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Psicologia clinica

Libri
Psicologia clinica, il mulino. Sanavio, Cornoldi
Elementi di psicologia clinica, Del Corno, Lang. C.E.: Franco Angeli.

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Argomenti: materiali trattati a lezione + capitoli selezionati dei libri.

Chi è lo psicologo clinico?


Lo psicologo clinico è uno scienziato che ha studiato psicologia ( quella disciplina scientifica che si
occupa dello studio della mente umana, inclusi i comportamenti e i processi cognitivi) e che per
passione e/o bisogni personali ha poi deciso di focalizzarsi sull’ambito clinico.

È inoltre un professionista che svolge una professione sanitaria regolamentata, ed è quindi scritto
ad un albo professionale.

Di cosa può occuparsi un cinico?


1. Diagnosi: queste erano i primi compiti dello psicologo clinico all’inizio del 900. Diagnosi
delle caratteristiche di personalità e personali, delle risorse psicosociali, dei bisogni e delle
aspettative nelle diverse fasi d’età, mediante strumenti quantitativi (inventari, test) e
qualitativi (osservazione diretta, colloqui clinici, intervista narrativa)
2. Assessment: del grado di adattamento di un individuo al gruppo o alle comunità di cui fa
parte, delle caratteristiche genitoriali per l’idoneità all’adozione e affidamento, del grado di
imputabilità o responsabilità individuale, delle situazioni di maltrattamento e abuso di
minori)
3. Valutazione dell’entità dell’handicap e delle capacità residue dal punto di vista
neuropsicologico, psicologico e psicosociale;
4. Realizzazione di piani di trattamento calibrati sulla domanda dell’utente (frequenza,
intensità e durata), monitoraggio della loro attuazione ed eventuale correzione o
integrazione.
5. Progettazione e realizzazione di interventi in qualsiasi ambito e valutazione della loro
efficaci;
6. Counselling: relativo a problemi emozionali/comportamentali a rischio, gestire situazioni
stressanti, facilitare la ripresa post eventi traumatici, miglioramenti della compliance
farmacologica o terapeutica a sostegno di pazienti ospedalizzati, o con malattie croniche o
acute e a loro familiari)
7. Empowerment delle persone a rischio o in condizioni di fragilità;
8. Supervisione individuale e di gruppo rivolti ai vari operatori della salute per potenziare le
competenze comunicative e il funzionamento delle equipe anche nella prospettiva di
prevenire il burn-out
9. Ricerca
10. Formazione

Dove può lavorare lo psicologo clinico?


Pubblico:
- SSN nei servizi di psicologia delle ASSR (dipartimenti, reparti ospedalieri, consultori, servizi
tossicodipendenze, centri di riabilitazione)
- In servizi ducativi e sociali (per l’infanzia, l’adolescenza, la famiglia) di enti locali territoriali;
- Come ricercatore presso università o enti di ricerca pubblici (IRCSS)

Privato: aprire partita IVA dopo essersi iscritti all’albo:


- Come socio di cooperative che offrono servizi clinici, sociali, educativi riabilitativi e di
assistenza sanitaria e sociale;
- Come libero professionista per l’erogazione di servizi clinici, riabilitativi e di educazione
sanitaria;

La psicologia clinica
Storicamente lo psicologo clinico nasce come colui che fa assessment e diagnostica, ma il termine
clinica indica chi offre aiuto alla persona sofferente (da kline, greco antico per “letto”). La
psicologia clinica oggi attinge da tutte le branche della psicologia di base.

Definizione ufficiale di psicologia clinica (Italia)

“la psicologia clinica è un settore della psicologia i cui obiettivi sono la spiegazione, la
comprensione, l’interpretazione e la riorganizzazione dei processi mentali disfunzionali o
patologici, individuali e interpersonali, unitamente ai loro correlati comportamentali e
psicobiologici.

La psicologia clinica è identificabile con le metodiche psicologiche volte alla consulenza, diagnosi e
terapia o comunque di intervento sulla struttura e organizzazione psicologica individuale e di
gruppo, nei suoi aspetti problematici, di sofferenza e di disadattamento e nei suoi riflessi
interpersonali, sociali e psicosomatici. La psicologia clinica è altresì finalizzata agli interventi atti a
promuovere le condizioni di benessere socio-psico-biologico e i relativi comportamenti, anche
preventivi, nelle diverse situazioni cliniche e ambientali.

La psicoterapia nelle sue differenti strategie e metodiche costituisce l’ambito applicativo che più
caratterizza la psicologia clinica, come punto di massima convergenza tra domanda, conoscenze
psicologiche disponibili, fenomeni indagati e metodi utilizzabili”.

Definizione di psicologia clinica (APA)

“La psicologia clinica integra la scienza, teoria e pratica si ala fine di capire, predire e alleviare
disadattamento, disabilità e disagio sia al fine di promuovere l’adattamento umano e lo sviluppo
personale. La psicologia clinica si concentra sugli aspetti intellettivi, emotivi, biologici, psicologici,
sociali e comportamentali del funzionamento umano lungo tutto l’arco della vita, nelle varie
culture e a tutti i livelli socioeconomici”

Le 6 componenti di cui si occupa la psicologia clinica:


- Psicodiagnostica
- Psicopatologia
- Psicoterapia
- Psicosomatica
- Neuropsicologia clinica
- Psicofisiologia clinica

E lo Psichiatra?
Laureato in «Medicina e Chirurgia» che, dopo i 6 anni Universitari, si iscrive ad una Scuola di
Specializzazione in Psichiatria (che rilascia titolo di Psicoterapeuta), con focus sul funzionamento
biologico.

È prima di tutto un medico! Focus è sul trattamento farmacologico dei disturbi mentali (gravissimi
o gravi).

Può occuparsi si occupa dello studio, della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi
mentali e dei comportamenti patologici

La mentalità scientifica: una competenza chiave

La psicologia è una disciplina scientifica. È necessario avere una mentalità scientifica:


- Dobbiamo rimanere aggiornati dal punto di vista scientifico;
- Questa mentalità aiuta a ragionare in modo critico sui risultati dei nostri interventi e sugli
outcomes nei nostri pazienti;
- Ci permette di costruire attivamente conoscenza.

Introduzione alla mindfulness

Che cos’è la mindfulness?


“La consapevolezza che emerge prestando attenzione intenzionalmente, nel momento presente, e
in modo non giudicante, al presentarsi dell’esperienza momento per momento” (Kabat-zinn).

A partire dagli anni 80 numerose ricerche hanno evidenziato l’efficacia clinica della meditazione e
delle prospettive basate sulla mindfulness, sia nei confronti di patologie psichiatriche
(depressione, disturbi d’ansia, disturbi alimentari) che di disturbi di tipo medico (oncologia,
psoriasi, dolore cronico) permettendo lo sviluppo di protocolli e modelli terapeutici di provata
efficacia.

La mindfulness va a braccetto con il pensiero. il pensiero è inteso come qualcosa di innoquo che is
deve veder passare e non giudicare:
- I pensieri compaiono spontaneamente (e senza invito) nella nostra mente;
- Noi non siamo i nostri pensieri (disidentificazione)
- Decentrarsi e disidentificarsi dalla nostra esperienza interna modifica la nostra relazione
verso di essa e allevia la sofferenza;
- Gli stati interni sono per natura innocui, anche se sgradevoli
- Possiamo imparare a decentrarci e disidentificarci dai nostri pensieri e osservarli.

Componenti dello stato meditativo


1. Accettazione: notare gli eventi interni che vengono esperiti, rinunciando agli sforzi per
evitare o cambiare tali eventi e rispondendo ai fatti reali che sono accaduti piuttosto che
all’esperienza interna, elicitata da tali fatti;
2. Curiosità: tutti i pensieri, emozioni e sensazioni che compaiono sono visti inizialmente
come rilevanti e perciò soggetti a osservazione;
3. Pazienza: permette alle cose di accadere nel loro giusto momento è una forma di saggezza;
4. Fiducia: confidare nell’abilità di restare in contatto con la propria esperienza interna;
5. Mancanza di sforzo: la meditazione è un nonfare.

