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PERCORSI CLINICI DELLA PSICHIATRIA

INTRODUZIONE
L’incessante evoluzione della società contemporanea così come dei costrutti teorici e delle
ricerche in ambito scientifico, congiuntamente alla nascita di nuove forme di patologia e alla
contemporaneamodificazione di quelle già esistenti, giustifica e impone un frequente
aggiornamento della manualistica esistente.

PARTE I: ASPETTI GENERALI

1. LE MATRICI CULTURALI DELLA PSICHIATRIA


La psichiatria è una disciplina scientifica che si occupa della prevenzione 1, della diagnosi, della
cura e della riabilitazione delle varie e multiformi manifestazioni del disagio psichico.

Dal momento che lo psichismo si struttura ed evolve a partire da differenti matrici, di ordine
biologico, relazionale, culturale - ovvero da dimensioni organiche, emotivo-affettive, e
micro/macrosociali -, la psichiatria, in quanto scienza che studia le alterazioni della vita
mentale, abbraccia un approccio fondamentalmente interdisciplinare, che rifiuta ogni tipo di
riduzionismo, e che si apre, inevitabilmente e irriducibilmente, a tutti quei campi di
conoscenza che studiano i plurimi fattori che influenzano e/o determinano tali fenomeni,
normali o patologici.

Gli aspetti, allora, che caratterizzano maggiormente la psichiatria, rispetto alle altre specialità
mediche, sono due:

1. la Psichiatria si occupa fondamentalmente di <<oggetti di studio invisibili>> quali le


turbe psichiatriche e le loro diverse declinazioni;
2. la Psichiatria è una “scienza ibrida” che si avvale degli apporti di differenti conoscenze,
provenienti dal campo della psicopatologia, delleneuroscienze, della farmacologia,
della psicologia, della sociologia e della filosofia:essa non può prescindere da un
approccio medico-biologico, ma non può neanche esaurirsi in questo, pena
l’impossibilità di comprendere i significati intrinseci e le dinamiche dell’esistenza
umana.

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Piccola nota a margine a proposito della prevenzione: la prevenzione, in quanto intervento finalizzato a mortificare la possibilità di
manifestazione conclamata del disturbo psicopatologico, ha importanti ricadute a livello economico, dal momento che minimizza i costi che
la malattia psichiatrica determina non solo a livello socio-relazionale e familiare, ma anche a livello lavorativo (in termini di giorni di assenza
dal lavoro) e sanitario, comportando la cura un dispendio di risorse economiche all’interno del Sistema Sanitario.
A proposito della prevenzione è possibile distinguere: (1) una prevenzione primaria, che previene la manifestazione della malattia (per
esempio: il vaccino contro il colera); (2) una prevenzione secondaria, finalizzata a prevenire ed arrestare l’evoluzione della malattia, e quindi
il peggioramento dello stato di salute del paziente; (3) una prevenzione terziaria, ovvero la riabilitazione, intesa come momento di intervento
atto ad evitare la cronicizzazione della malattia e a consentire il recupero delle facoltà precedentemente possedute dal paziente e poi andate
perdute.

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Il riconoscimento della natura multi determinata e multifattoriale dei disturbi pischici impone
la necessità di portare avanti interventi terapeutici globali, multidimensionali e multilivello,
nel rispetto dellaintegrità bio-psico-sociale dell’uomo.

Un ultimo aspetto fondamentale: la psichiatria si cimenta costantemente con ciò che sempre
sfugge a facili categorizzazioni e conoscenze precostituite; ogni nuovo caso e ogni nuova
terapia sono ogni volta nuove sfide.

L’orientamento biologico-organicista
L’indirizzo biologico della psichiatria è quello più vicino al modello medico e, parallelamente a
questo, si è andato sviluppando, dalla fine del 1700 in poi, con gli studi di Esquirol, Chiarugi e
Pinel, seguendo un approccio positivista allo studio dell’uomo 2; il contributo di questo ultimo
per altro non si ferma all’impulso che egli diede con il suo lavoro alla fondazione della
psichiatria scientifica, ma si estende a quella rivoluzione copernicana che metteva al centro
dell’attenzione dello psichiatra e delle istituzioni manicomiali il paziente come uomo
sofferente, sottolineando la dimensione tragica della sua esistenza personale.

La psichiatria biologica dell’ottocento si basava sull’affermazione di Griesinger secondo cui


“le malattie mentali sono malattie del cervello”: nel cervello e nelle sue strutture micro e
macroscopiche andavano quindi ricercate le cause delle alterazioni psicologiche. E’ il dominio
del corporeo sullo psichico.

A partire però dai lavori della psicologia dinamica e delle scienze sociali la sofferenza psichica
dell’uomo venne collocata in uno scenario più vasto e comprensivo, meno prevedibile e
determinato dalle reazioni biochimiche cerebrali.

Allora, se da una parte l’orientamento biologico ha consentito alla psichiatria di costituirsi a


pieno titolo come disciplina medica e di disporre di criteri di diagnosi e di intervento
terapeutico razionali e obiettivi (secondo l’approccio positivista), dall’altro deve riconoscere
l’impossibilità di comprendere a fondo la sofferenza psichica dell’uomo prescindendo dalla
dimensione esistenziale, dalla sua storicità , dalla sua globalità biopsicosociorelazionale, dalla
sua interconnessione con le reti sociali ed affettive all’interno delle qualiil disagio psichico si
sviluppa e prende forma, o, al contrario, trova un suo contenimento.

Oltretutto, la psichiatria biologica sembra fino a questo momento aver disatteso l’aspettativa
di comprendere a fondo e in modo univoco l’eziologia delle grandi sindromi psichiatriche,
primi fra tutti i disturbi schizofrenici e i disturbi dell’umore: nonostante la grande quantità di
dati provenienti dalla ricerca biologica (dalla neurochimica, alla genetica, dalla neurofisiologia
alla neuroendocrinologia) siamo oggi in grado di delineare solo una serie di probabili fattori
di predisposizione biologico-genetica ai disturbi del comportamento e della personalità ,
mancando una precisa evidenza di eventuali fattori causali di natura organica che possano,
univocamente e esclusivamente, essere considerati responsabili dei disturbi psichiatrici.

Questa consapevolezza invita ad applicare con prudenza un intervento farmacologico che,


seppur di gran valore terapeutico, e di grande importanza nell’alleviare la sofferenza psichica,
controlla una certa sintomatologia piuttosto che curare in modo risolutivo ciò che è alla base
del disturbo.
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Il Positivismo, anche detto neopositivismo, neoempirismo o empirismo logico, sottolinea come ogni fenomeno deve essere studiato e
conosciuto empiricamente. Come si deduce dal nome, alla sua base stanno i concetti tipici del metodo scientifico di (1)“empirico”, ossia
relazionato all’esperienza, e (2)“logico”, e cioè basato sulla razionalità in quanto strumento unico di conoscenza.

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Negli ultimi anni abbiamo assistito al proliferare di nuove tecnologie applicate alla medicina e
lo sviluppo in campo neuroscientifico che hanno stimolato importanti progressi nella
psichiatria biologica. Tra questi:

- l’analisi del tracciato EEG con cui è possibile ottenere una mappatura dell’attività
elettrica di specifiche aree cerebrali;
- le tecniche di neuroimaging in grado di fornire un quadro morfologico e funzionale del
cervello (TAC, RMN, PET, SPECT);
- le acquisizioni sempre più precise sull’attività neurotrasmettitoriale – con la scoperta
della co-localizzazione, cioè della frequente doppia presenza (contemporanea) di due
neurotrasmettitori nella stessa cellula neuronale – che hanno consentito una più
precisa comprensione dei sistemi complessi di comunicazione e scambio di segnali
all’interno della rete neuronale
- la neurobiologia molecolare, in grado di (1) localizzare i geni coinvolti nel
determinismo dei disturbi psichiatrici, e (2) studiare la regolazione della espressione
genica in rapporto a particolari stimoli ambientali, tra cui i farmaci, confermando il
rapporto diretto tra le strutture organiche e biologiche da una parte, e i sentimenti,
emozioni e pensieri dall’altra (la continuità tra il cerebrale e il mentale).

L’orientamento psicologico-dinamico
Quanto detto in precedenza sottolinea come la psichiatria non sia riducibile alla neurologia,
né tantomeno la psicopatologia lo è alla neuropatologia. La psichiatria deve quindi attingere
anche ad altre matrici, tra le quali quella psicologica rappresenta una delle più consolidate.

L’indirizzo psicologico in psichiatria mira, attraverso una serie di modelli e ipotesi, alla
comprensione psicologica del disagio psichico; è quindi interessato alla psicogenesi del
disturbo, alla comprensione del suo significato intrinseco e all’individuazione delle sue cause,
allo studio, cioè, dei fattori psicologici, affettivi, relazionali che possono contribuire a
strutturare, mantenere o aggravare il disturbo e la sofferenza psichica.

L’orientamento psicologico alle turbe psichiche - e alla sofferenza che ad esse,


inevitabilmente, si lega – studia, ad esempio, le tappe e i processi dello sviluppo affettivo, la
relazione madre-bambino, le esperienze di attaccamento e perdita, le fantasie inconsce, e
incoraggia, quindi, l’idea secondo la quale le manifestazioni sane o patologiche della vita
psichica vanno ricondotte a dinamiche e meccanismi psichici.

Questa acquisizione, che può apparire oggi ovvia, rappresentò all’inizio del secolo una grande
rivoluzione culturale.

In tal senso, SigmundFreude la sua Psicoanalisi rappresentarono la <<Prima grande


rivoluzione della psichiatria>>; egli, per primo, riuscì a proporre un modello del
funzionamento mentale basato sulla dinamica interna tra forze pulsionali opposte conosce e
inconsce. L’esistenza di processi psichici inconsci e la capacità di questi di influenzare
nascostamente la psiche conscia erano già stati intuiti prima di Freud (Nietzsche, Janet), anche
se solo con la Psicoanalisi trovano una loro definitiva sistematizzazione.

La Psicoanalisi valorizza, per la prima volta, la biografia individuale, la storia personale,


all’interno della quale è spesso possibile riconoscere un percorso esistenziale difficoltoso e
bloccato a partire dalle prime esperienze affettive e relazionali precoci: la grande scoperta

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della Psicoanalisi è che tutto ciò che accade di importante per la vita psichica, accade per
sempre. Per tale ragione scopo ultimo del trattamento psicoanalitico diventa liberare il
paziente dai condizionamenti del passato, promuovere una loro <<abreazione>>, a patire dsl
riconoscimento che, se non adeguatamente elaborati, tenderanno sempre a ritornare
(coazione a ripetere).

I concetti base della teoria psicoanalitica sono:

- inconscio: oltre ai processi psichici coscienti e razionali, esiste una larga parte della
vita mentale che sfugge al controllo cosciente e può dare manifestazioni di sé nei
lapsus, negli atti mancati, nei sogni e nei sintomi nevrotici. I processi psichici consci e
inconsci possiedono una loro energia (dynamos in greco) e dal loro confronto-scontro
scaturisce il dinamismo psichico.
- La libido e le fasi dello sviluppo psicosessuale : Freud individua nella libido l’energia
psichica innata, biologicamente determinata, soggiacente al principio di piacere, quindi
con una precisa connotazione erotica e sessuale, che determina lo sviluppo del
carattere; questa, nello sviluppo infantile, investe progressivamente diverse zone del
corpo, da cui il bambino trarrà piacere, determinando le varie fasi dello sviluppo
psicosessuale, da cui dipende lo sviluppo psicoaffettivo, sia nei soggetti sani che in
quelli patologici: orale, anale, fallica, fallica, genitale. Così:
1) fase orale: dura all’incirca fino al 18° mese, il bambino trae il massimo piacere
dalla stimolazione della bocca, della lingua e delle labbra, indotta dal contatto con il
seno materno e dalla suzione del latte.
2) fase anale: arriva fino al 3° anno di vita, la fonte del piacere si sposta dalle funzioni
legate all’assunzione di cibo alle funzioni escretorie
3) fase fallica: dura fino al 5° anno, la gratificazione libidica si sposta nella zona
genitale; questa fase dello sviluppo è caratterizzata da intensi sentimenti di amore
nei confronti del genitore eterosessuale e di ostilità nei confronti del genitore
omosessuale: è la fase del complesso edipico.
- Modello strutturale della psiche : Freud rivede la prima ipotesi topica (il modello
strutturale viene definito “la seconda Topica”), nella quale aveva postulato l’esistenza
di Conscio, Inconscio e Preconscio, e individua nell’Io, nell’Es e nel Super-Io le tre
istanze psiche fondamentali, in relazione reciproca.
L’Io può essere considerato la sede dell’identità personale, l’istanza in rapporto con la
realtà esterna e interna, il mediatore del rapporto tra l’Es e il Super-Io. L’Io agisce
secondo il principio di realtà ed è l’utilizzatore, con la sua parte inconscia, dei
meccanismi di difesa.
L’Es è la sede delle pulsioni istintuali, libidico-aggressive, area a cavallo tra il biologico
e lo psichico e soggiacente al principio di piacere.
Il Super-Io rappresenta l’istanza normativa che si forma a partire
dall’interiorizzazione del sistema di regole e divieti genitoriali: è quindi la censura
psichica (il Grande Censore) che regolamenta il rapporto tra Es e Io.
- Meccanismi di difesa: L’Io mette in atto operazioni difensive inconsce nei confronti
dell’ansia causata dai conflitti tra istanze psichiche inconsce (Es e Super-Io) e tra loro e
le richieste della realtà esterna. E’ possibile distingue difese mature (o secondarie) e
difese immature, primitive (o primarie).
Mentre la rimozione situa pensieri, sentimenti e desideri inaccettabili dal conscio
all’inconscio, e, assieme ad altri meccanismi difensivi maturi quali la sublimazione,
l’umorismo o l’altruismo ad esempio, può non determinare necessariamente
l’insorgenza di sintomi nevrotici, altre volte, quando la forza dell’Io è minore rispetto

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alla possibilità di contenere il conflitto, entrano in gioco altre modalità difensive, che
determinano il sintomo psicopatologico. Tra queste ad esempio ricordiamo:
1) lo spostamento è il meccanismo difensivo che sta alla base delle ossessioni e delle
fobie: in queste ultime la carica affettive collegata a un oggetto, dopo la rimozione
dello stesso, viene spostata su un oggetto neutro che diventa, pertanto, ansiogeno.
Lo spostamento opera anche nel transfert analitico, dove sentimenti legati a un
persona del passato vengono spostati, impropriamente, sul terapeuta.
2) La negazione nevrotica, attraverso cui viene disconosciuta una componente
ideativa e affettiva della propria vita psichica, in quanto fonte di profonda
angoscia, è utilizzata nelle condizioni psicotiche, nei disturbi di personalità e,
talora, in condizioni di forti stress, anche da soggetti normali.
3) La proiezione è un altro meccanismo psicotico, arcaico, infantile (come dimostrato
dalla Klein). Un suo utilizzo massiccio sottende gravi sintomi psicotici come i deliri
persecutori (nei quali tutto il male è all’esterno) e i sintomi allucinatori.
4) La scissione, altro meccanismo riconoscibile nelle situazioni psicotiche e fisiologico
nella fase precoce infantile. La difesa è caratteristica del disturbo borderline di
personalità e di molte condizioni psicotiche.
5) L’introiezione, in quanto meccanismo opposto alla proiezione.
6) La regressione, meccanismo che porta ad assumere atteggiamenti e modalità
psichiche legate a fasi precedenti di sviluppo.
7) La conversione è uno dei meccanismi tipici dell’isteria, che è detta appunto
Disturbo di Conversione, e consiste nel trasferire un conflitto psichico in un
sintomo somatico, attraverso cui può esprimersi simbolicamente.
8) L’annullamento retroattivo è una modalità difensiva che ha a che fare con il
pensiero di tipo ossessivo, per cui un gesto, un’azione o rituale (compulsivo) può
eliminare gli effetti di pensieri, sentimenti o azioni precedenti; è quindi alla base
degli anancasmi3 dei pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo.

Gli studi di Freud hanno aperto la strada a una ampia serie di elaborazioni e successivi
sviluppi.

Tra i contributi recenti si segnalano, tra gli altri, quelli di Kohut e Kernberg per le innovazioni
concettuali che hanno avuto significativi riflessi nell’approccio ai disturbi psicotici e ai
disturbi di personalità narcisistici e borderline.

Tra i primi a sviluppare in maniera originale le intuizioni di Freud va certamente ricordato


C.G.Jung, il quale, dopo una prima fase di collaborazione con il padre della Psicoanalisi, se ne
distaccò per sviluppare autonomamente le sue teorie, pervenendo a conclusioni nuove.

Tra i principali aspetti teorici dell’opera di Jung molto importante è l’ipotesi di un inconscio
collettivo, deposito sovrapersonale di immagini e motivi universali e comuni a tutti gli
uomini, gli archetipi, in quanto nuclei latenti di significato capaci, in determinate condizioni,
di organizzare e orientare l’agire e il sentire dell’uomo: Jung afferma che contenuti archetipici
sono riconoscibili nelle immagini mitologiche, nelle leggende, nei sogni dei soggetti, nei deliri
psicotici. Mentre l’archetipo può essere considerato come una elemento innato dell’inconscio
collettivo, il complesso fa invece parte di quello che Jung chiama inconscio personale. Il
complesso è l’insieme delle rappresentazioni (idee, immagini, memorie) dotate di una certa
tensione affettiva che possono determinare l’ingresso dell’archetipo nella vita psichica del
soggetto e influenzare, in senso psicopatologico, il comportamento dello stesso. La possibilità

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Anancasmo: in psichiatria è sinonimo di di ossessione e compulsione costrittiva: anancasmo vuol dire letteralmente <<costrizione>>.

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che l’Io entri in relazione positiva con i contenuti complessuali determina un arricchimento
della personalità .

L’orientamento psicosociale
L’orientamento psicosociale studia i fattori socio-ambientali che concorrono a determinare,
mantenere, peggiorare o migliorare i disturbi psichici. Attenziona, quindi, i rapporti esistenti
tra il malessere psichico e il micro/macrogruppo sociale di appartenenza. L’approccio sociale
intende, cioè, comprendere quali aspetti dell’organizzazione sociale favoriscono o meno il
corretto sviluppo della personalità umana.

I fattori socio-culturali assumono una grande importanza per la comprensione dei vari
disturbi psichici, soprattutto in questo momento storico, in cui l’elevatissima accelerazione
del cambiamento ha profondamente trasformato i precedenti assetti psicosociali, i valori di
riferimento e i modelli di identità . Questo cambiamento repentino, che ha profondamente
mutato le coordinate culturali, affettive e relazionali consolidate da decenni, ha determinato
una condizione di stress adattivo ed è stato foriero di un profondo disagio collettivo e quindi
individuale. Inoltre, è necessario valutare come le forme che il disagio psichico assume sono,
sovente, epifenomeno della cultura e della sua influenza sull’assetto psicologico e affettivo del
singolo e della collettività : il cambiamento socioculturale modifica l’espressività della
patologia psichiatrica.

Non è un caso che dai disturbi isterici della civiltà della colpa, siamo oggi passati al proliferare
dei disturbi narcisistici e borderline della civiltà dell’assenza, della vacuità e del ripiegamento
sul sé.

2. PSICOLOGIA CLINICA
La psicologia clinica è una disciplina che studia i problemi dell’adattamento e i disturbi del
comportamento a partire dagli strumenti teorici e applicativi della psicologia.

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Il contributo della psicologia clinica alla psichiatria è piuttosto ampio e va dalla dimensione
psicodiagnostica a quella psicoterapica.

Il colloquio clinico
Il colloquio clinico, detto anche intervista, è un particolare tipo di conversazione
interpersonale finalizzata a valutare lo stato mentale del paziente; rappresenta il più diretto e
importante strumento di diagnosi e il mezzo principale attraverso cui entrare in contatto con
il mondo interno del paziente e sviluppare una comprensione empatica della sua situazione
psicoaffettiva, cognitiva e relazionale (intrapsichica e interpsichica).

Il colloquio clinico in psichiatria, in quanto momento di diagnosi imprescindibile, rappresenta


la cornice dentro la quale si intersecano tre diversi aspetti:

1) ciò che il paziente, soggettivamente, dice di sé e afferma riguardo ai suoi disagi e alle
sue problematiche;
2) ciò che lo psichiatra è in grado di osservare, obiettivamente, riguardo alla
comunicazione del paziente e alla sua modalità (aspetto formale e contenutistico della
comunicazione del paziente);
3) ciò che lo psichiatra è in grado di percepire e di sentire, empaticamente – e quindi
soggettivamente – riguardo alla persona del paziente e ai suoi disturbi.

Quanto detto implica che, durante il colloquio clinico, si attivano due differenti funzioni nello
psichiatra:

1) la funzione di osservatore
2) la funzione di partecipatore, che sottolinea la natura co-costruita, circolare e
bidirezionale dell’incontro paziente-psichiatra (così come paziente-psicoterapeuta, e
anche medico-paziente), e che offre allo specialista la possibilità di entrare in rapporto
con l’altro e di comprenderlo.

Nel colloquio, quindi, lo psichiatra partecipa attivamente al malessere psichico che il paziente
esprime con le sue modalità di comunicazione, che a sua volta possono essere espressive del
malessere stesso. Viene così a costituirsi, durante il colloquio, una particolare interazione tra
due sistemi psichici complessi (quello del paziente e quello dello specialista) in cui lo
psichiatra elabora internamente i vissuti del paziente, sviluppa cioè dentro di sé emozioni
particolari relative a quel particolare incontro con quella particolare persona. Quanto detto
sottolinea l’importanza della capacità empatica dello psichiatra, e quindi la disponibilità e la
propensione di questo a capire i sentimenti altrui, comprendere ciò che l’altro prova, ad
avvicinarsi all’altro, senza, però , scivolare verso forme di fusione/confusione con i sentimenti
del paziente che si esaurisce in una condivisione affettiva che esita in un’esperienza di
“contagio dell’esperienza psichica” antiterapeutica e iatrogena. Essere empatico corrisponde
cioè a una disponibilità umana ai problemi altrui senza però identificarsi con questi, consente
di entrare in sintonia con la dimensione intima del paziente, vibrare all’unisono e risuonare
con questo, comprendere le caratteristiche e l’intensità di ciò che questo invia.

Quanto detto sottolinea fondamentalmente che il colloquio clinico non serve solo ad acquisire
informazioni sui dati psicopatologici ma consente anche di arrivare a una comprensione
empatica che si avvicina il più possibile a ciò che sente quella determinata persona (non solo
una diagnosi in senso stretto ma anche un’analisi della domanda posta dal soggetto). Questa

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comprensione empatica è fondamentale sia per formulare una adeguata diagnosi, sia per
definire un programma terapeutico (farmacologico, psicologico, sociale o integrato) che sia il
più individualizzato possibile, e che tenga conto quindi della particolare equazione personale
di quel paziente.

Questo vuol dire costruire interventi che non siano gestiti da specialisti “supposti-sapere” da
cui attendere magicamente la soluzione definitiva dei problemi mediante un “prontuario di
ricette-regole-medicine” cui attingere per “normalizzare anomalie” ma piuttosto in grado di
attivare processi, sovente lenti, dolorosi e sempre attinenti al registro della co-costruzione, al
posto della richiesta impotente/onnipotente della delega.

Vanno quindi superati modelli centrati sulla fantasia ortopedica del “guarire” e del “curare”
ripristinando il passato (restitutio ad integrum) e potenziati modelli finalizzati al “prendersi
cura” dei singoli.

L’aspetto diagnostico e quello terapeutico del colloquio clinico sono difficilmente scindibili
(tranne in alcuni casi particolari di colloquio clinico diagnostico, ad esempio quello peritale),
nel senso che spesso il colloquio è la premessa alla costruzione di un’alleanza di lavoro
terapeutica: il colloquio, quindi, non di rado, rappresenta il primo momento terapeutico e dal
suo andamento può derivare la successiva evoluzione della terapia.

Il colloquio clinico quindi sottolinea l’importanza di due ordini di fattori: (1) il contenuto
dell’intervista e (2) il processo dell’intervista.

Il modo con cui il paziente racconta di sé e dei propri sintomi (la modalità relazionale quindi)
è altrettanto importante del contenuto; la valutazione del processo dell’intervista richiede
allora di andare oltre ai contenuti evidenti per cogliere l’ordine, la modalità con cui il paziente
presenta gli argomenti, quali aspetti enfatizza maggiormente, quali tende a scotomizzare,
come parla, come si muove, gesticola, come sta seduto (comportamento verbale, non verbale e
paraverbale).

Un problema di base del colloquio è quello di favorire la comunicazione del paziente. Un buon
numero di pazienti psichiatrici giunge al primo colloquio con una serie di timori,
preoccupazioni, riserve mentali, sentimenti di sfiducia, o ancora di vergogna, pudore. Vanno
quindi comprese le difficoltà del paziente e superate prontamente; l’analizzando deve essere
messo, fin dalle prime battute, nella condizione di potersi aprire, deve essere attivato
rapidamente un clima sereno e aperto, improntato al rispetto e alla fiducia, che alimenti
l’emersione delle problematiche in uno spazio di accettazione benevola. A tale scopo la
comunicazione del terapeuta non deve mai essere sovrabbondante rispetto a quella del
paziente, non devono essere poste troppe domande, o troppo incalzanti. Allo stesso modo la
comunicazione del terapeuta deve trovare un giusto equilibrio tra la direttività e la non
direttività : in linea generale questa deve essere non direttiva, laddove, però , in certi momenti
il paziente può essere incoraggiato o gentilmente guidato ad approfondire il tema centrale se
la sua comunicazione diventa eccessivamente digressionale.

La gestione dei silenzi è un altro aspetto da considerare. Il silenzio in psichiatria (e in


psicoterapia) non è mai uno spazio e un tempo vuoto, ma al contrario è una dimensione piena
di significato che richiede una grande attenzione del terapeuta: nel silenzio partecipativo il
paziente può lo stesso avvertire la vicinanza dell’altro e il rispetto per il suo stato emotivo.

La tolleranza del silenzio introduce un altro dei temi cruciali del colloquio clinico in
psichiatria e in psicoterapia, che è quello del tempo. Tollerare il silenzio del paziente vuol dire
rimandare a questo l’idea che chi ha di fronte (lo psichiatra, lo psicoterapeuta, lo psicologo) è

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rispettoso dei suoi tempi interiori, senza che questi vengano forzati da una certa impazienza:
questo è probabilmente uno dei primissimi fattori terapeutici del colloquio clinico e una
modalità per migliorare l’adesione del paziente al colloquio stesso e creare un clima di fiducia.

Su un piano metaforico si può immaginare l’incontro clinico come uno scambio di doni: da una
parte il paziente che racconta i suoi sintomi e le sue difficoltà , dall’altro il terapeuta che offre
qualcosa, dona il tempo, senza riserve e senza compromessi. Il terapeuta deve quindi essere,
nel tempo del colloquio, veramente lì, interamente lì, con attenzione, interesse e
partecipazione esclusiva per il paziente.

L’inizio dell’intervista può risultare particolarmente impegnativo per quei pazienti che
giungono alla consultazione molto ansiosi e preoccupati; per alcuni di loro rivolgersi allo
psichiatra sancisce definitivamente (e negativamente) il loro stato di malattia mentale e
l’incapacità di “farcela da soli”. Il primo incontro con lo psichiatra (o con lo psicoterapeuta)
può quindi già connotarsi con sentimenti di bassa autostima che di certo non favoriscono
l’apertura del colloquio. In questo caso una domanda garbata riguardo ai motivi che hanno
condotto alla visita, o qualche domanda sull’età , la situazione generale di vita e di lavoro, può
consentire al paziente di sentirsi meno teso.

Quando il paziente comincia a esporre i suoi problemi, i commenti e le domande


dell’intervistatore dovrebbero derivare con naturalezza da ciò che il paziente ha detto,
evitando di porre troppe questioni, ma piuttosto avendo in mente ciò che può essere utile
approfondire e apprendere durante il colloquio (per esempio: elementi della famiglia di
origine, situazioni affettive attuali, lavorative ecc.).

In ogni caso il colloquio clinico in psichiatria richiede una certa flessibilità , evitando di porre
meccanicamente una serie precostituita di domande.

Le domande, in linea generale, vanno poste in modo neutro, senza quindi suggerire una
risposta o svelare sospetti o pregiudizi; la domanda neutra è anche una domanda aperta,
laddove invece la domanda preconcetta è prevalentemente chiusa (esempio di domanda
chiusa: “Ci sono già stati casi di depressione nella sua famiglia?”, mentre una domanda aperta
che voglia indagare lo stesso aspetto potrebbe essere: “vuole dirmi qualcosa sulla sua
famiglia”?). La domanda chiusa anticipa già la risposta che l’intervistatore ritiene più
probabile e la suggerisce al paziente, ed è indicativa di una sorta di impazienza e di fretta nel
raccogliere i dati ritenuti importanti che amputa la collaborazione del paziente e la sua
capacità di elaborazione.

Alcuni pazienti con maggiori difficoltà affettive o cognitive potranno richiedere naturalmente
una maggiore strutturazione dell’intervista e una più chiara specificazione delle domande.

Importante è anche sottolineare i sentimenti del paziente quando questi emergono, così da
consentire a questo di elaborarli meglio, e contemporaneamente al terapeuta di confermare
quanto compreso. Una tecnica similare è quella di ripetere parafrasando con parole diverse
una certa affermazione del paziente, tecnica che consente di esplorare meglio un concetto o
un’idea, piuttosto che un sentimento come avviene prima.Utili infine appaiono le tecniche di
ricapitolazione che consentono di sintetizzare pensieri e sentimenti espressi dal paziente, così
da favorire una maggiore comprensione dei contenuti del colloquio, e veicolare, al paziente,
un vivo interesse.

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3. IL SNC ED I NEUROTRASMETTITORI
L’indirizzo biologico in Psichiatria studia i fattori organici della genesi delle malattie mentali,
diversamente dall’indirizzo psicorelazionale che dà maggiore importanza invece alle cause
psicoambientali (micro e macro-sociali) delle malattie psichiche.

L’avvento dell’era psicofarmacologica ha senza dubbio dato un nuovo impulso a questo tipo di
ricerca, alimentando le ipotesi biochimiche sulla genesi della Schizofrenia, dei Disturbi

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Affettivi, delle Demenze, dei Disturbi della Condotta Alimentare, di alcuni Disturbi d’Ansia,
come il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC).

Anche se le ipotesi biochimiche non sono in grado di spiegare compiutamente la complessità


di queste patologie né di chiarirne l’eziologia, la terapia farmacologica è in grado quasi sempre
di modificare in modo positivo il decorso del disturbo.

Va, ad ogni modo, ricordato che fattori biochimici possono rappresentare sia la causa che
l’effetto di molte affezioni psichiatriche.

Il sistema nervoso centrale


Si ritiene che il SNC abbia sette parti fondamentali: il midollo spinale, il bulbo, il ponte, il
mesencefalo, il cervelletto, il diencefalo4 e i due emisferi cerebrali. Complessivamente, il
bulbo, il ponte e il mesencefalo sono denominati tronco encefalico, mentre il diencefalo e gli
emisferi cerebrali sono denominati prosencefalo.

I neuroni, collegati tra loro a rete, rappresentano il sistema cellulare da cui dipende il
funzionamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC).

Questa rete presenta dei punti di discontinuità che sono chiamate sinapsi, le quali sono
influenzate, alimentate o lasciate silenti dall’apprendimento, dalle esperienze e dall’ambiente.

La sinapsi (o giunzione sinaptica) (dal greco συνά πτειν (synàptein), composto da σύ ν (con)
e ἅ πτειν (toccare), vale a dire "connettere") è una struttura altamente specializzata che
consente la comunicazione delle cellule del tessuto nervoso tra loro (neuroni) o con altre
cellule (cellule muscolari, sensoriali o ghiandole endocrine). Attraverso la trasmissione

4
Talamo e ipotalamo

11
sinaptica, l'impulso nervoso può viaggiare da un neurone all'altro o da un neurone ad una
fibra p.es. muscolare (giunzione neuromuscolare).
Tra le sinapsi neuronali si possono distinguere:
1) sinapsi asso-dendritiche, in cui l'assone di un neurone contatta l'albero dendritico di
un altro neurone
2) sinapsi asso-assoniche, in cui due assoni sono a contatto
3) sinapsi asso-somatiche, che si stabiliscono tra l'assone di un neurone ed il corpo
cellulare (soma) di un secondo neurone (in cui risiede il nucleo)
4) Autapsi, nel caso, particolare, in cui l'assone di un neurone forma una sinapsi con il
dendrite o il soma dello stesso neurone.
Dal punto di vista funzionale, esistono due tipi di sinapsi:
1) le sinapsi elettriche
2) Le sinapsi chimiche, prevalenti nei vertebrati superiori
Una sinapsi chimica è formata da tre elementi:

1) il terminale presinaptico, o bottone sinaptico


2) spazio sinaptico, detto anche fessura inter-sinaptica o vallo sinaptico
3) membrana post-sinaptica.
1- Il terminale presinaptico è un’area specializzata, nell'assone del neurone presinaptico (il
neurone portatore del messaggio), che contiene neurotrasmettitori incapsulati in piccole sfere
chiamate vescicole sinaptiche. Il terminale presinaptico include la membrana pre-
sinaptica dotata di canali per gli ioni (specialmente Ca2+), al passaggio dei quali si crea un
potenziale d'azione e le vescicole sinaptiche si fondono con la membrana, rilasciando il
neurotrasmettitore nello spazio sinaptico. Qui il neurotrasmettitore entra in contatto con la
membrana postsinaptica ove sono presenti specifici recettori o canali ionici. Il
neurotrasmettitore in eccesso viene riassorbito nella membrana presinaptica (ricaptazione),
o scisso in parti inerti e degradato da un apposito enzima(catabolismo del
neurotrasmettitore).
Tali parti riassorbite (reuptake o ricaptazione) dalla membrana presinaptica possono,
all'interno del terminale presinaptico, essere catabolizzate o risintetizzate.
2- Lo spazio intersinaptico (o fessura intersinaptica) è lo spazio fisico presente tra due
terminazioni sinaptiche, e più precisamente tra una vescicola presinaptica, nella quale sono
immagazzinati i neurotrasmettitori (e si trova alla fine di una diramazione assonica), e una
zona del neurone postsinaptico che abbia recettori di membrana per il neurotrasmettitore in
questione, che può essere su di un dendrite, sul soma del neurone o anche sull'assone.
Nello spazio intersinaptico viene rilasciato il neurotrasmettitore liberato dalle vescicole
sinaptiche del terminale pre-sinaptico, e dunque si crea un'alta concentrazione del
neurotrasmettitore in questione, le cui molecole avranno molte probabilità di legarsi ai
recettori di membrana, e saranno infine degradate dall'azione di alcuni enzimi specifici, per
esempio:
- acetilcolinesterasi per l'acetilcolina
- le MAO
La ricaptazione (reuptake in inglese) in neurologia è, quindi, quel processo mediante il
quale il neurotrasmettitore che si trova nello spazio intersinaptico viene riassorbito a livello
della membrana pre-sinaptica per essere catabolizzato attraverso specifici enzimi, o inglobato
nelle vescicole per un nuovo utilizzo.

12
A oggi i neurotrasmettitori noti sono:

- Acetilcolina
- Dopamina
- Noradrenalina
- Serotonina
- Acido gamma-ammino-butirrico (GABA)
- Glicina
- Glutammato
- Istamma
- Encefaline

I neurotrasmettitori si legano a specifici recettori postsinaptici e l’interazione tra recettore e


neurotrasmettitore (liberato dal neurone presinaptico) mette in moto una serie di eventi a
cascata, che conducono alla depolarizzazione nelle sinapsi eccitatorie o all’iperpolarizzazione
nelle sinapsi inibitorie della membrana postsinaptica. Successivamente il neurotrasmettitore,
concluso il suo compito, viene inattivato con varie modalità .

I Neuromediatori chimici o Neurotrasmettitorisono sostanze fisiologiche che rendono


possibile la trasmissione, tra due strutture nervose anatomicamente separate e poste in
collegamento da sinapsi, degli impulsi nervosi, che possono avere carattere eccitatorio o

13
inibitorio. Nelle sinapsi i neurotrasmettitori vengono elaborati da apposite strutture e quindi
accumulati all'interno delle vescicole presinaptiche; all'arrivo dell'impulso nervoso le
vescicole liberano il neurotrasmettitore che migra nello spazio intersinaptico per andare
quindi a fissarsi su recettori specifici posti sulla membrana postsinaptica, causando la
depolarizzazione o la iperpolarizzazione della cellula. Il neurotrasmettitore liberato nella
fessura sinaptica non ha la possibilità di accumularsi e di persistere in questa area se non per
il tempo brevissimo (dell'ordine dei millisecondi) necessario per esplicare la funzione
fisiologica; immediatamente il neurotrasmettitore viene inattivato da sistemi enzimatici
specifici (colinesterasi, monoaminossidasi ecc.) e successivamente viene riassorbito dalle
vescicole presinaptiche (processo di reuptake). I neurotrasmettitori hanno un ruolo
essenziale non solo nella conduzione degli stimoli dal centro alla periferia e viceversa, ma
anche nelle attività intellettive superiori e quelle legate all'affettività e al tono dell'umore.

I principali neurotrasmettitori sono:


- L'acetilcolina (Ach) è l’unico mediatore che agisce nella giunzione neuromuscolare; le
sinapsi il cui mediatore è l’ACh sono dette colinergiche e i neuroni in cui sono presenti
colinergici. L'acetilcolina viene distrutta dall'enzima acetilcolinesterasi (acetil-colina-
esterasi).
- Le monoammine sono mediatori che presentano il gruppo funzionale amminico (–
NH2). Dopamina (DA), Noradrenalina (NA) e Adrenalina, rispettivamente presenti
nei neuroni dopaminergici, noradrenergici e adrenergici,sono caratterizzate dal
catecolo, perciò sono dette catecolammine. Il Parkinson è dovuto a una degenerazione
dei neuroni dopaminergici.
Un altro importante neurotrasmettitore monoaminico è la Serotonina (5-HT),
sintetizzata nei neuroni serotoninergici nel SNC: questa è quindi un neurotrasmettitore
monoaminico e non una catecolamina.
I neuroni che utilizzano le monoammine sono detti aminergici e le monoamine
vengono distrutte dal complesso delle Monoaminossidasi(MAO).
- Amminoacidi come Glutammato, Glicina e acido γ-idrossibutirrico o GABA. Glicina e
GABA sono inibitori a livello delle sinapsi del SNC, si legano sempre a una classe di
recettori che provoca effetti inibitori.
In passato si pensava che valesse il principio di Dale: ogni neurone è in grado di sintetizzare
esclusivamente una sola classe di mediatori, oggi si sa che questo principio è falso, ogni
neurone può rilasciare più neurotrasmettitori.
L’evento finale è sempre il passaggio transmembrana (pre e post-sinaptica) di uno ione; tra il
messaggio veicolato dal neurotrasmettitore e il suo effetto sulla cellula postsinaptica
interviene come mediatore un sistema noto come “secondo messaggero”. Di questi sistemi se
ne conoscono oggi due:

1) l’AMP ciclico (Adenosina Monofosfato Ciclico)


2) i fosfoinositoli

I neurotrasmettitori
I sistemi noradrenergico e serotoninergico

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Questi sistemi neuronali sono ampiamente diffusi nel SNC e svolgono vari compiti. Una loro
disfunzione può determinare modificazioni nel SNC tali da provocare l’insorgenza di varie
patologie.

La serotonina è presente nel SNC, nell’intestino, nelle piastrine.

Gli assoni noradrenergici hanno origine nel ponte e nel bulbo (tronco encefalico: ricorda il
Locus Coeruleus).

Numerose ricerche hanno dimostrato implicazioni dei sistemi noradrenergico e


serotoninergico nella patogenesi dei Disturbi Affettivi. Infatti, parecchie indagini effettuate
post-mortem in soggetti affetti da Disturbi Affettivi di tipo unipolare e bipolare hanno
evidenziato una diminuita concentrazione cerebrale di noradrenalina e serotonina rispetto
alla popolazione sana.

Inoltre ricerche effettuate su soggetti che avevano effettuato un suicidio hanno dimostrato un
diminuito tasso di serotonina cerebrale.

A ciò si aggiunga che i farmaci antidepressivi agiscono in prevalenza su questi sistemi


recettoriali: infatti aumentando la disponibilità cerebrale di noradrenalina e serotonina ed, in
misura minore della dopamina, si ha quasi sempre un netto miglioramento della patologia
depressiva.

Va comunque precisato che il rapporto tra livello cerebrale di neurotrasmettitore


serotoninergico e noradrenergico e Depressione non è lineare. Infatti mentre l’assunzione del
farmaco è in grado di aumentare nel giro di poche ore il tasso cerebrale del
neurotrasmettitore, il miglioramento clinico avviene dopo un tempo di latenza di 2-4
settimane ed esiste una quota variabile di pazienti che non risponde al trattamento. Questo
porta a pensare che l’evoluzione positiva della malattia sia dovuta alla modificazione delle
interazioni tra i sistemi catecolaminergico e serotoninergico.

Le catecolamine sono composti chimici derivanti dall’amminoacido tirosina5. Le


catecolamine più importanti sono l’adrenalina, la noradrenalina e la dopamina.
Recenti ricerche hanno dimostrato il ruolo della noradrenalina nei Disturbi da Attacco di
Panico. Infatti la somministrazione della yohimbina, sostanza che blocca il recettore2pre-
sinaptico noradrenergico (autorecettore che diminuisce il livello della noradrenalina
cerebrale), provoca attacchi di panico in soggetti predisposti. Viceversa la somministrazione
di una sostanza agonista6 dello stesso recettore blocca gli attacchi di panico spontanei.
Pertanto è possibile inferire che alti livelli di noradrenalina predispongono all’insorgenza di
attacchi di panico.

Recenti studi hanno evidenziato l’efficacia terapeutica dei farmaci che bloccano
selettivamente la ricaptazione (reuptake) della serotonina nel DAP e nel DOC.

Infatti, l'acronimoSSRI (selective serotonin reuptake inhibitors - inibitori selettivi della


ricaptazione della serotonina) sta a indicare, in lingua inglese, l'insieme di molecole
farmaceutiche che rientrano nell'ambito degli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina ovvero dei cosiddetti antidepressivi non triciclici. Tali farmaci vengono utilizzati di
norma in psichiatria per la terapia di patologie quali il DOC o la depressione maggiore in
quanto, impedendo la normale ricaptazione ed eliminazione fisiologica della serotonina, sono
5
da cui la tiramina alimentare
6
In farmacologia, di farmaco che esplica la stessa azione di un altro medicamento preso precedentemente in considerazione.

15
in grado di contrastare l'eventuale deficit di questo neurotrasmettitore, riequilibrando, dal
punto di vista strettamente organico, i disturbi generati dalla sua eventuale carenza.

Pertanto è possibile inferire che bassi livelli di serotonina predispongono all’insorgenza di


Disturbi d’Ansia e Depressivi.

Il sistema dopaminergico
Nel SNC si trovano vari tipi di neuroni dopaminergici. Quelli di maggiore interesse sono quelli
dei:

1. sistemi nigro-striatale
2. meso-limbico
3. meso-limbico-corticale
4. tubero-infundibolare.

I neuroni del sistema nigro-striatale originano nella substantia nigra del mesencefalo e nel
nucleo caudato-putamen.

La degenerazione dei corpi cellulari di questi neuroni provoca il Morbo di Parkinson, che si
manifesta con tremori, rigidità e acinesia7. Il blocco dei recettori di questi sistemi, durante una
terapia neurolettica, provoca un quadro similparkinsoniano.

Il sistemo meso-limbico fa parte del sistema limbico che regola le emozioni e partecipa al
controllo della funzione motoria.

Il sistema meso-limbico-corticale controlla le funzioni cerebrali superiori e l’emotività .

I neuroni del sistema tubero-infundibolare liberano dopamina (DA) nei vasi del sistema
ipofisario che inibisce la secrezione di prolattina nelle cellule lattotrope. Il blocco della
trasmissione della DA a questo livello determina l’iperprolattinemia, che talvolta si evidenzia
nel trattamento neurolettico.

L’ipotesi che la DA svolga un ruolo nella patogenesi di alcuni sintomi della Schizofrenia è
fondata sulla evidenza che i farmaci neurolettici, che antagonizzano la trasmissione
dopaminergica, attenuano il quadro sintomatologico florido di questa malattia, mentre
l’anfetamina, che potenzia la trasmissione dopaminergica, può provocare un quadro
similpsicotico in soggetti sani e può scatenare una sintomatologia florida in pazienti con
Schizofrenia latente.

Il sistema gabaergico
Il GABA (acido gamma-ammino-butirrico) è un neurotrasmettitore che ha funzione inibitoria,
i suoi recettori sono presenti nel cervello, nel midollo.

7
In campo medico, acinesia indica l’abolizione o la riduzione notevole dei movimenti. In neuropatologia, riduzione dei movimenti volontari e
automatici dovuta alla compromissione del sistema nervoso extrapiramidale, e contrapposto a quello della paralisi, espressione di lesione del
sistema piramidale.

16
La diminuzione della funzionalità delle sinapsi Gabaergiche (quindi antagonismi gabaergici)
pare sia uno dei meccanismi neurochimici patogenetici dei Disturbi d’Ansia e dei disturbi
convulsivi.

Ciò è comprovato dal fatto che le benzodiazepine (BDZ), farmaci con funzione ansiolitica,
ipnoinducente, miorilassante, sedativa ed anticonvulsionante agiscono modulando
positivamente la trasmissione GABA (ricorda, infatti, che il GABA ha funzione inibitoria).

Riepilogando quindi schematicamente:

A. Serotonina-Noradrenalina: Disturbi Affettivi unipolari (Depressione Maggiore) e


bipolari (Disturbo Bipolare), Suicidio, DAP, DOC.
B. Dopamina: Morbo di Parkinson (degenerazione), Schizofrenia (iper-trasmissione).
C. GABA: Disturbi d’Ansia e disturbi compulsivi.

SINTESI:

Down Noradrenalina+Serotonina= Depressione e Suicidio

Up Noradrenalina+Serotonina= Episodio di eccitamento maniacale

Down Serotonina= DAP, DOC (infatti SSRI), Disturbi Depressivi

Down Dopamina= Morbo di Parkinson (rigidità , tremori, bradicinesia/acinesia); sintomi


extrapiramidali dei neurolettici

Up Dopamina= Spettro schizofrenico

Down GABA= Disturbi d’ansia e convulsioni (ansiolitici infatti sono anche anticonvulsionanti).

4. EPIDEMIOLOGIA: CRITERI DI CLASSIFICAZIONE E DI


VALUTAZIONE
Il termine epidemiologia deriva etimologicamente dal greco (epi-demos-logos) e significa
letteralmente “studio sulla gente”.

Cooper definisce l’epidemiologia psichiatrica quella branca della psichiatria che:

a. studia le modalità e la frequenza con le quali si manifestano nella popolazione le


malattie mentali
b. analizza i fattori che influenzano o ostacolano lo sviluppo delle malattie mentali,
svolgendo un importante funzione per la profilassi delle stesse

17
c. valuta l’andamento e i risultati dei mezzi messi in atto per controllare, bloccare e/o
modificare l’evoluzione dei disturbi mentali

Secondo Shepherd l’epidemiologia psichiatrica si orienta a:

- identificare lo spettro delle malattie e della loro frequenza


- individuare i criteri diagnostici e classificatori delle malattie
- determinare la prognosi e i possibili esiti delle malattie
- identificare i fattori di rischio e quelli di protezione
- profilassi
- valutare l’efficacia dei trattamenti erogati dai Servizi di Assistenza psichiatrica

L’epidemiologia consente di verificare, quindi, la frequenza di un disturbo mentale all’interno


della popolazione; i parametri di frequenza di una condizione morbosa che si usano in
epidemiologia sono:

- Il coefficienza diprevalenza: il segmento di popolazione che presenta una data


malattia in un certo momento temporale; esso si calcola ponendo a numeratore il
numero dei malati in un determinato periodo di riferimento e a denominatore la
popolazione totale.
La prevalenza è cioè il numero di casi esistenti in un dato momento per unità di
popolazione
- il coefficiente diincidenza: quel segmento di popolazione che sviluppa una malattia in
un dato arco di tempo, quindi il numero dei nuovi casi. Esso indica pertanto il rischio di
ammalarsi in un determinato arco di tempo. L’incidenza è cioè il numero di nuovi casi
insorti in un dato periodo di tempo (un anno solitamente) per unità di popolazione

In una popolazione per distinguere i soggetti affetti da una malattia dai sani, occorre
individuare dei criteri che consentano di evitare gli errori, ovvero i falsi negativi(soggetti
malati considerati sani) ed i falsi positivi (soggetti sani considerati malati). Tali criteri sono
collegati a degli specifici concetti:

- la sensibilità è la probabilità di classificare e riconoscere un malato come tale, di


individuare quel sintomo o quel corteo di sintomi che consentono di formulare una
corretta diagnosi.
- La specificità è la probabilità di classificare come sano un soggetto realmente tale.

La probabilità di falsi negativi è inversamente proporzionale a quella di falsi positivi.

L’approccio epidemiologico ha reso indifferibile l’elaborazione di un sistema classificatorio-


nosografico universale, in grado di garantire un’uniformità di linguaggio tra psichiatri
provenienti da realtà culturali diverse.

A questo proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) promosse nel 1948 la
pubblicazione della sezione psichiatrica della Classificazione Internazionale delle Malattie
(ICD: International Classification of Diseases), giunta oggi alla decima revisione.

Accanto ad essa l’American Psychiatric Association (APA) ha elaborato il Manuale Diagnostico


e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) giunto oggi alle quinta edizione.

Le precedenti edizioni dei due sistemi di classificazione presentavano delle divergenze legate
alle differenti impostazioni cui si ispiravano. Infatti, laddove il DSM è un manuale psichiatrico
che si occupa esclusivamente dei disturbi mentali, l’ICD è un manuale medico che si occupadi

18
tutti i disturbi in ambito medico, tra i quali trovano, ovviamente, una loro collocazione i
disturbi mentali.

Nelle ultime edizioni, invece, l’OMS e la APA hanno cercato di rintracciare un punto di
convergenza tra i due sistemi nosografici.

IL DSM5

Il DSM è un manuale psichiatrico che classifica i disturbi mentali a partire da un approccio


categoriale-descrittivo-nosografico/classificatorio. Esso èstatistico e ateorico:

1. in quanto <<statistico>>, il DSM descrive i quadri clinici che hanno una prevalenza
statistica significativa, ovvero quelli maggiormente diffusi nella popolazione; parte,
cioè, dalla constatazione della frequenza con la quale un determinato disturbo si
presenta all’interno della popolazione, per poi ricavarne i criteri diagnostico-
descrittivi, ovvero le manifestazioni sintomatologiche statisticamente più frequenti dei
quadri clinici, senza però spiegarne né comprenderne l’origine e il senso intrinseco;
2. in quanto <<ateorico>> prescinde da qualsiasi modello eziopatogenetico, ma si limita a
descrivere il corteo di sintomi che qualifica un determinato quadro clinico, che, è bene
ricordarlo, è determinato dalla intensità e dalla costanza/persistenza dei sintomi.

Il grande merito del DSM è stato quello di aver creato un sistema di classificazione e un
linguaggio comuni a tutti gli psichiatri, attraverso cui, in qualsiasi parte del mondo, la diagnosi
non fosse affidata, come prima avveniva, alla soggettività del medico, ma si basasse su criteri
universali e condivisi.

Il DSM, a partire dalla terza edizione edita nel 1980, è passato da un sistema di diagnosi per
categoria o monoassiale ad un sistema pluriassiale (cinque assi), che prevedeva anche
diagnosi dimensionali, oggi superato dal DSM5.

1) Nella diagnosi categoriale si costruiscono ”categorie” a partire dalla identificazione


di alcuni quadri morbosi che presentano una sintomatologia analoga (es. i disturbi
affettivi)
2) Nella diagnosi dimensionale si pone uno o più sintomi lungo un continuum al cui
estremo si situa la presenza di detto sintomo e all’altro capo della retta l’assenza del
sintomo o il suo contrario.

Il DSM5, uscito nel Maggio 2013 ha introdotto modifiche importanti.

Inizialmente era stato proposto di “snellire” il numero dei Disturbi di Personalità , passando da
10 a 5, anche se poi questa proposta è stata bocciata, in segutito a numerose crtiche da parte
di molti clinici, e non è stato eliminato nessun disturbo.

Tra le modifiche più importanti, per esempio, nel Manuale compare per la prima volta, nella
stessa categoria dei <<Disturbi correlati a Sostanze e Additivi>>, il Disturbo da Gioco
d'Azzardo (gambling), indicato come unica condizione di una nuova categoria diagnostica,
quella delle <<DipendenzeComportamentali”, laddove, invece, nelle precedenti edizioni del
DSM, era classificato come <<Disturbo del Controllo degli Impulsi>>. Questo cambiamento
riflette la crescente e consistente evidenza che alcuni comportamenti, come il gambling,
attivano il sistema di ricompensa (reward) del cervello, con effetti simili a quelli delle droghe,
e che i sintomi del disturbo da gioco d'azzardo assomigliano in una certa misura a quelli dei
disturbi da uso di sostanze.

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Alcuni specialisti hanno richiesto l’inclusione, all’interno di questa categoria - <<Dipendenze
Comportamentali>>-, anche della <<Dipendenza da Giochi su Internet>> -, ma ancora non
esistono dati sufficienti per rendere ufficiale tale inserimento; per tale ragione, questa
diagnosi verrà inserita in appendice, con lo scopo di promuovere studi sull’argomento.

Il DSM5 non è più multi-assiale, cioè, non esistono più gli Assi, ma è organizzato in sezioni
(nello specifico, in 3 sezioni).

Fino alla scorsa edizione constava di 5 assi. Gli Assi diagnostici del DSM IV-TR erano:

- Asse I: Sindromi cliniche psichiatriche


- Asse II: Disturbi di Personalità
- Asse III: Disturbi e condizioni fisiche concomitanti (Condizioni Mediche Generali)
- Asse IV: Gravità degli eventi stressanti nell’anno precedente la valutazione (Problemi
psicosociali e ambientali)
- Asse V: Valutazione Globale del Funzionamento, al momento della valutazione e
durante l’ultimo anno

Oggi il DSM5 è organizzato in 3 sezioni:

1. istruzioni per l’uso


2. elenco unico di tutte le patologie (precedentemente inserite all’interno degli Assi I e II)
3. criteri per un approccio dimensionale alla patologia mentale, alternativo a quello
categoriale (questo punto è assai importante: il DSM5, infatti, propone, oltre al solito
approccio categoriale evidenziabile anche nelle precedenti edizioni, la possibilità di
considerare i disturbi attaverso un approccio dimensionale).

I Disturbi sono così suddivisi:

1) Disturbi del Neurosviluppo, che sostituisce l’intestazione <<Disturbi dell’infanzia e


dell’Adolescenza>> presente nel DSM-IV-TR;
2) Spettro schizofrenico ed Altri Disturbi Psicotici (da sottolineare l’importanza del
termine <<spettro>>);
3) Quelli che nel DSM-IV-TR venivano indicati con l’intestazione Disturbi dell’Umore
vengono suddivisi in:
a. Disturbo Bipolare e Disturbi Correlati
b. Disturbi Depressivi
4) Disturbi d’Ansia, al cui interno è possibile ritrovare anche:
- Disturbo d’Ansia Sociale (che sostituisce la Fobia Sociale)
- Disturbo d’Ansia da Separazione
- Mutismo elettivo
- NON sono più inseriti tra i Disturbi d’Ansia il DOC e il PTSD, che costituiscono adesso
categorie nosografiche autonome
5) Disturo Ossessivo-Compulsivo e Disturbi Correlati
6) Disturbi correlati al Trauma e allo Stress, che includono:
a. PTSD
b. Disturbo da Stress Acuto
7) Disturbi Dissociativi, che includono:
a. Amnesia Dissociativa (che ora ingloba anche la Fuga Dissociativa, la quale è
diventata una variante della Amnesia Dissociativa perdendo la sua autonomia
nosografica)
b. Disturbo Dissociativo

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c. Depersonalizzazione e Derealizzazione sono stati messi assieme, costituendo un
unico disturbo
8) Sintomi Somatici e Disturbi Correlati (prima Disturbi Somatoformi)
9) Disturbi Alimentari e della Nutrizione, tra i quali sono stati inseriti:
a. la <<PICA>>, ovvero la tendenza patologica a masticare e ingerire materiale non
commestibile, prima considerato un disturbo esclusivo dell’infanzia
b. la <<Ruminazione>>, non più considerata un disturbo della senescenza
10) Disturbi Sonno-Veglia
11) Disfunzioni Sessuali
12) Disforia di Genere (categoria nosografica che raccoglie i soggetti che
presentano una incongruenza tra l’identità sessuale psicologica e quella fisica)
13) Disturbo Dirompente, della Condotta e del Controllo degli Impulsi (al suo
interno prima era inserita la <<Dipendenza da Gioco d’Azzardo>>, essendo questo
considerato, fino alla scorsa edizione del DSM, un disturbo da ricondurre a una forte
impulsività )
14) Disturbi correlati a Sostanze e Additivi (la <<Dipendenza da Gioco
d’Azzardo>> è adesso inserita qui: si è cioè smorzato l’aspetto impulsivo del quadro
per sottolinearne l’aspetto additivo)
15) Disturbi Neurocognitivi, che includono:
a. Demenze
b. Insufficienze cogntive
c. Deficit organici
16) Disturbi Parafilici (perversioni)
17) Disturbi di Personalità

Oltre a questi sono poi stati individuati dei Disturbi che non costituiscono ancora una
categoria nosografica autonoma, e che non hanno cioè ancora un’autonomia diagnostica, ma
che, pertanto, richiedono future ricerche. Tra questi ricordiamo:

1. Sindormi Psicotiche Attenuate, in cui il soggetto manifesta un adattamento sociale


sufficientemente buono ma scivola a volte verso manifestazioni di natura psicotica
2. Episodi Depressivi con Ipomania Breve (una sorta di bipolarismo minore)
3. Disturbo Persistente da Perdita Complessa
4. Disturbo da Uso di Caffeina
5. Disturbo da Giochi su Internet, e nello specifico:
a. MUD: Multi User Dungeon,espressione che identifica una categoria di giochi di
ruolo eseguiti su Internet attraverso il computer da più utenti;
b. MMORPG: Massive Multiplayer Online Role Playing Game,ovvero giochi di ruolo per
computer svolti tramite internet contemporaneamente da più persone.
6. Disturbi Neurocomportamentali associati a Esposizione Prenatale al Alcool
7. Disturbo da Comportamento Suicidario
8. Autolesionismo non a scopo suicidario

Qualità dell’assistenza nei servizi di salute mentale: criteri di valutazione


Il crescente interesse internazionale a contenere la spesa nell’ambito sanitario ha determinato
l’esigenza di porre particolare attenzione al rapporto costi-benefici all’interno dell’Assistenza
Psichiatrica pubblica.

21
Pertanto ogni Dipartimento di Salute Mentale (D.S.M.) ha dovuto razionalizzare l’uso delle
risorse, incrementando e massimizzando la produttività e minimizzando le spese.

Quanto detto ha reso indifferibile portare avanti studi di valutazione atti a verificare l’efficacia
e l’efficienza dei Servizi di Salute Mentale, intendendo per efficienza il rapporto tra:

- Il raggiungimento dei fini istituzionali dei D.S.M., ovvero la promozione e il


miglioramento della Salute Mentale del singolo e del gruppo di appartenenza;
- contenimento dei costi di gestione, in modo che questi siano compatibili con i mezzi
finanziari che il Sistema Sanitario Nazionale può destinare all’assistenza psichiatrica

In un Servizio di Salute Mentale, i parametri oggetto di valutazione sono:

- struttura: valuta le modalità organizzative di un Servizio, come le risorse professionali


e materiali disponibili vengono impiegate per influire sul processo e sugli esiti;
- processo: valuta le prestazioni erogate, nonché i risultati ottenuti attraverso le
prestazioni stesse;
- esiti: valutano le variazioni sull’incidenza delle malattie, sul decorso e sul
miglioramento della qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari;
- accessibilità: valuta la facilità e la rapidità con cui un potenziale utente può accedere
alla struttura e ricevere le cure di cui necessita. Vengono quindi osservati alcuni
specifici parametri quali:
1) orari di apertura
2) tempi di attesa
3) ricorso a Servizi privati o ad altri Servizi pubblici
4) confronto dei tassi di intervento con quelli di strutture omologhe
- costi: calcolano l’efficienza operativa, ossia il rapporto tra il costo globale del Servizio e
le prestazioni erogate

5. PSICOPATOLOGIA
La psicopatologia è quella disciplina che si occupa della patologia mentale e, nello specifico,
della classificazione e descrizione dei sintomi che compongono il quadro clinico di un disturbo
psichico, ma anche, più estensivamente, è quella branca che analizza le manifestazioni
psicopatologiche per coglierne il senso e il valore all’interno dell’esperienza soggettiva.

Per tale ragione la psicopatologia rappresenta, quindi, una via di accesso indispensabile alla
comprensione delle sindromi psichiatriche, perché consente, appunto, di conoscere il
significato delle singole unità sintomatologiche che, variamente combinate, vanno a costituire
il quadro clinico di uno specifico disturbo psichico.

Mentre gli obiettivi della psichiatria sono la prevenzione, la terapia e la riabilitazione, la


psicopatologia si pone come scopo la comprensione e la conoscenza, rappresentando in tal
modo la premessa insostituibile di qualsiasi intervento psichiatrico, dato che, come è

22
evidente, non vi possono essere terapia e profilassi valide se non si è prima sviluppato
adeguatamente un momento di conoscenza e di comprensione.

Le affezioni psichiatriche si compongono quindi di un crogiuolo di sintomi, i quali possono


essere compresi a partire dallo studio delle alterazioni delle funzioni psichiche, ovvero dei
domini di base dell’attività mentale.

La psicopatologia delle funzioni psichiche


Le principali funzioni psichiche, tra di loro intimamente interconnesse, sono:

1) La coscienza
2) La attenzione
3) La percezione
4) La memoria
5) Il pensiero
6) La affettività

La coscienza e i suoi disturbi


La coscienza è l’attività psichica di base, premessa affinché tutte le altre funzioni psichiche
possano operare. Da questo punto di vista, la coscienza è una funzione psichica integrativa, il
cui compito è quello di coordinare e finalizzare tutte le funzioni che compongono l’attività
mentale. Essa consiste nella consapevolezza che il soggetto ha di sé e dell’ambiente
circostante, cioè, in altre parole, nella capacità soggettiva di rendersi conto di ciò che accade
nella dimensione interna – sia essa psichica che somatica -, e nella dimensione esterna.

La coscienza quindi:

- svolge una “funzione integrativa istantanea” di tutte le attività psichiche, le coordina, le


finalizza così da promuovere comportamenti adattivi;
- integra i contenuti mentali e le sensazioni somatiche con i dati provenienti
dall’esterno;
- consente di avere consapevolezza degli stimoli interni e esterni
- consente di “muoversi” adeguatamente all’interno della dimensione temporo-spaziale;
essa promuove, cioè, un corretto orientamento spazio-temporale;
- coordina le funzioni sensoriali e motorie (quindi il comportamento) in risposta a
stimoli interni o esterni

La coscienza, come consapevolezza dell’esperienza interna ed esterna, risulta, così, una


funzione psichica polimorfa e multilivello con specifici parametri:

1) l’orientamento spazio-temporale
2) l’orientamento sul Sé somatico
3) l’orientamento sul Sé psichico
4) l’orientamento sul parametro d’oggetto (oggetti della realtà esterna)

23
A proposito dell’orientamento spazio-temporale della coscienza, normalmente l’esperienza
vissuta che entra a far parte del <<Campo di Coscienza>> - inteso come l’insieme degli
elementi sottoposti, in un dato momento, al controllo cosciente - viene memorizzata come una
sequenza infinita di immagini istantanee ordinate in una serie temporale.

Ogni immagine e ogni scena viene quindi memorizzata in base a questa sequenza e può ,
successivamente, essere rievocata con una collocazione temporale più o meno precisa, in cui è
sempre presente il concetto temporale di “prima” e “dopo”, nonché quello della distanza
dell’esperienza rievocata dall’esperienza attuale.

Da questo punto di vista, il PTSD può essere inteso come un’alterazione dell’orientamento
temporo-spaziale della coscienza su base dissociativa.

Va sottolineato comunque come solo una parte di ciò che entra nel campo della coscienza
viene memorizzato e collocato temporalmente, per non saturare le capacità di
memorizzazione. Entra a far parte della coscienza per essere elaborato, quindi, solo ciò che
viene selezionato, filtrato e controllato dalla attenzione conativa.

La funzione psichica cosciente, ovvero il Campo della Coscienza, può essere alterata da tutta
una serie di fattori, tra i quali fattori di origine organica/somatica e/o non somatica:

1) alcool e sostanze stupefacenti


2) traumi cranici
3) traumi psichici (v. Disturbo Post-traumatico da Stress)
4) processi organici patologici (metabolici, infettivi o cerebrovascolari)
5) ipnosi
6) tecniche di rilassamento o di meditazione
7) i disturbi della coscienza possono comparire anche durante il decorso di alcune
sindromi psichiatriche come la Schizofrenia, i Disturbi dell’Umore, i Disturbi di
Conversione

Ma la modificazione più fisiologica della coscienza è certamente quella che si realizza ogni
notte nello stato di sonno profondo, in cui la coscienza si riduce, omeglio, si trasforma in
“coscienza di sogno”. Si possono quindi differenziare:

1. una coscienza di veglia, che opera quando siamo svegli;


2. una coscienza di sonno, che opera quando dormiamo (cioè è dimostrabile a partire
dalla tendenza a svegliarci in presenza di uno stimolo disturbante);

24
3. una coscienza di sogno, che ci consente di ricordare ciò che sogniamo.

Così, anche se in modo sicuramente parziale, l’attività di coscienza permane anche quando
dormiamo e sogniamo e, d’altronde, se così non fosse non saremmo in grado di ricordare i
sogni ai quali, invece, spesso la nostra coscienza notturna partecipa in modo intenso.

I disturbi della coscienza


Tra i disturbi della coscienza è possibile distinguere (1) alterazioni fisiologiche, come quelle
intervenienti quando dormiamo o sogniamo e (2) alterazioni patologiche, a loro volta
differenziabili in qualitative e quantitative.

Tra i disturbi qualitativi della coscienza:

- La Confusione Mentale8è una grave alterazione qualitativa dello stato di coscienza


che comporta anche una distorsione o una compromissione della maggior parte delle
altre funzioni psichiche. Un paziente confuso, avendo un disturbo della coscienza, non
sarà mai consapevole del suo disagio.
Nella confusione mentale il paziente presenta:
1) Pensiero: frammentazione del corso delle idee
2) Linguaggio: eloquio disarticolato
3) disorientamento temporo-spaziale
4) incoerenza
5) Comportamento: marcatamente alterato, incongruo, afinalistico, segnato da
irrequietezza oppure, al contrario, particolarmente rallentato
6) Affettività : labile e mutevole, oscillante dalla disforia all’apatia
- L’Amenza è una forma di confusione mentale che scaturisce da cause di natura
organica quali iperpiressia9, stato tossico o infettivo, squilibri idroelettrici o metabolici,
turbe vegetative. Si verifica nelle psicosi organiche. L’amenza è detta anche delirio
acuto, anche se non è un disturbo del pensiero e non ha niente a che fare con i deliri.
- Il Delirium si riferisce a un contenuto delirante, frammentario e sconnesso, che si
manifesta durante uno stato confusionale;si riferisce a forme di confusione mentale in
cui sono rintracciabili spunti deliranti. Si verifica, per esempio:
a. nel Delirium tremens, disturbo psicorganico acuto che si manifesta durante la fase
di astinenza in soggetti alcolisti cronici
b. negli stati di iperpiressia.

Tra i disturbi quantitativi della coscienza:

- L’Alterazione (o Stato) Ipnoide o obnubilamento rappresenta una turba


quantitativa della coscienza, senza uno sconvolgimento del suo funzionamento, né
distorsione dei suoi contenuti, fenomeni che si riscontrano, invece, come detto, nella
confusione mentale (senza quindi alterazioni qualitative della coscienza). Lo Stato
Ipnoide consiste in unabbassamento del livello generale dell’attività psichica
coscienteche si manifesta con:
1) Ottundimento sensoriale
2) rallentamento psicomotorio
8
Frequentemente i pazienti riferiscono di sentirsi “confusi”, riferendosi a una condizione di rallentamento del percorso del pensiero. Questa
condizione richiama il bradipsichismo, tipico degli stati depressivi e delle demenze, e non una situazione di confusione mentale. In questo
caso il paziente è consapevole del suo disagio, essendo il bradipsichismo un disturbo del pensiero e non della coscienza.
9
Iperpiressia In ambito medico indica febbre molto alta (sopra i 40°)

25
3) ipobulia10
4) Inerzia
5) Apatia11
6) Iporeattività
7) Sonnolenza
8) Ipoprosessia12
9) Ipoestesia13

Si possono distinguere vari gradi di alterazione ipnoide: torpore 14, sopore15, precoma,
coma.

Questi stati si possono ritrovare:

1) In seguito a traumi cranici


2) In condizioni tossico-infettive
3) In disturbi epilettici
4) In disturbi psicotici (ad esordio acuto)
5) In condizioni di stress acuto ed intenso

- Lo Stato Crepuscolare (o alterazione crepuscolare della coscienza) corrisponde a


un restringimento del campo della coscienza nel quale soltanto una parte degli stimoli
ambientali riesce a raggiungere la coscienza. Di solito inizia e termina bruscamente
(puntiforme e accessuale) e può comportare un mantenimento dell’orientamento
temporo-spaziale (crepuscolare orientato) o una sua abolizione (crepuscolare
disorientato), mentre è sempre compromesso il rapporto con l’ambiente esterno
(parametro d’oggetto) così che il soggetto appare assorto in un vissuto interiore (N.B.:
nello stato crepuscolare si parla già di disorientamento temporo-spaziale e di
compromissione dell’orientamento sul parametro di oggetto). Si può riscontrare:
1) nell’intossicazione acuta
2) nell’epilessia temporale
3) in alcune condizioni isteriche (Disturbo di Conversione, ad esempio, o anche
Disturbo Dissociativo)

- Lo Stato Oniroide(o alterazione oniroide della coscienza) è uno stato di alterazione


della coscienza dovuto a produzioni ed esperienze allucinatorie deliranti a cui il
soggetto partecipa intensamente e che fanno perdere transitoriamente il contatto
lucido con la realtà esterna, che può , però , essere recuperato rapidamente.
L’alterazione oniroide della coscienza può verificarsi:
1) nel delirio acuto
2) nell’esordio acuto di un disturbo schizofrenico

10
Ipobulia Nel linguaggio medico, diminuzione della volontà
11
Apatia Indica mancanza di motivazione e la riduzione di comportamenti finalizzati
12
ipoprosessia Diminuita capacità di stare attenti (gr. πϱοσέχειν), soprattutto per ridotta intensità degli interessi.
13
ipoestesia Diminuzione della sensibilità (soprattutto della sensibilità tattile, termica e dolorifica)
14
Torpore Stato, per lo più temporaneo, di modesto rallentamento dei processi psichici che si palesa con un ottundimento della dinamica
affettiva, con diminuzione della prontezza di movimenti e delle normali attività dell’organismo
15
Sopore Stato di ridotta vigilanza e iporeattività agli stimoli ambientali, intermedio tra la sonnolenza e l’addormentamento.

26
3) nelle psicosi puerperali16

L’attenzione e i suoi disturbi


L’attenzione è la funzione psichica che consente il filtraggio e la selezione volontari
(attenzione conativa) o involontari degli stimoli, interni o esterni,provenienti cioè
dall’ambiente circostante esterno o da quello interno, dal distretto somatico o dal mondo
intrapsichico (sotto forma di pensieri, ricordi, sensazioni), che entrano a far parte del Campo
della Coscienza.

E’ dunque la funzione da cui dipende l’ingresso degli elementi nel campo della coscienza, e
quindi che, in un dato momento, vengono messi a fuoco in maniera più netta e distinta.

L’attenzione riveste, quindi, un’importanza rilevante nel favorire i processi di apprendimento,


nel migliorare le capacità di acquisizione e di conservazione mnestica e nel consentire
soddisfacenti livelli di rendimento psicointellettivo. Per tale ragione, l’attenzione, così come la
memoria, rappresenta una determinante fondamentale dell’intelligenza.

Si possono distinguere due tipologie di attenzione:

- un’attenzione spontanea(involontaria), si ha ogniqualvolta uno stimolo interno o


esterno attrae, “cattura”, in modo automatico e involontario, forzatamente e
inevitabilmente, l’attenzione.
- un’attenzione conativa (volontaria), a differenza di quella spontanea, implica una
selezione attiva degli stimoli verso i quali il soggetto si orienta in relazione alla
motivazione e all’interesse; la componente affettiva, quindi, facilita o interferisce con
l’attività attentiva, e questo fa intendere come i sentimenti e le emozioni intervengano
attivamente nel modulare i processi dell’apprendimento e le funzioni cognitive e
intellettive.

