistico-cognitivistico, da quello della terapia
razionale-emotiva (RET di Ellis), da quello costruttivista, da
quello della terapia cognitiva di Beck.
Affinità e presupposti comuni: – negli assunti teorici, il disturbo
come espressione di un modo distorto di interpretare gli eventi; –
negli scopi, la modificazione delle convinzioni errate; – nel
processo terapeutico, la valutazione delle convinzioni attraverso
un’analisi dei processi cognitivi verso la riorganizzazione del
“campo affettivo-cognitivo” individuale; – nelle tecniche
operative, quelle direttive, la falsificazione delle convinzioni
errate, la ristrutturazione cognitiva (in questo ambito vedi la
lezione frontale “Dalle psicologie alla psicologia clinica”).
6) La costellazione sistemico-relazionale contraddistinta dal modello

sistemico-relazionale e da quello delle terapie familiari.

Affinità e presupposti comuni: – negli assunti teorici, il disturbo come

espressione di modelli disfunzionali di interazione familiare e sociale; –

negli scopi, l’attivazione di modelli relazionali che non necessitino di

comportamenti sintomatici; – nel processo terapeutico, l’intervento sulle

regole di relazione e sui messaggi comunicativi nei sistemi umani; – nelle

tecniche operative, quelle direttivo-relazionali, le prescrizioni

paradossali, quelle metaforiche, la riformulazione e la ristrutturazione.

(Fulcheri, 2005)
Le indicazioni alla psicoterapia
 Nel corso dell’incontro tra il terapeuta e il paziente, sia in
ambito pubblico sia privato, esiste una fase corrispondente
all’indicazione al trattamento. Tale fase è fondamentale per
comprendere meglio che cosa sia la psicoterapia.
 L’indicazione per un determinato metodo psicoterapeutico
dipende dalle seguenti valutazioni:
- La domanda del paziente (motivazione);
- L’anamnesi;
- La personalità del paziente (osservazione, colloqui, intelligenza
cognitiva e affettiva, insight, rigidità-elasticità);
- La valutazione testistica (questionari di personalità, test
proiettivi, test cognitivi, scale di valutazione);
La domanda del paziente

“La motivazione riguarda l’aspetto “dinamico” della condotta e in


particolare le fonti e le modalità di utilizzazione dell’energia psichica
necessaria per l’avvio o il mantenimento di una certa attività”.

È fondamentale uno specifico contesto motivazionale all’interno del

quale siano presenti:

- Una richiesta di aiuto psicologico da parte di un soggetto portatore di una


sofferenza;

- Un professionista con una propria competenza tecnica;

- Aspettative condivise del paziente e dal terapeuta riguardo la possibilità di


ricevere e fornire aiuto.
SECONDO SCHNEIDER (1977):

Esistono due fondamentali tipi di motivazione: estrinseca e intrinseca. Nella prima il soggetto
viene inviato al colloquio da altri (familiari, amici o
figure professionali), per cui la motivazione alla conoscenza è soprattutto del
clinico, il quale può comunque provare attraverso i colloqui a favorire lo
sviluppo nel soggetto di una motivazione almeno in parte intrinseca. Nella seconda è il paziente a
essere motivato a richiedere il colloquio mettendo in discussione se stesso; tale motivazione è
indispensabile per il processo psicoterapeutico.
Secondo Schneider (1977) alla domanda del paziente possono sottostare i
seguenti tipi di motivazione:

- Motivazioni psicologiche ben elaborate: il paziente esprime attraverso il linguaggio il suo


disagio psicologico permettendo di comprendere in breve tempo il nucleo conflittuale;
- Motivazioni spostate: il paziente presenta come proprie problematiche che in realtà sono di
altri (familiari e/o amici), “come se” avesse bisogno di aiuto.
- Pseudomotivazioni: il soggetto richiede la consulenza perché forzato dalle pressioni dei
familiari, degli amici o di un’autorità; in tali casi è impossibile avviare una psicoterapia.
L’anamnesi
Ha l’obiettivo di raccogliere informazioni sui dati demografici,

la storia clinica e la biografia del paziente circa il disturbo attuale. Un


possibile metodo di raccolta considera quattordici aree:

1. Motivo della richiesta della visita;

2. Disturbi attuali (inizio, decorso, condizioni attuali);

3. Disturbi precedenti ((altri episodi precedenti a quelli attuali);

4. Eventi e situazioni di vita significativi;

5. Storia terapeutica;

6. Storia familiare (di origine e attuale);

7. Familiarità psichiatrica;
10. Sviluppo (nascita e adolescenza);

11. Storia scolastica;

12. Temperamento- personalità di base;

13. Storia medica;

14. Sintesi dei dati anamnestici;

15. Terapia in atto (Cassano et al. 2002)

L’anamnesi ha quindi l’obiettivo principale di giungere

a un inquadramento diagnostico, di scegliere la terapia adeguata e di


ipotizzare la prognosi sul decorso della psicopatologia.
La personalità del paziente
I fattori della personalità da prendere in considerazione per avere
indicazioni alla psicoterapia sono:
- Intelligenza: è necessaria la presenza sia di una sufficiente
intelligenza cognitiva (capacità intellettuali) sia di un’intelligenza
affettiva intesa come inclinazione alla comprensione psicologica;
- Intuizione psicologica o insight: presuppone la capacità di non
proiettare all’esterno i propri vissuti interni; tale caratteristica
permette quel minimo di interiorizzazione dei conflitti
indispensabile per un trattamento psicoterapeutico: più questa
capacità è sviluppata, più è possibile orientarsi verso forme di
trattamento di tipo analitico;
- Valutazione della forza della personalità : l’approccio
psicoterapeutico potrebbe essere difficile nel caso di strutture di
personalità molto patologiche con un “Io” debole o troppo rigido
(narcisistiche, masochistiche, paranoidi, psicotiche, borderline).
La valutazione testistica

Per fornire una corretta indicazione è importante il confronto e

l’integrazione dei dati ottenuti dai colloqui clinici e dai test somministrati

in una prospettiva che è sia diagnostica sia prognostica: è possibile così

mettere in evidenza i punti forti o deboli di una personalità che possono

orientare verso un tipo o l’altro di psicoterapia (Fassino et al., 1983;

Rovera et al., 1980b, 1984b).


I TEST PROIETTIVI
Il test di Rorschach e il TAT (Thematic Apperception Test) consentono di investigare la
personalità
considerandola da un punto di vista dinamico come una totalità in continua evoluzione, i cui
elementi costitutivi sono in interazione reciproca. Tali tecniche permettono uno studio della
personalità dei meccanismi difensivi messi in atto, delle capacità di adattamento e possibilità di
evoluzione. Il soggetto durante la somministrazione del test è obbligato a realizzare un
compromesso tra il controllo cosciente e le pressioni fantasmatiche inconsce.
I TEST COGNITIVI
I test di intelligenza valutano alcune capacità del soggetto dalle quali può essere dedotto il livello
intellettivo. Il rendimento al test dipende da numerose variabili, tra le quali:
• potenziali capacità intellettuali;
• condizioni ambientali originarie;
• titolo di studio;
• professione;
• disturbi organici;
• eventuali stati ansiosi e disturbi emotivi.
Il test di intelligenza più utilizzato è la Wechsler Adult Intelligence Scale- Revised (WAIS-R)
che, per la ricchezza del materiale, fornisce all’indagine clinica interessanti elementi di tipo
psicodiagnostico.
Per approfondimento consultare il capitolo 11 “Risorse

ed orientamenti per l’assessment clinico” pp. 99-

106 in “Le attuali frontiere della psicologia clinica”