Perché meditare?
- Aprire ciò che è chiuso;
- Equilibrare ciò che è reattivo;
- Esplorare ciò che è nascosto;
- Comprendere la natura impermanente dell’esperienza

Un po’ di storia
La psicologia clinica trae origine dalla confluenza di due diverse tradizioni e professioni:
- La pratica dei Reattivi Mentali (valutazione QI in bambini e adulti): primi test che venivano
utilizzati per valutare il quoziente intellettivo (fine 800, inizio 900. Misurazione di
caratteristiche della persona)
- L’ipnosi: inizialmente utilizzata per il trattamento dell’isteria. Oggi l’isteria non rientra più
nel DSM, ma alcuni dei tratti fondamentali di questa “malattia” vengono ripresi in altri
disturbi. L’isteria veniva inizialmente curata con ‘istituzionalizzazione o con trattamenti
clinici, da metà 800 si sviluppa invece un filone di trattamento di questo disturbo attraverso
la parola. Perché l’ipnosi funzionava, perché si creava un transfert, un’alleanza terapeutica
tra medico e paziente.

Frenologia e mesmerismo
Tra i primi tentativi (in pieno illuminismo o positivismo) di dare una spiegazione scientifica e/o
trattare la malattia mentale abbiamo:
- Frenologia: è lo studio della forma/proporzione della testa.
- Fisiognomica: studio della forma del volto.
Entrambe intese come modalità pseudo-scientifiche di studio della personalità

- Mesmerismo: (Franz Mesmer, fine 700) riteneva che il corretto funzionamento


dell’organismo umano fosse garantito dal flusso armonioso di un fluido fisico (una sorta di
forza magnetica, invisibile). La malattia mentale e fisica era legata al blocco di questo
fluido. Questo trattamento andava in voga a fine 800. Mesmser con l’uso delle mani
cercava di riequilibrare il flusso delle persone. Il punto di contatto tra questa terapia e
quella fondata sulla parola è l’alleanza terapeutica.

- Ipnotismo e nascita della psicoterapia: solo da metà 800 si sviluppa l’idea del
funzionamento psichico non interamente riconducibile ai meccanismi biologici e fisiologici,
ma regolato da sistemi dinamici di tipo motivazionale, indagabili solamente attraverso
metodi psicologici (attraverso la parola). Charlot è il primo che ipotizza che esista una
continuità tra normale e patologico: la patologia è determinata dagli stessi meccanismi che
regolavano la vita psichica normale, ed è una deviazione dal funzionamento psichico
normale. L’osservazione del fatto psicologico permetteva dunque di comprendere la
psicologia normale. Charcot è il primo a pensare che l’isteria non sia legata ad un problema
organico, ma ad una sofferenza di tipo psicologico. Pensava quindi che passando attraverso
la parola si potesse lavorare sui sintomi stessi.

Vedeva l’isteria come causata da lesioni dinamiche e funzionali del sistema nervoso (o da
traumi), e l’ipnosi può fare da trattamento dell’isteria.

Un contributo fondamentale alla nascita della psicologia clinica lo dobbiamo, però, a Freud.
Sigmund Freud è stato un neurologo austriaco che elabora un trattamento sistematico dei
distribuì mentali che chiama psicoanalisi. Parte dal lavoro di Caharcot e inizia a trattare i
pazienti con isteria ricorrendo all’ipnotismo:
 Sviluppa tecniche utilizzar ancora oggi in alcune forme della terapia (libera
associazione, interpretazione dei sogni)
 Sviluppa teorie (stadi sessuali infantili; complesso d'edipo; scena primaria; teoria
della libido; modello strutturale della mente; principio del piacere e della realtà) a
cui alcune correnti terapeutiche danno ancora credito
 Alcuni suoi concetti hanno rivoluzionato la Psicologia Clinica (inconscio; transfert e
contro-transfert; meccanismi di difesa)

La nascita dell’assessment

1. Galton: nel 1883 inizia a studiare le differenze intellettive individuali usando il principio
della probabilità e la curva normale di distribuzione. Propone l’idea di intelligenza come
fattore ereditario.
2. Cattel: dal 1890 inizia a studiare le differenze individuali a partire dai fenomeni psicologici
circoscritti (es. velocità di esecuzione). Introduce il termine di “test mentale” e inizia a
offrire le prime applicazioni psicometriche in campo industriale e educativo.
3. Binet: continua lo studio dell’intelligenza sottolineando che gli individui possono essere
discriminati in base alle loro capacità psicologiche superiori. Nel 1905, sotto mandato della
Pubblica Istituzione Francese, propone la prima edizione di una scala di misurazione delle
capacità intellettive (scala di Stanford-Binet)
4. La 1 guerra mondiale: vi era l’esigenza di discriminare i soldati in base alla loro intelligenza
per capire chi potesse frequentare corsi specialistici e assumere ruoli di spicco nell’esercito.
Gli psicologi clinici diventano quindi esperti di assessment a partire da questo momento.
Om America viene sviluppato l’army Alpha e l’army beta per l’intelligenza, verbale nel
primo caso e non verbale nel secondo. Questi test potevano essere somministrati a gruppi
di soldati.

5. Jung e il primo test di personalità: Jung era uno psichiatra svizzero fondatore della
“psicologia analitica”. Fu tra i primi a sviluppare un test di personalità basato su sue idee e
osservazioni cliniche. Il test valutava 4 funzioni cognitive: pensiero, sentimento, sensazione
e intuizione con 2 polarità ciascuna: introversione ed estroversione. Dalla loro
combinazione emergono 16 tipi di personalità. Era un test di 100 domanda rispetto a come
le persone potessero sentirsi o agire in certe situazioni.

Alcune tappe della psicologia clinica

- 1875: viene fondato il primo laboratorio di psicologia a Lipsia da Wilhem Wundt


- 1892: viene fondata l’american psychological association, la prima associaione di psicologi
al mondo.
- 1907: Witmer conia il termine di “psicologia clinica”
- 1910: è fondata la società italiana di psicologia (SIP)
- 1913: Jhon Watson pubblica l’articolo Psychology as the Beahviourist views it, in cui
rivendica il distacco della psicologia dalla filosofia e la sua collocazione nel novero delle
scienze naturali, obiettive e sperimentali.
- 1925: viene fondata la scuola psicoanalitica italiana (PSI)
- 1943: appare il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), test che valuta la
personalità dal punto di vista psico-patologico molto utilizzato in vari ambiti.
- 1945-1950: necessità negli USA di avere più clinici che trattino il PTSD. In nord America
viene istituito il dottorato di ricerca in clinical psychology.
- 1952: eyseneck pubblica “the effects of psychoterapy: an evaluation”. L’articolo
considerato l’atto di nascita del vasto filone di ricerche sull’efficacia della psicoterapia.
Eyseneck solleva un dubbio fondamentale secondo cui gli effetti della psicoterapia erano
solo dovuti ad un effetto placebo. Successivamente a questo dubbio nascono tante ricerche
che hanno permesso la campo della clinica di avanzare dimostrando con ricerche evidence
based che così non era.
- 1978: in Italia viene approvata la legge n. 180, denominata “legge basaglia” che porta
all’abolizione dei manicomi.
- 1989: la legge del 18/2/89 n. 56 istituisce in Italia l’ordine degli psicologi (nascono anche i
CDL in psicologia)
- 1950-2022: accumulo progressivo di conoscenza scientifica, con ideazione di nuovi
trattamenti psicoterapeutici per varie condizioni e /o disturbi mentali, e sviluppo ++

L’approccio scientifico

La psicologia clinica è una disciplina scientifica.