Il rapporto tra attenzione spontanea e conativa è inversamente proporzionale: più alto è il


grado di attenzione volontaria, tanto minore sarà quello dell’attenzione involontaria.

La stabilità e la continuità dei livelli di attenzione, variano:

- da individuo a individuo
- in relazione al grado di interesse e all’intensità dello sforzo attentivo
- in relazione alle ritmiche oscillazioni fisiologiche, ragion per cui è estremamente
difficile mantenere per un periodo molto lungo una forte acutezza attentiva.

L’attenzione e la concentrazione non sono precisamente distinguibili: infatti la


concentrazione – costanza dell’elaborazione cosciente - consiste nel mantenimento della
focalizzazione della coscienza su un’esperienza o un compito, implica, quindi, che l’attenzione
sia sostenuta per un certo periodo di tempo.

I disturbi dell’attenzione
E’ possibile distinguere:
16
Con l’espressione psicosi puerperale si indica l’insieme di sindromi psicopatologiche che insorgono nel puerperio, inteso in senso lato
come il periodo di esperienza esistenziale successiva al parto (depressione post-partum)

27
- l’ipoprosessia è una diminuzione della capacità attentiva che si presenta spesso nelle:
1) sindromi demenziali
2) insufficienze mentali17
3) negli stati di torpore o confusione, le cui origini, come visto, possono essere varie
4) depressioni
5) una transitoria ipoprosessia può essere determinata dagli stati di sonnolenza o di
affaticamento mentale (il sonno si accompagna, oltre ad ipopressia, anche a
bradipsichismo)
- L’iperprosessia è un’accentuazione della capacità attentiva riscontrabile:
1) negli stati ansiosi
2) negli stati ossessivi
3) negli stati fobici
4) negli stati ipocondriaci
5) può fare da sfondo a disturbi di tipo deliranti nei quali l’iperprosessia è scaturita
dall’impellenza di giustificare e rafforzare i propri convincimenti abnormi
6) in soggetti con un QI medio-alto
- La Distraibilità è l’incapacità di mantenere buoni livelli di acuità attentiva su uno
stesso stimolo per un tempo adeguato; essa determina il continuo spostamento
dell’interesse da un contenuto ad un altro. Nella distraibilità l’attenzione spontanea,
nei confronti di stimoli interni o esterni, aumenta a dismisura compromettendo
l’attenzione volontaria (conativa). E’ quanto avviene:
1) nelle condizioni di eccitamento maniacale, nelle quali l’attenzione salta
continuamente da uno stimolo all’altro
2) nelle condizioni di compromissione della sfera psicointellettiva, quindi in alcune
demenze e insufficienze mentali
3) spesso durante l’infanzia
- L’Aprosessia indica la completa abolizione della capacità di attenzione e quindi
un’incapacità totale a mantenere l’attenzione, anche per brevissimi periodi. Essa è
presente:
1) nello stato ipnoide (coma)
2) nelle gravi insufficienze mentali
3) negli stadi avanzati delle demenze
4) negli stati di confusione mentale
5) in seguito a problematiche organiche, quali disturbi cardiovascolari

La memoria e i suoi disturbi


La memoria è quella facoltà psichica che consente l’immagazzinamento dei dati
dell’esperienza e la loro successiva riattualizzazione per mezzo del ricordo. Attraverso questa
fondamentale attività mentale il nostro patrimonio conoscitivo può quindi gradualmente
accrescersi, la nostra vita affettiva e la nostra identità personale diventare più ricche e
differenziate.

La cultura di un individuo, i suoi sentimenti e le sue emozioni, le sue idee nei confronti della
vita, la sua relazione col mondo, ciò che egli è e ciò con cui si identifica, sono tutti elementi
costruiti a partire dall’attività mnestica, la quale, permettendo una conservazione della nostra
17
Quale è la differenza tra le Sindromi Demenziali e le Insufficienze Mentali? Nella Insufficienza Mentale il soggetto non ha mai raggiunto un
corretto funzionamento cognitivo e intellettivo – si dice che sia un <<povero che è sempre stato povero>> -, laddove invece il demente ha
avuto un corretto sviluppo cognitivo che però , a causa della Demenza, ha subito un ingravescente deterioramento.

28
continua interazione con la realtà interna ed esterna, si configura come la base dell’evoluzione
della nostra personalità . Senza memoria saremmo infatti permanentemente nelle condizioni
di un neonato che affronta la vita per la prima volta, incapaci di organizzare e comprendere la
miriade di stimoli, sempre nuovi, che si imporrebbero alla nostra attenzione.

La memoria dà quindi senso e significato alla nostra esperienza.

E’ possibile distinguere due modalità fondamentali del funzionamento della memoria:

- la memoria a breve termine è responsabile della conservazione transitoria e della


rapida riattualizzazione dei contenuti dell’esperienza (per esempio, la ritenzione
mnestica di un numero telefonico appena appreso, per il tempo necessario fino alla sua
digitazione). Ha carattere di estrema precisione.
- la memoria a lungo termine che prevede invece un intervallo di tempo molto più
lungo (a volte anche dall’infanzia alla vecchiaia) tra il momento della registrazione e la
rievocazione.
All’interno del magazzino a lungo termine troviamo:
a. memoria procedurale: conoscenza su come fare qualcosa
b. memoria dichiarativa, ovvero la conoscenza dei fatti, la quale è a sua volta
suddivisa in:
1) memoria episodica
2) memoria semantica (conoscenza dei significati)

Il processo dell’apprendimento stabile può quindi assimilarsi al passaggio dei dati dall’area
temporanea della memoria a breve termine al serbatoio ben più consistente della memoria a
lungo termine.

La memoria opera attraverso 5 fasi successive:

1) fissazione o registrazione(codifica): consente la fissazione mnestica del dato


esperienziale; un deficit in tale fase determina un disorientamento spazio-temporale
tale per cui diventa evidente come la coscienza (e il suo orientamento tempo-spaziale)
risente della memoria;
2) conservazione o ritenzione della traccia mnestica relativa all’esperienza;
l’archiviazione è un processo dinamico, in costante rimaneggiamento, specie se è
passato del tempo (vedi il fenomeno della “testimonianza);
3) rievocazione o riproduzione (recupero)
4) riconoscimento: consente di riconoscere la rievocazione in quanto ricordo;
5) localizzazione temporo-spaziale18

La memoria può anche essere descritta a partire dalla sua scomposizione in 3 fasi:

1) Codifica: fissazione
2) Ritenzione: conservazione (ricordiamolo: un processo dinamico e non statico)
3) Recupero

L’integrità e l’integrazione dei processi che stanno alla base di queste fasi sono indispensabili
perché la funzione mnestica possa svolgersi regolarmente e compiutamente. Infatti, danni o
alterazioni che interessano una di queste fasi daranno origine a disturbi specifici della

18
Ad esempio NOTA BENE: Nella Sindrome di Korsakoff il deficit mnestico è dovuto a un deficit evidenziabile a livello della fissazione della
traccia mnestica – quindi 1° livello – da cui scaturisce il disorientamento temporo-spaziale, mentre l’Ecmnesia e il Jamais-Vu (v.
successivamente) sono da riferire a deficit nella 4° fase.

29
memoria che potranno, ad esempio, interessare maggiormente l’attività di memorizzazione-
immagazzinamento-conservazione, o quella di rievocazione, ecc.

Come nel caso dell’attenzione, la memoria risente della componente affettiva che caratterizza
una certa traccia mnestica: la coloritura affettiva piacevole di un ricordo è alla base della sua
vivida e precisa persistenza, anche a distanza di anni, così come avvenimenti legati ad
emozioni molto sgradevoli possono facilmente andare incontro ad oblio. Queste
considerazioni, furono alla base della prima elaborazione di Freud sui concetti di trauma
psichico e rimozione, attraverso i quali egli cominciava ad indagare la relazione esistente tra
la memoria, gli affetti e i meccanismi di difesa, e che avrebbero rappresentato il cuore della
teoria psicoanalitica.

La capacità di memorizzare e ricordare è caratteristica di ogni individuo; la memoria si


modifica in relazione all’età della vita, declinando fisiologicamente con l’invecchiamento e si
può allenare. In generale l’indebolimento delle capacità mnemoniche nell’anziano avviene a
discapito dei ricordi più recenti, mentre i ricordi acquisiti in passato hanno una maggiore
persistenza.

I disturbi della memoria


Si distinguono disturbi quantitativi e disturbi qualitativi.

I disturbi quantitativi sono rappresentati da Ipomnesia, Amnesia, Ipermnesia.

- L’Ipomnesia è una riduzione delle capacità mnestiche, come abbiamo visto pressoché
fisiologiche nell’invecchiamento, ma che può presentarsi anche in numerose situazioni
di patologia organica cerebrale, ad esempio durante l’affaticamento, l’obnubilamento
(coma), la depressione.
- L’ipermnesia è l’incremento della capacità di ricordare, condizione che può
osservarsi:
1) in soggetti del tutto normali
2) a volte può però essere una caratteristica di soggetti dotati di un QI inferiore alla
norma
3) negli stati ipomaniacali o nell’eccitamento maniacale
4) negli stati crepuscolari
- L’Amnesia è la perdita delle capacità di ricordare e può essere totale o parziale,
organica o psicogena.
Le amnesia organiche sono determinate da cause organiche come:
1) turbe cerebrovascolari, specialmente a insorgenza acuta
2) processi dismetabolici
3) processi atrofici del SNC
4) processi degenerativi del SNC
5) traumi cranici

Nei traumi cranici è possibile distinguere:

a) amnesia anterograda se viene intaccata la capacità di rievocare gli eventi successivi


al trauma (è quindi una amnesia di fissazione)
b) amnesia retrograda se l’amnesia riguarda il periodo immediatamente precedente al
trauma

30
c) amnesia retro-anterograda se l’amnesia riguarda sia il periodo precedente che
quello successivo al trauma
d) le amnesie anterograde tardive sono invece quelle che compaiono dopo che il
soggetto era stato, per un breve periodo di tempo, in grado di ricordare gli eventi
post-traumatici.

Le amnesie psicogene sono in rapporto a vissuti traumatici o altamente conflittuali dal


punto di vista affettivo, che determinano l’impossibilità di ricordare settori più o meno
ampi della propria vita trascorsa; sovente le amnesie psicogene, frequenti nei disturbi
isterici, sono “tematiche”, “categoriali”, riguardano cioè una particolare area
esistenziale che il soggetto vive come problematica o ansiogena (PTSD, abusi).

Le amnesie elettive sono caratterizzate dalla perdita di ricordi tra di loro associati da
un significato comune o che rientrano nella stessa categoria cognitiva (per esempio:
amnesia per una disciplina scientifica ben conosciuta, o per una lingua straniera).

Le amnesie lacunari sono anch’esse amnesie parziali nelle quali viene dimenticato un
definito periodo di tempo.

L’amnesia di fissazione, già accennata, corrisponde al deficit della memoria a breve


termine ed è determinata dall’impossibilità di registrare i ricordi (un danno, quindi,
che riguarda i processi che stanno alla base della prima fase del lavoro della memoria).
Questo tipo di disturbo, facendo perdere la consapevolezza – momento per momento –
dello scorrere del tempo, abolisce la cognizione delle sequenze temporali e della
successione degli eventi e degli spazi, provocando disorientamento temporo-spaziale.
Questa situazione si verifica spesso in seguito a traumi cranici, e anche nella Sindrome
di Korsakoff, tipica patologia neuropsichiatrica dell’alcolismo cronico; in questa
patologia frequentemente il paziente cerca di dissimulare il deficit mnestico attraverso
confabulazioni compensatorie, ovvero rielabora le tracce mnestiche obliate in modo
scoordinato e incongruo con i substrati cognitivi di cui dispone, dando la sensazione di
una rievocazione caotica in cui passato e presente, luoghi, tempi ed eventi si mescolano
tra di loro senza alcun criterio.

I disturbi qualitativi della memoria, anche definiti paramnesie, comprendono una serie di
fenomeni psicopatologici significativi, tra i quali :

- le Illusioni della Memoria o Falsificazioni Retrospettive si collocano più nell’ambito


fisiologico che in quello patologico, in quanto rappresentano l’esito di un fenomeno
normale: il continuo rimaneggiamento che i contenuti della memoria subiscono in
rapporto alla loro dimensione affettiva, che a volte può modificare sostanzialmente, nel
corso del tempo, le caratteristiche di certi ricordi. Ciò fa intendere che il patrimonio
della memoria non è assolutamente statico, ma subisce un graduale rimodellamento in
base alle connotazioni affettive che ne costituiscono la trama, e alla rete di associazioni
che lega le tracce passate con le esperienze del presente. Una semplice dimostrazione
di questo fenomeno è dato dalla possibilità di rivedere a distanza di anni un film, un
luogo, una città , un panorama che ci aveva particolarmente colpito: difficilmente
l’impressione che ne ricaveremo coinciderà con il ricordo che ci eravamo formati di
quella esperienza. Possono essere ricollegate a un deficit del 2° livello della memoria.
- la Pseudologia Fantastica rappresenta una sorta di esasperazione del fenomeno
precedente; in questo caso l’aspetto psicopatologico è però la mancata discriminazione
tra ricordi reali e costruzione fantastica. Il soggetto cioè scambia una costruzione
fantastica con un ricordo reale (infatti è tipica dei bambini). Si verifica:

31
1) nelle insufficienze mentali
2) nell’isteria
3) nell’età infantile prende il nome di menzogna fantastica
- Il Déjà-vu e Déjà-vecu (già visto e già vissuto) corrispondono alla sensazione di
avere già visto o sperimentato in precedenza un luogo, un oggetto, una persona, una
data situazione che si sta vivendo, pur sapendo di non averli mai visti o vissuti prima;
si ha quindi un atteggiamento di familiarità , riconosciuto e sottoposto a critica, perché
erroneo, da parte del soggetto. Si può riscontrare:
1) in condizioni di normalità , non raramente
2) nell’ambito di una patologia epilettica
3) nell’alcolismo
- Il Jamais-vu e Jamais-vecu (mai visto e mai vissuto) sono, in un certo senso,
fenomeni opposti ai precedenti; infatti mentre nel dèjà -vu l’esperienza nuova viene
percepita erroneamente come familiare, in questo caso un’esperienza familiare, cioè
già vissuta, viene percepita come nuova o estranea; può essere considerata una
patologia del riconoscimento, quarta fase del processo della memoria. E’ un deficit del
4° livello della memoria. La si osserva:
1) nella epilessia temporale
2) nel disturbo da attacchi di panico (DAP)
3) nei Disturbi schizofrenici

Ha alcuni aspetti in comune con la derealizzazione.

- la Criptomnesia presenta delle analogie con il jamais-vu in quanto consiste in un


disturbo della memoria in cui un ricordo appare invece come un fatto del tutto nuovo,
come una creazione attuale e originale.
Un classico esempio di criptomnesia è la creazione di una “nuova composizione
musicale” senza accorgersi che è un plagio. E’ un deficit del 4° livello della memoria.
- L’Ecmnesia è la brusca comparsa, a volte a carattere allucinatorio (flashback), di
ricordi ai quali il paziente partecipa con grande coinvolgimento, vivendoli come se si
trovasse immerso in quella scena (tipico del PTSD).
- Le Confabulazioni sono contenuti psichici che il paziente elabora in modo distorto e
che vengono proposti all’interlocutore nel tentativo di colmare e dissimulare i difetti
mnestici. La loro presenza rappresenta un elemento di diagnosi differenziale tra le
sindromi demenziali e le pseudodemenze depressive, dove non si osservano mai.

La percezione e i suoi disturbi


La funzione senso-percettiva mette in contatto l’uomo con l’ambiente in cui vive, oltre che con
la sua dimensione interna. In riferimento all’esterno è la funzione psichica che permette
all’organismo di acquisire informazioni circa lo stato e i mutamenti del suo ambiente esterno
grazie all’azione di organi sensoriali specializzati quali la vita, l’udito, il tatto, l’olfatto e il
gusto.

E’ inoltre la funzione che rende possibile raccogliere informazioni sullo stato e sui
cambiamenti del proprio corpo attraverso la sensibilità propriocettiva ed interocettiva.

La funzione senso-percettiva quindi rappresenta la base di ogni conoscenza di se stesso e del


contesto ambientale in cui si è inseriti, costituisce il tramite diretto dell’uomo per assumere
informazioni sull’ambiente circostante e mantenere con esso un contatto, una interazione.

32
La senso-percezione è la funzione che permette il continuo rapporto tra il versante
intrapsichico e quello esterno; quando uno o più canali sensoriali sono danneggiati questa
interazione è infatti impedita, compromessa o ostacolata.

Girotti definiva la percezione come la funzione in grado di organizzare le informazioni che si


impongono ai nostri sensi in una data situazione delimitata nel tempo e nello spazio.

I momenti fondamentali attraverso i quali si svolge il processo percettivo sono:

1) la sensazione
2) la percezione
3) la rappresentazione
1) la sensazione è la presa di contatto primaria, non consapevole, con un dato sensoriale
elementare che non può essere scomposto in elementi più semplici. Nella sensazione
un dato sensoriale stimola i recettori sensoriali periferici, provoca cioè una
stimolazione sensoriale, e, attraverso le vie neurofisiologiche, raggiunge l’apparato
psichico.
Secondo alcuni la distinzione tra sensazione e percezione sarebbe in realtà artificiosa,
perché al processo biologico di stimolazione dei recettori sensoriali periferici
corrisponderebbe, inevitabilmente, a livello psichico, una esperienza percettiva,
ovverossia un processo di integrazione della sensazione.
2) La percezione è un processo più complesso della sensazione, guidato dall’attenzione,
che unifica e integra le sensazioni in modo tale che queste configurino un oggetto
distinto dal soggetto e dagli altri oggetti. Essa si realizza cioè attraverso un’attività
strutturante di elaborazione sintetica ed integrativa dei dati sensoriali provenienti
dalla realtà esterna e/o interna. E’ quel processo che consente il riconoscimento attivo,
e quindi l’identificazione di un dato oggetto, la discriminazione dei suoi caratteri
specifici, e di conseguenza la sua classificazione mentale in una categoria di
appartenenza.
3) La rappresentazione è il momento finale: il dato percettivo viene categorizzato per
poi essere richiamato alla coscienza attraverso la funzione mnestica, senza che lo
stimolo sia presente. Ha aspetti in comune con la memoria e il pensiero. La
rappresentazione, infatti, consiste in una riproduzione mentale delle trascorse
esperienze percettive in modo tale da ricreare le caratteristiche di un oggetto nello
spazio interno, facendolo, per così dire, rivivere nella nostra mente senza che questo
sia presente nello spazio esterno.
Per rappresentazione, quindi, si intende il rinnovarsi dell’esperienza percettiva in
assenza dello stimolo sensoriale. Come tale, la rappresentazione, occupa uno spazio
intermedio tra la percezione e la memoria, e tra la particolarità della percezione e
l’universalità della sua astrazione concettuale.
Normalmente per riprodurre un certo dato percettivo il soggetto deve intervenire in
modo attivo: il processo della rappresentazione richiede quindi una partecipazione e
una scelta; ciò non accade nelle rappresentazioni coatte del Disturbo Ossessivo-
Compulsivo (DOC), che si impongono al soggetto indipendentemente dalla sua
volontà , ma anzi in opposizione a essa.

I disturbi della percezione


I disturbi della senso-percezione vanno distinti in quantitativi e qualitativi.

33
Le alterazioni quantitative consistono in modificazioni in difetto o in eccesso della intensità
della percezione, ed entrambe possono essere epifenomeni di processi patologici di natura
neurogena/organica o psicogena.

Tra i disturbi quantitativi della percezione:

- L’iperestesia o accentuazione della percezione degli stimoli sensoriali, è un fenomeno


osservabile:
1) negli stati ansiosi (DAP, DOC, ipocondria)che provocano un aumento della
sensibilità e della acuità sensoriale a partire dallo stato penoso di “aspettativa” di
una situazione temuta
2) nelle sindromi di conversione isterica(Disturbo Somatoforme)
3) nella fase prodromica di una crisi epilettica
4) assunzione di sostanze eccitanti
5) negli stati maniacali
- L’ipoestesia è la diminuzione della ricezione degli stimoli percettivi (v. stato di
obnubilamento)
- L’Anestesia è l’abolizione della ricezione degli stimoli percettivi
L’ipoestesia e l’anestesia, quando di natura psicopatologica, fanno parte di quadri
clinici come:
1) la depressione
2) la schizofrenia
3) le sindromi demenziali

Le alterazioni qualitative della percezione possono essere classificate in:

- alterazioni qualitative propriamente dette


- dissociazioni delle percezioni
- falsamenti delle percezioni

Entrando nello specifico:

- Le alterazioni qualitative propriamente dette sono determinate dalla modificazione


di una singola qualità percettiva quale, ad esempio, la dimensione (micropsia – se
l’oggetto è percepito più piccolo di quanto è in realtà -, macropsia – se l’oggetto è
percepito più grande -), il colore, la posizione nello spazio (ad esempio <<porropsia>>
se gli oggetti vengono percepiti più lontani).
- La Dissociazione delle percezioni è un errore di sintesi percettiva che impedisce di
associare correttamente i dati sensoriali provenienti da un medesimo oggetto: ad
esempio, l’immagine e il suono di uno stesso stimolo vengono percepiti come
indipendenti l’uno dall’altro.
- Tra i Falsamenti delle Percezioni sono descritte le più interessanti turbe della
psicopatologia della percezione: illusioni, allucinosi, allucinazioni, pseudoallucinazioni
e sinestesie.

Per ciascuna di queste alterazioni percettive deve essere considerato:

1) se esiste realmente uno stimolo esterno in rapporto con l’oggetto percepito , anche se
non perfettamente coincidente;
2) se esiste uno stato di consapevolezza (critica) da parte del soggetto di stare
sperimentando un’alterazione percettiva;
3) se l’oggetto percepito possiede una adeguata idoneità sensoriale ed è quindi
descrivibile secondo parametri abituali, realistici e quindi normali (le caratteristiche

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percettive dell’oggetto percepito sono analoghe alle caratteristiche degli oggetti
percepiti normalmente; esempio: se il paziente dice: “Sento le voci attraverso le
orecchie” allora siamo in presenza di un’allucinazione, se il paziente dice: “Sento delle
voci provenire dal mio stomaco” allora siamo di fronte a uno pseudoallucinazione, dal
momento che non mantiene un’idoneità sensoriale rispetto alle caratteristiche
consuete dello stimolo sonoro);
Questo parametro consente di discriminare le allucinazioni dalle pseudoallucinazioni.

Nello specifico dei Falsamenti delle Percezioni:

- Le Illusioni sono percezioni distorte di un oggetto realmente esistente. Lo stimolo


percettivo è realmente presente ma viene percepito erroneamente. Non ha
necessariamente carattere patologico.
Le illusioni sono riscontrabili:
1) nei quadri di tipo confusionale
2) nei quadri demenziali
3) nella intossicazione da alcool e da sostanze psicodislettiche 19
4) frequentemente in soggetti normali, e in questo caso l’esperienza illusionale viene
rapidamente sottoposta a critica, risultando per questo breve e transitoria

Schematicamente, seguendo i parametri di cui sopra: (1) SI; (2) SI; (3) SI.

In base alla loro psicogenesi si distinguono:

1) illusioni per cause emotive (ad esempio quando l’attesa ansiosa di una persona può
portare a individuarla illusoriamente in uno sconosciuto). Le illusioni quindi si
verificano in stretto rapporto con le alterazioni delle condizioni emozionali di base.
Interessante, a tal proposito, è il fenomeno di “attesa percettiva” per cui una
percezione reale, mancante però di un dettaglio atteso, può essere completata
soggettivamente. Il tono affettivo può indirizzare, cioé, in modo selettivo l’attesa
percettiva strutturando una percezione illusionale a partire da dati sensoriali reali
ma circoscritti.
2) illusioni da disattenzione, scaturite da un fisiologico calo dell’attenzione, quindi da
ipoprosessia, o dalla stanchezza;
3) pareidolie, consistono nel fenomeno per cui impressioni sensoriali incomplete e
prive di una forma definita vengono elaborate attraverso un’attività costruttivo-
fantastica che produce l’impressione di un oggetto con una precisa identità ; si
sperimenta una pareidolia quando si cerca di individuare nelle nuvole il profilo di
un volto o di un animale. Un processo analogo è alla base del test di Rorschach, test
proiettivo di personalità , in cui si chiede al soggetto di interpretare liberamente
delle macchie scure o colorate.

- L’allucinosi è una percezione di un oggetto non esistente, quindi una percezione senza
oggetto, in cui il paziente, però , a differenza di quanto avviene nell’allucinazione, è in
grado di valutare criticamente il carattere patologico dell’esperienza in essere,
riconoscendone, consapevolmente, la natura patologica, abnorme e deviante. Nella
allucinosi esiste quindi una possibilità di critica che permette di riconoscere il
contenuto dell’allucinosi come non riferibile ad alcunché di reale.

19
Psicodislèttici. Sostanze che alterano la percezione e inducono stato onirico (talvolta delirante); sono detti anche allucinogeni, o droghe
psichedeliche ("rivelatrici della psiche"). Si dividono in maggiori (LSD, mescalina, psilocibina) e minori (hashish e marijuana), in rapporto alla
potenza degli effetti.

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Mentre nell’allucinazione sono interessati tutti i canali sensoriali, nella allucinosi sono
prevalentemente interessati quelli visivi e uditivi.
Nell’allucinosi è molto probabile che il paziente vive un’esperienza di “spettatore”,
anche se partecipe, della percezione errata, piuttosto che di attore protagonista come
avviene più spesso nelle allucinazioni.
Secondo i parametri: (1) No; (2) Si; (3) Si.
I fenomeni allucinosici sono spesso conseguenza di:
1) alterazioni di tipo organico (chiaro esempio è l’allucinosi peduncolare, che indica
una situazione dispercettiva a carattere allucinosico che si verifica in seguito a
lesione dei peduncoli cerebrali 20 ad insorgenza di solito brusca, in coincidenza delle
ore notturne);
2) l’Allucinosi alcolica indica, impropriamente, una sindrome delirante-allucinatoria
che si verifica dopo 48 ore circa di astinenza alcolica, e caratterizzata, nonostante la
sua denominazione, da vere e proprie allucinazioni, soprattutto uditive;
3) frequentemente, dell’assunzione di sostanze allucinogene come l’LSD;
4) raramente, disturbi psichiatrici, in cui generalmente prevalgono le allucinazioni.
Tuttavia, in alcuni pazienti con sintomi allucinatori di lunga data, durante la fase di
remissione di un episodio psicotico a seguito di un trattamento neurolettico, si
possono osservare condizioni di tipo allucinosico

- L’Allucinazione è una grave alterazione della funzione senso-percettiva che porta alla
percezione di un oggetto in assenza di un corrispondente stimolo percettivo; mentre
nell’illusione uno stimolo percettivo reale viene elaborato in maniera distorta,
nell’allucinazione si ha una percezione di un oggetto che non esiste nella realtà ma che
viene creduto reale: perché si possa parlare di sintomo allucinatorio, cioè, il soggetto
deve scambiare la percezione allucinatoria dei contenuti per realtà percettiva.

Le caratteristiche dell’allucinazione sono:


1) Assenza dello stimolo esterno
2) Idoneità sensoriale
3) Proiezione spazio-temporale(il soggetto non sa da dove viene)
4) Mancanza di critica del disturbo
5) Possibilità che l’allucinazione attivi comportamenti consequenziali

Seguendo i parametri quindi: (1) No; (2) No; (3) Si.

Le Allucinazioni sono sintomi frequenti in molti quadri di patologia psichiatrica:

1) Quadri patologici organici (demenza)


2) Quadri patologici funzionali (schizofrenia, PTSD)
3) Intossicazioni esogene acute e croniche (alcool, sostanze psicodislettiche)

In base al canale sensoriale interessato si distinguono allucinazioni:

1) visive
2) olfattive
3) uditive
4) gustative
5) tattili
6) cenestetiche (o cinestetiche)
20
Peduncolo cerebrale Cordone di sostanza bianca, pari e simmetrico, sito nella porzione ventrale del mesencefalo; rappresenta la
connessione del cervello e cervelletto con il midollo spinale.

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A tal proposito si definiscono:

1) Allucinazioni combinate, quelle allucinazioni che interessano più canali sensoriali


contemporaneamente (ad esempio: allucinazione visiva e uditiva insieme);
2) Allucinazioni semplici le allucinazioni costituite da impressioni elementari,
semplici per l’appunto, come suoni, punti luminosi, cerchi, lampi;
3) Allucinazioni complesse, quelle allucinazioni che corrispondono a percezioni più
articolate e strutturate, volti, persone, intere scene statiche o in movimenti,
dialoghi, pezzi musicali, ecc;
4) Le Allucinazioni sensoriali sono quelle che interessano lo stesso canale che viene
contemporaneamente interessato da uno stimolo percettivo realmente esistente
(per esempio: allucinazioni uditive che compaiono ascoltando un programma
radiofonico e scompaiono al cessare di questo);
5) L’Allucinazione riflessa o sinestesia si verifica quando l’esperienza dispercettiva
viene indotta da uno stimolo percettivo che interessa un canale sensoriale diverso
da quello allucinatorio (ad esempio: la musica trasmessa alla radio stimola
un’allucinazione visiva);
6) L’Allucinazione negativa corrisponde alla mancata percezione di oggetto realmente
esistente, in assenza di alterazioni degli organi di senso e delle corrispondenti vie
nervose;
7) Le Allucinazioni ipnagogiche e le Allucinazioni ipnopompiche compaiono in
relazione allo stato di sonno: le prime durante la fase di addormentamento, mentre
le seconde prima del risveglio; si verificano anche in condizioni di normalità

Il significato psicopatologico delle allucinazioni visive ed uditive è molto differente;


infatti:

1) le Allucinazioni visive sono in rapporto a un disturbo psichiatrico esogeno e a una


destrutturazione della coscienza, come ad esempio:
a) nelle intossicazioni da alcool
b) nelle intossicazioni da sostanze psicodislettiche

2) le Allucinazioni uditive vanno invece interpretate come il risultato di una


destrutturazione della personalità in relazione a un quadro psichiatrico di tipo
endogeno.
Tra queste ultime vanno ricordate le allucinazioni uditive che compaiono nel
disturbo schizofrenico come esito di un processo di scissione e di proiezione di
contenuti psichici che, non più riconosciuti come propri, assumono la
configurazione di voci minacciose, ingiuriose, blasfeme, ironiche, ecc.
Tra le allucinazioni uditive della Schizofrenia, Schnieder ne differenzia alcuni tipi
che riconosce come sintomi di primo ordine della turba stessa:
1) commento sonoro agli atti
2) colloquio di voci
3) eco del pensiero
4) allucinazioni imperative che impongono al soggetto comportamenti auto- od
etero aggressivi.

Frequente inoltre l’integrazione di esperienze allucinatorie uditive con quelle


olfattive o gustative, matrice di vissuti deliranti-allucinatori a sfondo persecutorio
nei quali il vissuto delirante e le dispercezioni allucinatorie sembrano rinforzarsi e
alimentarsi vicendevolmente.

37
In relazione ai loro contenuti e alla loro persistenza, il paziente può essere
fortemente disturbato dalle allucinazioni uditive fino a gravi stati di angoscia e
prostrazione, o al contrario, mostrare di tollerare l’esperienza dispercettiva, che a
volte tenta finanche di dissimulare.

- La Pseudoallucinazione, o allucinazione psichica, detta anche <<Rappresentazione


estranea all’Io psichico>> o <<Rappresentazione Xenopatica>>, manca di idoneità
sensoriale, è cioè una dispercezione dal grave significato psicopatologico, che si
differenzia dalla allucinazione per l’assenza del carattere della sensorialità e della
proiezione spaziale: il soggetto che la sperimenta la descrive come una esperienza
percettiva che non interessa i canali sensoriali, quindi, ad esempio, riferisce di sentire
delle voci ma non attraverso le orecchie, bensì dentro il cervello, o nell’addome, oppure
ancora, vede non con gli occhi ma dietro la testa (allucinazioni extracampali).
Le Pseudoallucinazioni sono anche dette “voci mute” o “immagini interne”.
Seguendo i parametri: (1) No; (2) No; (3) No.

Il pensiero e i suoi disturbi


Il pensiero è la funzione psichica specializzata nella formazione di concetti e di giudizi; a tal
proposito:

- il concetto è il risultato dell’attività di categorizzazione, grazie alla quale un oggetto o


un evento vengono inseriti in “una classe di oggetti e eventi aventi qualità comuni e
distintive”. I concetti sono quindi rappresentazioni di oggetti o eventi, e la loro
costruzione è alla base dell’attività del pensiero;

Le modalità operative tipiche del pensiero sono:

1) l’analisi, vuol dire letteralmente “scomporre, risolvere nei suoi elementi”: indica il
processo di scomposizione di un tutto, concreto o astratto, nelle parti elementari che lo
costituiscono, e, in tal senso, si oppone alla sintesi (indica il passaggio dal tutto alla
parte);
2) la sintesi, vuol dire letteralmente “comporre, mettere insieme”: indica il processo di
composizione e combinazione di parti o elementi col fine di formare un tutto (parte dal
particolare per arrivare al generale);
3) l’astrazione: processo mentale mediante il quale una cosa viene isolata da altre con cui
si trova in rapporta, per considerarla come specifico oggetto di indagine;
4) l’induzione: procedimento logico, opposto a quello della deduzione, per cui
dall’osservazione di casi particolari si sale ad affermazioni universali (o, nella statistica,
alla formulazione delle regolarità statistiche): la i. empirica indica l’enunciazione di una
legge valida in generale a partire da una successione finita di osservazioni;
5) la deduzione: il processo logico contrapposto a quello della induzione che consente di
giunge a proposizioni particolari partendo da proposizioni generali;
6) l’astrazione: processo che consente di estrapolare da due oggetti o situazioni
caratteristiche comuni tali da determinarne l’appartenenza a una categoria (es:
categoria formale, affettiva). E’ un processo dal basso verso l’alto (bottom-up), dal
particolare al generale;
7) la generalizzazione: processo che dall’alto va verso il basso (top-down), parte dai
concetti per attribuire agli oggetti e agli eventi caratteristiche simili.

38
Quanto detto fa capire come questa funzione psichica è direttamente implicata nella
produzione della cultura, o, più semplicemente, nella soluzione dei problemi che la vita ci
presenta (problem solving).

Il pensiero è “un’attività mentale che comprende una serie svariata di attività, come ragionare,
riflettere, immaginare, fantasticare, ricordare, che permette di essere in comunicazione con il
mondo esterno, con se stessi e con gli altri, nonché di costruire ipotesi sul mondo e sul nostro
modo di pensarlo. Questo può deteriorasi come nel delirio o disorganizzarsi come nell’erompere
delle emozioni” (U. Galimberti, 1992).

Un pensiero efficace non solo risolve problemi – e quindi consente un corretto adattamento
alla realtà – ma riesce anche a porne sempre di nuovi; è quindi legato anche alla creatività ,
cioè alla capacità di riconoscere e alimentare nuove connessioni tra oggetti e tra pensieri,
promuovendo innovazioni e cambiamenti.

Il pensiero divergente (J.P.Guilfor), infatti, a differenza del pensiero convergente, promuove


originalità ideativa, concettuale, nuove connessioni tra gli elementi e nuove modalità di
risoluzione di problemi.

Le singole unità operative del pensiero, i suoi elementi costituitivi e costruttivi di base, sono le
idee che, nel processo del ragionamento, vengono organizzate attraverso legami associativi
che rispondono alle leggi della logica, per cui, cioè, le premesse rispettano le conclusioni
(pensiero convergente). E’ questa associazione logica di idee che regola scelte, decisioni e
valutazioni di ogni essere umano, anche se spesso l’attività del pensiero è influenzata anche:

1) dalla memoria, e quindi dall’esperienza pregressa, dall’apprendimento;


2) dall’affettività , cioè dai sentimenti e dalle emozioni; un soggetto impulsivo, ad esempio,
tenderà a contrarre bruscamente i processi del pensiero, per dare la preminenza ai
fattori emozionali, salvo poi tornare a riflettere sulle conseguenze di un’azione troppo
“istintiva” e sottoporla a valutazione critica.

Da questo punto di vista quindi la critica va intesa come la capacità di vagliare, giudicare, non
solo la qualità e gli effetti delle proprie condotte (aspetto oltremodo carente in molti disturbi
di personalità ), ma anche la coerenza del proprio ragionamento con il reale, discernere,
pertanto, il vero dal falso, il normale dal patologico.

La critica quindi sottopone al giudizio:

1. la qualità , gli effetti e la coerenza con il reale dei comportamenti;


2. la qualità , gli effetti, la coerenza con il reale dei propri ragionamenti e delle proprie
idee.

I disturbi del pensiero


La psicopatologia del pensiero distingue:

- Disturbi formali del pensiero


- Disturbi del contenuto del pensiero

Tra i Disturbi formali del pensiero vanno notate:

1) le Alterazioni del ritmo


2) le Alterazioni del decorso
3) le Alterazioni dei legami associativi

39
Nello specifico, a proposito dei Disturbi formali del pensiero:

A. Alterazioni del ritmo:

- l’Accelerazione del Pensiero o Tachipsichismo corrisponde a un aumento della


rapidità del pensiero e dei legami associativi tra i contenuti ideativi, i quali vengono
legati tra di loro in maniera a volte labile, per mezzo di associazioni per assonanza o
per contiguità , anziché secondo associazioni logiche (in cui, cioè, viene rispettata una
coerenza tra premesse e conclusioni). Tale flusso ideativo estremamente scorrevole
trova poi espressione in un corrispondente eloquio logorroico, attraverso il quale il
soggetto in questione cerca di tradurre in parole l’eccesso di produzioni ideative.
Il Tachipsichismo è una caratteristica:
1) dell’eccitamento maniacale
2) dell’intossicazione da anfetamina, canapa indiana, caffeina

Nei gradi estremi il tachipsichismo può giungere sino alla fuga delle idee e quindi non
consentire più una produzione verbale a causa della sensazione di “perdere” o di non
riuscire a “trattenere” i pensieri che si avvicendano con estrema rapidità .

- Il Rallentamento del Pensiero o Bradipsichismo è il fenomeno opposto al


precedente, e consiste nel rallentamento del fluire delle idee accompagnato da un
impoverimento sia dei nessi associativi che delle idee e dalla tendenza alla fissità su
certi contenuti.
Il Bradipsichismo è caratteristico:
1) della depressione grave, in cui gli scarsi contenuti ideativi (di rovina, di perdita, di
colpa) saturano l’attenzione del paziente;
2) nelle demenze
3) nelle insufficienze mentali
4) nelle psicosi confusionali
5) anche in caso di forte stanchezza, nel rilassamento, appena svegli o prima di
dormire (il bradipsichismo notturno è fondamentale per l’addormentamento).

B. Alterazioni del decorso del pensiero:

- La Prolissità si colloca a metà strada tra la normalità e la patologia; è la difficoltà a


sviluppare il tema centrale del pensiero in maniera sintetica, a causa della abbondanza
di dettagli poco significativi che impediscono di giungere rapidamente alle conclusioni.
Viene detto anche “particolarismo” o “circostanzialità ”;
- La Perseverazione consiste nella persistenza di un contenuto del pensiero che si
ripeta in maniera monotona e statica. Lo si può riscontrare:
1) negli stati di affaticamento mentale
2) nelle demenze
3) nella intossicazione alcolica

C. Alterazioni dei legami associativi del pensiero:

Il Blocco del Pensiero, la Condensazione, l’Iperinclusione e l’Incoerenza


rappresenta una tetrade sintomatologica della Schizofrenia:

- il Blocco del Pensiero si ha quando il decorso ideativo si inceppa in modo improvviso


comportando una analoga interruzione dell’eloquio; successivamente esso può anche
riprendere connettendosi al tema su cui il pensiero si era bloccato o iniziando un
argomento del tutto nuovo (Fenomeno del Deragliamento).

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Il Blocco del Pensiero, detto anche Intoppo o Barrage, è una delle caratteristiche del
pensiero dissociato del Disturbo schizofrenico.
- La Condensazione è un’alterazione ideativa consistente nella fusione di due o più idee
o concetti diversi in un unico concetto che risulta strano o bizzarro. Assieme al Blocco e
all’Iperinclusione si riscontra nella dissociazione del pensiero.
- L’Iperinclusione è un altro dei caratteri del pensiero dissociato, e corrisponde
all’inserzione di contenuti ideativi incongrui e inappropriati al normale decorso delle
idee.
- L’Incoerenza è epifenomeno della disconnessione dei contenuti ideativi che rende il
decorso del pensiero frammentario, scarsamente consequenziale e supportato da una
trama associativa sostanzialmente abnorme. C’è quindi un collasso della trama
associativa; vi è una discordanza più o meno grave tra le premesse e le conclusioni a
cui perviene il flusso ideativo.
Può sfociare nell’insalata di parole che è il grado estremo dei processi descritti.
E’ un disturbo tipico:
1) della Schizofrenia
2) delle Sindromi Confusionali Organiche

I Disturbi del contenuto ideativo sono rappresentati dalla Idea Fobica, dalla Idea
Ossessiva, dalla Idea Prevalente e dalla Idea Delirante. Nello specifico:

- L’Idea Fobica è un contenuto/rappresentazione ideativa che si riferisce a un evento,


situazione o oggetto, particolarmente, e soventemente in modo del tutto irrazionale,
temuti.
La possibilità che la rappresentazione fobica (dell’evento, della situazione o
dell’oggetto) si concretizzi nella realtà è fonte di un’intensa paura. Pur consapevole
della irrazionalità della sua paura, il soggetto fobico non riesce in alcun modo a
vincerla e tenta in tutti i modi di evitare le circostanze che lo possono mettere a
contatto con l’oggetto della sua fobia.
La compresenza di una dimensione razionale (critica: insight) e di una irrazionale
(fobica) è causa di intensa sofferenza.
Di frequente l’idea fobica possiede anche i caratteri di un’idea ossessiva o, come nel
caso della Rupofobia (paura dello sporco), essa è alla base di condotte di tipo
ossessivo-compulsivo (rituali di lavaggio).
- L’Idea Ossessiva consiste nella persistenza disturbante di un contenuto ideativo nel
campo della coscienza, è un’idea che si ripete costantemente contro il volere del
soggetto. L’idea ossessiva satura il campo mentale del soggetto, intralciando il normale
decorso del pensiero, fino a realizzare una sorta di paralisi dell’attività ideativa.
Caratteristiche fondamentali dell’Idea Ossessiva sono (Lewis, 1936):

1) Il sentimento soggettivo di obbligatorietà


2) La tendenza a resistere al contenuto ideativo ossessivo
3) Il mantenimento della consapevolezza

Il soggetto quindi avverte questi contenuti ideativi come:

1) irrazionali
2) indipendenti dalla propria volontà e controllo
3) coercitivi
4) egodistonici
5) iterativi, cioè ripetitivi

41
6) afinalistici

Tali contenuti possono essere costituiti da semplici parole, motivi musicali, immagini,
frasi senza senso o blasfeme; l’idea ossessiva può avere:

1) carattere dubitativo (ho chiuso o no la porta della macchina?), da cui sovente


scaturiscono comportamenti compulsivi di controllo;
2) carattere interrogativo (basarsi cioè su quesiti di difficile o impossibile soluzione,
su problemi concreti, banali o metafisici);
3) riguardare la paura di commettere errori o di danneggiare gli altri;
4) a volte, può essere connessa alla necessità di ricordare date, nomi di persone,
indirizzi, numeri telefonici.

Infine, frequentemente l’idea ossessiva comporta una sorta di coercizione verso un


comportamento che il soggetto sente come obbligatorio: tali comportamenti (rituali
anancastici o compulsioni) consentono, se realizzati, una certa attenuazione dell’ansia
e della tensione psichica e rappresentano un drammatico compromesso tra l’aspetto
razionale e quello irrazionale. Nel mettere in atto un rituale anancastico/compulsivo,
infatti, il soggetto ha la consapevolezza del suo aspetto illogico e afinalistico, ma d’altra
parte ha egualmente un forte bisogno di compiere quella data azione, pena un
peggioramento dell’angoscia.

Quindi, l’elemento caratterizzante la compulsione è la “tendenza coercitiva e


irrazionale che spinge l’individuo a mettere in atto determinati comportamenti di cui egli
stesso riconosce l’inutilità e l’inadeguatezza, ma la cui mancata esecuzione provoca in lui
una sensazione di angoscia” (U.Galimberti, 1992).

Oltre ai già ricordati rituali di lavaggio (Rupofobia), frequenti sono anche le


compulsioni di controllo, collegate con le ossessioni dubitative.

L’Idea Fobica, l’Idea Ossessiva e la Compulsione sono la triade sintomatologica


del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC).

Un quadro clinico specifico in cui è possibile rintracciare questa triade sintomatologica


è la Rupofobia, in cui la paura fobica della sporcizia assume connotazioni ossessive e
dà luogo a un comportamento compulsivo.

- L’Idea Prevalente o Dominante è un’idea che, a differenza di quella ossessiva, non è


vissuta come parassitaria, è quindi egosintonica (e non egodistonico come il contenuto
ideativo ossessivo), accettata dal soggetto che non la avverte come estranea a sé, ma
anzi la sente come fortemente legata alla sua personalità e ai suoi bisogni. Per via di
queste caratteristiche l’Idea Prevalente può venire a occupare un ruolo centrale nella
vita psichica di un individuo e ispirarne i comportamenti e le scelte, così come avviene
con i contenuti ideativi prevalenti che possono riguardare, ad esempio, la politica o la
religione.
Il soggetto viene a essere assoggettato da questi contenuti, come avviene nell’Idea
Ossessiva, i quali però sono sentiti come affini alla propria personalità e al proprio
sistema di valori.
- L’Idea Delirante è una grave alterazione del contenuto del pensiero; essa può definirsi
come un convincimento e un contenuto ideativo patologico ed erroneo che non ha
alcun riscontro nei dati di realtà e alcuna corrispondenza con questi; è quindi un’idea
falsa, un contenuto ideativo abnorme, assurdo, che viene però considerato vero a tutti
gli effetti e nonostante l’evidenza. L’Idea Delirante non cede né agli argomenti di

42
discussione, prove e dimostrazioni circa la sua infondatezza, né alle smentite
dell’esperienza; viene accettata con assoluta certezza e non viene in alcun modo
criticata.
La caratteristica precipua di questa idea è la sua incoercibilità : essa cioè non può
essere modificata, né è soggetta a critica.
- Delirio è un insieme di idee deliranti , false, non criticabili, o di convinzioni che non
sono riferibili al retroterra educativo, culturale o sociale del paziente, e che vengono
sostenute con straordinaria convinzione e certezza. Di fondamentale importanza nella
visione del mondo del soggetto delirante, dette idee risultano inaccettabili alle persone
che appartengono al suo stesso ambito culturale.
E’ un disturbo psicopatologico frequente nelle sindromi psicotiche acute e croniche ed
è indicativo di:
1) un rilevante perturbamento dello stato psichico, transitorio o duraturo;
2) una perdita della delimitazione tra la realtà interna e quella esterna

Infatti, dal punto di vista psicodinamico, il delirio coincide con la messa in atto di difese
arcaiche e patologiche come la Proiezione, mediante la quale sentimenti intollerabili o
aspetti inconsci della propria personalità , capaci di suscitare angosce profonde,
vengono inconsapevolmente attribuiti a persone, oggetti o situazioni del mondo
esterno; il paziente delirante vive quindi una sorta di tragica confusione tra la
dimensione interna e quella esteriore, sulla quale proietta angosce e fantasmi, che
vengono ad assumere per lui evidenza inattaccabile di realtà .

Quanto detto trova una chiara esemplificazione nel Delirio di Persecuzione: le quote
aggressive della realtà psichica divengono aggressori esterni, materializzati
concretamente nei personaggi e gruppi che, investiti proiettivamente delle stesse
qualità psichiche evacuate dal paziente, assumono connotazioni minacciose e temibili
da cui difendersi.

Il Delirio è quindi il sintomo della disgregazione della realtà psichica e dell’interruzione


del suo rapporto armonico con la realtà esterna. Il delirio segna dunque la rottura
dell’equilibrio con l’interno e con l’esterno (concetto di <<Doppio Esilio>> di
Racamier).

La classificazione dei deliri


1) In relazione al contenutodel delirio si distinguono:

- Deliri persecutori
- Deliri di grandezza
- Deliri depressivi
- Deliri di colpa
- Deliri di gelosia
- Deliri mistico-religiosi

2) In relazione al decorso del delirio si distinguono:

- Deliri acuti
- Deliri cronici
- Deliri episodici

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- Deliri ricorrenti
- Deliri residui

3) In relazione alla comprensibilità si distinguono:

- Deliri primari
- Deliri secondari

4) In relazione alla stabilitàe alla connessione delle varie idee che lo costituiscono:

- Delirio sistematizzato
- Delirio non sistematizzato

5) In relazione allo stato di coscienza:

- Delirio lucido
- Delirio confuso

Tra i Deliri a tematica persecutoria, tipici della Schizofreniae della Paranoia, sono compresi:

1) il Delirio di persecuzione propriamente detto, in cui la persona si convince di


essere oggetto di persecuzione da parte di soggetti e/o gruppi ben precisi identificabili
nella società e/o nei familiari;
2) il Delirio di nocumento, in cui il paziente è convinto che qualcuno voglia
danneggiarlo;
3) il Delirio di veneficio, in cui il paziente è convinto che qualcuno voglia avvelenarlo;
4) il Delirio di influenzamento, in cui il soggetto è convinto che delle forze esterne
condizionino il suo comportamento attraverso apparecchiature sofisticate o con la
forza del pensiero, agendo sul suo corpo, sui suoi movimenti e pensieri, costringendolo
finanche a compiere determinate azioni; è un delirio caratteristico della Schizofrenia;
5) il Delirio di riferimento, in cui il paziente si convince che gesti, atti, parole altrui o
situazioni ed eventi possano essere diretti alla sua persona, per fargli giungere, non
raramente attraverso i programmi televisivi, messaggi particolari, di amore, di
avvertimento, di minacci, di ingiuria;
6) il Delirio di rivendicazione o di querela, che scaturisce da un torto realmente subito
o solo immaginato, che innesca condotte che si esprimono con domande scritte,
manifesti, citazioni in giudizio e simili.

I Deliri di grandezza sono riscontrabili:

a) nelle sindromi maniacali


b) nella paranoia (abbastanza comprensibile dal momento che il paranoico riferisce tutto
al sé)
c) nella schizofrenia

E comprendono:

- il Delirio megalomanico, in cui il paziente è conviento di possedere poteri


straordinari; è ricorrente nelle schizofrenia a sfondo paranoico dove ad essere
investita di grandezza è la propria personalità , e nelle forme maniacali dove il soggetto
vive una sensazione di strapotere e di illimitate risorse e capacità ;
- il Delirio genealogico, in cui il soggetto nutre la ferma convinzione di essere parente
di un personaggio famoso e di discendere da una genealogia illustre;

44
- il Delirio di potenza, in cui il soggetto nutre la convinzione di essere un personaggio
potente in grado di governare il mondo;
- il Delirio inventivo, in cui il soggetto è convinto di essere il fautore di grandi
invenzioni o scoperte geniali;
- il Delirio di riforma, in cui il paziente crede di poter rivoluzionare l’assetto socio-
politico o religioso vigente;
- il Delirio erotomanico, in cui il soggetto mostra un’incoercibile convinzione di essere
segretamente amato da una persona famosa, sebbene non esista il minimo indizio, che
lo porta finanche a diventare aggressivo nel caso in cui qualcuno ne ostacoli l’incontro;

La psicologia dinamica riconduce i Deliri di grandezza a una patologica stima di sé, sostenuta
da un’abnorme esaltazione delle componenti narcisistiche della propria personalità .

Per Freud la Megalomania nasce a spese della libido oggettuale che, sottratta l mondo esterno,
investe l’Io in una forma esasperata di narcisismo. Questi deliri possono avere carattere
compensatorio e, attraverso i meccanismi dell’onnipotenza e del diniego, gestire i sentimenti
depressivi legati a una situazione di lutto e perdita.

I Deliri depressivi si possono collocare al polo opposto rispetto ai precedenti, e sono


frequenti nei Disturbi Depressivi Maggiori; le varianti principali sono rappresentate da:

- il Delirio di rovina, in cui la visione del futuro è talmente pessimistica che, a volte, il
paziente preferisce salvare i propri familiari uccidendoli (vedi ad esempio i ricorrenti
omicidi-suicidi domestici che rivelano una grande quota depressiva intrafamiliare);
- il Delirio ipocondriaco, in cui il paziente crede, irragionevolmente, di avere una
malattia e si rivela del tutto incapace di accettare qualsivoglia rassicurazione medica;
- il Delirio di colpa, tipico della persona depressa, richiama un’idea di colpa, di
responsabilità , che porta spesso il soggetto in questione ad auto-accusarsi; nel Delirio
di colpa da un’ideazione prevalente si passa ad un’idea delirante per cui la persona
perde la capacità di confrontare l’idea con la realtà ; dall’idea di essere colpevole si
arriva alla certezza di esserlo;
- il Delirio di indegnità;
- il Delirio di autoaccusa, manifestazione tipica di gravi forme depressive, richiama un
contenuto ideativo delirante di colpa, in cui il soggetto si accusa di colpe insignificanti e
remote, percepite come incancellabili;
- il Delirio nichilistico o di negazione, in cui il soggetto nega l’esistenza di parti del
proprio corpo o della realtà (“il mio stomaco è diventato di pietra”, in senso letterale e
non metaforico).
I Deliri nichilistici sono il contrario dei Deliri di grandezza, in cui la persona stessa, gli
oggetti o le situazioni sono arricchiti (mentre qui vengono deprivati).
Del Delirio nichilistico fa parte la Sindorme di Cotard;
- la Sindrome di Cotard o Delirio di negazione cosmica, è una forma di delirio in cui
la negazione è spinta al suo grado estremo; la realtà è totalmente disinvestita da un
punto di vista affettivo (di Eros, di Libido). “Nulla esiste più” dichiara il paziente, viene
negata l’esistenza della realtà , del mondo.

Il Delirio di gelosia, che più propriamente dovrebbe denominarsi Delirio da infedeltà


coniugale, è un delirio persecutorio, caratterizzato dall’interpretazione dei dettagli più
insignificanti del comportamento del partner come indizio e prova del tradimento. Si può
manifestare:

a) nelle sindromi paranoidi

45
b) negli etilisti cronici (come conseguenza del progressivo deteriorarsi della relazione
coniugale causato dall’alcolismo)
c) in alcune sindromi psicorganiche, come la Corea di Huntington, le Demenze

Nel Delirio mistico-religioso soggetto crede di godere di un contatto privilegiato con il


divino.

In base alla sua comprensibilità, il Delirio va distinto in:

- Delirio primario, quando non risulta derivabile da alcuna reale esperienza


psicologica, né dai contenuti psichici attuali, e per questo rivela una natura
incomprensibile e inspiegabile;
- Delirio secondarioo deliroide, quando il delirio presenta un rapporto con un certo
stato mentale (una particolare condizione affettiva o un’esperienza psichica normale o
patologica) e per questo risulta spiegabile e derivabile.

In base alla stabilità e alla connessione delle varie idee che lo costituiscono, il Delirio va
distinto in:

- Delirio sistematizzato, quando risulta da una serie di idee tra di loro strettamente e
stabilmente connesse e ben articolate secondo una logica interna al delirio stesso;
- Delirio non sistematizzato, quando gli elementi costitutivi sono labili, poco ordinati;
questi deliri, frammentati e instabili, vengono anche detti “spunti deliranti”.

In relazione allo stato di coscienza poi va distinto:

- il Delirio lucido, in cui lo stato di coscienza è integro;


- il Delirio confuso o delirium, quando il delirio si produce in una condizione di
alterazione della coscienza di tipo confusionale.

L’affettività e i suoi disturbi


La sfera degli affetti rappresenta una dimensione fondamentale all’interno dell’esistenza di
ogni essere umano in grado di determinare largamente il temperamento, la personalità e la
modalità di entrare in relazione con il mondo esterno e con gli altri.

Dal mondo timico21deriva la spinta fondamentale alla vita, all’amore, al desiderio, all’azione.

Sotto certi punti di vista la vita affettiva è molto vicina al soma e ai suoi processi – l’influenza
delle emozioni sul corpo è una chiara dimostrazione di ciò -, per altri aspetti, invece, sembra
svincolarsi dal somatico per protendere verso il mondo del pensiero e psichico in generale,
tanto da influenzare tutte le funzioni psichiche (percezione, attenzione, memoria).

L’affettività è quindi la sfera dei sentimenti e delle emozioni, che interagisce con la sfera
cognitiva, intellettiva e somatica.

L’affettività si esprime fondamentalmente attraverso le emozioni, i sentimenti e le passioni


e umore.

21
tìmico agg. [der. del gr. ϑυμό ς (ma v. anche -timia)] (pl. m. -ci). – In psicologia e psichiatria, che riguarda i sentimenti fondamentali, le
manifestazioni degli affetti, gli stati emotivi e psichici, gli umori dell’individuo

46
Va innanzitutto sottolineata una differenza fondamentale: le emozioni sono biologiche e
universali, mentre i sentimenti sono soggettivi e particolari, culturalmente mediati e
influenzati.

Nello specifico:

- l’Emozione è una reazione affettiva intensa:


a) a insorgenza acuta, ovvero compare rapidamente
b) di breve durata
c) a seconda dei casi, piacevole o spiacevole
d) in grado di modificare, per un tempo limitato, l’equilibrio psicobiologico
e) insorge solitamente in risposta a stimoli esterni, ma può anche realizzarsi in
seguito a una sollecitazione interna (come avviene, per esempio, a partire da un
ricordo, o da una particolare rappresentazione mentale)

La capacità di provare emozioni, di esprimerle, di modularle, di controllarle o, al


contrario, di amplificarle fino a esserne condizionato o fortemente influenzato nel
rapporto con la realtà esterna, e, ancora, la qualità e l’intensità abituali delle emozioni,
sono strettamente in rapporto con l’organizzazione generale della personalità
soggettiva e con la specificità psicologica, cognitiva e relazionale dell’individuo, e ne
influenzano l’adattamento.

- Il Sentimento è un vissuto affettivo:


a) meno intenso della passione
b) meno violento e instabile dell’emozione, quindi più duratura rispetto a questa
c) orienta il comportamento affettivo e le relazioni interpersonali (investite di
affettività in misura minore o maggiore)
- La Passione è invece un vissuto affettivo intenso e durevole, e corrisponde al grado
più elevato di coinvolgimento affettivo verso un oggetto che rimane costantemente al
centro degli interessi della vita affettiva.
- L’Umore può essere differenziato:
a) Stato dell’Umore, epifenomeno e diretto riflesso della tonalità affettiva in un
determinato momento, e soggetto, per questo, a costanti variazioni momento per
momento in base all’equilibrio psicosomatico;
b) Umore di fondo, tonalità di base dell’affettività di un soggetto, caratteristica della
personalità , quindi durevole e relativamente indipendente dalle situazioni e dagli
stimoli ambientali.

Per questo l’Umore, in quanto riflesso di un insieme di fenomeni complessi, psichici e


somatici, influenza in modo determinante molte caratteristiche della vita psichica, la
rapidità del pensiero ad esempio, i suoi contenuti, il grado di iniziativa personale, il
livello di attenzione, ecc. L’Umore, infine, può scaturire spontaneamente e/o in
rapporto a avvenimenti del mondo esterno.

I disturbi dell’affettività
 L’Ansia è un disturbo centrale della sfera affettiva. Occupa un posto di rilievo in tutto il
campo della psicopatologia, in quanto sintomo pressoché ubiquitario nella psichiatria clinica,
all’interno delle turbe e delle affezioni psichiatriche.

47
L’Ansia può essere definita come uno stato affettivo di apprensione e di inquietudine che
nasce dalla rappresentazione di un pericolo reale o immaginario, oggettivo o soggettivo, che
viene anticipato nei suoi effetti, i quali sono vissuti come potenzialmente minacciosi.

Il soggetto ansioso, dunque, teme anticipatamente qualcosa che non è ancora presente, ma,
bensì, ha la possibilità di accadere, almeno secondo un giudizio soggettivo.

L’ansioso scambia il possibile per probabile.

L’Ansia va considerata quindi come uno stato affettivo innato, in rapporto all’istinto
primordiale di conservazione; in quanto tale, è un stato affettivo che, fisiologicamente,
ciascuno di noi sperimenta nel corso della vita e che, entro certi limiti, svolge una funzione
adattiva, favorendo la mobilitazione delle risorse psico-fisiche più adeguate ad affrontare una
situazione impegnativa. Diventa patologica quando influenza in modo disfunzionale
l’adattamento soggettivo, ovvero quando la sua intensità e la sua costanza/persistenza
diventano francamente abnormi.

L’Ansia è però , allo stesso tempo, sintomo fondamentale di Disturbi d’Ansia, e di molte altre
patologie psichiatriche; pertanto, essa va considerata tanto più espressiva di una patologia
psichica quanto più elevata è la sproporzione tra la reale pericolosità dello stimolo ansiogeno
e l’intensità e la durata della risposta ansiosa, fino al grado più elevato: l’Ansia anideicao
Ansia Libera, in cui il vissuto ansioso non rivela alcun rapporto con nessun evento esterno,
né con specifici contenuti mentali coscienti.

Detto quindi sinteticamente:

- Ansia come stato affettivo di apprensione e inquietudine che nasce dalla


rappresentazione di un pericolo reale o immaginario
- Stato affettivo innato, con funzione adattiva
- Sintomo ubiquitario della psichiatria clinica
- Il livello patologico è proporzionale alla sproporzione esistente tra la reale pericolosità
di uno stimolo ansiogeno e l’intensità e la durata della risposta ansiosa
- Ansia Anideica: vissuto ansioso sconnesso da qualsiasi tipo di evento esterno o
contenuto mentale interno

Per valutare correttamente la qualità del vissuto ansioso vanno considerati:

- gli stimoli scatenanti


- l’esperienza soggettiva
- la risposta psicofisiologica e comportamentale

Le prime osservazioni sull’Ansia sottolineavano la stretta relazione esistente tra:

1) l’esperienza psicologica
2) l’esperienza somatica correlata

Il termine stesso deriva dal greco “anchein” e dal latino “Angere” (da cui anche Angoscia e
Angina), “stringere”, “soffocare”, “angosciare”, e riporta a un concetto di sofferenza fisica
riferita agli organi vitali, a un senso di oppressione, soffocamento, impossibilità di respirare.

L’Ansia può essere inquadrata:

1) in un’ottica dimensionale
2) in un’ottica categoriale

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Il Modello Dimensionale colloca l’Ansia in un continuum che va dall’ansia normale-
fisiologica all’ansia patologica.

Il Modello Categoriale prende in considerazione le manifestazioni ansiose patologiche,


quindi i Disturbi d’Ansia e i Disturbi di Personalità del Cluster C.

A proposito dell’ottica Dimensionale dell’Ansia:

- l’Ansia normale è un sentimento universale che svolge una funzione adattiva; è una
reazione preformata, che consente all’uomo di utilizzare al meglio le proprie capacità
psicofisiche
- l’Ansia patologica è un vissuto altamente disfunzionale; è sicuramente complesso
tracciare il confine tra la normalità e la patologia delle manifestazioni ansiose.
Possiamo considerare patologico tutto ciò che impedisce all’individuo di vivere in
armonia con se stesso e con il mondo esterno, di adeguarsi realisticamente alle
situazioni nuove e impreviste, di esercitare e mantenere un controllo sulle proprie
emozioni, e che è foriero di sentimenti di impotenza associati a elevati livelli di
sofferenza.

Possiamo comprendere l’Ansia come:

- Tratto, ovvero come caratteristica stabile e permanente di personalità (Cluster C dei


Disturbi di Personalità );
- Stato, come condizione emotiva vissuta in un momento particolare e circoscritto;
- Sintomo, riscontrabile:
a) nei Disturbi dell’Umore
b) nella Schizofrenia
c) nei Disturbi dell’Adattamento
d) nella Ipocondria
e) nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)
f) nel Disturbo Borderline di Personalità
- Sindrome, quindi:
a) nei Disturbi d’Ansia
b) nel Disturbo d’Ansia secondario a condizioni mediche generali
c) nel Disturbo d’Ansia indotto da sostanza

Un’altra classificazione dell’Ansia è:

- Ansia anticipatoria
- Ansia sociale
- Ansia da prestazione

A proposito dell’ottica Categoriale dell’Ansia vanno distinti:

- i Disturbi d’Ansia (Disturbi clinici dell’Asse I nel DSM-IV-TR):


1) Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
2) Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), nel DSM-IV-TR:
con agorafobia
senza agorafobia(nel DSM5 i due disturbi si separano)
3) Disturbo Fobico, nel DSM-IV-TR:
agorafobia senza attacchi di panico
fobia specifica
fobia sociale(nel DSM5: Disturbo d’Ansia sociale)

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4) Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)
5) Disturbo Post-traumatico da Stress
6) Disturbo da Stress Acuto(ora unito al PTSD in Disturbi correlati a Stress e
Trauma)
7) Disturbo Ansioso-Depressivo
8) Disturbo d’Ansia secondario a Condizione Medica Generale
9) Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze
10) Disturbo d’Ansia Non Altrimenti Specificato
- L’Ansia nei Disturbi di Personalità del Cluster C (Cluster Ansioso):
1) Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità, in cui l’ansia è legata alla
costante esigenza di perfezionismo e alla meticolosità
2) Disturbo Eviante di Personalità, in cui l’ansia sociale porta a un evitamento
fobico delle relazioni interpersonali, al ritiro sociale e a portare avanti una vita
routinaria
3) Disturbo Dipendente di Personalità, in cui l’ansia e l’apprensione si scatenano di
fronte all’eventualità dell’abbandono

Quindi, la psicopatologia delle funzioni psichiche nell’Ansia:

- Affettività: Ansia
- Pensiero:
a) Tachipsichismo
c) blocco del pensiero
d) Idea fobica
e) Idea ossessiva
- Attenzione:
a) Ipoprosessia, nel DAP
b) Iperprosessia, nel GAD, nella Fobia e nel DOC
- Memoria: Deficit nel processo mnestico a livello

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a) fissazione
b) rievocazione
- Percezione:
a) Iperestesia, nella Fobia e nel DOC
b) Ipoestesia, nel DAP
c) Illusioni percettive
- Riduzione o aumento dell’appetito
- Alterazioni del ritmo sonno-veglia: lo stato di arousal psicologico e fisiologico
proprio dell’ansia disturba il sonno, impedendo l’abbassamento generale del
funzionamento psico-fisico dell’uomo, condizione indispensabile nella fase di
addormentamento.
A sua volta il sonno disturbato accentua lo stato d’ansia, al punto tale che, una volta che
l’insonnia si è determinata, non è semplice distinguere cause ed effetti, identificare cioè
il primum movens
- Area somatica:
a) Disturbi cardiovascolari
b) Disturbi gastrointestinali
c) Disturbi genito-urinari (aumento della minzione: pollachiuria)
d) Disturbi dell’apparato neuromuscolare
e) Disturbi degli organi sensitivo-sensoriale

 La Depressione, come l’ansia, è allo stesso tempo sintomo e sindrome, e come l’ansia è uno
dei sintomi psichiatrici più facilmente riscontrabili. Ansia e depressione sono infatti
esperienze affettive comuni, stati d’animo propri dell’essere umano, che accompagnano e
punteggiano fasi particolari del suo percorso esistenziale:

1) l’ansia, in rapporto al senso delle proprie limitazioni e quindi al senso di vulnerabilità


2) la depressione, in rapporto all’esperienza della perdita

La Depressione può essere intesa come un’alterazione del tono dell’umore in senso negativo
(abbassamento) che comporta intensi e profondi vissuti di tristezza, cui corrispondono una
riduzione dell’autostima e un bisogno di autopunizione, una riduzione dell’iniziativa e del
livello di partecipazione all’ambiente.

Come nel caso dell’Ansia, l’intensità e la durata di un vissuto depressivo segnano il limite tra la
depressione fisiologica, come stato normale e transitorio, e la depressione come sintomo, che
diventa allora di competenza psichiatrica.

Anche in questo caso, volendo sintetizzare, la Depressione:

- E’ un abbassamento al del tono dell’umore che comporta:


a) intense e profonde forme di tristezza
b) riduzione dell’autostima
c) bisogno di autopunizione
d) riduzione dell’iniziativa
e) diminuzione del livello di partecipazione all’ambiente
- Se l’intensità e la durata della Depressione superano certi limiti o questa si presenta in
circostanze che non la giustificano allora diventa un sintomo, e per questo di
pertinenza psichiatrica
- E’ il sintomo centrale di:
a) Disturbo Depresivo Maggiore
b) Disturbo Distimico (oggi Disturbo Depressivo Persistente)

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 L’Ipertimia, o Umore Espansivo, è la condizione psichica opposta a quella depressiva e
consiste in un immotivato e intenso sentimento di benessere, da un’euforia molto spinta e
immotivata, un ottimismo sfrenato e irrazionale ed un incongruo aumento di autostima. A
causa dell’elevata fiducia in sé che ne deriva, il soggetto può essere indotto ad agire
acriticamente, impulsivamente, e senza opportuna valutazione delle possibili conseguenze.

Si riscontra nella mania, ove l’Ipertimia si accompagna ad eccitamento psicomotorio.

Anche qui sintetizzando:

- Condizione opposta alla Depressione


- Immotivato ed intenso senso di benessere, euforia spinta, aumento dell’autostima e
ottimismo sfrenato
- Causa di comportamenti non correttamente criticati e valutati nelle loro conseguenze
- Sintomo specifico della mania, dove si accompagna ad eccitamento psicomotorio

 La Disforia consiste in una irritabilità dell’umore che si associa a un aumento delle risposte
emotive anche per stimoli poco significativi; è cioè una tendenza a reagire esageratamente dal
punto di visto emotivo a stimoli esterni (ambientali) e interni (sensazioni somatiche,
emozioni, rappresentazioni). Descrive un quadro di eccessiva reattività emotiva.

Correla con una scarsa capacità di autocontrollo, che può tradursi in comportamenti
aggressivi, rabbiosi e improntati all’ira.

 La Labilità affettiva è una particolare instabilità e variabilità dell’umore che muta


rapidamente e senza una sufficiente ragione, passando dalla gioia alla tristezza.

 L’Ambivalenza Affettiva è la coesistenza di sentimenti opposti, antitetici e in netto


contrasto, nei confronti di una stessa persona o situazione; essa assume un significato
psicopatologico quando diventa intensa e pervasiva, come nella Schizofrenia, nella quale
rappresenta uno dei sintomi primari, e segnale di una grave dissociazione della funzione
affettiva.

Il termine “Ambivalenza” fu introdotto da E. Bleuler per il quale questa poteva investire:

- l’intelletto, per cui un soggetto enuncia un’idea e il suo contrario


- la volontà , per cui nello stesso tempo un soggetto vuole e non vuole compiere una
determinata azione
- l’affetto per cui un soggetto nutre nei confronti della stessa persona o situazione
sentimenti contraddittori di odio e amore

Successivamente il termine fu ristretto alla tonalità affettiva.

Sintetizzando quindi, l’Ambivalenza:

- è la coesistenza di sentimenti opposti nei confronti di una stessa persona o situazione


che, se intensa e pervasiva rivela un carattere psicopatologico;
- Il termine fu introdotto di E. Bleuler in riferimento a:
a) intelletto
b) volontà
c) affetto

Venne poi ristretto alla sola sfera affettiva

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- è uno dei sintomi primari della Schizofrenia

 L’Apatia consiste in uno stato di completo distacco e disinvestimento emotivo ( -:


senza pathos) e in un’incapacità di partecipazione affettiva, nell’assenza, quindi,
consequenziale, di sentimenti piacevoli o spiacevoli.

 Lo Stupore Emozionale è uno stato di indifferenza affettiva, determinato da una incapacità


di adattamento a situazioni altamente stressanti in cui il carico emozionale è talmente elevato
da risultare insopportabile e traumatico, così da determinare una sorta di transitoria paralisi
della funzione affettiva, che può avere un significato difensivo.

 Il Sentimento dell’Assenza di Sentimento, o Sentimento di Anaffettività, corrisponde a


una sensazione di svuotamento con la quale il paziente avverte dolorosamente il progressivo
impoverimento della sua vita affettiva e il venir meno della spinta verso persone e situazioni.

 L’Ipocondria è uno stato affettivo (oltre che uno contenuto ideativo) legato al timore di
ammalarsi. L’ipocondriaco dubita continuamente del proprio stato di salute, amplifica
trascurabili sintomi e segni somatici, è continuamente dominato dallo spettro della malattia.