di M. Fulcheri
Risorse ed orientamenti per l’assessment
clinico

In Psicologia Clinica riveste fondamentale importanza la prospettiva che


caratterizza l’attività diagnostica; il concetto di diagnosi rimanda ad una
parola di origine greca (διαγνώσις) già utilizzata nella medicina antica,
che ha come significato quello di “riconoscimento”, “comprensione”,
“valutazione”, “discernimento”.
Si definisce, infatti, “processo diagnostico”, l’iter che il paziente percorre,
insieme al clinico, allo scopo sia di rilevare e circoscrivere l’ampiezza e
l’entità dei disturbi, e di attribuire loro un significato (diagnosi), sia,
ancora, di individuare le possibili strategie di cui avvalersi per ridurre,
modificare o eliminare, laddove possibile, la causa della sofferenza.
Di conseguenza la diagnosi identifica la malattia per la quale il
paziente soffre (King, 1982). In questo ambito, particolare rilievo
assume la definizione proposta da Menninger, dove il fare diagnosi
non significa classificare il disagio, ma comprendere la persona che
si trova in uno stato di disagio-malessere-scompenso
psicopatologico, al fine di decidere quali interventi possano essere
utilizzati (diagnosticare equivale quindi non tanto a classificare,
quanto soprattutto a conoscere e identificare le principali
caratteristiche di ogni individuo, a decidere sul “cosa fare” con un
paziente partendo dalla rilevazione dei suoi bisogni).
Viene definita come psicodiagnostica quella disciplina che, nel settore

applicativo della salute mentale, mira a tracciare un quadro

complessivo della personalità dei soggetti esaminati, per individuarne

i vari aspetti normali e patologici.

Si avvale quasi sempre di particolari test, che sono strumenti molto

complessi e il cui uso richiede una preparazione del tutto specialistica

utilizza inoltre, come strumenti principali, interviste e colloqui clinici

fondati sulla comunicazione verbale e sul rapporto interpersonale.