“La scienza è lo studio dei fenomeni conseguito attraverso un’osservazione rigorosa e una
valutazione sistematica”

La conoscenza in ambito psicologico si accumula tramite metodo scientifico:


1. Generare teorie o spiegazioni concettuali di fenomeni d’interesse
2. Formulare l’ipotesi per verificare le spiegazioni
3. Raccogliere i dati
4. Valutare i dati per fare inferenza circa le ipotesi.

Perché è importante la scienza?


1. Abbiamo bisogno di metodi coerenti per acquisire conoscenza
2. La scienza ci aiuta a identificare, individuare e isolare molte delle relazioni estremamente
complesse che esistono nel mondo
3. Per rispondere a molte questioni di interesse, abbiamo bisogno di tante
informazioni/osservazioni per giungere a conclusioni valide.
4. Abbiamo bisogno della scienza per superare i limiti dal nostro modo abituale di percepire
l’ambiente e trarre conclusioni.
5. Senza scienza e basandosi solo sulle percezioni non riusciamo a caprie quale trattamento
sia realmente efficace per il paziente. Vi sono dei limiti umani al conoscere:
 Abbiamo sensi limitati
 Usiamo continuamente euristiche (o bias) cognitive. Le euristiche ci fanno ragionare
in modo veloce ma non estremamente razionale. Questo in caso di professione
medica può portarci ad errare.
 La nostra memoria è limitata: quando ripensiamo al passato, aggiungiamo dettagli
che diventano parte della storia, tendiamo a non ricordare l’evento in sé, a
modificarlo. Produciamo anche FALSI RICORDI.

Per evitare che questi limiti abbiano troppa influenza nella pratica clinica c’è la metodologia.

Solo tramite la corretta applicazione della metodologia, che si acquisiscono prove sui trattamenti
efficaci (evidence based) per condizioni debilitanti.

Si parte da un disegno di ricerca, una valutazione (Assesment) e valutazione/analisi dei dati.

I trattamenti vengono valutati attraverso metodi di ricerca standardizzati e solidi. Ci sono delle
tecniche definite gold standard che ci permettono di capire cosa è efficace, come valutare
l’efficacia di un trattamento.

Teorie, risultati e conclusioni


La clinica si va ad evolvere sulla base di questo metodo clinico: continuo studio delle
caratteristiche dei pazienti, su caso singolo o gruppi di pazienti simili osservando l’efficacia del
trattamento e studiando la relazione tra fenomeni.

Principi base per selezionare una teoria


1. Principio della parsimonia (rasoio d’Occam): tra tutte le spiegazioni che possiamo dare di
un fenomeno dobbiamo scegliere quella più semplice possibile.
2. Principio dell’ipotesi rivale plausibile: terminato uno studio, il ricercatore può avanzare
interpretazioni diverse, oltre a quella già avanzata, che spieghino in modo plausibile i
risultati ottenuti.

L’evidence based practice

È un approccio interdisciplinare alla pratica clinica secondo cui qualsiasi decisione professionale va
presa sulla base di studi di ricerca selezionati e interpretati secondo specifici criteri dell’EBP.
L’implementazione dei principi dell’EBP ha apportato un notevole contributo al miglioramento
della qualità dell’assistenza sanitaria oltre che degli outcome dei pazienti.

- Evidenza scientifica: qualsiasi lavoro che andiamo a fare con il paziente si deve basare su
prove scientifiche. Devono esserci una serie di studi controllati ed analizzati (meta-analisi
per esempio) che dimostrano che il trattamento è efficace.
- Esperienza clinica: un clinico esperto sa muoversi meglio e sa scegliere quale sia il
trattamento migliore per quel determinato paziente
- Valori del paziente: le caratteristiche, la cultura e le preferenze di un paziente sono utili per
aiutarlo il più possibile. Decidere insieme al paziente che tipo di trattamento voglia
permette di ottenere risultati migliori in psicoterapia.

Questo approccio rappresenta il riferimento richiesto da tutti i moderni sistemi di assistenza


sanitaria, sia psicologica che medica. Questo approccio consente di definire, con maggiore
accuratezza, le politiche sanitarie e quindi permette di migliorare la gestione economica del
welfare e di favorire un’allocazione più efficiente delle risorse, oltre a migliorare la qualità
dell’intervento medico o psicologico.

Perché l’EBP è importante in psicologia clinica?


Secondo McFall i trattamenti psicologici andrebbero somministrati solo quando:
1. Il trattamento è stato descritto in modo chiaro
2. Sono stati descritti chiaramente i presunti benefici del trattamento
3. I benefici sono stati valutati in modo scientifico
4. Gli effetti negativi del trattamento NON superano quelli positivi.

I bias cognitivi
I bias cognitivi sono estremamente diffusi tra gli psicologi cognitivi. I bias sono tutte quelle
esperienze, aspettative, attribuzioni e stereotipi che influenzano come prendiamo delle decisioni i
bias cognitivi ci portano a prendere decisioni o a giudicare l’altro in modo totalmente differente
rispetto a quanto si potrebbe concludere in base a logica o probabilità.

Esempi di bias cognitivi


1. Quando fanno una diagnosi, gli psicologi clinici sono spesso influenzati più dalle loro teorie
causali piuttosto che dai criteri DSM usati per fare diagnosi
2. Il 90% dei terapeuti crede di ottenere risultati migliori coi loro pazienti rispetto al 75% dei
loro colleghi.
3. I terapeuti non sono quasi mai in grado di predire quali siano i pazienti che peggioreranno
durante il trattamento.

Bias cognitivi più comuni:


- Regressione verso la media: a causa dell’errore di misurazione casuale, una persona che
ottiene un punteggio estremo a un test è probabile che, in una successiva valutazione,
ottenga un punteggio meno estremo rispetto alla prima (più vicino alla media)
- Inferire una causazione di una correlazione: non è detto che due fenomeni che appaiono
contemporaneamente abbiano una spiegazione causativa l’uno verso l’altro.
- Euristica di retrospezione, o del “senno di poi”: valutiamo gli eventi con il senno di poi,
pensando che fosse possibile prevederne l’esito.
- Euristica della disponibilità: sovrastimiamo le informazioni a nostra disposizione (es.
basandoci su esempi estremi che ricordiamo facilmente), minimizzando e semplificando l
realtà.
- Euristica dell’affetto: le nostre considerazioni emotive (piacevolezza, disgusto)
inconsapevolmente influenzano le nostre decisioni.
- Euristica di ancoraggio, o effetto priming: la prima impressione che abbiamo su un paziente
influenza le percezioni/valutazioni delle informazioni acquisite successivamente.
- Errore di attribuzione fondamentale: tendenza a sovrastimare l’influenza di un fattore (es.
personalità della persona) e sottostimare l’effetto di altre variabili (es. situazionali)
- Legge dei piccoli numeri: dopo aver fatto un piccolo numero di osservazioni, riteniamo che
queste riflettano l’insieme dei dati generali.
- Bias del tasso di base: tendenza ad ignorare i dati della popolazione, prendendo così
decisioni in base a pochi casi speciali, e a informazioni limitate/non attendibili.

Come tutelarci dai bias e migliorare il nostro giudizio clinico


1. Uso dei test psicologici con buone caratteristiche psicometriche senza fidarsi troppo del
proprio giudizio clinico
2. Uso dei dati normativi e informativi sui tassi di incidenza, quando possibile;
3. Uso di criteri diagnostici definiti per fare diagnosi
4. Uso di linee guida evidence based per i trattamenti
5. Rimanere aggiornati sulla ricerca e sui trattamenti
6. Essere consapevoli dei bias personali
7. Cercare sempre ipotesi alternative
8. Consultarsi con altri colleghi nel caso non si sia sicuri di qualcosa
9. Non basarsi solo sulla propria memoria.