La condizione ipocondriaca può oscillare dal dubbio della malattia alla assoluta certezza della
stessa, come avviene nei deliri ipocondriaci della Depressione e della Schizofrenia.

 L’Inadeguatezza-Incongruità-Dissociazione Affettiva possono essere considerati gradi


differenti di uno stesso sintomo che consiste nella discordanza tra lo stato affettivo e gli eventi
esterni. Rappresentano, cioè, le fasi di un continuum di un processo in cui si assiste alla
perdita della congruenza tra la qualità e l’intensità di una esperienza affettiva e la situazione
da cui questa scaturisce; la risposta affettiva risulta quindi incomprensibile, incongrua,
paradossale, limitata o esasperata, in relazione alle situazioni che la determinano.

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6. PSICODIAGNOSTICA
Insieme alla raccolta dell’anamnesi e all’esame psichico effettuato attraverso il
colloquio/intervista clinica, l’esame psicodiagnostico può rappresentare un terzo
fondamentale momento nella formulazione della diagnosi psichiatrica.

Le tecniche di indagine psicodiagnostica – test o reattivi mentali – oltre a rispondere a


esigenze strettamente nosografiche e classificatorie, consentono di acquisire numerosi dati
riguardanti aspetti specifici del funzionamento mentale e della struttura della personalità del
paziente, quali:

- il funzionamento cognitivo
- la vita affettiva e relazionale
- i tratti personologici
- i meccanismi difensivi maggiormente utilizzati

Essa infine contribuisce a chiarire e a definire sia le variabili eziopatogenetiche che le


possibilità prognostiche.

L’indagine psicodiagnostica comprende tre differenti tipi di reattivi mentali, in relazione agli
aspetti che si intende valutare:

1) Test neuropsicologici
2) Test d’Intelligenza o di Livello
3) Test di Personalità

Va sottolineato comunque che questa distinzione è valida da un punto di vista meramente


descrittivo e generale, in quanto è abbastanza evidente che, ad esempio, il livello e la qualità
dell’intelligenza possono essere influenzati da alcuni tratti di personalità o che esistono molte
aree di sovrapposizione tra parametri psicointellettivi e neuropsicologici.

Un’altra possibile classificazione dei test psicodiagnostici, più articolata e precisa, è quella che
distingue:

1) Test di Prestazione e di Rendimento:

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a) Test di Intelligenza
b) Test Attitudinali
c) Test per lo Studio delle Singole Funzioni Psichiche
d) Test Psicofisiologici
e) Test Neurofisiologici
2) Test di Personalità:
a) Obiettivi:
- MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory)
- 16 PF di Cattel
- EPI (Eysenck Personality Inventory)
- Rating Scales(Scale di Valutazione dei Sintomi)
b) Proiettivi
- Rorschach
- Zullinger
- TAT (Thematic Apperception Test)
- Blacky Pictures
- ORT (Object Relations Technique)
- Rosenzweig
- Favole di Luisa Duss

I Test di Prestazione e di Rendimento


A) I Test di Intelligenza
I Test di Intelligenza, detti anche Test di Livello, vengono impiegati per determinare
l’efficienza intellettiva, funzione complessa che risulta dalla combinazione della capacità di:

- apprendere dall’esperienza
- risolvere problemi
- assimilare le capacità e le conoscenze possedute alle situazioni nuove
- ricordare
- ragionare
- associare correttamente le idee
- cogliere analogie e differenze
- concettualizzare
- astrarre

Il primo di questi test fu quello introdotto da Binet e Simon, e successivamente modificato


presso la Stanford University (Scala Stanford-Binet), che proponeva la valutazione del
Quoziente Intellettivo (QI) nei bambini, inteso come il rapporto quindi tra età mentale e età
cronologica.

Nel 1939 fu introdotto la WAIS (Wechsler Adult Intelligence Scale), il test di intelligenza per
adulti più utilizzato e meglio standardizzato. Si tratta di un insieme di:

- 11 subtest, di cui:
a) 6 subtest di comprensione verbale, che prevedono una risposta orale
b) 5 subtest non verbali o di performance, che consistono in una prova manuale

I subtest esplorano anche:

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1) Attenzione
2) Memoria
3) Patrimonio culturale
4) Capacità costruttive
5) Ragionamento logico
6) Ragionamento aritmetico
7) Coordinazione visuo-spaziale

Si ricava:

- un QI verbale (QIV), dai punteggi delle prove verbali


- un QI di performance (QIP), dai punteggi delle prove di performance
- un QI totale, che risulta dalla somma del QIV e QIP

Si considera:

- medio un QI tra 90 e 110


- medio-superiore un QI tra 110 e 120
- nettamente superiore un QI da 130 in su
- medio-basso tra 80 e 90
- al limite tra 70 e 80
- al di sotto di 70 si configura una situazione di ritardo mentale
a) ritardo mentale lieve, se da 50 a 70
b) ritardo mentale moderato, se da 35 a 50
c) ritardo mentale grave, se da 20 a 35
d) ritardo mentale gravissimo, sotto i 20

Il test può anche fornire un indice del Deterioramento Mentale, in relazione alla distinzione
tra sub test che risentono maggiormente dell’invecchiamento e subtest che invece consentono
un rendimento sufficientemente buono, nonostante l’età avanzata (i sub test che “tengono”), e
che quindi richiedono minore elasticità mentale, basandosi sull’utilizzazione di conoscenze e
esperienze consolidate negli anni: cultura generale, definizione di vocaboli, completamento e
ricostruzione delle figure. Viene considerato:

- Deterioramento significato, un deterioramento superiore al 10%


- Deterioramento nettamente patologico, un deterioramento superiore al 20-25%

B) I test attitudinali
Insieme ai Test di Idoneità , sono impiegati in psicologia del lavoro per:

- la selezione del personale


- valutare la potenziale capacità di rendimento e l’inclinazione (in senso cognitivo,
psicointellettivo e psicofisico) all’espletamento di determinate attività

C) I Test per lo Studio delle Funzioni Psichiche Singole o Complesse


Sono reattivi psicologici impiegati per studiare specifiche funzioni o facoltà psichiche
(attenzione, memoria, percezione visiva, la capacità di distinguere i colori, l’attività motoria, la

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coordinazione senso-motoria, lo speed-test che valuta la rapidità nell’eseguire un compito
assegnato).

D) I Test psicofisiologici
Riguardano lo studio delle variazioni di alcuni parametri fisiologici durante determinati stati
psicologici. Un’interessante applicazione di queste metodiche è rappresentata dallo studio
delle modificazioni fisiologiche determinate dall’alterazione dello stato di coscienza, come
quelle che si realizzano negli esercizi di rilassamento o nelle tecniche di meditazione.

E) I Test neuropsicologici
Sono utilizzati per scopi clinici o di ricerca perevidenziare gli effetti di lesioni o disfunzioni
cerebrali.

Le più importanti e complete batterie di questo gruppo di test sono quelle di:

- Lurija-Nebraska
- Halstead-Reitan

La batteria di test neuropsicologici Lurija-Nebraska venne messa a punto nell’Università del


Nebraska utilizzando i contribuiti fondamentali del neuropsicologo russo Lurjia. E’ costituito
da 269 item che esplorano:

a) le funzioni intellettive
b) le funzioni motorie
c) le funzioni sensoriali
d) le capacità espressive

E’ attualmente impiegata, oltre che nello studio neuropsicologico dei cerebrolesi, anche nella
valutazione delle funzioni cognitive dei pazienti affetti da Schizofrenia Cronica.
La batteria di Halstead-Reitan è composta da una serie di test che indagano le aree delle
funzioni:

a) tattili
b) uditive
c) visuo-motorie
d) intellettive
e) la percezione del tempo e dello spazio

Oltre a queste due ampie e complesse serie di test, esistono tecniche di valutazione
neuropsicologica più semplici e rapide, che esplorano settori più limitati delle funzioni
neuropsicologiche.

La valutazione neuropsicologica delle capacità di ragionamento e di concettualizzazione, ad


esempio, può essere effettuata con:

- il Wisconsin Card-Sorting Test (WCST) che valuta la capacità di ordinare una serie di
tavole differenti per colore, forma e numero secondo criteri stabiliti dall’esaminatore

57
- le Matrici Progressive di Raven (o PM 38), che si basano sulle analogie spaziali, e
attraverso le quali il soggetto deve completare una serie di figure astratte, fornite con
un ordine di difficoltà progressivamente crescente; le Matrici Progressive
rappresentano anche un test non-verbale di intelligenza

 I Test di Personalità
A) Test di Personalità Obiettivi
I Test di Personalità Obiettivi consistono in questionari che esplorano i tratti di personalità
normali e patologici.

Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) è sicuramente uno dei Test di


Personalità Obiettivi più diffusi; esso comprende 550 domande – che prevedono una risposta
“vero”, “falso”, “non so” – volte a evidenziare componenti patologiche della personalità
differenziate in 10 scale cliniche:

1) Ipocondria
2) Depressione
3) Isteria
4) Deviazione psicopatica
5) Mascolinità -Femminilità
6) Paranoia
7) Psicastenia
8) Schizofrenia
9) Mania
10)Introversione

Il test comprende inoltre altre 3 scale di validità dalle quali si evidenzia l’atteggiamento verso
il test (sincero, falso, difensivo, tendente a minimizzare o ad esagerare) e che quindi
consentono di meglio interpretare i risultati ottenuti alle scale cliniche.

Di recente l’MMPI è stato rivisto in alcuni suoi aspetti, sono stati eliminati alcuni item, parte
della terminologia è stata rimodernata, cercando una maggiore adesione al linguaggio
corrente, e inoltre sono stati aggiunti alcuni item nuovi relativi all’abuso di alcool e droghe,
alle condotte suicidarie e alla sfera delle relazioni interpersonali.

Il 16 PF di Cattellesplora 16 dimensioni della personalità , meno vincolate alla psicopatologia


e alla nosografia rispetto a quelle indagate dall’MMPI, e valutata in modo bipolare, come ad
esempio, tra i tanti:

- Riservato-cordiale
- Fiducioso-sospettoso
- Impulsivo-controllato
- Remissivo-assertivo
- Opportunista-coscienzioso

L’Eysenck Personality Inventory (EPI) si basa, come i precedenti, sul self-report (test carta
e matita) e su domande a risposta “vero”-“falso”; evidenzia aspetti quali l’emotività ,
l’introversione, la socievolezza. La sua elaborazione si fonda sulla teoria della personalità di

58
Eysenck. Il test consta di 69 item e a causa del suo limitato valore clinico-diagnostico è
prevalentemente usato a scopo di screening(indagini diagnostiche generalizzate).

Tra le numerose altre scale di valutazioni obiettive della personalità o di suoi specifici tratti,
ricordiamo alcuni Test Monofasici, così chiamati per la loro caratteristica di indagare una
specifica area psicologica:

- STAI, per la misurazione dell’ansia di stato e di tratto


- BDI (Beck Depression Inventory) per la valutazione della depressione
- STAS (State and Trait Anger State) per la valutazione dell’aggressività di stato e di
tratto

Le Rating Scales hanno molto in comune con i Test Monofasici, infatti sono scale di
valutazione e quantificazione dei sintomi psichiatrici; valutano quindi la sintomatologia
clinica, ma possono indagare anche l’adattamento sociale e familiare. Il loro impiego, piuttosto
ampio e diffuso, è giustificato dall’esigenza in ambito clinico, terapeutico, epidemiologico e di
ricerca, di disporre di metodi precisi per misurare:

1) l’intensità dei sintomi psicopatologici


2) la variazione nel tempo dei sintomi psicopatologici

Alcune Scale di Valutazione sono costruite per la valutazione e quantificazione di:

- Ansia
- Depressione
- Sintomi positivi e negativi della Schizofrenia
- Fobia
- Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)
- Funzionamento sociale
- Patologia psichiatrica dell’anziano
- Valutazione globale della psicopatologia
- Miglioramento clinico durante il trattamento

Le Rating Scales, per quanto utili ausili clinici, non possono in alcun modo sostituire,
ovviamente, il colloquio clinico. Saranno l’esperienza e la sensibilità di chi li somministra a
evitare al paziente di vivere questi strumenti come disturbanti o intrusivi.

B) I Test Proiettivi
Il principio su cui si basano i Test Proiettivi si colloca all’estremo opposto rispetto a quello
delle Rating Scales.

Il Test Proiettivo infatti prevede la proposta di materiale:

1) poco definito nei suoi possibili significati


2) a volte, come nel caso del Rorschach, poco definito anche nelle sue determinati formali

Per tale ragione il Test Proiettivo è in grado di promuovere l’attiva partecipazione e il


coinvolgimento del soggetto, e le sue funzioni:

59
- percettive
- rappresentative
- affettive
- immaginative

Lo stimolo determinato dal reattivo va quindi a sollecitare non le solo le funzioni cognitive ma
anche una elaborazione più profonda che consente di evidenziare, attraverso le risposte
fornite, alcuni aspetti legati ai processi inconsci.

Il termine proiettivo sta proprio a indicare quella modalità per cui il soggetto, nell’organizzare
lo stimolo percettivo e nell’identificarlo compiutamente, utilizza dei criteri personali e
soggetti che risentono della sua struttura di personalità e delle variabili cognitive e affettive: il
soggetto cioè proietta sul materiale psicodiagnostico contenuti propri. In questo tipo di
reattivi non esiste quindi una risposta esatta, ma le risposte prodotte vanno ad evidenziare
componenti e tendenze profonde della vita mentale e possono consentire l’individuazione di
particolari aree conflittuali.

Il Test di Rorschach fu ideato dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach nel 1920 e
consiste in 10 tavole che raffigurano ciascuna una macchia simmetrica grigio-nera o grigio-
rossa o multicolore.

Il soggetto in esame deve riferire all’esaminatore, per ogni tavola, che cosa immagina possa
essere la macchia raffigurata, la quale, ricordiamo, rivela una configurazione formale non
definita. L’insieme delle riposte viene poi sottoposto a una “inchiesta” circa i fattori che hanno
determinato maggiormente la risposta, quindi se la riposta è stata scaturita, per esempio,
dalla forma, o dal colore, o dal chiaroscuro, dal movimento. A partire da queste risposte è
possibile ricavare lo psicogramma, ovvero l’insieme delle siglature che riassumono:

- l’area della macchia dove è stata localizzata la risposta


- il contenuto della risposta (se banale o originale, se umano, o animale, geografico,
anatomico)
- le determinanti della risposta
- la presenza di fenomeni particolari che possono assumere un certo significato
patologico

Lo psicogramma fornisce una descrizione abbastanza ampia del funzionamento mentale


attuale e dei principali aspetti del profilo personologico del soggetto esaminato.

Il Test di Zullinger o Zeta Test si basa sugli stessi principi del Test di Rorschach, di cui
rappresenta una sorta di forma abbreviata, essendo costituito da 3 sole tavole.

Il TAT fu elaborato da H.A.Murray e consiste in una serie di 31 tavole raffiguranti (tranne una
che è bianca) scene a forte coloritura emotiva ma dai possibili molteplici significati; anche in
questo caso, quindi, l’interpretazione da parte del soggetto o la storia che egli è in grado di
costruire a partire dalla scena (o di inventare del tutto, nel caso della tavola bianca),
risentendo dell’ambiguità e della indefinitezza dello stimolo proposto, consentirà l’emersione
di problematiche personali o conflitti relazionali, attraverso un gioco di identificazioni,
fantasie e desideri. Abitualmente viene impiegato un numero limitato di tavole, selezionate in
base alle aree psicologiche che l’esaminatore intende indagare.

Nell’interpretazione diagnostica di tali risposte:

60
1) si individua il personaggio centrale della scena (l’”eroe”) e di questo si notano le
aspirazioni, i bisogni, le tensioni, i condizionamenti ambientali
2) si individuano gli altri personaggi della scena, i quali sono anche in grado di
determinare processi identificativi e proiettivi di parti inconsce della personalità
dell’esaminando

Il TAT, a differenza del Rorschach, è maggiormente in grado di indagare:

- la dimensione interpersonale
- il ruolo delle figure significative
Il CAT esplora le fantasie dei bambini dai 3 ai 10 anni con lo stesso metodo del TAT,
presentando cioè scena sulle quali costruire racconti; al posto delle figure umane, per favorire
l’attività fantastica dei bambini, le tavole presentano degli animali.

Il Blacky Pictures propone delle vignette che presentano scene riguardanti il cagnolino
Blacky; anche in questo caso il soggetto esaminato dovrà inventare un racconto per ogni
vignetta. Il test ha una chiara connotazione psicodinamica, perché richiama le situazioni
conflittuali dei vari stadi dello sviluppo psicosessuale (aggressività orale, situazione edipica,
antagonismo tra fratelli, ecc.).

Il Test evidenzia quindi:

- i meccanismi di difesa utilizzati


- le modalità di relazione oggettuale
- il livello di maturazione affettiva e psicosessuale
L’ORT (Object Relations Technique) è, al pari del TAT e del Blacky Pictures, un Test
Tematico; il suo fondamento teorico va ricercato nel modello kleiniano che pone al centro
della sua impostazione, appunto, lo studio degli oggetti interni e delle relazioni con tali
oggetti. Consiste in 12 tavole (più una bianca) che propongono varie situazioni relazionali in
una scena che, di volta in volta, si differenzia per colore e grado di luminosità , evocando
sensazioni diverse di paura, attrazione, calore o freddezza.

Il Test di Rosenzweig esplora l’atteggiamento verso le situazioni frustranti, attraverso 24


vignette che presentano due individui, di uno subisce una frustrazione dall’altro; il test
consiste appunto nell’inventare una risposta all’affermazione del soggetto frustrante,
riportata nella vignetta sotto forma di fumetto. Le risposte si classificano in:

- risposte extrapunitive, quando la reazione aggressiva è rivolta verso l’esterno


- risposte intrapunitive, quando la reazione aggressiva è rivolta verso di sé
Le Favole di Luisa Duss sono un altro strumento testologico di tipo tematico, utilizzato nella
psicoterapia infantile.

Consiste nel proporre l’inizio di una fiaba che il bambino dovrò poi sviluppare e completare.

61
PARTE II: LA CLINICA

7. DISTURBI DA DEFICIT COGNITIVO


Oggi in DISTURBI NEUROCOGNITIVI.

Il DSM-IV-TR inseriva in questa categoria tutti i disturbi che presentano come elemento
psicopatologico preminente, un deficit delle funzioni cognitive:

- coscienza
- memoria
- intelligenza
Tali patologie sono sostenute da un’alterazione organica che può determinare un quadro
clinico segnato da:

a) un deficit cognitivo totale, nel caso del Delirium e della Demenza


b) un deficit cognitivo parziale, come nel caso della Sindrome Amnestica
c) esiste anche undeficit cognitivo secondario ad abuso di sostanze

SINDROME CONFUSIONALE O DELIRIUM


Il quadro clinico è dominato da un deficit cognitivo a carico della coscienza e dell’attenzione e
da un decorso clinico fluttuante .

62
Epidemiologia
E’ probabilmente la patologia psichiatrica più frequente in ambito ospedaliero, specie nei
reparti di terapia intensiva e tra i pazienti con lesioni cerebrali.

Particolarmente esposti alla Sindrome Confusionale sono i bambini e gli anziani.

Eziologia
Tra le possibili cause:

- malattie infettive
- squilibri endocrini
- squilibri metabolici
- malattie cardiologiche
- malattia epatiche
- malattie renali
- encefalopatia ipertensiva22
- traumi cranici
- forme secondarie a sovradosaggio di sostanze psicoattive (Deficit Cognitivo Secondario
ad Abuso di Sostanze)

Clinica
Nella Sindrome Confusionale o Delirium:

- L’esordio è generalmente brusco, acuto


- Il decorso clinico è fluttuante
- la durata è generalmente breve
NOTA BENE: i tre punti di cui sopra segnano la differenza con una Sindrome
Demenziale, ad esempio.
- il quadro clinico è dominato da:
a) alterazioni della coscienza: (1) disorientamento temporo-spaziale; (2) perdita
dell’orientamento sul parametro d’oggetto; (3) vedi Confusione Mentale, in
“Psicopatologia” (cap.5)
b) alterazioni dell’attenzione (ipoprosessia)
c) affetto: il paziente si presenta talvolta apatico e perplesso, talvolta irrequieto e
confuso
d) percezione: possono essere presenti disturbi della percezione come illusioni ed
allucinazioni
e) memoria: possono essere presenti disturbi a carico della memoria (ipomnesia)

22
L'encefalopatia ipertensiva è una patologia che si manifesta in pazienti colpiti dall'ipertensione; segni e sintomi caratteristici sono
cefalea, stato di confusione per l’appunto, vomito e convulsioni, che a volte portano al coma.

63
- il ritmo sonno-veglia è alterato e generalmente la sintomatologia si aggrava nelle ore
notturne
- può coesistere un aggravamento delle condizioni fisiche generali, quindi:
a) ipertermia23
b) modificazioni dell’equilibrio idro-salino (rapporto tra liquidi e sali nell’organismo
umano)
c) complicanze a carico dell’apparato respiratorio
d) complicanze a carico dell’apparato urinario

Diagnosi
Nel caso di Sindrome Confusionale o Delirium, va riconosciuto nel più breve tempo possibile il
fattore organico che rappresenta l’eziologia (causa) del disturbo.

Pertanto l’iter diagnostico si fonda su:

- monitoraggio delle funzioni vitali


- screening ematochimico completo (i comuni esami del sangue)
- valutazione della funzionalità cardiaca, epatica, renale
- in alcuni casi, TAC cerebrale

Terapia
Occorre innanzitutto trattare la causa organica responsabile della patologia.

In caso di agitazione psicomotoria si somministrano: (1) neurolettici; (2) benzodiazepine.

SINDROMI AMNESTICHE
Il quadro clinico è dominato da turbe della funzione mnesica, risultato di specifiche alterazioni
di natura organica.

Le amnesie si distinguono in:

- amnesia anterograda, se il deficit mnesico riguarda gli eventi insorti dopo il disturbo
- amnesia retrograda, se il deficit mnesico riguarda gli eventi accaduti prima del
disturbo
- amnesia retroanterograda, se il deficit mnesico riguarda gli eventi avvenuti sia prima
che dopo il disturbo

23
L'ipertermia è un forte aumento della temperatura corporea, conosciuta anche come colpo di calore. È una condizione del corpo che può
verificarsi per causa di particolari condizioni climatiche tipiche dell'estate, ovvero alta temperatura dell'aria, alta umidità e prolungata
esposizione al sole. È diversa dalla febbre, perché la febbre è una risposta dell'organismo a uno stato di infezione e insorge a prescindere
dalla temperatura esterna; l'ipertermia invece insorge senza questo comando, indotta solo dalla temperatura esterna. La febbre quindi, a
differenza dell’Ipertermia, è un rialzo termico dovuto a cause endogene.

64
Eziologia
Turbe della memoria sono causate da alterazioni che interessano:

- le strutture diencefaliche (talamo, ipotalamo)


- le strutture temporali mediali (ippocampo, fornice, corpi mamillari)
Altra cause specifiche sono:

- deficit di tiamina (o vitamina B1) nella Sindrome da Dipendenza Alcolica, che


determina il Delirium Tremens
- traumi cranici
- encefalite virali24
- epilessia del lobo temporale
- ipossia cerebrale

Diagnosi differenziale
Va posto con (1) la Demenza e (2) la Sindrome Confusionale, in cui il deficit mnesico non è
isolato, ma si associa a disturbi di altre funzioni cognitive. Per la terapia occorre individuare la
causa della Sindrome Amnesica e trattarla.

8. DEMENZE
Definizione
Secondo L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità ) la Demenza è una malattia
caratterizzata dalla progressiva e ingravescentecompromissione globale (acquisita) delle
funzioni corticali superiori.

Oggi in DISTURBI NEUROCOGNITIVI.

Clinicamente si evidenziano:

- alterazione della memoria a breve e a lungo termine


- deficit delle funzioni cognitive (deficit nelle funzioni di calcolo, nel pensiero astratto,
nella capacità di giudizio critico)
- cambiamenti della personalità , a livello di comportamento e di umore (infatti a volte si
scambia un quadro pseudo-demenziale di natura depressiva per un quadro
demenziale)
- assenza della compromissione dello stato di coscienza (a differenza della Sindrome
Confusionale)
- significativa interferenza sullo svolgimento dei comuni atti della vita quotidiana, e
nella dimensione affettiva e lavorativa

Senescenza e Demenza
24
Encefalite virale infezione virale che causa l’infiammazione delle cellule del cervello.

65
Resta aperto il problema della distinzione tra i disturbi da fisiologico invecchiamento
cerebrale e le demenze in senso stretto.

Infatti, le alterazioni senili della sfera cognitiva assumono un vasto e articolato spettro di
presentazione ed evoluzione, che va dai deficit mnesici e di apprendimento correlati al
fisiologico invecchiamento, fino al grave e globale declino cognitivo che caratterizza le forme
di Demenza.

Secondo alcuni Autori, infatti, tra Senescenza e Demenza esisterebbero, dal punto di vista
clinico, solo differenze di tipo quantitativo: il fisiologico invecchiamento sarebbe, cioè, una
forma di Demenza a decorso lentissimo.

Epidemiologia
L’aumento della vita media nei Paesi occidentali ha determinato un aumento della prevalenza
della patologia demenziale.

La rilevazione epidemiologica è scarsamente attendibile, in quanto è verosimile l’esistenza di


una rilevante quota di patologia sommersa, che rimane non rilevata.

Secondo stime attendibili:

Prevalenza: 5-15% entro i 70 anni; 25% oltre gli 80 anni

Nosografia
Numerose patologie somatiche generano quadri clinici di demenza che, in tali casi, è quindi
epifenomeno delle patologie in questione; altre volte la Demenza, invece, rappresenta la
sindrome più importante.

In base alla eziologia è possibile classificare le Demenze in:

- Demenze primitive
- Demenze secondarie, le quali possono derivare da:
a) patologie vascolari
b) patologie infettive e infiammatorie del SNC
c) patologie neoplastiche
d) alterazioni metaboliche
e) alterazioni ormonali (neuroendocrini)
f) alterazioni tossiche

Tra le Demenze Primarie(o Demenze Degenerative) ricordiamo, tra le altre:

- Demenza Degenerativa Primaria Tipo Alzheimer


a) ad esordio precoce (o Malattia di Alzheimer-AD)
b) ad esordio senile (o Demenza senile tipo Alzheimer-SDAT)
- Malatta di Pick
- Corea di Huntington
- Malattia di Parkinson

66
DEMENZA DEGENERATIVA PRIMARIA TIPO ALZHEIMER AD
ESORDIO PRECOCE (MALATTIA DI ALZHEIMER-AD) O AD
ESORDIO SENILE (DEMENZA SENILE TIPO ALZHEIMER-SDAT)
La malattia di Alzheimer prende il nome dall’Autore che all’inizio del secolo individuò e
descrisse questa patologia in una donna di 52 anni, affetta da grave deterioramento delle
funzioni cognitive.

E’ una demenza atrofica, porta cioè ad atrofia cerebrale (quindi alla degenerazione/morte
delle cellule cerebrali e alla conseguente riduzione del volume del parenchima cerebrale).

Eziologia
Non è ancora del tutto chiara.

In attesa dell’individuazione di un convincente supporto biologico, si possono oggi citare


come possibili concause all’origine della malattia variabili di natura:

- genetica
- virale
- immunitaria
- tossica

Anatomia Patologica
La malattia di Alzheimer è caratterizzata sul piano istopatologico25dalla presenza di placche
senili26 e dalla degenerazione neurofibrillare27. Tali alterazioni sono presenti in tutta la
corteccia e segnatamente:

- nelle aree associative fronto-parieto-temporali (soprattutto temporale)


- in alcuni centri sottocorticali come l’ippocampo, il giro paraippocampale, l’amigdala e
anche il cervelletto.

Biochimica
Le alterazioni a carico del sistema colinergico sono il correlato biologico più consistente
della malattia.

25
istopatologìa s. f. [comp. di isto- e patologia]. – Parte dell’anatomia patologica che studia le alterazioni strutturali dei tessuti con i metodi
proprî dell’istologia.
26
placca senile Reperto autoptico tipico della demenza degenerativa di tipo Alzheimer, consistente in aggregati di resti assonali (quindi
materiale neuronale degenerato).
27
Degenerazione neurofibrillare risulta dall’aggregazione intraneuronale di filamenti proteici

67
Infatti, in sede corticale e sottocorticale (soprattutto nella zona ippocampale) si evidenzia una
diminuzione della colinoacetiltransferasi (CAT), enzima marker dei neuroni colinergici
(ovvero, è l’enzima necessario per sintetizzare il neurotrasmettitore acetilcolina) 28, che
consente alla Acetilcolina di essere internalizzata nelle vescicole sinaptiche.

La conferma del coinvolgimento del sistema colinergico nella malattia, è data dalla
riproduzione sperimentale dei disturbi cognitivi (diminuzione delle facoltà cognitive)
attraverso la somministrazione di farmaci anticolinergici (come gli Antidepressivi Triciclici).

Anche se in misura minore rispetto al sistema colinergico, si evidenzia pure una


compromissione dei sistemi:

- catecolaminergico: (1) noradrenergico, (2) dopaminergico


- serotoninergico
Oltre ai neurotrasmettitori, recentemente è stato evidenziato un deficit anche di alcuni
neuropeptidi, segnatamente le Somatostatine (SS)

Metabolismo cerebrale
La PET (Tomografia a Emissione di Positroni) consente lo studio del consumo cerebrale di
ossigeno e glucosio. Nella AD e nella SDAT il consumo di glucosio è ridotto: è cioè riscontrabile
un ipometabolismo che determina una significativa compromissione delle funzioni cognitive.

Flusso ematico cerebrale


Nei soggetti affetti da AD e SDAT è stata evidenziata una riduzione del flusso ematico
cerebrale, anche se ciò non avviene in fase iniziale e si suppone sia secondaria ai danni
neuronali.

Clinica
In base all’età di esordio si distingue:

- una forma senile (SDAT) a insorgenza dopo i 65 anni


- una forma presenile (AD) a insorgenza sotto i 65 anni
- l’esordio nel quinto decennio di vita è eccezionale
La AD/SDAT:

- ha un’insorgenza subdola (non acuta)


- ha un decorso progressivamente ingravescente
- determina una perdita globale delle facoltà intellettive
- determina la modificazione dell’assetto della personalità

28
L’Acetilcolina è sintetizzata generalmente nei neuroni dall’enzima CAT. La sua inibizione può portare a deficienza di acetilcolina, con
conseguenze rilevanti sulla funzione motoria.

68
Inoltre, nella AD/SDAT:

- si segnalano di solito nell’anamnesi modificazioni dello stile di vita quotidiano,


generalmente notate dai familiari o dai colleghi di lavoro, consistenti per lo più in
variazioni del tono dell’umore e in una diminuita efficienza intellettiva
- si segnala una precoce insorgenza delle turbe della memoria a breve termine, cui
seguono quelle della memoria a lungo termine, spesso accompagnate da
confabulazioni (NOTA BENE: le confabulazione NON ci sono nelle Pseudodemenze)
- Compare quindi la “Sindrome alogica di Reich”, caratterizzata da:
a) Afasia, con difficoltà nel:
 ricordare i nomi di persone e oggetti
 comprendere e produrre il linguaggio spontaneo
b) Agnosia, manifestantesi con il mancato riconoscimento di stimoli sensitivo-
sensoriali di tipo
 visivo (oggetti, persone, colori)
 spaziale (orientamento topografico e localizzazione spaziale degli oggetti)
 in fase avanzata, autotopoagnosia29.
c) aprassia, ovvero la riduzione dei movimenti, con la progressiva perdita delle abilità
costruttive, fino all’incapacità di abbigliarsi.
- frequenti sono anche le turbe della capacità di calcolo
- col progredire della malattia il paziente perde interesse verso qualunque cosa (come
nella depressione: attenzione alla diagnosi differenziale) e finisce col dipendere
totalmente da chi lo assiste
- si evidenziano tardivamente disturbi neurologici quali:
 turbe extrapiramidali: amimia30, bradicinesia (rallentamento nell’esecuzione di
alcuni movimenti), rigidità , ecc.
 manifestazioni comiziali epilettiche
 turbe della deambulazione, fino alla completa immobilità
- compaiono sempre le turbe sfinteriche, con la perdita del controllo della minzione e
poi più tardivamente i disturbi ano-rettali
- l’exitus avviene solitamente per malattie infettive intercorrenti allorquando il paziente
è irreversibilmente allettato.

Diagnosi
L’anamnesi, l’osservazione clinica e le indagini strumentali orientano verso una diagnosi in
termini di probabilità o di possibilità , in quanto la diagnosi di certezza si può avere solo
con l’esame autoptico.

1- Criteri clinici per la diagnosi PROBABILE AD/SDAT:


- Deterioramento mentale stabilito mediante l’esame clinico o documentato con test
neuropsicologici specifici (per esempio, Mini-Mental o test analoghi)
- Deficit di una o più funzioni cognitive

29
Autotopoagnosia varietà di agnosia per cui il malato perde la capacità di indicare a comando parti del proprio o dell’altrui corpo.
30
Amimia Diminuzione o scomparsa della capacità di manifestare involontariamente i propri sentimenti con l’espressione del volto.
L’affezione è tipicamente rappresentata, con altri sintomi, nel Morbo di Parkinson: il malato presenta complessivamente un aspetto tetro, con
il viso immobile, lo sguardo fisso, i lineamenti cascanti.

69
- Progressivo deterioramento della memoria e delle altre funzioni cognitive
- Assenza di alterazioni della coscienza
- Inizio dei sintomi dopo i 40 anni (più frequentemente dopo i 65 anni)
- Assenza di malattie sistemiche31 o di altre malattie cerebrali capaci di compromettere
le funzioni cognitive

Elementi che supportano la diagnosi di probabilità:

- Progressivo deterioramento di specifiche funzioni cognitive come:


a) linguaggio (afasia)
b) abilità motoria (aprassia)
c) percezione (agnosia)
- Progressiva riduzione delle capacità di svolgere le attività della vita quotidiana
- Anamnesi familiare positiva per disturbi simili
- Assenza di alterazioni EEG o presenza solo di anomalie aspecifiche (vedi dopo, Esame
Elettroencefalografico)
- Evidenza TAC di atrofia corticale progressiva documentata da osservazioni seriali
- Associazioni di sintomi quali:
a) insonnia
b) incontinenza
c) allucinosi
d) allucinazioni
e) reazioni emozionali catastrofiche (disforia)
f) disturbi sessuali
g) perdita di peso
- nella fasi avanzate della malattia:
a) segni neurologici (disturbi della deambulazione)
b) crisi epilettiche

Elementi che rendono incerta la diagnosi di probabilità:

- insorgenza brusca
- incoordinazione motoria precoce
- crisi epilettiche precoci

Accanto all’osservazione clinica assumono, quindi, un grande valore nel procedimento


diagnostico le seguenti indagini:

- Test psicometrici, tra cui assai utilizzato è il Mini-Mental, consentono la valutazione


di alcune funzioni psichiche che sono interessate dal processo patologico:
a) memoria
b) linguaggio
c) attenzione
31
Una malattia è detta sistemica quando coinvolge un ampio numero di organi o di tessuti oppure quando riguarda l’intero organismo.

70
d) percezione
e) intelligenza
f) prassie
g) cognizione spaziale

I Test psicometrici sono altresì utili per:

1) diagnosi differenziale
2) valutazione del follow-up
3) giudizio sull’efficacia delle terapie eseguiti
4) fini prognostici e medico-legali
- Esami di laboratorio, consistenti in esami ematochimici
- Esame elettroencefalografico, in cui si evidenziano alterazioni incostanti e
aspecifiche rispetto ad altri quadri di demenza. L’EEG è importante per la diagnosi
differenziale con altre malattie neurologiche come neoplasie cerebrali, focolai
ischemici ed emorragici (ictus ischemici e ictus emorragici) e con la Pseudodemenza
(vedi dopo)
- Indagini neuroradiologiche:
a) la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) evidenzia di solito un’atrofia
corticale32con ingrandimento dei solchi e riduzione delle circonvoluzioni 33,
dilatazione dei ventricoli34 (con conseguente accumulo di liquor cefalorachidiano).
b) La PET evidenzia una riduzione del flusso ematico e del consumo di ossigeno nelle
regioni temporoparietali e frontali

Terapia
L’intervento farmacologico mira a:

1) limitare la sintomatologia più disturbante (ansia, insonnia, agitazione psicomotoria,


turbe del comportamento), con un trattamento sintomatico
2) rallentare la degenerazione neuronale

Terapia farmacologica
Vanno somministrati:

- neurolettici, in presenza di:


a) agitazione psicomotoria
b) ideazione delirante

32
Per atrofia si indica una riduzione della massa dei tessuti od organi causata dalla diminuzione del numero di cellule o delle loro
dimensioni, ovvero del loro volume.
33
Nella neuroanatomia, un solco (dal latino: "sulco", pl. "sulci") è una depressione o fessura nella superficie del cervello, che crea l’aspetto
caratteristico del cervello umano.
Per circonvoluzione si intendono aree della corteccia cerebrale delimitate da due solchi, mentre le scissure delimitano soprattutto i lobi
cerebrali, separando i solchi di un lobo cerebrale da quelli di un altro lobo adiacente, oltre a delimitare qualche solco all'interno dello stesso
lobo. Le singole circonvoluzioni sono separate le une dalle altre da depressioni più o meno anfrattuose, dette solchi.
Le circonvoluzioni convesse dell’encefalo sono note come giri, mentre gli avvallamenti tra i giri sono denominati solchi o, se sono
particolarmente profondi, scissure.
34
ventricoli cerebrali Le quattro cavità dell’encefalo dei vertebrati, derivate dalle vescicole cerebrali dell’embrione, nelle quali circola il
liquor cerebrospinale.

71
c) turbe del comportamento
- benzodiazepine a emivita medio-breve (che limitano il rischio di accumulo), in
presenza di sintomi ansiosi e insonnia.
Va tenuto in considerazione che le benzodiazepine provocano un certo scadimento
delle capacità cognitive che, pertanto, aggravano il quadro clinico di base; vanno
somministrate sono il caso di reale bisogno e per periodi non troppo lunghi, anche per
evitare il fenomeno della tolleranza
- antidepressivi serotoninergici, nel caso di sintomi depressivi

Terapia delle Demenza


Ultimamente sono state sintetizzate nuove molecole che mirano a ritardare la progressione
della patologia.

I farmaci usati agiscono su:

- sistemi neurotrasmettitoriali
- sistemi metabolici
- trofismo cerebrale (come opposizione all’atrofia cerebrale della Demenza): Fattore
Neurotrofico di Derivazione Cerebrale, scoperto da Rita Levi Montalcini
- precursori dell’Acetilcolina per aumentare la sintesi del neurotrasmettitore (CAT)

MALATTIA DI PICK
Descritta da Pick a fine ‘800, dal punto di vista anatomopatologico è caratterizzata da
un’atrofia circoscritta a livello dei lobi frontali e temporali.

Il quadro clinico è caratterizzato da:

- turbe della personalità (quindi comportamento e umore)


- turbe della condotta
- lenta compromissione della memoria
L’ipotesi diagnostica di Malattia di Pick è possibile solo quando al quadro clinico descritto si
accompagna un’atrofia frontale e un allargamento dei solchi nelle aree fronto-temporali,
evidenziabili attraverso una TAC.

DEMENZE VASCOLARI
Fino a non molto tempo fa si pensava che l’Arteriosclerosi Cerebrale fosse la più comune
causa di Demenza. Oggi invece è noto che la malattia cerebrovascolare causa un

72
deterioramento psichico per il danno che esso provoca al parenchima cerebrale 35. Per questo
è considerata una forma di Demenza Secondaria.

A differenza della Demenza d’Alzheimer – che è una demenza atrofica -, l’Arteriosclerosi è una
demenza vascolare, dovuta all’indurimento delle pareti delle arterie, in seguito a:

a. alterazioni metaboliche
b. colesterolo alto (iperlipemia)
c. ipertensione arteriosa
d. fumo (tabagismo)
e. stress
f. stile di vita (è una malattia tipicamente occidentale e dei paesi industrializzati)
g. scarsa attività fisica
h. elevata quantità di zucchero nel sangue (diabete)

Epidemiologia
Si ritiene che:

- le Demenze Vascolari rappresentino il 20% di tutte le demenze ad insorgenza senile


- Le forme di Demenza mista, degenerativo/vascolare, rappresentano all’incirca un altro
20%.

Nosografia
Il DSM-IV-TR racchiudeva nella categoria “Demenze Vascolari” diversi sottotipi tra cui, la
Demenza Multi-infartuale (MID).

Clinica
L’insorgenza, l’evoluzione e le caratteristiche del quadro clinico sono determinate dagli infarti
cerebrali subìti36 (episodi ischemici), e specificamente dal loro:

1) numero
2) localizzazione
3) estensione
4) susseguirsi temporale

Nella maggiore parte dei casi, la storia del paziente presenta:

- un esordio improvviso
- un’evoluzione a gradini (sempre maggiore)
- una distribuzione dei deficit “a scacchiera”
35
Il Parenchima cerebrale è il cervello
36
infarto cerebrale Sindrome conseguente alla chiusura di un’arteria che irrora il cervello: ciò determina una carenza critica di apporto di
sangue, che può esitare nella necrosi del tessuto ischemico (➔ ischemia cerebrale). L’i. c. viene pertanto indicato anche come ictus ischemico,
per distinguerlo dall’ictus emorragico, che consegue alla rottura di un’arteria.

73
- costante presenza di ipertensione arteriosa, TIA (Attacco Ischemico Transitorio) ed
Ictus37 (emorragia cerebrale)
- frequente diabete e obesità
- in alcune situazioni manifestazioni comiziali e disturbi neurologici focali
- frequente coesistenza di Depressione
- nelle forme sottocorticali, statisticamente più rare, si evidenziano segni e sintomi
parkinsoniani, riso e pianto spastici (improvvise crisi di pianto e riso)

Diagnosi
Assumono grande rilevanza gli esami ematochimici di routine, la valutazione cardiovascolare
e l’esame Doppler dei vasi sopra-aortici38.

Alla TAC si evidenziano aree di ipodensità isolata nelle regioni corticali (in seguito alla necrosi
del tessuto cerebrale), di solito nelle aree di distribuzione delle arterie cerebrali.

Terapia
Primo obiettivo è il controllo dei fattori di rischio (ipertensione arteriosa, diabete,
iperlipemia39, tabagismo), per prevenire il rischio di recidive che aggravano il quadro clinico.

A questa terapia si possono associare i farmaci indicati nella AD/SDAT, per limitare la
degenerazione dei neuroni.

PSEUDODEMENZA
Spesso, in un soggetto anziano, si orienta erroneamente la diagnosi verso una Demenza,
laddove, invece, si è in presenza di un quadro clinico di natura depressiva, dominato da:

- rallentamento ideomotorio
- disturbi cognitivi
In realtà , talora, la diagnosi differenziale tra Demenza e Depressione è difficile, e per questo
bisogna prestare molta attenzione:

- all’anamnesi
- alla presenza remota, in età presenile, di episodi depressivi
- alla presenza di quadri clinici depressivi nella storia familiare
- in genere si osserva che le turbe del tono dell’umore hanno preceduto i disturbi della
sfera cognitiva, dato che consente di inferire che il deterioramento cognitivo è
secondario alle turbe dell’umore
37
L' ICTUS cerebrale è causato dell'improvvisa chiusura o rottura di un vaso cerebrale e dal conseguente danno alle cellule cerebrali
dovuto dalla mancanza dell'ossigeno e dei nutrimenti portati dal sangue (ischemia) o alla compressione dovuta al sangue uscito dal vaso
(emorragia cerebrale).
38
L'ecografia Doppler o più semplicemente ecoDoppler è una tecnica non cruenta e non invasiva quindi facilmente ripetibile utilizzata in
medicina per lo studio della situazione anatomica e funzionale dei vasi sanguigni, arteriosi e venosi, e del cuore in tempo reale ed in maniera
contemporanea (Duplex-Scanner). Prende il nome dal suo principio fisico di funzionamento, l'effetto Doppler.
39
iperlipemia Aumento patologico del colesterolo e/o dei grassi nel sangue. Ricorda che il colesterolo è un grasso.

74
Clinicamente si osservano:

- apatia
- turbe della memoria
- marcato rallentamento ideomotorio
- aspetto trasandato

I risultati dei test psicometrici generalmente non sono discriminanti perché il paziente con
Pseudodemenza depressiva, al pari del paziente demente, presenta un calo delle prestazioni,
ma mentre il primo durante le prove appare perplesso e scoraggiato, il demente mantiene
un’apparente disinvoltura.

Per una diagnosi differenziale utile è talvolta l’EEG che è normale nel depresso e che può
essere alterato nel demente.

Quando la diagnosi differenziale resta dubbia è preferibile ipotizzare la presenza di un


quadro depressivo, con i sintomi demenziali secondari al disturbo affettivo, e iniziare
una terapia antidepressiva con serotoninergici, dal momento che gli antidepressivi
triciclici interferiscono sulla sfera cognitiva, aggravando il quadro clinico:gli
Antidepressivi Triciclici infatti hanno un effetto anticolinergico (bloccano il rilascio di
Acetilcolina), aumentando il deficit di acetilcolina – neurotrasmettitore implicato nelle
funzioni mnestiche e motorie - della demenza.

Ritornando alla somministrazione di SSRI, ovviamente, il soggetto pseudodemente risponderà


al trattamento farmacologico antidepressivo, e il deficit cognitivo andrà regredendo, come
epifenomeno del trattamento della sintomatologia primaria, ovvero quella depressiva;
viceversa, il soggetto demente, trattato con antidepressivi, manterrà costante il deficit
cognitivo.

Le differenze fondamentali sono:

DEMENZA PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA


Insorgenza insidiosa (subdola) Insorgenza improvvisa
Progressione lenta Progressione rapida
Non consapevolezza (infatti il paziente Consapevolezza (infatti il paziente
sminuisce la disabilità ) enfatizza la disabilità )
confabulazioni Assenza di confabulazioni
Umore incongruo (disforico) Umore depresso
Precedenti psichiatrici non frequenti Precedenti psichiatrici (v. depressione
per esempio)
Basso rischio suicidario Elevato rischio sucidario

75
9. DISTURBI DA ABUSO DI ALCOOL
Oggi in DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE E ADDITIVI.

L’alcool è conosciuto e consumato in tutto il mondo, con livelli di tolleranza diversi a seconda
delle tradizioni culturali e religiose: ad esempio nei paesi musulmani è vietato.

L’abuso di sostanze alcoliche è un importante problema medico e sociale, soprattutto in


Occidente, ove la tolleranza verso il consumo rende molto sfumato il confine tra uso
voluttuario ed abuso.

Epidemiologia
Secondo dati attendibili l’abuso di alcool provoca in Italia circa 10.000 morti ogni anno ed è
concausa di un alto numero di incidenti stradali e di condotte suicidarie.

L’Abuso alcolico e le patologie alcool-correlate inoltre hanno un notevole costo umano e


sociale derivante da:

- divorzi
- giornate lavorative perse

76
- invalidità

Nosografia
Nosograficamente, si distinguono due livelli:

1) Abuso di alcool, l’eccessivo consumo di alcool che influenza negativamente e


reversibilmente il funzionamento globale della persona. Generalmente la sua
evoluzione è la dipendenza.
2) Alcool-dipendenza, ovvero l’eccessivo consumo di alcool che comporta un notevole
rischio per l’integrità psicofisica del soggetto

Le forme di assunzione presentano varie modalità :

1) uso continuato e relativamente costante per frequenza e quantità ;


2) uso concentrato nel week-end o in momenti nei quali non interferisce sul
funzionamento lavorativo;
3) consumo abbondante alternato a fasi di totale sobrietà .

Nel DSM-IV-TR la Sindrome da Dipendenza Alcolica (SDA) veniva inclusa tra i Disturbi
Indotti da Sostanze (oggi ricorda: <<Disturbi Correlati a Sostanze a Additivi)

La Diagnosi di Dipendenza Alcolica si basa sulla presenza di:

- alterazione delle abitudini alcoliche: sia in senso quantitativo che qualitativo, con
ricerca mirata degli effetti dell’alcool.
- Alterazione del rapporto uomo-alcool: peculiare è la perdita del controllo nella
limitazione dell’assunzione della bevanda.
- Dipendenza fisica: presenza di disturbi alla cessazione e/o alla limitazione
dell’assunzione.

Questi sintomi devono essere presenti per 1 mese e devono verificarsi


ripetutamente nel corso del tempo.

Clinica
I disturbi da SDA provocano una compromissione della:

- sfera psichica
- sfera somatica
- unità bio-psico-sociale dell’individuo
- sono progressivamente ingravescenti

Disturbi psichici
Tra i Disturbi psichici indotti da SDA si distinguono:

77
 Intossicazione alcolica
I segni clinici si manifestano in rapporto al Tasso Alcolemico (T.A.):

- T.A. 30-50 mg% (0,3-0,5 g/l): comparsa di disinibizione con iniziale compromissione
di critica e giudizio, associati a facile distraibilità .
La legge stabilisce attualmente il limite di 0,5 grammi/litro di alcol nel sangue, limite
oltre il quale il conducente viene definito in stato di ebbrezza e quindi soggetto a
provvedimenti sanzionatori.
- T.A. 100-200 mg% (1-2 g/l): le turbe della condotte si presentano più marcate, con
grave deficit dell’autocontrollo.

Oltrepassando tale limite si evidenziano incoordinazione motoria e disturbi sensoriali e


sintomi vegetativi (ipotermia, ipersudorazione, tachicardia, grossolani tremori, midriasi).

- T.A. 400-700 mg% (oltre 4 g/l): compare perdita di coscienza, coma, ipotermia,
insufficienza respiratoria e morte.

La terapia prevede:

- reidratazione per via parenterale40con vitamine del gruppo B


- in caso di agitazione psicomotoria si usano:
a) neurolettici: fenotiazine e benzamidi
b) benzodiazepine: diazepam, insieme ai beta-bloccanti, serve anche a prevenire i
sintomi astinenziali

La Diagnosi differenziale va posta con:

- l’intossicazione da sovradosaggio di benzodiazepine;


- lo scompenso ipoglicemico;
- il diabete chetoacidosico (complicanza che si può riscontrare in persone affetto da
diabete di tipo I);
- episodi epilettici

 Intossicazione alcolica idiosincrasica


Provoca un comportamento disadattivo, dopo assunzione di modeste quantità di alcool, che
non provocherebbero tale quadro nella maggior parte della popolazione.

Fattori predisponenti sono:

- danni cerebrali organici (post-encefalitici, post-traumatici, post-epilettici)


- disturbi di personalità
Dal punto di vista clinico, la fase critica cessa dopo qualche ora a seguito del catabolismo
dell’alcool.
40
parenterale, via In medicina, via di somministrazione (di farmaci ecc.) diversa dalla via gastrointestinale; in senso più restrittivo,
introduzione di sostanze medicamentose nei tessuti profondi per mezzo di iniezioni, fleboclisi, innesti ecc.

78
 Astinenza alcolica
Compare qualche ora dopo la cessazione e/o la riduzione dell’assunzione abbondante e
protratta di alcool.

Può essere:

- lieve
- grave con Delirium
A questo proposito quindi:

 Astinenza alcolica lieve


La sintomatologia è a carico di vari sistemi e apparati:

- apparato motorio: tremori grossolani di mani e muscoli facciali;


- apparato gastrointestinale: nausea, vomito;
- apparato cardiovascolare: ipertensione e tachicardia.
Sono inoltre presenti:

- malessere generale
- astenia41
- cefalea
- insonnia
- irritabilità
- deflessione timica
- a volte, crisi epilettiche

Il quadro si attenua dopo 48 ore e si risolve in genere in 1 settimana.

L’intervento terapeutico consiste in:

- ansiolitici
- vitamine del gruppo B

 Delirium da Astinenza Alcolica o Delirium Tremens


Si manifesta in soggetti:

- con lunga storia di SDA (>5 anni)


- defedati (deperiti)
- con malattie fisiche
41
astenia Sintomo medico e psichiatrico consistente nella mancanza o perdita di forza dell’intero organismo

79
Clinicamente si osservano:

1) turbe della coscienza: stato confusionale-onirico, disorientamento temporo-spaziale;


2) turbe del pensiero: deliri di tipo paranoide;
3) turbe della memoria: amnesie e/o dismnesie42;
4) gravi alterazioni del sistemo neurovegetativo : disidratazione, ipotermia,
ipersudorazione, tachicardia, grossolani tremori, midriasi 43;
5) Crisi convulsive in soggetti predisposti.

La terapia consiste:

- nel trattamento delle patologie organiche coesistenti


- nella somministrazione di BZD per via parenterale, dal momento che i neurolettici
abbassano la soglia convulsionante.

 Allucinosi alcolica

Si presenta:

- in soggetti con una lunga storia di abuso di alcool


- dopo meno di 48 ore di astinenza
- caratterizzato da allucinazioni visive o uditive a contenuto persecutorio
L’intervento terapeutico prevede, in caso di agitazione, la somministrazione di:

- BZD
- Neurolettici a basso dosaggio

 Disturbo amnesico alcolico o Psicosi di Korsakoff


La Sindrome di Korsakoff è caratterizzata da:

- turbe della memoria (soprattutto a livello di fissazione e quindi deficit


nell’orientamento spazio-temporale):
a) amnesia retrograda
b) amnesia anterograda
- confabulazioni, finalizzate a colmare i deficit mnesici
- disorientamento spazio-temporale

E’ causata da deficit di Tiamina (ovvero di Vitamina B1).

La terapia consiste in tiamina, clonidina44 (N.B.: la clonidina è uno Stabilizzante dell’Umore).

42
dismneṡìa s. f. [comp. di dis-2 e -mnesia]. – Nel linguaggio medico, qualunque disturbo della memoria, transitorio o permanente.
43
midrìaṡi s. f. [dal gr. μυδρίασις]. – In medicina, accentuata dilatazione della pupilla
44
Clonidina farmaco classificato come agonista dei recettori 2 adrenergici, è utilizzato prevalentemente come antipertensivo. Ulteriori
effetti del farmaco sono quelli per il controllo degli effetti collaterali prodotti da farmaci stimolanti come l’anfetamina. Viene inoltre utilizzato
per curare l’insonnia, in associazione agli stimolanti per il trattamento della Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD).

80
 Encefalopatia di Wernicke
Rara sindrome caratterizzata da:

- turbe dei movimenti oculari


- confusione mentale
- confabulazioni
- ansia
- insonnia

Regredisce in parte con la somministrazione di tiamina, ma spesso evolve in Psicosi di


Korsakoff.

 Demenza alcolica

E’ una grave complicanza della Sindrome da Dipendenza Alcolica.

L’alcool svolge un ruolo eziopatogenetico sia per l’effetto tossico diretto sul SNC, sia
indirettamente per lo squilibrio metabolico cronico.

La sintomatologia clinica è sovrapponibile alle altre forme di Demenza e il trattamento è


identico.

Disturbi fisici
Tra i Disturbi fisici indotti da SDA si distinguono:

 Gastrite
Precoce manifestazione di abuso alcolico, dovuta all’azione diretta dell’etanolo sulla mucosa
gastrica.

Clinicamente è caratterizzata da nausea, vomito, turbe gastrointestinali.

Regredisce in breve tempo con l’astensione dall’alcool.

 Pancreatite alcolica
E’ la causa più frequente di pancreatite cronica ed è dovuta all’effetto esercitato dall’etanolo
sulla suddetta ghiandola.

Le forme acute si presentano con vomito e intenso dolore all’epigastrio (porzione medio-
superiore dell’addome).

Le forme croniche si manifestano con dolori addominali e disturbi gastrointestinali.

La terapia comprende la sospensione del consumo di alcool e la correzione degli squilibri


metabolici.

81
 Epatopatia alcolica
Il fegato è il principale organo bersaglio dell’abuso di alcool.

I quadri di presentazione sono, nell’evoluzione clinica della malattia:

- steatò si
- epatopatia cronica
- cirrosi
In presenza di un abuso continuato, si verifica una necrosi cellulare a livello epatico che porta
a epatite acuta, subacuta o cronica con incostante evidenza di ittero 45, iperpiressia e dolori
addominali.

Il quadro terminale dell’epatopatia cronica è la cirrosi epatica.

 Cancro esofageo
Dovuto all’azione tossica dell’etanolo sulla mucosa esofagea.

 Disturbi cardiovascolari
L’azione tossica dell’alcool colpirebbe anche la fibra miocardica determinando insufficienza
cardiaca con turbe del ritmo e della frequenza e dispnea 46.

 Disturbi neurologici
La carenza cronica di vitamine del gruppo B e di acido folico è all’origine della Polinevrite.
Essa è caratterizzata da parestesia47 e dolori crampiformi agli arti inferiori che possono
evolvere in alterazione della funzione motoria con tendenza a un precoce affaticamento.

A volte è evidenziabile anche uno sfumato deficit visivo che, se non trattato, può provocare
cecità .

Il quadro regredisce attraverso:

- la tempestiva sospensione dell’alcool


- la terapia vitaminica

45
colorazione giallastra della pelle
46
Dispnea respirazione difficile, forzata, accompagnata da sofferenza soggettiva, è un fenomeno compensatorio che tende a soddisfare una
maggiore domanda di ossigeno dell’organismo
47
parestesia Disturbo soggettivo della sensibilità consistente nella insorgenza di una sensazione elementare (formicolio, pizzicore, solletico
ecc.) in assenza di una stimolazione specifica.

82
Terapia
Qualunque intervento terapeutico deve essere mirato a raggiungere un’astinenza duratura,
dal momento che non è mai possibile per un alcolista modulare correttamente la propria
capacità di bere.

Molto spesso la richiesta di cura è tardiva e in prevalenza orientata alla risoluzione delle
complicanze somatiche, minimizzando, invece, la portata e il significato delle motivazioni di
ordine psicologico che stanno alla base del comportamento dell’etilista.

E’ invece indispensabile che qualunque intervento sia multimodale:

- farmacologico
- psicoterapeutico
- socio-riabilitativo
Il trattamento farmacologico mira alla risoluzione del “craving”, ovvero del desiderio non
sottoposto ad autocontrollo di assumere la sostanza.

Una terapia di tipo avversivo è quella portata avanti con il Disulfiram che provoca, 30-60
minuti dopo l’assunzione di alcool:

- nausea
- vomito
- cefalea
- vertigini
- ipertensione arteriosa
- talora collasso cardiocircolatorio

Di recente è stato introdotto il GHB acido gamma-idrossibutirrico, dotato di azione


anticraving e antiastinenziale.

Il trattamento farmacologico aspecifico mira alla risoluzione delle complicanze alcool-


correlate.

In ogni terapia è bene associare un adeguato apporto di vitamine del gruppo B e di acido folico
per curare i disturbi determinati da una loro carenza.

La psicoterapia è sempre indicata; la condizione preliminare per l’approccio psicoterapico è la


presa di coscienza del problema e il superamento del meccanismo di negazione. Ciò si
raggiunge raramente e per tale ragione questo tipo di terapia ha un’applicazione limitata.

Efficaci sono anche gli interventi psicosociali e di gruppo come gli Alcolisti Anonimi (AA). Alla
base di questi trattamenti c’è il sostegno reciproco all’interno del gruppo e la condivisione di
problemi vissuti da tutti.

Sintetizzando il trattamento:

1. SEMPRE Tiramina e Acido Folico


2. Neurolettici e BDZ, in caso di agitazione

83
3. NON Neurolettici in presenza di crisi comiziali perché i neurolettici abbassano la soglia
convulsionante
4. Disulfiram
5. GHB

10. DISTURBI DA ABUSO DI SOSTANZE


Oggi in DISTURBI ASSOCIATI A SOSTANZE E ADDITIVI.

Il fenomeno della tossicodipendenza ha assunto negli ultimi anni una rilevanza sempre più
ampia, tanto rendere indifferibile l’istituzione di Servizi specifici per la cura e l’assistenza dei
soggetti affetti da questa patologia (Ser.T.).

La tossicodipendenza rappresenta un problema con risvolti biologici, psicologici e sociali del


tutto particolari.

Si definisce DROGA qualsiasi sostanza chimica, naturale o sintetica in grado di


interferire sulla psiche di un soggetto e di provocare modificazioni comportamentali
più o meno durature.

A tal proposito, va sottolineato che tutte le droghe stimolano i sistemi dopaminergici del
nucleo accumbens, da cui si genera un senso soggettivo di gratificazione e piacere. I soggetti
con una dipendenza da uso di sostanze traggono piacere esclusivamente dall’assunzione delle
stesse senza avere esperienze di reward a partire dal contatto con altri stimoli: in un
esperimento soggetti cocainomani non manifestano alcuna risposta di reward davanti a scene
esplicite di sesso dal momento che i centri del piacere (nucleo accumbens), in seguito ad una
reiterata assunzione di sostanze psicoattive, vengono attivati solo da queste.

84
Secondo l’OMS, la TOSSICODIPENDENZA è uno stato di intossicazione periodica o
cronica, causata dall’assunzione prolungata di una sostanza, caratterizzata da:

- coazione a continuare l’uso della sostanza


- bisogno di aumentare la dose per provare lo stesso effetto (tolleranza)
- comparsa di difficoltà o impossibilità di smettere (dipendenza)
- comparsa di disturbi collegati all’uso della droga (astinenza)

E’ possibile distinguere vari livelli di coinvolgimento nei confronti della sostanza:

- uso sporadico, in cui il soggetto è in grado di gestire l’assunzione della sostanza,


interrompendone il consumo senza conseguenze rimarchevoli;
- abuso, in cui il consumo è continuo e ricorrente e per questo compromette la sfera
sociale e lavorativa;
- dipendenza psichica e fisica da sostanze psicoattive , in cui il soggetto è incapace di
controllare il ritmo di assunzione per la comparsa di:
a) tolleranza
b) astinenza

Secondo l’OMS, la DIPENDENZA è “uno stato psichico e talora fisico, derivante


dall’interazione con una sostanza che determina modificazioni del comportamento e la
necessità di assumere questa per ottenere gli stessi effetti psichici ed evitare la Sindrome
da Astinenza”.

La dipendenza è un cavallo di Troia, che entra tirannicamente nella mente del soggetto e se ne
impossessa, così come il cavallo di Troia si impossessò tirannicamente della città .

La dipendenza psichica è connotata dalla necessità coattiva e ineliminabile di assumere la


sostanza al fine:

- esperire gli effetti della sostanza


- evitare il disagio da deprivazione della sostanza
La dipendenza fisica è caratterizzata dalla comparsa di un caratteristico corteo di sintomi,
definito Sindrome d’Astinenza, quando si sospende o si riduce l’assunzione della sostanza.

La tolleranza provoca la progressiva diminuzione nel tempo degli effetti della sostanza,
determinando l’aumento del dosaggio per ottenere lo stesso effetto desiderato. E’ un
fenomeno reversibile, dopo la sospensione dell’uso della sostanza.

Il tentativo di individuazione delle cause determinanti la tossicodipendenza non ha ancora


sortito univoche conclusioni. La tossicodipendenza può essere epifenomeno di concause di
natura biologica, psicologica e sociale.

Si è visto che non esiste un unico tipo di personalità tossicomanica premorbosa, ma la


tossicodipendenza si associa con alta frequenza a quadri di comorbidità psichiatrica con:

- Disturbi Affettivi
- Disturbi di Personalità
- Disturbi Schizofrenici

85
Oppiacei
Tra i derivati dell’oppio ricordiamo:

- morfina
- codeina
- eroina
- metadone

Tra questi l’eroina, derivato semisintetico, rappresenta la sostanza di più largo consumo tra i
tossicodipendenti.

L’eroina è una polvere bianca, commercializzata sul mercato con altre sostanze da taglio come
borotalco, lattosio, mannite, polvere, ecc.

La quantità di oppiaceo presente in una dose è circa il 5-10%.

La via di somministrazione più frequente è la via endovenosa, dopo la diluizione in acqua; più
rara, perché più costosa, è la via inalatoria, in quanto occorre una quantità maggiore per
produrre lo stesso effetto.

Epidemiologia
In Italia si stima che gli eroinomani siano circa 300.000, di età prevalente tra i 18 e i 30,
distribuiti in tutti i ceti sociali.

Clinica
Dopo l’assunzione si avverte una sensazione piacevole breve e intensa, diffusa in tutto il corpo
(il cosiddetto flash), paragonabile all’orgasmo, che dopo poco si trasforma in un rallentamento
psicofisico, con sonnolenza e gradevole sensazione di distacco dal mondo.

Tale stato dura qualche ora ed al termine nel soggetto non dipendente si ripristina la
situazione precedente all’assunzione della sostanza; nel soggetto dipendente, invece, a questa
fase segue, quasi senza soluzione di continuità , la fase di astinenza.

La fase di astinenza è caratterizzata da:

- ansia
- sudorazione
- lacrimazione
- brividi di freddo (ipotermia)
- crampi addominali
- ricerca compulsiva dell’eroina per bloccare l’astinenza che porta l’eroinomane a
orientare tutta la sua esistenza alla ricerca della sostanza. A questo proposito va
ricordato che il fenomeno della tolleranza porta il soggetto eroinomane ad aver
bisogno di una quantità sempre maggiore per provocare gli effetti desiderati
- l’astinenza raggiunge il culmine 48-72 ore dopo l’ultima assunzione e si risolve, con la
progressiva scomparsa della sintomatologia, dopo qualche giorno.

86
L’overdose, ovvero l’intossicazione acuta da eroina, è caratterizzata da
vagotonia/parasimpaticotonia:

- miosi48
- ipotensione arteriosa
- insufficienza respiratoria
- coma
- morte, se non viene trattata tempestivamente con la somministrazione di antagonisti
come il Naloxone.

Oggi il numero di decessi per overdose si è andato riducendo, e le più frequenti cause di
decesso sono dovute a patologie correlate con la tossicodipendenza come l’AIDS e l’epatite.

Diagnosi
Generalmente non comporta difficoltà perché è lo stesso paziente ad ammettere l’uso di
eroina.

Il riscontro obiettivo di tale affermazione si ha rilevando i segni di iniezioni nella cute e


ricercando nelle urine tracce dei cataboliti degli oppiacei.

Terapia
La richiesta di intervento dei pazienti e/o dei familiari è in prevalenza rivolta alla risoluzione
della dipendenza fisica, mentre il vero obiettivo deve essere invece la prevenzione delle
recidive, e quindi la dipendenza psicologica.

La Sindrome da Astinenza si risolve, infatti, in pochi giorni:

- autonomamente oppure
- con un intervento con farmaci sintomatici, quali ansiolitici e analgesici
Ultimamente è stato sperimentato un sistema di disintossicazione ultrarapido chiamato
UROD. Con questo protocollo è possibile, sotto anestesia, risolvere in 24 ore la dipendenza
fisica. Tuttavia, il metodo UROD ha il limite di concentrare l’attenzione sulla risoluzione della
dipendenza fisica.

Concentrare l’attenzione sulla sintomatologia astinenziale significa, però , dimenticare che il


vero problema è la risoluzione della dipendenza psichica, vera causa delle recidive del
soggetto eroinomanico.

Da quanto detto, diventa chiaro che il trattamento della tossicodipendenza da oppiacei deve
prevedere una strategia multidimensionale che integri interventi di diverse nature:

- biologica
- psicologica
- sociale
48
MIOSI Restringimento del diametro pupillare al di sotto dei 4 mm.

87
Infatti è sulla risoluzione delle problematiche psicosociali che si basa l’esito del trattamento.

Le terapie disintossicanti long-term si effettuano con:

a) farmaci antagonisti, come il Naltrexone, farmaco molto simile al Naloxone: il


Naltrexone, assunto in modo continuativo, blocca gli effetti di eventuali
somministrazioni esogene di eroina, determinando uno stato di rinuncia condizionata
all’uso della sostanza, per un periodo durante il quale va associato un programma di
riabilitazione psicosociale;
b) farmaci agonisti, come il Metadone, oppiaceo di sintesi che si somministra per via
orale e ha un’emivita di 24-36 ore. La sua somministrazione a lungo termine va
riservata a soggetti che hanno alle spalle vari insuccessi terapeutici.
Tale programma mira ad instaurare una condizione tossicomanica controllata,
orientata più verso la minimizzazione dei danni che verso il pieno recupero del
soggetto: la terapia metadonica long-term, infatti, riduce il rischio di comportamenti
antisociali del tossicomane.
Va tuttavia rilevato l’effetto immunodepressivo(leucopenia o agranulocitosi) del
farmaco che aumenta i rischi di evoluzione verso l’AIDS dei pazienti sieropositivi.

Comunità Terapeutiche
Un programma riabilitativo residenziale in una Comunità Terapeutica è indicato per tutti i
soggetti con problematiche legate all’Abuso di Sostanze Psicoattive, anche se viene
prevalentemente utilizzato da soggetti con tossicodipendenza da oppiacei.

La C.T. residenziale è la modalità di trattamento che offre i maggiori risultati, perché mira alla
modificazione delle cause biologiche e psicosociali che hanno indotto e generato il
comportamento tossicomanico: la logica dei programmi mira, infatti, a sostituire nel soggetto
comportamenti devianti e autodistruttivi con una condotta più conforme a corrette norme di
vita. Ciò avviene con risultati migliori quando in una C.T. sono ben integrati:

1) l’aspetto psicoterapico (individuale, di gruppo, familiare)


2) l’aspetto socioterapeutico (ergoterapia)49

La durata media di un programma comunitario è di 18-24 mesi.

Il limite delle C.T. è rappresentato dalla scarsa compliance dei soggetti ai programmi
riabilitativi, tant’è che sono abbondanti gli abbandoni in fase iniziale.

Per i soggetti che hanno completato il programma comunitario, rimane un momento delicato
quello del ritorno nel proprio contesto originario che rappresenta un fattore di rischio di
recidiva.

49
ergoterapia Metodo curativo, complementare ad altri trattamenti somatici o psicoterapici, in cui l’agente terapeutico è costituito da
un’attività lavorativa. Pionieri dell’ergoterapia sono considerati i due grandi riformatori delle tecniche manicomiali F. Pinel e V. Chiarugi, che,
sul finire del 18° sec., l’applicarono con successo ai malati di mente degli asili di Bicê tre (Parigi) e di S. Bonifacio (Firenze) in sostituzione dei
metodi inumani allora in vigore. L’Ergoterapia dimostra l’utilità di ricorrere, in termini terapeutici, a un vero e proprio lavoro costruttivo,.
Nei malati di mente agisce come psicoterapia: mantiene deste le attitudini sociali compromesse dalla malattia, stimola le residue capacità
psichiche dell’individuo e tende a limitare la perdita del contatto tra il malato e la realtà obiettiva. Nei portatori di invalidità fisica, agisce
prevalentemente come fisioterapia, provocando la messa in opera di segmenti corporei minorati o addestrando segmenti che in condizioni
normali non sarebbero utilizzati in quelle determinate prestazioni.

88
Cocaina
E’ una sostanza derivate dalle foglie di Coca, una pianta che cresce nelle Ande, usata dagli
indigeni per migliorare la resistenza alla fatica.

Viene venduta con sostanze da taglio, come mannite e lattosio, e consumata per via inalatoria
o endovena.

Sul mercato esistono:

- cocaina cloruro
- cocaina-base, più nota come Crack, viene in genere fumata e il suo effetto è maggiore
rispetto all’assunzione per via inalatoria. Il Crack provoca rapidamente dipendenza.

Clinica
La cocaina agisce inibendo il reuptake della noradrenalina e della dopamina a livello
pre-sinaptico e, conseguentemente, iperstimolando i recettori post-sinaptici per
l’aumentata concentrazione dei mediatori nello spazio inter-sinaptico.

Ne deriva un’ipersimpaticotonia che provoca:

- eccitazione
- aumentata autostima
- stato di ipervigilanza
- aumentato desiderio sessuale

Si riscontra altresì:

- midriasi
- tachicardia
- ipertensione arteriosa
A dosaggi superiori, o in persone predisposte la cocaina induce un quadro psicotico con
allucinazione visive, uditive, tattili e deliri a contenuto persecutorio.

Questa iperstimolazione viene seguita da quello che nel gergo tossicomanico è definito “calo”:

- astenia
- abulia50
- deflessione timica
- nausea
- vomito
- diarrea
- insonnia
- rinite

Terapia
50
Abulia mancanza o insufficienza di volontà nel prendere una decisione o eseguire un’azione

89
Dal momento che non provoca dipendenza fisica, l’intervento farmacologico è volto, sia in
fase acuta che cronica, a contrastare sintomaticamente le complicanze emergenti.

Cannabinoidi
I più noti sono Hashish e Marijuana, derivati dai fiori, dalle foglie e dai semi della Cannabia
Sativa o Canapa Indiana.Generalmente è assunto per via inalatoria.

Il principio attivo è il tetraidrocannabinolo (THC), la cui concentrazione è maggiore


nell’Hashish.