Per quanto concerne il colloquio clinico si sottolineano le seguenti
principali aree di indagine: l’ambito familiare (composizione del
nucleo familiare, atteggiamento dei genitori, livello di scolarità,
professione dei genitori, eventi stressanti rilevanti ecc.), l’ambito
fisico (eventuali problemi di salute del paziente) e l’ambito
psicologico (primi anni di vita, rendimento scolastico, pubertà ed
adolescenza, attività sessuale, rapporti interpersonali, situazione
professionale ecc.).
È attraverso il colloquio che si possono comprendere le principali
caratteristiche dell’Io del paziente (forza e debolezza, meccanismi
di difesa, conflitti ecc.), la qualità delle sue relazioni interpersonali
e tutte quelle componenti che consentono di acquisire un valore
prognostico (capacità di mentalizzare, tolleranza alla frustrazione,
capacità di gestione dell’ansia ecc.). I risultati dei test sono di per
sé importanti, però è necessario osservare l’evoluzione del
paziente all’interno di un setting preciso, per cui diventa
indispensabile completare il quadro clinico con le informazioni
necessarie all’approfondimento dei vari livelli di conoscenza.
Il processo diagnostico (articolato in una serie di passaggi), inizia con il
primo contatto con il paziente e prosegue, attraverso la formulazione
di ipotesi psicologico-cliniche, verso l’individuazione delle modalità
pragmatiche possibili, fino alla scelta dell’intervento ritenuto più
idoneo per quel determinato paziente, la cui attuazione costituisce
l’ultimo dei momenti del “tragitto” terapeutico.
Fare diagnosi significa impegnarsi in una vera e propria “impresa
valutativa”; tentare una diagnosi comporta la risoluzione di un arduo
problema conoscitivo; infatti, risolvere un problema diagnostico,
rimanda alla chiarificazione delle “cose oscure”. A questo proposito
va menzionata la differenza tra diagnosi sostanziale (quella che fa
riferimento ad una sostanza e a un suo modo di essere), diagnosi
funzionale (dove il riferimento di osservazione è costituito da una
funzione) e diagnosi tipologica (dove il riferimento è la produzione
della mente, dell’aspettativa, dell’immaginazione di chi fa la
diagnosi).
La psicometria è: quella branca della psicologia che tenta di tradurre,
in termini numerici e quantitativi, gli aspetti dell’attività psichica
e/o della personalità normale o patologica, che altrimenti
resterebbero oggetto di una valutazione soggettiva e descrittiva.
Dal punto di vista epistemologico, essa sembra rappresentare
l’applicazione del modello medico-naturalistico alla psicologia, nel
tentativo di formulare “oggettivamente” quello che altrimenti
resterebbe a livello di intuizione “soggettiva”.
Si vuole rimarcare come, nel passaggio da discipline a gruppi
disciplinari, e ultimamente a settori scientifico-disciplinari,
nell’ambito del raggruppamento di psicologia (M-PSI), la
psicometria viene a costituire uno specifico settore, M-PSI/03,
definibile attraverso la seguente declaratoria: il settore psicometria
comprende le competenze scientifico-disciplinari specificamente
riferite alla misura in psicologia, alla teoria dei test psicologici e
alle applicazioni della matematica e della statistica alla psicologia.
I metodi psicometrici si avvalgono di test, di scale di valutazione, di
questionari creati allo scopo di “misurare” le principali funzioni
psichiche dell’uomo; a questo riguardo va precisato che, in
psicologia, il numero acquista un significato diverso rispetto a
quello rivestito nelle scienze esatte; infatti non indica una quantità
in senso matematico, quanto piuttosto rappresenta un indicatore o di
posizione o di riferimento.
L’assessment ha quindi, come finalità “principe”, quella di raccogliere
tutti i dati necessari per l’elaborazione del caso e tali da consentire
di: “1) ricostruire i meccanismi e i processi che sottendono i
problemi (o disturbi lamentati); 2) individuare e concordare con il
paziente sia gli obiettivi immediati sia quelli di medio/lungo
periodo relativi all’eventuale trattamento; 3) identificare le modalità