Caratteristiche, valori e preferenze del paziente


Si iniziano a valutare le preferenze del paziente rispetto a come vorrebbe che fosse condotta la
psicoterapia. Questo è anche uno dei punti fondamentali dell’EBP. A partire dall’efficacia di due o
più trattamenti è buona norma lasciar scegliere al paziente stesso cosa preferisce. Nessun
trattamento funziona per tutti i pazienti. Paul nel 1967 afferma “quale trattamento, fatto da chi, è
più efficacie per quel dato individuo con quel dato problema?”

Matchare terapia al disturbo è un po’ limitante (e non sempre efficace). Andrebbe invece fatto un
matching alle caratteristiche transdiagnostiche del paziente individuale e al singolo contesto.

Questo concetto è in realtà molto antico. Olser (medico canadese, 1849-1919) affermò che: “it is
much more important to know what sort of a patient has a disease than what sort of disease a
patient has”. Adattare la terapia al paziente significa personalizzare il trattamento alle sue
caratteristiche, in accordo all’evidenza scientifica. Le preferenze del paziente cambiano molto, in
base ad esempio allo strutturare meno la terapia, al focus temporale (passato vs presente).

Caratteristiche dei pazienti che impattano su outcomes:


1. Resistenze al cambiamento/meccanismi di difesa
2. Stadio di cambiamento
3. Preferenze
4. Stili di coping
5. Cultura
6. Religione/spiritualità
7. Stile di attaccamento

Le preferenze del paziente: il C-NIP


Questo questionario valuta le preferenze del terapeuta e del paziente in psicoterapia. Viene
rilasciato al cliente quando entra in studio per capire come orientarsi a livello terapeutico. Il
discorso alla base è che lasciare al paziente la possibilità di decide alcune caratteristiche del
trattamento è efficace. Questo questionario è composto da 4 sottoscale che valutano diversi
aspetti.

Assecodnare le preferenze migliroa gli utcome e diminuisce il rischio che di drop out.

L’efficacia del trattamento migliora notevolmente se il paziente segue una terapia condotta in
lingua madre.
Le preferenze vanno accomodate quando è cinicamente o eticamente possibile.

Da quanto sappiamo finora, la ricerca non supporta l’efficacia del matching paziente-terapeuta in
base al genere, etnica o religione (a meno che il paziente non esprime una forte preferenza in
merito.

Una meta-analisi su 51 studi ha confrontato gli outcomes della terapia di pazienti matchati o non-
matchati alle loro preferenze:
- i pazienti che vengono matchati al loro tipo preferito di terapia o al terapeuta, stanno
meglio (d= .28)
- pazienti le cui preferenze sono matchate hanno meno della metà della probabilità di
dropparedalla terapia (OR = 1.79).

Ovviamente l'efficacia del trattamento migliora di tanto se il paziente è matchato ad una terapia
condotta con lingua madre.
Le preferenze vanno accomodate quando è clinicamente o eticamente possibile.
Da quanto sappiamo fin'ora, la ricerca nonsupporta l'efficacia del matching paziente-terapeuta in
base a genere, etnia o religione (a meno che il paziente non esprima una forte preferenza in
merito)

Il processo di pubblicazione scientifica


Questo processo è lungo e complicato

1. Ipotesi di ricerca
2. Studio della letteratura
3. Completamento della raccolta dati
4. Conduzione analisi dei dati
5. Stesura del report
6. Invio alle riviste scientifiche

Le ultime 3 parti del processo possono richiedere anni.

Riviste scientifiche
Esistono migliaia di riviste organizzate per argomenti. Per essere considerate scientifiche, devono
essere indicizzate dai motori di ricerca ed essere refertate.

Le riviste hanno un impact factor (numero medio di citazioni ottenute per articolo pubblicato in
ultimi 2 anni) e sono poi organizzate in quartili (ovvero si collocano in un dei 4/4 del continuum
degli IF delle riviste di quel dato settore.

I trattamenti evidence based


I trattamenti psicologici devono essere evidece-based ovvero la loro efficacia va comprovata in più
studi RCT esaminati all’interno di una metanalisi.

Viene utilizzata la cosiddetta piramide evidence


based:
1. Base: gli editoriali. Sono la forma meno
scientifica a disposizione perché riportano
opinioni o idee dei singoli.
2. Case report
3. Studi caso-controllo
4. Studi di coorte
5. Randomised controlled trials
6. Cima: metanalisi. Sono le forme di ricerca
più solide.
Bisogna ricordare che nessuno studio è perfetto. La ricerca è un processo cumulativo di
consocenza. C’è inoltre una “crisi di replicabilità” per i risultati dei singoli studi.

Validità esterna e interna dei disegni di ricerca

Validità interna: il grado con cui possimamo dire che nessun’altra variabile tranne quella che
stimao studiando ha causato il risultato.

Validità esterna: si riferisce al grado in cui le interpretazioni tratte da uno studio sono
generalizzabili dal campione all’intera popolazione.

All’aumento dell’una, l’altra diminuisce (ma viene preferita la validità interna)

“Case reports” e studio caso-controllo


Questi sono studi non sperimentali e osservazionali, cross-sezionali o longitudinali

- case report: analisi sistematica intensiva ed empirica di un singolo caso (o serie di casi), con
somministrazione ripetuta di misure di processo o outcome. Questi casi fanno da ponte di
collegamento tra la pratica clinica professionale e la ricerca scientifica.
- Studi caso-controllo: ricerche in cui i partecipanti sono selezionati sulla base della presenza
(Caso) o assenza (controllo) della patologia.

Studi di coorte e quasi-sperimentali


Sono studi di tipo longitudinale in cui viene osservato un gruppo di pazienti esposti (quasi-
sperimentali) o meno (studi di coorte) a un trattamento.

I randomized controlled trials


Summa della scientificità (gold standard) in ambito medico-psicologico.

Due o più gruppi di pazienti con caratteristiche simili, randomizzati (i.e., assegnati casualmente) al
gruppo sperimentale e al gruppo di controllo. In questo caso il miglioramento che osservo è
dovuto alla terapia messa in atto. Trattamento con alta validità interna.
Restano però aperti i problemi di validità esterna (per esempio abbiamo una bassa
generalizzabilità dei risultati).

Randomizzazone
È l’aspetto fondamentale di ogni RCT. Se viene fatta nel modo corretto posso dire che ogni
differenze ascrivibile ai due gruppi è dovuta al caso.

I randomized controlled trials


Gruppi di controllo i psicologia clinica.
- Nessun trattamento: valutazioni degli outcomes senza intervento
- Waiting-list: valutazioni degli utcomes ripetute nel tempo, trattamento somministrato a
fine studio.
- Placebo psicologico: fornire un trattamento che ha in comune solo dei fattori
- TAU (treatment as usual): fornire il trattamento tipico per quel dato disturbo.

Gli RCT in Psicologia inoltre:


1. Usano trattamenti manualizzati (per ridurre al minimo le differenze tra coloro che le
utilzizano);
2. Usano terapie di lunghezza imitata nel tempo;
3. Selezionano il campione.

RCT, Doppio Cieco e Effetto Placebo


Diversamente dalla ricerca farmacologica, in psicoterapia non è possibile attuare ricerche in
«doppio cieco» controllate rigorosamente dal placebo. Si può dire che il placebo sia in se stesso un
agente psicologico e quindi in senso lato una forma di «psicoterapia». Molti tentativi di simulare
una situazione sperimentale nella quale una psicoterapia viene paragonata a una condizione di
«non psicoterapia» (lista d’attesa, colloqui informali o condotti da personale non qualificato) a
volte hanno rivelato risultati controversi. In certi casi addirittura è stato notato un risultato
superiore ai casi non trattati con una psicoterapia formalizzata

Le meta analisi
Il termine indica una tecnica statistica che combina gli effetti (effect sizes) provenienti da più studi
che rispondono alla stessa domanda di ricerca.