Terapia
L’assunzione genere un caratteristico stato di:

- rilassamento
- euforia
- intensificazione delle sensazioni e della fantasia
Si possono inoltre rilevare:

- iperemia congiuntivale51
- tachicardia
- ipotensione ortostatica52
- in soggetti predisposti, allucinazioni, deliri e agitazione, generalmente reversibili dopo
la cessazione dell’effetto del cannabinoide

Non si sviluppa dipendenza fisica né tolleranza e la dipendenza psichica varia da


soggetto a soggetto.

L’uso cronico determina la cosiddetta Sindrome amotivazionale caratterizzata da apatia,


abulia e perdita dell’interesse verso le relazioni interpersonali e socio-lavorative.

Molto si è discusso sulla presunta innocuità dei cannabinoidi che viene smentita dai seguenti
dati:

- rischio di psicosi tossica;


- acquisizione di un comportamento di ricerca del proprio benessere attraverso una
sostanza psicoattiva;
- contatto, per l’acquisto della sostanza, col mondo della criminalità
- aumento di rischio di passaggio ad altre sostanze come cocaina o eroina
- sviluppo della Sindrome amotivazionale

51
Iperemia è un termine usato in medicina per indicare l'aumento di sangue in una determinata parte del corpo. Quando, ad esempio, la
parte del corpo colpito dalla vasodilatazione è la congiuntiva, allora si parla di iperemia congiuntivale, che determina, in chi ne è colpito, il
cosiddetto "occhio rosso".
52
Ipotensione ortostatica Calo della pressione sanguigna

90
Terapia
L’intervento farmacologico è richiesto solo per la comparsa di complicanze, come una psicosi
tossica.

La risoluzione della dipendenza psichica richiede un intervento psicoterapeutico.

11. MANIFESTAZIONI PSICHIATRICHE NELLA SINDROME DA


IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (AIDS)
Oggi in DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE E ADDITIVI.

La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) presenta nel suo decorso sintomi di


disturbi psichiatrici.

Tali disturbi sono:

- talora secondari, come nel caso delle Reazioni da Adattamento alla diagnosi di
sieropositività
- talora primari, correlati, cioè, direttamente alla malattia per l’effetto psicotropo diretto
del virus sul SNC, come nell’AIDS Demenza Complex.

Va ricordato inoltre che parte dei soggetti colpiti da AIDS:

1) ha una storia di tossicodipendenza alle spalle, se non un Disturbo da uso di sostanze in


atto
2) presenta una personalità premorbosa di interesse psichiatrico

Infine, il personale sanitario che opera a contatto con malati di AIDS presenta alte percentuali
di burn-out.

91
Quanto sopra delinea un ruolo di primaria importanza per lo psichiatra nella gestione dei
malati di AIDS, dei loro familiari e degli operatori che lavorano in questo campo.

QUADRI CLINICI

Disturbi dell’Adattamento
La scoperta della presenza di anticorpi anti-HIV provoca un quadro caratterizzato da paura e
irritabilità che può sfociare in un Disturbo dell’Adattamento con:

- ansia
- umore depresso
- aspetti emotivi misti
- alterazioni comportamentali

Disturbi dell’Affettività
Possono comparire in tutto il decorso della malattia, dalla fase di sieropositività alla fase
clinicamente conclamata di immunodeficienza acquisita:

- come epifenomeno della malattia (reazione psicologica alla malattia)


- per l’effetto psicotropo del virus
- come sintomo di accompagnamento a patologie infettive o neoplastiche
- per le terapie farmacologiche impiegate

L’alto rischio di manifestazioni autolesive richiede un’attenta sorveglianza delle valenze


suicidarie.

AIDS Dementia Complex


Un’alta percentuale di pazienti con AIDS presenta un quadro di Demenza che si presenta con:

- turbe della sfera cognitiva


- turbe della sfera comportamentale
- deficit motori
A differenza degli altri tipi di Demenza, essa compare anche in età giovanile e ha un decorso
molto rapido (1-9 mesi).

Delirium
Quadro clinico frequentemente osservato e caratterizzato da turbe a carico di:

92
- coscienza
- percezione
- memoria
- orientamento spazio-temporale
- agitazione psicomotoria

Può essere provocato da:

- patologie infettive
- patologie neoplastiche
- terapie farmacologiche
- squilibri metabolici

La prognosi è legata alla individuazione e alla rimozione dell’agente eziologico (infettivo,


neoplastico, farmacologico, metabolico, ecc.).

12. DISTURBI SCHIZOFRENICI


Oggi in SPETTRO SCHIZOFRENICO E ALTRI DISTURBI PSICOTICI.
La Schizofrenia rappresenta la forma di patologia psichiatrica più grave, complessa e
impegnativa, tanto da assorbire la maggior parte delle risorse assistenziali all’interno delle
strutture sanitarie psichiatriche, e da richiedere articolate e integrate strategie di intervento,
sia in termini terapeutici che riabilitativi;

Con la Schizofrenia, a differenza della maggior parte degli altri Disturbi Psichiatrici, entriamo
in una dimensione mentale qualitativamente diversa rispetto a quella “normale e consueta”.

Essa è una psicosi che insorge precocemente, spesso in adolescenza 53 e comporta:

- una disgregazione dei contenuti della vita psichica


- grave alterazione della personalità nel suo complesso
- grave compromissione dell’esame di realtà
- ha un grosso potenziale di cronicizzazione, un andamento spesso processuale, in cui si
alternano a intermittenza con episodi di riacutizzazione, più o meno frequenti, con
momenti di compenso. La Schizofrenia, cioè, cronicizza frequentemente

53
l’esordio tardivo della schizofrenia compromette in maniera minore l’adattamento del paziente rispetto a quanto avvenga in seguito a un
esordio precoce.

93
- elevati gradi di disabilità sociale, affettiva, relazionale
- perdita dell’autonomia e dell’indipendenza
- l’impossibilità di raggiungere una restitutio ad integrum
- forte stigma sociale

Piuttosto che Schizofrenia, si preferisce utilizzare il termine “Disturbi schizofrenici” (oggi si


parla di <<Spettro Schizofrenico>>), al plurale, per indicare l’aspetto sindromico della
Schizofrenia, la possibilità , cioè, di individuare diverse forme cliniche di Schizofrenia,
differenziabili per:

- età di insorgenza
- quadro sintomatologico
- decorso
- possibili fattori eziopatogenetici

La patologia schizofrenica, comunque, implica costantemente:

- una cospicua alterazione del senso della realtà interiore ed esteriore(Racamier parla di
<<Doppio Esilio>> dalla realtà interna e da quella esterna)
- un coinvolgimento, nel suo decorso, della maggior parte delle funzioni psichiche che
possono essere compromesse in via definitiva o transitoria, globale o parcellare, a
secondo delle situazioni, ma in ogni caso senza che si verifichi quasi mai una restitutio
ad integrum anche nelle forme il cui decorso è più favorevole.

Cenni storici
La Schizofrenia è un’alterazione psichica conosciuta in ogni epoca e luogo.

 Ad una sua forma si riferiva probabilmente Ippocrate nel descrivere un quadro di stupidità
giovanile che collegava – con una sorprendente intuizione – a una dilatazione dei ventricoli
cerebrali provocata da un eccesso di liquor cefalorachidiano.

 Le prime descrizioni accurate sono contenute negli scritti di Pinel, psichiatra francese
famoso per aver introdotto nella pratica psichiatrica manicomiale del 18° secolo metodi e
approcci più umani.

 E’ un altro psichiatra francese, Morel, che attorno al 1860, osserva approfonditamente il


caso di un giovane ragazzo di 14 anni che, colpito da un disturbo psichico piuttosto grave, che
determina un rapido deterioramento del funzionamento mentale con atteggiamenti di tipo
autistico, un’attività ideativo confuso e poco comprensibile e un comportamento
disorganizzato. Morel propone di chiamare questa affezione “Demenza Precoce”.

 Qualche anno dopo il tedesco Hecker utilizza il termine Ebrefenia per indicare la Sindrome
demenziale che colpisce soggetti di età giovanile (-ebe nella lingua greca significa
“adolescenza”, ma è anche la Dea della giovinezza nella mitologia).

94
 A fine ‘800 Kahlbaum descrive invece una forma a sintomi prevalentemente psicomotori,
che egli chiama catatonia.

 Ancora qualche anno dopo Emil Kraepelin propone di utilizzare il termine Dementia
Praecox per tutti quei casi accomunati dalla presenza di:

- compromissione della vita affettiva con ottundimento emotivo


- alterazioni della volontà
- deliri
- allucinazioni
- progressivo deterioramento mentale, con esito in Demenza

A quei tempi Kraepelin conduceva le sue ricerche parallelamente a quelle di Alzheimer che
studiava pazienti in età avanzata con gravi deficit cognitivi: il termine Dementia Praecox
voleva quindi indicare lo sviluppo di un grave deterioramento mentale in età giovanile, a
differenza della Demenza descritta da Alzheimer in soggetti in età avanzata.

Un’altra importante distinzione, di grande valore teorico e pratico, riguarderà quella tra
Dementia Praecox dalla Psicosi maniaco-depressiva, attraverso cui verranno differenziati i
pazienti maniaco-depressivi dai pazienti schizofrenici. Nella Psicosi maniaco-depressiva
Kraepelin nota:

- un esordio più tardivo della Schizofrenia


- un’alternanza di fasi depressive e fasi di eccitamento
- intervalli liberi e senza deterioramento
Kraepelin distingue, all’interno della Dementia Praecox, quattro forme cliniche:

- Ebrefenica
- Catatonica
- Paranoide
- Semplice (Simplex)

 Bisognerà poi attendere fino al 1911 per l’introduzione da parte di Eugen Bleuler del
termine “schizofrenia” (dal greco: mente scissa).

Bleuler rimetteva quindi in discussione gli elementi che Kraepelin aveva individuato come
fondamentali della Dementia Praecox, ovvero:

- l’obbligatorietà dell’esordio precoce


- l’inevitabilità dell’evoluzione verso il deterioramento mentale
Bleuler preferisce porre l’accento sulla dissociazione mentale come aspetto psicopatologico
essenziale della Schizofrenia. Secondo Bleuler è quindi la scissione dell’unità mentale la
caratteristica distintiva del disturbo schizofrenico, piuttosto che quello dell’evoluzione in
Demenza (il cui riscontro non è indispensabile per fare diagnosi di Schizofrenia, data la
frequenza di forme a scarso o tardivo deterioramento) o quella della precocità con cui si
manifesterebbero i sintomi (dato che la sindrome può comparire anche nell’età matura).

Bleuler distingue anche i sintomi in:

95
- fondamentali/primari, diretta espressione della malattia (necessari per la diagnosi):
NOTA BENE: Secondo Bleuler i sintomi primari della Schizofrenia (dall’etimo mente
scissa) rimandano alla dissociazione di una unità , sia essa affettiva (in termini di
ambivalenza affettiva, ovvero compresenza di stati affettivi diversi nei confronti dello
stesso oggetto o situazione, e in termini di dissociazione/slegatura dei legami
associativi delle idee; infatti:
a) ambivalenza, cioè la coesistenza di stati affettivi opposti;
b) autismo, cioè la condizione di grave ripiegamento e di chiusura in sé con totale o
parziale perdita della relazione con il mondo esterno. In generale, va distinto un
“autismo povero” da un “autismo ricco”, in cui il soggetto interagisce ma produce
elementi bizzarri, genera un <<mondo autistico>>;
c) affettività incongrua: appiattimento affettivo, perdita della risonanza affettiva;
d) disturbo della associazione delle idee
- secondari, secondo Bleuler psicologicamente derivabili (per questo meno decisivi per
la diagnosi, perché direttamente collegati alla scissione dell’unità , sia essa affettiva che
cognitiva, inserita tra i sintomi primari):
a) deliri
b) allucinazioni
c) sintomi psicomotori

Bleuler fu il primo a sottolineare la necessità di portare avanti progetti terapeutici unici e


personalizzati, individuali, che prevedessero la conoscenza della storia esistenziale e familiare
del paziente schizofrenico.

L’unico caso di schizofrenia descritto da Freud è quello del presidente Schreber, affetto da
una grave forma di psicosi paranoide. Pur limitando il suo lavoro al trattamento dei disturbi
nevrotici, Freud ha comunque fornito alcuni spunti interessanti:

- la schizofrenia è una forma narcisistica secondaria, in cui il soggetto ritiro


l’investimento libidico dagli oggetti e lo re-indirizza verso l’Io;
- la schizofrenia segna il dominio del processo primario tale per cui l’apparato psichico
funziona secondo il principio di piacere
- la produzione allucinatorio-delirante è una difesa, nel senso che questa rappresenta
uno strumento atto a ricostruire un rapporto con la realtà , seppure distorto e basato
sulla proiezione

 Carl Gustav Jung fu il primo ad approfondire in modo sistematico la dimensione psicologica


profonda della Schizofrenia, e propose una originale ipotesi eziopatogenetica nella quale il
fattore psicologico viene considerato come il primum movensdi una catena di eventi – somatici
e psichici – che possono determinare l’insorgenza della malattia: secondo Jung, infatti,
tensioni emotive molto forti relativi a specifici conflitti inconsci, definiti “complessi”,
darebbero origine alla formazione di un fattore tossico che agirebbe, secondariamente, sulle
strutture del SNC, causando quelle alterazioni responsabili delle varie manifestazioni
sintomatologiche della psicosi schizofrenica. Una ipotesi che si potrebbe definire
“psicosomatica”, e che si sforza di stabilire una relazione circolare tra aspetti organici e
psicologici riconoscendo l’uomo una unità bio-psico-sociale: una dimensione psichica alterata
influenza la dimensione organica che, a sua volta, va a disturbare l’unità della vita mentale e
dei processi psichici.

Lo studio dei pazienti schizofrenici rappresentò , inoltre, per Jung un importante punto di
partenza per la formulazione delle sue teorie psicologiche e psicopatologiche. Jung infatti

96
constatò che in molti pazienti da lui studiati, i sintomi deliranti e allucinatori, così come le
produzioni oniriche, presentavano dei motivi psichici comuni e ricorrenti, che egli denominò
Archetipi, e che potevano essere rinvenuti nei miti, nelle tradizioni antiche, nei riti religiosi,
nelle fiabe, nelle leggende popolari. Ellenberger a tal proposito racconta: <<Jung racconta che
una delle prime esperienze che lo portarono a formulare l’idea degli archetipi si verificò con un
vecchio paziente schizofrenico del Burgholzli che si di giorno che di notte aveva frequentissime
allucinazioni. Questo paziente una volta dichiarò al medico di guardia di vedere che il sole aveva
un fallo, il cui movimento produceva il vento. L’origine di questo strano delirio sembrava
inspiegabile, finché non capitò sotto gli occhi di Jung un recente libro di uno storico delle
religioni, che trattava della liturgia della religione mitriaca, utilizzando le rivelazioni di un
papiro greco fino ad allora mai pubblicato. In questo testo si parlava dell’origine del vento e si
diceva che esso nasceva da un tubo del sole. L’eventualità che il paziente avesse letto il testo
recentemente scoperto fu subito esclusa. Secondo Jung l’unica spiegazione era che esistessero dei
simboli universali, che potevano apparire nei miti religiosi e nei deliri psicotici>>.

Tali motivi universali e comuni a tutti gli uomini, secondo Jung, potevano essere riferiti a
quella parte della vita mentale profonda a cui egli diede il nome di Inconscio collettivo, quella
parte dell’inconscio, cioè, che andava oltre la dimensione personale individuale per costituire
una sorta di “substrato” o “matrice” psichica comune a tutta l’umanità .

 Un’altra utile elaborazione teorica sui disturbi schizofrenici è quella di Kurt Schneider che,
ispirandosi all’opera di Jaspers, propone una classificazione dei sintomi schizofrenici di tipo
strettamente psicopatologico, distinguendo:

- sintomi di primo ordine, che hanno un grande valore diagnostico, tra cui:
1. Allucinazioni, soprattutto uditive:
a) eco del pensiero
b) voci sotto forma di discorsi
c) voci che commentano gli atti
d) voci che influenzano il comportamento determinando atti auto o etero-aggressivi
3. Deliri di influenzamento:
a) Somatico
b) Sentimento
c) Volontà
d) Impulsi
e) psichico
f) furto ed influenzamento del pensiero
- sintomi di secondo grado, meno decisi per la diagnosi, tra cui:
a) altri disturbi psicosensoriali
b) intuizioni deliranti
c) alterazioni dell’umore in senso euforico o depressivo
d) appiattimento affettivo

 Infine Langfeldt differenzia:

- Schizofrenia vera, o Processo schizofrenico


- Reazione schizofrenica caratterizzata da:
a) sintomi schizofreniformi, maggiormente presenti nella schizofrenia acuta
b) una personalità premorbosa non schizoide (quindi, sufficientemente strutturata)
c) presenza di un evento traumatico immediatamente precedente l’esordio dei
sintomi.

97
Secondo la Klein la schizofrenia va ricondotta a una fissazione/regressione alla posizione (e
non fase, perché è una configurazione che può ripresentarsi) schizo-paranoide, in cui
prevalgono i meccanismi difensivi della scissione, dell’introiezione (narcisistica) e della
proiezione, che porta a una rappresentazione interna distorta e <<slegata>> dalle reali
qualità dell’ambiente.

Sullivan è il primo a fornire un contributo al trattamento dello Schizofrenia. Ricordiamo che


per Freud gli schizofrenici non era analizzabili <<anche a patto della migliore tecnica
analitica>> perché incapaci di strutturare una nevrosi di transfert, ma solo una nevrosi
narcisistica. Sullivan supera l’idea psicoanalitica classica che precludeva la possibilità di
trattamento analitico agli schizofrenici, attraverso l’apporto di alcune modifiche al setting
psicoanalitico classico (da cui la nascita della psicoterapia psicoanalitica come evoluzione
della psicoanalisi).

Sullivan infatti porta avanti una sperimentazione clinica (trial clinico) atta a verificare e
dimostrare l’opportunità di sottoporre ad analisi i pazienti schizofrenici: recluta soggetti
schizofrenici (non troppo diversi dal punto di vista clinico-sintomatologico), e li divide in 2
gruppi, uno composto da pazienti trattati analiticamente e uno no (come se fosse un gruppo di
controllo). L’esperimento dimostrò come il gruppo di pazienti che aveva ricevuto un
trattamento analitico manifestava un netto miglioramento clinico rispetto ai soggetti che non
erano stati sottoposti a trattamento terapeutico.

Dal punto di vista teorico, Sullivan supera la centralità della dimensione intrapsichica, per
riconoscere nella dimensione interpersonale/ambientale la matrice delle turbe psichiche.

Per Sullivan la psichiatria diventa la <<Scienza delle relazioni interpersonali>>, l’uomo nasce
all’interno delle relazioni e si ammala a causa di esse; la schizofrenia è il precipitato di
relazioni interpersonali disfunzionali e patologiche, incapaci di fornire quella esperienze di
<<validazione e consenso>> indispensabili per la strutturazione di un adattivo equilibrio
psichico.

La rappresentazione che ciascuno ha di sé è per Sullivan il risultato di rappresentazioni


riflesse: gli aspetti rispecchiati dai genitori strutturano esperienze <<me buono>>, laddove il
mancato riconoscimento genitoriale struttura esperienze <<me-cattivo>> che vengono
esternalizzate all’esterno o, addirittura, esperienze <<non-me>> che vengono dissociate dal
tessuto psichico disposizionale aprendo la strada allo sviluppo del disturbo schizofrenico.

La patologia, così come la salute mentale, può essere compresa solo a partire dal riferimento
al contesto socio-relazionale del paziente.

Epidemiologia
Le sindromi schizofreniche sono state descritte in tutte le epoche, razze e in tutte le culture.

Il recente sviluppo di criteri diagnostici standardizzati, come quelli impiegati dal DSM, ha
consentito di pervenire a una maggiore specificità nella diagnosi, favorendo una maggiore
attendibilità in campo epidemiologico.

Dal punto di vista epidemiologico:

98
1) L’incidenza dei Disturbi schizofrenici, cioè il numero di nuovi casi insorti in un dato
periodo di tempo per unità di popolazione, è di 15-25 casi per anno per 100.000
abitanti.
2) La prevalenza, ossia il numero di casi esistenti in un dato momento per unità di
popolazione, varia tra 0,6-0,8%.
3) L’esordio avviene più frequentemente – in circa il 75% dei casi – in età adolescenziale
o giovanile, con un’incidenza massima tra i 15 e i 35 anni. L’esordio dopo i 35 anni
sembra essere molto più frequente nella donna che nell’uomo. Infatti, negli uomini
l’esordio è più precoce rispetto alle donne.
4) La distribuzione tra i due sessi sembra lievemente più elevata nel sesso maschile, e
nell’uomo l’età di esordio è solitamente più precoce.
5) Per quanto riguarda lo stato civile, i pazienti affetti da disturbo schizofrenico sono più
spesso non coniugati o, se lo sono, hanno più probabilità di divorziare. Questo dato
fornisce due indicazioni importanti:
a. la patologia schizofrenica determina una compromissione dei social skills che
rende difficoltoso per i soggetti instaurare una relazione duratura
b. una relazione affettiva stabile rappresenta un importante fattore protettivo rispetto
allo sviluppo di una schizofrenia
6) I tassi di fertilità e riproduttiva sono inferiori rispetto alla popolazione generale,
sebbene questi siano andati aumentando, negli ultimi decenni, in rapporto alle
modificazioni intervenute nell’assistenza psichiatrica e alla deistituzionalizzazione che,
insieme alla maggiore incisività dei programmi terapeutici e riabilitativi, hanno
favorito una maggiore possibilità di relazioni umane e affettive.
Come mai nonostante i bassi tassi di fertilità e di riproduttività il disturbo si mantiene
costante? Accanto all’ipotesi di una trasmissione genetica, vanno anche considerate, a
questo punto, motivazioni di natura epigenetica 54, ovvero possibilità alterazioni
genetiche intervenienti nel corso dell’esistenza.
In ogni caso, se le Schizofrenie fossero dei disturbi strettamente determinati in senso
genetico, la bassa generatività dei soggetti schizofrenici non spiegherebbe la
persistenza dei tassi di prevalenza ed incidenza che tendono a mantenersi piuttosto
stabili; da qui l’utilità di considerare, oltre al fattore ereditario predisponente, altri
aspetti eziopatogenetici, come quelli psicologici e socio-ambientali.
Va comunque sottolineato che in assenza di predisposizione genetica il soggetto
non sviluppa una schizofrenia.
7) La quasi totalità degli studi sulla distribuzione del disturbo schizofrenico mostra
una maggiore distribuzione nelle classi socio-economiche meno agiate e nei soggetti
con un più basso livello di istruzione. Pertanto gli indici di prevalenza sembrano
inversamente proporzionali al livello di istruzione e alla classe socio-economica di
appartenenza. Tali differenze sarebbero in parte dovute all’effetto che l’evoluzione del
disturbo ha nel favorire la discesa dell’individuo verso livelli socio-economici più bassi.

I fattori eziopatogenetici
I Disturbi Schizofrenic sembrano avere una eziologia complessa che richiama una certa multi-
fattorialità .

54
L’epigenetica studia le modificazioni geniche che si strutturano a partire dall’interazione con l’ambiente.

99
La genetica
Nella comparsa del disturbo schizofrenico sembra indispensabile considerare una
componente di tipo ereditario-genetica.

Infatti, studi sulle famiglie di pazienti schizofrenici, sui gemelli mono- ed eterozigoti e sui figli
e genitori adottivi, hanno sottolineato che il rischio di malattia aumenta anche in relazione a
fattori di ordine genetico. Ad esempio la frequenza del disturbo schizofrenico:

- è triplicata nei parenti di secondo grado di pazienti schizofrenici


- è da 8 a 15 volte superiore nei parenti di primo grado
- è 40 volte più alta quando entrambi i genitori sono schizofrenici
- nei gemelli la concordanza è del 10-15% negli eterozigoti e del 50% nei monozigoti
(questo dato, ovvero che solo il 50% dei gemelli omozigoti condividono un Disturbo
Schizofrenico, consente di inferire che la schizofrenia ha un’eziologia multi-fattoriale e
non esclusivamente genetica)
- Nel 17% dei casi, soggetti figli di madri schizofreniche adottati alla nascita presentano
essi stessi il disturbo schizofrenico
- La Schizofrenia e i disturbi dello spettro schizofrenico sono più frequenti nei parenti di
soggetti schizofrenici adottati alla nascita rispetto ai parenti di soggetti adottati alla
nascita e psichicamente sani (questo dato sottolinea il grande effetto patogeno che
rivela il vivere quotidianamente in un ambiente sociale, familiare, affettivo e
psicologico impoverito da gravose forme di patologia psichica come quella
schizofrenica)

Questi dati, soprattutto quello sulla concordanza tra gemelli monozigoti, pur chiamando
direttamente in causa l’aspetto genetico, allo stesso tempo evidenziano che esso non può da
solo essere responsabile dello sviluppo del disturbo e quindi impongono una valutazione di
tipo multifattoriale a livello eziologico.

I fattori di ordine genetico, più che come cause dirette del disturbo, agirebbero nell’aumentare
la vulnerabilità del soggetto ad altre possibili concause di tipo ambientale, e vanno
considerati, piuttosto, come fattori predisponenti in un’ottica integrata di tipo bio-psico-
sociale.

Quali sono i principali geni che sembrano implicati direttamente nell’insorgenza della
Schizofrenia, determinando una vulnerabilità al disturbo?

Va sottolineato comunque che non è solo la quantità di geni alterati che determinano
l’insorgenza di una Schizofrenia ma anche se e come il gene alterato si manifesta, fattore,
questo, influenzato dall’interazione con l’ambiente. La componente genetica cioè non
determina tout cort la malattia ma la <<vulnerabilità >> alla malattia, che può poi sfociare o
meno in una forma conclamata a seconda delle stimolazioni ambientali.Il soggetto, cioè, può
essere geneticamente un <<portatore sano>> di Schizofrenia (genotipo alterato, ovvero il
corredo genetico), ma non presentare fenotipicamente alcuna alterazione. Fattori di rischio
ambientali in grado di alimentare la predisposizione genetica alla schizofrenia sono:

- complicanze perinatali55
- urbanizzazione
- maltrattamenti e negligenze genitoriali
55
Periodo che precede e segue immediatamente la nascita

100
- etnicità
- uso di cannabis
Il livello mentale sfuma nel livello cerebrale e viceversa: il cervello è un sistema aperto, in
costante interazione con l’ambiente circostante, da cui dipendono le sue modificazioni
strutturali e funzionali (Siegel).

I geni più importanti sono:

- DISC-1
- NEUROGULINA-1
- DTNBP-1 (Disbindina)
- BDNF, (Brain-Derived Nruotrophic Factor) è un importantissimo fattore neurotrofico
di derivazione cerebrale scoperto da Rita Levi Montalcini, che aumenta il trofismo
cerebrale, la plasticità neurale e la creazione di sinapsi. Esistono fattori che aumentano
il BDNF – come il vivere in ambienti ricchi di stimoli adeguati e fare attività fisica – e
fattori che lo riducono – come lo stress, i traumi e gli stimoli ambientali negativi –
- AKT-1
- COMT, il Catecol-O-metiltransferasi è un enzima che degrada le catecolamine
(adrenalina, noradrenalina, dopamina) e la serotonina (catabolismo delle
catecolamine); un altro enzima che svolge questa funzione sono le MAO.
Da quanto detto è possibile inferire che: se un soggetto ha una predisposizione
genetica determinata dall’alterazione del COMT e consuma droga (che aumenta la
trasmissione dopaminergica) ha maggiori possibilità di sviluppare una schizofrenia
reattiva.

La neurochimica
La neurochimica studia la chimica cerebrale.

Insieme con la teoria monoaminergica della Depressione e con la teoria colinergica


della Demenza, l’ipotesi dopaminergica della Schizofrenia rappresenta uno dei modelli
classici della Psichiatria.

L’Ipotesi neurochimica riferisce i sintomi della Schizofrenia a una iperattività


dopaminergica, a partire dalla considerazione che i farmaci antipsicotici tradizionali
esplicano un’azione di blocco del recettore dopaminergico post-sinaptico D2, più concentrati
nelle strutture limbiche, a differenza dei recettori dopaminergici D1, maggiormente localizzati
a livello corticale: tale rilievo ha dato origine all’ipotesi che elevati livelli di attività
dopaminergica sarebbero alla base dell’insorgenza della malattia.

La dopamina gioca un ruolo fondamentale all’interno del vissuto edonico del soggetto, nella
esperienza di gratificazione/benessere, e nella regolazione della salienza (rilevanza)
dell’esperienza, essendo i neuroni dopaminergici maggiormente concentrati nel Nucleo
Accumbens e nell’Area Ventrale Tegmentale.

101
Posto quanto detto, l’utilizzo di Antipsicotici ad azione anti-dopaminergica hanno spesso un
effetto depressogeno.

Non bisognerebbe infine trascurare che, verosimilmente, almeno alcuni sintomi del polimorfo
spettro clinico della Schizofrenia sono in rapporto con altri sistemi recettoriali come quelli
serotoninergici, noradrenergici e gabaergici, come per altro suggerito dalla più recente
introduzione di neurolettici atipici scarsamente attivi sul recettore D2 della dopamina.

La neuroradiologia
La neuroradiologia studia il cervello con tecniche radiologiche.

Le indagini neuroradiologiche nell’ambito dei disturbi schizofrenici possono oggi disporre di


strumentazioni molto avanzate.

Le metodiche di neuroimaging attualmente utilizzate esplorano sia aspetti morfologici che


aspetti funzionali.

- le Tecniche morfologiche, neuro anatomiche o statiche, in grado cioè di chiarire i


correlati neuroanatomici sono rappresentate da:
a) TAC
b) RMN
- le Tecniche funzionali o dinamiche, che studiano il metabolismo cerebrale, il consumo
di ossigeno e di glucosio e l’afflusso di sangue ai tessuti:
a) PET (Tomografia a Emissione di Positroni)
b) SPECT (Tomografia a Emissione di Fotone Singolo)
c) RCBF, ovvero l’analisi del Flusso Ematico Regionale Cerebrale

A partire da quanto detto:

- le tecniche morfologiche, quindi la TAC e la RMN hanno evidenziato:


a) una dilatazione dei ventricoli laterali e del terzo ventricolo
b) un allargamento delle scissure interemisferiche e silviane 56
c) un interessamento del sistema limbico, del talamo e dei gangli della base, che
mostrano alterazioni strutturali e/o riduzione di volume (atrofia)

Va sottolineato che alcuni studi hanno correlato la dilatazione ventricolare con;

a) un basso livello di integrazione sociale premorbosa


b) un quadro a sintomi negativi
c) una compromissione delle funzioni cognitive (infatti è presente anche nella
demenza)
d) una insufficiente risposta alla terapia neurolettica.
- le indagini funzionali, che studiano il metabolismo cerebrale, hanno evidenziato:
a) una asimmetria funzionale tra i due emisferi con prevalenza del sinistro sul destro
b) un ridotto metabolismo del lobo frontale, specialmente durante un impegno
cognitivo che attiva le strutture di questa sede

56
La scissura laterale (di Silvio) separa il lobo frontale in avanti ed il lobo parietale indietro dal lobo temporale, che viene a trovarsi in
posizione inferiore rispetto alla scissura stessa.

102
c) un aumento del flusso ematico e dell’utilizzo di glucosio a livello dei gangli della
base, fattore che indicherebbe in soggetti schizofrenici uno sbilanciamento
funzionale tra le differenti strutture cerebrali ed, in particolare, una possibile
attivazione compensatoria di alcune aree sottocorticali in risposta alla ipofrontalità .

L’elettrofisiologia
La neurofisiologia studia l’attività elettrica del cervello.

Le ricerche in questo campo evidenziano nei soggetti schizofrenici alterazioni del tracciato
elettroencefalografico. Si osservano un incremento di attività theta come reazione agli stimoli
ambientali, laddove nel soggetto normale tali stimoli producono un incremento dell’attività
alpha. Tale aumento dell’attività theta nel momento del processamento dell’informazione
sensoriale indicherebbe un deficit delle funzioni cognitive riscontrabile in un certo numero di
soggetti affetti dal disturbo.

Nei pazienti in fase cronica, inoltre, l’aumento dell’attività theta è più cospicuo nelle aree
frontali e temporali, e correlabile con un quadro clinico a sintomi negativi.

Importante è anche lo studio dei Potenziali Evocati Evento Correlati, attraverso cui è possibile
evidenziare la modalità e i tempi di processamento, quindi di riconoscimento e valutazione, di
un dato stimolo cognitivo. Tra i Potenziali Evocati, la componente più indagata è l’Onda P300
(un’onda EEG che esprime l’attività elettrica cerebrale in rapporto a stimoli sensoriali che
richiedono una discriminazione cognitiva), e questa ha mostrato, in soggetti schizofrenici, un
aumento della sua latenza (maggiore ai 300 ms) e una riduzione della sua ampiezza,
correlabile con una minore capacità di riconoscimento dello stimolo sensoriale (uditivo, visivo
o somatosensoriale), derivante da un’inadeguatezza dei processi attentivi che risultano meno
pronti ed efficaci.

Lo sviluppo neurologico
La maturazione del SNC sembra giocare un importante ruolo eziopatogenetico, a partire dalle
seguenti considerazioni:

1) con maggiore frequenza rispetto ad altri pazienti psichiatrici, e ai soggetti sani, i


pazienti affetti da disturbo schizofrenico hanno una storia di complicanze ostetriche
(parto prematuro, asfissia neonatale, ecc.) che possono aver causato vari danni
cerebrali; alcuni ricercatori hanno anche trovato una correlazione tra la presenza
all’anamnesi di complicanze ostetriche e l’allargamento dei ventricoli cerebrali;
2) è stata rilevata una maggiore concentrazione delle nascite dei pazienti schizofrenici
nella stagione invernale, dato che potrebbe suggerire un fattore di rischio per la
malattia legato alla possibilità di infezioni virali (più frequenti nei mesi invernali), da
cui potrebbero scaturire anomalie nella maturazione del cervello;
3) è stata infine proposta una correlazione inversa tra le dimensioni del cervello, volume
cerebrale e livello intellettivo da una parte, e possibilità di ammalarsi di schizofrenia
dall’altra.
Sembra insomma che le ridotte misure del cranio e cervello, e quindi anomalie della
maturazione del sistema nervoso, abbiano un ruolo importante del determinare la
malattia.

103
Lo sviluppo psicologico
Le ipotesi psicodinamiche riferiscono l’insorgenza del disturbo schizofrenico a vari ordini di
fattori.

 Freud ipotizza che in questo disturbo vi sia un ritiro narcisistico dell’investimento libidico
dagli oggetti all’Io: la difficoltà di rapporto interpersonale del paziente schizofrenico sarebbe
quindi dovuta a questa regressione della libido a una condizione narcisistica primaria, che
porta il soggetto a perdere il rapporto con la realtà e a far emergere il processo primario del
pensiero, che è il modo di funzionamento dell’inconscio.

La produzione allucinatorio-delirante sarebbe una difesa atta a ristabilire una relazione con il
mondo: ciò che gli psichiatri scambiano per malattia, secondo Freud, sarebbe un tentativo di
guarigione, attraverso i deliri e le allucinazioni, che cercano di ricondurre la libido agli oggetti
esterni.

Freud individua nella proiezione il meccanismo difensivo maggiormente responsabile dei


sintomi persecutori

Jung attribuisce la scissione schizofrenica alla forza dei contenuti inconsci e dei complessi
che interferiscono con il ruolo dell’Io, mettendone in discussione la centralità e quindi
disturbando fortemente l’integrazione della personalità .

Inoltre, l’attivazione di nuclei archetipici può rendere questo processo ancora più distruttivo,
in quanto questi contenuti arcaici inconsci domineranno la coscienza e l’individuo sarà
sempre più preda di tematiche collettive e spersonalizzanti.

Jung fu il primo a pervenire a un’interpretazione di tipo bio-psicologico della schizofrenia: egli


ipotizzava infatti nel determinismo di questo disturbo sia un processo disfunzionale di natura
organica, sia qualche importante fattore di natura psicologica. Egli chiamò questa ipotesi
“tossica”

Melanie Klein attribuisce l’origine dei disturbi schizofrenici alle prime interazioni madre-
bambino e precisamente alla posizione schizo-paranoide; in questo periodo, attorno ai sei
mesi, nel bambino prevalgono i meccanismi difensivi della scissione, proiezione e
introiezione, per mezzo dei quali le componenti buone di se stesso e della realtà esterna (la
madre o il suo seno, con il quale egli si rapporta prima di passare dalla parte al tutto) vengono
difensivamente separate da quelle cattive; nella sua teoria la Klein si esprime in termini di
oggetti buoni e oggetti cattivi, laddove per oggetti la Psicoanalisi intende persone o parti di
esse e le loro rappresentazioni interne.

A partire da quanto detto, secondo la Klein, la Schizofrenia sarebbe causata da un difetto


evolutivo che non consente di superare la posizione schizo-paranoide e di passare alla
posizione successiva, che è quella depressiva. Anche in età adulta, quindi, potranno attivarsi le
difese arcaiche patologiche della fase schizoparanoide, che sono alla base della struttura
psicopatologica della Schizofrenia.

Harry Stack Sullivan segna il passaggio dallo studio dei meccanismi intrapsichici a quello
delle influenze ambientali. A partire dalla sua teoria interpersonale, la schizofrenia può essere
interpretata come l’esito di una carenza di esposizione a relazioni interpersonali positive, che
farebbe mancare al soggetto la validazione e il consenso da parte degli altri. L’esito di questo

104
processo è una distorsione dei rapporti per via dell’attivazione di precedenti impressioni,
Script potremmo dire, proiettate sul mondo esterno.

Ping Nie Pao elabora una teoria multifattoriale del disturbo schizofrenico: egli ritiene che la
eziopatogenesi della Schizofrenia sia da imputare sia all’aspetto ereditario-costituzionale sia
ad aspetti di natura ambientale, e alla risposta psicologica al contesto. L’interazione di questi
due aspetti può determinare, secondo Pao, nelle prime fasi dell’infanzia, una notevole
interferenza nella comunicazione madre-bambino, specie quando la capacità del bambino di
risposta all’ambiente è disturbata per difetti costituzionali e la madre difetta di capacità
empatiche di rapporto con il bambino; diventa chiaro come in queste circostanze l’intensità
della relazione affettiva primaria ne risulta disturbata con un’attenuazione o, addirittura, una
scomparsa della mutua reciprocità . Le esperienze alterate che il bambino percepisce in tali
circostanze creano “Disturbi Basici dell’esperienza”, che sarebbero le premesse per la
successiva evoluzione in senso schizofrenico della personalità .

Ambiente e famiglia
Sebbene nessun fattore ambientale definito sia stato messo direttamente in relazione con
l’eziologia della Schizofrenia, studiando le interazioni delle famiglie dei pazienti schizofrenici
è possibile riscontrare una elevata frequenza di anomalie comunicazionali, consistenti
nell’utilizzo di modalità e contenuti illogici, contraddittori e tangenziali.

E’ stata oggi superata l’idea secondo la quale specifiche caratteristiche psicologiche e affettive
dei genitori siano alla base della Schizofrenia dei figli: l’idea di madre “schizofrenogena”,
intrusiva, apprensiva, insicura e iperprotettiva perché inconsciamente ostile verso il figlio, e
del padre, invece, più “periferico”, passivo e spesso succube della moglie.

Altri studi sui modelli comunicazionali familiari riguardano l’emotività espressa familiare,
cioè le modalità attraverso le quali i familiari di un paziente schizofrenico entrano in contatto
con lui esprimendo – esplicitamente o meno, direttamente o meno – un atteggiamento di
fondo di accettazione o di rifiuto.

Così si parla di:

- famiglie a elevata emotività espressa, il cui contesto viene considerato a rischio nel
determinare un alto numero di ricadute e ospedalizzazioni, quando prevalgono aspetti
relazionali quali:
a) ipercoinvolgimento
b) ipercriticismo
c) insofferenza
d) ostilità
e) disapprovazione
- famiglie a bassa emotività espressa, che consentono una migliore capacità di
integrazione sociale e un decorso più favorevole con un minore numero di
riacutizzazioni e ricoveri, quando il clima relazionale e comunicazionale familiare è
improntato a:
a) comprensione
b) tolleranza
c) empatia

105
d) messaggi di rinforzo e conferma degli aspetti positivi che il paziente riesce a
esprimere

Non va infine trascurato il grave carico che può rappresentare per la famiglia la presenza di
un congiunto affetto da un disturbo impegnativo come quello schizofrenico; almeno alcune
delle devianze comunicazionali e affettive osservate nei vari studi potrebbero rappresentare
l’effetto del disagio legato alla malattia e non una sua possibile concausa. Queste
considerazioni lasciano anche intuire quanta parte possa avere, nell’approccio globale al
paziente affetto da schizofrenia, l’intervento sulla famiglia che dovrà essere correttamente
informata, sostenuta e aiutata a evitare, il più possibile, stigmatizzazioni e colpevolizzazioni
che rendono ancora più difficile la gestione pratica e affettiva del paziente e delle sue
problematiche.

Conclusioni
Quanto osservato fino ad ora ci consente di considerare il disturbo schizofrenico come una
situazione complessa di disagio psichico ed esistenziale a eziopatogenesi
multifattoriale e multidimensionale, al cui interno tutte le dimensioni in causa, biologica,
psicologica e sociale, si influenzano vicendevolmente e rappresentano, ciascuna, un fattore di
rischio e vulnerabilità .

La diagnosi e la prognosi
La possibilità di disporre di precisi criteri e standardizzati diagnostici ha una notevole
importanza a livello, ovviamente, diagnostico, prognostico e terapeutico.

I criteri ai quali oggi si fa maggiore riferimento sono quelli dell’ICD-10 e del DSM5.

Le forme cliniche della schizofrenia riconosciute prima dell’introduzione del DSM erano:
1) Ebefrenica
2) Simplex
3) Paranoide
4) Catatonica
5) Pseudonevrotica

Crow e Andreasen hanno proposto una distinzione delle forme di schizofrenia in due
sottotipi:

- Schizofrenia di tipo I o a sintomi positivi; i sintomi positivi – così chiamati perché


“aggiungono qualcosa al funzionamento mentale” (tanto che vengono anche definiti
Sintomi Produttivi, producendo qualcosa in più del normale - sarebbero costituiti da:
a) allucinazioni
b) deliri
c) disturbi formali del pensiero, che si esprime con un eloquio fluido ma povero di
contenuti ed alterato nei rapporti associativi
d) alterazioni del comportamento di tipo bizzarro o disorganizzato

La Schizofrenia di tipo I a sintomi positivi, inoltre:

106
e) esordisce abitualmente in modo acuto
f) la personalità premorbosa è discretamente o sufficientemente strutturata
g) la risposta al trattamento farmacologico risulta soddisfacente nel controllare la
sintomatologia nella maggior parte dei casi
h) poggia, dal punto di vista neurobiologico, su una eziopatogenesi neurochimica,
legata alla iperattività dei circuiti dopaminergici del sistema limbico (da cui la
sensibilità ai farmaci antipsicotici che hanno, appunto, un effetto
antidopaminergico)
- Schizofrenia di tipo II o a sintomi negativi(così chiamati perché laddove i sintomi
positivi “aggiungono qualcosa” al funzionamento normale, loro invece “tolgono”
qualcosa: nota infatti alpha privativo che rimanda a privazione):
a) alogia57
b) anedonia58
c) appiattimento affettivo
d) apatia
e) abulia
f) chiusura relazionale
g) compromissione delle facoltà attentive

La Schizofrenia di II tipo a sintomi negativi, inoltre:

h) ha un esordio più spesso subdolo


i) la personalità premorbosa appare povera
j) ha una scarsa risposta al trattamento farmacologico
k) la eziopatogenesi biologica prevede fattori di tipo strutturale piuttosto che
neurochimico, consistenti principalmente in 1) dilatazione ventricolare, 2) atrofia
corticale, 3) asimmetria emisferiche e 4) varie altre alterazioni neuro anatomiche

Questa classificazione non va comunque intesa rigidamente, potendosi riscontrare forme


miste a sintomi positivi e negativi, e forme che, o in rapporto all’evoluzione naturale del
disturbo, o per l’effetto delle terapie psicofarmacologiche, transitano da un tipo all’altro.

57
Alogia povertà di linguaggio o dell’eloquio; secondo Crow e Andreasen l’alogia è caratteristica della schizofrenia di tipo II, laddove nella
Schizofrenia di tipo I l’eloquio si mantiene fluido.
58
Anedonia Incapacità di provare piacere

107
I Criteri diagnostici per la Schizofrenia del DSM-IV-TR
A. SINTOMI CARATTERISTICI: Due (o più) dei seguenti per almeno 1 mese:
1) Deliri
2) Allucinazioni
3) Eloquio disorganizzato (per esempio, frequenti deragliamenti o incoerenza)
4) Comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico 59
5) Sintomi negativi, come appiattimento affettivo, alogia o assenza di volizione

Nota: E’ richiesto solo un sintomo del criterio A se i deliri sono bizzarri o le allucinazioni consistono in
una voce che continua a fare commenti sul comportamento o sui pensieri della persona, o due o più voci
che conversano tra loro.

B. DISFUNZIONE SOCIALE/OCCUPAZIONALE: Per una porzione significativa del tempo


dall’esordio del disturbo, una o più aree consistenti del funzionamento come il lavoro, le relazioni
interpersonali, o la cura di sé sono marcatamente al di sotto del livello acquisito prima
dell’esordio (o quando l’esordio è nell’infanzia o nell’adolescenza, incapacità di raggiungere il
livello atteso di acquisizioni interpersonali, accademiche o occupazionali).
C. DURATA: Segni continuativi del disturbo persistono per almeno 6 mesi. Questo periodo di 6 mesi
deve includere almeno 1 mese di sintomi che soddisfino il criterio A (cioè sintomi della fase
attiva) e possono includere periodi di sintomi prodromici o residui. Durante questi periodi
prodromici o residui, i segni del disturbo possono essere manifestati solo da sintomi negativi o da
due o più sintomi elencati nel criterio A presenti in forma attenuata (ad esempio, strane
convinzioni, esperienze percettive inusuali)
D. ESCLUSIONE DEL DISTURBO SCHIZOAFFETTIVO O DELL’UMORE: Il Disturbo Schizoaffettivo e
il Disturbo dell’Umore con Manifestazioni Psicotiche sono stati esclusi o perché (1) nessun

59
Catatonia Condizione clinica che si osserva prevalentemente nella Schizofrenia. Sono tipiche della catatonia le pose statuarie e
l’immobilità mimica.

108
Episodio Depressivo Maggiore, Maniacale, o Misto è intervenuto in concorrenza con i sintomi
della fase attiva; o (2) se gli episodi affettivi sono intervenuti durante i sintomi della fase attiva,
la loro durata totale è breve relativamente alla durata dei periodi attivo e residuo.
E. ESCLUSIONE DI SOSTANZE/CONDIZIONE MEDICA GENERALE: Il disturbo non è dovuto agli
effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio, una sostanza di abuso, un farmaco) o a una
condizioni medica generale
F. RELAZIONE CON UN DISTURBO PERVASIVO DELLO SVILUPPO: Se vi è una storia di Disturbo
Autistico o di un altro Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, la diagnosi aggiuntiva di Schizofrenia
viene fatta solo se sono anche presenti consistenti deliri e allucinazioni per almeno un mese

Classificazione del decorso longitudinale (può applicarsi solo dopo che almeno 1 anno sia
trascorso dall’esordio iniziale dei sintomi della fase attiva):
- Episodico con Sintomi Residui Interepisodici (gli episodi sono definiti dal riemergere di
Sintomi Psicotici Consistenti); specificare anche se: con Sintomi Negativi Consistenti
- Episodico senza Sintomi Residui Interepisodici
- Continuo (sintomi psicotici prominenti sono presenti lungo il periodo di osservazione);
specificare anche se: con Sintomi Negativi Consistenti
- Episodio singolo in Remissione Parziale; specificare anche se: con Sintomi Negativi Consistenti
- Episodio singolo in Remissione Completa
- Altro o non specificato Profilo

La diagnosi differenziale
Una sintomatologia di tipo psicotico può presentarsi in una notevole quantità di quadri
psichiatrici non schizofrenici.

a) le intossicazioni da droghe o farmaci o il loro uso prolungato possono, non raramente,


causare sintomi psicotici; le sostanze più spesso implicate sono la cocaina, le
anfetamine, i vari tipi di allucinogeni o, nell’ambito farmacologico, gli steroidi, gli
anticolinergici.
b) Tra le malattie del SNC causa di quadri psicotici sono da ricordare:
- epilessia
- tumori cerebrali
- encefaliti60
- malattie degenerative come la Corea di Huntington e il Morbo di Wilson
c) la Psicosi Reattiva Breve va differenziata dai disturbi schizofrenici perché i sintomi
psicotici hanno durata da un giorno a un mese, mentre nel disturbo schizofreniforme
da uno a sei mesi.
d) L’assenza di sintomi maniacali o depressivi – o una loro molto breve comparsa – nella
fase di acuzie, consentono di escludere un Disturbo dell’Umore o un Disturbo
Schizoaffettivo
e) Il Disturbo Psicotico Indotto viene diagnosticato quando il delirio nella seconda
persona si realizza in una situazione di stretto contatto con una o più persone che
presentano già un delirio stabilizzato e, inoltre, le due tematiche deliranti sono molto
simili o, addirittura, coincidenti

60
Encefalite Processo infiammatorio che colpisce l’encefalo

109
f) I Disturbi di Personalità Schizoide, Schizotipico e Paranoide, a differenza dei disturbi
schizofrenici, presentano raramente e solo per brevi periodi, deliri, allucinazioni e una
marcata disorganizzazione comportamentale e, in ogni caso, le manifestazioni del
disturbo di personalità sono sempre preesistenti a tali sintomi.

La prognosi
Tra i fattori prognostici, quelli maggiormente in grado di indicare predittivamente il decorso
del Disturbo sono legati a:

- tipo di personalità premorbosa (sintomi positivi=strutturata; sintomi negativi=non


strutturata e povera)
- presenza di eventi traumatici scatenanti (notare se: è una psicosi reattiva breve?)
- tipo di esordio e caratteristiche del quadro clinico
- precedenti psichiatrici in famiglia

La prognosi sarà migliore se:

1) il disturbo esordisce in modo acuto


2) la personalità premorbosa è adeguatamente sviluppata
3) sono riconoscibili uno o più eventi traumatici scatenanti prima dell’ingresso nel
disturbo
4) l’anamnesi familiare è negativa per Schizofrenia
5) nel quadro clinico sono presenti sintomi di tipo affettivo e sono assenti sintomi di tipo
ossessivo-compulsivo
6) la classe sociale di provenienza è elevata
7) il soggetto è sposato
8) mancano alterazioni funzionali e strutturali del SNC (come nella Schizofrenia di tipo II)

La clinica
I disturbi schizofrenici presentano un’estrema varietà sintomatologica, pur nella persistenza
di alcune caratteristiche comuni; anche all’interno di un singolo caso, inoltre, può osservarsi
longitudinalmente una notevole fluttuazione della espressività clinica. L’interessamento
cospicuo della maggior parte delle funzioni psichiche e la perdita della loro integrazione e
coordinazione è responsabile della grande quantità di sintomi osservabili e del loro
complesso intreccio.

Come visto:

- lo sviluppo del disturbo avviene nella maggior parte dei casi nell’adolescenza o nell’età
giovanile: il rendimento scolastico o lavorativo possono cominciare a decrescere senza
alcune ragione significativa
- può comparire un ritiro sociale progressivamente crescente, insieme a una graduale
perdita di interesse per le attività abituali.
- A questi sintomi possono aggiungersi disagio affettivo e un peggioramento della
performance cognitiva:
a) stranezze comportamentali sempre più consistenti

110
b) anormalità a carico della funzione ideativa che diviene tangenziale, o dominata da
tematiche inusuali (ricorda la tetrade dei disturbi dei legami del pensiero di cui si
parla nel capitolo V sulla psicopatologia)
c) distorsione o appiattimento della vita affettiva
d) incongruenza ideo-affettiva
e) labilità e instabilità dell’umore, euforia e tristezza poco comprensibili
(ambivalenza e labilità affettiva)

Questo corteo di sintomi, con modalità e intensità diverse, produce nei familiari la sensazione
di un cambiamento rispetto al precedente assetto raggiunto.

La modalità di comparsa più frequente del disturbo schizofrenico è proprio quella in cui si
rendono evidenti in modo lentamente progressivo:

1) la sintomatologia
2) il distacco dall’ambiente
3) la frattura con la realtà

in una percentuale inferiore di casi invece:

1) l’esordio è acuto
2) emergono improvvisamente esperienze psicotiche deliranti-allucinatorie, dai contenuti
più diversi:
a) mistico-religiosi
b) di trasformazione somatica
c) di fine del mondo
d) di veneficio
e) di nocumento
f) di influenzamento
3) la disorganizzazione ideativa può essere tale che la produzione delirante stessa risulta
frammentaria e i deliri prendono la forma di spunti con scarsa o nulla coerenza interna
(deliri non sistematizzati)
4) Non infrequentemente, questo tipo di “rottura psicotica” è preceduta dalla comparsa
altrettanto repentina di uno stato d’animo pre-delirante con il quale il paziente
avverte, come in una sorta di drammatico presentimento, che qualcosa di irreparabile
sta per accadere a lui stesso, alla sua famiglia, al mondo intero: il senso della realtà
subisce una brusca e angosciosa modificazione, i suoi significati diventano
incomprensibili e minacciosi.
5) L’esordio acuto di un disturbo schizofrenico può anche presentarsi con una condizione
di alterazione della coscienza, con stati di intensa e grave confusione mentale.

Il decorso della schizofrenia avviene tipicamente con un’alternanza di:

- fasi di riacutizzazione, nella quali i sintomi psicotici sembrano riaccendersi in modo


rapido e esplosivo
- fasi libere, nelle quali il paziente sembra tornare a un relativo compenso.

Nella maggior parte dei casi, però , dopo una fase peggiorativa (di riacutizzazione),
l’adattamento successivo, seppur apparentemente asintomatico, sarà globalmente inferiore
rispetto al periodo precedente la crisi di riacutizzazione psicotica.

111
Inoltre con una certa frequenza la nuova fase acuta è seguita da un periodo depressivo nel
quale il paziente appare come svuotato dal delirio ma anche dalla carica affettiva dello stesso;
le fasi depressive post-psicotiche sono state interpretate come:

- risposte di natura psicologica, a partire dall’aumento della consapevolezza delle


proprie difficoltà
- risposte di natura psico-biologica al trattamento farmacoterapeutico neurolettico.

Il DSM-IV-TR distingue 5 sottotipi di Schizofrenia:

1) Paranoide, caratterizzata da:


a) allucinazioni uditive
b) deliri, di tipo prevalentemente persecutorio, con le varianti di influenzamento,
riferimento, nocumento
c) esordio più tardivo rispetto alle altre
d) migliore prognosi rispetto alle altre
e) migliore personalità premorbosa rispetto alle altre
2) Disorganizzata, che presenta come sintomi preminenti:
a) disorganizzazione dell’eloquio e del comportamento
b) appiattimento o inadeguatezza affettiva
c) funzionamento premorboso meno buono rispetto alla forma Paranoide
d) Esordio più precoce rispetto alla forma Paranoide
3) Catatonica, che presenta le maggiori alterazioni a carico della psicomotricità :
a) immobilità o iperattività motoria sino all’agitazione
b) mantenimento di rigide posture immodificabili dall’esterno
c) mutismo
d) assunzione volontaria di posture bizzarre o inadeguate
e) stereotipie
f) ecolalia61 e ecoprassia62
g) rialzo termico
h) malnutrizione e disidratazione per rifiuto di cibo e liquidi
4) Indifferenziata, che sebbene presenti dei sintomi che soddisfano il criterio A, non è
inquadrabile all’interno delle altre tre forme.
5) Residua, in cui, ricordiamo, i segni del disturbo possono essere manifestati solo da
sintomi negativi o da due o più sintomi elencati nel criterio A presenti in forma
attenuata (ad esempio, strane convinzioni, esperienze percettive inusuali)

Terapia
L’eziopatogenesi multifattoriale del Disturbo Schizofrenico impone un approccio terapeutico
integrato che si avvale contemporaneamente:

1) farmacoterapia
2) psicoterapia
3) riabilitazione

61
ecolalia Ripetizione, a tipo automatico, di parole o di una frase udite al momento.
62
ecoprassia In psichiatria, disturbo di natura demenziale, che consiste nell’imitazione di movimenti fatti da altri.

112
Mai come nel caso del disturbo schizofrenico, la possibilità di influenzare favorevolmente la
prognosi, di diminuire le ricadute ed evitare o ridurre la possibilità di esiti negativi,
dipendono dalle risorse terapeutiche che si è in grado di offrire al paziente e alla famiglia.

Se la malattia rappresenta l’epifenomeno di un pericoloso circolo vizioso in cui il danno


biologico, quello psicologico e quello psicosociale si amplificano reciprocamente, allora deve
essere portato avanti un lavoro terapeutico altrettanto multidimensionale e integrato, in
grado cioè di agire sui differenti livelli eziopatogenetici così da ridimensionarli. Questa è la
premessa fondamentale per garantire al paziente schizofrenico la possibilità di raggiungere
un, seppur parziale, adattamento socio-relazionale e affettivo, e prevenire o ritardare il danno
cognitivo e affettivo.

 La Farmacoterapia del Disturbo Schizofrenico si basa essenzialmente sull’utilizzo di:

- Neurolettici (Antipsicotici di I generazione)


- Antipsicotici atipici (Antipsicotici di II generazione)
La Clorpromazina è stato il primo farmaco antipsicotico, e ha segnato l’inizio della seconda
rivoluzione psichiatrica, dopo quella alimentata dalla nascita della Psicoanalisi. Il suo utilizzo
ha consentito di spostare il trattamento della schizofrenia sul territorio, dando un grosso
impulso alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici. Il farmaco blocco il recettore D2, la dopamina
viene catabolizzata dal COMT e si abbassa il livello dopaminergico cerebrale.

I farmaci neurolettici hanno radicalmente migliorato la possibilità di cura di questi disturbi e,


sebbene essi agiscano più in senso sintomatico che in senso risolutivamente terapeutico, la
loro introduzione ha consentito l’accesso di questi pazienti a trattamenti non biologici.

Proprio in virtù del loro prevalente effetto sull’espressività sintomatica, più che sul processo
patologico vero e proprio, questi farmaci devono spesso essere impiegati per periodi molto
lunghi, anche per mesi o addirittura anni, per cui non raramente il loro impiego, a fronte di
una buona azione di controllo a livello sintomatologico, non è scevro da possibili rischi di
natura:

a) neurotossica
b) epatotossica
c) nefrotossica
d) sull’equilibrio neuroendocrino e metabolico

I neurolettici comprendono:

1) Fenotiazine
2) Butirrofenoni
3) Tioxanteni
4) Benzamidi sostituite
5) Dibenzoazepine

Le Fenotiazine(Clorpromazina) rappresentano il primo raggruppamento farmacologico di cui


si dimostrò un effetto antipsicotico; assieme ai Butirrofenoni e non raramente in
associazione con questi, sono tra i neurolettici maggiormente impiegati nel trattamento
farmacologico della Schizofrenia.

I Neurolettici hanno effetti:

113
1) Sedativi e antimaniacali, in caso di agitazione psicomotoria
2) deliriolitici
3) allucinolitici
4) attivanti o disinibenti (detti anche, eufemisticamente, risocializzanti)
5) tossici
6) abbassano la soglia convulsionante
7) sul sistema extrapiramidale e per questo provocano sintomi extrapiramidali
8) provocano sintomi neurovegetativi

Ma il vero problema del controllo farmacologico dei sintomi schizofrenici è dato dalla
sintomatologia negativa; le sostanze oggi impiegate con questa finalità appartengono a
categorie differenti: Butirrofenoni, Tioxanteni, Benzamidi Sostituite, il Risperidone e la
Clozapina che sono Antipsicotici Atipici.

Situazioni depressive possono punteggiare il decorso di un disturbo schizofrenico, a volte –


come è stato già osservato – nella fase successiva allo spegnimento delle manifestazioni
psicotiche produttive; in questo caso può essere consigliato l’impiego prudente di farmaci
antidepressivi, tra i quali appaiono di un certo interesse in tale ambito gli inibitori selettivi del
re-uptake della serotonina, il cui effetto è, quindi, quello di aumentare la concentrazione inter-
sinaptica del neurotrasmettitore in questione.

Gli Antipsicotici Atipici comprendono:

1) Risperidone (Benzisoxazolo)
2) Clozapina (Dibenzazepina): va ricordato perché è il <<più atipico tra gli antipsicotici
Atipici>>; ha un elevato effetto sul quadro psicotico, e spesso è utilizzato nei casi di
resistenza, Ha però grossi effetti sedativi e richiede un emocromo precedente dal
momento che può portare a leucopenia (diminuzione dei globuli bianchi, indispensabili
per proteggere l’organismo dalle infezioni)
3) Olanzapina (tieno-BDZ simile alla Clozapina)
4) Quetiapina
5) Aripiprazolo
6) Paliperidone
7) Ziprasidone

Gli Antipsicotici Atipici:

- provocano minori effetti collaterali rispetto ai neurolettici (minore effetti


extrapiramidali)
- sono a volte efficaci nelle forme resistenti
- hanno minori effetti sedativi
- hanno una migliore azione sulla sfera cognitiva
- hanno effetti importanti a livello metabolico (tra gli altri, provocano un aumento
ponderale)

La farmacoterapia antipsicotica, seppur estremamente utile nella gestione del paziente


schizofrenico, è da sola insufficiente ad assicurare migliori e stabili condizioni di equilibrio
relazionale e di adattamento sociale e affettivo, un miglioramento reale quindi. La complessa
problematica del disturbo schizofrenico richiede quindi anche interventi di diversa natura:

 La Psicoterapia di volta in volta potrà coinvolgere anche il nucleo familiare, spesso


massicciamente coinvolto nella evoluzione del disturbo.

114
Al di là di un intervento di psicoterapia familiare, oggi si privilegiano interventi di tipo
psicoeducazionale, volti ad informare, sostenere e correggere eventuali atteggiamenti
familiari che determinano un peggioramento delle possibilità e delle capacità adattive del
paziente. La possibilità , ad esempio, di intervenire sui pattern di emotività espressa familiare
– cioè sull’insieme delle reazioni emotivo-affettive di incoraggiamento e accettazione o, al
contrario, di rifiuto e ostilità della famiglia alla condizione schizofrenica – determina una
minore necessità di ospedalizzazione e una minore tendenza alle ricadute.

Una qualche forma di psicoterapia supportiva appare indicata in molti casi di disturbo
schizofrenico.

 Il terzo asse portante della terapia della psicosi schizofrenica è costituita dagli interventi
riabilitativi, risocializzanti, e in grado di far uscire il paziente dall’”esilio dalla realtà esterna”
di cui parlava Racamier.

I Farmaci Neurolettici
Sono i farmaci maggiormente impiegati nel trattamento dei Disturbi Psicotici: Schizofrenia,
Psicosi Acute, Disturbi Deliranti, Mania,ecc.

Queste molecole hanno un effetto:

1) Sedativo
2) Deliriolitico
3) Allucinolitico
4) Antimaniacale

I Neurolettici quindi:

1) creano uno stato di sedazione psicomotoria


2) agiscono efficacemente negli stati di eccitamento e agitazione
3) migliorano la sintomatologia acuta e cronica della psicosi
4) svolgono un effetto predominante a livello sottocorticale(infatti il Morbo di
Parkinson è una demenza sottocorticale)
5) producono sintomi extrapiramidali

Questi farmaci svolgono un’azione di grande importanza dal punto di vista clinico per le
Psicosi:

1) ne controllano i sintomi
2) ne hanno radicalmente cambiato il decorso
3) ne hanno migliorato la prognosi
4) ne hanno diminuito le percentuali di cronicizzazione e le ricadute
5) hanno reso accessibile, ai pazienti affetti da questi disturbi, un ampio ventaglio di
interventi psicoterapeutico-riabilitativi, impensabili in era pre-neurolettica
6) hanno rivoluzionato i criteri dell’assistenza psichiatrica al paziente psicotico
7) hanno consentito una migliore possibilità di adattamento e di integrazione familiare e
sociale

I Neurolettici possono essere divisi nelle seguenti classi:

1) Fenotiazine

115
2) Butirrofenoni
3) Tioxanteni
4) Benzamidi
5) Dibenzazepine
6) Benzisoxazoli
7) Dibenzoxazepine
8) Dibenzotiazepine
9) Difenilbutilpiperidine

1. Fenotiazine
Il capostipite degli Antipsicotici fenotiazinici è la Clorpromazina, il primo neurolettico e
psicofarmaco sintetizzato.

Altre Fenotiazine sono:

a. Promazina
b. Prometazina
c. Perfenazina
d. Levomepromazina
e. Flufenazina

2. Butirrofenoni
Svolgono un’attività neurolettica potente e incisiva, paragonabile a quella dei composti
fenotiazini più efficaci. Di questo gruppo fa parte l’Aloperidolo, farmaco largamente
impiegato per la sua spiccata azione deliriolitica e allucino litica. Altri importanti
Butirrofenone sono:

a. Droperidolo
b. Trifluoperidolo
c. Benperidolo
d. Bromperidolo

3.Tioxanteni
Hanno una struttura chimica simile a quella delle Fenotiazine; importante in questa categoria
è Zuclopentixolo

4. Benzamidi
Sono farmaci definiti Anfoteri perché dotati di uno spettro di azione clinica vario; essi infatti
hanno effetti:

116
- antipsicotici, a dosi cospicue
- antidepressivi-antisomatizzanti, a dosi più basse
Un’altra differenza rispetto agli altri neurolettici è la capacità di provocare effetti di tipo
endocrino consistenti in:

- amenorrea e galattorrea63, nelle donne


- ginecomastia64, nell’uomo
Scarsi sono invece gli effetti di tipo extrapiramidale.

Tra le Benzamidi ricordiamo:

- Sulpiride
- Levosulpiride, efficace anche nei Disturbi Somatoformi
- Amisulpiride, con una specifica indicazione per il Disturbo Distimico
- Triapide, utilizzata anche nell’intossicazione alcolica acuta, nell’agitazione del
paziente anziano e nella terapia delle ipercinesie e tremori

5. Dibenzazepine
Fra queste un composto di un certo rilievo è la Clozapina per la sua azione sui sintomi
psicotici resistenti e sui quadri schizofrenici cronici e come farmaco utile in pazienti con gravi
effetti collaterali di tipo extrapiramidale o discinesia tardiva (v.effetti collaterali).

6. Benzisoxazoli
Il Risperidone è il principale farmaco di questa classe. Si tratta di un neurolettico
caratterizzato da una potente azione di antagonismo sia sui recettori 5-HT2 della
serotonina che su quelli della dopamina. La potente attività sui recettori serotoninergici 5-
HT2 (ricorda che questi sono auto-recettori, e che quindi, in condizioni normali, diminuiscono
i livelli serotoninergici cerebrali, mentre un effetto antagonista, come in questo caso, aumento
i livelli di sintesi e rilascio della serotonina) dovrebbe spiegare l’efficacia sui sintomi negativi
della Schizofrenia.

Il farmaco sembra non presentare gravi effetti collaterali, con effetti di tipo extrapiramidale
ridotti rispetto agli altri neurolettici.

7. Dibenzoxazepine
Sono molecole molto simili chimicamente alle Dibenzotiazepine.

8. Dibenzotiazepina
La Clotiapina è il farmaco più rappresentativo di questa classe, ed ha una spiccata azione
sull’eccitamento, l’agitazione e i sintomi allucinatori-deliranti (quindi grandi effetti
deliriolitici, allucinolitici, antimaniacali e sedativi)

63
Per galattorrea in campo medico, si intende un'anomala secrezione del latte nelle donne anche quando esse non provvedono
all'allattamento materno.
64
Sviluppo delle mammelle

117
9. Difenilbutilpiperidine
I composti di questa classe sono dotati di una durata d’azione medio-lunga, tanto da poter
essere somministrati una volta la settimana.

10.Neurolettici long-acting
Questi Neurolettici vengono rilasciati lentamente, assumendo così un carattere di lunga
durata che consente un’ottimizzazione della terapia. Di solito la somministrazione è
intramuscolare e avviene ogni 4 settimane o, più spesso, quando necessario.

Gli Antipsicotici a rilascio prolungato, data la loro efficacia prolungata, garantiscono una
maggiore continuità terapeutica e quindi un’adesione terapeutica a lungo termine da parte del
paziente, oltre ad avere le caratteristiche tollerabilità degli antipsicotici atipici.

Ricordiamo:

a. Flufenazina
b. Aloperidolo
c. Perfenaziona
d. Zuclopentixolo
e. Risperidone
f. Oliperidone
g. Olanzapina

Meccanismo di azione
 L’effetto centrale dei Neurolettici a livello cerebrale è il blocco dei recettori D1-D2
dopaminergici.

118
Nello specifico:

- l’effetto antidopaminergico a livello limbico correla con l’effetto antipsicotico


- l’effetto antidopaminergico nigro-striatale può spiegare l’insorgenza di effetti
collaterali di tipo extrapiramidale (ricorda che la via dopaminergica “nigro-striatale”, la
quale è parte fondamentale del cosiddetto Sistema Extrapiramidale, è deputata al
controllo del movimento, della postura e dell’equilibrio)
- l’effetto antidopaminergico a livello tubero-infundibulare spiega gli effetti
endocrini, molto elevati per le Benzamidi.

 I Neurolettici Atipici agiscono anche su altri sistemi recettoriali come:

- 5-HT2 (Risperidone) (auto recettore della Serotonina, quindi migliore azione sui
sintomi negativi)
- noradrenergico (ipotensione ortostatica)
- istaminergico (il suo blocco aumenta l’appetito e determina sonnolenza)
- gabaergico

Per altro il doppio antagonismo 5-HT2/D2 (5-HT2 è un auto-recettore che normalmente


limita il rilascio di serotonina) può spiegare l’efficacia dei neurolettici atipici (Risperidone e
Dibenzoxazepine) sui sintomi negativi. Inoltre, la maggiore affinità dei neurolettici atipici

119
per i recettori D3-D4-D5 della Dopamina (e non D1-D2, recettori prevalentemente
sottocorticali), posti a livello corticale, può spiegare la mancanza di effetti collaterali di tipo
extrapiramidale ed endocrino di queste molecole.

Ricerche hanno anche evidenziato una carenza dei neuropeptidi colecistochinina,


neurotensina e vasopressina sui neuroni dopaminergici.

Effetti clinici
I neurolettici trovano la loro principale indicazione per il trattamento dei Disturbi
Schizofrenici, ma sono utili anche per una serie di Disturbi Psichici.

 Per il trattamento della Schizofrenia essi possono essere somministrati:

- per controllare l’eccitamento e l’agitazione in una fase acuta


- per controllare i sintomi deliranti e allucinatori in fase acuta
- un preparato long-acting come terapia di mantenimento e prevenzione delle
riacutizzazioni.

 Un’altra indicazione è l’eccitamento maniacale del Disturbo Bipolare, nel quale i


neurolettici svolgono abitualmente un effetto rapido e favorevole, anche in associazione con i
Sali di Litio.

 Nella Depressione Psicotica con deliri il neurolettico può essere somministrato assieme
ad un antidepressivo.

 Le Sindromi Cerebrali Organiche, come la Demenza, comportando l’insorgenza di sintomi


psicotici, possono richiedere l’impiego, transitorio o più prolungato, di farmaci neurolettici.

 Nei casi di irrequietezza ed agitazione del paziente anziano a volte neurolettici a basse
dosi sono preferiti alle BDZ.

Altre indicazioni riguardano:

- psicosi da anfetamina o indotte da altre droghe


- Sindrome di Gilles de la Tourette (viene utilizzato più spesso l’Aloperidolo)
- DP Bordeline e Schizotipico, a basse dosi e per periodi limitati.

Effetti collaterali
 I principali e più frequenti effetti collaterali dei Neurolettici sono gli effetti di tipo
extrapiramidale, a carico di:

- Sistema Nervoso Autonomo, per cui gli effetti extrapiramidali influenzano il sistema
motorio involontario, tanto da provocare motricità autonoma consistente in tremori e
sintomi simil-parkinsoniani, da trattare attraverso farmaci anti-parkinsoniani
- Sistema Cardiovascolare
- Sistema Endocrino (incremento della prolattina per cui iper-prolattinemia)

120
- Fegato (ittero maligno)
- Cute/dermatologici (fotosensibilizzazione e dermatiti allergiche)
- Ematico (leucopenia, ovvero diminuzione dei globuli bianchi)
- Metabolismo (uno dei più importanti effetti dei Neurolettici e il più importante effetto
degli Antipsicotici Atipici), consistente in:
a. aumento di peso anche in tempi rapidi
b. aumento dell’appetito (dovuto al blocco del recettore istaminico)
c. aumento del consumo di bevande zuccherate
d. diminuzione di leptina65
- Disturbi Sessuali, con episodi di impotenza

Gli effetti extrapiramidali sono dovuti alla diminuzione della funzione dopaminergica
ed al prevalere di quella colinergica per via della bilancia funzionale esistente tra questi
due mediatori del SNC, per cui l’Acetilcolina ha un effetto parasimpaticomimetico, e la
dopamina un effetto simpaticomimetico.