di intervento più appropriate, per far fronte ai problemi del soggetto
in maniera efficace e duratura; 4) decidere circa le possibilità e le
opportunità di una presa in carico” (Moderato, Rovetto, 1997).
Inoltre, è bene ricordare che l’assessment iniziale si basa tanto su
“misurazioni”, quanto su “ipotesi”. Attraverso le prime ci si propone di
ottenere un insieme di informazioni tale da consentire, da un lato di
formulare le prospettive ipotetiche e, dall’altro, di confrontare i progressi
ottenuti nel corso della terapia; le seconde, invece, riguardano: 1) le
eventuali relazioni tra i disturbi e le varie situazioni potenzialmente in
grado di “scatenarli”, 2) l’eziopatogenesi dei disturbi, ossia la
ricostruzione dei meccanismi e dei processi che sottendono i problemi, 3)
le possibili strategie di approccio terapeutico, 4) le tecniche di trattamento
(Moderato, Rovetto, 1997).
Tutti i test utilizzati nell’ambito della psicodiagnostica hanno comunque lo
scopo di ottenere una misurazione obiettiva e standardizzata, capace di
consentire un’analisi approfondita delle differenze esistenti tra le reazioni
psichiche di più individui e/o le reazioni psichiche dello stesso individuo
in diverse condizioni. La standardizzazione del test implica un’uniformità
di procedura, affinché sia possibile la comparazione tra i diversi punteggi
del medesimo soggetto o di più individui.
Un test mentale, per essere efficacemente utilizzabile, sembra dover possedere le
seguenti caratteristiche:
– validità: la capacità di misurare esattamente ciò che si propone, quindi la
selettività che manifesta nei confronti di ciò che deve essere misurato piuttosto
che di ciò che non interessa;
– attendibilità: questa seconda caratteristica, detta anche “affidabilità”, è data sia
dall’accuratezza della misurazione, sia dalla costanza dei rilevamenti, che
devono fornire risultati identici, nelle ripetute somministrazioni allo stesso
individuo e nelle stesse condizioni;
– sensibilità: questa caratteristica è rilevabile verificando la capacità del test di
discriminare tra individuo ed individuo e fra i diversi livelli evolutivi e di
apprendimento dello stesso soggetto;
– praticità ed economia: sono caratteristiche di limitato valore teorico, ma che
decidono, di fatto, l’adozione di un test rispetto ad un altro. Per praticità si
intende la comodità di impiego, la semplicità della correzione, la facilità del
conteggio dei punteggi; per economia si intende il costo limitato, il tempo di
applicazione e la rapidità dello spoglio dei risultati.
Nell’ambito dei test, la distinzione fondamentale è fra:
– Test di rendimento, o di prestazione, che comprendono: test di intelligenza, test
neuropsicologici.
– Test di personalità, che comprendono: test proiettivi, questionari di personalità,
scale cliniche ed interviste psichiatriche.
I test di rendimento consistono in una serie di prove scelte, con
difficoltà crescenti, standardizzate su un campione sufficientemente
rappresentativo, allo scopo di valutare determinate funzioni
psichiche o determinate attitudini. I test di rendimento misurano le
principali abilità che possono subire, nel corso dell’esistenza,
eventuali alterazioni: la memoria, il linguaggio, il ragionamento
astratto, l’organizzazione percettiva ed il livello culturale.
I test neuropsicologici si focalizzano sui rapporti tra “il substrato
anatomo-funzionale e le attività psichiche” (Monaco, Torta, 2002):
analizzando le connessioni fra le lesioni cerebrali e le modificazioni
che avvengono, di conseguenza, a livello psichico e
comportamentale, è possibile rilevare le alterazioni del
funzionamento cognitivo, al fine di attuare un appropriato intervento
terapeutico-riabilitativo.
Orientamento: i test vengono somministrati oralmente e consistono
nel porre domande specifiche sulla data del giorno relativo
all’esame, e comprendono il giorno della settimana, il mese, l’anno
nonché l’ora pressoché esatta. Per quanto riguarda l’orientamento
spaziale, il paziente deve rispondere a domande sul luogo dove si
trova, spiegandone la natura ed il perché.