Meta-analisi (MA) producono risultati molto attendibili aggregando più studi (alta potenza
statistica + alta precisione dell’effetto): ergo, sono la miglior fonte per prendere decisioni.

Il punto di partenza è una revisione sistematica della letteratura, per ridurre al minimo l’errore
sistematico (bias) nell’estrazione dei dati, senza la necessità che questi vengano raggruppati in una
qualche maniera formale.

Storia della meta-analisi


Nel 1952 Eysenck in un suo lavoro ha sotenuto il frote rischio che le tencihce
psicoterapeutiche in realtà non abbiano alcun rilievo terapeutico sui pazienti (nevrotici),
bensì sfruttino il fenomeno dell’effetto placebo.

Nel 1977 Smith & Glass pubblicano la prima meta-analisi su 375 studi controllati: “the
typical therapy client is better off than 75% of untreated individuals”.
Eysenck nel 1978: meta-analisi o meta-stupidità?

Shapiro e Shapiro (1982) pubblicano una nuova meta-analisi he confronta più


trattamenti per i disturbi mentali: trattamenti diversi hanno efficacia simile!

Le meta-analisi
Le MA partono da una revisione critica della letteratura di un determinato settore. Si estraggono
info descrittive e tutti gli effect sizes dai singoli studi, e si riportano in un dataset.

Il risultato finale di una MA è un effect size aggregato! L’effect size è la variabile dipendente delle
analisi stesse. Per definizione, è una sorta di differenza standardizzata (g, d, r). L’Effect size si ricava
solo da studi empirici: dato che è standardizzato, permette di confrontare gli studi tra loro! MA
pesa i singoli effect size in base a campione di quella data ricerca: studi più “grandi” avranno un
“peso” maggiore nella meta-analisi. Problema del Publication Bias (è meno probabile che studi con
risultati nulli o negativi vengano pubblicati).

Differenze tra risultati Ricerca e Pratica Clinica


Persons(1991) ritiene che le procedure d’intervento utilizzate in ambito clinico differiscano da
quelle adottate nella ricerca per tre aspetti:Nella ricerca l’assessment è standardizzato e ateorico e
si focalizza maggiormente sulla diagnosi; La ricerca ignora la relazione tra l’assessment e il
trattamento descritto nelle teorie; Nella ricerca il trattamento è standardizzato e non
individualizzato.

Le attività professionali dello Psicologo


“La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la
prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico
rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”(Art.1 della Legge 56 del
18/2/1989)

Cos’è la Diagnosi?
La diagnosi psicologica è un atto conoscitivo pragmatico relativo al livello del funzionamento
psicosociale del fenomeno osservato e, a causa della sua specificità, non si pone in contraddizione
o in contrapposizione, ma è pienamente compatibile con altri interventi di diagnosi specialistica
relativi a livelli differenti di funzionamento dell’essere umano» (CNOP)

Perché Diagnosticare?
La diagnosi è una parte del processo che porta a offrire un trattamento a una persona, nonché uno
degli esiti della valutazione psicodiagnostica. La diagnosi guida i primi passi del clinico! La diagnosi
inoltre aiuta la comunicazione tra colleghi e tra cliente e psicologo\psichiatra. La diagnosi ideale è:
- Attendibile (si ottiene la stessa diagnosi anche in base a valutazioni di altre persone)
- Valida(vera!)

Step della Diagnosi


1. Domanda
2. Raccolta delle informazioni e primo colloquio
3. Organizzazione dei dati e delle ipotesi
4. Colloqui di approfondimento e verifica delle ipotesi
5. Restituzione

Le macro categorie di sistemi diagnostici:


1. Sistemi diagnositici nosografico-descrittivi (DSM-5 e ICD-10)
2. Sistemi diagnostici interpretativo-esplicativi (PDM-2 e SWAP-200)

I sistemi diagnostici nosografico-descrittivi


Hanno come riferimento il modello medico della diagnosi delle malattie somatiche. Si basano
sull’assunto che i disturbi psicologici, al di là della loro origine organica, psichica o socio
ambientale, possano essere descritti come entità distinte l’una dall’altra sulla base di specifici
insiemi di segni e sintomi.Sono ATEORICI, ovvero si limitano solo a descrivere segni e sintomi dei
disturbi mentali.
- PREGIO: favoriscono la ricerca di criteri condivisi che permettono ai clinici di comunicare
fra loro i risultati delle loro osservazioni e trattamenti.
- LIMITE: non tornano utili per predire l’evoluzione\prognosi del disturbo. Non considerano
l’eziologia o il funzionamento del paziente

Il tema della classificazione


Classificare è fondamentale, perché «permette alla mente di ridurre diversi oggetti in un numero
minore di tipi ordinati gerarchicamente, che così si possono conoscere più facilmente e in maniera
più puntuale» (Berthelot, 1889)
Classificazione ideale: le categorie deve essere mutualmente escludentisi ed esaustive. Però,
classificare è difficile: Lo è ancora di più se quanto va classificato è la malattia psichica (cos’è in
fondo la malattia psichica? Come la definiamo?)

L’Evoluzione dei sistemi nosografico-descrittivi


L’Interesse per la classificazione dei disturbi mentali nasce tra il XIX e XX secolo.
1. L’US Census Bureau (1840) propone per la prima volta il concetto di diagnosi differenziale
(idiocyvs insanityvs normality)
2. Nel 1881 Hurd (medico inglese) critica per primo il fatto che esista una terminologia diversa
per indicare gli stessi disturbi
3. Kraepelin(1883) sviluppa uno dei primi sistemi di classificazione (ipotesi di eziologia
organica dei disturbi)

L’Evoluzione dei sistemi nosografico-descrittivi


Tra il 1920-1950 la psichiatria si stacca da neurologia, le strutture manicomiali entrano in declino,
compaiono le «Scuole» di Psicologia, inizia a diffondersi modello bio-psico-socio-genetico. L’APA
nel 1917 pubblica un primo sistema classificatorio, chiamato «Standard Calssified Nomenclature of
Diseases» (limitato perché mancano molti disturbi mentali, riscontrati invece in clinica). Nel 1948
la WHO pubblica l’ICD-6, primo tentativo di classificare i DM in ottica internazionale.

In risposta a ICD-6, l’APA sviluppa la prima edizione del DSM (primo tentativo scientifico di
classificare i disturbi psichici sulla base di segni e sintomi), in parte influenzata da pensiero
psicodinamico. Il DSM-II (1968) è meno influenzato da pensiero psicodinamico ed è più attento ai
problemi di attendibilità e validità delle diagnosi (DM vanno classificati prima in base a
«caratteristiche di superficie», e solo dopo in base a eziologia)

I criteri di Feighnere i Research Diagnostic Criteria.


Negli anni ’70 si sviluppa un movimento neo-kraepeliano (malattia identificabile solo se si ha a
disposizione un sistema tassonomico adeguato). Il movimento propone un sistema categoriale
nosografico-descrittivo, detto «Feighner Criteria» (sindromi omogenee e distinte). I Feighner
Criteria sono una sorta di traduzione in pratica delle definizioni operazionalizzate nei singoli
disturbi, e alcuni di essi entrano nel DSM-III (1980). Il DSM-III e versioni successive mantengono
questo approccio.

Il DSM-5
È il testo di Psichiatria più diffuso e influente del mondo occidentale, pubblicato dall’APA. Contiene
descrizioni, sintomi e criteri per la diagnosidi oltre 370 Disturbi Mentali. Rappresenta il primo e
fondamentale punto di riferimento per la pianificazione dei trattamenti poiché si ritiene che solo
un’accurata diagnosip ossa condurre a piani di trattamento adeguati. Permette di fare Diagnosi
CATEGORIALE (presente/assente), ma include anche una sezione Dimensionale (per i Disturbi di
Personalità).