Per tale ragione, numerosi clinici utilizzano la terapia con farmaci anticolinergici
(parasimpaticolitici e quindi simpaticomimetico) quando si manifestano dei sintomi
collaterali di tipo extrapiramidale, anche se sarebbe preferibile iniziare i farmaci
anticolinergici insieme al neurolettico, soprattutto nel paziente ambulatoriale e nel paziente
giovane.

Posta la premessa di cui sopra, secondo cui il Sistema dopaminergico svolge un’importante
azione di controllo sul movimento autonomo, sull’equilibrio e sulla postura, gli effetti
extrapiramidali comprendono, in ordine cronologico di comparsa:

1) Distonie (crisi neurodislettiche): sono i primi disturbi a potere comparire all’inizio


di un trattamento con un neurolettico (di solito entro i primi 5 giorni) e consistono in
movimenti spastici e in coordinati di alcuni gruppi muscolari come il tronco, la lingua,
la faccia, il collo; questi disturbi sono più frequenti nei soggetti giovani di sesso
maschile.
2) Acatisia: è una forma di irrequietezza agli arti inferiori; insorge entro 10 giorni
dall’inizio del trattamento, in modo acuto o più graduale.
3) Acinesia: consiste in una diminuzione dei movimenti (2°-3° settimana).
4) Rigidità muscolare e perdita dell’espressione facciale: tra le 3° e la 4° settimana.
5) Tremori: costituiscono, assieme alla rigidità muscolare e all’acinesia, lo pseudo
parkinsonismo iatrogeno da neurolettici.
6) Rabbit Syndrome: consiste in un fine tremore del labbro inferiore; assieme alla Pisa
Syndrome (inclinazione del corpo o del busto) colpisce i pazienti anziani.

Gli effetti collaterali di tipo extrapiramidale si trattano o si prevengono con farmaci


anticolinergici antiparkinsoniani.

7) La Discinesia tardiva è un sindrome neurologica di difficile trattamento che compare a


distanza di mesi o anni dall’inizio di una terapia con neurolettici, specialmente se il farmaco
viene interrotto; si ipotizza che sia causata da una supersensibilità dei recettori dopaminergici

65
La leptina (dal greco leptos, cioè snello) è un ormone che ha un ruolo importante nella regolazione dell'ingestione e della spesa calorica,
compreso l'appetito ed il metabolismo.. Se la leptina regola il senso di sazietà , la grelina è l'ormone dell'appetito.

121
post-sinaptici determinata dal prolungato blocco recettoriale da parte del neurolettico. La
sintomatologia consiste in movimento involontari della testa, degli arti e del tronco, ma anche
dei muscoli della lingua. Il trattamento più adeguato in questi casi sembra essere la
somministrazione di neurolettici a basse dosi.

8) La Sindrome maligna da neurolettici rappresenta la complicanza più grave e temibile


che si può presentare durante una terapia neurolettica, potendo portare anche alla morte il
paziente. La sintomatologia consiste in:

a. Compromissione dello stato di coscienza


b. Iperpiressia
c. Ipertono muscolare
d. Distonia
e. Sudorazione
f. Tachicardia
g. Ipertensione
h. Leucocitosi66
i. Aumento della mioglobina67

L’ipotesi patogenetica ruota attorno al blocco dopaminergico che determinerebbe una


inibizione nigrostriatale, concausa della comparsa dell’ipertono muscolare, e alterazione
dei meccanismi ipotalamici di termoregolazione del sistemo tubero-infundibulare (da cui
l’iperpiressia).

La Sindrome maligna ha un tasso di mortalità che va dal 10 al 30%; va trattata con


l’immediata sospensione dei neurolettici e con l’impiego di farmaci miorilassanti e
di agonisti della Dopamina.

 Gli effetti collaterali non neurologici dei neurolettici Atipici sono:

- Sedazione, per l’effetto antiistaminergico


- ipotensione ortostatica, per l’effetto antiadrenergico
- xerostomia, stipsi, midriasi e annebbiamento della vista, per l’effetto
anticolinergico (????????? Ma come può esserci un effetto anticolinergico e quindi
dopaminergico nei neurolettici??? Questa cosa è scritta a pag. 282)

 Gli effetti endocrini, intensi con l’uso delle Benzamidi Sostituite, consistono in:

- alterazioni mestruali
- ginecomastia
66
ovvero aumento del numero dei leucociti nel sangue, che avviene negli stati infiammatori e a volte è la prima indicazione di uno sviluppo
neoplastico; i leucociti ovvero i globuli bianchi sono cellule del sangue la cui funzione principale è quella di preservare l'integrità biologica
dell'organismo tramite l'attuazione di meccanismi di difesa diretti contro microorganismi patogeni di varia natura (virus, batteri, parassiti) e
contro corpi estranei penetrati nell'organismo previo superamento delle barriere costituite dalla cute e dalle mucose.
67
La mioglobina è una proteina globulare la cui funzione specifica è quella di legare reversibilmente l'ossigeno.
Quando si eseguono delle analisi del sangue, la mioglobina viene ricercata come marker di danno cardiaco; questa proteina viene infatti
rilasciata molto rapidamente dal tessuto miocardico ischemico, sofferente per il ridotto afflusso di ossigeno. Numeri alla mano, la mioglobina
plasmatica tende ad alzarsi entro 2-3 ore dall'infarto cardiaco, o altro danno muscolare, raggiungendo poi un picco dopo una decina di ore e
scendendo fino ai livelli basali entro 24 ore. Pertanto se un paziente lamenta i sintomi di un infarto (dolore toracico, angoscia, fame d'aria,
nausea, sudorazione), ed i suoi livelli plasmatici di mioglobina non salgono significativamente entro una decina di ore, è assai improbabile
che l'origine dei sintomi sia legata ad un danno cardiaco.
E’ fondamentalmente l’aumento di ossigeno nelle cellule.

122
- galattorrea
- diminuzione della libido
- impotenza
 A carico della cute si possono annoverare fenomeni di fotosensibilizzazione e dermatiti
allergiche.

 Vanno infine ricordati:

- fenomeni di epatotossicità, soprattutto con la Clorpromazina (ittero maligno da


neurolettici)
- effetti a carico del sangue (leucopenia, ovvero diminuzione dei leucociti nel sangue).

Nuovi farmaci neurolettici


Oltre ai Neurolettici Atipici come le Dibenzoxazepine, il Risperidone tra i Benzisoxazoli, sta
aumento il numero di bloccanti atipici del recettore D2, anche’essi pressoché sprovvisti di
forti effetti extrapiramidali, e in grado di consentire allo psichiatra di poter disporre di
farmaci antipsicotici sempre più sicuri e maneggevoli.

13. DISTURBO DELIRANTE ED ALTRI DISTURBI PSICOTICI

123
In questa categoria sono compresi quadri clinici caratterizzati dalla presenza di deliri e/o
allucinazioni, in assenza di Disturbi dell’Umore e di Disturbi dello Spettro Schizofrenico.

DISTURBO DELIRANTE (PARANOIA)


Il termine Paranoia (etimologicamente “oltre la mente”) ha origini remotissime.

Già prima di Ippocrate veniva usato come sinonimo di pazzia; alla fine del diciannovesimo
secolo fu ripreso da Kraepelin che denominò così una malattia, diversa dalla Schizofrenia, e
caratterizzata dalla presenza di un delirio sistematizzato, in assenza di allucinazioni e con
un’evoluzione senza deterioramento (quindi non conduce a un deterioramento che esita in
demenza per Kraepelin).

Epidemiologia
Non è conosciuta.

La mancanza di coscienza di malattia da parte di questi soggetti e la tolleranza della famiglia e


del gruppo sociale in generale rendono difficile la rilevazione del disturbo.

Psicopatologia
La personalità premorbosa è caratterizzata da:

- insicurezza
- senso di inferiorità
- diffidenza (da cui i deliri di persecuzione)
- riservatezza
- utilizzazione di meccanismi di difesa infantili, come la negazione, la formazione
reattiva e la proiezione

L’insicurezza e il senso di inferiorità si trasformano nei loro opposti con la formazione


reattiva e i sentimenti inaccettabili vengono riferiti all’esterno attraverso il meccanismo della
proiezione, meccanismo difensivo principale nella Psicosi Delirante/Paranoide.

Le convinzioni deliranti insorgono all’improvviso col crisma di una certezza assoluta che non
richiede prove ulteriori, e per questo non scalfibile né incrinabile dal mondo esterno. In tal
modo il delirio diventa sistematizzato, con una sua logica intrinseca.

Nota a margine, secondo Freud il delirio di persecuzione origina da vissuti omosessuali


rimossi e manipolati con la negazione e la proiezione.

Clinica

124
Il Disturbo si palesa con la comparsa per almeno un mese di un delirio sistematizzato, non
bizzarro, riguardante cioè situazioni che si verificano nella vita reale.

I contenuti del delirio possono avere varie tematiche, per cui è possibile distinguere:

- deliri di persecuzione, per cui il soggetto ha la ferma convinzione di essere trattato


male da un soggetto o da un gruppo;
- deliri di rivendicazione e querela, per cui il soggetto ha la convinzione di esser stato
vittima di un’ingiustizia;
- deliri di gelosia, per cui il soggetto è sicuro dell’infedeltà del partner;
- deliri di grandezza, convinzione di possedere capacità straordinarie;
- deliri di tipo erotomanico, convinzione di essere amati da una persona appartenente
di solito ad una classe sociale superiore;
- deliri di tipo somatico, convinzione di essere affetti da una grave malattia.

Caratteristico è il fatto che il paziente, al di fuori delle tematiche deliranti, conserva un


discreto adattamento sociale e lavorativo.

Il decorso tende alla cronicizzazione in un’alta percentuale dei casi.

Diagnosi
Secondo il DSM-IV-TR per porre diagnosi è necessaria la presenza per almeno un mese
di un delirio con le caratteristiche di cui sopra, in assenza di un Disturbo dell’Umore, di
un Disturbo Mentale Organico o altri sintomi caratteristici della Schizofrenia, come la
disorganizzazione concettuale e il deterioramento della personalità.

Bisogna ricordare che talvolta la Demenza di tipo Alzheimer presenta un esordio con deliri.

Terapia
Il maggior problema è l’accettazione da parte del paziente della terapia con neurolettici,
fattore che rende problematico anche l’approccio psicoterapeutico.

PARAFRENIA
Fu Kraepelin il primo autore ad usare questo termine per definire dei quadri clinici con
un’espressività intermedia tra la Paranoia e la Schizofrenia.

Le caratteristiche fondamentali della Parafrenia sono:

- presenza di deliri con tematiche differenti;


- assenza di deterioramento della personalità , dell’affettività e dell’intelligenza;
- incostante presenza di allucinazioni (differenza con il Disturbo Delirante)
L’esordio della malattia avviene in età adulta, sintomo fondamentale è il delirio la cui forma di
espressività clinica connota il tipo di parafrenia:

125
- parafrenia sistematica, con deliri di persecuzione e grandezza;
- parafrenia espansiva, con deliri a contenuto mistico o erotico, coesiste di solito uno
stato ipomaniacale;
- parafrenia fantastica, con deliri non sistematizzati, bizzarri con diverse tematiche;
- parafrenia confabulatoria, con minore deterioramento della personalità e presenza di
paramnesie68.

Tipica del paziente parafrenico è la coesistenza parallela di un sistema di vita discretamente


integrato con il mondo delirante fantastico.

Il decorso è cronico con frequente conservazione di un buon adattamento sociale.

La terapia elettiva è la farmacoterapia neurolettica.

DISTURBO PSICOTICO INDOTTO


Tale Disturbo, denominato “Folie à Deux o Dèlire à Deux”, consiste nello sviluppo di un delirio
in un soggetto che è stato in stretta relazione con un paziente delirante (per esempio, marito-
moglie, madre-figlia).

Secondo alcuni Autori esisterebbero più forme cliniche:

- forme imposte, ove il delirio si trasmette da un soggetto all’altro: un soggetto


perfettamente equilibrato finisce per condividere i deliri del partner; questi cessano
alla loro separazione e il delirio non è simultaneo (in caso si parla di forma
simultanea);
- forme simultanee, ove la tematica delirante compare contemporaneamente nella
coppia (è inutile la separazione);
- forme comunicate, ove il delirio si può trasmettere da un soggetto all’altro e viceversa
(è inutile la separazione);
- forme indotte, osservate di solito nei pazienti ospedalizzati.

Il trattamento consiste nella separazione dei due pazienti e nell’adozione di un’idonea terapia
neurolettica.

PSICOSI REATTIVA BREVE


Quadro clinico insorge improvvisamente in risposta a un evento stressante ad alto contenuto
emotivo, o a seguito di ripetuti microtraumi. E’ caratterizzato da sintomatologia psicotica
florida, quindi:

- deliri
- allucinazioni
- comportamento disorganizzato
- brusche variazioni del tono dell’umore

68
Paramnesia Disturbo della memoria che consiste nell’alterazione dei ricordi

126
Colpisce in genere soggetti giovani.

La fase psicotica reattiva dura da qualche ora ad alcune settimane (sempre meno di 1 mese:
ricorda invece che per fare diagnosi di Schizofrenia la durata deve andare da 1 mese di
sintomi del criterio A a 6 mesi di sintomi prodromici e residui) e la risoluzione avviene in
genere con la restitutio quo ante.

La diagnosi differenziale va posta con i Disturbi dello spettro schizofrenico e con i Disturbi
dell’Umore.

Nella Psicosi Reattiva Breve in genere si riscontra un’anamnesi positiva, mentre più arduo è
differenziare questo quadro clinico dall’esordio di questi disturbi.

Il trattamento della Psicosi Reattiva va effettuato in regime di degenza ospedaliera e la scelta


dei farmaci è legata alla sintomatologia preminente.

14. DISTURBI DELL’UMORE


Oggi divisi in: (1) DISTURBI DEPRESSIVI; (2) DISTURBI BIPOLARI E DISTURBI
CORRELATI.

127
I Disturbi dell’Umore rappresentano, insieme ai Disturbi Schizofrenici, il cuore della
Psichiatria Clinica sia per la frequenza di tali patologie che per i problemi di ordine sociale e
clinico che questi determinano.

Quelli che erano definiti Disturbi dell’Umore comprendevano uno spettro molto ampio di
turbe psichiatriche, accomunate dall’alterazione centrale dell’umore – cioè dello stato
emozionale interno di un individuo che condiziona la qualità e l’intensità dei vissuti oltre che
l’attività cognitiva, volitiva e comportamentale –, ma differenziabili in rapporto a:

- fattori di ordine eziopatogenetico


- decorso
- gravità della compromissione affettiva e dell’adattamento sociale
- caratteristiche della sintomatologia

Tra i due estremi del Disturbo Depressivo Maggiore e del Disturbo Maniacale, si inseriscono
così numerose patologie diversificabili secondo i criteri appena descritti.

Non bisogna comunque trascurare che la tonalità dell’umore presenta delle oscillazioni
fisiologiche anche nel soggetto normale in relazione a:

- variazioni dei parametri psicobiologici


- stimoli provenienti dal mondo esterno
- contenuti del mondo interno
Mentre secondo alcuni Autori sarebbe possibile individuare un filo conduttore che lega tutte
le varie alterazioni dell’umore, dalla tristezza fisiologica ai quadri più gravi di patologia
depressiva, secondo altri Autori i vari quadri di Disturbi dell’Umore vanno distinti sia l’uno
dall’altro sotto il profilo eziologico, clinico e terapeutico, sia dalle normali variazioni
dell’umore. In questa seconda impostazione l’idea di un continuum che va dal normale al
patologico viene, dunque, rifiutata, anche a partire dalla considerazione che lo stato
patologico depressivo assume connotazioni e qualità diverse dal punto di vista qualitativo e
categoriale rispetto allo stato fisiologico di tristezza.

La dizione di DISTURBI DELL’UMORE compare per la prima volta nel DSM-III-R e sostituisce
quella di DISTURBI AFFETTIVI che era ancora presente nel DSM-III.

Nel DSM-III-R viene anche riportata la distinzione tra umore, come emozione duratura che
colora l’intero stato psichico, ed affettività , come manifestazione esteriore del contenuto
emozionale.

Il DSM-IV ha introdotto alcune importanti variazioni rispetto al DSM-III-R:

1) la Depressione Maggiore diventa Disturbo Depressivo Maggiore


2) la Distimia diventa Disturbo Distimico
3) il Disturbo dell’Umore Non Altrimenti Specificato (NAS) ingloba il Disturbo Disforico
Premestruale, il Disturbo Depressivo Minore, il Disturbo Breve Ricorrente e la
Depressione Post-psicotica della Schizofrenia
4) All’interno della categoria dei Disturbi Bipolari, il Disturbo Bipolare II è stato
individuato come autonomo rispetto alla categoria dei Disturbi Bipolari NAS,
all’interno dei quali veniva inserito fino alle precedenti edizioni
5) Vengono proposte tre nuove categorie diagnostiche per i Disturbi dell’Umore:
a) Disturbi dell’Umore dovuti a Condizioni Mediche Generali

128
b) Disturbi dell’Umore da Uso di Sostanze
c) Disturbi dell’Umore NAS

IL DSM5
Nel DSM5 l’intestazione <<Disturbi dell’Umore>> è scomparsa a favore di due nuove categorie
nosografiche:

1. Disturbo Bipolare e Disturbi Correlati


2. Disturbi Depressivi
3. È scomparso il Disturbo Distimico, ora indicato come Disturbo Depressivo
Persistente
4. È stato inserito il Disturbo Disforico Pre-mestruale(prima inserito nei Disturbi
dell’Umore NAS)

All’interno della categoria Disturbi Depressivi troviamo:

a. Disturbo Depressivo Maggiore


b. Disturbo Depressivo Persistente (ex Disturbo Distimico e Disturbo Depressivo
Maggiore Cronico)
c. Disturbo Disforico Premestruale: alterazione timica che precede il ciclo
d. Disturbo Disforico Dirompente: per descrivere manifestazioni di irritabilità ed episodi
di discontrollo comportamentale in soggetti con età fino ai 18 anni (è stata introdotta
anche per evitare l’eccesso di Disturbo Bipolare in età infantile)

All’interno della categoria Disturbi Bipolari e Disturbi Correlati troviamo:

a. Disturbi Bipolari: Disturbo Bipolare di tipo I, di tipo II, Ciclotimico, NAS

Classificazione dei Disturbi dell’Umore (DSM-IV-TR)


 DISTURBI DEPRESSIVI

Disturbo Depressivo Maggiore

- Episodio singolo
- Episodio ricorrente
Disturbo Distimico

Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato (NAS)

 DISTURBI BIPOLARI

Disturbo Bipolare I

- Episodio maniacale singolo

129
- Ultimo episodio ipomaniacale
- Ultimo episodio maniacale
- Ultimo episodio misto
- Ultimo episodio depressivo
- Ultimo episodio non specificato

Disturbo Bipolare II

Disturbo Ciclotimico

Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (NAS)

Disturbo dell’Umore dovuto a Condizioni Mediche Generali

Disturbo dell’Umore dovuto a Uso di Sostanze

Disturbo dell’Umore Non Altrimenti Specificato (NAS)

DISTURBI DEPRESSIVI
La Depressione è uno dei più comuni sintomi psichici.

Si calcola che almeno il 10% della popolazione adulta generale soffra di uno o più episodi di
depressione nel corso della vita, mentre attorno al 30% viene valutato il rischio individuale di
essere affetto da Depressione in tutto l’arco della vita.

Da un punto di vista epidemiologico, e quindi in termini di valutazione dei costi umani e


sociali determinati dalla Depressione, va considerato che, verosimilmente, soltanto una
percentuale di soggetti compresa, a seconda delle aree culturali, tra il 10-40% del totale di
pazienti affetti da Disturbi Depressivi, si rivolge allo specialista per ricevere una cura
appropriata.

Alcuni dati emersi dalle ricerche:

1) la Prevalenza per il Disturbo Depressivo sarebbe calcolata tra il 10-25% nel sesso
femminile e tra 5-15% nel sesso maschile, con un rapporto 2:1 tra donne e uomini
2) Nei familiari di pazienti depressi il disturbo è fino a 3 volte superiore rispetto alla
popolazione generale
3) Il disturbo tende a distribuirsi con una frequenza leggermente maggiore nelle classi
sociali più elevate
4) Alcuni Autori hanno segnalato una maggiore diffusione del Disturbo negli individui
soli, separati o divorziati (anche se va considerato che la minore frequenza di relazioni
affettive potrebbe essere una conseguenza della condizione depressiva piuttosto che
una concausa)
5) Nelle sue espressioni più gravi la depressione è una patologia che può comportare, in
ogni momento del suo decorso, e anche sotto trattamento farmacologico e/o
psicoterapico, un certo rischio suicidario. Circa il 50% dei soggetti che realizzano atti
autosoppressivi sono affetti da Depressione, mentre, approssimativamente, il 1.5% dei
pazienti con diagnosi di Disturbo dell’Umore possono attuare propositi suicidari.

130
Il rischio suicidario sembra aumentare in caso di comorbidità con il Disturbo da
Attacchi di Panico e con il Disturbo da Uso di Sostanze, o dalla presenza di sintomi
quali grave insonnia e ansia elevata.
Inoltre, la comparsa di sintomi depressivi durante il decorso di gravi patologie
croniche degenerative, malattie neoplastiche o cardiovascolari, determina un
peggioramento della prognosi, oltre che della qualità di vita, e può , quindi, favorire un
esito infausto.

Le ipotesi eziologiche
Le sindromi depressivi dimostrano, come tutti gli altri disturbi, un’eziologia complessa che
richiama una certa multifattorialità (in cui, cioè, la dimensione neurobiologica, seppur
importante, si lega indissolubilmente a fattori di ordine psicologico e sociorelazionale).

La genetica
Alcuni importanti dati:

- gli studi sulle famiglie dei depressi mostrano una incidenza di disturbi depressivi da
1,5 a 3 volte superiore nei parenti di primo grado, rispetto alla popolazione generale;
- i gemelli monozigoti presentano un tasso di concordanza per il Disturbo Depressivo
dal 65% al 75%
- la concordanza scende in un range tra il 14% e il 19% nei gemelli eterozigoti
- i genitori biologici di pazienti bipolari hanno una maggiore probabilità di sviluppare
turbe di natura depressiva rispetto ai genitori adottivi

Neurochimica
Dal punto di vista neurochimico, “classica” è l’Ipotesi Monoaminergica della Depressione,
che, a partire dalla comprensione dell’azione della Reserpina, metteva in connessione il
deficit di catecolamine e serotonina (monoamine) con la comparsa dei sintomi depressivi;
questa ipotesi era rafforzata dalla constatazione che i farmaci Antidepressivi Triciclici e gli
IMAO determinavano un aumento dei livelli di catecolamine cerebrali, e quindi una riduzione
del loro catabolismo, o attraverso un blocco del re-uptake a livello dello spazio inter-sinaptico
(Triciclici) o attraverso l’inattivazione dei sistemi enzimatici preposti alla loro degradazione
(IMAO).

Il modello biologico che scaturì da queste osservazioni considerava:

- la condizione depressiva effetto di una carenza di noradrenalina e serotonina


- la condizione maniacale effetto di un livello neurotrasmettitoriale sopra la norma.
Tuttavia, emerse presto una incongruenza nella Teoria monoaminergica della Depressione: si
constatò , cioè, una discrepanza tra l’effetto di inibizione del re-uptake del neurotrasmettitore,
che si verifica entro poche ore, e la comparsa dell’effetto antidepressivo, che invece richiede
2-3 settimane per realizzarsi.

131
Prese così corpo la Teoria della sensibilità recettoriale. Si vide così che la
somministrazione cronica di farmaci Triciclici aveva come effetto:

1) una diminuzione della sensibilità degli autorecettori 2 adrenergici pre-sinaptici e dei


recettori 2 post-sinaptici (inibitori)
Nota a margine:
a) I recettori adrenergici sono recettori di membrana che interagiscono con
l'adrenalina ed altre catecolamine
b) α2: è un recettore presinapticodeputato alla regolazione del rilascio di
noradrenalina: la sua attivazione determina una diminuzione della produzione di
noradrenalina (feedback negativo).
c) I recettori 2 post-sinpatici sono, a differenza dei recettori 1 e 3, recettori di tipo
inibitorio, e per questo, bloccano la trasmissione adrenergica.
2) Un aumento della sensibilità dei recettori 1 adrenergici post-sinaptici
3) Una riduzione della sensibilità dei autorecettori 5-HT2 presinaptici e degli
autorecettori 5-HT1 presinaptici, che, normalmente, inibiscono il rilascio di
Serotonina.
4) Effetto anticolinergico

Tutte queste modificazioni hanno come effetto un incremento delle funzioni noradrenergiche
e serotoninergiche.

Il tempo necessario perché si verifichino queste variazioni di sensibilità recettoriale è


sovrapponibile a quello necessario per la comparsa del miglioramento clinico.

E’ quindi probabile che l’antidepressivo a livello neurochimico esplichi la sua azione


riequilibrando i sistemi neurotrasmettitore-recettore, aumento da una parte il livello
di amine (effetto acuto della Teoria Monoaminergica) e diminuendo dall’altra la
sensibilità recettoriale pre-sinaptica 2 e  post-sinaptica inibitoria (effetto cronico
della Teoria della sensibilità recettoriale).

Sistema neuroendocrino
Le numerose alterazioni ormonali documentano un coinvolgimento del sistema endocrino nei
Disturbi dell’Umore.

I dati più interessanti sono quelli relativi al funzionamento dell’Asse HPA (Asse Ipotalamo-
Ipofisi-Surrene).

L’asse HPA è collegato al sistema limbico e regola i livelli cerebrali di cortisolo. L’area limbica
e l’asse HPA costituiscono la cosiddetta <<Catena Psicosomatica>>.

In pazienti affetti da Disturbo Depressivo Maggiore è stato riscontrato un aumento della


secrezione di cortisolo e dei livelli liquorali di CRF - ormone di rilascio della Corticotropina –
(ricorda che alti livelli di cortisolo e corticotropina correlano con vissuti di elevato stress: De
Zulueta e abuso sessuale).

Un aumento della secrezione di cortisolo è riscontrabile anche nei Disturbi Alimentari (infatti
gli antidepressivi hanno un effetto importante anche sul controllo dei disturbi alimentari).

132
L’iperattività dell’Asse HPA nei pazienti depressi sarebbe anche confermata da alcuni studi
che evidenziano con elevata frequenza un aumento delle dimensioni dell’ipofisi e del surrene.

Neuropeptidi
Un’altra importante area della ricerca neurobiologica sui Disturbi dell’Umore riguarda lo
studio dei neuropeptidi.

Tali sostanze agiscono con funzioni di co-trasmettitori o neuro modulatori.

Le sostanze maggiormente implicate a livello eziopatogenetico con i Disturbi dell’Umore sono:

- colecistochinina
- ossitocina
- endorfine
- vasopressina
- somatostatine

Sistema immunitario
Il Disturbo Depressivo può svolgere un’importante azione immunodepressiva, diminuendo
quindi l’efficacia della risposta del sistema immunitario; questa proprietà spiega perché la
presenza di una patologia depressiva nel corso di malattie gravi e potenzialmente mortali può
peggiorare il decorso e diminuire la risposta alle terapie.

Questi studi lasciano intravedere, nell’ottica di un modello olistico mente-corpo, suggestivi


rapporti tra la vita emotiva, i sistemi neurotrasmettitoriali, il sistema endocrino e
immunitario, che giustificano la nascita di una nuova area di ricerca chiamata Psico-neuro-
endocrino-immunologia.

Studi sul sonno e i ritmi circadiani


Alterazioni del ritmo sonno/veglia, e quindi modificazioni del sistema di regolazione dei ritmi
circadiani, sono pressoché costanti nei Disturbi dell’Umore:

- insonnia con risveglio precoce (ipersonnia tardiva) e ipersonnia, nella Depressione


- forte contrazione della necessità di dormire, nella Mania
Le alterazioni dei ritmi circadiani sembrerebbero, inoltre, essere determinati dalle anomalie
dell’attività neuroendocrina prima descritte.

A conferma di ciò , va rilevato che miglioramenti clinici, seppur parziali e non duraturi,
possono essere ottenuti in un paziente depresso con la deprivazione di sonno.

E’ noto, infine, che un gruppo di pazienti affetti da Disturbi Depressivi presenta cospicui
peggioramenti in autunno e in primavera, così come molti pazienti maniacali tenderebbero a
peggiorare nel periodo estivo. Tali caratteristiche esprimono probabilmente un’abnorme

133
sensibilità dei pazienti affetti da Disturbi dell’Umore alla luce e alle variazioni della sua durata
(vedi, ad esempio, il passaggio dall’ora legale a quella solare e viceversa) dimostrando che, in
tali disturbi esiste una certa sensibilità alle alterazioni dei bioritmi influenzati in modo
decisivo dalla luce.

Neuroimaging
La TAC ha evidenziato, in un sottogruppo di pazienti affetti d Disturbi dell’Umore, una
dilatazione dei ventricoli cerebrali, associata a:

1) un decorso più severo


2) presenza di deliri e allucinazioni
3) maggiore frequenza di ricoveri ospedalieri
4) maggiore rischio suicidario
5) un livello intellettivo più basso
6) minore integrazione sociale

Alcuni studi condotti con la PET e con il RCBF sembrano dimostrare una riduzione del
consumo di glucosio in alcune aree cerebrali (prefrontale, frontale, temporale destra), ma tali
ricerche necessitano di conferme maggiori.

Personalità, fattori psicodinamici e psicosociali


Studi sugli aspetti personologici dei Disturbi dell’Umore evidenziano, innanzitutto,
l’impossibilità di isolare un singolo tratto o un singolo gruppo di tratti di personalità
predisponenti alla complessa dinamica depressiva.

Alla base del Disturbo Depressivo è possibile riconoscere una ampia varietà di fattori
psicologici che possono combinarsi tra di loro o con altri fattori eziopatogenetici di natura
biologica e ambientale.
Tra gli aspetti di personalità premorbosa più frequentemente segnalati come correlati con il
Disturbo Depressivo troviamo:

- tratti di personalità ossessiva, che generano soventemente vissuti di frustrazione e


insoddisfazione:
a) perfezionismo, meticolosità , precisione
b) ambizione
c) competitività quasi compulsiva con altri
- tratti di personalità dipendente, con la continua ricerca di:
a) approvazione sociale
b) gratificazione esterna
c) conferma
- tratti di personalità orale di Abraham (precursore del DP Dipendente)

Soggetti con bassi livelli di autostima e fortemente autocritici sarebbero più inclini a soffrire
di manifestazioni depressive.

134
Molto indagati sono i fattori psicosociali precoci: è oggi generalmente accettato che la qualità
dell’ambiente affettivo primario è fondamentale per lo sviluppo di un senso di sicurezza e di
fiducia “ontologico”, e di quella resilienza che consente al soggetto di fronteggiare ostacoli,
difficoltà ed esperienze dolorose. Da questa prospettiva appare centrale la relazione madre-
bambino che, se particolarmente carente o disturbata, può determinare un permanente senso
di instabilità e insicurezza che, a sua volta, può (secondo M.O.I. autoperpetuantesi), aumentare
la vulnerabilità depressiva (sembra ci sia un aumento di rilascio di cortisolo e corticotropina).

In ambito psicodinamico:

 Freud in “Lutto e Melanconia” differenzia l’esperienza del lutto dall’esperienza della


malinconia. In Psicoanalisi la perdita di un oggetto di amore – intendendo per oggetto un
individuo o una persona verso cui si orienta una pulsione – è accompagnata dal ritiro
dell’investimento affettivo “libidico” corrispondente. Mentre il lutto normale porta
gradualmente al recupero da parte dell’Io delle sue capacità di investimento libidico su altri
oggetti, nel lutto patologico, che rappresenta un buon modello psicodinamico della
Depressione, si realizza l’introiezione dell’oggetto come tentativo di ripararne la perdita.
L’introiezione dell’oggetto conduce poi, secondo Freud, a una identificazione inconscia con
l’oggetto d’amore perduto (ex-post) verso il quale si nutrivano sentimenti di amore e odio,
essendo questo oggetto di investimento delle pulsioni contrastanti libidiche e aggressive; la
quota di rabbia diretta contro di esso viene quindi convogliata “auto aggressivamente” contro
di sé, attraverso un processo di interiorizzazione. Secondo questa visione, quindi, il depresso
fallirebbe nel processo di elaborazione psicologica che porta l’individuo, dopo la perdita
concreta o simbolica, a riadattarsi alla nuova realtà .

 Melanie Klein ipotizza, nello sviluppo psicologico infantile, una posizione depressiva, che fa
seguito alla posizione schizo-paranoide, come fase in cui si attenuano i meccanismi difensivi
di scissione e proiezione (caratterizzanti la precedente posizione) e comincia ad attuarsi
l’integrazione dell’oggetto d’amore, verso il quale cominciano a essere sperimentati
contemporaneamente sentimenti sia di amore che di odio. Il riconoscimento della totalità
dell’oggetto d’amore, a fronte della precedente rappresentazione interna parziale, e per
questo deformata, dello stesso genera una condizione depressiva in cui il bambino tenta di
“riparare” il “lutto” di aver ucciso, in fantasia, l’oggetto in grado di garantire cura e
sostentamento (“Lutto e riparazione” nella Klein).

Nella teoresi kleiniana, la Depressione patologica è epifenomeno del mancato superamento,


da parte del soggetto, della posizione depressiva, per cui il lutto, scaturito dalla perdita reale
dell’oggetto d’amore, riattiva la primitiva angoscia depressiva di averlo danneggiato
personalmente.

 La prospettiva sistemico-relazionale sottolinea il fatto che la regolazione affettiva è


precipitato di equilibri micro- e macro-sociali. Viene osservato che quando l’atmosfera e la
comunicazione familiare sono caratterizzate da un’impronta di pessimismo, tristezza,
mancanza di speranza, rigidità e tendenza all’ipercriticismo e alla colpevolizzazione, il
depresso divine il capro espiatorio, il punto di convergenza di tutto il malumore e
l’aggressività familiare; egli assume inconsapevolmente il ruolo di vittima sacrificale, che
“protegge” e garantisce un “equilibrio omeostatico” a tutto il sistema familiare disfunzionante.

 Sul piano psicosociale meritano particolare attenzione gli eventi stressanti recenti; molto
ricerche dimostrano infatti una particolare concentrazione di tali esperienze nei mesi
immediatamente precedenti l’insorgenza della Depressione, mentre non sembra vi sia alcuna
correlazione tra eventi di vita e Mania.

135
Alcuni Autori propongono, quindi, un forte ruolo eziologico nella patologia depressiva degli
eventi recenti della vita; questi eventi stressanti depressogeni ruotano attorno all’esperienza
della perdita: morte del coniuge, separazione o divorzio, perdita del posto di lavoro, trasloco,
ecc. Questi presupposti concettuali rappresentano la matrice dell’Approccio psicoterapico
Interpersonale.

Va infine valutato quanto particolari stili cognitivi e personali modalità di approccio alle
situazione della vita possano maggiormente esporre l’individuo all’azione degli eventi
stressanti o, al contrario, proteggerlo aumentando la sua capacità di adattamento e
resistenza.

Risulta interessante notare quindi come la patologia depressiva implichi una lettura
multidimensionale che richiama una visione olistica dell’uomo, in quanto totalità
biopsicosociale.

DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE


E’ costituito dalla presenza di uno o più episodi depressivi maggiori con una anamnesi
psicopatologica negativa per mania o ipomania (in caso si formula diagnosi di bipolarità ).

L’età media di insorgenza è 27 anni.

La Prevalenza è quasi doppia nelle donne, a differenza del Disturbo Bipolare che tende a
distribuirsi senza differenze nei due sessi.

EPISODIO DEPRESSIVO MAGGIORE


Criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR

A. Cinque o più dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un
periodo di 2 settimane, e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente
funzionamento psicosociale; almeno uno di questi sintomi è costituito da (1) umore
depresso o (2) diminuzione o perdita di interesse o di piacere.

Nota: non includere sintomi chiaramente dovuti a una patologia medica generale o a deliri o
allucinazioni incongrui all’umore.

1) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riferito dal
soggetto o come osservato dagli altri. Nota: nei bambini e negli adolescenti l’umore
può essere irritabile.
2) Marcata diminuzione di interesse e di piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la
maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva od
osservazione fatta da altri).
3) Significativa perdita di peso, quando non a dieta, o aumento di peso, oppure
diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno. Nota: nei bambini considerare
l’incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali69.
69
Livello di peso.

136
4) Insonnia o Ipersonnia quasi ogni giorno.
5) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno anche osservato da altri, e
non soltanto come sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato.
6) Tendenza all’affaticamento o mancanza di energia quasi ogni giorno (astenia).
7) Sentimenti si autosvalutazione o di colpa eccessivi o immotivati (che possono essere
deliranti) quasi ogni giorno.
8) Diminuita capacità di riflettere o di concentrarsi, o indecisione quasi ogni giorno (come
impressione soggettiva od osservazione fatta da altri).
9) Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrenti propositi suicidari
senza un piano specifico, o tentativo di suicidio o ideazione di un piano specifico al fine
di commettere il suicidio

B. I sintomi non soddisfano i criteri per Episodio Misto


C. I sintomi causano uno stato di disagio clinicamente significativo o una
compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti nella
vita del paziente.
D. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per esempio
abuso di droga, un farmaco o un altro trattamento) o di una condizione medica generale
(per esempio ipotiroidismo)
E. I sintomi non sono meglio giustificati dal lutto, e cmq durano più di una depressione da
lutto fisiologica, cioè più di 2 mesi, o sono caratterizzati da una compromissione
funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici
o rallentamento psicomotorio.

L’episodio depressivo maggiore, è caratterizzato quindi dal punto di vista sintomatologico da:

- tonalità depressiva dell’umore


- riduzione o la perdita degli interessi
- condizione di tristezza, pessimismo, scoraggiamento o disperazione che porta a
smarrire progressivamente la capacità di trarre piacere dalla vita (anedonia)
- le normali attività , le relazioni affettive, il tempo libero e gli svaghi sembrano non avere
più senso, né scopo
- inquietudine
- attesa dolorosa afinalistica (laddove l’ansioso è proiettato in un futuro visto come
minaccioso, il depresso è schiacciato in un presente senza senso, doloroso, afinalistico
e in un passato in cui ritrovare proprie colpe)
- perdita di interessi, progetti, desideri

Spesso è presente una componente di ansia, irrequietezza, irritabilità e tutta una serie di
sintomi somatici che rendono più sgradevole il vissuto psicofisico di questi soggetti. Tra
questi ricordiamo sintomi somatici come:

- astenia (mancanza di forza)


- inappetenza
- cefalea
- disturbi digestivi

137
La condizione esistenziale del depresso viene, così, a connotarsi per la perdita della capacità
di desiderare, di sperare e di percepire quindi la realtà come modificabile e
migliorabile. Sia il mondo interno del paziente che la percezione del mondo esterno
divengono fissi e statici, immutabili.

La cristallizzazione delle emozioni e dei vissuti determina un forte restringimento


dell’orizzonte relazionale e un depauperamento della dimensione affettiva
(desertificazione affettiva e relazionale). Il depresso si sente così coartato70 in uno spazio
vitale, relazionale e affettivo angusto e freddo, dominato dalla noia, dalla solitudine, dal
senso di vacuità esistenziale. Il senso di vuoto e l’indifferenza possono fare sì che il paziente
si senta estraniato dal suo mondo e si avverta come un osservatore distante o avverta la realtà
circostante lontana o con caratteri di finzione e irrealtà .

La dinamica depressiva determina anche un progressivo slittamento del paziente dal


presente al passato: l’incapacità di interagire con la realtà lo fa rifugiare nella dimensione
del ricordo che viene anche essa deprivata di ogni carattere di piacevolezza e mortificata dal
senso di colpa, dalle ruminazioni ossessive sulle proprie inadeguatezze, incapacità ed errori
commessi.

Questa esasperazione dell’autocritica, a volte dai caratteri francamente dereistici, alimenti


forti valenze masochistiche.

L’amplificazione della risonanza negativa del passato avviene a scapito, oltre che del presente,
anche del futuro: la depressione comporta infatti invariabilmente l’incapacità di
“guardare oltre”, di sperare, di progettarsi, di adattarsi flessibilmente al fluire
incessante del tempo, ai suoi imprevisti e ai suoi scacchi.

Il paziente si presenta ipoprosessico e ipomnesico.

L’attività ideomotoria, come la maggior parte delle funzioni cognitive, subisce un


rallentamento, e questo genera bradipsichismo con scarsa articolazione associativa, un
conseguente eloquio povero e stentato, e un forte senso di ottundimento mentale e
confusione.

I contenuti del pensiero assumono di frequente un carattere di ideazione prevalente, che


può esitare poi in una produzione delirante, secondo i temi caratteristici della depressione:

- colpa
- indegnità
- rovina
- autoaccusa
- malattia
- nichilistico o di negazione, di parti del proprio corpo (“ho il cuore di pietra”, detto
letteralmente), di se stesso, dei familiari, o di tutta la realtà (Delirio di Cotard)71.

Quindi sintetizzando i sintomi della depressione:

1) affettività : deflessione timica, angoscia, tristezza, sconforto


2) pensiero: ideazione prevalente, ideazione delirante, ideazione suicidaria, bradi
psichismo
70
Ristretto, compresso
71
Nel depresso, la privazione di Eros dalla vita fa addirittura pensare, a volte, che l’universo non esista.

138
3) attenzione: ipoprosessia
4) percezione: ipoestesia
5) memoria: ipomnesia
6) eloquio: lento e povero
7) attività psicomotoria: rallentamento motorio, gestuale e mimico
8) disturbi del sonno

DEPRESSIONE CON MANIFESTAZIONI PSICOTICHE


In questa forma di Depressione possono essere presenti:

- deliri, congrui o incongrui rispetto alla tonalità depressiva dell’umore; tra le


produzioni deliranti incongrue non sono rari:
a) delirio di riferimento
b) delirio di persecuzione non depressivo
- allucinazioni, congrue o incongrue rispetto alla tonalità depressiva dell’umore

Si tratta in genere di condizioni depressive a elevato rischio suicidario, che possono


comportare una maggiore necessità di ospedalizzazione.

DEPRESSIONE CON MELANCONIA


I criteri diagnostici del DSM-IV-TR per questa varietà di Depressione sono:

- perdita di interesse e di piacere in tutte o quasi tutte le attività


- mancanza di risposta agli stimoli abitualmente piacevoli
- peggioramento mattutino della depressione
- risveglio precoce
- marcato rallentamento psicomotorio o agitazione psicomotoria
- significativa anoressia o perdita di peso
- intenso senso di colpa

PSEUDODEMENZA
In questo quadro sono presenti sintomi che evocano una Sindrome Demenziale:

- turbe della memoria


- generale compromissione della sfera cognitiva
- appiattimento affettivo
- inerzia psicomotoria

139
La diagnosi differenziale con le forme di Demenza vera e proprie può essere a volte difficile, e
il dubbio diagnostico non raramente può essere chiarito attraverso una terapia
antidepressiva: gli Antidepressivi Triciclici determinano abitualmente un peggioramento (per
gli effetti anticolinergici) della sintomatologia legata a un danno organico cerebrale, laddove
invece migliorano il quadro clinico di un soggetto con Disturbo Pseudodemente di natura
depressiva.

DEPRESSIONE SECONDARIA
Sono condizioni depressive legate a malattie organiche.

Tra le varie patologie, possibili cause di sintomi depressivi, distinguiamo:

- malattie neurologiche:
a) Morbo di Parkinson
b) Traumi cranici
c) Epilessie temporali
d) Tumore cerebrale
e) Turbe di natura cerebrovascolare
- malattie endocrino-metaboliche
a) ipertiroidismo
b) diabete
- malattie infettive
a) AIDS
b) Tubercolosi
- sistemiche
a) artrite reumatoide
b) anemia72
- alcune categorie di farmaci
a) neurolettici (per diminuzione della Dopamina)
b) cortisonici

La sospensione del trattamento in casi di dubbio consente, nella maggior parte dei casi
di depressione iatrogena, un rapido recupero delle condizioni eutimiche.

- droghe:
a) morfina
b) eroina
c) cocaina
- alcool

DISTURBO DISTIMICO
Oggi DISTURBO DEPRESSIVO PERSISTENTE (in associazione con il DISTURBO
DEPRESSIVO MAGGIORE CRONICO).

72
L'anemia (dal greco senza sangue) è definita dalla caduta del tasso di emoglobina (Hb) nel sangue

140
Il DSM-IV-TR, con questa accezione, si riferisce a quella condizione di Disturbo dell’Umore in
cui la sintomatologia depressiva perdura con continuità da almeno due anni, senza che si sia
mai verificato un episodio depressivo maggiore o un episodio maniacale.

Il quadro depressivo, ha un esordio precoce, e presenta una gravità minore, ma un andamento


più cronico rispetto alla Depressione Maggiore.

Quindi: (1) intensità minore rispetto alla Depressione Maggiore, ma (2) costanza maggiore
rispetto alla Depressione Maggiore.

Quando alla Distimia si sovrappone un episodio depressivo maggiore si realizza quella


condizione chiamata Depressione Doppia, che presenta un importante rischio suicidario.

DISTURBO DEPRESSIVO NAS


Disturbo con manifestazioni depressive che non soddisfano i criteri per i disturbi Depressivo
Maggiore, Distimico (oggi Disturbo Depressivo Persistente), dell’Adattamento con Umore
Depresso, dell’Adattamento con Umore depresso misto ad Ansia.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Oltre a una differenziazione tra casi di Depressione Primaria e casi di Depressione Secondaria,
la Diagnosi Differenziale riguarda diversi casi di patologia psichiatrica.

1) Spesso i Disturbi d’Ansia comportano una quota depressiva che può essere variamente
in relazione con la patologia ansiosa, fino a determinare situazioni di comorbidità in
cui coesistono Disturbi d’Ansia e Disturbo Depressivo.
Tra i Disturbi d’Ansia, il Disturbo da Attacco di Panico (DAP) presenta la comorbidità
più elevata con il Disturbo Depressivo Maggiore.
2) Molta attenzione va riservata alla differenziazione tra un Disturbo Schizofrenico –
soprattutto nelle fasi di esordio – e un primo episodio di Disturbo dell’Umore;
andranno in questo caso valutate, oltre alla familiarità con i due diversi disturbi:
- per protendere verso una diagnosi di Disturbo Schizofrenico:
a) la personalità premorbosa
b) la presenza di segni preclinici che possono far sospettare una condizione
dissociativa iniziale
- per protendere verso una diagnosi di Disturbo dell’Umore, sintomi come:
a) inappetenza
b) turbe del ritmo sonno-veglia
c) diminuzione o assenza di libido
Il Disturbo Somatoforme di frequente si associa al Disturbo Distimico (oggi, in
associazione a quello che era il Disturbo Depressivo Maggiore Cronico, Disturbo
Depressivo Persistente). L’attuale orientamento clinico-diagnostico peraltro inserisce
all’interno di questa categoria nosografica i quadri che venivano in passato identificati
come Depressione Mascherata, quadri depressivi, cioè, nei quali la compromissione del
timismo si esprime prevalentemente con sintomi somatici.
3) Il Disturbo dell’Adattamento con Umore depresso, data la presenza di un evento
scatenante nei 3 mesi precedenti la comparsa della sintomatologia depressiva

141
4) La Pseudodemenza nell’anziano

DISTURBI BIPOLARI
L’aspetto peculiare in questo caso è costituito dall’alternarsi, più o meno frequentemente,
di episodi depressivi, maniacali e ipomaniacali che configurano, a secondo delle
caratteristiche della loro ricorsività e intensità , i vari quadri di:

1) Disturbo Bipolare I
2) Disturbo Bipolare II
3) Ciclotimia

I Disturbi Bipolari di tipo I e di tipo II si differenziano per il fatto che, mentre nel primo la
Depressione si alterna con episodi maniacali, nel tipo Bipolare II gli episodi di
eccitamento, successivi alla fase depressiva, sono più contenuti e vengono perciò detti
“Ipomaniacali”.

Inoltre, la caratteristica di questo quadro di Disturbo dell’Umore è di essere associato a:

- Disturbi di Personalità (Borderline)


- Disturbi d’Ansia (DAP, DOC)
- Disturbi da Uso di Sostanze (vedi uso di cocaina e eroina ad esempio)
Circa il 10-15% compiono suicidio.

DISTURBO CICLOTIMICO
In questo disturbo, il viraggio di polarità timica avviene con maggiore facilità.

L’esordio del disturbo è più precoce rispetto alle altre forme bipolari e il quadro clinico si
struttura sulla base di una rapida e continua alternanza, della durata di almeno 2 anni, di
episodi ipomaniacali e di episodi depressivi con gravità inferiore rispetto all’episodio
di Depressione Maggiore.

Nel temperamento ciclotimico tali caratteristiche sintomatologiche e di decorso si


manifestano con un’espressività più attenuata, ma più alternante e precoce.

EPISODIO MANIACALE
La Mania è una condizione psicopatologica caratterizzata, per almeno 1 settimana, da:

- innalzamento del tono dell’umore accompagnato da autostima ipertrofica


- stato di estrema euforia
- gioiosità
- gaiezza incongrua e immotivata
- accelerazione del decorso ideativo

142
- eccitamento psico-motorio
- a volte, iperattività
- a volte, agitazione
- a volte, irritabilità
- a volte, disforia
- sensazione soggettiva di elevato benessere o condizione irritativo-disforica, con
possibili tratti di aggressività fino a condizioni di tipo paranoide.
- Funzione ideativa, consensualmente allo stato ipertimico generale, è di tipo
tachipsichico con alterazione della trama associativa, per cui i nessi non sono solo
agevolati ma anche alterati, e le idee, quindi, si legano le une alla altre attraverso
associazioni facili, ma anche fragili e precarie, fino ad arrivare, a volte alla fuga delle
idee
- Il linguaggio è logorroico e digressionale, riflettendo il tachipsichismo del soggetto.
- I contenuti del pensiero possono essere improntati a una generica grandiosità,
oppure a spunti deliranti o veri e propri deliri, quasi sempre a sfondo
megalomanico, in tutte le possibili varianti della tematica della onnipotenza:
a) delirio genealogico
b) delirio inventorio
c) delirio mistico-religioso
d) delirio erotomanico
e) delirio di identità e di ruolo, per cui il soggetto in questione crede di essere una
persona diversa, spesso importante come Principi o Presidenti.
- La funzione attentiva mostra deficit caratteristici legati a una estrema distraibilità,
che porta il soggetto ad attenzionare ogni stimolo che entra nel suo campo attentivo,
lasciando scadere la qualità e la precisione dell’elaborazione cognitiva.
- Comportamento fortemente disinibito. La distanza relazionale del paziente maniacale
è classicamente molto ridotta, interagisce con l’altro attraverso una parola, una mimica
e una gestualità ipervivaci e incongruamente confidenziali e amichevoli, tanto da
sconfinare facilmente nella grossolanità , nell’invadenza se non addirittura
nell’aggressività .
- Il contatto e l’incontro con l’altro divengono, dietro un’apparenza di entusiasmo e
coinvolgimento, superficiali ed evanescenti, e consentono di cogliere, nella risonanza
empatica del rapporto, una profonda e angosciosa dimensione di vuoto e dolore
dalla quale il paziente tenta una difesa estrema attraverso la fuga forzata verso
la grandiosità.
- Il carattere maniacale porta spesso il paziente a trascurare il sonno, l’assunzione di
cibo e l’igiene personale, e a compiere spese elevate nell’acquisto di costosi oggetti
voluttuari che, soventemente, determinano gravi problemi finanziari che alimentano la
successiva possibilità di viraggio in fase depressiva

La condizione maniacale insomma evoca uno stato affettivo e psicomotorio in cui la


disponibilità energetica aumenta a dismisura, che il soggetto, a causa di un’immagine distorta
e onnipotente di sé e del mondo, non coglie a pieno (quindi: Mania= plus di energia
psicofisica; Depressione= minus di energia psicofisica).

Nella Ipomaniacalità il quadro descritto si realizza con toni più sfumati e meno drammatici,
consentendo al soggetto un maggiore controllo comportamentale, senza che l’esaltazione
timica raggiunga i livelli elevati dell’eccitamento maniacale. I deliri sono sempre assenti e non
è quasi mai necessario il ricovere ospedaliero.

143
Anche l’episodio maniacale, come quello depressivo, può essere indotto da vari fattori
organici o farmacologici:

- malattie del SNC


- disturbi endocrini
- malattie infettive
- farmaci
- droghe, come la cocaina e le anfetamine
- alcool

STATI MISTI
Si intendono con questa denominazione, delle condizioni psicopatologiche nelle quali
coesistono sintomi delle opposte polarità , maniacale e depressiva, ad esempio una deflessione
dell’umore con una eccitazione ideomotoria.

Classicamente se ne descrivono 6 forme:

1) Mania con furore


2) Mania improduttiva
3) Mania stuporosa (o Stupor Maniacale)
4) Mania Inibita
5) Depressione Agitata
6) Depressione con fuga delle idee

Non è raro osservare all’esordio o anche durante il decorso di un episodio depressivo o


maniacale, flashes della polarità opposta o misti della durata di pochi minuti o qualche ora.

TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE


Va valutata preliminarmente la possibilità di un ricovero ospedaliero in soggetti con Disturbi
dell’Umore, nel caso di:

- rischio di suicidio
- presenza di gravi sintomi psicotici
- perdita dell’autonomia nella cura di sé
- gravi stati organici legati alla situazione depressiva, come ad esempio:
a) defedamento73
b) disidratazione
- condizione mediche che richiedono importanti precauzioni nell’impiego dei farmaci:
a) epilessia temporale
b) malattie cardiovascolari
c) epatopatie

Le terapie somatiche si basano essenzialmente sull’impiego di Farmaci Antidepressivi e


sull’ECT.
73
defedaménto s. m. [der. di defedare]. – Nel linguaggio medico, grave deperimento dell’organismo.

144
 La Farmacoterapia Antidepressiva può oggi disporre di un ampio spettro di sostanze che
comprende:

1) ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI
2) ANTIDEPRESSIVI ATIPICI O DI SECONDA GENERAZIONE
a) SNRI, farmaci inibitori del re-uptake della Serotonina e della Noradrenalina;
b) SSRI, farmaci inibitori selettivi del re-uptake della Serotonina;
c) NASSA
d) NARI
3) IMAO, inibitori delle MAO, categoria di farmaci che agisce sui sistemi enzimatici delle
Monoamineossidasi (MAO)
4) RIMA, molecole MAO più maneggevoli rispetto alle IMAO, perché dotate di un’azione
meno drastica sui sistemi enzimatici delle MAO.
5) STABILIZZANTI DELL’UMORE
6) ANSIOLITICI (ad esempio, gli Azapironi: Buspirone)
7) ANTIPSICOTICI (NEUROLETTICI E ANTIPSICOTICI ATIPICI), come ad esempio le
Benzamidi per il Disturbo Distimico o i Neurolettici, in associazione con gli
Stabilizzanti dell’Umore per la Mania

1- Gli ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI rappresentano ancora oggi il trattamento di prima scelta


degli episodi depressivi. L’unica limitazione del loro uso è dovuta agli effetti collaterali di
tipo anticolinergico, che pongono delle controindicazioni assolute nel caso di soggetti:

- glaucomatosi74
- prostatici
- affetti da cardiopatie severe
Un altro possibile inconveniente legato al loro impiego è dipendente dalla latenza della
comparsa dell’effetto clinico, che richiede un periodo di 2-3 settimane per potersi
manifestare: nel frattempo, la comparsa, sotto trattamento con triciclici, dell’effetto
disinibente prima dell’effetto terapeutico sul tono dell’Umore può far sì che il paziente, ancora
depresso, si senta maggiormente spinto verso condotte di tipo autolesivo, prima
maggiormente controllate dall’inibizione ideo-affettiva.

La terapia con Antidepressivi Triciclici s’inizia abitualmente a basse dosi (25-50 mg/die) per
evitare o ridurre gli effetti collaterali, per arrivare a una dose massima di 250/300 mg/die in
10-15 giorni. Cautela andrà osservata in ogni caso per pazienti:

- epilettici
- cardiopatici
- epatopatici
- nefropatici

Gli effetti collaterali anticolinergici più comunemente osservati nei Triciclici sono:

- stipsi75

74
glaucòma Malattia oftalmica, con decorso acuto o cronico, caratterizzata da aumento della tensione oculare, dovuta all’ostacolato
deflusso dei liquidi interni per lesione dei tessuti oculari, i cui sintomi sono costituiti, tra l’altro, dalla dilatazione della pupilla, da
disturbi visivi più o meno gravi e da dolori locali.
75
Stipsi Stitichezza

145
- xerostomia76
- tendenza alla ritenzione urinaria
- disturbi della visione (che infatti esclude il trattamento a soggetti glaucomatosi) quali:
a. midriasi
b. annebbiamento della vista
- tremori
- sudorazione
- ipotensione ortostatica

L’uso dei Triciclici inoltre dovrà essere molto prudente nel trattamento degli episodi
depressivi del Disturbo Bipolare, perché il loro uso, se da una parte interviene efficacemente
nel controllo dei sintomi depressivi, dall’altro tende però ad accentuare l’intensità della
condizione di ricorsività bipolare, aumentando quindi la frequenza dei viraggi e di ricadute.

Analoghe precauzioni andranno osservate nella Ciclotimia.

In queste condizioni, più difficilmente controllabili rispetto di Disturbi dell’Umore Unipolari,


fondamentale è la terapia preventiva e stabilizzante, che si avvale, oltre dei Sali di Litio, di
Farmaci Stabilizzanti dell’Umore come la Carbamazepina, il Clonazepam o il Valproato.

Le limitazioni – relative – all’uso dei Triciclici hanno spinto la ricerca farmacologica verso la
sintesi di nuove molecole.

2- Gli ANTIDEPRESSIVI ATIPICI O DI SECONDA GENERAZIONE hanno risposto a questa


necessità .

Tra questi, importante è stata la sintesi delle SSRI, nuove molecole ad azione selettivamente
serotoninergica: si tratta di una classe di sostanze che ha mostrato un’efficacia pressoché
analoga a quella dei Triciclici, e addirittura, un’azione antidepressiva più rapida, senza tra
l’altro possedere gli effetti collaterali di questi farmaci.

Gli effetti collaterali delle SSRI sono rappresentati da:

- nausea
- iporessia77
- perdita di peso
- cafalea
- a volte, sedazione o, al contrario, nervosismo e insonnia

3- Gli IMAO e RIMA sono importanti molecole ad azione inibitoria sulle MAO, monoammine
ossidasi: l’introduzione delle molecole RIMA ha avuto un grande rilievo dal momento che
svolgono la loro azione inibitoria sugli enzimi MAO senza richiedere quelle precauzioni legate
all’effetto di interazione dei vecchi I-MAO con la tiramina alimentare (“effetto cheese”).

Nota a margine sulla Tiramina: La tiramina è una ammina derivata


dall'amminoacidotirosina. E’ presente in moltissimi cibi: esempi di cibi ricchi di tiramina sono
rappresentati dai formaggi, carni lavorate, salsa di soia, vino rosso, pesce, cioccolato, banane,
bevande alcoliche.
Indipendentemente dalla molecola impiegata, il trattamento dell’episodio depressivo
76
Xerostomia Secchezza delle fauci
77
Iporessia Diminuzione della fame e quindi della quantità di cibo ingerito.

146
andrò protratto da 3 a 6 mesi per evitare o diminuire il rischio di ricadute e la
sospensione andrà avviata gradualmente.
 In caso di depressioni farmaco-resistenti, di forme gravi che mettono a rischio la vita del
paziente o in presenza di controindicazioni importanti alla terapia farmacologica, dovrà
essere presa in considerazione la possibilità di una ECT ovvero di una Terapia
ElettroConvulsionante, che vede anzi in queste forme una delle sue poche indicazioni
elettive.
Ancora poco in uso a scopo terapeutico sono:
- la deprivazione di sonno
- l’esposizione alla luce ad alta intensità, trattamento che sembra trovare un suo
specifico impiego nelle forme a ricorsività stagionale (Disturbo Affettivo Stagionale)
che, come prima accennato, sembra collegato da un punto di vista eziopatogenetico alla
quantità di luce legata alle variazioni ritmiche stagionali.
La Terapia dell’episodio Maniacale, che richiede l’ospedalizzazione del paziente, si fonda
sull’impiego della:
- Farmacoterapia Neurolettica Sedativa, in associazione con
- Farmaci Stabilizzanti dell’Umore quali Litio e Carbamazepina
Il management del paziente affetto da Disturbo dell’Umore non può non prescindere da
considerazioni di ordine psicologico e psicosociale che abbiamo visto svolgere spesso un
significativo ruolo nell’insorgenza del disturbo e/o nella modulazione del suo decorso.
La relazione con il paziente depresso richiede particolari attenzioni, in vista di una difficile
alleanza terapeutica, che richiederà al terapeuta l’accettazione empatica dei vissuti di
angoscia depressiva e inerzia vitale, senza tentare di sollecitare intempestivamente il paziente
a reagire alla sua condizione di paralisi psichica, di abulia e di totale mancanza di interesse;
tali stimolazioni che il paziente riceve spesso e intensivamente anche dal suo ambiente
familiare hanno spesso come unico effetto quello di aumentare a dismisura la distanza
emotiva dal terapeuta e di esasperare il vissuto di solitudine e di incomprensione.
Appare inoltre molto utile, nell’ambito della relazione medico/psichiatra-paziente, la
possibilità di un’adeguata esplicazione e chiarificazione su quello che il paziente può
aspettarsi dalla terapia farmacologica, in termini di miglioramento, effetti terapeutici, effetti
collaterali, ecc.. .
Una parte importante nel trattamento del paziente depresso occupa l’Approccio
Psicoterapeutico: gli interventi più adeguati per le caratteristiche di questa patologia
sembrano essere:
- la Terapia Cognitivo-Comportamentale, che persegue in questi casi l’obiettivo di una
ristrutturazione cognitiva, grazie alla quale il paziente può gradualmente recuperare
un’immagine di sé più realistica e cominciare a viversi al di fuori del loop patologico e
stereotipico legato al fallimento e all’insuccesso.
Tale tipo di intervento esplica anche un’azione favorevole sulla problematica
depressiva “allenando” il paziente alla soluzione di problemi concreti e quindi
stimolando migliori strategie adattive.
- la Psicoterapia Psicodinamica Breve
- la Psicoterapia Interpersonale, si è sviluppata specificamente per l’intervento su
pazienti depressi unipolari non psicotici.
Si tratta di una forma di psicoterapia breve, basata su elementi di tipo psicopedagogico

147
e che ha per scopo l’acquisizione di capacità interpersonali da estendere al contesto
extra-clinico, e attraverso le quali poter affrontare le situazioni di perdita, di
cambiamento di ruolo, di difficoltà relazionali e affettive, di disadattamento
psicosociale che rappresentano, secondo questo orientamento psicoterapico, la
matrice della vissuti depressivi patologici.
Questo approccio privilegia maggiormente il rapporto con la dimensione del presente
rispetto alle terapie dinamiche, che leggono la situazione attuale del paziente a partire
dalle esperienze affettive infantili.
In generale, un approccio terapeutico integrato farmaco-psicoterapicoappare
consigliabile in una buona percentuale di Disturbi dell’Umore.

I Farmaci Antidepressivi
Si tratta di una categoria di farmaci che svolge un’importante azione sui sintomi della
Depressione, quindi:

- sul tono deflesso dell’Umore


- sulla inibizione psicomotoria
- sulla ideazione depressiva
Le loro indicazioni si sono per altro progressivamente estese ad altri quadri clinici come:

- Disturbi Alimentari
- DAP
- Disturbi Ossessivi
- Sindromi da Dolore Cronico (Algico)

La ricerca psicofarmacologica ha reso disponibili, nel corso del tempo, una grande quantità di
farmaci utili nel trattamento e nella prevenzione dei Disturbi Depressivi. I primi farmaci
Antidepressivi utilizzati furono l’Iproniazide e l’Imipramina; in entrambi i casi, la scoperta
delle proprietà antidepressive è da attribuire alla serendipità . Infatti:

- l’effetto antidepressivo dell’Iproniazide, capostipite degli inibitori delle monoamino-


ossidasi (I-MAO),fu scoperto per caso, negli anni ’50, trattando soggetti affetti da
tubercolosi
- La scoperta dell’efficacia come antidepressivo dell’Imipramina avvenne altrettanto
per caso, dal momento che si stava studiando la possibilità di impiego di tale farmaco
come antipsicotico sedativo.

L’elevato numero di composti ad azione antidepressiva oggi presente, con uno spettro di
caratteristiche differenziali molto ampio, ha indubbiamente moltiplicato le opzioni possibili
nella scelta della sostanza più adeguata per un determinato intervento terapeutico,
determinando una migliore possibilità di individualizzazione del trattamento, sempre più , per
questo, “ritagliato” sul paziente e rispondente alle sue caratteristiche.

Nel campo della terapia antidepressiva abbiamo assistito negli ultimi anni alla
sperimentazione di nuovi farmaci come gli SSRI (inibitori specifici del re-uptake della
serotonina) e i RIMA (inibitori reversibili delle MAO-A), rivelatisi più flessibili e con minori

148
effetti collaterali rispetto alle sostanze utilizzate fino agli anni ’80, ovvero i Triciclici e gli I-
MAO non reversibili.

Classificazione
I farmaci ad attività antidepressiva si possono differenziare in numerose categorie, ognuna
delle quali presenta effetti clinici e collaterali specifici.

Distinguiamo quindi:

1) I-MAO, Inibitori non reversibili delle MAO


2) Antidepressivi Triciclici (TCA)
3) Antidepressivi Atipici o di Seconda Generazione
4) SSRI, Inibitori selettivi del re-uptake della serotonina
5) RIMA, Inibitori reversibili delle MAO-A
6) SNRI, Inibitori selettivi del re-uptake della serotonina e della noradrenalina
7) Benzamidi sostituite
8) NaSSA, Antidepressivi specifici noradrenergici e serotoninergici
9) NARI, Inibitori selettivi del re-uptake della noradrenalina.

1. Gli inibitori non reversibili delle MAO (I-MAO)


Dei farmaci I-MAO in Italia è disponibile soltanto la Tranilcipromina.

Esistono due tipi di enzimi MAO, che metabolizzano serotonina e catecolamine: di tipo A
(MAO-A) e di tipo B (MAO-B). I composti di questa categoria, a differenza dei preparati più
nuovi (RIMA) agiscono su entrambi i gruppi enzimatici.

Hanno quindi una funzione di inibizione sulle MAO, bloccando il catabolismo delle
catecolamine e della serotonina, e potenziando, di conseguenza, l’attività
neurotrasmettitoriale.

2. Gli Antidepressivi Triciclici (TCA)


Tra i farmaci Triciclici ricordiamo:

- Ami-triptilina
- Nor-triptilina
- Pro-triptilina
- Clorimipramina
- Imipramina

3. Antidepressivi Atipi o di Seconda Generazione


La ricerca di molecole dotate di una migliore tollerabilità rispetto ai Triciclici,soprattutto
riguardo agli effetti anticolinergici dei Triclici, che rappresentano il limite maggiore
nell’uso clinico di questi farmaci, ha condotto alla sintesi di composti tra loro eterogenei,

149
dotati di un profilo di effetti collaterali più accettabili e il cui impiego riguarda quindi le
situazioni nelle quali i TCA sono mal tollerati o controindicati. Tra questi ricordiamo il
Trazodone

4. SSRI Inibitori Selettivi del Re-uptake della Serotonina


Anche questi composti sono stati sintetizzati a partire dalle considerazioni appena esposte
sugli Antidepressivi di Seconda Generazione.

Questi farmaci rappresentano una categoria di sostanze autonome, che svolge un meccanismo
di azione di tipo serotoninergico e che presenta, quindi, caratteristiche cliniche specifiche. Tra
gli SSRI ricordiamo:

- Fluoxetina (PROZAC): all’inizio si credeva avesse un effeto anoressizzante, mentre poi


si scoprì l’effetto antidepressivo (venne chiamato “il farmaco della felicità ”)
- Fluvoxamina (molto efficace nel caso di DOC)
- Paroxetina
- Sertralina
- Citalopram
- Escitalopram
- Zimelidina

Sono detti <<farmaci multifunzione>> perché oltre a possedere proprietà anti-depressive,


rivelano una buona azione terapeutica anche nel trattamento del DOC e di altre patologie
(DAP), migliora il trofismo cerebrale (il processo nutrizionale delle cellule e dei tessuti
cerebrali) e la plasticità neurale (aumento del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale).

5. RIMA Inibitori reversibili della MAO-A


Si tratta di una nuova categoria di inibitori delle MAO che agiscono selettivamente sulle MAO
di tipo A (MAO-A), con un’azione reversibile (a differenza degli I-MAO); rispetto ai più vecchi
I-MAO possiedono quindi un’azione meno drastica di blocco enzimatico che consente una
maggiore maneggevolezza nell’uso clinico, evitando le restrizioni alimentari necessarie
nell’uso degli inibitori non reversibili. Tra questi ricordiamo il Taloxatone

6. SNRI Inibitori Selettivi del Re-uptake della Serotonina e della


Noradrenalina
Si tratta di una recentissima classe di composti, il cui prototipo è la Vanlafaxina, dotati di
un’azione di blocco del re-uptake sia della Serotonina che della Noradrenalina. Si tratta di un
gruppo interessante di antidepressivi anche per la rapidità di comparsa dell’effetto clinico
(circa 1 settimana).

7. Benzamidi Sostituite

150
Questa categoria comprende farmaci definiti classicamente “anfoteri”, attivi cioè nel
trattamento dei sintomi negativi della Schizofrenia, ma a dosi inferiori dotati anche di attività
antidepressiva ed efficaci nei Disturbi Somatoformi.

8. NaSSA
Il composto più noto di questo gruppo è la Mirtazapina.

9. NARI
Di questa categoria di farmaci noradrenergici fa parte la Reboxetina.

10. NDRI Inibitori Selettivi del Re-uptake della Dopamina e Noradrenalina


Bupropione

11. Melatonergici
La melatonina aiuta il sonno, viene prodotta nella Epifisi (o Ghiandola Pineale) che regola le
funzioni del corpo in base al ciclo sonno-veglia.

Tra i farmaci melatonergici troviamo l’Apomelatina

Meccanismo d’azione
Lo studio dei meccanismi di azione dei farmaci antidepressivi ha favorito la costruzione dei
modelli biologici della Depressione e, quindi, la comprensione delle alterazioni neurochimiche
che stanno alla base dei sintomi depressivi.

 La prima ipotesi sul meccanismo di azione dei farmaci antidepressivi postulava che queste
sostanze fossero in grado di incrementare il livello delle catecolamine cerebrali,
attraverso fondamentalmente due meccanismi:

1) Il blocco degli enzimi preposti alla degradazione delle Catecolamine (I-MAO)


2) Il blocco dei processi di ricaptazione (re-uptake) dei neuromediatori che hanno
esaurito il loro ruolo funzionale nella spazio intersinaptico (TCA)

Ne discendeva una ipotesi eziopatogenetica che spiegava l’insorgenza della Depressione


come l’esito di un deficit delle catecolamine, che i farmaci antidepressivi riuscivano
appunto a correggere.

 Col passare degli anni però si diede sempre più valore al fatto che mentre l’azione di
blocco del re-uptake delle catecolamine svolta dai TCA può essere considerata “acuta”,
nel senso che si realizza molto rapidamente dopo le prime somministrazioni del

151
farmaco, la comparsa dei primi effetti clinici risulta ritardato di circa 15-20 giorni
rispetto a queste variazioni iniziali.

Scaturì allora una seconda ipotesi sul meccanismo di azione dei farmaci antidepressivi:
l’effetto clinico antidepressivo dei TCA andava correlato non al blocco della ricaptazione delle
catecolamine (“effetto acuto”), ma alla loro azione sulla sensibilità recettorialeche è un
effetto “cronico”, e richiede cioè per realizzarsi un tempo analogo a quello necessario perché
si manifesti un miglioramento della sintomatologia depressiva.

A seguito dell’impiego di TCA, quindi, si realizza una sottoregolazione o down regulation,


cioè una progressiva desensibilizzazione recettoriale con una diminuzione della
concentrazione dei recettori stessi.

La sottoregolazione interessa sia i recettori presinaptici 2, 5-HT1 e dopaminergici, sia


quelli post-sinaptici -bloccanti adrenergici (essendo i 2 inibitori).