Attenzione: per controllare questa funzione possono essere utilizzati


ad esempio: il MIDA, test applicabile anche su PC, che permette di
misurare i tempi di reazione ad alcuni stimoli visivi che, via via, si
presentano e si susseguono sullo schermo, verificandone la
normalità; il test delle matrici attenzionali, caratterizzato dallo
scopo di ricercare, all’interno di una matrice contenente una grande
quantità di numeri, prima un solo determinato numero, poi due e
infine tre, attraverso matrici differenti. Viene calcolata anche la
durata della prestazione, oltre che l’esattezza nell’esecuzione del
compito (il tempo massimo concesso è di 45 secondi).
Memoria: in questo ambito si utilizzano test relativi ai seguenti
livelli:
 a) quello verbale, tra cui vanno ricordati: 1) il test di ripetizione di
parole bisillabiche (span = capacità, verbale), che misura la capacità
della memoria a breve termine; 2) il test di memoria di prosa, che
misura la memoria a lungo termine e consiste nella ripetizione di un
brano, dopo la sua lettura da parte dell’esaminatore;

 b) quello spaziale, di cui si segnalano principalmente: 1) lo span di


Corsi, che misura la capacità della memoria a breve termine spaziale,
in cui il soggetto deve toccare, dopo l’esaminatore, prima due e poi, in
un crescendo, i vari cubi del test di Corsi (tavola di legno su cui sono
incollati nove cubetti in ordine sparso); 2) il supraspan di Corsi, in cui
il soggetto deve ripetere una lunga sequenza, data dall’esaminatore,
fino a quando non la ricorda tutta, avendo a disposizione 18 tentativi,
ad ognuno dei quali viene dato un punteggio.
Linguaggio: a proposito di tale funzione si ricordano: 1) il test di
fluenza verbale per categorie, dove il soggetto deve elencare una
serie di elementi che rientrano in determinate tipologie; 2) il test di
fluenza verbale per associazione libera di parole, in cui il soggetto
deve elencare più termini possibili, in connessione con quello
ritenuto “chiave”.
Aprassia: un test esemplificativo citabile in tale contesto, è quello
utilizzato per misurare l’aprassia ideomotoria, in cui il paziente deve
ripetere, con le mani, i movimenti dell’esaminatore; un altro test
significativo è costituito dalle modalità di misurazione dell’aprassia
bucco-facciale, in cui il soggetto è sollecitato al ripetere le azioni
dell’esaminatore, riguardanti la sfera facciale, attraverso l’esecuzione
di peculiari movimenti (aprire la bocca, effettuare un insieme di
“smorfie”) funzionali al reperimento di eventuali anomalie.
Altre prove: per quanto concerne il ragionamento logico e il problem-
solving, esistono attualmente prove eseguibili anche su PC, in cui il
soggetto deve operare mentalmente più ragionamenti rivolti alla
risoluzione di un problema; particolarmente utilizzata È, al riguardo,
la “Torre di Hanoi”, strumento in grado di evidenziare l’efficienza di
quei processi mentali che sottendono il ragionamento.
I test neuropsicologici, misurando le prestazioni dei soggetti
nell’ambito di facoltà specifiche, hanno la peculiarità di poter
essere utilizzati non solo in ambito clinico, ma anche in quello
professionale, soprattutto in relazione all’orientamento e alla
selezione. Un contesto rilevante è costituito dall’area della
“psicologia del lavoro”, dove vengono utilizzati prevalentemente i
seguenti test: quello di idoneità, quello di tipo revisionale, quello in
relazione al successo di un’eventuale attività futura, il Giese-Test-
System (atto a valutare le attitudini professionali), il Pauli-Test,
specializzato sulla misurazione della concentrazione, della
costanza e della qualità di svolgimento delle varie attività
lavorative.
Inoltre, un’applicazione rilevante di tali strumenti diagnostici avviene,
ormai da parecchio tempo (da quando l’età media di sopravvivenza
ha raggiunto i 75/80 anni), nell’ambito delle demenze, cioè di
quelle patologie caratterizzate da un progressivo e globale
deterioramento delle funzioni cognitive, sottese a varie lesioni a
livello neuroanatomico (si rimanda alla specifica lezione sugli
aspetti psicopatologici dell’intelligenza).
Assessment psicofisiologico si intende, con questo termine, quel segmento
dell’esame psicodiagnostico devoluto alla valutazione delle specifiche modalità
del sistema di risposte psicofisiologiche della persona in esame. I più comuni
indici psicofisiologici da valutare sembrano essere: 1) l’attività mioelettrica; 2) la
frequenza cardiaca; 3) la frequenza respiratoria; 4) la temperatura periferica
cutanea; 5) la pressione sistolica e diastolica; 6) la conduttanza cutanea.
Riveste particolare importanza, soprattutto nella valutazione delle indicazioni verso
l’utilizzo di tecniche di rilassamento, il “profilo psicofisiologico” che viene
costruito attraverso le seguenti stimolazioni: 1) lo stress mentale (eseguire un
complesso compito mentale in tempi eccessivamente ridotti); 2) il cold pressure
test (immergere la mano in una bacinella di acqua fredda mantenendola per
almeno 90 secondi); 3) specifiche prove di attenzione e di concentrazione (anche
attraverso l’impiego di computer); 4) il Reattivo delle Frasi da Completare di
Sacks (specifico reattivo rivolto all’ottenimento di informazioni clinicamente
significative su: famiglia, sesso, relazioni interpersonali e concetto di sé); 5)
stimoli immaginativi (invito a visualizzare scene di particolare significato
emotivo); 6) stimoli filmici (invito ad osservare filmati di rilevante valenza
emotiva).

Potrebbero piacerti anche