Il DSM-5: Altre Caratteristiche


L’approccio del DSM-5 è ateorico (l’ipotesi è che così operatori con formazioni differenti potessero
fare diagnosi allo stesso modo). Il DSM-5 concettualizza i disturbi psichici come entità discrete
(approccio categoriale). I criteri di inclusione e di esclusione da ogni categoria diagnostica sono
chiaramente definiti (importanza della diagnosi differenziale e della comorbidità).

Il DSM-5: composizione
Il Manuale include 3 sezioni:
1. Introduzione al manuale e informazioni su come utilizzarlo
2. Diagnosi categoriali: 22 capitoli contenenti disturbi affini per caratteristiche
sintomatologiche e comuni vulnerabilità (Criteri Diagnostici + Codici)
3. Condizioni patologiche che richiedono ulteriori studi

Il DSM-5: La Sezione I
Sono fatti cenni sia all’approccio alla formulazione del caso clinico sia alla definizione di disturbo
mentale. Sono sottolineate le limitazioni della diagnosi con DSM-5 in ambito peritale.

DSM-5: La Sezione II
× Spettro della Schizofrenia e altri disturbi psicotici
× Disturbi Bipolare e correlati
× Disturbi depressivi
× Disturbi d'ansia
× Disturbi Ossessivo-Compulsivo e correlati
× Disturbi Correlati a Traumi e Stress
× Disturbi Dissociativi•Sintomi somatici e disturbi correlati
× Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
× Disturbi da Eliminazione
× Disturbi del ciclo sonno-sveglia
× Disfunzioni Sessuali
× Disforia di genere
× Disturbi Dirompenti, del controllo degli impulsi e disturbi di condotta
× Disturbi da dipendenza e correlati
× Disturbi da uso di sostanze
× Disturbi neurocognitivi
× Disturbi di Personalità
× Parafilie
× Altri disturbi mentali
× Disturbi correlati all’utilizzo di farmaci
× Altre condizioni che possono richiedere attenzione clinica

Altre Informazioni
× Caratteristiche Diagnostiche (spiegazione dettagliata dei vari criteri A-x)
× Prevalenza
× Sviluppo e decorso
× Fattori di rischio e prognosi
× Aspetti diagnostici correlati alla cultura di appartenenza
× Conseguenze funzionali del disturbo da binge eating
× Diagnosi differenziale
× Comorbidità

DSM-5: La Sezione III


La terza sezione del Manuale comprende misure emergenti e modelli utili per la valutazione
psicodiagnostica. In particolare sono considerati:
- Strumenti di valutazione clinica indirizzati all’analisi del funzionamento mentale del
paziente e che, pensati per un disturbo specifico, ne forniscono una misurazione della
gravità e considerano l’importanza di un approccio diagnostico anche dimensionale.
- È proposta un’intervista che consideri, nel processo diagnostico, l’influenza di fattori etno-
culturali (razza, etnia, linguaggio, religione, costumi etc.)
- Un nuovo modello ibrido (categoriale-dimensionale) per i disturbi di personalità
- Condizioni che devono essere oggetto di studi supplementari prima di essere considerati
dei veri e propri disturbi (ad esempio il disturbo legato all’uso di caffeina o il disturbo
legato al gioco online)

L’ICD-10
Altro manuale diagnostico esistente (per TUTTE le patologie mediche, incluse quelle psichiatriche).
È stato sviluppato dall’OMS, ed è molto usato in Europa e nel resto del Mondo. In Italia, è molto
utilizzato per fare diagnosi nelle strutture pubbliche. Ogni diagnosi è associata a specifici codici
(esistono tabelle che associano tali codici diagnostici alle rispettive diagnosi del DSM-5)

Vantaggi e svantaggi dell’approccio categoriale


Vantiaggi:
- Di facile impiego\rapido uso da parte dei clinici
- Diagnosi attendibili
- Favorisce la ricerca e la pianificazione dei trattamenti

Svantaggi
- Eccessiva co-occorrenza diagnostica (comorbilità)
- Eterogeneità tra le persone che ricevono la stessa diagnosi
- Mancanza di limiti non arbitrari con il funzionamento normale (soglie diagnostiche)
- Descrizione inadeguata di tutte le varietà di funzionamento disadattivo di personalità
(coverage)

Approccio Funzionale alla Diagnosi


Serve a comprendere come «funziona» il paziente:
- Il suo stile relazionale
- Il modo di pensare
- Il modo di elaborare ed esprimere le emozioni
Come funziona il paziente dal punto vista psicologico-relazionale (nel presente). L’obiettivo è
quello di comprendere: perché il paziente mantiene la sintomatologia (diagnosi nosografica)

I sistemi diagnostici interpretativo-esplicativi


Lo scopo della diagnosi esplicativa è quello di giungere alla comprensione delle cause del disagio
psicologico di un determinato individuo. La diagnosi Esplicativa NON è alternativa a quella
Nosografica, ma idealmente la complementa. Essa si basa su categorie unificate da una causa
eziologica comune, e cerca di comprendere i fattori eziologici all’interno delle singole categorie
diagnostiche dei sistemi nosografici. La diagnosi esplicativa si sforza di dare significato ai sintomi,
all’interno di un contesto dove anche ciò che non è patologico assume importanza. Ognuno di
questi sistemi è l’applicazione di una specifica teoria del comportamento (usata anche in una
specifica tecnica terapeutica). Caratteristica chiave di questi sistemi diagnostici è che intendono la
genesi(causa\evoluzione) di un DM come elemento necessario per definire e catalogare il
fenomeno stesso. Ciascun sistema interpretativo-esplicativo descrive solo alcuni aspetti del
fenomeno. Questi sistemi si concentrano sì sul sintomo, ma finiscono poi per leggere il materiale
disponibile (es. dati relazionali e osservativi) per costruire un’interpretazione eziologica. Il DSM
fornisce solo un livello di descrizione, ma le persone sono ben altro! E queste informazioni, non
esaminate\descritte\categorizzate dal DSM, sono invece raccolte dai sistemi interpretativo-
esplicativi per fornire informazioni che possono migliorare i trattamenti. Da un certo punto di
vista, queste procedure diagnostiche ridanno un senso alla diagnosi e alla sensibilità clinica

Il PDM-2
È un manuale diagnostico che si appoggia alla teoria psicoanalitica (Psicoanalisi, Relazioni
Oggettuali, Teoria dell’Attaccamento). Seconda edizione italiana 2018. Ll Manuale propone un
approccio diagnostico multiassiale (Asse P = Personalità, Asse M = Capacità Mentali, Asse S =
Sintomi ed esperienza soggettiva) separatamente per ogni ciclo di vita (Prima infanzia, Infanzia,
Adolescenza, Adulti, Anziani). La diagnostica PDM-2 è basata su caratteristiche individuali e non
solo su categorie generali ("una tassonomia di persone piuttosto che una tassonomia di disturbi”).
La Personalità e i suoi tratti «I tratti di personalità sono modi costanti di percepire, rapportarsi e
pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di
contesti sociali e personali». «Soltanto quando i tratti di personalità sono rigidi e non adattivi, e
causano una compromissione funzionale significativa o una sofferenza soggettiva, essi
costituiscono Disturbi di Personalità. La caratteristica essenziale di un Disturbo di Personalità è un
modello costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto
alle aspettative della cultura dell’individuo è pervasivo inflessibile esordisce nell’adolescenza o
nella prima età adulta è stabile nel tempo e determina disagio e menomazione»

Il PDM-2: l’asse P
L’asse P valuta la personalità secondo due aspetti: l’organizzazione della personalità (che può
andare da un livello sano, a nevrotico, borderline e infine psicotico) e lo stile di personalità.
Quattro principali organizzazioni:
- Sana
- Nevrotica
- Borderline
- Psicotica.