Così l’iposensibilizzazione dei recettori presinaptici potrebbe avere come effetto una
diminuzione della inibizione della sintesi e della liberazione del neurotrasmettitore,
determinando un incremento della neurotrasmissione stessa.

Si dimostrò quindi che il meccanismo specificamente antidepressivo dei TCA, ma anche di


molti Antidepressivi di Seconda Generazione, sarebbe rappresentato da una modulazione
della sensibilità recettoriale (eventualmente favorita dai più precoci effetti sul blocco del
re-uptake dei neurotrasmettitori) e da un conseguente ri-equilibrio tra:

1) neurotrasmettitori
2) concentrazione dei recettori
3) sensibilità dei recettori al neurotrasmettitore

Interessante infine la scoperta, analogamente a quanto avvenuto con le BDZ, di specifici


recettori per gli antidepressivi che lasciano supporre l’esistenza di ligandi endogeni con il
recettore, antagonizzati dagli antidepressivi.

 Gli I-MAO sono molecole che inibiscono la deaminazione ossidativa delle monoamine e,
evitando il loro catabolismo, aumentano la loro quantità e i loro effetti funzionali.

Va fatta una distinzione tra i vecchi I-MAO e i nuovi I-MAO:

1) Da una parte, i farmaci classici di questa categoria inibivano indifferentemente tutti e


due i tipi di enzimi MAO, A e B, con un’azione irreversibile, che richiedeva quindi
tempi piuttosto lunghi per il ripristino delle attività enzimatiche
2) Dall’altra parte, i nuovi I-MAO (RIMA) svolgono un’azione selettiva sull’enzima di
tipo A ed in modo reversibile, tale ciò da essere meno intensa e prolungata,
consentendo una più rapida riattivazione della funzione enzimatica bloccata. La
reversibilità e la selettività di queste nuove molecole consentono minori precauzioni
nel loro uso, scongiurando i pericolosi effetti collaterali legati all’interazione con
gli antidepressivi triciclici e con la tiramina alimentare degli I-MAO classici.

Effetti clinici

152
 Gli Antidepressivi Triclici rappresentano ancora oggi i farmaci di prima scelta in molti casi
di Depressione Maggiore, sebbene i farmaci più nuovi con uno spettro più limitato di effetti
collaterali stiano progressivamente affermandosi in modo sempre più esteso.

I TCA vengono utilizzati nel trattamento di:

1) Depressione Maggiore e nella sua profilassi, per prevenire le ricadute ed evitare la


cronicizzazione.
2) Cautela occorre invece nell’uso dei TCA nelle fasi depressive del Disturbo Bipolare ,
perché il loro impiego può intensificare i viraggi, accelerando l’alternanza di fasi e
determinando, quindi, un peggioramento della prognosi.
3) DAP e di altri Disturbi d’Ansia, in special modo nel DOC, dove si sono dimostrati efficaci
nel controllare la sintomatologia ideativa e gli atti compulsivi
4) Disturbi Alimentari Bulimici, dove diminuiscono le abbuffatte
5) Enuresi notturna
6) Sindromi da Dolore Cronico
7) Alcuni tipi di cefalea

I TCA hanno una latenza di 2-3 settimane prima che si manifesti l’effetto clinico.

Se la risposta del paziente al trattamento dovesse essere limitata, potrebbe essere potenziata
dall’aggiunta di Sali di Litio. Se non la risposta non dovesse ancora migliorare, sarà
opportuno passare a un Antidepressivo di categoria diversa, come gli SSRI o gli I-MAO.

Una volta ottenuto il miglioramento terapeutico, la terapia dovrebbe essere mantenuta per
almeno 5-6 mesi, dopo i quali il TCA dovrebbe essere ridotto lentamente evitando così la
comparsa di una reazione da sospensione che potrebbe essere confusa con la ripresa della
sintomatologia depressiva. Ma, mentre la “reazione da sospensione”, assimilata da molti a una
vera e propria sindrome d’astinenza, si verifica immediatamente dopo la sospensione del
farmaco, specie se brusca, la ripresa della sintomatologia depressiva può comparire dopo
settimane o mesi dalla sospensione.

 Gli SSRI vengono utilizzati nel trattamento di:

- Disturbi Depressivi
- Disturbi Ossessivi (specialmente la Fluvoxamina)
- DAP
- Bulimia
- Patologia a sfondo impulsivo-aggressivo

Gli Antidepressivi di Seconda Generazione e i nuovi SSRI hanno un più breve periodo di
latenza rispetto ai TCA, circa 10 giorni, che si riduce ancora, a circa 5-7 giorni, con la
Venlafaxina.

Effetti collaterali
 Come visto, i TCA sono farmaci efficaci, ma ciò che ne limita a volte l’uso sono i loro effetti
collaterali, dovuti principalmente a:

1) azione di tipo anticolinergico; ma anche a

153
2) antiistaminergica

Opportuna è a questo punto una parentesi sul Sistema Nervoso.

Il sistema nervoso negli esseri umani può essere anatomicamente suddiviso in:
- sistema nervoso centrale (SNC)
- sistema nervoso periferico (SNP). A seconda delle funzioni che riveste, il SNP è
suddiviso in:
a. sistema sensoriale
b. sistema motorio; quest’ultimo può essere a sua volta suddiviso in somatico e
autonomo. Il sistema autonomo, infine, è suddiviso in:
1. simpatico
2. parasimpatico.
La principale differenza tra il SNC e il SNP sta nell'anatomia:
- Il SNC è formato da:
1) encefalo (cervello, tronco cerebrale e cervelletto)
2) midollo spinale
- il SNP è formato dai neuroni sensitivi e motori i cui assoni si estendono fuori dal SNC
per giungere a tessuti e organi.
Il sistema nervoso autonomo (SNA), conosciuto anche come sistema nervoso vegetativo o
viscerale, è quell'insieme di cellule che innervano gli organi interni e le ghiandole,
controllando le cosiddette “funzioni vegetative”, ossia quelle funzioni che generalmente sono
al di fuori del controllo volontario, per questo viene anche definito "sistema autonomo
involontario". Il SNA, come visto, è parte del SNP.
Il sistema nervoso autonomo è costituito da porzioni anatomicamente e funzionalmente
distinte ma sinergiche:
1) il sistema nervoso simpatico
2) il sistema nervoso parasimpatico
3) il sistema nervoso enterico o metasimpatico, fibre nervose che innervano i visceri, e
controllano il tratto intestinale.
Il SNP ha la funzione di regolare l'omeostasi dell'organismo ed è un sistema
neuromotorio non influenzabile dalla volontà che opera con meccanismi appunto
autonomi.
Il sistema nervoso autonomo controlla soprattutto il movimento della muscolatura liscia,
l'attività cardiaca e l'attività secretoriaghiandolare.

1. Sistema simpatico
Tradizionalmente si considera che l’innervazione del Sistema Simpatico svolga una funzione
fuga\attacco (fight or flight).

Correla con la scarica di adrenalina e noradrenalina.

E’ responsabile di reazioni opposte rispetto all'innervazione parasimpatica:

1) vasocostrizione

154
2) broncodilatazione
3) tachicardia
4) costrizione degli sfinteri
5) contrazione della muscolatura delle vie spermatiche (quindi contribuisce
all'eiaculazione).

1. Sistema parasimpatico (vegetativo/involontario)


Il parasimpatico correla con la scarica di acetilcolina, ed è composto da quella parte del
sistema nervoso autonomo che svolge funzioni opposte al Sistema Simpatico, quindi:
1) broncocostrizione
2) vasodilatazione
3) eccitosecrezione di ghiandole salivari, lacrimali
4) secrezione delle ghiandole annesse al tubo digerente (pancreas e fegato)
5) rilassamento dello sfintere della vescica, porta alla minzione.
Alcuni individui sono simpaticotonici, altri sono vagotonici/parasimpaticotonici.
Ritornando agli effetti collaterali delle TCA, questi sono fondamentalmente ricollegabili al loro
effetto simpaticomimetico (e quindi parasimpaticolitico) sul Sistema Nervoso Autonomo,
a causa del blocco che questi farmaci determinano sul neurotrasmettitore del parasimpatico,
ovvero l’acetilcolina. Hanno quindi:
1. Effetti di tipo anticolinergico:
a) Appannamento della vista
b) Xerostomia (effetto contrario all’azione eccitante a livello di secrezione salivare del
Sistema Parasimpatico)
c) Stipsi
d) Tachicardia
e) Ritenzione urinaria
f) Turbe della memoria
g) Vertigini
h) Tremori
2. Effetti di tipo antiistaminergico
a) sedazione
b) sonnolenza
c) ipotensione
d) aumento ponderale (dovuto all’aumento dell’appetito)
e) sudorazione

Le controindicazioni assolute all’uso dei Triciclici sono costituite da:


1) glaucoma
2) ipertrofia prostatica
3) gravi cardiopatie
4) infarto recente
5) epilessia, per via dell’abbassamento della soglia convulsionante
6) pazienti con insufficienza respiratoria
7) pazienti cardiovascolari(per l’ipertensione che determinano)

155
 Gli effetti collaterali degli SSRI:

- nausea, che però regredisce, di solito, con la prosecuzione del trattamento


- irritabilità e cefalea (dovute all’effetto serotoninergico)
- insonnia
- xerostomia.

 Per gli altri Antidepressivi di II Generazione gli effetti collaterali più osservati sono:

- sonnolenza, per alcuni di loro, dovuto all’azione antiistaminergica


- irritabilità e insonnia per quei composti della categoria che hanno un effetto
dopaminergico e serotoninergico, in assenza di effetti anticolinergici

 Spiccato per i NaSSA (Mirtazapina) l’aumento ponderale.

Il problema principale delleI-MAO, che rende questi farmaci poco maneggevoli, è:

1) possibilità di interazione con i TCA o con altre sostanze simpatico mimetiche con
scatenamento di crisi ipertensive potenzialmente mortali;
2) interazione con la Tiramina alimentare, precursore delle catecolamine e quindi in
grado di stimolarne la sintesi e la liberazione; i cibi che contengono questa sostanza
vanno quindi accuratamente evitati durante una terapia con I-MAO, così come andrà
effettuato, prima di iniziare il trattamento con queste sostanze, un wash out di qualche
settimana se si erano impiegati TCA o simpaticomimetici. Tra i cibi che contengono
maggiormente tiramina ricordiamo:
a) formaggi fermentati
b) fegato
c) salumi
d) salsiccia
e) pesce affumicato
f) birra
g) vino rosso
h) fichi
i) fave

 I rischi esposti a proposito delle I-MAO sono pressoché eliminati con l’introduzione dei
nuovi inibitori reversibili RIMA, farmaci molto più maneggevoli e sicuri dei vecchi I-MAO.

Nuovi farmaci Antidepressivi


Gli Azapironi (Buspirone) hanno mostrato interessanti effetti oltre che sull’ansia (GAD)
anche sulla Depressione e sul DOC.

Il Bupoprione è un potente antidepressivo dotato di un meccanismo d’azione originale che


implica una selettiva inibizione del re-uptake della dopamina, il cui uso clinico è però limitato
da alcuni inconvenienti come l’abbassamento della soglia di convulsività .

L’Adinazolam, triazolo-BDZ simile all’Alprazolam, con un importante effetto sul re-uptake


della noradrenalina, mostra un’interessante azione antidepressiva, dimostrato anche dalla sua
capacità di indurre mania; la rapidità di insorgenza dell’effetto clinico e l’assenza di effetti

156
collaterali significativi ne consigliano l’utilizzo terapeutico nelle terapie a breve termine, in
associazione anche con altri antidepressivi.

Gli stabilizzanti dell’umore


Sono farmaci capaci di agire in senso preventivo sui Disturbi dell’Umore Bipolari. Tra questi
ricordiamo:

- Sali di Litio
- Carbamazepina
- Clonazepam
- Valproato
- Clonidina (ricorda che viene usato per trattare la Sindrome di Korsakoff in
associazione alla tiamina, ovvero vitamina B1)
- Verapamil

I Sali di Litio
Queste sostanze agiscono a livello del sistema del secondo messaggero in una grande quantità
di cellule nervose.

NOTA: si definisce secondo messaggero quella famiglia eterogenea di molecole che


permettono all'interno della cellulla il trasferimento, la trasmissione o la regolazione di
meccanismi biochimici.

Il secondo messaggero è una molecola che viene rilasciata o attivata a seguito del legame del
ligando con il proprio recettore. Di solito, il legame del ligando con il recettore ne causa una
variazione conformazionale che innesca una reazione a catena che attiva il secondo
messaggero. Il rilascio di questo permette l'attivazione di molecole intracellulari che regolano
l'attività della cellula.
Ritornando ai Sali di Litio, questa azione avrebbe l’effetto di diminuire l’iperattività
neurotrasmettitoriale delle situazioni bipolari, che è verosimilmente in rapporto a un serie
concatenata di reciproche reazioni compensatorie, dalla condizione maniacale a quella
depressiva, senza soluzione di continuità .
Le indicazioni riguardano:
- episodio maniacale acuto, in associazione con i neurolettici;
- episodio depressivo del Disturbo Bipolare, dopo l’inizio del trattamento con
antidepressivi
- prevenzione degli episodi di entrambe le polarità; l’azione profilattica si instaura
nel giro di 1 anno.
E’ bene valutare preventivamente i parametri renali, cardiaci e tiroidei, che sono gli organi più

157
sensibili alla tossicità del Litio.
Gli effetti collaterali del Litio consistono in:
- tremori delle mani
- disturbi gastrointestinali
- debolezza muscolare
- aumento ponderale
- ipotiroidismo
- leucocitosi
- poliuria78
- polidipsia79
Alti livelli ematici di Litio comportano inoltre:
- Atassia80
- Stato confusionale
- Diarrea
- Disartria
- Coma
- Iperestensione degli arti
- Crisi ipertensive
Le controindicazioni all’uso dei Sali di Litio sono rappresentate da:
- insufficienza renale
- ipotiroidismo
- infarto del miocardio
- epilessia temporale
- primo trimestre di gravidanza

Carbamazepina
Gli effetti collaterali più comuni sono diploplia (visione doppia, in senso orizzontale o
verticale, di uno stesso oggetto), atassia, vomito, nausea. L’associazione litio-carbamazepina
impone cautela per la sommazione degli effetti di tossicità dei due farmaci.

Valproato
Un altro efficace agente profilattico dei Disturbi dell’Umore, soprattutto degli episodio
maniacali.
Effetti collaterali: (1) Disturbi gastrointestinali; (2) Aumento dell’appetito e conseguente
aumento ponderale; (3) Alopecia.

78
La poliuria è la formazione ed escrezione di un'eccessiva quantità di urine in assenza di un contemporaneo aumento dell'assunzione di
liquidi
79
La polidipsia è uno stato di sete intensa che porta il paziente a ingerire notevoli quantità di liquidi
80
atassia Disturbo neurologico che si manifesta nell’esecuzione dei movimenti, che vengono effettuati senza misura e con errori di
direzione (a. dinamica), oppure nella conservazione delle posizioni del tronco e degli arti (a. statica).

158
Clonazepam
BDZ efficace nel controllare l’episodio maniacale acuto, sembra avere anche un’azione di
profilassi nel Disturbo a Cicli Rapidi.
Come per tutte le BDZ l’uso prolungato impone cautela per via della possibile insorgenza di
tolleranza e dipendenza.
Verapamil
Calcioantagonista, svolge un’azione sul Disturbo Maniacale collegata alla riduzione
dell’ingresso intraneuronale dello ione Ca++, modulando così l’eccesso di sintesi e di rilascio
delle catecolamine.
15. SUICIDIO
Secondo l’OMS:

1) l’atto suicidario è un attentato alla propria vita con un grado variabile di intenzione di
morte. E’ qualsiasi atto che attenta alla propria vita.
2) Il sucidio è un atto suicidario con esito fatale.
3) Il tentato suicidio è un comportamento nel quale è bassa la reale intenzione di morte
ed è prevalente il significato dimostrativo del gesto.
4) Il sucidio mancato è un atto nel quale il soggetto sopravvive per cause fortuite ed
imprevedibili e nel quale l’intento di autosoppressione è elevato.

Epidemiologia
I tassi di incidenza differiscono nelle diverse aree geografiche, oscillando tra punte di 40
suicidi ogni 100.000 abitanti ed aree con meno di 10 suicidi ogni 100.000 abitanti.

In Italia il tasso di incidenza annuale è stimato in 10 per 100.000 abitanti, che equivale a dire
circa 6.000 suicidi all’anno.

Diversi Autori hanno evidenziato l’incremento del suicidio tra gli adolescenti e tra gli anziani.

Suicidio e Disturbi psichici


Il suicidio si collega frequentemente a una patologia psichiatrica.

- Nei Disturbi dell’Umore il suicidio va sempre considerato come una possibile


complicazione: infatti le idee di colpa, le tematiche deliranti specie a contenuto di indegnità , la
perdita della speranza di un miglioramento in un tempo futuro, rappresentano un elevato
elemento di rischio suicidario. Ricorda che il 50% dei suicidi è compiuto da soggetti con
Depressione Maggiore.

Le Forme Bipolari a rapido viraggio da una forma all’altra presentano un indice di


rischio elevato(10-15%), specie quando si associano deflessione timica, impulsività e
disinibizione (vedi, a tal proposito, anche l’azione di alcuni farmaci antidepressivi triciclici).

159
Una alta potenzialità suicidaria è riscontrabile nella comorbidità del Disturbo Depressivo con
DAP, uso di sostanze, presenza di sintomi psicotici, gravi malattie degenerative e neoplastiche,
in presenza di intensa anedonia, grave insonnia ed elevata ansia.

- Nei Disturbi da Uso di Sostanze si ha un elevato rischio suicidario.

In particolare l’etilista cronico va considerato sempre un paziente ad altro rischio; va


peraltro ricordata la frequente connessione tra la patologia depressiva e l’alcolismo.

- Nella Tossicodipendenzada oppiacei alcuni Autori hanno ipotizzato che l’overdose sia una
forma equivalente di suicidio.

- Soggetti con Disturbo di Personalità Antisociale, Narcisistico e Borderline possono


compiere atti suicidari (depressione narcisistica; nel DP Borderline si parla di <<suicidosi>>).

- Nella Schizofrenia il suicidio presenta spesso la modalità del raptus.

Vanno infine considerate a rischio di suicidio:

- patologie somatiche croniche, progressivamente invalidanti e a prognosi infausta


- il gentilizio81 positivo per condotte suicidarie
- precedenti tentativi di suicidio nell’anamnesi personale
- gli eventi di vita che determinano la perdita di una persona significativa (lutto,
separazione, ecc.) e in genere tutti gli eventi che provocano un brusco cambiamento di
status (licenziamento, trasferimento, fallimento, pensionamento, ecc.)

81
gentilìzio agg. [dal lat. gentilicius «pertinente alla gens, alla stirpe», der. di gentilis: v. gentile1]. –

160
16. DISTURBI D’ANSIA
L’Ansia rappresenta un sintomo comune e diffuso, pressoché ubiquitario, in molte situazione
di disagio psichico, ma anche uno stato psicoaffettivo che si può sperimentare in condizioni
normali, fisiologico e adattivo.

Va pertanto distinta un’ansia fisiologica, adattiva e funzionale (ad esempio: come segnale di
allarme rispetto a un pericolo, o come vissuto in grado di favorire il raggiungimento dei propri
obiettivi), da un’ansia patologica.

E’ patologico tutto ciò che impedisce all’individuo di vivere in armonia con se stesso e con
l’ambiente esterno. L’ansia non è più fisiologica e deve essere interpretata come segnale di
perturbamento psicologico in relazione alla loro:

- durata (costanza temporale)


- intensità , avvertita sia soggettivamente come stato di sofferenza interna, sia
obiettivamente come manifestazioni esterne e ripercussioni comportamentali
- causa: meno significativo, infatti, sarà l’evento al quale ricondurre lo stato ansioso, e
quindi meno adeguata sarà la risposta ansiosa a uno stimolo, maggiore sarà il
significato patologico di quest’ultimo, fino alle condizioni nelle quali l’ansia pare non
ricollegarsi ad alcuna esperienza o vissuto e si presenta difficilmente comprensibile in
senso psicologico (Ansia Anideica82).

L’Ansia è uno stato emotivo a contenuto spiacevole,una sensazione di tensione psichica


legata a una condizione di allarme e di paura che insorge in assenza di un pericolo
reale, ma a causa dell’aspettativa di un evento che viene investito di particolari
significati e temuto come potenzialmente pericoloso. L’ansia è il timore, spesso
immotivato, per qualcosa di molto temuto che potrebbe accadere e non è ancora accaduta.
L’ansioso, quindi, è proiettato al futuro, la sua ansia è uno stato emotivo che nasce dal
mancato riferimento al presente ma dalla proiezione in futuro qualificato come
potenzialmente pericoloso. L’ansia è legata a qualcosa che <<potrebbe accadere>> e non a
qualcosa che accade realmente (in quel caso di parla di paura).

Vanno pertanto distinti diverse declinazioni di tensione psichica:

a. Stato di allerta: stato psicoaffettivo che normalmente accompagna l’attesa di un evento


e le aspettative ad esso associate (si ricollega all’innalzamento del livello di Arousal)

82
Ansia libera e fluttuante.

161
b. Paura: emozione provocata dalla consapevolezza di un pericolo, imminente o presente,
alla quale si accompagna il desiderio/istinto di fuggire
c. Ansia: stato emotivo spiacevole caratterizzato dal presentimento (dalla
rappresentazione mentale e NON dalla presenza reale) di un pericolo imminente e
inevitabile. Spesso costituisce una risposta abnorme a situazioni di pericolo irreali,
immaginarie e non definite (Ansia Anideica).
Nell’ansia il vissuto spiacevole non si riferisce a un pericolo presente (paura) ma solo
immaginato e anticipato nei suoi effetti. Questo pericolo può essere immaginario,
irreale o finanche inesistente (Ansia Anideica).
d. Angoscia: stato psichico caratterizzato da una sensazione di impotenza e da uno stato
di allarme logorante e pervasivo, la cui intensità è tale da generare, sovente,
comportamenti a-finalistici
e. Panico: il panico è se vogliamo lo stadio finale di un vissuto angoscioso, il momento
conclusivo di un processo che vede il passaggio dall’ansia, all’angoscia per arrivare,
appunto, al panico, il quale porta a uno stato di totale paralisi delle funzioni
psicofisiche.
NOTA: la crisi di panico è diversa dal Disturbo di Panico; infatti, mentre la <<crisi
di panico>> può rappresentare anche un singolo episodio isolato all’interno
dell’esistenza del soggetto, il <<Disturbo di Panico>> si struttura a partire dalla
ripetizione continua e frequente delle crisi di panico accompagnata da altre specifiche
variabili, quali Ansia Anticipatoria e Evitamento Fobico.

Diventa chiaro quindi come per una corretta valutazione del vissuto ansioso occorre
considerare:

- La natura degli stimoli scatenanti (che richiama la differenza tra la categoria del
possibile e del probabile, quest’ultima contenuta nella prima: una eventualità possibile
può anche essere improbabile. Da questo punto di vista considerare un evento
possibile anche probabile aumenta, inevitabilmente, lo stato di allarme)
- l’esperienza soggettiva
- la risposta fisiologica e comportamentale

Riguardo l’ultimo punto esposto, va sottolineato come, fin dalle prime osservazioni sull’ansia
venne sottolineata una stretta relazione tra il vissuto psicologico ansioso e il coinvolgimento
della dimensione somatica/corporea. L’ansia, infatti, è un’emzoione che soffoca e opprime,
non solo psichicamente, ma anche fisicamente. Non a caso il termine <<Ansia>> deriva dal
latino Anxius, che significa <<affannoso, inquieto>> e da Anxi che vuol dire <<stringere,
soffocare, angosciare>>, da cui Angere, radice comune ad angoscia e angina.

L’Ansia determina:

1) alterazioni psichiche, quali:


a. sensazione di pericolo
b. preoccupazione spesso immotivata
c. spesso evitamento fobico
d. compromissione delle prestazioni cognitive
2) alterazioni comportamentali, quali:
a. irrequietezza motoria
b. irritabilità
c. disturbi del sonno, specie insonnia iniziale, dovuto all’elevato livello di arousal (a
differenza della depressione che genera insonnia mattutina o tardiva)

162
3) Il vissuto psicologico dell’ansia correla con l’insorgenza di specifici sintomi fisici,
accessuali (sporadici, improvvisi) o meno, di natura cardiovascolare, respiratoria
(cardiopalma, ad esempio, o ambascia respiratoria unita a senso di oppressione),
genito-urinaria (pollachiuria83).

Esistono vari tipo di Ansia patologica:

1. Ansia Generalizzata
2. Ansia di tipo panico
3. Ansia di tipo fobico
4. Ansia Anticipatoria
5. Ansia sociale
6. Ansia da performance
7. Ansia legata a ossessioni
8. Ansia post-traumatica
9. Ansia protratta
10. Ansia persistente

E’ possibile distinguere:

1) Ansia come tratto: ansia come tratto stabile all’interno di una struttura
personologica;
2) Ansia come stato: ansia momentanea
3) Ansia come sintomo che può comparire nel quadro clinico di moltissime patologie
psichiatriche
4) Ansia come sindrome vera e propria, come nel caso del Disturbo d’Ansia
Generalizzato.

Nella categoria diagnostica dei Disturbi d’Ansia sono comprese alcune tra le principali forme
di Nevrosi descritte dalla Psichiatria classica, come la Nevrosi ansiosa, la Nevrosi Ossessiva, la
Nevrosi Fobica.

Il DSM-IV-TR proponeva la seguente classificazione dei Disturbi d’Ansia:

- Disturbo da Attacchi di Panico (DAP)


1) CON Agorafobia
2) SENZA Agorafobia
- Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
- Disturbo Fobico
1) Agorafobia senza Attacchi di Panico
2) Fobia Specifica
3) Fobia Sociale
- Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)
- Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD)
- Disturbo da Stress Acuto
- Disturbo Ansioso-Depressivo
- Disturbo d’Ansia Secondario a Condizione Medica Generale
- Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze
- Disturbo d’Ansia Non Altrimenti Specificato
83
pollachïùria s. f. [comp. del gr. πολλά κις «spesso» e -uria]. – Nel linguaggio medico, aumento di frequenza delle minzioni senza aumento
della quantità di urina

163
Il DSM5 ha apportato all’interno della categoria nosografica alcune importanti modificazioni:

1) il PTSD, il Disturbo da Stress Acuto e il DOC non rientrano più nella categoria dei
Disturbi d’Ansia, ma costituiscono una categoria nosografica a se stante: il PTSD e il
Disturbo da Stress Acuto sono inclusi nella categoria nosografia <<Disturbi Correlati a
Trauma e Stress>>, mentre il DOC è inserità all’interno della categoria <<Disturbo
Ossessivo-Compulsivo e Disturbi Correlati>>
2) inserisce, per la prima volta, all’interno della categoria nosografica dei <<Disturbi
d’Ansia>> due disturbi che fino all’edizione precedente del Manuale erano considerati
disturbi esclusivamente dell’infanzia e dell’adolscenza – e ora identificati come quadri
clinici evidenziabili anche nella fase adulta della vita -:
a. Disturbo d’Ansia da Separazione
b. Mutismo Elettivo: quadro che descrive l’incapacità del bambino e dell’adulto di
parlare in ambiti sociali selettivi, condizione questa che rivela la natura psicogena del
disturbo.
La diagnosi può essere fatta dopo 6 mesi.
3) Il DAP e l’Agorafobia vengono separati in una doppia diagnosi
4) L’intestazione <<Disturbo d’Ansia Sociale>> sostituisce quella di <<Fobia Sociale>>

DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO (DAP)


Si tratta di un disturbo molto diffuso in tutto il mondo occidentale.

Il DAP rappresenta una precisa e definita Sindrome psicopatologica, con:

- Specifiche manifestazione sintomatologiche


- un decorso caratteristico, che alimenta una serie di complicanze che diminuiscono
sempre più l’autonomia del soggetto e la sua indipendenza
- una specifica sensibilità verso alcune categorie farmacologiche

Epidemiologia
Il DAP ha una frequenza piuttosto alta.

I tassi di Prevalenza sono infatti dell’1,6% (doppio della Schizofrenia)

La distribuzione è maggiore nel sesso femminile, secondo un rapporto 3:1.

L’età di insorgenza è compresa tra i 15 e i 35 anni, anche se nelle donne sembra frequente un
esordio più tardivo, accompagnato ad una maggiore persistenza del disturbo anche in età
avanzata.

Aspetti eziologici
Esistono numerose evidenze che attestano una vulnerabilità biologica e familiare a questo
tipo di disturbo, mediata, ovviamente da fattori di tipo ambientale.

164
Tutti i Disturbi sono multi-fattoriale, hanno cioè un’eziologia biologico-genetica e
familiare/ambientale. I lavori di Siegel o di Kandel, per esempio, sottolineano come la
dimensione neurobiologica si trasforma a partire dalle esperienze, e come il cervello sia
indissolubilmente legato alla mente.

Le teorie biologiche ruotano attorno all’ipotesi di un aumentato livello di Catecolamine o


di una brusca e massiccia scarica del Sistema Beta Adrenergico (v.yohimbina): una
conferma indiretta di queste ipotesi viene dall’evidenza che sostanze ad attività
simpaticomimetica84 (quindi sostanze che eccitano i recettori adrenergici  attraverso
l’azione stimolante della noradrenalina, e i recettori adrenergici  attraverso l’azione
stimolante della adrenalina) producono un quadro che ricorda da vicino quello di una crisi di
panico (v. il caffè per esempio); all’inverso, un farmaco -bloccante ha un effetto
parasimpaticomimetico, e quindi favorevole sulle crisi di panico.

Una teoria più elaborata è quella che attribuisce un notevole valore eziopatogenetico al Locus
Coeruleus85, nucleo pontino situato nel Tronco Encefalico, e ad elevata attività
noradrenergica: il Locus coeruleus è infatti il sito principale per la sintesi della noradrenalina
(o "NA"), più della metà dei neuroni noradrenergici di tutto il SNC farebbero parte delle sue
strutture; questo nucleo avrebbe una serie di importanti collegamenti con le zone del Sistema
Nervoso maggiormente implicate nella elaborazione delle emozioni: amigdala, ippocampo e il
sistema limbico in generale. Numerose ricerche e test farmacologici con sostanze in grado di
eccitare o inibire specificamente i neuroni del Locus Coeruleus sembrerebbero dimostrare un
coinvolgimento diretto di tale area nel determinismo degli Attacchi di Panico.

Una nutrita serie di studi ha supportato l’ipotesi di una predisposizione genetica al DAP, il
quale:

- risulta 10 volte più frequente nei consanguinei di soggetti affetti dal Disturbo
- gli studi sui gemelli hanno evidenziato che la concordanza per il DAP è di 5 volte
maggiore nei monozigoti rispetto agli eterozigoti.

Le ipotesi interpretative dei Disturbi d’Ansia assumono un importante significato, sia dal
punto di vista della comprensione della psicogenesi del Disturbo, sia, di conseguenza, sotto il
profilo terapeutico.

Inizialmente Freud credeva che l’energia libidica non scaricata si trasformasse


fisiologicamente nei sintomi dell’Ansia; con il successivo Modello Strutturale, però , l’Ansia
venne interpretata come segnale che informa l’Io di un pericolo interno, scaturito dal
confronto scontro tra forze opposte dell’Es, di natura libidico-aggressiva da una parte, e quelle
del Super-Io e della realtà esterna, dall’altra, che richiede, pertanto, l’attivazione di specifiche
operazioni di difesa (prima: Difesa  Ansia; dopo: Ansia  Difesa).

M. Klein correla l’Ansia al ruolo degli impulsi aggressivi.

84
simpaticomimetico  Sostanza che eccita i recettori adrenergici, provocando nell’organismo effetti corrispondenti all’eccitamento
fisiologico del sistema simpatico: dilatazione della pupilla, secrezione delle lacrime, aumento di frequenza del ritmo cardiaco, costrizione dei
vasi arteriosi con aumento della pressione, dilatazione bronchiale, ecc. Una classificazione dei s. si basa sul tipo di azione da loro svolta a
livello di uno, o entrambi, i tipi recettoriali; infatti, si parla di azione alfa-stimolante operata sui recettori alfa-adrenergici, e beta-stimolante
su quelli beta-adrenergici. Un esempio di s. alfa-stimolante è la noradrenalina, di s. sia alfa- sia beta-stimolante l’adrenalina.
Farmaci simpaticomimetici. I s. trovano diverse applicazioni terapeutiche:  per la loro azione vasocostrittrice (restringimento delle piccole
arterie e dei capillari) sono usati per decongestionare le mucose del naso e degli occhi;  per l’effetto ipertensivo si usano nei collassi da grave
ipotensione e nello shock; come cardiostimolanti trovano uso in caso di arresto cardiaco.
85
Locus coeruleus (locus caeruleus, locus ceruleus) o punto blu Il suo nome deriva dalle parole latine "caeruleus", che significa "azzurro", e
"locus"; è anche chiamato "punto blu" per la sua colorazione tendente all'azzurro, dovuta ai granuli di melanina al suo interno che
conferiscono un colore blu.

165
Bowlby portò avanti una serie di ricerche sull’ Attaccamento e sulla separazione e introdusse
il concetto di Ansia di Separazione.

Donald Klein a partire dagli studi di Bowlby, poi, negli anni ’70, interpreta l’Ansia
dell’agorafobico con Attacchi di Panico come una espressione dell’ansia da separazione; la
dimostrazione di questa ipotesi potrebbe essere che, in una elevata percentuale di casi,
pazienti con DAP con Agorafobia hanno nell’infanzia precedenti di Ansia di Separazione, e
nella loro anamnesi è possibile riscontrare un elevato numero di eventi di perdita e di
separazione.

Quadro clinico
Il DAP esordisce spesso senza alcuna avvisaglia o segno premonitore con una crisi
acuta di panico accessuale e parossistica, che rappresenta l’elemento basilare e nucleare
del DAP.

L’Ansia di tipo panico è un tipo particolare di ansia anche se, a ben vedere, il panico è qualcosa
di diverso dall’ansia in sé, tant’è che il DAP non risponde al trattamento con farmaci
ansiolitici.

Per Panico si intende una condizione di ansia molto intensa, brusca,violenta e


parossistica (accessionale), che dura circa 10-15 minuti e comporta manifestazioni
somatiche e psichiche e che disturba fortemente la condotta del soggetto.

La Crisi Acuta di Panico comprende almeno 4 tra i seguenti sintomi che insorgono
bruscamente e raggiungono una intensità massima entro i primi 10 minuti (DSM-IV-TR):

1) palpitazioni
2) sudorazione
3) tremori fini o grandi
4) dispnea (ovvero, sensazione di respiro corto o di mancanza di respiro)
5) sensazione di soffocamento
6) dolore o malessere al torace
7) nausea o dolori addominali
8) sbandamenti, vertigini o sensazione di non poter stare in piedi
9) sentimenti di irrealtà (derealizzazione e depersonalizzazione)
10)paura di perdere il controllo e impazzire
11)paura di morire
12)parestesie86
13)improvvise sensazioni di caldo e freddo

Perché sia possibile fare diagnosi di DAP è necessaria una certa frequenza, ovvero
chele Crisi di Panico siano ricorrenti; infatti una singola Crisi di Panico può rimanere
isolata per tutto il resto della vita e non ripresentarsi più, oppure ancora manifestarsi a
distanza di molti anni dalla prima crisi.

Oltre alla ricorrenza degli episodi di attacchi di panico, la diagnosi di DAP richiede anche la
presenza per almeno 1 mese dopo l’episodio (o gli episodi) di panico, di almeno uno dei
seguenti aspetti:

1) persistente timore che si verifichino altri attacchi(Ansia Anticipatoria)


86
parestesia Disturbo soggettivo della sensibilità consistente nella insorgenza di una sensazione elementare (formicolio, pizzicore, solletico
ecc.) in assenza di una stimolazione specifica

166
2) preoccupazione riguardo alle conseguenze dell’Attacco di Panico quali:
a) perdita di controllo
b) perdita della ragione fino a impazzire
c) infarto del miocardio, o altri accidenti cardiovascolari
3) un cambiamento significativo della condotta abituale dovuto agli attacchi di panico
(Evitamento fobico)

Diventa quindi fondamentale distinguere:

a. l’Attacco di Panico (Crisi di Panico) : la crisi di panico è una condizione acuta di ansia
molto intensa e violenta, un evento momentaneo e puntiforme, che insorge
improvvisamente e dura circa 10-15 minuti, e che, in quanto tale, non coincide con il
DAP.
Il DSM5 sottolinea come la crisi di panico, pur essendo nucleare nel DAP, è un intenso
vissuto ansioso riscontrabile, occasionalmente, all’interno di diversi quadri sindromici
ansiosi, come il GAD, ma anche DOC e Disturbo Fobico, per esempio, ma anche di
natura non ansiosa (ovvero non facenti parte di quella che nel DSM-IV-TR era la
categoria dei Disturbi d’Ansia).
Il DSM5 distingue la crisi di panico “aspettata” da quella “inaspettata”
La crisi di panico si accompagna a:
1) sintomi psichici, quali: paura di morire e paura di impazzire, a volte derealizzazione
e depersonalizzazione (che sono sintomi dissociativi e che per questo non devono
trarre in inganno facendo sbagliare diagnosi e somministrando neurolettici)
2) disturbi somatici, quali: tachicardia, cardiopalmo, senso di costrizione toracica,
vertigini, astenia, tremori, dispnea
b. Disturbo da Attacchi di Panico (DAP): oltre all’attacco di panico, che rappresenta il
sintomo nucleare, comprende anche l’ansia anticipatoria (paura della paura) e
l’evitamento fobico
Se le crisi di panico non si ripetono NON si parla di DAP.

Nel DSM-IV-TR il DAP era presente in due categorie diagnostiche:

1) DAP con Agorafobia


2) DAP senza Agorafobia

Oggi invece, nel DSM5, le due diagnosi si separano: il DAP e l’Agorafobia costituiscono due
categorie nosografiche-diagnostiche separate e indipendenti e, in caso di presenza congiunta,
si parla di comorbidità e si fa una doppia diagnosi.

Il DSM5, quindi, sottolinea come un agorafobico può non arrivare mai a sviluppare un attacco
di panico, e quindi, di conseguenza, un DAP.

L’Agorafobia è una condizione fobica in cui il soggetto si domanda “se mi sento male cosa
faccio?”; essa può essere definita come l’ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali
può essere difficile o imbarazzante allontanarsi rapidamente o nei quali può essere
difficile avere aiuto o soccorso qualora il soggetto ne avesse bisogno per via di una Crisi
d’Ansia Acuta (l’agorafobia, quindi, non è limitata soltanto agli spazi aperti e affollati, ma a
tutte quelle situazioni in cui il soggette teme di potersi sentire male e non trovare un sostegno,
un conforto o un aiuto).

L’Agorafobia costituisce oggi una specifica categoria diagnostica a sé stante.

167
Riepilogando, l’area dell’Ansia di Tipo Panico e l’Agorafobia davano luogo ai seguenti tipi di
disturbo:

1) DAP senza Agorafobia


2) DAP con Agorafobia
3) Agorafobia senza storia di DAP.

La prognosi del DAP è in buona parte legata a una diagnosi precoce e corretta e alla possibilità
di un’adeguata e rapida gestione del disturbo e dei problemi psicologici e relazionali che esso
facilmente determina.

La prima Crisi di Panico può verificarsi in una qualsiasi circostanza – anche in situazioni di
rilassamento – ma più frequentemente si realizza mentre il soggetto è in un luogo affollato, in
un supermercato, in una chiesa o è alla guida di un autoveicolo; è raro che la Crisi di Panico si
verifichi quando il soggetto è all’interno della propria abitazione.

L’Attacco di Panico viene vissuto come un evento altamente drammatico, pernicioso e


pervasivo, perché scatenante una tempesta neurovegetativa e perché causa di un’intensa
sofferenza psicologica che si accompagna a un senso di disagio estremo – epifenomeno di una
sensazione di impotenza e passività , scaturita dalla difficoltà a comprendere la natura e la
causa di un malessere così violento. Il DAP quindi espone a un’esperienza di:

- impotenza
- passività
- vulnerabilità
- non comprensione

Questa esperienza porta il paziente, soventemente, a ricorrere alle cure del Pronto Soccorso, o
a quelle di un cardiologo o del medico di base. Diventa, pertanto, evidente la necessità che il
disturbo sia ben conosciuto nelle sue caratteristiche anche da queste categorie di medici, oltre
che dallo psichiatra.

Il paziente, nelle primissime fasi della malattia, deve essere correttamente informato sulla
natura non somatica del Disturbo, nonostante il vistoso correlato di sintomi organici e fisici,
deve ricevere spiegazioni corrette sul significato e sull’andamento della crisi, ed essere
rassicurato sugli aspetti più disturbanti del DAP:

- la paura di un evento catastrofico come la morte, come la perdita dell’integrità fisica


- la paura della follia, come perdita dell’integrità psichica
- i sintomi complessi come la derealizzazione e la depersonalizzazione
La diagnosi precoce e un corretto management farmacologico sono necessari perché il DAP è
una patologia con un forte potenziale evolutivo e con successive amplificazioni
sintomatologiche che ne complicano il decorso.

Il DAP è contraddistinto da un <<pensiero magico>>(infatti spesso si accompagna a


derealizzazione e depersonalizzazione) ed espone a una serie di complicanze:

1) Può portare il paziente, dopo le prime crisi di panico, a sviluppare una Ansia
Anticipatoria, ovvero un pervasivo timore che le crisi di panico possano ripresentarsi. Questo
tipo di manifestazione ansiosa, ovvero l’ansia anticipatoria, va distinta dalla crisi di ansia

168
panica, anche se a volte può diventare così intensa da raggiungere livelli vicini all’intensità
dell’attacco di panico vero e proprio.

L’evoluzione del Disturbo quindi, schematizzando, sembra essere: Crisi di Panico- Ansia
Anticipatoria- DAP.

L’Ansia Anticipatoria, a differenza del panico, risente favorevolmente della terapia ansiolitica.

2) Porta all’insorgenza di condotte di evitamento fobico: il soggetto cioè tenderà ad evitare


luoghi e circostanze dove si è già manifestato l’attacco di panico, per il timore che ritrovarsi
nelle stesse situazioni possa scatenare un’altra crisi, esacerbando e acuendo, così, la sua
disabilità socio-relazionale

3) Mette duramente in crisi il sentimento di sicurezza del soggetto

4) Mina alla base la fiducia nelle proprie possibilità di affrontare situazioni difficili o
ansiogene (quindi riepilogando: (1) insicurezza; (2) sfiducia in sé; (3) senso di vulnerabilità ).

5) Genera un’esperienza personale di grave perdita di controllo emotivo, razionale e


vegetativo: il soggetto vive, infatti, l’attacco acuto con la sensazione di non potere opporre
alcuna strategia o difesa al disturbo, ma anzi con la convinzione di stare andando incontro a
un pericolo elevatissimo da cui scaturiranno irreparabili danni fisici o psichici.

6) Alimenta un abbassamento dei livelli di autostima e la perdita pressoché totale della fiducia
nelle proprie capacità

7) Determina una progressiva diminuzione dell’autonomia e un inesorabile restringimento


dell’orizzonte relazionale: il paziente, infatti, tenderà a rarefare i propri contatti con il mondo
esterno, a rendere routinari i propri spostamenti, spesso limitati a esigenze lavorative o
indifferibili, a evitare luoghi ansiogeni o sconosciuti e comunque a fare in modo di non
allontanarsi mai troppo dalla propria abitazione o dalla propria autovettura.

8) Determina, come conseguenza di questo processo di limitazione della libertà di movimento


all’esterno (della propria abitazione e dei propri spazi privati), un’altra caratteristica
manifestazione della perdita dell’autonomia: il ricorso a una persona che diventa il compagno-
accompagnatore e che, a poco a poco, assume il compito di accompagnare il paziente in tutti i
suoi spostamenti (frequentemente si tratta del coniuge, oppure di un genitore, o del fratello).

9) Determina nel suo decorso, come è facile intuire, specie nella forma con Agorafobia, la
comparsa di una condizione depressiva, di una grave demoralizzazione e un forte
sentimento di inadeguatezza che, non raramente possono esitare in un’ideazione suicidaria o
in comportamenti autolesivi.

Diagnosi differenziale
Alcune affezioni psichiatriche comportano una sintomatologia ansiosa che deve essere
differenziata dal DAP e dal GAD.

- La Depressione si manifesta a volte con una importante componente ansiosa che può anche
arrivare alla crisi di panico; di contro i pazienti con DAP o con GAD, specie se non trattati,
possono andare incontro, con il passare del tempo, ad un’evidente sintomatologia depressiva,

169
legata alle limitazioni imposte dal Disturbo d’Ansia, che generano forti vissuti di
demoralizzazione e un’incapacità di trarre piacere dalla vita.

Nella Diagnosi Differenziale può essere d’aiuto considerare che:

1) i soggetti con Disturbo d’Ansia hanno frequentemente turbe dell’addormentamento,


laddove i depressi, invece, soventemente manifestano un risveglio precoce (Insonnia
iniziale vs. insonnia tardiva)
2) gli ansiosi, a differenza dei depressi, conservano di solito l’appetito e non vanno
incontro a fluttuazione giornaliere dell’umore
3) i depressi, molto più frequentemente dei pazienti con Disturbo d’Ansia, presentano nel
loro quadro clinico l’anedonia.

- Il Disturbo da Somatizzazione comporta una costante preoccupazione e apprensione


(come l’ansia) che può richiamare la condizione ansiosa del GAD, ma si differenzia da questa
per il fatto di riguardare quasi esclusivamente l’ambito somatico; inoltre i sintomi fisici del
Disturbo da Somatizzazione non sono mai tali da determinare manifestazioni critiche come il
DAP.

- L’Alcool e le droghe possono rappresentare un tentativo di automedicazione in pazienti


affetti da DAP e GAD, e per questo bisognerebbe sempre valutare se la condizione ansiosa non
preesista alla condotta di abuso, e non rappresenti, quindi, la sua matrice.

- Tra le condizioni di pertinenza medica che vanno considerate prime di porre diagnosi di
Disturbo d’Ansia ricordiamo, iper- e ipo-tiroidismo, ischemia del miocardio, tachicardia
parossistica87, il prolasso della valvola mitrale (riscontrata in pazienti affetti da DAP con una
frequenza maggiore rispetto ai soggetti normali, comporta sintomi analoghi a quelli del DAP
quali: palpitazioni, dispnea e dolore toracico).

Terapia
L’approccio terapeutico al DAP prevede misure integrate di farmacoterapia e psicoterapia.

NOTA IMPORTANTE: durante o subito dopo l’Attacco di Panico andrà evitata la


somministrazione di una Benzodiazepina, dato che essa non evita in alcun modo
l’evoluzione del disturbo e non previene le successive crisi di panico; andranno, invece,
somministrati Farmaci Antidepressivi.

Gli ansiolitici, come visto, sono utili invece nel trattamento dell’Ansia anticipatoria che si
accompagna e precede il DAP.

 La farmacoterapia vede l’impiego di:

- Farmaci Triciclici, in quanto strumenti più validi nel trattamento del DAP; tra questi
sembrano tuttora mezzi farmacologici efficaci per il controllo del DAP antidepressivi
con effetto maggiormente serotoninergico (ricorda che la serotonina controlla il livello
di noradrenalina cerebrale):
a) la Clorimipramina
b) l’Imipramina

87
parossismo In medicina, e anche nel linguaggio letter., l’acme di un processo morboso, durante il quale la sintomatologia si presenta con
caratteri di maggior gravità

170
- SSRI, di cui negli ultimi anni sono state raccolte numerose evidenze sull’efficacia nel
trattamento del DAP.

L’impiego di Benzodiazepine, seppur utile nelle fasi iniziali dell’approccio farmacologico e per
il controllo dell’Ansia Anticipatoria, non appare risolutivo nel controllo degli Attacchi di
Panico.

Bisogna tenere in considerazione, inoltre, i possibili fenomeni di tolleranza e dipendenza che


si possono instaurare in terapie protratte.

NOTA: Quando i Triciclici:

1) sono mal tollerati, a causa dei fastidiosi effetti collaterali di tipo anticolinergico che alti
dosaggi di queste sostanze possono comportare, o
2) sono controindicati, in caso di:
a) glaucoma
b) ipertrofia prostatica
c) cardiopatia, allora

Si potrà ricorrere agli I-MAO, stando comunque attenti ai problemi di interazione di queste
molecole con:

- i farmaci Triciclici
- Tiramina alimentare
Il trattamento farmacologico può determinare 3 ordini di effetti:

1) Risposta rapida ai farmaci con scomparsa degli episodi di DAP, aumento della condotta
esplorativa e diminuzione dell’Ansia anticipatoria;
2) Scomparsa degli episodi di DAP senza riduzione dei livelli di Ansia anticipatoria, che
rimangono elevati per tutta la giornata e comportano modeste alterazioni
comportamentali e riduzione dei vincoli di dipendenza (dal compagno-
accompagnatore);
3) Riduzione della frequenza e della gravità dei DAP senza la loro scomparsa,
accompagnata dalla persistenza dell’evitamento fobico.

In ogni caso, le percentuali di ricadute sono piuttosto elevate (alcuni studi arrivano a
segnalare, addirittura, un tasso di ricaduta del 100% a distanza di 2 anni dalla sospensione del
trattamento farmacologico con Triciclici o I-MAO) e questo indica la necessità di affiancare
alla farmacoterapia un intervento psicoterapico.

Il DAP, con o senza Agorafobia, appare infatti uno dei disturbi psichiatrici in cui è
maggiormente indicato un intervento integrato farmaco-psicoterapia.

Nei casi in cui la terapia farmacologica ha un buon esisto, e determina un miglioramento della
sintomatologia fobica (evitamento fobico), una progressiva riconquista degli spazi e delle
occasioni relazionali perdute a causa del disturbo, una nuova autonomia, si assiste spesso a un
incremento della conflittualità intrafamiliare o intraconiugale a causa dell’esigenza di
rimaneggiare tali rapporti; pensiamo a come, ad esempio, l’affrancamento dalla dipendenza
dal coniuge da parte di una donna con DAP possa indurre problematiche adattive nel coniuge,
che può sentirsi trascurato o soffrire per la libertà ritrovata della moglie.

171
 Per quanto concerne il Trattamento Psicoterapico, la Terapia Cognitivo-Comportamentale
appare una delle più indicate per il trattamento del DAP, attraverso specifiche tecniche
comportamentali quali la desensibilizzazione in vivo e gli interventi di esposizione.

Anche la Psicoterapia a orientamento Analitico può essere prospettata nei pazienti con una
buona capacità introspettiva, allo scopo di mettere in rilievo l’area conflittuale inconscia alla
quale riferire, in una prospettiva psicodinamica, l’angoscia intrapsichica che scatena la
situazione di panico. Questo tipo di approccio tenta anche di decodificare il significato
simbolico profondo dei luoghi e delle circostanze temuti come ansiogeni.

DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO (GAD)


Il GAD è un disturbo in cui l’Ansia si manifesta con carattere cronico e persistente, da almeno
6 mesi (N.B: ricorda che se dura meno di 6 mesi si parla di <<paura transitoria>>), come
apprensione costante, preoccupazione eccessiva e pervasiva di eventi negativi per sé o per i
propri cari, tali da compromettere l’adattamento sociale, familiare, lavorativo, scolastico e
affettivo.

L’ansietà , la preoccupazione e l’apprensività sono associate con 3 sintomi tra questi:

1) irrequietezza
2) facile affaticabilità
3) difficoltà di concentrazione
4) irritabilità e reattività abnorme agli stimoli e agli eventi (disforia)
5) tensione muscolare
6) turbe del sonno (insonnia iniziale)
7) ipervigilanza
8) disturbi di somatizzazione
9) agorafobia

Il GAD è più frequente nelle donne.

Il GAD ha una prevalenza che va dal 4 al 6%.

Eziologia
Dal punto di vista eziologico, oltre alle teorie accennate per il DAP, sembra interessante la
Teoria “Gaba-Benzodiazepine” che ipotizza alla base dei Disturbi d’Ansia una disfunzione
del complesso recettoriale costituito da:

1) recettore per le Benzodiazepine


2) recettore per GABA

Questa disfunzione recettoriale gaba-benzodiazepinica è causata o dall’anomala produzione di


un ligando endogeno per il recettore delle Benzodiazepine, che occupa lo spazio recettoriale, o
da una alterazione della sensibilità recettoriale. Per cui è possibile concludere che il GAD
correla con una riduzione dei livelli gabaergici cerebrali.

172
Trattamento
 La farmacologia del GAD si è avvalsa per molti anni delle Benzodiazepine, farmaci
sostanzialmente sicuri e scevri da effetti collaterali, ma che hanno il limite di esporre, nelle
terapie a medio e lungo termine, al rischio:

- di insorgenza di tolleranza – che porta alla tendenza ad aumentare progressivamente


le dosi
- di insorgenza di dipendenza.

 In epoca più recente sono stati utilizzati gli Antidepressivi Triciclici – specialmente quelli
ad azione sedativa – con buoni risultati terapeutici ma con lo svantaggio degli effetti
collaterali tipici di queste molecole.

 Tale inconveniente è stato superato dall’introduzione degli Antidepressivi Serotoninergici


SSRI, che sono stati utilizzati con discreto successo anche nel trattamento di questo disturbo e
con minori effetti collaterali rispetto ai farmaci triciclici.

 Interessante anche l’azione del Buspirone(Azapirone), farmaco che trova nel GAD una delle
sue indicazioni selettive; si tratta di una molecola con un’azione sui recettori di tipo
serotoninergico. Questo farmaco ha specifici vantaggi:

- non determina fenomeni di dipendenza e tolleranza


- non possiede effetti di sommazione con l’alcool
- non deprime i centri respiratori (per questa ragione è maggiormente indicato per gli
anziani)
- non determina sedazione
- ha, però , un periodo di latenza di circa 10-15 giorni prima che compaia l’effetto
ansiolitico.

DISTURBO FOBICO
La Fobia può essere definita come una paura irrazionale e persistente di un oggetto o una
situazione che il soggetto tenta in tutti i modi di evitare, pur potendo riconoscere tale
timore come eccessivo rispetto alla reale pericolosità dello stimolo fobico o non
realistico.

Il fobico è un soggetto che scambia la possibilità per probabilità (il fobico, per esempio, può
dire <<la mia paura dell’aereo è motivata perché in effetti gli aerei cadono>>, scambiando
quindi, come detto, una possibilità remota per una probabilità meno remota), come difesa (e
giustificazione) nei confronti di un decadimento dell’autostima – e quindi di una ferita
narcisistica – e del riconoscimento della propria vulnerabilità .

Le Fobie erano raggruppate:

- nel DSM-I sotto la categoria delle “Reazioni Fobiche”;


- nel DSM-II come “Nevrosi Fobiche”;

173
- nel DSM-III compare la distinzione tra diversi sottotipi di fobie, sostanzialmente
mantenuta immodificata nel DSM-III-R e nel DSM-IV-TR:
a) Agorafobia
b) Fobia Sociale (oggi Disturbo d’Ansia Sociale)
c) Fobie Specifiche (prima denominate “Fobie Semplici”).

A- L’Agorafobia è divisa in due tipi:

1) Disturbo da Attacchi di Panico CON Agorafobia


2) Agorafobia SENZA storia di Attacchi di Panico

Quando i due Disturbi coesistono, per la formulazione della diagnosi viene conferito maggiore
rilievo alla presenza di un disturbo da panico.

B- La Fobia Sociale (oggi Disturbo d’Ansia Sociale) è un disturbo consistente nel:

1) timore di potere agire in modo imbarazzante o umiliante davanti agli altri.


2) Timore, e tentativo di evitamento, di tutte quelle situazioni in cui è richiesta
l’interazione con gli altri o lo svolgimento di compiti in presenza di altre persone
3) Timore implicito che la reazione ansiosa, nelle condizioni sopra descritte, possa essere
vistosa ed evidente così da esporre il soggetto al giudizio negativo degli altri

Tipiche situazione che possono essere alla base di una Fobia Sociale sono rappresentate dal:

- parlare o mangiare in pubblico


- partecipare a una festa
- rilasciare una intervista
- scrivere o apporre una firma dinanzi ad altri
- usare i bagni pubblici

Naturalmente il grado di compromissione del funzionamento sociale sarà anche in rapporto


alla quantità di situazioni fobiche presenti: meno elevato nel caso di una sola, o poche
situazioni temute, più alto nel caso di fobie multiple che possono determinare una marcata
tendenza all’isolamento sociale.

Non è raro che questi soggetti trovino nell’uso di alcool o droghe il modo di alleviare la forte
componente ansiosa, specialmente quando costretti ad affrontare l’evento temuto.

C- Le Fobie Specifiche consistono nel timore irrazionale di oggetti, situazioni o attività


specifiche: questi non sono temuti di per sé, ma in relazione al danno diretto che il soggetto
ritiene di poterne ricavare (per esempio, se claustrofobico è convinto di poter soffocare se
rimane in un luogo chiuso).

Nel DSM5, per fare diagnosi di Fobia Specifica, non è più necessaria la consapevolezza del
vissuto fobico da parte del paziente.

Nel DSM-IV-TR vengono distinti i seguenti tipi di Fobie Specifiche:

1) ambiente naturale (astrafobia=paura degli agenti atmosferici come tuoni e lampi)


2) animale
3) sangue, ferite, iniezioni
4) situazionale (claustrofobia per esempio)

174
Relativamente alla frequenza, la fobia del sangue, delle ferite e delle iniezioni, sembra essere
la più frequente, seguita da quella per gli animali e i temporali.

Eziopatogenesi delle fobie


Vanno prese in considerazione:

A) ipotesi psicodinamiche
B) ipotesi comportamentali
C) Ipotesi psicobiologiche.

 Nelle sue prime teorie secondo Freud le Fobie sono, come nel caso delle Nevrosi d’Ansia, la
conseguenza di uno stato di tensione determinato dalla mancata scarica dell’energia libidica:
la tensione nei confronti di un oggetto fobico consente di scaricare la tensione interna.

Successivamente, la possibilità di studiare il caso del piccolo Hans e la sua fobia per i cavalli,
diede a Freud la possibilità di riconcettualizzare il sintomo fobico all’interno della sua Teoria
Strutturale: l’ansia, frutto del confronto-scontro tra pulsioni libidico-aggressive dell’Es da una
parte, le difese Super-egoiche e le limitazioni della realtà esterna dall’altro, viene percepita
dall’Io come ansia segnale che mobilizza nuove risorse difensive, che, oltre alla rimozione,
possono implicare anche il ricorso alla proiezione e allo spostamento del conflitto su un
oggetto esterno.

 Secondo il Modello Comportamentale il sintomo fobico è interpretato alla luce della teoria
dei riflessi condizionati: esso rappresenta quindi una risposta condizionata acquisita
attraverso il legame che si viene a creare tra oggetto fobico e una esperienza sgradevole o
dannosa ripetuta, fino a quando la comparsa dell’oggetto fobico da solo sarà in grado di
attivare una risposta ansiosa.

Terapia dei disturbi fobici


1- La Farmacoterapia dell’Agorafobia si avvale essenzialmente degli stessi farmaci utilizzati
nel controllo degli Attacchi di Panico, sebbene questa non appare così efficace come nel caso
di questi ultimi disturbi. La farmacoterapia, cioè, agisce maggiormente sugli episodi critici di
panico più che sulla componente agorafobica. Questa considerazione richiama l’esigenza
indifferibile di affiancare al trattamento farmacologico dell’agorafobico una psicoterapia di
tipo educazionale, supportava o comportamentale.

2- La Fobia Sociale risponde favorevolmente al trattamento con beta-bloccanti88, quindi


antinoradrenergici e simpatolitici, (anche assunti poco prima della performance temuta in
caso di oratori o artisti), e con IMAO. In corso di sperimentazione, con risultati interessanti,
anche gli SSRI inibitori selettivi del reuptake della Serotonina.

3-La Fobia Specifica non sembra invece trarre un vantaggio preciso da alcuna terapia
farmacologica; appaiono indicati invece vari approcci psicoterapici, come quello cognitivo-
comportamentale con le tecniche di desensibilizzazione in immagine e in vivo, e quello
psicodinamico (psicoterapia dinamica breve o psicoterapia analitica).
88
Ricorda che i betabloccanti sono una classe di farmaci con azione bloccante dei recettori β-adrenergici. A questa classe appartengono
farmaci che bloccano in maniera non selettiva tutti i recettori β-adrenergici

175
DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO (DOC)
Ossessioni e compulsioni, di frequente esperiti in forma molto sfumata anche dai soggetti
normali – sottoforma di un motivo musicale che torna in mente con insistenza, di un atto
scaramantico di cui si avverte l’irrazionalità – diventano nel DOC sintomi profondamente
disturbanti, capaci di determinare un’intensa sofferenza psicologica e di limitare grandemente
la libertà individuale.

Il DOC oggi non fa più parte dei Disturbi d’Ansia ma costituisce una categoria nosografica a se
stante, quella <<Disturbo Ossessivo-Compulsivo e Correlati>>, in cui sono inclusi:

a. DOC
b. Tricotillomania (prima tra i <<Disturbi del Controllo degli Impulsi) - abitudine, spesso
accompagnata dall’urgenza, di tirarsi ciocche di capelli, ma nei casi più gravi anche le
ciglia -
c. Disturbo da Accumulazione patologica (o Disposofobia o Accaparramento Compulsivo)
d. Disturbo da Escoriazione della Pelle (Skin-Picking Disorder)
e. Dismorfismo Corporeo, il quale resta quasi invariato nei criteri diagnostici rispetto alla
precedente versione del Manuale Psichiatrico, ma con l’aggiunta di un criterio che
implica la presenza di comportamenti ripetitivi (o azioni mentali) in risposta alla
preoccupazione di un presunto difetto fisico

Epidemiologia
La Prevalenza del DOC nella popolazione generale è dell’1-2% (uguale al DAP).

Il rapporto uomo-donna è 3:1, durante l’infanzia; nell’età adulta si distribuisce senza grosse
differenze.

Nei parenti di primo grado di pazienti affetti da DOC si riscontra una frequenza più elevata di
tratti ossessivi e depressione.

Aspetti eziologici
 La teoria psicodinamica classica mette in rapporto i sintomi ossessivi e compulsivi con
l’incapacità , da parte dell’Io, di gestire l’ansia con difese più adattive e mature rispetto a quelle
immature come:

1) isolamento
2) spostamento
3) formazione reattiva
4) annullamento retroattivo, direttamente implicato nella fenomenologia anancastica,
nella misura in cui un’azione rituale (compulsiva) elimina gli effetti di un’azione,
pensiero o sentimento vissuti come ansiosi e angoscianti.

Nella teoria psicoanalitica classica, tale spettro difensivo è in rapporto con la fase anale dello
sviluppo psicosessuale, anche se va precisato che soggetti con personalità anale (cioè con una
fissazione a questa fase dello sviluppo psicosessuale), cui corrispondono tratti di personalità
ossessiva, possono non evolvere in un DOC, ma verso una Sindrome Depressiva o Paranoide.

176
Va sottolineato che i Tratti di Personalità Ossessiva quali precisione, scrupolosità,
tendenza all’ordine e all’ipercontrollo, parsimoniosità, ecc., sono abitualmente
egosintonici laddove invece i Sintomi del DOC sono francamente ego distonici.

Dal punto di vista biologico è stata chiamata in causa una disregolazione del sistema
serotoninergico, suffragata dall’evidenza che i farmaci maggiormente attivi nel controllo dei
sintomi ossessivi, SSRI, hanno una selettività di azione sui circuiti serotoninergici. Questi sono
definiti <<farmaci multifunzionali>> dal momento che:

1. agiscono sui sintomi depressivi


2. agiscono sul DOC e su altre patologie
3. migliorano il trofismo cerebrale89 e la plasticità neurale

Quadro clinico
L’Ossessione è un disturbo del contenuto del pensiero, e consiste in una reiterazione mentale
di contenuti ideativi o rappresentativi che rivela una natura coattiva, parassitaria,
indipendente dalla volontà , intrusiva e inappropriata (quindi egodistonica), che si impone alla
coscienza senza poter essere controllata, per questo foriera di un forte vissuto di disagio.

A causa di tali caratteri il soggetto tenta di liberarsi di queste esperienze ricorrendo a tutta
una serie di strategie atte ad attenuare la morsa dei pensieri o delle rappresentazioni
ossessive. Di tali strategie fanno appunto parte le Compulsioni (comportamenti
anancastici): il soggetto cioè si sente spinto, compulsivamente, verso atti, gesti o anche
pensieri che riconosce come inadeguati o irragionevoli ma che non può fare a meno di
realizzare (atto compulsivo), pena il mantenimento di un forte stato di ansia. Queste condotte
tendono poi a diventare ripetitive e stereotipe, coercitive, rituali anancastici ricorsivi e
necessari, a volte assumendo, con il passare del tempo, un carattere di maggiore elaborazione
e complessità , che sottrae sempre più energie mentali al paziente e creando, non di rado,
disturbo all’interno del contesto familiare e nell’area del funzionamento sociale e lavorativo.

Esiste una differenza di fondo tra le compulsioni e gli impulsi:

1. la compulsione è un atto, anche mentale, che minimizza l’ansia, il dolore e il disagio:


diminuisce il dispiacere;
2. l’impulso è un atto finalizzato a raggiungere, il più velocemente possibile, piacere,
soddisfazione e gratificazione: è finalizzato al raggiungimento del piacere; rimanda
un’incapacità di tollerare l’attesa. Un soggetto impulsivo ha maggiori possibilità di
sviluppare addiction, che, oltre all’impulsività , si collega a una dimensione compulsiva
e a una disregolazione affettiva.

Nel soggetto con DOC, quindi, esiste un’ambiguità di fondo e una dissociazione tra la parte
irrazionale/ossessivo-compulsiva e una parte razionale e critica, che però soccombe alla
prima.

Nella clinica spesso ossessioni, compulsioni e fobie sono strettamente articolate tra di
loro, come nel caso della rupofobia, ovvero della paura dello sporco in cui è possibile
distinguere:

- fobia: sporco
89
Processo nutrizionale di una cellula, di un tessuto, di un organismo

177
- ossessione: sporco
- compulsione: rituali anancastici quali rituali di lavaggio, frequenti, prolungati e ripetuti
- spesso, fobia di contagio tra gli oggetti e le persone
E’ quindi più facile trovare soggetti fobico-ossessivo-compulsivi piuttosto che solamente
fobici.

Qualsiasi oggetto può diventare oggetto di ossessioni, senza che comunque questo vissuto si
accompagni allo sviluppo di un’ansia fobica: vanno quindi distinte ossessioni con e senza
elementi fobici.

Dal punto di vista psicopatologico si possono distinguere, a secondo dei temi specifici, i
seguenti tipi di ossessioni:

1) Ossessioni dubitative: il dubbio di avere compiuto o no una certa azione, di non


averla eseguita correttamente e, di conseguenza, la necessità compulsiva di dover
controllare più volte l’esecuzione della stessa (ad esempio, chiudere i rubinetti del gas,
controllare se è stata chiusa l’auto);
2) Ossessioni interrogative: possono riguardare problemi metafisici o comunque di
difficile risoluzione, o anche di scarsa importanza che però angustiano il paziente
“occupando” la sua mente e arrecandogli un forte disagio (ad esempio: “chi ha creato il
mondo”?);
3) Ossessioni di danno: consistono nel timore di aver potuto involontariamente arrecare
nocumento a qualcuno, ad esempio non avendo spento perfettamente un fiammifero, o
sfiorando con la macchina un passante; il paziente torna con la propria mente di
continuo su tali episodi ed è tormentato dalla possibilità dell’eventuale danno causato;
4) Ossessioni di impulso: timore di poter avere un impulso incontrollabile;
5) Ossessioni mnestiche: il paziente è assillato dal bisogno di ricordare il cognome di
una persona, senza che questo sia strettamente necessario, o un numero di telefono, o
il nome di una via; per tale motivo può ritenere necessario trascrivere tali dati in
elenchi anche molto lunghi;
6) Ossessioni di conteggio: consistono nella necessità di contare ciò che si fa o nella
necessità di fare alcune cose un numero preciso di volte;
7) Ossessioni sessuali: consistono nell’avere immagini pornografiche in contesti
inappropriati;
8) Ossessioni di contagio o contaminazione: direttamente collegate alla rupofobia 90,
sono fondate su un <<pensiero magico ossessivo>> che genera il timore di poter essere
contagiato e di contagiare a propria volta; i contenuti alla base di tali ossessioni
possono essere i più rari: le malattie infettive, la radioattività , il cancro, l’AIDS, il
malocchio, la possessione demoniaca; sono tra i sintomi ossessivi quelli in cui più
facilmente l’adesione alla realtà può incrinarsi e venire meno, anche parzialmente, la
consapevolezza della irrazionalità del timore. A volte la “catena” del contagio può
essere molto lunga e complessa e coinvolgere anche gli oggetti che vengono
riconosciuti come mediati nel processo di diffusione del contagio stesso.

Il grado di invalidità di una fobia è direttamente proporzionale alla sua vicinanza rispetto al
corpo del soggetto fobico: ad esempio, la rupofobia è sicuramente più invalidante della fobia
per un cammello, per esempio.

90
Il soggetto crede, con una modalità di pensiero magico, che lo sporco passi dalla cucina al salone per esempio.

178
L’insorgenza del disturbo avviene solitamente nella tarda adolescenza o nell’età giovanile, in
modo insidioso e senza che sia possibile evidenziare un chiaro fattore precipitante.

Il decorso può essere:

- oscillante con fasi di minore intensità che si alternano a periodi di maggiore gravità del
disturbo
- costante e progressivo.

Diagnosi
Il DSM-IV-TR precisa che, se è presente un altro Disturbo in Asse I, per poter porre diagnosi di
DOC il contenuto dei sintomi ossessivo-compulsivi non può identificarsi con questo: non può
cioè riguardare soltanto la preoccupazione del cibo nel caso di un Disturbo Alimentare, o
quella della droga nel Disturbo da Uso di Sostanze.

Nel DSM-IV-TR viene anche identificata una forma clinica di DOC con scarso insight,
caratterizzata, cioè, dal mancato riconoscimento da parte del paziente della irragionevolezza o
del carattere eccessivo dei sintomi ossessivo-compulsivi.

La diagnosi differenziale può riguardare:

- la Schizofrenia, in cui si possono presentare pensieri bizzarri di tipo ossessivo e rituali


anancastici, ma il paziente solitamente non presenta, a differenza dell’ossessivo, una
adeguata consapevolezza della irrazionalità dei propri contenuti ideativi deliranti o
della propria condotta rituale.
Per inciso va sottolineato che il DSM5 riconosce un’idea ossessiva a scarso insight,
dove il soggetto cioè ha una scarsa consapevolezza e capacità critica;
- la Depressione può coesistere con il DOC, in quanto non raramente il depresso può
presentare ruminazioni ossessive, così come l’ossessivo può andare incontro, a causa
delle sue difficoltà , ad una deflessione dell’umore.
- i Disturbi Fobici possono manifestarsi con sintomi analoghi a quelli del DOC, ma
mentre di solito il fobico può riuscire ad evitare l’oggetto della sua fobia, l’ossessivo
non riesce altrettanto bene ad evitare le ossessioni connesse con un notevole grado di
ansia e quindi le sollecitazioni che le provocano (ad esempio, la paura dello sporco)
continuano ad esercitare il loro effetto disfunzionale e disturbante.

Terapia del DOC


Molti studi dimostrano l’efficacia della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, attraverso
specifiche tecniche quali:

- esposizione graduale allo stimolo fobico e desensibilizzazione sistematica allo stimolo


ansiogeno
- esposizione brusca, massiccia, intensa e prolungata allo stimolo ansiogeno, come nel
Flooding
- prevenzione della risposta, che tenta di interrompere il circuito stimolo-risposta che
porta dalla rappresentazione ossessiva al comportamento compulsivo.

179
Utile è anche la psicoterapia psicodinamica, attraverso cui è possibile approfondire il
significato simbolico sottostante la produzione sintomatologica e esplorare l’area conflittuale
da cui questa scaturisce.

La terapia farmacologica delle ossessioni si basa essenzialmente sull’impiego di:

- triciclici, soprattutto la Clorimipramina (150-300 mg/die)


- SSRI, bloccanti selettivi del reuptake della Serotonina, specialmente la Fluvoxamina
(100-300 mg/die)
- Nelle fasi di maggiore intensità del Disturbo può essere utile l’associazione di un
farmaco neurolettico a basse dosi.

DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS


Hans Selye diceva: <<Il segreto della salute e della felicità risiede nella capacità di adattarsi
con successo alle condizioni mutevoli del mondo>>. Il trauma, quindi, secondo Selye si
ricollega alla mancata capacità di un soggetto di adattarsi alle situazioni della vita: trauma è
un’esperienza che supera le capacità di adattamento del soggetto.

Partendo da questo affermazione, comprendiamo come la società post-modernità ,


contraddistinta dalla mutevolezza e dal cambiamento costante, rivela una natura spesso
traumatogena.