Il Paziente viene collocato su una di queste organizzazioni valutando una serie di dimensioni

Dimensioni valutate:
 vedere se stessi e gli altri in modi articolati, stabili e precisi (identità)
 mantenere relazioni intime, stabili e soddisfacenti (relazioni oggettuali)
 fare esperienza dentro di sé, e percepire negli altri, l'intera gamma degli affetti appropriati
a una certa età (tolleranza degli affetti)
 regolare impulsi e affetti in modi che favoriscono l'adattamento e la soddisfazione, con un
ricorso flessibile a difese o strategie di coping (regolazione degli affetti)
 funzionare secondo una sensibilità morale coerente e matura (integrazione del Super-io,
dell'Io ideale e dell'ideale dell'io)
 comprendere, anche se non necessariamente conformarsi a, le nozioni convenzionali di ciò
che è realistico (esame di realtà)
 rispondere in modo positivo agli stress e riprendersi sa eventi dolorosi senza difficoltà
eccessive (forza dell'Io e resilienza)

Il PDM-2: l’Asse M
L’asse M valuta il profilo del funzionamento mentale (perché i disturbi che una persona può
presentare non dipendono solo dalla sua personalità, ma anche da come funziona la sua mente).
L’asse M comprende 12 ambiti del funzionamento mentale (ad es. l’elaborazione delle
informazioni, la regolazione degli impulsi, la capacità di stabilire e mantenere relazioni, la
regolazione dell’autostima, l’adattamento e la resilienza). Per valutare queste funzioni vengono
proposte una serie di scale, test o interviste di varia provenienza.
Asse M: alcuni esempi
1. Capacità di regolazione, attenzione, apprendimento: WAIS-IV, MOCA, WCTS
2. Capacità di mentalizzazione e funzione riflessiva: RFS
3. Capacità di relazioni e intimità: ECR, IIP, AAI
4. Regolazione dell’autostima e qualità dell’esperienza interna: RSES, AAI

Il PDM-2: l’Asse S
L’asse S valuta i sintomi(e la loro esperienza soggettiva). A partire dalle principali categorie
diagnostiche del DSM e ICD, Asse S descrive l’esperienza soggettiva (stati affettivi, processi
cognitivi, esperienze somatiche, dinamiche relazionali) a essa associate. In questa sezione c’è
ampio spazio dedicato al trauma e alla dissociazione e l’inclusione del disturbo post-traumatico
complesso.

Asse S: un esempio (Disturbi d’Ansia)


Ansia come paura in assenza di un pericolo oggettivo.
1) Stati Affettivi: sono correlati alle quattro situazioni di paura per il pericolo di base secondo
Freud (perdita oggetto; perdita dell’oggetto d’amore; castrazione; perdita
dell’approvazione da parte del Super-Io)
2) Pattern Cognitivi: scarsa concentrazione, difficoltà nel mantenere l’attenzione, facile
distraibilità, e problemi di memoria . Possono esserci paure di base comuni (es.
separazione) o complesse meno gravi (es. perdere il controllo).
3) Stati Somatici: tensione, sudorazione, sensazione di farfalle allo stomaco, stimolo ad
andare di corpo, difficoltà di respirazione. Comuni i sintomi da attivazione del SNA.
4) Pattern Relazionali: manifestazione esplicita della paura del rifiuto, richiesta di
rassicurazioni continue, espressione di sentimenti di colpa

Lo SWAP-200
È una procedura (o meglio, un’intervista semi-strutturata) che viene utilizzata per valutare le
caratteristiche sane e patologiche di personalità del paziente all’interno dell’ottica interpretativo-
esplicativa. È stata sviluppata da due ricercatori, Westene Shedler, che hanno cercato di
classificare i disturbi di personalità in modo clinicamente utile ma fedele ai dati e che si poggiasse
su rilevamenti empirici. È composta da 200 items

La SWAP-200 è uno strumento per la valutazione dei disturbi di personalità che consente di fare
una diagnosi funzionale, e permette di elaborare una diagnosi sia categoriale sia dimensionale. La
SWAP-200 (Westen, Shedler1999a) si basa sull’applicazione di una procedura Q-sort alla
valutazione della personalità. È compilata da un clinico esperto che abbia avuto almeno 3 colloqui
col paziente. Ad ogni item, il clinico assegna un punteggio da 0 a 7.

La procedura indaga quattro ampi domini funzionali:


1. Le motivazioni, standard ideali, valori morali, paure e conflitti
2. Gli stili cognitivi, le strategie e le capacità di regolazione delle emozioni, i meccanismi di
difesa e le capacità\risorse psicologiche
3. Le rappresentazioni di sé, degli altri e delle relazioni tra sé e gli altri
4. Il modo in cui questi domini si sono sviluppati nel corso della vita.

La SWAP adotta il «prototype matching»: presenza di un disturbo di personalità è legato non a


numero di criteri, ma a quanto il paziente si avvicina al quadro complessivo di un certo disturbo.
SWAP-200: le Diagnosi
La SWAP-200 permette di ottenere due tipi di diagnosi:
1. Diagnosi in scale PD (simili a quelle DSM-5)
2. Diagnosi in fattori Q (descrivono gli stili di personalità derivati dalle descrizioni SWAP di
pazienti reali; un software fa poi matching tra profilo paziente e profilo personologico
prototipico di 12 disturbi di personalità)

SWAP-200: esempi di Items


- “Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi inaccettabili negli altri e non in se stesso/a”
- “Si comporta in modo da suscitare negli altri sentimenti simili a quelli che lui/lei stesso/a
sta provando (per es., quando è arrabbiato/a, agisce in un modo che provoca rabbia negli
altri; quando è ansioso/a, agisce in un modo che induce ansia negli altri)”
- “Tende a suscitare negli altri reazioni estreme e sentimenti forti”
La Psicodiagnostica
L’Esame Psicodiagnostico come primo step di un percorso di sostegno psicologico e di counselling
1. a volte si limita a un colloquio clinico
2. a volte richiede tecniche e conoscenze psicodiagnostiche specifiche

L’esame Psicodiagnostico
Esame psicodiagnostico (e quindi la classificazione personologica, psicopatologica e\o nosografica)
è punto di passaggio intermedio nel corso dell’esplorazione psicodiagnostica. Uno degli esiti
dell’esame psicodiagnostico è la Diagnosi (utile per favorire la comunicazione col mondo
sanitario)Diagnosi (classificazione nosografica del soggetto) non è punto di arrivo dell’esame
Psicodiagnostico, ma un suo tassello fondamentale.

La struttura formale dell’Esame Psicodiagnostico


E.P. come processo complesso di raccolta, analisi e
elaborazione di informazioni. Procede a imbuto che
va via via restringendosi, in base a ipotesi
considerate. Processo attivo (di raccolta e
elaborazione informazioni)

Il Modello Multidimensionale dell’E.P.


Durante E.P. si possono raccogliere informazioni da numerosi canali.
1. canale verbale
2. osservazione diretta del comportamento
3. registrazione strumentale dell'attivazione psicofisiologica del soggetto

questi valutano aspetti differenti, NON lo stesso fenomeno.

Il Colloquio Clinico
Il colloquio clinico è l’asse portante dell’Esame Psicodiagnostico. Le Finalità sono capire qual è il
problema che porta il paziente a rivolgersi allo psicologo clinico, dando un senso a quanto egli
stesso propone.
1. Si analizza prima di tutto il sistema cognitivo-verbale del paziente (quello che il paziente
dice di sé)
2. In quanto setting strutturato, il colloquio offre un segmento di osservazione del
comportamento del paziente in una situazione data (postura, contatto oculare ecc.)
3. Il colloquio permette di osservare il comportamento interpersonale del paziente

Il Colloquio Clinico: le varie fasi


1. Fase dei Preliminari (convenevoli sociali)
2. Apertura
3. Specificazione del Problema (fase del problema iniziale)
4. Analisi delle variabili funzionalmente correlate
5. Allargamento (fase dei problemi attuali)
6. Storia dei problemi (fase delle ipotesi eziopatogenetiche)
7. Storia personale (fase del profilo complessivo)
8. Analisi delle aspettative9.Restituzione e chiusura

L’osservazione Naturalistica
Esistono due tipi di Osservazione: «Naturalistica» o «Automonitoraggio».
- Naturalistica: in ambiente naturale, nel quale in comportamento in esame si verifica
spontaneamente
- Automonitoraggio: individuo che auto-osserva alcuni suoi eventi interni\comportamenti

Interviste (semi)Strutturate
Sono procedure standardizzate, nate per ridurre errori diagnostici legati a Bias cognitivi:
× Bias di Ancoraggio (processo di valutazione è ancorato a specifiche informazioni)
× Bias di conferma (tendenza a cercare conferme a ipotesi formulata)
× Diagnosis Momentum(tendenza a farsi influenzare da fattori contestuali)
× Effetto dell’ordine (info raccolte per prime hanno un peso maggiore)
× Eccessiva sicurezza
× Chiusura prematura (decisione prematura a considerare acquisiti gli elementi necessari alla
diagnosi)

Sono una tecnica standard dove contenuto e modalità delle domande sono prestabiliti e che può
essere utilizzata in fase avanzata dell’esame psicodiagnostico (tecnica a metà strada tra
l’osservazione diretta e l'autovalutazione soggettiva). L’intervista strutturata è diversa dal
colloquio clinico perché:
a. valuta un costrutto specifico
b. dà luogo a una classificazione o punteggio relativo a quel costrutto

Alcuni esempi di Interviste:


% L’Adult Attachment Interview (George, Kaplan e Main, 1985)
% La Structured Clinical Interview for the DSM-5 (First, 2015)
% La Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale (Goodman et al., 1989)
% Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizofrenia Present-Lifetime Version
(Kaufman et al., 2019)

SCID-5
Intervista clinica semi-strutturata usata per fare diagnosi di disturbi mentali in accordo al DSM-5. È
molto usata in ricerca, in ambito peritale, o per fare diagnosi valide\attendibili in contesti pubblici

K-SADS P
LIntervista semi-strutturata usata per fare diagnosi in bambini\adolescenti (6-17 anni) in accordo a
DSM-5. Si caratterizza per avere un’Intervista introduttiva generica + di screening + supplementi
diagnostici (domande che ricalcano criteri DSM-5 per diagnosi)

Gli strumenti autovalutativi


Si collocano accanto e a integrazione dei colloqui clinici. L'impiego dei test va strutturato
gerarchicamente: test ad ampio spettro (per es. MMPI, Batteria CBA-2.0, MCMI-III), seguiti poi da
test più mirati e specifici (per es. STAI, BDI). I test vanno considerati come “strumenti” che
potenziano il lavoro di esplorazione del colloquio clinico e che forniscono "misurazioni" di specifici
costrutti.
Alcuni esempi di strumenti autovalutativi sono:
- Minnesota Multiphasic Personality Inventory–Restructured Form(MMPI-RF)
- La Batteria CBA-2 (Cognitive Behavioral Assessment-2)
- State-Trait Anxiety Inventory (STAI)
- Center for Epidemiological Studies–Depression (CES-D)
- Kessler Psychological Distress Scale 10 (K10)
Esistono letteralmente milioni di questionari pubblicati in letteratura. In ricerca e\o clinica, è
importante scegliere strumenti validi, attendibili (nonché validati in lingua Italiana)

Attendibilità e Validità
Fondamentali da valutare quando si cerca un questionario sono:
- Validità: Strumento misura quello che deve misurare. Esistono due tipi di validità: interna
ed esterna. Interna: (EFA e CFA). Esterna: r con misure simili\diverse
- Attendibilità: Items sono associati tra loro; ottengo risposte simili a somministrazioni
distanziate nel tempo. L’attendibilità si misura attraverso la coerenza Interna: α di
Chronbach e r tra misurazioni ripetute.

Autovalutativi: l’Effetto Barnum


L’esperimento di Kanizsa
Venne somministrato un finto test di personalità (test du Gribouillage). Fu assegnato a ciascun
partecipante un profilo di personalità in risposta al test. Si chiese ai partecipanti di esprimere il
loro grado di accordo con il profilo ricevuto. Si ottiene una generale adesione al profilo che viene
assegnato: Effetto Barnum (o di convalida soggettiva)

I test Proiettivi
Ipotesi proiettiva: le risposte di un individuo a degli stimoli ambigui, che gli vengono presentati,
riflettono attributi significativi e relativamente stabili della sua personalità. ATTENZIONE: non si
tratta di test! Tali tecniche consistono nelle presentazione di stimoli poco strutturati o addirittura
ambigui con la richiesta al soggetto in esame di "interpretarli" o dar loro una qualche
strutturazione.

Test Proiettivi: alcuni esempi


A. .interpretazione di stimoli privi di contenuto (reattivo psicodiagnostico di Rorschach, test
delle macchie di Holzman)
B. Interpretazione di stimoli dal significato incompleto (test di appercezione tematica di
Murray)
C. Test semiproiettivi con stimoli simili a fumetti incompleti (the picture-association method
for assessing reactions to frustration di Rosenzweig)
D. produzione di disegni (disegno della casa, disegno dell’albero e della figura umana, disegno
della famiglia)
E. scelta dei colori (test di Luscher)
F. la manipolazione e il gioco (gioco del vassoio con la sabbia, Scenotest)

Il reattivo psicodiagnostico di Rorschach è la più nota tecnica proiettiva.

Test di Intelligenza
La valutazione clinica può includere l'uso di test che riguardano la sfera cognitiva. N.B. la
valutazione dell’intelligenza può essere una stima complessiva e unitaria (riferimento al concetto
di intelligenza) o una raccolta di indici relativi a singoli aspetti del funzionamento mentale
(percezione, pensiero, memoria, apprendimento, visualizzazione, attenzione)Scala Stanford-Binet
per avere una valutazione complessiva dell’intelligenza: Q.I.= età mentale x 100 età cronologica

Test di Intelligenza: la WAIS


Ipotesi di scomponibilità dell'intelligenza in diverse abilità (per es. PMA, DAT, K-ABC). Le scale
Wechsler (sono fra i test di intelligenza più popolari):
- WAIS per gli adulti
- WISC per i bambini sopra i 6 anni
- WPPSI per i bambini sotto i 6 anni

Somministrazione di una serie di prove verbali e non verbali, che esaminano aspetti differenti del
funzionamento cognitivo. Stima complessiva dell'intelligenza = Comprensione verbale +
Ragionamento Visuo-percettivo + Memoria di Lavoro + Velocità di Elaborazione

L’Assessment Psicofisiologico
- L'attività mioelettrica
- La frequenza cardiaca
- La frequenza respiratoria
- La temperatura periferica cutanea
- La pressione sistolica e diastolica
- La conduttanza cutanea

Il ruolo dell’Assessment Psicofisiologico


Lo psicologo è interessato a confrontare il livello di attivazione a riposo (linea di base, o Baseline)
con il livello di attivazione in presenza di condizioni stimolo (reazione di attivazione) nel profilo
psicofisiologico. È possibile riscontrare correlazioni molto basse tra il resoconto soggettivo e le
rilevazioni psicofisiologiche. Alessitimia: mancato riconoscimento cognitivo della presenza di lievi
tensioni che interferiscono con vari aspetti della quotidianità (Sifneos, 1973)

Un esempio di applicazione dell’Assessment Psicofisiologico


Tecnica comportamentale non invasiva
Obiettivo: cambiare la disfunzione fisiologica in una direzione desiderata. Per gestire questo, la
funzione fisiologica deve essere percepita visivamente o acusticamente e deve essere percepita
coscientemente. Il cambiamento a livello fisiologico si ha attraverso un processo di apprendimento
(condizione operante) associato a cambiamenti cognitivi, emotivi e comportamentali.

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