Cos’è un trauma? Il termine trauma deriva dal greco trayma, letteralmente <<trafittura,
perforazione>>, connesso a sua volta a ti-trao che vuol dire <<foro>> (qualcosa che
interrompe la continuità di un corpo, di uno spazio); il termine ti-trao è affine al greco ti-
trosko che vuol dire <<ledere, ferire>>.

La radice <<-tra>>, che ha il senso di “muovere”, e dal sanscrito <<t-ar-ami>>, da cui il senso
di <<passare al di là >>: trans, trapano, trota (che va dall’acqua dolce all’acqua salata).

Un secondo etimo è teiro che vuol dire <<strofinare>> (strofinare per entrare, cioè forzare e
rompere, o strofinare per cancellare), da cui, traslando, è possibile cogliere due significati:

1. ferita
2. nuova percezione della realtà , modificazione della propria visione esistenziale, nuova
sperimentazione del mondo: il trauma è un evento straordinario che <<strofina>> per
cancellarla la vecchia visione del mondo.

Anche da un punto di vista legislativo oggi viene riconosciuto non soltanto il danno fisico-
biologico di un’esperienza traumatica, ma anche quello psicologico.

Laplance e Pontalis definiscono “trauma psichico”: <<un evento della vita della persona che è
caratterizzato dalla sua intensità, dall’incapacità del soggetto di rispondervi adeguatamente,
dalla viva agitazione e dagli effetti patogeni durevoli che esso provoca nell’organizzazione
psichica. In termini economici il trauma è caratterizzato da un eccesso di agitazione (arousal),
che è eccessivo rispetto alla tolleranza del soggetto e alla sua capacità di dominare ed elaborare
questa eccitazione>>.

In riferimento a quanto detto, Einstein sosteneva che: <<il ricordo della felicità non è più
felicità , il ricordo del dolore è ancora dolore>>.

180
Ricordiamo anche che gli studi sul trauma alla fine dell’800 hanno segnato la nascita della
moderna psichiatria (Charcot) e della Psicoanalisi (la quale parte proprio dalla <<Teoria del
Trauma>> di Freud, poi rivista a favore del modello strutturale intrapsichico). La teoria
Traumatica venne poi ripresa da Ferenczi.

Oggi il classico studio di Charcot sull’Isteria trauma-correlata trova riscontro nella


<<Dissociazione peritraumatica>> successiva all’esposizione a un evento traumatico,
caratterizzata da (1) derealizzazione (2) depersonalizzazione e (3) alterazioni mnestiche
(amnesia dissociativa), e considerata un importante fattore di rischio per lo sviluppo di un
PTSD.

I meccanismi difensivi che si strutturano a partire da esperienze traumatiche sono:

1. dissociazione (non a caso circa il 95% di soggetti che soffrono di Disturbo Dissociativo
hanno subito traumi sessuali durante l’infanzia);
2. identificazione con l’aggressore

Il PTSD
Nel DSM5 Il PTSD è stato separato, assieme al Disturbo da Stress Acuto, dai Disturbi d’Ansia e
inserito all’interno della categoria diagnostica <<Disturbi Correlati al Trauma e allo
Stress>>.

Il PTSD è un Disturbo che si presenta dopo l’esposizione a un evento altamente stressante,


gravoso e traumatico, con le seguenti caratteristiche

1. la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che


hanno implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni, o minaccia all’integrità fisica
propria o di altri;
2. l’evento ha determinato nella persona una reazione di intensa paura, orrore e una
sensazione di impotenza di fronte al pericolo.

Il PTSD è l’unico disturbo psichiatrico di cui si conosce l’origine.

Dopo tale esperienza il soggetto avrà la tendenza a rivivere il trauma in uno dei seguenti
modi:

1) immagini, pensieri o percezioni ricorrenti e intrusivi con i quali l’evento viene


richiamato alla mente in modo penoso.
2) Sogni angosciosi dell’evento.
3) Comportamento o sensazione come se l’evento stesso per verificarsi di nuovo: senso di
rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, episodi dissociativi sotto forma di
flashback o ecmnesie (scene retrospettive).

Da ciò deriva:

- Intensa sofferenza psicologica all’esposizione di situazioni esterne o interne che


simbolizzano o riproducono qualche aspetto dell’evento traumatico.
- Reattività fisiologica all’esposizione di situazioni esterne o interne che simbolizzano o
riproducono l’evento traumatico.
- un persistente evitamento fobico di stimoli associati con il trauma ovvero:

181
a. evitamento di pensieri, sensazioni o conversazioni associati al trauma
b. evitamento di attività , luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
- incapacità di ricordare alcuni aspetti dell’evento traumatico (amnesia dissociativa)
- minore interesse e partecipazione ad attività significative
- distacco dagli altri
- desertificazione affettiva, che porta il soggetto a indebolire la capacità di reagire
emotivamente al mondo esterno, di provare sentimenti ed emozioni e proiettarsi nel
futuro, oltre a perdere l’interesse per le attività abituali.
- Sintomi persistenti di aumentato arousal, cui conseguono:
a. Turbe del sonno con difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
b. irritabilità e scoppi di collera
c. deficit di concentrazione
d. ipervigilanza
e. esagerate risposte di allarme agli stimoli esterni
Sul piano eziopatogenetico, lo scolorimento della vita emozionale è stato ricondotto:
1) a una difesa psicologica contro il sovraccarico di emozioni dolorose dovute al
trauma e al suo ricordo
2) più recentemente, a un eccessivo rilascio di oppioidi endogeni, antagonisti rispetto
all’iperattivazione fisiologica determinata dall’esposizione all’evento traumatico, e
legato alla costante tendenza a rivivere il trauma

Per poter porre diagnosi la durata dei sintomi deve essere maggiore di 1 mese.

Si distinguono inoltre:

1) Forma acuta, in cui la durata dei sintomi è inferiore ai 3 mesi.


2) Forma cronica, la cui durata è di 3 o più mesi.
3) Forma tardiva, se l’esordio è successivo ai 6 mesi dopo l’evento.

In generale la severità degli stressor del Disturbo Post-traumatico da stress è maggiore


rispetto a quello del Disturbo d’Adattamento.

DISTURBO DA STRESS ACUTO


Il quadro clinico è costituito dalla comparsa, entro un mese dall’esposizione a un evento
traumatico, e per una durata che varia da un minimo di due giorni a un massimo di quattro
settimane (1 mese), di:

- sintomi di tipo ansioso


- sintomi di tipo dissociativo
Le caratteristiche dell’evento traumatico sono simili a quelle che determinano un Disturbo
Post-Traumatico da Stress, e anche in questo caso – come nel Disturbo da Stress Post-
Traumatico – il soggetto tende a rivivere in vario modo l’evento altamente stressante, e a
evitare tutte le situazioni che possono ricordarglielo.

Il Disturbo da Stress Acuto presenta varie analogie patogenetiche, cliniche e terapeutiche con
il Disturbo Post-Traumatico.

182
DISTURBO ANSIOSO DEPRESSIVO
Questa diagnosi è piuttosto frequente nell’ambulatorio di medicina generale.

Il Disturbo in questione corrisponde a una diagnosi di esclusione, quando il disturbo


considerato non risponde né ai criteri diagnostici per l’Ansia, né a quelli per la Depressione
Maggiore.

DISTURBO D’ANSIA SECONDARIO A CONDIZIONE MEDICA


GENERALIZZATA
Quadro clinico in cui risultano evidenti sintomi quali ansietà , attacchi di panico, turbe di tipo
ossessivo, come diretta e fisiologica conseguenza di una condizione medica generale, come, ad
esempio, l’ipertiroidismo o leucemia.

Diagnosi differenziale
Nel Disturbo d’Adattamento con ansia invece la sintomatologia ansiosa ha una relazione
psicologica – più che fisiologica – con l’eventuale situazione medica, che, a causa della sua
gravità , funge quindi da stressor che richiede un elevato sforzo adattivo.

DISTURBO D’ANSIA INDOTTO DA SOSTANZE


In questo caso la sintomatologia ansiosa è in rapporto all’intossicazione da, o alla sospensione
- entro un mese (altrimenti non si parla più di Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze) – di
sostanze come alcool, anfetamina, caffeina, cannabis, cocaina, allucinogeni, sedativi, ipnotici,
ansiolitici, ecc.

I Farmaci Ansiolitici
Considerata l’elevata frequenza dei Disturbi d’Ansia e la pressoché ubiquitaria presenza dei
sintomi ansiosi nella maggior parte delle Sindromi psichiatriche, questa categoria di farmaci
assume un’importanza fondamentale.

Va considerato anche che le Benzodiazepine (BDZ), i più importanti farmaci ad azione


ansiolitica, sono anche i farmaci maggiormente impiegati nel trattamento dei Disturbi del
Sonno, e per questo sono sostanze molto prescritte e utilizzate, e talvolta anche abusate.

Essi sono anche i farmaci più impiegati nei tentativi autolesivi, nonostante la loro bassa
tossicità, che però aumenta drammaticamente se assunti insieme all’alcool o d altri
psicofarmaci (ricorda: aumento tossicità per effetto se sommati ad alcool e/o altri
psicofarmaci).

183
Classificazione
Le molecole ad azione ansiolitica e/o ipnoinducente comprendono:

1) Benzodiazepine
2) Azapironi
3) Imidazopiridine
4) Ciclopirroloni

Le Benzodiazepine

Le BDZ si possono classificare in base a:

1) struttura chimica, in:


a) cheto-BDZ: Desmetildiazepam, Diazepam
b) idrossi-BDZ: Lorazepam, Lormetazepam Oxazepam
c) nitro-BDZ: Flurinitrazepam, Nitrazepam
d) triazolo-BDZ: Adinazolam, Alprazolam, Triazolam
e) tieno-BDZ: Clotiazepam
2) emivita plasmatica91 , in base alla quale è possibile distinguere:
a) BZP a Emivita breve: Clotiazepam, Triazolam
b) BDZ a Emivita media: Alprazolam, Lorazepam, Lormetazepam, Oxazepam,
c) BDZ a emivita lunga: Clonazepam (inserito tra gli Stabilizzatori dell’Umore),
Diazepam, DesmetilDiazepam, Nitrazepam;
3) Il tipo di trasformazione metabolica e di eliminazione a cui va incontro la molecola; a
tal proposito è possibile distinguere:
a. un gruppo di BZP sottoposte a un processo di desmetilazione e idrossilazione
epatica (quindi a reazioni chimiche che portano all’introduzione, rispettivamente,
di gruppi Metilico -CH3 e Idrossile –OH in una molecola);
b. un gruppo di BZP comprende invece i composti che vengono eliminati senza subire
processo di idrossilazione e desmetilazione: si tratta principalmente di sostanze a
emivita media.

I due aspetti appena considerati – l’emivita e l’eliminazione – sono in effetti strettamente


collegati, perché i metaboliti attivi che originano dalla desmetilazione e dall’idrossilazione
possiedono un’emivita superiore a quella della molecola di base.

Nella prescrizione di un BDZ a un paziente anziano o affetto da epatopatia, bisognerà


privilegiare quindi, per evitare fenomeni di accumulo progressivo con relativo incremento
degli effetti collaterali, farmaci a emivita breve o media, che vengono cioè senza subire
reazioni di desmetilazione o idrossilazione.

Meccanismo di azione
Le BDZ svolgono il loro effetto ansiolitico grazie a un’azione di potenziamento della
trasmissione dei circuiti gabaergici, che aumenta l’azione del GABA.
91
L'emivita è un parametro che indica il tempo richiesto per ridurre del 50% la quantità di un farmaco nel sangue. Questo parametro dà , in
genere, un indice del perdurare dell'efficacia di un farmaco e influisce sulla posologia.

184
Il GABA (Acido Gamma-ammino-butirrico) è un neuromediatore che svolge un’azione
inibitoria sulle sinapsi noradrenergiche, serotoninergiche, dopaminergiche e
colinergiche:dice ai neuroni, su cui agisce, di rallentare gli impulsi nervosi o smettere di
generarli. Questo significa che il GABA ha un'influenza sedativa naturale sul cervello. In altre
parole, è un “tranquillante” ed ipnotico naturale dell’organismo. Questa azione naturale del
GABA è aumentata dalle Benzodiazepine, che generano così un'influenza inibitoria
supplementare (spesso eccessiva) sui neuroni (Fig. 1).

(1,2) L’impulso nervoso provoca il rilascio del GABA dal luogo di deposito del neurone 1

(3) Il GABA rilasciato nello spazio tra i neuroni

(4) Il GABA reagisce con i recettori del neurone 2; la reazione permette allo ione di cloro (Cl -) di entrare nel neurone

(5) Questo processo inibisce un ulteriore avanzamento dell’impulso nervoso

(6,7) Le Benzodiazepine reagiscono con i recettori del GABA amplificando il segnale del GABA (8) Questa azione aumenta gli
effetti inibitori del GABA, il comportamento dell’impulso nervoso può essere completamente bloccato

Il GABA trasmette il suo messaggio inibitorio attraverso un processo specifico: 

1) si lega e reagisce con speciali siti (GABA-recettori) ubicati sulla parte esterna del
neurone (ricevente l’impulso nervoso)
2) apre un canale, permettendo alle particelle con carica negativa (ioni di cloro) il
passaggio alla parte interna del neurone.
3) Questi ioni negativi "iperpolarizzano" il neurone, lo "sovraccaricano", rendendolo

185
meno sensibile a reagire con altri neurotrasmettitori, che in condizioni normali lo
ecciterebbero (essendo con una carica negativa).

Va innanzitutto ricordato che sono stati riconosciuti due tipi di recettori per il GABA:

1) Recettore GABA-A, associato al canale per il cloro (Cl-);


2) Recettore GABA-B, associato ai canali per il calcio (Ca++) e il potassio.

All’interno del meccanismo naturale prima esposto (Fig.1) le Benzodiazepine interagiscono


con loro siti speciali, “Recettori delle Benzodiazepine”, che sono situati all’interno dei recettori
del GABA, e che si differenziano in Omega1, Omega2, Omega3.

Il sito recettoriale per il GABA si trova, infatti, in un complesso recettoriale che comprende
anche il recettore per le BDZ.

L’azione combinata di una Benzodiazepina, in questo sito, potenzia l’azione del GABA,
permettendo che più ioni di cloro entrino nel neurone e lo rendano ancor più resistente
all'eccitazione; le BDZ cioè, legandosi coi loro recettori, favoriscono il legame del GABA con il
suo recettore, potenziano l’azione gabaergica, consentono quindi l’apertura dei canali per il
cloro e la conseguente riduzione dell’eccitabilità neuronale.

Tutte le benzodiazepine aumentano l’attività del GABA nel cervello.

Come conseguenza dell'incremento dell’attività inibitoria del GABA, causata dalle


benzodiazepine, diminuisce la produzione, da parte del cervello, dei neurotrasmettitori
eccitatori, che comprendono la norepinefrina (noradrenalina), la serotonina, l’acetilcolina e la
dopamina. Tali neurotrasmettitori eccitatori sono necessari per il normale stato di veglia e
reazione, la memoria, il tono e la coordinazione del muscolo, le risposte emozionali, il
controllo della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna ed una miriade di altre
funzioni, che possono essere alterate dalle benzodiazepine.  Altri recettori delle
benzodiazepine, non collegati al GABA, sono presenti nei reni, nel colon, e questi possono
anche essere influenzati da alcuni tipi di benzodiazepine.

Queste azioni dirette ed indirette sono responsabili degli effetti collaterali ben noti
dall’assunzione di benzodiazepine.

Effetti clinici

Le BDZ possiedono proprietà:

- ansiolitiche
- miorilassanti
- ipnoinducenti
- anticonvulsionanti
- sedative

Poste queste proprietà , le BDZ trovano indicazione in una serie molto ampie di turbe
psichiche:

- L’indicazione elettiva è quella dei Disturbi d’Ansia:

186
1) GAD
2) DAP, dove però controllano efficacemente l’ansia anticipatoria ma mene bene gli
episodi critici di panico
3) Agorafobia
4) Fobia Sociale
5) DOC, soprattutto nelle fasi di acuzie, anche in questo caso senza effetto specifico sui
sintomi ossessivo-compulsivi
- Importante è la loro applicazione anche in altre tipologie di turbe psichiatriche:
6) Disturbo d’Adattamento con Ansia
7) Stati ansiosi presenti nel decorso di molti Disturbi Psichiatrici:
a) Disturbi Somatoformi
b) Disturbi di Personalità
c) Disturbi Schizofrenici
8) Insonnia, visto la specifica attività ipnoinducente
9) Sindrome acuta o cronica da Astinenza Alcolica
10) Crisi Convulsive di grande male (epilessia) e loro prevenzione
11) Episodio Maniacale, in associazione con Neurolettici, che le BDZ possono
potenziare, o con i Sali di Litio.
12) Profilassi della Mania e dei Disturbi dell’Umore Bipolari
13) Controllo dell’agitazione nei pazienti schizofrenici (anche in questo caso
l’effetto dei neurolettici potrà essere potenziato dalle BDZ, consentendo una
diminuzione delle dosi del farmaco antipsicotico)

Effetti collaterali e controindicazioni


In generale le BDZ costituiscono una categoria di psicofarmaci maneggevoli e ben tollerati;
questo, se da una parte li rende agenti terapeutici abbastanza sicuri, dall’altra ha però favorito
usi impropri e ingiustificatamente prolungati. Sovente si ricorre a tale tipologia di farmaco più
che per la presenza di un disturbo psichico, per attenuare stati di disagio emotivo, malessere,
tensione e nervosismo, evitando di attingere, quando possibile, a risorse interiori o di
promuovere aggiustamenti della propria situazione socio-relazionale ed affettiva.

 Alle dosi terapeutiche gli effetti collaterali sono poco rilevanti e, se presenti, consistono in:

- sedazione, di solito lieve


- astenia o debolezza muscolare, dovuta all’effetto miorilassante
- sonnolenza
- diminuzione della concentrazione

A dosaggi più elevati si possono riscontrare, non frequentemente, vertigini, disartria e cefalea.

Rare sono anche le condizioni di comportamenti violenti, specialmente in soggetti che già in
precedenza avevano manifestato condotte aggressive e grave instabilità emozionale: le BDZ
infatti non sono farmaci utili nel controllo dell’aggressività , ma anzi possono favorirne
l’espressione, per via del loro effetto di attenuazione sulla risonanza affettiva nei confronti del
proposito e dell’agito aggressivo, che solitamente modula l’aggressività stessa.

187
 Nell’anziano gli effetti collaterali possono essere più frequenti e intensi; per tale ragione i
dosaggi vanno adattati alla condizione generale e al metabolismo senile. Nell’anziano si
possono verificare:

- stati confusionali o di disorientamento


- amnesia anterograde transitorie
Da qui la necessità di utilizzare BDZ a emivita media-breve, evitando fenomeni di accumulo
che in questa fascia di età si verificano più facilmente.

Per queste ragioni, nella pratica clinica, si preferisce, a volte, per il controllo dell’ansia o
dell’irrequietezza dell’anziano, il ricorso a Neurolettici a basse dosi.

 La Dipendenza fisica è il più serio dei problemi legati all’uso delle BDZ, specie se utilizzate
a elevati dosaggio e/o per lungo tempo e poi bruscamente interrotte. Possono allora
manifestarsi sintomi anche gravi come:

- iperpiressia
- crisi convulsive
- tachicardia
- aumento della pressione arteriosa
- crampi muscolari
- tremori
- nausea
- ansia
- insonnia
- attacchi di panico
- difficoltà di memoria e di concentrazione
- nei casi estremi, sintomi psicotici e rischio di vita

I sintomi dell’astinenza – di tipo disforico-irritativo e di ipersensibilità agli stimoli esterni -


possono avere inizio anche 24 ore dopo la sospensione (l’intervallo di tempo fra l’interruzione
della terapia e la comparsa dei sintomi è maggiore per le BDZ a emivita più lunga) e possono
anche durare alcune settimane o, più raramente, mesi. I sintomi dell’astinenza regrediscono
prontamente con la riassunzione del farmaco. Tra i farmaci più efficaci nel controllo della
sintomatologia astinenziale da BDZ ricordiamo la Carbamazepina e il Valproato.

La sospensione di queste sostanze può anche determinare sintomi di rebound, legati cioè al
riemergere della sintomatologia ansiosa per la quale era stata instaurato il trattamento
benzodiazepinico.

Ovviamente, come ogni altro agente farmacologico, la terapia con BDZ dovrebbe essere
condotta alle più basse dosi efficaci e per il minor periodo possibile, e la sospensione
dovrebbe avvenire sempre con molta prudenza (con una diminuzione del dosaggio di circa il
10% ogni settimana).

 Altre precauzioni nell’uso delle BDZ riguardano, oltre al paziente anziano, anche gli
epatopatici.

188
 Da ricordare, infine, che le BDZ possono diminuire la tolleranza all’alcool e potenziarne gli
effetti di depressione cardiorespiratoria; analoghe le reazioni con antistaminici e gli
antidepressivi.

ALTRI ANSIOLITICI E IPNOINDUCENTI NON BENZODIAZEPINICI


Azapironi

Fanno parte di questo gruppo il Buspirone, il Gepirone e l’Ipsapirone.

Si tratta di sostanze che svolgono fondamentalmenteun’azione di tipo serotoninergico,


come agonisti degli recettori 5-HT1A.

La comparsa dell’effetto ansiolitico è piuttosto lenta e richiede dai 15 ai 30 giorni per


manifestarsi pienamente. Questa caratteristica limita l’impiego di tali sostanze nelle
condizioni di transitoria ansietà , per le quali è sufficiente un intervento terapeutico breve, o
quando le condizioni cliniche richiedono un rapido effetto ansiolitico.

Questi farmaci, soprattutto il Buspirone, sembrano invece indicati nel trattamento del GAD,
Disturbo d’Ansia in cui l’ansia assume spesso configurazione cronica e persistente.

I vantaggi di queste molecole, rispetto alle BDZ sono:

- possiedono una più selettiva azione ansiolitica, non avendo infatti né attività
anticonvulsionante, né attività miorilassante
- non determinano né tolleranza, né assuefazione né dipendenza
- non hanno effetti di sommazione con l’alcool
- non interferiscono con le funzioni psicomotorie e cognitive
- non deprimono i centri respiratori , e possono quindi essere utilizzati anche da
paziente defedati e anziani
- sono particolarmente indicati per il trattamento dei Disturbi d’Ansia di:
a. soggetti per i quali la diminuzione delle performance cognitive e psicomotorie
potrebbero risultate pericolose (anziani e demenze)
b. pazienti con storie di abuso di alcool e droghe

Inoltre, il Buspirone sembra potenziare gli effetti antiossessivi e antidepressivi degli


Antidepressivi Serotoninergici, quali, Fluoxetina, Fluvoxamina, Paroxetina e Sertralina.

Gli effetti collaterali sono rappresentati da:

- lieve sedazione
- raramente, cefalea, nervosismo, vertigini, parestesia
In dosi elevate queste molecole, soprattutto il Buspirone e il Gepirone mostrano un effetto
di tipo antidepressivo.

Vanno segnalati infine l’aumento dei livelli plasmatici delle BDZ e dei Neurolettici quando
usati in associazione con questi farmaci e ciò spiega l’aumento degli effetti collaterali dei
Neurolettici se somministrati assieme al Buspirone.

189
Per altro, l’associazione Buspirone-Neurolettici, con diminuzione delle dosi di questi ultimi,
sembra indicati nei quadri psicotici con sintomi quali agitazione, aggressività e
comportamento antisociale, dal momento che questi sintomi rispondono favorevolmente al
Buspirone.

Imidazopiridine
Comprendono lo Zolpidem e l’Alpidem.

Le Imidazopiridine, a differenza degli Azapironi, si legano al complesso recettoriale BDZ-


GABA (Agonisti BDZ-GABA), infatti hanno una buona azione sul GAD. Non determinano
tolleranza né dipendenza. Buona anche la risposta negli anziani, nei quali il farmaco in
questione non influenza le funzioni cognitive né la psicomotricità .

Ciclopirroloni
Fanno parte di questo gruppi nuovi composti come lo Zopiclone e il Suriclone.

Anche queste sostanze si legano al complesso recettoriale BDZ-GABA.

Rivelano una buona tollerabilità e i principali effetti collaterali sono rappresentati da:

- xerostomia con sapore amaro in bocca


- palpitazioni
- dispnea
- tremori
- brividi
- sudorazione

Qualche cautela nel loro impiego va riservata nei casi di insufficienza respiratoria, epatopatia
e negli anziani, più suscettibili agli effetti collaterali.

Nuovi farmaci ansiolitici


Molte molecole, appartenenti a differenti categorie chimiche e dotate di meccanismi di azione
molto vari, hanno rivelato un ruolo come agenti ansiolitici.

Una serie di interessanti evidenze stanno emergendo dalle ricerche cliniche sull’impiego di
farmaci serotoninergici SSRI nel trattamento dei Disturbi d’Ansia. Tra questi:

- la Fluoxetina ha dimostrato un significativo effetto terapeutico nel DOC e nel DAP e


potenzialmente anche nella Fobia Sociale.
- La Fluvoxamina sembra possedere un’azione ancora più specifica come farmaco
antiossessivo e una certa efficacia anche nel DAP.
- La Sertralina allo stesso modo.

190
Altri farmaci svolgono un’azione di agonista dei recettori serotoninergici 5-HT1, simile a
quella degli Azapironi Buspirone e Gepirone, ed evidenziano, per questo, una buona efficacia
clinica nel trattamento del GAD.

Inoltre alcuni Antidepressivi sembra possano aprire nuovi orizzonti nella terapia
farmacologica dei Disturbi d’Ansia. Tra questi:

- gli inibitori del reuptake della serotonina, noradrenalina e dopamina


- gli inibitori reversibili delle MAO-A
- i farmaci antagonisti sui recettori 2 adrenergici e su gli autorecettori serotoninergici
(triciclici)

17. DISTURBI SOMATOFORMI


Oggi SINTOMI SOMATICI E DISTURBI CORRELATI.

All’interno di questa classe di Disturbi troviamo quadri clinici nei quali il disagio mentale
viene espresso in modo esclusivo e/o prevalente attraverso sintomi fisici.

Infatti, la caratteristica comune dei Disturbi Somatoformi è la presenza di sintomi fisici,


somatici, che fanno pensare ad una condizione medica generale - da cui il termine
somatoforme - e che, invece:

1) non sono invece giustificati da una condizione medica generale, e quindi da una
patologia organica (hanno quindi un’eziologia psicogena)
2) non sono giustificati dagli effetti diretti di una sostanza, o da un altro disturbo mentale
(per es. il Disturbo di Panico)
3) non sono prodotti volontariamente dal paziente, come accade nei Disturbi Fittizi
4) provocano un intenso disagio psichico

Peranto, per fare diagnosi di Disturbo Somatoforme è necessario che:

- Sia esclusa la presenza di una patologia medica sottostante;


- Anche se esiste una condizione medica correlabile, l’intensità dei sintomi non risulti ad
essa proporzionata;
- Non esistano dimostrabili meccanismi fisiopatologici capaci di spiegare la
sintomatologia stessa;
- La sintomatologia si possa spiegare attraverso spiegazioni di natura psicologica

A partire dall’ultimo punto in elenco, è possibile sottolineare che in tutti i Disturbi


Somatoformi si realizza il processo di somatizzazione, definito come la “tendenza ad
esperire o comunicare condizioni o contenuti psicologici attraverso sensazioni corporee,
modificazioni funzionali o metafore somatiche” (attraverso la dimensione corporea).

E’ inoltre opportuno ricordare che I Disturbi di Conversione e Somatizzazione, assieme ai


DisturbiDissociativi, costituiscono il quadro psicopatologico della “vecchia” Isteria.

Nel DSM-IV-TR I Disturbi Somatoformi vengono così classificati:

191
1) Disturbo di Somatizzazione

2) Disturbo Somatoforme Indifferenziato

3) Disturbo di Conversione

4) Disturbo Algico

5) Ipocondria;

6) Disturbo di Dismorfismo Corporeo (ora nel <<DOC e Disturbi Correlati>>)

7) Disturbi Somatoformi Non Altrimenti Specificati

DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE
Nella pratica clinica si osservano spesso sintomi fisici senza un meccanismo fisiopatologico
noto.

Epidemiologia
Non è facile stimare la prevalenza di questa patologia nella popolazione.

Si pensa che rientri in questo quadro circa il 5% degli utenti degli Ambulatori di Medicina
Generale.

L’Età di insorgenza è inferiore ai 30 anni.

Il Disturbo di Somatizzazione è più frequente nella popolazione femminile, dove raggiunge


un tasso di Prevalenza del 2%.

Forte è inoltre la tendenza alla familiarità, con una percentuale di diffusione del Disturbo del
10-20% nei parenti di primo grado di sesso femminile.

Eziopatogenesi
La forte tendenza alla familiarità del disturbo fa pensare a una possibile predisposizione di
ordine genetico, anche se, è bene precisare, questo rimane un dato alquanto vago.

Il Disturbo può essere correlato a:

1) Sviluppo infantile all’interno di una famiglia con soggetti tendenti alla somatizzazione;
2) Relazione con genitori capaci di accudimento affettivo soltanto durante gli stati di
malattia;
3) Un’alta percentuale di soggetti con questo disturbo presenta Alexitimia, cioè
l’incapacità di esprimere con le parole le emozioni esperite. Secondo alcuni studiosi
questa corrispondenza è determinata da difetti neurofisiologici di connessione tra
sistema limbico e neocorteccia.
Non è comunque ancora chiaro il rapporto tra Alexitimia e Somatizzazione, in quanto
l’una può essere fattore di predisposizione all’altra oppure soltanto epifenomeno.

192
- Fattori psicodinamici, ovvero un’assenza nei primi anni di vita di una relazione
sufficientemente empatica con la figura materna non consente al soggetto di
sviluppare una sana e adattiva capacità di mentalizzazione, e per questo tenderà ad
esperire le proprie emozioni attraverso il corpo.

Quadro clinico
Si evidenziano ricorrenti disturbi somatici, a carattere doloroso, variamente localizzati,
espressi in modo vago, drammatico, esagerato e carico dal punto di vista emotivo.

Il decorso è cronico, la sintomatologia conduce ad abuso di farmaci e malattie iatrogene; il


quadro è sovrapponibile in gran parte alla “vecchia” Sindrome di Briquet, forma particolare di
isteria caratterizzata da molteplici sintomi somatici inspiegabili ad andamento cronico.

I pazienti hanno quindi complicate storie mediche e, soventemente, si recano dallo psichiatra
con numerosi referti e cartelle, e dopo una serie di contatti con sanitari.E’ tipico del Disturbo
l’inutile girovagare tra specialisti vari per sottoporsi a vari accertamenti di laboratorio.

La comparsa del Disturbo può essere fatta risalire all’età giovanile, e specificamente in seguito
a un evento traumatico.

Il disturbo può interessare qualsiasi organo o apparato, ed è caratteristico il fatto che nel
tempo non si evidenzi alcun deterioramento funzionale.

Frequente è la Comorbidità:

- in Asse I con i Disturbi dell’Umore e Disturbi d’Ansia


- in Asse II con i Disturbi di personalità soprattutto:
a) Istrionico, che porta a un’espressione teatrale ed esagerata dei sintomi e un
bisogno di attirare su di sé l’attenzione dell’ambiente
b) Passivo-Dipendente, in cui il bisogno di accudimento è soddisfatto dalle occasioni
relazionali offerte dal ruolo di malato.

Si ha quasi sempre una compromissione sociale e lavorativa. Inoltre, si rilevano spesso


tentativi di suicidio.

Diagnosi
Secondo il DSM-IV-TR i criteri diagnostici per il Disturbo da Somatizzazione sono:

A. Una storia di molteplici (se sono solo 1 o 2 si parla di <<Disturbo Somatoforme


Indifferenziato>>) lamentele fisiche, il cui esordio può essere fatto risalire a prima
dei 30 anni, reiterate per diversi anni, che conducono alla ricerca di trattamento e
portano a significative menomazioni nel funzionamentosociale, lavorativo, o in
altre aree importanti.
B. Tutti i criteri seguenti debbono essere riscontrabili, nel senso che i seguenti
sintomi debbono comparire in qualche momento nel corso delle varie fasi del disturbo:
1) quattro sintomi dolorosi in differenti distretti: una storia di dolore riferita ad
almeno quattro localizzazioni o funzioni, come per es. testa (cefalea), addome,
schiena, articolazioni, arti, torace, retto, dolori mestruali, dolore nel rapporto
sessuale o durante la minzione;

193
2) due sintomi a carico dell’apparato gastro-intestinale: una storia di almeno due
sintomi gastro-intestinali (per es. nausea, meteorismo, vomito al di fuori della
gravidanza, diarrea, oppure intolleranza a numerosi cibi diversi);
3) un sintomo a carico dell’apparato genito-urinario: una storia di almeno un
sintomo sessuale o riproduttivo in aggiunta al dolore (per es. indifferenza sessuale,
disfunzioni dell’erezione o della eiaculazione, cicli mestruali irregolari, eccessivo
sanguinamento mestruale);
4) un sintomo pseudo-neurologico (o di conversione): una storia di almeno un
sintomo o deficit che fa pensare ad una condizione neurologica non limitata al
dolore (sintomi di conversione, come alterazioni della coordinazione o
dell’equilibrio, paralisi o ipostenia 92 localizzate, difficoltà a deglutire o nodo alla
gola, mancamenti, afonia93, ritenzione urinaria, allucinazioni, perdita della
sensibilità tattile o dolorifica, diplopia 94, cecità , sordità , convulsioni, sintomi
dissociativi come amnesia, oppure perdita di coscienza).
C. L’uno o l’altrodi 1) e 2):
1) dopo le appropriate indagini, ciascuno dei sintomi del Criterio B non può essere
esaurientemente spiegato con una condizione medica generale conosciuta o con gli
effetti diretti di una sostanza psicotropa (per es. una droga di abuso, o un
medicinale);
2) in presenza di una condizione medica generale collegata, le lamentele fisiche o la
menomazione sociale o lavorativa che ne deriva risultano sproporzionate.
D. I sintominon sono prodotti intenzionalmente o simulati(come nel Disturbo Fittizio
o nella Simulazione).

Dal momento che spesso i pazienti con un quadro di Disturbi Somatici non soddisfano tutti i
criteri diagnostici indicati, si utilizzata la diagnosi di “Disturbo Somatoforme
Indifferenziato”.

La Diagnosi differenziale va posta con:

- Condizioni mediche generali;


- Schizofrenia (possibile doppia diagnosi);
- Disturbi dell’Umore e d’Ansia (possibile doppia diagnosi);
- Altri disturbi somatoformi;
- Disturbo Fittizio con Segni e Sintomi Fisici Predominanti
- Simulazione

Terapia
Devono essere approfonditi tutti gli aspetti della storia clinica.

Possono essere somministrate interviste strutturate per la valutazione dei Disturbi


Somatoformi, come quelle messe a punto dall’OMS, la CISSD-SDS o la CIDI, che utilizzano i
criteri diagnostici dell’ICD10 e del DSM-III-R.

92
ipostenia Diminuzione della forza muscolare che soggettivamente si manifesta con affaticabilità e debolezza di tutti i muscoli del corpo o
di un solo distretto.
93
L'afonia è un disturbo, temporaneo o permanente, caratterizzato dall'incapacità totale di produrre suoni con la voce
94
Per diplopìa si intende la visione doppia

194
Occorre ridurre allo stretto indispensabile la somministrazione di farmaci, specie per quelle
classi per le quali c’è il rischio di abuso e dipendenza, come le benzodiazepine e gli analgesici.

La compresenza di ansia e depressione deve essere trattata con ansiolitici e antidepressivi.

Le Benzamidi Sostituite, in particolare la Levo-sulpiride a basso dosaggio, possono essere


considerate il farmaco di riferimento.

DISTURBO SOMATOFORME INDIFFERENZIATO


I criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR per il Disturbo Somatoforme Indifferenziato
sono:

A) Una o più lamentele fisiche (per esempio, stanchezza, perdita di peso, problemi
gastro-intestinali o urinari) – e non 4+2+1+1 come nel <<Disturbo di
Somatizzazione>>
B) L’uno o l’altro di 1) e 2):
1) dopo le appropriate indagini, i sintomi non possono essere pienamente spiegati con
una condizione medica generale conosciuta, o con gli effetti diretti di una sostanza
(per es. una droga di abuso o un medicinale);
2) quando vi è una condizione medica generale collegata, le lamentele fisiche o la
menomazione sociale o lavorativa conseguente sono sproporzionate.
C) I sintomi causano disagio clinicamente significativo o menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo o in altre importanti aree.
D) La durata del disturbo è di almeno 6 mesi.
E) L’alterazione non risulta meglio spiegabile con un altro disturbo mentale, come per
esempio:
1) un altro Disturbo Somatoforme
2) Disfunzione Sessuale
3) Disturbo dell’Umore
4) Disturbo d’Ansia
5) Disturbo del Sonno
6) Disturbo Psicotico.
F) I sintomi non sono prodotti o simulati intenzionalmente (come nel Disturbo Fittizio o
nella Simulazione).

Epidemiologia
E’ più frequente nella popolazione femminile.

E’ più frequente in caso di basso livello socio-economico di appartenenza.

Quadro clinico
Da un punto di vista clinico, nel Disturbo Somatoforme Indifferenziato i sintomi vengono
spesso riferiti come “stanchezza”e“debolezza”e non configurano una vera e propria
condizione psicopatologicané in maniera completa uno degli altri disturbi somatoformi.

195
I sintomi costituiscono un “mezzo inconscio” per comunicare i propri disagi in maniera non
verbale, ma compromettono il funzionamento sociale e lavorativo del soggetto.

Diagnosi differenziale
Va posta con:

- Disturbo di Somatizzazione
- Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato (quando i sintomi hanno durata
inferiore ai 6 mesi)
- Disturbo dell’Umore
- Disturbo d’Ansia
- Disturbo dell’Adattamento
- Disturbi Psicotici
- Disturbo Fittizio
- Simulazione.

DISTURBO DI CONVERSIONE
I criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR per il Disturbo di Conversione sono:

A) Uno o più sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o sensitive di


qualche distretto corporeo, che suggeriscono una condizione neurologica o medica
generale.
B) Si valutache qualche fattore psicologico sia associato col sintomo o col deficit, in
quanto l’esordio o l’esacerbazione del sintomo o del deficit è preceduto da qualche
conflitto o altro tipo di fattore stressante.
C) Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato (come nei Disturbi
Fittizi o nella Simulazione).
D) Il sintomo o deficit non può , dopo le appropriate indagini, essere pienamente spiegato
con una condizione medica generale, o con gli effetti diretti di una sostanza
E) Il sintomo o deficit causa disagio clinicamente significativo, o menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti, oppure richiede
attenzione medica.
1) Il sintomo o il deficit non sono meglio spiegabili con qualche altro disturbo
mentale.

Codificare tipo di sintomo o deficit:

.4 Con Sintomi o Deficit Motori

.5 Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni

.6 Con Sintomi o Deficit Sensitivi

.7 Con Sintomatologia Mista.

196
Quadro clinico
E’ quindi caratterizzato dalla perdita o dalla compromissione del funzionamento motorio o
sensoriale di qualche distretto corporeo in assenza di deficit obiettivabile dell’apparato
neuro-muscolare.

La sintomatologia riproduce un danno neurologico.

Il Disturbo di Conversione e il Disturbo di Somatizzazione hanno una comune origine


nosografica nell’Isteria.

Tale patologia era già nota ai tempi di Ippocrate, il quale pensava che fosse provocata dallo
spostamento dell’utero nella cavità addominale, e per questo ad esclusivo appannaggio delle
donne (etimologicamente hysteria in greco significa “utero”).

Nel 19°secolo fu definita come Sindrome di Briquet, una patologia cronica con disturbi fisici a
carico di vari organi ed apparati, privi eziopatogenesi nota.

Fu Freud a coniare il termine di Conversione, per spiegare il “misterioso salto dallo psichico
al somatico”. Con il termine Conversione, Freud definiva un meccanismo psichico per il quale
un evento stressante represso determinava angoscia che si convertiva in sintomo somatico:
nella Conversione cioè la formazione di sintomi fisici consiste nel “trasferire sul corpo pulsioni
o istinti, desideri o affetti inaccettabili, e per questo rimossi e resi inconsci, attraverso vie
nervose motorie volontarie o sensitive”. Secondo tale ipotesi esiste un legame simbolico tra
il contenuto rimosso (desiderio-pulsione) e il contenuto manifesto, ovvero il sintomo
(Esempio: paralisi motoria  inibizione azione aggressiva; cecità  rifiuto di “vedere” la
realtà ), e quest’ultimo rappresenta una parziale soluzione del conflitto intrapsichico.

La somatizzazione, secondo Freud ha consente la soddisfazione metaforica/simbolica,


attraverso il soma, di pulsioni libidico-aggressive conflittuali e rimosse, e la possibilità
diattirare l’attenzione su di sé.

Il Disturbo di Conversione rappresenta quindi la “vecchia” Nevrosi Isterica di Freud.

Le recenti revisioni nosografiche operate nei vari DSM hanno diviso l’Isteria in più quadri
clinici autonomi:

1. Disturbo di Somatizzazione con vari sintomi fisici


2. Disturbo di Conversione con sintomi neurologici
3. Disturbo Algico, dominato da tale sintomo
4. Disturbi Dissociativi, un tempo definiti Isteria d’Angoscia.

Epidemiologia
Il Disturbo di Conversione è in calo rispetto al secolo scorso.

Il Disturbo è più frequente nelle donne, con un rapporto F/M va da 2:1 a 5:1.

Il Disturbo è più frequente negli ambienti a basso livello socio-culturale e nelle popolazioni
latine (importanza dei fattori etnico-culturali); si manifesta più spesso in età adolescenziale.

197
Quadro clinico
I quadri pseudo neurologici di più frequente osservazione sono:

- le crisi comiziali
- le paralisi complete o parziali degli arti
- le turbe della coordinazione
- i disturbi della vista (cecità , diploplia95, ecc)
- afonia
- turbe della sensibilità cutanea, dalle parestesie all’analgesia

Non vi è corrispondenza tra la dimensione anatomica/organica del paziente e i sintomi


da lui lamentati ( esempio: paralisi senza alterazioni all’esame obiettivo neurologico e agli
esami funzionali, senza deficit o segni di degenerazione all’EMG96; sordità senza deficit
audiometrici, ecc.).

Caratteristica è la discrepanza tra la drammaticità del racconto del paziente ed il suo


atteggiamento improntato alla indifferenza e alla poca preoccupazione rispetto alla gravità e
alla drammaticità dei sintomi che presenta (“Belle Indiffèrence” di Janet).

I sintomi sono di solito transitori, non sono prodotti intenzionalmente, ma generalmente


provocano qualche vantaggio secondario al paziente (come ad esempio quello di catturare
l’attenzione altrui).

Decorso
E’ possibile distinguere:

1) Decorso Acuto, di breve durata, che quasi sempre va in remissione nel giro di 2
settimane e presenta una percentuale di recidiva del 20-25% dei casi ad 1 anno.
Si parla di “crisi isterica”.
2) Subacuto, con eventuale cronicizzazione (10%).

Prognosi
Fattori prognostici positivi sono:

1) esordio acuto per eventi stressanti identificabili


2) intervallo breve tra esordio e instaurazione del trattamento

Diagnosi differenziale
Va posta con:

95
Per diplopìa si intende la visione doppia, in senso orizzontale o verticale, di uno stesso oggetto
96
Elettromiografia

198
- Condizione occulta di tipo neurologico-medico (grande attenzione va posta alla
diagnosi differenziale con i deficit neurologici occulti) o legata all’assunzione di
sostanze (farmaci compresi);
- Disturbo Algico
- Disturbo di Dismorfismo Corporeo
- Disfunzioni Sessuali
- Disturbo di Somatizzazione
- Disturbi Psicotici
- Disturbi dell’Umore
- DAP
- Disturbi Dissociativi (spesso vanno in doppia diagnosi)
- Disturbo Fittizio e Simulazione

Terapia
E’ indicato un approccio psicoterapico.

DISTURBO ALGICO
I criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR per il Disturbo Algico sono:

A) Il dolore continuo in uno o più distretti anatomici rappresenta l’elemento


principale del quadro clinico.
B) Il dolore causa malessere clinicamente significativo oppure menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo o in altre importanti aree.
C) Si valuta che qualche fattore psicologico abbia un ruolo importante nell’esordio,
gravità , esacerbazione o mantenimento del dolore.
D) Il sintomo o deficit non viene intenzionalmente prodotto o simulato (come nei
Disturbi Fittizi o nella Simulazione).
E) Il dolore non è meglio attribuibile a un Disturbo dell’Umore, d’Ansia, o Psicotico e
non incontra i criteri per la Dispareunia97, o una Condizione Medica Generale.

Il DSM-IV-TR distingueva 3 tipi di Disturbo Algico.

Specificare il tipo:

-Disturbo Algico Associato con Fattori Psicologici [307.80]: si giudica che qualche fattore
psicologico abbia il ruolo principale nell’esordio, gravità , esacerbazione o mantenimento del
dolore (se è presente una condizione medica generale, essa non ha un ruolo predominante
nell’esordio, gravità , esacerbazione o mantenimento del dolore).

97
La dispareunia (dal greco, dys, cattivo, e pareunos, che giace accanto) è un dolore che la donna avverte nell'area della vagina o della pelvi
durante un rapporto sessuale.

199
-Disturbo Algico Associato con Fattori Psicologici e con una Condizione Medica
Generale [307.89]: si valuta che sia i fattori psicologici, sia una condizione medica generale,
abbiano ruoli importanti nell’esordio, gravità , esacerbazione o mantenimento del dolore.

Specificare se:

Acuto: durata inferiore ai 6 mesi

Cronico: durata di 6 mesi o più

Nota bene: quello che segue non è considerato un disturbo mentale, ed è stato riportato per
facilitare la diagnosi differenziale; veniva incluso nell’Asse III.

-Disturbo Algico Associato con una Condizione Medica Generale: una condizione medica
generale ha un ruolo importante nell’esordio, gravità , esacerbazione o mantenimento del
dolore. (Se sono presenti fattori psicologici, si valuta che essi non abbiano un ruolo
importante nell’esordio, gravità , esacerbazione o mantenimento del dolore).

Epidemiologia
Il Disturbo è più frequente nella popolazione femminile tra i 40-50 anni;

Nel Disturbo Algico è possibile riscontrare una comorbidità e una familiarità con Disturbi
Dell’umore o comunque con sintomi di tipo depressivo.

Tratti di personalità premorbosa sono 1) sentimenti di fallimento, pessimismo, convinzione di


non meritare niente di positivo (ideazione depressiva); 2) masochismo.

Eziologia
 Fattori psicologici: in senso psicologico il Disturbo può essere spiegato a partire da ragioni
di ordine:

1)intrapsichico, consentendo la rimozione del conflitto tra istanze dell’Es e opposizione del
Super-Io e della realtà esterna

2) relazionale, consentendo di mantenere un controllo sull’ambiente esterno

3) familiare, come epifenomeno delle dinamiche familiari.

 Fattori neurochimici: la riduzione della serotonina(come nella Depressione) e delle


endorfine causano una amplificazione degli stimoli sensoriali dolorifici

Quadro clinico
Il Disturbo è caratterizzato da un dolore continuo senza variazioni nell’arco della giornata,
con localizzazione vasta e mal definita e non rispondente alle terapie analgesiche, e per questo
in grado di determinare una significativa compromissione delle relazioni interpersonali e del
rendimento lavorativo.

200
Diagnosi Differenziale
Va posta con:

- Disturbo di Somatizzazione
- Dispaurenia (se il dolore è collegato solamente ai rapporti sessuali non si fa diagnosi di
Disturbo Algico)
- Disturbo di Conversione
- Disturbo dell’Umore
- Disturbo d’Ansia
- Disturbi Psicotici
- Disturbo Fittizio e Simulazione

IPOCONDRIA
I criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR l’Ipocondria sono:

A) Preoccupazione legata alla paura o alla convinzione di avere una malattia grave,
basate sulla erronea interpretazione di sintomi somatici da parte del soggetto.
B) La preoccupazione persiste nonostante la valutazione e la rassicurazione medica
appropriate.
C) La convinzione di cui al Criterio A:
1) Non risulta di intensità delirante (quindi è mantenuta una capacità critica),
come nel Disturbo Delirante di Tipo Somatico (v. <<Disturbo Delirante Psicotico>>)
2) non è limitata a una preoccupazione circoscritta all’aspetto fisico, come nel
Disturbo di Dismorfismo Corporeo
D) La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione
nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
E) La durata dell’alterazione è di almeno 6 mesi.
F) La preoccupazione non è meglio attribuibile a Disturbo d’Ansia Generalizzato,
Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con
Agorafobia), Episodio Depressivo Maggiore, Ansia di Separazione, o un altro Disturbo
Somatoforme.

Specificare se:

Con Scarso Insight: se, per la maggior parte del tempo durante l’episodio in atto, la persona
non è in grado di riconoscere che la preoccupazione di avere una malattia grave è eccessiva o
irragionevole

Epidemiologia
Il tasso di Prevalenza sarebbe circa il 10% dei pazienti che frequentano abitualmente gli
ambulatori dei medici di base.

201
La Frequenza è uguale nei due sessi.

Per quanto riguarda il periodo di insorgenza, abbiamo 2 picchi di prevalenza: 1) tra i 30 e i


40 anni; 2) negli anziani.

NB: Il decorso cronico, anche se con periodi di remissione di diversa durata, espone il
soggetto ad un forte rischio iatrogeno (polifarmacoterapia, pericolose indagini strumentali,
interventi chirurgici) e di sottostima di una patologia organica di recente insorgenza.

Eziopatogenesi
Nell’ottica psicodinamica l’Ipocondria va ricollegata allo spostamento sul proprio corpo di
impulsi aggressivi e/o ostili repressi.

Quadro clinico
L’Ipocondria è caratterizzata, come visto, da una irreale convinzione o dall’eccessiva
preoccupazione di avere una malattia grave ed a prognosi rapidamente infausta, riguardante
qualunque organo o apparato, e specificamente:

- neoplasie
- aneurismi cerebrali
- disturbi cardiaci (preoccupazione di avere un infarto)
- disturbi gastro-intestinali
- AIDS

Tuttavia, però , questa convinzione e/o eccessiva preoccupazione, dura per almeno 6 mesi,
nonostante sia accompagnata da un’assenza di riscontri di patologie organiche, attraverso le
indagini funzionali e di laboratorio, e dalle rassicurazioni dei sanitari.
Anche se è presente una patologia organica i sintomi manifestati sono sproporzionati
rispetto a questa, e persiste la convinzione di avere “una grave malattia che nessuno riesce
a diagnosticare”. Questa forte convinzione è accompagnata, nel vissuto del paziente, da una
certa irritazione circa ipotesi di natura psicogena (“non sono matto”).

La convinzione non ha l’intensità di un delirio e non si hanno alterazioni dello schema


corporeo (come nel caso del Disturbo di Dismorfismo Corporeo).

L’ipocondria, come sintomo isolato, è spesso:

1) Associata temporaneamente a stress esistenziali (es: incidenti, indagini diagnostiche


prolungate, etc., e in questi casi dura quasi sempre meno di 6 mesi, ed è quindi
temporanea);
2) associata ad altri Disturbi psichiatrici come il Disturbo Depressivo Maggiore, la
Schizofrenia, il Disturbo d’Ansia

Si caratterizza per un progressivo e cronico deterioramento di affetti, interessi, vita


relazionale e lavoro: la vita è scandita solamente dalla preoccupazione per la malattia.

202
La malattia provoca una grave alterazione dell’adattamento socio-lavorativo.

Il decorso è cronico, pur in presenza di fasi di remissione.

Diagnosi differenziale
Va posta con:

1) malattie organiche, e quindi una condizione medica generale, ad esordio sfumato,


come ad esempio sclerosi multipla, tumori, ipo- o iper-tiroidismo, che nelle loro
manifestazioni iniziali danno motivate preoccupazioni.
2) Sintomi somatici nei bambini
3) Preoccupazioni realistiche e motivate per la salute in età senile
4) GAD, DOC e Fobia specifica di malattia
5) Depressione, dove è presente apatia, abulia e rallentamento ideomotorio
6) Disturbo di Dismorfismo Corporeo, in cui la preoccupazione è legata all’aspetto fisico
7) Disturbi psicotici, dove le preoccupazioni raggiungono un’intensità delirante e viene
alterata la capacità di critica
8) Disturbi Fittizi e Simulazione in cui sono evidenziabili i vantaggi secondari e i sintomi
sono sotto il controllo della volontà .

Terapia
E’ indicata una Psicoterapia Dinamica Introspettiva che tenda a individuare l’aspetto
simbolico del sintomo.

Qualora non sia possibile, si può proporre una terapia farmacologica, per brevi periodi, con
BZD a basso dosaggio e Antidepressivi che agiscano su Ansia e Depressione qualora presenti
in modo rilevante.

DISTURBO DA DISMORFISMO CORPOREO


Oggi inserito in DOC E DISTURBI CORRELATI.

I criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR il Disturbo da Dismorfismo Corporeo sono:

A) Preoccupazione per un supposto difetto nell’aspetto fisico. Se è presente una piccola


anomalia, l’importanza che la persona le dà è di gran lunga eccessiva.
B) La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione
nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
C) La preoccupazione non risulta meglio attribuibile ad un altro disturbo mentale,
come ad esempio all’insoddisfazione riguardante la forma, le misure e il peso corporei
nella Anoressia Nervosa.

Epidemiologia

203
E’ difficile una stima realistica, anche perché questi soggetti si recano dai dermatologi e dai
chirurghi estetici.

E’ verosimile ipotizzare un aumento dell’incidenza del Disturbo negli ultimi anni, in


relazione all’aumentata importanza culturale che riveste l’aspetto estetico.

Il Disturbo è più frequente negli adolescenti e nei giovani adulti e ha un secondo picco dopo
i cinquanta anni.

L’esordio può essere graduale o improvviso, il decorso è continuativo e tende alla


cronicizzazione, con pochi intervalli liberi dai sintomi.

Quadro clinico
Questo Disturbo è caratterizzato dall’irrealeconvinzione del paziente di avere un difetto
fisico; i difetti più frequenti vengono riferiti al viso, al seno ed ai genitali, senza che vi sia una
evidenza che giustifichi il ricorso al medico e la grande carica affettivo-emotiva (ansia,
deflessione del tono dell’umore, etc.) che accompagna la presentazione del supposto difetto.

Il soggetto spesso ritiene che l’intervento chirurgico sia l’unico intervento risolutivo (2% degli
interventi di chirurgia plastica).

La reazione alla presunta deformità è esagerata, ma non di intensità delirante, in quanto è


conservata una minima capacità di critica.

Il disturbo si accompagna ad alterazioni comportamentali, compromette in modo


rimarchevole in funzionamento sociale del paziente: il soggetto riduce il numero delle
relazioni sociali, arrivando, in alcuni casi all’isolamento totale, tende ad evitare lo specchio o a
“camuffare il difetto” (es: fa crescere la barba), può vestirsi in maniera inappropriata pur di
coprire la regione del corpo che presenta il difetto (es: sciarpa in piena estate);

E’ possibile riscontrare una comorbidità con:

- Disturbi dell’Umore
- DOC
- Disturbi di Personalità
L’eziologia non è chiara: sembra che un ruolo importante sia esercitato dai fuorvianti
prototipi di bellezza “sponsorizzati” dai media.

Diagnosi differenziale
Va posta con:

1) Normali preoccupazioni per l’aspetto fisico , che non comportano una compromissione
del funzionamento socio-lavorativo;
2) Anoressia nervosa, in cui la preoccupazione eccessiva è limitata al peso corporeo;
3) Distubi dell’identità di genere in cui il senso di estraneità è limitato ai propri caratteri
sessuali primari o secondari;
4) Disturbo Evitante di Personalità e Fobia Sociale;

204
5) DOC, in cui ossessioni e compulsioni non sono riguardanti soltanto l’aspetto fisico;
6) Tricotillomania, che non si verifica per l’intenzione di migliorare il proprio aspetto;
7) Disturbo Delirante di tipo somatico, in cui le convinzioni raggiungono intensità
delirante;
8) Altri d. mentali come ad esempio il Disturbo Depressivo Maggiore, che può essere
primario o secondario al dismorfismo.

Terapia
L’indicazione è per un approccio psicoterapeutico che individui i conflitti sottostanti la
sintomatologia.

Essendo prevalente la componente ideativa ossessiva, il trattamento prevede la


somministrazione (come per il DOC) di SSRI e non Levosulpiride (come nei casi Disturbi
Somatoforme).

I DISTURBI SOMATOFORMI NON ALTRIMENTI SPECIFICATI


Questa categoria comprende i disturbi con sintomi somatoformi che non incontrano i criteri
per nessuno dei Disturbi Somatoformi specifici.

Gli esempi includono:

1. La pseudociesi: un falso convincimento di essere gravida che risulta associato con


segni obbiettivi di gravidanza, che possono comprendere:
a) dilatazione addominale (anche se l’ombelico non si estroflette)
b) riduzione dei flussi mestruali fino all’amenorrea, ovvero all’assenza di mestruazioni
c) sensazione soggettiva del movimento fetale
d) nausea
e) secrezioni mammarie
f) doglie alla data prevista per il parto

La sindrome non è spiegabile con una condizione medica generale responsabile delle
modificazioni endocrine.

2. Un disturbo che presenti sintomi ipocondriaci non psicotici di durata inferiore ai 6


mesi (in questo sta la Diagnosi Differenziale con l’Ipocondria).
3. Un disturbo che presenti lamentele fisiche non giustificate (per es. stanchezza o
astenia fisica) di durata inferiore a 6 mesi(Disturbo Somatoforme Indifferenziato) e
non collegate a un altro disturbo mentale.

TERAPIA DEI DISTURBI SOMATOFORMI


Un tempestivo intervento psichiatrico nei confronti dei Disturbi Somatoformi in generale
consente di:

205
1) Evitare rischi iatrogeni, quali diagnostica invasiva o interventi chirurgici;
2) Evitare incongrue terapie
3) evitare l’automedicazione

A livello terapeutico:

- è importante instaurare una relazione sincera di cura e comprensione


- è necessario raccogliere una adeguata anamnesi esistenziale così da collegare i
sintomi fisici ad eventi esistenziali stressanti
- vanno evidenziati sintomi o disagi psicologici presenti prima o in concomitanza con
la comparsa di disturbi fisici
- è importante l’invio allo specialista psichiatra

Per quanto riguarda il trattamento terapeutico:

1) Psicoterapia mira a chiarire le dinamiche ed i fatti psichici che hanno determinato la


somatizzazione, e favorire la strutturazione di una maggiore resilienza e la funzione riflessiva
(mentalizzazione).

2) Farmacoterapia: gli SSRI sono risultati efficaci nel ridurre le ruminazioni ossessive, la
disforia e le preoccupazioni ansiose.

206
18. DISTURBI DISSOCIATIVI
Il DSM-IV-TR ha inserito in questo raggruppamento nosografico alcuni quadri clinici in
passato identificati come “Nevrosi Isterica di tipo Dissociativo” o “Isteria d’Angoscia”.

 Bleuler usò il termine Dissociazione per definire i sintomi della Schizofrenia e per decenni
“Sindrome Dissociativa” è stato usato come sinonimo di Schizofrenia.

 Janet si occupò degli Automatismi Psicologici, ossia della comparsa di funzioni psicologiche
automatiche non coscienti (da lui definite <<idee fisse subconsce>>). Janet differenziò :

1) Dissociazione molare, quella dell’Isteria, dove i complessi, che si imponevano


“automaticamente” alla coscienza, hanno una loro coerenza interna
2) Dissociazione molecolare ovvero la dissociazione della Schizofrenia, dove manca una
coerenza all’interno dei singoli complessi.

Il DSM-IV-TR raggruppa tra i Disturbi Dissociativi alcuni quadri caratterizzati da


un’alterazione delle normali funzioni integrative della coscienza (ricorda i quattro
orientamenti della coscienza) in assenza di alterazioni organiche e quindi su base
psicogena quali:

- memoria
- identità
- comportamento motorio
- giudizio di realtà

A partire da quanto detto, all’interno dei Disturbi Dissociativi distinguiamo:

1) Amnesia Dissociativa(ora ingloba anche la Fuga Dissociativa)


2) Fuga Dissociativa(ora diventata un indicatore della Amnesia Dissociativa)
3) Disturbo Dissociativo dell’Identità
4) Disturbo di Depersonalizzazione(ora con la Derealizzazione)
5) Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato

AMNESIA DISSOCIATIVA
E’ caratterizzata dalla perdita di un segmento più o meno ampio della memoria
personale, in assenza di cause organiche note, generalmente dopo un evento traumatico.

L’Amnesia può essere:

- Circoscritta (lacunare), per eventi successi in un certo periodo (quindi circoscritta


temporalmente);

207
- Elettiva, quando relativa a particolari avvenimenti (quindi circoscritta
categorialmente);
- Generalizzata, quando coinvolge l’intera esistenza.

All’Amnesia può essere associato disorientamento temporo-spaziale.

Il paziente ha coscienza dell’Amnesia (nella Demenza, ad esempio, questo non avviene),


l’episodio ha durata variabile e tende a risolversi in modo completo.

Psicodinamica
Si ritiene che l’Amnesia riguardi un contenuto psichico conflittuale, che il paziente tenta di
non affrontare usando alcuni meccanismi difensivi utilizzati in tutti i Disturbi Dissociativi
ivi trattati, quali:

- dissociazione, separazione di un contenuto altamente significativo dal punto di vista


emotivo dalla coscienza, da cui deriva un suo funzionamento autonomo (v.
<<Automatismo Psicologico>> in Janet) rispetto agli altri processi psichici – alterando
lo stato di coscienza e la personalità del soggetto -.
- negazione, ovvero il rifiuto di elementi della realtà ;
- rimozione, scotomizzazione dalla coscienza della variabile cognitiva di un’esperienza
disturbante, con relativa preservazione del contenuto affettivo

FUGA DISSOCIATIVA
Oggi indicatore della AMNESIA DISSOCIATIVA.

Improvviso ed inspiegabile abbandono del proprio ambiente e della propria


occupazione per un viaggio, con una assunzione di una nuova identità ed amnesia della
vita precedente.

Insorge solitamente dopo una catastrofe naturale o durante una guerra, può durare da
poche ore a qualche mese e si risolve spontaneamente.

DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITA’


Il Disturbo implica la coesistenza nello stesso soggetto di due o più personalità con
caratteristiche proprie, che a turno controllano il comportamento.

Il cambiamento di personalità è improvviso, preceduto talora da malesseri o da eventi


stressanti; solitamente il soggetto non ha consapevolezza delle altre “variabili
personologiche”.

Una delle personalità può presentare una patologia psichiatrica, come un Disturbo dell’Umore
o un Disturbo di Personalità .

208
Psicodinamica
Di solito nell’infanzia di tali soggetti si riscontra un grave trauma psicofisico, di solito un
abuso sessuale (90-95%).

Attraverso il meccanismo difensivo della negazione, il bambino denega l’esistenza di tali realtà
e attribuisce ad altri (le “personalità multiple”) l’esistenza di questi vissuti traumatici. Questo
comporta una parcellizzazione del Sé in frammenti dissociati, aventi una loro esistenza
autonoma e connotazioni specifiche, che in particolari condizioni possono riattualizzarsi e
imporsi alla coscienza.

Diagnosi differenziale

Va posta con:

- Schizofrenia, in cui il Delirio d’Identità si accompagna a un disturbo formale del


pensiero e una compromissione dell’adattamento sociale.
- Simulazione, in cui è facilmente individuabile un vantaggio secondario.

Terapia
E’ indicato un intervento psicoterapico volto a integrare le diverse personalità .

DISTURBO DA DEPERSONALIZZAZIONE
Oggi con DEREALIZZAZIONE.

Il Disturbo è caratterizzato da frequenti e persistenti episodi di sensazioni di estraneità


dal proprio corpo (non sentirsi più se stessi).

Si associa spesso a derealizzazione, alla percezione, cioè, della realtà come qualcosa di
estraneo.

Va fatta una differenziazione:

1) Singoli episodi di Depersonalizzazione sono possibili


2) Il Disturbo da Depersonalizzazione, invece, ha un andamento cronico e durante i vari
episodi l’esame di realtà rimane intatto.

Secondo il DSM-IV-TR per porre diagnosi occorre che la Depersonalizzazione:

- causi uno stato di sofferenza clinicamente significativo o un deterioramento delle


relazioni interpersonali e/o lavorative
- non si verifichi nel corso di un’altra patologia come:
a) Schizofrenia
b) DAP
c) PTSD
d) Epilessia temporale

209
- non dipenda dall’azione di un farmaco o sostanza psicoattiva
Il trattamento d’elezione è la psicoterapia a indirizzo cognitivo-comportamentale.

19. DISTURBI PSICOSESSUALI


I Disturbi Psicosessuali nel DSM-IV-TR si differenziavano in:

1) Disfunzioni Sessuali
2) Disturbi dell’Identità di Genere
3) Parafilie

Oggi invece fanno categoria a sé stante:

1. DISFUNZIONI SESSUALI
2. DISFORIA DI GENERE (ex Disturbi dell’Identità di Genere)
3. DISTURBI PARAFILICI (ex Parafilie)

DISFUNZIONI SESSUALI
Per Disfunzioni Sessuali intendiamo le alterazioni delle varie fasi dell’istinto sessuale.

Possono avere un’origine biologica e/o psicologica (nel caso in cui sia biologica va fatta una
diagnosi differenziale).

Le alterazioni possono essere primitive o secondarie, e comparire, cioè, dopo una fase di
funzionamento sessuale normale.

Le Disfunzioni Sessuali vengono classificate in base alla fase della risposta sessuale che risulta
alterata:

- Desiderio (o libido), caratterizzato da fantasie o dal desiderio di avere un rapporto;


- Eccitamento, caratterizzato da fenomeni fisiologici come ad esempio la lubrificazione
della vagina o l’inturgidimento del pene;
- Orgasmo, rappresenta l’apice del piacere sessuale;
- Risoluzione, segue la fase precedente ed è caratterizzata da rilassamento generale.
Non esistono disfunzioni che originano da questo stadio.

Accanto alle disfunzioni di una di queste fasi, sono presenti i Disturbi da Dolore Sessuale.

A. Disturbo del desiderio sessuale


(ipoattivo o da avversione)
La durata deve essere almeno 6 mesi.

210
Diminuzione o mancanza, periodica o persistente, di fantasie sessuali o della libido.

Il DSM-IV-TR precisa che tali Disturbi:

1) non si manifestano nel corso di un altro Disturbo di Asse I (Disturbo d’Ansia,


dell’Umore, da Abuso di Sostanze psicoattive)
2) provocano un marcato stress o difficoltà interpersonali.

Nell’ottica psicodinamica, si ipotizza che l’inibizione del desiderio sessuale rappresenti un


meccanismo difensivo attraverso cui il soggetto si protegge da paure inconsce relative all’altro
sesso.

Disturbi dell’eccitamento sessuale


E’ possibile differenziare tale Disturbo:

- nella donna è rappresentato dal deficit o dall’assenza della lubrificazione della vagina
nel corso dell’eccitamento sessuale
- nell’uomo è caratterizzato da difficoltà o impossibilità di erezione durante la funzione
sessuale.

Il DSM-IV-TR precisa che tale disturbo:

- provoca grave stress o difficoltà interpersonali;


- non è causato da un altro Disturbo dell’Asse I, o da una malattia organica, o da un
farmaco

A tal proposito, va ricordato che tale disturbo può derivare da una malattia cardiovascolare,
endocrina, neurologica, metabolica, infettiva o post-traumatica.

Appare pertanto necessaria un’attenta diagnosi differenziale.

Tra i farmaci che interferiscono su questa fase vanno menzionati tra gli altri:

- Antidepressivi Triciclici
- I-MAO
- Neurolettici
- Benzodiazepine
- Oppiacei
- Antiipertensivi (Clonidina, Beta-bloccanti, ecc.)
- Antiparkinsoniani

In assenza di una base organica, le cause psicologiche possono essere, in senso psicodinamico,
la strutturazione di istanze superegoiche punitive, sentimenti di inadeguatezza o incapacità di
fidarsi. Talora le cause sono di tipo relazionale.

211
Disturbi dell’orgasmo
Nella donna l’anorgasmia è frequentesotto i 35 anni. Le possibili cause di ordine psicologico
possono richiamare:

- senso di colpa verso l’attività sessuale


- timore di una gravidanza indesiderata
- paura di non essere accettata dal partner
- ostilità nei confronti del partner

Nell’uomo generalmente i disturbi dell’eiaculazione sono connessi con disturbi dell’erezione.


L’eiaculazione precoce è frequente tra i giovani, e quando si verifica durante la relazione
coniugale è un sintomo di elevato stress relazionale.

Disturbo da dolore sessuale


Oggi DOLORI DA PENETRAZIONE.

Causato di solito da dinamiche relazionali con il partner, colpisce le donne ed è caratterizzato


da sintomi che rendono difficile o impossibile il rapporto sessuale, come:

- dispaurenia (sintomi dolorosi)


- vaginismo (spasmi muscolari)
I trattamenti fanno riferimento alle teorie comportamentiste e/o relazionali.

B. DISTURBI DELL’IDENTITA’ DI GENERE


Oggi DISFORIA DI GENERE.
Questi Disturbi:

- Insorgono di solito nell’infanzia


- Si presentano con comportamenti e atteggiamenti che differiscono dal genere di
sesso a cui si appartiene; questi soggetti manifestano sin da bambini un rifiuto per il
proprio genere sessuale, e preferiscono l’abbigliamento, i giochi e la compagnia
dell’altro sesso.

Talvolta questi atteggiamenti si modificano fino a scomparire in età adolescenziale, ma più


spesso evolvono in un orientamento di tipo omosessuale o, più raramente, transessuale.

Descrivono un quadro in cui il soggetto manifesta un’incongruenza tra la propria identità


sessuale psicologica e quella fisica.

Omosessualità

212
Nel corso dei vari processi di revisione del DSM, l’Omosessualità è stata variamente collocata
all’interno di specifiche categorie diagnostiche.

A oggi, secondo alcuni modelli teorici l’Omosessualità è un disturbo psichico, mentre per altri
è una variante del comportamento sessuale.

Le passate edizioni del DSM includevano l’Omosessualità Egodistonica, foriera di sentimenti


di indegnità e/o vergogna, tra i Disturbi Sessuali Non Altrimenti Specificati.

L’incertezza dell’origine dell’Omosessualità , unitamente alle varie forme di espressività


clinica, dalle più sfumate a quelle francamente manifeste, dalle forme transitorie a quelle
persistenti, rendono problematico l’inquadramento unico di questo comportamento.
Richiama anche rilevanti implicazioni in campo morale e sociale.

Transessualismo
Profondo e persistente disagio per il proprio genere sessuale, che si traduce nel
desiderio di vivere come una persona dell’altro sesso.

E’ un disturbo molto raro, più frequente negli uomini ed insorge in età adolescenziale o
all’inizio dell’età adulta.Come nell’Omosessualità , incerta è la genesi del disturbo.

PARAFILIE
Oggi DISTURBI PARAFILICI.

Questo termine viene usato al posto di perversione per definire comportamenti sessuali
abnormi per raggiungere il piacere sessuale.

In esse l’attenzione sessuale è rivolta ad oggetti, animali o partner non consenzienti.

Ignota è l’eziologia, le ipotesi più accreditate sono:

- alterazioni organiche a carico del lobo temporale o del sistema limbico;


- psicoanalitica, ovvero fissazione in una delle fasi dello sviluppo psicosessuale o
angoscia di castrazione.

Le Parafilie riguardano prevalentemente il sesso maschile.

Per porre diagnosi occorre una persistenza del disturbo per almeno 6 mesi.

L’attività parafilia ha spesso carattere compulsivo.

Le più comuni forme di Parafilia sono:

- esibizionismo: esposizione in pubblico dei genitali per provare piacere; può essere
seguito dalla masturbazione;
- feticismo: eccitamento sessuale con oggetti inanimati (abiti, scarpe, capelli);
- frotteurismo: strofinamento dei genitali su donne non consenzienti (avviene in genere
nei luoghi affollati, per esempio nei mezzi di trasporto pubblici);

213
- pedofilia: fantasie o pratiche sessuali con bambini in età prepuberale;
- parafilie escretorie: vengono utilizzate per raggiungere l’eccitazione sessuale la
defecazione (coprofilia), la minzione (urofilia), l’uso del clistere (clismafilia) su di sé o
sul partner;
- masochismo sessuale: provare piacere nel subire sofferenza fisica o psicologica;
- sadismo sessuale: eccitamento sessuale nel provocare sofferenza fisica o psichica al
partner;
- travestitismo: indossare abiti dell’altro sesso per eccitarsi;
- voyeurismo o scopofilia: provare eccitamento sessuale nell’osservare persone nude o
mentre hanno rapporti sessuali (in genere è seguito dalla masturbazione);
- zoofilia: atti sessuali con animali.

20. DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE


Oggi DISTURBI ALIMENTARI E DELLA NUTRIZIONE, all’interno dei quali troviamo anche –
per la prima volta – tre Disturbi nuovi:

1. PICA (quadro clinico che descrive la tendenza a masticare e/o ingerire materiale non
commestibile; fino al DSM-IV-TR era considerato un disturbo infantile);
2. RUMINAZIONE (fino al DSM-IV-TR era considerato un disturbo tipico della
senescenza);
3. BINGE EATING DISORDER (quadro del tutto sovrapponibile alla Bulimia – di cui
guardare i criteri – senza però implicare condotte di eliminazione).

Le turbe della funzione alimentare presentano un ampio spettro di sfumature. Per questo,
vengono considerate di interesse psichiatrico solo le forme più eclatanti di esse, ovvero
l’anoressia e la bulimia.

A partire dal DSM-IV, a differenza delle precedenti edizioni, a questi Disturbi è stata riservata
un’autonomia nosografica, tanto da essere raggruppati in una categoria clinico-diagnostica a
sé stante.

Anoressia Nervosa
Il quadro clinico dell’Anoressia Nervosa è caratterizzato dalla fobia di ingrassare (ideazione
fobico-ossessiva per il proprio peso), con conseguenti comportamenti di ostinato rifiuto del
cibo e desiderio di perdere peso.

Epidemiologia
Colpisce in prevalenza il sesso femminile (il 90-95% dei casi), generalmente in adolescenza,
e all’interno delle classi medio-alte.

Psicopatologia
Non esiste ancora uniformità di vedute sull’eziopatogenesi di questa malattia.

214
Freud aveva parlato di regressione alla fase orale, mentre la Klein ipotizzava una fissazione
alla fase schizo-paranoide.

Secondo Bruch nell’anoressia è alterata l’immagine corporea; altri Autori sostengono che il
nucleo fondamentale del disturbo sia l’ansia scaturita dallafobia del sovrappeso che
determina il rifiuto del cibo e il desiderio costante, ossessivo e vincolante di dimagrire.

Secondo la Scuola Sistemico-Relazionale nelle famiglie dei soggetti con Disturbo Anoressico
esistono alcune caratteristiche patologiche fondamentali quali l’ipercoinvolgimento emotivo
del figlio, l’iperprotezione e la mancata risoluzione del conflitto dipendenza-autonomia.

Va anche ricordata l’enfatizzazione culturale della magrezza, come aspetto fondamentale e


costitutivo dello stereotipo attuale della bellezza femminile.

Diagnosi
Il DSM-IV-TR individua i seguenti criteri:

1) Rifiuto di mantenere il peso corporeo a livello o al di sopra del peso normale minimo,
in rapporto ad età e statura (il peso rimane al di sotto della norma di almeno il 15%)
2) Eccessiva ed immotivata paura dell’aumento ponderale
3) Disturbi dell’immagine corporea con alterata percezione delle dimensioni del proprio
corpo.
4) Amenorrea secondaria per almeno tre cicli consecutivi (oggi non è più necessario
questo criterio nel DSM5)

Il DSM-IV-TR individua 2 sottotipi di anoressia:

1) Anoressia di tipo bulimico con periodici episodi di bulimia e/o condotte di


eliminazione con vomito ed uso di farmaci (ad esempio, lassativi);
2) Anoressia “restrieter”, nella quale la diminuzione del peso avviene col digiuno, la
dieta e l’esercizio fisico.

Quadro clinico
La modalità di esordio può essere una banale dieta ipocalorica instaurata per smaltire il
sovrappeso.

Talvolta però l’inizio è più subdolo con la paziente che fa “sparire” il cibo con modalità diverse
(ad esempio, si induce il vomito, mente sulla reale quantità di alimenti ingeriti, ecc.).

Successivamente, alle restrizioni dell’apporto di cibo si associa iperattività motoria.

In questa fase la mancanza di coscienza del proprio disturbo da parte del paziente ostacola
qualunque tipo di intervento.

Nella fase conclamata il dimagrimento indotto dall’Anoressia Nervosa:

- conduce ad un peggioramento delle condizioni fisiche generali, che diventano precarie


(defedamento)

215
- riduce il livello di funzionamento sociale
- porta all’isolamento

Diagnosi differenziale
Va posta con le malattie organiche che provocano deperimento, e in cui non sono riscontrabili
né la fobia del peso né l’iperattività motoria.

Comorbidità con altri disturbi psichici


Il Disturbo da Anoressia Nervosa si associa:

- frequentemente con i Disturbi dell’Umore, che possono precedere la comparsa


dell’Anoressia e presentarsi durante la fase conclamata;
- talvolta con tratti di Personalità Ossessivo-Compulsiva

Decorso
Il singolo episodio può risolversi con la restitutio ad integrum.

In altri casi si osserva nel follow-up un’alternanza di remissioni ed esacerbazioni.

L’exitus compare nel 5-20% dei casi a seguito di complicanze dismetaboliche da prolungata
denutrizione o, più raramente, di condotte suicidarie.

La cronicizzazione avviene nel 35% circa dei casi.

In un’alta quota di pazienti (circa 25-30%) si osserva difficoltà di adattamento sociale e


familiare.

Terapia
Va innanzitutto superata la negazione da parte del paziente della sua problematica, per poi
portare avanti un approccio integrato che preveda:

- interventi internistici, volti a correggere le conseguenze della denutrizione


- terapia farmacologica, specificamente con Antidepressivi
- Intervento psicoterapico, a seconda dei casi, comportamentale, sistemico o analitico.
L’ospedalizzazione s’impone quando si verificano le seguenti condizioni:

- sensibile calo ponderale con presenza di complicanze internistiche;


- inefficacia del trattamento ambulatoriale per aumentare il peso;
- presenza di rischio suicidario;
- ambiente familiare colpevolizzante o disturbante.

216
Bulimia
E’ caratterizzata dalla comparsa di episodi durante i quali il soggetto è pervaso da un impulso
improvviso ed irresistibile a mangiare tutto il cibo che può essere reperito.

La Bulimia è stata a lungo considerata una forma grave di Obesità , o quadro associato
all’Anoressia; solo di recente è stata ammessa l’autonomia nosografica di questo quadro
clinico.

Epidemiologia
E’ netta la prevalenza del disturbo nel sesso femminile.

L’età di esordio è tra i 12 e i 35 anni. In genere la richiesta di intervento avviene non prima di
5 anni dall’esordio del disturbo, dato che fa cogliere la ritrosia, da parte dei pazienti e dei
familiari, ad ammettere l’esistenza del comportamento bulimico.

Psicopatologia
La Bulimia è considerata una manifestazione di una predisposizione all’abuso di sostanze.

Tale ipotesi è confermata dal riscontro nei pazienti bulimici e nei loro familiari di numerosi
casi di abuso di sostanze alcoliche e di sostanze psicoattive, perché richiama un discontrollo
degli impulsi.

Diagnosi
Il DMS-IV-TR individua i seguenti criteri:

1) Ricorrenti episodi di ingestione massiccia di cibo in breve tempo.


2) Sensazione di mancanza di controllo del proprio comportamento alimentare durante le
crisi.
3) Comportamenti incongrui messi in atto per evitare l’aumento ponderale (es. induzione
del vomito, abuso di lassativi, digiuno, iperattività motoria).
4) Le crisi bulimiche e le condotte di eliminazione avvengono, in media, due volte la
settimana per almeno tre mesi.
5) Preoccupazione persistente ed eccessiva per la propria immagine corporea ed il peso.

Vengono distinti due sottotipidi Bulimia:

1) Bulimia con condotte di eliminazione (induzione del vomito e/o abuso di lassativi);
2) Bulimia senza condotte di eliminazione (ricorso al digiuno o a iperattività fisica).

Clinica

217
Generalmente questi pazienti:

1) sono normopeso
2) presentano tuttavia una fobia per l’incremento ponderale
3) manifestano un’eccessiva attenzione per la propria immagine corporea

Le crisi bulimiche sono comportamenti alimentari compulsivi che non sono dovuti a
sensazione di fame, ma ad un senso di malessere generale con transitori sintomi del
quadro depressivo.

Caratteristica è la modalità vorace di assumere grandi quantità di cibo, di solito


ipercalorico (durante una crisi il soggetto bulimico può arrivare ad assumere dalle 5.000 alle
20.000 calorie).

La crisi dura da qualche minuto a un’ora ed al termine il soggetto prova una sensazione di
disgusto o di autosvalutazione, di prostrazione, che può sfociare in tentativi di eliminazione
del cibo (induzione del vomito, lassativi, digiuno, ecc.).

Queste incongrue condotte possono determinare comparsa di complicanze di tipo


internistico.

Comorbidità
La Bulimia soventemente si associa con:

- Anoressia Nervosa
- Disturbi dell’Umore
- Disturbi da Abuso di Sostanze
- Disturbi di Personalità Borderline, Ossessivo-Compulsivo, Istrionico

Decorso
E’ possibile spaziare dalle forme ben compensate alle forme che determinano gravi alterazioni
dell’adattamento sociale, familiare e lavorativo.

Terapia
Come nel caso dell’Anoressia i migliori risultati si ottengono col trattamento integrato.

La terapia psicofarmacologica di elezione è quella con Antidepressivi Triciclici o SSRI.

L’approccio psicoterapico che sembra fornire migliori esiti è quello cognitivo-


comportamentale.

L’ospedalizzazione va riservata alle forme in cui sono presenti squilibri internistici.

218
21. DISTURBI DEL SONNO
Oggi DISTURBI SONNO-VEGLIA.

Il sonno è una funzione vitale, che si presenta in modo ciclico, con una progressiva
diminuzione dello stato di coscienza e con un aumento della soglia di reattività agli stimoli
esterni.

I Disturbi del Sonno si distinguono in:

- primari
- secondari, correlati a malattie psichiatriche o organiche.

I DISTURBI DEL SONNO PRIMARI


I Disturbi del sonno primari si dividono in Dissonnie e Parasonnie.

 Fra le Dissonnie meirtano menzione:

- Insonnia Primaria
- Disturbi del Ritmo Circadiano del sonno
- Ipersonnia Primaria
- Disturbo del Sonno Correlato alla Respirazione

Insonnia primaria
L’Insonnia Primaria si può classificare in:

1) Insonnia iniziale, ovvero la difficoltà a iniziare il sonno


2) Insonnia centrale, ovvero la difficoltà a proseguire il sonno per i frequenti risvegli
3) Insonnia mattutina o tardiva, ovvero il risveglio precoce.

L’Insonnia Primaria è caratterizzata da:

- alterazione quantitativa del sonno, in termini di riduzione della sua durata


- alterazione qualitativa del sonno, in termini di sensazione di sonno non ristoratore.

219
Nella sua forma protratta deve comparire almeno tre volte a settimana per 1 mese.

Per porre diagnosi ed iniziare il trattamento è necessario che compaia:

- Astenia diurna
- Diminuzione dell’efficienza intellettiva

Epidemiologia
Il tasso di Prevalenza è del 15% nella popolazione generale e del 30% negli anziani.

E’ più frequente nel sesso femminile.

Diagnosi
Ovviamente non va mai trascurata un’accurata raccolta dei dati anamnestici; vanno indagati a
riguardo:

- i precedenti di malattia
- le notizie su trattamenti farmacologici in corso
- le particolari abitudini di vita, come orari di addormentamento e risveglio, consumo di
tabacco, bevande alcoliche o sostanze psicoattive.

Terapia
Al trattamento farmacologico è sempre bene associare l’applicazione di alcune norme di
igiene del sonno:

- non dormire più del necessario (evitare di indugiare a letto più del dovuto)
- coricarsi ad orari regolari e alzarsi al mattino sempre alla stessa ora
- evitare la sera pasti copiosi
- evitare l’attività fisica prima di coricarsi
- mantenere la stanza da letto in condizioni di isolamento acustico e di buon equilibrio
termico
- limitare nelle ore serali il consumo di alcool, caffeina e tabacco

Il trattamento farmacologico d’elezione è rappresentato dalle Benzodiazepine (BDZ).

Di recente sono state immesse sul mercato delle sostanze ipnoinducenti non
benzodiazepiniche che hanno rivelato pari efficacia e tollerabilità delle BZP e il vantaggio di
non indurre quella tolleranza e dipendenza che limitano nel tempo l’efficacia delle BZP e ne
consigliano un ridotto impiego nel tempo.

Disturbi del ritmo circadiano del sonno

220
Sono caratterizzati dallo spostamento degli orari di addormentamento e di risveglio con
conseguente comparsa di astenia diurna e riduzione dell’efficienza intellettiva.

Si distinguono:

- il tipo professionale, che colpisce chi esercita un lavoro che prevede turni di notte
- il tipo jet lag o del viaggiatore, che colpisce chi è stato in zone con diverso fuso orario
- il tipo a fase tardiva, che colpisce chi si addormenta a notte fonda e si risveglia in una
tarda ora dell’arco diurno.

Ipersonnia Primaria
Caratterizzata da sonnolenza diurna che limita i normali atti della vita quotidiana e da un
lento passaggio dal risveglio allo stadio di piena veglia (“ubriacatura da sonno”).

Ha una prevalenza dell’1-2% della popolazione e colpisce spesso le donne in fase mestruale
(è anche un criterio importante per fare diagnosi di Depressione Maggiore).

Narcolessia
Caratterizzata da:

- comparsa di incontrollabili accessi di sonno


- perdita del tono muscolare (cataplessia)
- allucinazioni ipnagogiche o ipnapompiche, ovvero disturbi della percezione nella
fase sonno-veglia o viceversa
- transitoria paralisi al risveglio

Disturbo del sonno correlato alla respirazione


In questo quadro clinico, una ipoventilazione alveolare, come nel caso della Sindrome di
Pickwick, o un’insufficienza cardiorespiratoria in soggetti obesi, provoca turbe del sonno
con insonnia o sonnolenza diurna.

 Il DSM-IV include tra le Parasonnie:

- sonnambulismo: caratterizzato da episodi di deambulazione e/o sonniloquio che


avvengono durante il sonno e hanno una durata che oscilla tra pochi secondi e qualche
minuto, senza che il soggetto ne conservi un ricordo al risveglio

221
- incubi notturni: caratterizzata da risvegli durante i quali il paziente ricorda in piena
lucidità sogni a contenuto terrifico
- Disturbo da terrore da sonno: caratterizzati da risvegli in stato di profonda angoscia
con associati sintomi somatici, come sudorazione profusa o tachicardia; a differenza
degli incubi notturni, il paziente non serba traccia mnestica del contenuto onirico.

DISTURBI DEL SONNO SECONDARI


Diverse malattie psichiatriche e organiche presentano come epifenomeni Disturbi del Sonno.

Tra le malattie psichiche vanno ricordate (1) Disturbi d’Ansia, (2) Disturbi dell’Umore, (3)
Schizofrenia, (4) Demenza, (5) Disturbi da Abuso di Sostanze.

Le malattie organiche possono provocare turbe del sonno, per la presenza di sintomi che
provocano dolore (es. febbre, coliche, ecc.).In tutti i casi il trattamento deve mirare a
rimuovere la malattia di base.

22. DISTURBI DELL’ADATTAMENTO


All’interno della categoria nosografica dei Disturbi dell’Adattamento si fanno rientrare tutti i
comportamenti disfunzionali e patologici messi in atto in relazione alla reazione
psicologica ad eventi psicosociali altamente stressanti, eventi che rientrano nelle normali
esperienze esistenzialie che determinano una seria compromissione del funzionamento
sociale e lavorativo.

Quadri clinici
Il DSM-IV-TR distingue 6 tipi di Disturbo dell’Adattamento (D.A.), a seconda della
sintomatologia prevalente:

- D.A. con ansia, in cui si rilevano irritabilità , preoccupazione e nervosismo.


- D.A. con umore depresso, in cui si evidenziano depressione del tono affettivo, facilità
del pianto e disperazione.
- D.A. con ansia e umore depresso misti, in cui si associano depressione, ansia e altre
emozioni.
- D.A. con alterazioni della condotta, in cui sono possibili comportamenti di
trasgressione della Legge o degli altrui diritti.
- D.A. con alterazioni miste dell’emotività e della condotta, in cui sono evidenziabili
aspetti clinici degli ultimi due quadri.
- D.A. Non Altrimenti Specificato, in cui la sintomatologia non è inseribile in alcuno dei
quadri clinici precedenti.

Diagnosi
Per fare diagnosi di D.A. sono necessari i seguenti criteri diagnostici:

222
A. Reazione a un evento stressante che avvenga entro tre mesi dall’inizio dello stesso.
B. La natura disadattava è indicata da:
1. Sintomatologia eccessiva rispetto alla normale reazione attesa allo stress;
2. Compromissione delle consuete attività sociali o professionali, compresa la scuola.
C. Non sono soddisfatti i criteri di un altro disturbo psichico, né si è di fronte
all’esacerbazione di un’altra patologia psichiatrica.
D. L’evento stressante non è un lutto.
E. Finito lo stress, la sintomatologia deve scomparire entro sei mesi.

Decorso e prognosi
Considerato il criterio diagnostico E., la prognosi è generalmente favorevole.

Negli adolescenti va considerato il rischio che un D.A. preceda la Schizofrenia o un Disturbo da


Uso di Sostanze.

Negli adulti può verificarsi un’evoluzione verso la Depressione.Il D.A. può recidivare.

Terapia
Una psicoterapia di sostegno può aiutare ad acquisire le giuste strategie perfronteggiare lo
stress.

Una terapia antidepressiva è utile in presenza di alterazioni del tono dell’umore.

Una terapia con BZP a basso dosaggio e per breve durata consente di attenuare la
sintomatologia ansiosa.

223
23. DISTURBI DI PERSONALITA’
Va immediatamente sottolineata una differenza fondamentale:

- da una parte, nelle Sindromi Psichiatriche gli elementi costitutivi del quadro
psicopatologico sono rappresentati dai sintomi psichiatrici
- dall’altra parte, i Disturbi di Personalità sono costituiti da un certo raggruppamento
di tratti di personalità.

Nei Disturbi di Personalità non si parla di sintomi ma di tratti, diversi dal punto di vista
categoriale e/o dimensionale-quantitativo rispetto ai tratti personologici-
temperamentali normali.

Ma cosa sono i Tratti di Personalità ? I Tratti di Personalità ( che sono gli elementi che
qualificano i Disturbi di Personalità ) possono essere considerati – in un’ottica dimensionale -
una esasperazione di componenti e aspetti della personalità normale.

 I Tratti di Personalità sono schemi di esperienza interiore e di comportamento


relativamente stabili nel tempo. Diversamente dai Sintomi, i tratti non vanno e non
vengono. Ad esempio, si potrebbe avere un amico assai meticoloso (tratto) che a volte si
deprime (sintomo).

I tratti di personalità , quindi attengono al “carattere” intrinseco del soggetto. Jaspers, non a
caso, parlava di “caratteropatie” o “patocaratterologie”.

I conflitti emotivi possono essere espressi:

- attraverso i Sintomi, che l’individuo esperisce come indesiderati, disturbanti e non


coerenti con il proprio senso di sé, quindi ego-distonici
- attraverso i Tratti di Personalità, che sono coerenti con il senso di sé individuale,
quindi ego-sintonici

La differenza tra tratti e sintomi era la base della distinzione tra l’Asse I e l’Asse II nel DSM-IV-
TR:

- i disturbi sintomatici erano classificati sull’Asse I

224
- i disturbi basati sui tratti erano classificati sull’Asse II
I disturbi primari basati sui tratti sono conosciuti come Disturbi di Personalità, e il DSM5
include attualmente 10 Disturbi di Personalità; tutti gli altri Disturbi psicologici richiamano
Sindromi Psichiatriche, ed erano inseriti nel DSM-IV-TR in Asse I.

 Per Personalità intendiamo la modalità individuale, unica e stabile per ogni individuo di
fare esperienza del mondo, che si riflette in uno schema prevedibile di reazioni a una varietà
di situazioni. Ogni individuo ha quindi dei “tratti” di personalità , relativamente stabili nello
spazio e nel tempo, che possono essere misurati e descritti (v. Hans Selye nel capitolo sul
PTSD).

 I Disturbi di Personalità sono caratterizzati da tratti di personalità rigidi, estremi e


disadattavi che causano disturbo o compromissione del funzionamento. In altre parole,
le persone con Disturbi di Personalità non sono in grado di fornire risposte psicologiche,
emotive e comportamentali tali da adattarsi plasticamente alle varie esigenze della
vita. Questi soggetti, piuttosto, a causa della fissità dei propri aspetti personologici,
tenderanno a reagire e a utilizzare strategie sempre uguali o poco variabili; è per questa
ragione che nell’esperienza di vita di questi soggetti è possibile rilevare un’elevata ricorsività
di temi esistenziali, di problematiche affettive, di situazioni conflittuali, dando spesso
l’impressione di un copione che si ripete all’infinito.

Il DSM fornisce la seguente definizione di Disturbo di Personalità :

“Pattern stabile di esperienza interiore (modalità di funzionamento interiore) e


comportamento che devia in modo marcato dalle aspettative della cultura dell’individuo;
pervasivo e inflessibile, rigido e stabile, ha esordio nell’adolescenza o nella prima età
adulta, è duraturo nel tempo e porta a disturbo e compromissione”.

Il DSM definisce quindi i Disturbi di Personalità un insieme di tratti di personalità


inflessibili e maladattivi che causano oltre che un disagio soggettivo, un danno
significativo nel funzionamento sociale e/o lavorativo, nelle modalità di rapportarsi
all’ambiente, coinvolgendo, frequentemente, in un circuito comunicazionale e
relazionale alterato anche coloro con cui si hanno rapporti stretti. Il disagio socio-
ambientale scaturito è più alto di quello individuale.

1. Per essere considerati abnormi questi tratti devono essere fortemente alterati rispetto a
quelli comunemente accettati come normali in quel determinato contesto socioculturale.

Questi aspetti di personalità distorti riguardano essenzialmente:

1) la sfera cognitiva e affettiva


2) il controllo degli impulsi
3) il bisogno di gratificazioni
4) la modalità di rapportarsi con altri (tutti i Disturbi di Personalità infatti sono carenti
di empatia)

I Disturbi di Personalità , quindi, pongono rilevanti problemi, sotto diversi punti di vista:

- diagnostico
- terapeutico
- relazionale e sociale (lavoro, affetti, amicizie)

225
Questi problemi sono anche legati al fatto che un Disturbo di Personalità si accompagna a una
scarsa o distorta consapevolezza degli aspetti personologici alterati; si parlava prima del
concetto di ego-sintonia: il soggetto si forma un’immagine di se stesso molto discordante
rispetto all’immagine che gli altri hanno di lui, le anomalie che sono determinate dai tratti di
personalità disfunzionali possono anche essere vissute senza la necessaria autocritica, e la
causa delle difficoltà essere individuata nell’ambiente esterno.L’egosintonia, quindi, correla
con la mancanza di giudizio critico (nei Disturbi di Personalità MANCAgiudizio critico).

2. Tali tratti, inoltre, per essere considerati espressivi di un Disturbo di Personalità , devono
essere stabilmente presenti sin dall’adolescenza o dall’età giovanilee manifestarsi
costantemente e non solo in modo reattivo a particolari situazioni stressanti (non
essere, cioè, Disturbi dell’Adattamento).

Anche se esordisce in adolescenza, un Disturbo di Personalità non può essere diagnosticato


prima dell’età adultà .

Altre caratteristiche specifiche dei Disturbi di Personalità sono:

- Il rapporto di realtà è conservato per la maggior parte del tempo , tranne che per
periodi molto limitati, nei quali possono a volte verificarsi brevi episodi psicotici.
- I Disturbi di Personalità , infine, espongono a un rischio elevato di comorbidità con la
Depressione e rappresentano un significativo fattore di rischio per suicidio (ricorda il
suicidio narcisistico o la “suicidosi” nel Borderline), consumo di droghe (farmaci e
sostanze stupefacenti) e comportamento violento.

Classificazione
E’ possibile distinguere due differenti modalità di approccio ai Disturbi di Personalità :

- Approccio Dimensionale, che inserisce i tratti di personalità all’interno di un certo


Asse o Dimensione, e calcola le variazioni quantitative lungo un continnum i cui
estremi sono rappresentati dalla salute e dalla patologia: i tratti personologici rilevabili
nei Disturbi di Personalità sarebbero estremi, rigidi e disadattavi, accentuazioni ed
estremizzazioni (quantitative) quindi dei tratti di personalità normali.
Queste dimensioni includono:
1) affettività positiva e negativa
2) inibizione
3) ricerca della novità
4) dipendenza dalla gratificazione
5) evitamento del danno
6) cooperatività
7) potere (dominio vs. sottomissione)
8) affiliazione (amore vs. odio)
9) ricerca del piacere vs. evitamento del dolore
10)adattamento passivo vs. adattamento attivo
11)propagazione del sé vs. nutrizione degli altri
- Approccio Categoriale considera invece i Disturbi di Personalità come categorie
differenti qualitativamente dall’assetto normale.

Volendo quindi fare un riassunto in pochi punti:

226
1) I Disturbi di Personalità presentano Tratti di Personalità e non sintomi;
2) Diversamente dai sintomi, i tratti di personalità sono modelli di esperienza interiore e
di comportamento relativamente stabili nel tempo e persistenti;
3) La personalità è considerata disturbata quando i tratti sono disadattivi, rigidi ed
estremi;
4) Questi tratti personologici disfunzionale si strutturano a partire dall’adolscenza;
5) La maggior parte dei tratti associati ai Disturbi di Personalità si situa su un continuum
tra comportamento normale e patologico. I disturbi di personalità solitamente
comprendono versioni estreme di tratti di personalità comuni.

Il DSM-IV-TR includeva 10 Disturbi di Personalità , raggruppati in 3 Cluster (gruppi) basati su


alcuni tratti comuni:

I – Cluster A (strano, eccentrico e bizzarro)

1. Disturbo di Personalità Paranoide


2. Disturbo di Personalità Schizoide
3. Disturbo di Personalità Schizotipico

II – Cluster B (drammatico, emotivo o esplosivo)

1. Disturbo di Personalità Antisociale


2. Disturbo di Personalità Borderline
3. Disturbo di Personalità Narcisistico
4. Disturbo di Personalità Istrionico

III – Cluster C (ansioso o pauroso)

1. Disturbo di Personalità Evitante


2. Disturbo di Personalità Dipendente
3. Disturbo di Personalità Ossessivo-Compulsivo

Il DSM-IV-TR proponeva anche altre 3 categorie di Disturbi (che necessitano però di maggiori
approfondimenti), le cui manifestazioni comportamentali sono legate ad una difficile gestione
delle quote aggressive della personalità :

1. Disturbo Autofrustrante
2. Disturbo Depressivo
3. Disturbo Negativistico (precedentemente definito Passivo-Aggressivo).

DISTURBO DI PERSONALITA’ PARANOIDE


• Il tratto predominante di questo Disturbo è costituito da una forte tendenza alla
sospettosità e alla mancanza di fiducia negli altri.

• Quanto detto porta i soggetti ad essere difesi, guardinghi, ipervigili e controllanti, sempre
alla ricerca di ogni minimo indizio di imbroglio, di inganno o di ingiustizia perpetrato ai loro
danni.

• Per il paranoide, quindi, il mondo è un ambiente ostile, che impone una continua
preoccupazione.

227
• Posto questo assetto psicologico, i soggetti con Disturbo Paranoide di Personalità sono
soventemente litigiosi, rigidi, incapaci di rilassarsi ed esprimere autentici sentimenti di calore
e simpatia.

 La preoccupazione di ricevere un danno dagli altri determina anche una scarsa propensione
a sviluppare rapporti di intimità . Lo stile di vita è solitario ed emarginato in quanto ogni
nuovo arrivato è considerato un potenziale nemico, con cui è impossibile confidarsi per il
timore di potere essere traditi.

• I soggetti con Disturbi Paranoide diventano spesso vittime delle proprie profezie che si
autoavverano.Infatti i vissuti paranoidei che fanno degli altri soggetti gelosi, maldicenti ed
aggressivi, pronti a fare soprusi, amputano in questi ogni tentativo di approccio cordiale ed
amichevole, e alimentano quote aggressive e comportamenti di rifiuto.

• Le relazioni sentimentali, per questo, quando arrivano a formarsi, sono gravemente


disturbate dalla gelosia, dal sospetto, dal tormento del dubbio e destinate a fallire facilmente,
alimentando la profonda solitudine di cui queste persone sono prigioniere.

• Sotto stress questi soggetti possono manifestare franchi deliri di persecuzione o idee di
riferimento, che comunque sono abitualmente transitori (ideazione paranoide può
trasformarsi in delirio paranoide).

 Dal punto di vista psicodinamico questo disturbo si incentra sull’utilizzazione costante del
meccanismo di difesa della proiezione attraverso il quale motivi, sentimenti e contenuti del
proprio mondo interiore vengono attribuiti agli altri: il soggetto “salva” il proprio mondo
interno rendendo minaccioso il mondo esterno.

DISTURBO DI PERSONALITA’ SCHIZOIDE


• Il Disturbo è caratterizzato da un restringimento dell’orizzonte socio-relazionale
(“schizo”=separati dalla dimensione sociale); i tratti caratteristici della personalità Schizoide
riguardano quindi la dimensione sociale: ritiro, isolamento, mancanza di coinvolgimento e di
partecipazione all’interno dei rapporti di intimità , siano essi amicali e/o familiari, incapacità
di esprimere emozioni in una dimensione interpersonale.

• Le relazioni sociali si mantengono sempre molto formali, superficiali e minimali.

Da ragazzi infatti, anche se studenti seri e produttivi, sono estraniati dalla vita di classe.

• Successivamente, a fronte della marcata tendenza all’isolamento, vengono ricercate attività


lavorative che consentono di agire in modo isolato e solitario.

• E’ quindi evidente un atteggiamento di indifferenza, separazione e di distacco; appaiono


indifferenti alle lodi ed alle critiche così come ai sentimenti degli altri.

• La stessa scarsa propensione all’incontro, allo scambio e alla condivisione riguarda la vita
sessuale, verso la quale mostrano una debole spinta.

 La vita affettiva risulta quindi piatta, scolorita e fredda

228
• Estranei a strutturare relazioni umane profonde, incapaci di manifestare sentimenti di
tenerezza e calore umano, in genere non arrivano, per questo, a costituirsi una propria
famiglia.

DISTURBO DI PERSONALITA’ SCHIZOTIPICA


• Il Disturbo di Personalità Schizotipica è caratterizzato da una pervasiva, cronica e
disfunzionale eccentricità nel comportamento, nell’aspetto, nel pensiero, nel linguaggio, nella
percezione, che determinano una serie di deficit sul piano del funzionamento sociale e
interpersonale.

 Oltre a una vita relazionale disinvestita e impoverita, si rileva, anche, uno stile cognitivo e
percettivo distorto e un comportamento bizzarro, eccentrico e peculiare.

Alcuni di questi disturbi percettivi e di pensiero sono associati alla Schizofrenia; prove
genetiche e biologiche suggeriscono infatti che il Disturbo Schizotipico di Personalità è
strettamente connesso con la Schizofrenia; tuttavia, però , a differenza dei soggetti psicotici, il
Disturbo Schizotipico, pur comportando pensieri, percezioni e comportamenti bizzarri,
consente di mantenere comunque un contatto con la realtà .

 Il Disturbo sembra più comune tra i consanguinei dei pazienti affetti da Schizofrenia.

• Il soggetto tende quindi ad una organizzazione del pensiero di tipo magico: possono essere
presenti idee e credenze non spiegabili a partire da matrici di ordine culturale, e in grado di
influenzare il comportamento:

- idee di riferimento, l’idea cioè che eventi esterni abbiano un particolare e inusuale
significato autoreferenziale
- credenze insolite, magiche, superstiziose (credenza nella chiaroveggenza, negli alieni,
nel paranormale, per esempio).

 Il soggetto tende a una strutturazione/organizzazione della realtà interpretativa, quindi


altrettanto peculiare, strana e dereistica dei dati esperenziali.

• Il rapporto con la realtà è dunque precario o quanto meno organizzato su modalità “private”
e personali, significati peculiari, piuttosto che sui dati generalmente accettati.

• Le esperienze cognitivo-percettive sono cioè prossime al processo primario e mancano della


differenziazione tra sé e mondo esterno e delle usuali coordinate temporo-spaziali (da qui il
loro carattere bizzarro e inusuale).

• Per tale ragione alle alterazioni cognitive, percettive e comportamentali corrisponde un


linguaggio altrettanto strano, bizzarro, astratto e digressivo.

• Ne deriva un atteggiamento individualista, eccentrico con difficoltà di adattamento a


normative sociali realistiche, e notevoli disagi relazionali.

• Per questo spesso lo stile di vita è isolato da qualsiasi forma di contatto sociale, le relazioni
sociali e confidenziali carenti e il livello di Ansia sociale, cioè il disagio di intrattenersi con
persone estranee alla ristretta cerchia familiare, può essere molto elevato.

229
• A volte trovano integrazione in gruppi di emarginazione sociale come sette religiose,
parapsicologiche, parascientifiche.

• In concomitanza di eventi stressanti è possibile che il precario senso di realtà di questi


individui si incrini portando ad episodi psicotici transitori.

• La diagnosi differenziale riguarda:

- Disturbo di Personalità Schizoide, in cui non si riscontrano stranezze e bizzarrie nel


linguaggio, nel pensiero e nel comportamento.
- Disturbo Schizofrenico, in cui si riscontrano turbe psicotiche non evidenziabili nel
Disturbo Schizotipico.
- Disturbo di Personalità Borderline, che può condividere con la personalità schizotipica
esperienze percettive e cognitive insolite, ma che, a differenza di quest’ultimo, porta a
frequenti relazioni interpersonali intense anche se instabili, tempestose e conflittuali.

DISTURBO DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE


•La caratteristica principale di questa personalità è la tendenza, piuttosto precoce e
stabilmente reiterata, a violare i diritti e i bisogni altrui.

 I soggetti antisociali presentano una radicale difficoltà ad adeguarsi alle norme sociali e a
rispettare la legalità , tanto da mettere in atto azioni francamente illegali che possono
comportare l’arresto e la reclusione per le motivazioni più disparate, dalla truffa, allo spaccio
di droga.

 La tendenza ad una condotta disonesta si evidenzia anche attraverso la menzogna


abituale, l’uso di pseudonimi, i ripetuti tentativi di truffare o raggirare gli altri.

• Una caratteristica di questi soggetti è infatti il trasformismo. A volte appaiono isolati come
gli schizoidi, altre volte sembrano attivamente coinvolti nei rapporti interpersonali, con alcuni
sono aggressivi, con altri possono appaiono gentili e generosi; questo camaleontismo è
epifenomeno di un atteggiamento di fondo nei confronti della vita per cui questa è vissuta
come un gioco dove gli altri vengono considerati come pedine da muovere in una scacchiera
per raggiungere i propri scopi.

• A proposito dell’uso voluttuario delle relazioni interpersonali e della carenza estrema del
senso di responsabilità , la sessualità è spesso vissuta senza impegno né coinvolgimento, ma
con promiscuità e solo per soddisfazione personale.

• Il profilo del disturbo è completato da aspetti quali:

- l’impulsività
- l’irritabilità
- l’incapacità di assumersi le responsabilità e rispettare gli impegni
- l’aggressività , Infatti, possono essere crudeli, sadici e violenti, indifferenti e privi di
rimorsi nei confronti del danno arrecato agli altri attraverso le proprie condotte.

230
• Raramente sperimentano emozioni d’ansia e mai l’ansia che deriva dai sensi di colpa. Vivono
una vita nella quale le preoccupazioni dettate da regole morali sembrano non avere mai
trovato posto.

• Seguendo il DSM-IV-TR il comportamento delinquenziale potrebbe essere tout court


sinonimo di disturbo antisociale, tanto che, a partire dai suoi criteri diagnostici circa l’80% dei
criminali potrebbe ricevere questa diagnosi

• Il pattern temperamentale di questi soggetti prevede:

Alta Novelty Seeking (ricerca di novità o di nuove sensazioni)

Bassa Harm Avoidance (evitamento del danno)

Bassa Reward Dependence (dipendenza dalla ricompensa sociale)

Quindi si tratta di soggetti:

1) alla ricerca di sensazioni nuove, avventurosi e facilmente annoiati dalla routine


2) impulsivi e irriflessivi; il basso evitamento del rischio, li rende poco ansiosi e li espone
a rischi oltre ogni ragionevolezza
3) poco inclini a irreggimentarsi e assoggettarsi a regole; la scarsa dipendenza dalla
ricompensa sociale li rende poco empatici e poco sensibili ai sentimenti e ai diritti
degli altri.

 Tali soggetti chiedono raramente un aiuto psichiatrico e si sottopongono malvolentieri alla


consultazione. Durante il colloquio (e anche nella vita) sono altamente manipolatori e
addirittura accattivanti, apparentemente privi di significative anormalità .

DISTURBO DI PERSONALITA’ BORDERLINE


Si tratta di un profilo di personalità disturbata dominato da un intenso sentimento di vuoto
interiore e da instabilità:

1) nelle relazioni interpersonali e nei legami affettivi


2) nell’immagine di sé e nelle immagini degli altri
3) nella sfera affettiva (da cui la comorbidità con ansia, depressione, disturbo
bipolare)
4) nelle scelte di vita

E’ un profilo di personalità dominato dall’impulsività, che può riguardare:

1) la sfera alimentare, con frequenti crisi bulimiche


2) l’abuso di sostanze
3) la sessualità, con pratiche sessuali indiscriminate
4) la guida spericolata

 A proposito della sopracitata instabilità nelle relazioni interpersonali, il soggetto con


personalità borderline presenta una difficoltà o incapacità di trovare la giusta distanza nel

231
rapporto, oscillando dalla paura dell’abbandono e della perdita al timore della fusione
con l’altro.

i meccanismi difensivi principali sono: (1) scissione e (2) identificazione proiettiva;

Per questo, solo la presenza fisica di altre persone consente ai soggetti borderline di dare un
significato alla propria vita; in tale condizione di dipendenza, la solitudine, ogni abbandono
reale o immaginario, diventa insopportabile, viene vissuto come una ferita profonda e
dolorosa e per questo comporta un vissuto di annientamento (perché il soggetto perde il suo
“contenitore”: Fonagy e Target parlano infatti di “rientroietto del Sé Alieno evacuato”).

Ovviamente, il bisogno indifferibile degli altri può esporre questi soggetti all’abuso, allo
sfruttamento e al maltrattamento.

• A proposito della sopracitata instabilità nell’immagine di sé e degli altri:

- è frequente l’alternanza di intense idealizzazioni e violente svalutazioni, da cui


scaturiscono gravi instabilità a livello interpersonale;
- un altro aspetto di grande importanza nella patologia borderline è rappresentato dal
Disturbo dell’Identità, quindi da una marcata e persistente instabilità dell’immagine
di sé o del senso di sé, e dalla tendenza alla diffusione dell’identità, che si esaurisce in
modelli imitativi e transitori e dinamiche di “personalità come se”, come descritto da
Deutsch.
Deutsch mette in rilievo la dimensione identificatoria rigida, adesiva e desoggettivante
che caratterizza la “personalità come se”. La povertà di vitalità e di creatività soggettiva
che la Deutsch segnala come elemento base di tale tipologia di personalità scaturisce
infatti da un’identificazione massiccia a maschere sociali che precludono un rapporto
del soggetto con il proprio desiderio.

• Le frequenti e intense oscillazioni emotive e l’instabilità comportamentale possono essere


alla base di:

- pensieri di suicidio (nel Borderline si parla di “suicidosi”)


- condotte autolesive o automutilative o di gambling (condotte suicidarie mascherate,
oggi sempre più diffuse tra gli adolescenti: imboccare l’autostrada contro mano,
stendersi sui binari cercando di resistere il più possibile fino all’arrivo del treno)
- frequenti episodi disforici, instabilità dell’umore, irritabilità e intensa ansia

 Altri aspetti caratterizzanti il DBP sono:

- senso di vuoto
- mancanza di senso
- rabbia pervasiva
• Sintomi dissociativi anche severi, stati di depersonalizzazione o ideazione paranoide
possono presentarsi in modo transitorio in condizioni di stress.

 Per quanto detto, questo disturbo di personalità facilmente può complicarsi con:

1) un disturbo del comportamento alimentare


2) una condotta tossicomanica o politossicomanica
3) una sessualità perversa o rarefatta

232
• Sono persone di “cristallo”:

delicate da toccare

facili a rompersi

pericolose quando sono in frantumi

• I soggettiborderline hanno:

- elevata Novelty Seeking


- elevata Harm Avoidance
- nei soggetti nei quali prevale la componente dipendente si trova una elevata Reward
Dependence, nei soggetti più esplosivi, con elementi di similitudine con la sociopatia,
si troverà una bassa Reward Dependence.

 Nella complessa eziopatogenesi di questo disturbo non vanno trascurati i fattori


psicosociali, dato che, tra l’altro, spiegherebbe l’aumento della sua prevalenza registrato
negli ultimi decenni. Tra questi fattori ricordiamo:

- le carenze pedagogiche, affettive, la progressiva trasformazione della funzione


normativa dei genitori, in funzione ancillare;
- l’incapacità da parte dei genitori di trovare un equilibrio tra gli estremi
dell’autoritarismo e della tolleranza più completa, e di fornire validi modelli di
riferimento;
- l’incremento delle esperienze di perdita, separazione, abbandono, reali o immaginate,
davanti alla TV;
- la diffusione di modelli socio-culturali che mortificano l’orientamento verso l’etica e il
significato

DISTURBO DI PERSONALITA’ NARCISISTICO


• Gli elementi centrali del disturbo sono costituiti da:

- sentimento di unicità
- senso grandioso di importanza
- desiderio incessante di essere ammirati
- mancanza di empatia

Un sentimento grandioso della loro importanza li porta a coltivare fantasie di successo
illimitato, potere, bellezza o amore ideale e la convizione di essere unici e speciali.

Hanno anche una forte aspettativa di essere tenuti in grande considerazione dagli altri,
aspettandosi riconoscimenti e trattamenti di favore, poco motivati e senza il minimo senso
di reciprocità .

• Tutti i rapporti interpersonali, amicali, sentimentali, lavorativi e sociali rivelano una natura
utilitaristica, rispondono all’incessante ricerca di attenzione e ammirazione.

233
Quando questo bisogno è disatteso, e l’immagine grandiosa di sé non viene riconosciuta e
confermata, il senso di vulnerabilità e la ferita narcisistica per essere stati criticati e rifiutati
sono talmente grandi da generare intense reazioni di rabbia impotente, umiliazione e
vergogna profonda.

• Ciò porta a una continua ricerca implicita di conferme esterne rispetto al proprio valore.

 I meccanismi difensivi utilizzati sono: (1) la scissione, (2) la idealizzazione, (3) la


svalutazione, (4) l’onnipotenza.

 Nei confronti degli altri alternano vissuti emotivi oscillanti tra idealizzazione, quando il
proprio bisogno di gratificazione personale viene soddisfatto, e la svalutazione quando questo
bisogno viene frustrato

• Gli atteggiamenti manipolatori e utilitaristici nei confronti degli altri per il conseguimento
dei propri scopi, il ricorso costante alla menzogna, producono inevitabilmente difficoltà
relazionali.

 La scarsa capacità empatica li rende incapaci ad avvertire i bisogni altrui e a potersi


identificare con loro, e li porta, anzi, a utilizzarli e sfruttarli per i propri scopi.

• In senso profondo, questi soggetti sono fondamentalmente insicuri, la loro grandiosità


esasperata è una maschera caratteriale (Wilhelm Reich), e tutta una serie di strategie
compensatorie tendono a proteggere la loro debole e difettosa autostima; pertanto i narcisisti
sono soliti oscillare tra il polo di una grandiosità esagerata e quello di una totale mancanza di
valore.

• Quando il loro fragile equilibrio narcisistico viene danneggiato e rimesso in discussione,


rispondono con violenti reazioni colleriche, e con intensi vissuti depressivi che, non
raramente, li espongono al rischio suicidario.

• Le fantasie di illimitato potere e successo in campo sessuale, lavorativo e sociale,


rappresentano una dimensione dereistica nella quale trovare rifugio da un angosciante e
pervasivo sentimento interiore di fragilità e indegnità .

DISTURBO DI PERSONALITA’ ISTRIONICO


• Questo profilo di personalità possiede alcuni aspetti in comune con l’Isteria.

L’aspetto fondamentale del Disturbo è rappresentato da un eccesso di preoccupazione per


la propria apparenza: il soggetto ricerca l’attenzione altrui a tal punto da sentirsi a
disagio nelle situazioni in cui non è al centro dell’attenzione.

• Gli altri diventano, pertanto, strumenti atti a soddisfare questo indifferibile bisogno di
attenzione e ammirazione.

L’eccessivo egocentrismo e l’atteggiamento manipolatorio e utilitaristico contraddistinguono i


rapporti interpersonali, che per questo sono quasi sempre conflittuali.

• Il desiderio di essere costantemente al centro dell’attenzione è alla base di uno stile di


comportamento drammatico, intensamente emotivo, quasi teatrale nelle proprie
manifestazioni, e di un linguaggio spesso esagerato e superficiale; il bisogno, altrettanto

234
importante, di essere costantemente al centro dell’attenzione può condurre ad utilizzare un
abbigliamento inappropriatamente seduttivo o provocante.

• Fino a quando l’omeostasi viene mantenuta, il soggetto istrionico vive la vita come un
affascinante spettacolo, dove recitando la propria parte ricerca costantemente gli applausi;
ma quando questo equilibrio viene meno, riemergono i sentimenti di inadeguatezza e
inferiorità , l’ansia e la preoccupazione di essere rifiutati, la ricerca spasmodica di
apprezzamento e rassicurazione, cui possono seguiregesti autolesivi e tentativi di suicidio a
scopo dimostrativo.

• Nel DP Istrionico vi è:

- una elevata Novelty Seeking, che li rende impulsivi, irriflessivi, insofferenti della
routine e volti alla ricerca di stimoli nuovi per il piacere stesso della novità .
- una bassa Harm Avoidanceche li rende in genere poco ansiosi
- una elevata Reward Dependance,da cui dipendono l’estrema sensibilità e dipendenza
dai segnali sociali.

DISTURBO DI PERSONALITA’ EVITANTE


• Le caratteristiche del DP Evitante sono:

- inibizione sociale
- sentimenti di inadeguatezza
- ipersensibilità alle valutazioni negative
Queste caratteristiche portano il soggetto a evitare tutte quelle attività che implicano una
relazione interpersonale significativa che espone al rischio di essere criticato, disapprovato e
rifiutato.

 Il soggetto pertanto tende a non coinvolgersi nelle relazione interpersonali senza avere
prima la certezza di essere gradito.

 Il soggetto manifesta quindi un intenso bisogno di accettazione.

• L’ipersensibilità alla critica fa sì che ogni fonte di contatto interpersonale non garantito, cioè
potenzialmente foriero di esposizione al giudizio altrui, venga evitato.

 Evidenti sono quindi le limitazioni nelle relazioni intime e sociali per paura di essere
umiliato o ridicolizzato, criticato o rifiutato, per via di un senso di inadeguatezza.

 La ferma convinzione di inferiorità e di indegnità rendono il soggetto riluttante ad assumersi


rischi sul piano personale e interpersonale o ad affrontare nuove attività .

• La conseguenza è una marcata riduzione dell’orizzonte relazionale, la tendenza a svolgere


una vita routinaria, al riparo dai potenziali rischi insiti nella novità .

• Tuttavia, e a differenza, ad esempio, del soggetto Schizoide, nonostante le occasioni di


incontro sociale vengano attivamente evitate, il soggetto nutre dentro di sé un desiderio di
accettazione e contatto con l’altro, accogliente e scevro da ogni tipo di giudizio negativo.

235
 Nel DP Evitante:

- bassa ricerca della novità


- alto evitamento del rischio
- alta dipendenza dalla ricompensa sociale

DISTURBO DI PERSONALITA’ DIPENDENTE


• Questo Disturbo, uno dei più frequenti tra tutti i Disturbi di Personalità , vede nel carattere
orale di Abraham un importante precursore; gli aspetti principali che lo caratterizzano sono:

- bisogno di dipendenza dagli altri


- timore di essere abbandonati
La dipendenza dagli altri e la paura terrifica dell’abbandono determinano un comportamento
sottomesso, adesivo, compiacente e remissivo, ablativo e amichevole, finalizzato a non
dispiacere mai gli altri.

I soggetti con DP Dipendente, data la mancanza di fiducia in sé, possono trovare arduo:

- prendere decisioni autonome, senza che queste siano supportate dalla conferma e dalla
rassicurazione altrui
- assumersi una responsabilità
- esprimere disaccordo, per il timore di perdere il sostegno e l’approvazione degli altri,
da cui dipendono

 Tendono così a uniformarsi ai punti di vista altrui, tollerano maltrattamenti e umiliazioni,


possono finanche sottoporsi a esperienze per loro sgradite e spiacevoli, pur di non deludere
gli altri.

• Mantengono quindi nella vita adulta un atteggiamento tipico dell’infanzia, oblativo, segnato
dalla convinzione, irriducibile, di essere inermi e indifesi di fronte ai continui pericoli e ai
rischi a cui la vita e il mondo espongono costantemente, e incapaci di fronteggiarli.

• Questo vissuto ansioso, apprensivo nei confronti della vita e del mondo, è lo stato emotivo
prevalente, se non l’unico, tranne che in presenza di una o più persone che vengono investite
del ruolo di protettori.

A questi vengono delegate la maggior parte delle decisioni, dalle più futili alle più importanti,
a essi, alle loro opinioni e giudizi, ci si affida “magicamente” e quindi non realisticamente, per
avere rassicurazione, consiglio, parere, appoggio.

• L’importanza di avere a disposizione un protettore è talmente grande da sacrificare, spesso,


qualsiasi sentimento di orgoglio e rischiare, costantemente, di umiliarsi.

• Quanto detto fino ad ora determina una condizione di particolare vulnerabilità alle
critiche ed alla disapprovazione che non fanno che rafforzare la visione negativa di sé e
confermare i propri script cognitivi.

• Alle critiche e ad ogni interruzione di rapporto rispondono con sentimenti


abbandonici, la solitudine li espone al rischio di annientamento psicologico, alla sensazione

236
di non essere “nessuno”, sentono di esistere solo attraverso la presenza direttiva e
rassicurante di un altro.

• I soggetti di DP Dipendente temono quindi pervasivamente di restare soli, di essere rifiutati


o abbandonati dal partner, dagli amici, o dai parenti e perciò si adattano a fare anche ciò che
ritengono sbagliato.

DISTURBO DI PERSONALITA’ OSSESSIVO-COMPULSIVO


 Le caratteristiche personologiche fondamentali del soggetto con DP Ossessivo-Compulsivo
sono:

- Perfezionismo
- Preoccupazione per l’ordine
- Tendenza al controllo materiale, mentale ed interpersonale
- Inflessibilità nella dimensione affettiva, familiare e sociale
- Meticolosità, scrupolosità, dedizione al particolare

• Nel soggetto con DP Ossessivo-Compulsivo, la dimensione cognitiva, affettiva, relazionale e


pragmatica del vivere è subordinata a una rigida organizzazione razionale (utilizzo del
meccanismo difensivo dell’isolamento).

 Il soggetto mostra un’esasperata tendenza ai dettagli, ai particolari, alle regole, all’ordine, al


punto tale, spesso, da indugiare così a lungo nei preliminari di un’attività da non svolgere poi
l’essenziale di una data attività .

• Perde molto tempo a fare programmi, elenchi, ordinare razionalmente compiti, così da
determinare uno scadimento della performance.

• Lo stile di vita è rigidamente e inflessibilmente guidato da un forte senso della disciplina


e dovere, coscienziosità e scrupolosità morale ed etica, da imporre a sé stessi e agli altri,
talmente esasperato da ridurre, sovente, e drasticamente, la plasticità adattiva alle situazioni
della vita.

 Spiccata è la propensione per la pulizia, la precisione e la parsimonia, la tendenza a


ordinare, conservare e catalogare (non a caso, molto spesso i soggetti con DP Ossessivo-
Compulsivo sono collezionisti).

Il soggetto con DP Ossessivo-Compulsivo ha un’etica di lavoro intransigente, tende a lavorare


molto e a non concedersi svaghi e distrazioni; nello svolgere il proprio lavoro ha poca
propensione a chiedere la collaborazione o a delegare ad altri parte dei propri compiti per il
timore che questi non vengano svolti nel modo che egli ritiene giusto. Se accettano l’aiuto
altrui, questi devono adeguarsi ai loro standard.

 Raramente la capacità di contatto risulta spontanea e immediata, ed anzi, spesso, il soggetto


si dimostra poco sensibile ai bisogni altrui, i quali vengono interpretati rigidamente sulla base
dei propri criteri di valutazione inflessibili; in ogni caso è presente una cospicua limitazione
nell’esprimere emozioni e affetti autentici a favore di una prevalenza della sfera
cognitiva razionale.

237
24. ADOLESCENZA: PSICOLOGIA E PSICOPATOLOGIA
Oggi in DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO (ex <<Disturbi dell’Infanzia e
dell’Adolescenza>>).

Il termine Adolescenza deriva dal latino “Adolescere” che vuol dire “crescere”.

L’Adolescenza è infatti il periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta, caratterizzato da


profondi cambiamenti e contraddizioni, forieri frequentemente di tensioni e sofferenze.

Il problema fondamentale è la valutazione della crisi adolescenziale. La parola crisi deriva dal
greco “Krisis”.

In Medicina essa designa un’improvvisa perturbazione delle condizioni di salute, cui segue
una guarigione o un peggioramento.

In Psicologia si intende crisi la rottura di un equilibrio precedentemente acquisito, che impone


di modificare i comportamenti in modo da adattarli alla nuova fase e raggiungere un nuovo
equilibrio.

Secondo alcuni Autori la crisi adolescenziale è un passaggio salutare all’interno di un processo


di crescita, secondo altri essa è una fase di particolare fragilità e vulnerabilità che può
introdurre un processo patologico, più o meno reversibile.

A sostegno della prima ipotesi sta il fatto che la maggioranza degli adolescenti ha
un’evoluzione normale, a supporto della seconda ipotesi gioca l’osservazione che la maggior
parte delle malattie psichiatriche ha esordio durante l’adolescenza.

L’adolescente deve infatti affrontare una serie di profonde modificazioni biologiche,


psicologiche e sociali che trasformano la sua identità , che impongono contemporaneamente il
superamento del passato e la ricerca di una nuova identità .

238
Cambiamenti fisiologici
La pubertà è l’esito di una serie di modificazioni ormonali che determinano:

- lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari


- un vistoso accrescimento staturo-ponderale
- la comparsa della fertilità , con la conseguenze psicorelazionali che essa provoca

Dinamiche psicologiche
Le trasformazioni corporee determinate dagli eventi fisiologici di cui sopra provocano
nell’adolescente profonde sollecitazioni a livello intrapsichico e interpersonale.

L’adolescenza comporta il distacco dalle figure genitoriali e, contemporaneamente, la


rielaborazione della propria immagine corporea.

Tale processo di riorganizzazione conduce generalmente ad un’intensificazione del


narcisismo, che agevola la separazione dagli oggetti d’amore primari e crea le basi per
un’adeguata autostima, in questa fase precaria e mutevole, oscillante tra momenti di
esaltazione e fasi di ripiegamento depressivo.

La ricerca di nuovi modelli di identificazione spinge l’adolescente a rafforzare il suo legame al


gruppo dei pari.

Questo passaggio dal vecchio mondo dei valori al nuovo mondo (quello dei pari) è mediato da
nuove modalità cognitive: nell’adolescente, infatti, si assiste al passaggio dal pensiero
concreto, tipico del bambino, al pensiero formale, o ipotetico-deduttivo, caratterizzato
dalla capacità di ragionare per ipotesi, operare associazioni tra concetti e formulare principi e
teorie.

Tale costruzione di un nuovo modo di valori (gruppo di pari) e l’acquisizione di una nuova
modalità di pensiero, formale, libera gli adolescenti dalla dipendenza dagli altri, verso i quali
si esprimono, con varie sfumature, atteggiamenti di indipendenza di giudizio che esitano
finanche nel rifiuto esplicito e nell’opposizione.

Valutazione clinica dell’adolescenza


Il DSM, che ha un’ottica descrittiva, tratta la patologia adolescenziale insieme ai Disturbi
dell’Età Evolutiva e considera le Sindromi che insorgono in questo periodo come preludio
della patologia dell’adulto. Per tale ragione, l’approccio di tale manuale ai Disturbi
dell’Adolescenza risulta riduttivo, perché non coglie il significato prospettico dei sintomi e dei
comportamenti, e l’importanza di affrontare adeguatamente le tematiche conflittuali che si
impongono in tale fase dello sviluppo.

Clinica dei disturbi dell’adolescenza


E’ opportuno sottolineare alcune peculiarità dell’approccio clinico con l’adolescente.

239
Anzitutto va evidenziato che il limite tra “sano” e “patologico” è alquanto sfumato in questa
fase e che gli elementi psicopatologici che emergono nel singolo vanno rapportati al suo
contesto sociale di riferimento. Ne consegue che l’osservazione clinica dell’adolescente deve
essere integrata con le notizie che si possono raccogliere dalle figure significative della sua
esistenza: genitori, insegnanti, amici, ecc.

Questa modalità di intervento reticolare è importante non solo per acquisire dati utili per
pervenire a una corretta diagnosi, ma è anche il punto di partenza per individuare risorse e
fattori di rischio dell’ambiente di riferimento.

Da un punto concerne i dati epidemiologici, il tasso di prevalenza dei disturbi psichici


nell’adolescenza sarebbe del 5-10% di questo segmento di popolazione.

Tali patologie non sono specifiche dell’adolescenza, nel senso che in questa fase da una
parte si osserva l’evoluzione dei disturbi dell’infanzia, dall’altra l’esordio di patologie tipiche
dell’età adulta.

A tal proposito:

- La Schizofrenia in genere esordisce in età tardo adolescenziale; le forme ad esordio


più precoce hanno di solito prognosi peggiore, per la presenza di segni di “organicità ”,
che si evidenziano clinicamente con la prevalenza dei sintomi cosiddetti “negativi”.
Quando l’esordio avviene in età adulta, si ritiene che la latenza del disturbo in età
adolescenziale sia da imputare a sollecitazioni meno impegnative dall’ambiente
esterno sociale e familiare (minore emotività familiare espressa).
- I Disturbi dell’Umore presentano in età adolescenziale una prevalenza significativa.
- Il Suicidio in età adolescenziale è un fenomeo in preoccupante aumento, al punto tale
che in Occidente esso rappresenta al di sotto dei 25 anni la seconda causa di morte
dopo gli incidenti stradali.
- I quadri di Abuso e Dipendenza da sostanze psicoattive iniziano quasi sempre in età
adolescenziale e talvolta rappresentano l’epifenomeno di un Disturbo di Personalità
Borderline o Antisociale.
- I Disturbi del Comportamento Alimentare (Bulimia e Anoressia) iniziano in
adolescenza, perché le modificazioni dell’immagine corporea creano una condizione di
particolare vulnerabilità a queste patologie.
- Tra i Disturbi Somatoformi va segnalato che il Disturbo da Somatizzazione inizia in
età adolescenziale, anche se la formulazione della diagnosi avviene in una fase
successiva, così come la Dismorfofobia98.
- Tra i Disturbi d’Ansia si riscontrano talvolta quadri di GAD e DAP con prognosi
buona; viceversa quadri di Fobia Sociale e DOC, quando compaiono in adolescenza,
tendono ad un andamento cronico.
- I Disturbi dell’Identità di Genere compaiono infine sempre in età adolescenziale,
possono essere transitori o evolvere verso la stabilizzazione di un orientamento
omosessuale o di un comportamento transessuale.

98
La dismorfofobia (dal greco antico dis – morphé, forma distorta e φό βος, phobos = timore) è la fobia che nasce da una visione distorta che
si ha del proprio aspetto esteriore, causata da un'eccessiva preoccupazione della propria immagine corporea. In taluni soggetti, questa forma
fobica, può causare uno stress emozionale e incapacità di tessere adeguate ed equilibrate relazioni sociali e sessuali, con conseguente
isolamento sociale. L'individuo può sviluppare comportamenti fobico–ossessivi, talvolta dannosi per la propria salute poiché possono
evolvere in anoressia nervosa e bulimia. La dismorfofobia si sviluppa con maggiore frequenza nei soggetti con basso livello di autostima, in
genere adolescenti, sia maschi che femmine. Le preoccupazioni possono focalizzarsi sull’intero aspetto esteriore o solo su una parte
delimitata del corpo. In genere, le parti maggiormente interessate sono: seno, capelli, cosce e fianchi per le donne; torace, addome, naso,
pene, testicoli e capelli, per gli uomini.

240
Terapia
Qualunque intervento terapeutico con gli adolescenti deve tenere in considerazione il
contesto familiare, indipendentemente dalla tecnica psicoterapia utilizzata.

Per quanto concerne i trattamenti farmacologici, va ricordata una particolare cautela nel
dosare i farmaci e una grande attenzione per mantenere la cura il tempo strettamente
necessario, evitando di ridurre il progetto terapeutico esclusivamente alla somministrazione
farmacologica.

26. PSICOTERAPIA
Con il termine Psicoterapia si intende una modalità di intervento che utilizza a scopo
terapeutico strumenti di tipo psicologico, e che rivela una natura co-costruita, co-agita,
circolare e bidirezionale all’interno della quale sia il paziente che il
terapeuta/terapeuti si configurano come protagonisti-partecipatori (anche se il grado e
la modalità di partecipazione del paziente potranno variare a secondo del tipo di
psicoterapia).

La Psicoterapia è, cioè, un intervento terapeutico basato su precise coordinate teoriche e


metodologiche, uno spazio in cui un uomo sofferente si rivolge ad un altro uomo, investito di
capacità terapeutica, per avere conforto e sostegno.

Nel corso dei secoli, e nella storia di tutti i popoli, possiamo riconoscere varie figure che
incarnano in vario modo questa capacità terapeutica, attraverso dimensioni di tipo magico,
mistico, sciamanico, religioso.

Non è un caso se gli etimi di “medico”, “psichiatra” e “psicoterapeuta” richiamano, il primo il


“prendersi cura” e “il meditare”, il secondo “l’animare e l’ispirare la mente”, il terzo, “il servire
la psiche”.

La Psicoterapia è quello spazio e quella cornice in cui prendersi cura e farsi insieme e
congiuntamentedella sofferenza del paziente, attraverso un contatto profonda e una relazione
di aiuto intensa, che non stimolino nell’altro dipendenza succube e passive, né aspettative
irrealistiche di salvezza.

Teoria, tecnica, arte e relazione


Ogni psicoterapia è costituita da:

241
1) una teoria della mente dalla quale questa deriva, un modello psicologico,
metapsicologico99 e psicopatologico che si basa su una serie più o meno numerosa
di assunti, ipotesi e concetti, e che rappresenta una sorta di mappa di riferimento
attraverso la quale potersi muovere, esplorare e comprendere;
2) specifici criteri metodologici e modalità operative, attraverso i quali la coerenza
dei modelli teorici viene sottoposta a verifica; se la teoria è la mappa, queste
rappresentano gli strumenti concreti di esplorazione e di orientamento – la bussola –
attraverso cui muoversi, esplorare e comprendere; le tecniche di intervento
mantengono dunque uno stretto rapporto con la matrice teorica dalla quale si possono
fare derivare, e grazie a questi mezzi tecnici è possibile verificare la correttezza della
mappa, il suo valore conoscitivo e trasformativo.

La graduale elaborazione di un modello teorico della vita mentale, cioè, è spesso andata di
pari passo con la “sperimentazione” di quel modello nel “vivo” della relazione psicoterapica,
con tutti i possibili aggiustamenti successivi e con una circolarità incessante tra teoria e
clinica, modello ed esperienza.

Questo spiega anche come mai le teorie psicologiche sono cresciute in maniera così elevata:
autori diversi hanno gradualmente arricchito, a partire dalla loro viva esperienza clinica, le
teorizzazioni dei loro predecessori, sviluppandole da una parte e rivedendole da un’altra.

L’elemento fondamentale che connota il lavoro psicoterapico è la relazione terapeutica, cioè


il confronto, lo scambio, il dialogo, la comunicazione e la comprensione reciproca:
terapeuta e paziente portano avanti un comune lavoro, secondo i criteri concordati
congiuntamente nella fase preliminare (il contratto terapeutico).

Dunque i 3 elementi fondamentali di una Psicoterapia sono:

1. Teoria
2. Metodologia
3. Relazione

Questi tre elementi sono tra di loro inestricabilmente collegati: la teoria è la matrice della
metodologia, così come il modello relazionale di ogni psicoterapia e quindi il tipo di
interazione previsto tra psicoterapeuta e paziente è relativo ai presupposti teorici e gli
strumenti operativi che quella psicoterapia privilegia.

Larelazione terapeutica, qualsiasi sia l’approccio psicoterapico, si configura come un


incontro unico, originale e irripetibile, che si apre all’intersoggettività, in cui due
individui portano avanti insieme un progetto di conoscenza e terapia.

Ecco che allora ciò che ogni psicoterapia configura è un incontro non definibile una volta per
tutte, in cui, quindi, un dato paziente dice una data cosa a un dato terapeuta che attenziona, in
base ai suoi presupposti teorici e metodologici, specifici, gli elementi che si impongono
davanti a lui.

In tal senso la psicoterapia può essere avvicinata a un’esperienza artistica, in cui:

1) ci si avvicina, con risonanza empatica, al mistero dell’altro

99
metapsicologia Termine introdotto da S. Freud per designare quella parte della psicologia psicanalitica che costruisce un modello
astratto della struttura psichica e che si propone di descrivere i processi psichici, approfondendo le ipotesi teoriche che costituiscono la base
del sistema psicanalitico. La metapsicologia è costituita per lo più da teorie desunte dal lavoro clinico con pazienti o da osservazione diretta, e
fu sviluppata da Freud nella necessità di costruire un ampio impianto teorico per la psicoanalisi, creando così una completa teoria della
mente.

242
2) si cerca, con uno sforzo comune, di “inventare” nuove strade da percorrere verso un
adattamento migliore e una migliore possibilità di utilizzare le risorse personali
3) in cui, oltre al paziente, anche il terapeuta può trasformarsi.

Dobbiamo altresì ricordare che la Psicoterapia è un tipo di intervento che deve essere
suscettibile di valutazione degli esiti e del processo terapeutico, che quindi deve rispondere ai
criteri di obiettività , nell’ottica di strutturare interventi che siano il meno possibili
antiterapeutici e iatrogeni, e chiarire quali siano i reali fattori terapeutici.

LE PSICOTERAPIE DINAMICHE O DEL PROFONDO


Comprendono la Psicoanalisi, la Psicoterapia analitica, la Psicoterapia Dinamica Breve, la
Psicoterapia di Gruppo.

Psicoanalisi
La Psicoanalisi è il primo modello di psicoterapia che si è venuto a costituire, a partire dal
Modello Dinamico del funzionamento mentale elaborato da Freud tra il 1890 e il 1920.

 Tale modello si basa sul presupposto di:

1) una dimensione inconscia della mente


2) dinamica conflittuale intrapsichica tra forze opposte:
a) forze pulsionali libidico-aggressive dell’istanza dell’Es
b) forze superegoiche (la dimensione normativa interna che prescrive e
proscrive, riproducendo a livello interiore il mondo delle leggi e dei divieti
imposti dalla cultura e dalla società)
c) componenti consce e inconsce (meccanismi di difesa) dell’Io, il centro
decisionale della personalità, la sede dell’identità personale e il mediatore
tra le opposte tendenze dell’Es (istinti) ed il Super-Io
d) richieste della società.

I sentimenti e i desideri inaccettabili, e quindi conflittuali, così come il senso di colpa scaturito
dall’azione censoria del Super-Io, subiscono la manipolazione dei sistemi difensivi messi in
opera dall’Io per evitare il loro accesso alla coscienza. Più queste operazioni difensive si
irrigidiscono, sottraendo alla coscienza parti della vita psichica, più compariranno
manifestazioni nevrotiche che, nell’ottica psicoanalitica, rappresentano quindi manifestazioni
mascherate del conflitto intrapsichico sottostante.

Il sintomo nevrotico è quindi un’espressione simbolica e camuffata delle rappresentazioni


pulsionali rimosse e, attraverso il disagio e le limitazioni che esso provoca, realizza un
soddisfacimento sostitutivo dei bisogni di punizione superegoici.

La Psicoanalisi è allo stesso tempo:

1) teoria della mente


2) metodo attraverso cui conoscere e studiare i processi mentali
3) terapia dei disturbi psichici

243
La Psicoanalisi è finalizzata ad aumentare il grado di conoscenza che il paziente ha di se
stesso, è finalizzata all’abreazione dell’inconscio, portare l’Io laddove era l’Es.

 Uno dei mezzi principali utilizzati dalla terapia psiconalitica è l’interpretazione, attraverso
cui vengono collegati aspetti consci a dinamismi inconsci.

 Questo lavoro di interpretazione viene condotto anche sui sogni, che Freud considera la via
regia per lo studio dell’inconscio: decodificando il simbolismo onirico, per cui i contenuti
originari del sogno sono sottoposti, attraverso il “lavoro onirico”, a un processo di
occultamento e criptazione che li maschera nelle scene, nelle situazioni e nei personaggi dei
sogni, il soggetto potrà lasciare emergere e prendere consapevolezza delle sue difficoltà
intrapsichiche.

 Un aspetto importante della teoria e della terapia psicoanalitica è il concetto di Transfert. Il


transfert è la riproposizione delle figure affettivamente significative nella figura del terapeuta,
la riattualizzazione di affetti, quindi pulsioni libidico-aggressive, sperimentati nei confronti
delle figure primarie e riattualizzate nel hic et nunc della relazione terapeutica sull’analista; il
transfert è quindi un falso nesso, è la riedizione del passato, riproposizione di problematiche
infantili, e la sua interpretazione (“interpretazione del transfert”) segna il superamento della
“nevrosi da transfert” e apre spiragli di conoscenza introspettiva fondamentali ai fini
dell’abreazione dell’inconscio.

 Nella Psicoanalisi il Setting assume un valore fondamentale. Esso rappresenta l’insieme dei
parametri spazio-tempo-relazionali che si mantengono costanti, la cornice, sottoposta al
minor numero di variabili possibili, dentro la quale i vissuti e le produzioni del pazienti
prendono forma e si attualizzano, e possono essere visualizzati, compresi, letti e interpretati.

Le regole del setting, concordate all’inzio del contratto terapeutico, vincolano terapeuta e
paziente, e si pongono come garanzia reciproca di disponibilità e partecipazione al processo
terapeutico.

La psicoterapia junghiana
La psicoterapia junghiana, se da una parte condivide alcuni elementi teorici fondamentali con
l’impostazione freudiana, per altri se ne differenzia significativamente.

Jung, sopo un periodo di collaborazione con Freud, se ne distaccò per via di alcune divergenze
sostanziali che riguardavano:

1) il rifiuto del primato che Freud attribuiva alla teoria pulsionale


2) la connotazione della libido come energia ad esclusivo carattere sessuale
3) il biologismo freudiano, figlio del modello positivista allora dominante, per cui le
pulsioni erano qualcosa a cavallo tra lo psichico e il corporeo.

Jung invece tende a:

1) affrontare i fenomeni psichici “dal punto di vista della psiche”, tenta cioè di postulare
una relativa autonomia dello psichico dal biologico
2) amplia il concetto di libido, dandogli il significato di energia psichica generale e non
solo sessuale

244
3) individua nell’uomo una spinta esistenziale evolutiva, una spinta innata al progresso e
alla realizzazione delle potenzialità interiori, una tendenza ad accedere al mondo dei
significati; questa spinta fu chiamata da Jung processo di individuazione, e fu legata a
una funzione trascendentale, religiosa (da re-ligare), simbolica (da )
del Sé, Imago Dei, immagine di Dio in ognuno, centro di sintesi delle polarità
opposte dell’Io (Persona) e del non conosciuto (Ombra, Animus, Anima),
attraverso cui poter passare dalla “perfezione tutta esteriore” (identificazione totale,
fusione e confusione con la Persona) alla completezza (in quanto armonizzazione,
incontro, sintesi, integrazione con le parti oscure, ombrose del proprio Sé).

 A partire da questa elaborazione teorica, la psicoterapia junghiana sottolinea come l’uomo,


oltre a essere influenzato dal passato, come aveva affermato Freud, è anche e soprattutto
influenzato dal futuro, da ciò che deve ancora essere vissuto, dalle aspettative e dalle mete che
si va costruendo. Secondo Jung, quindi, l’uomo non deve cercare di armonizzarsi con il passato
(abreazione dell’inconscio) ma deve cercare di dispiegare e attualizzare le componenti
autentiche e originali della propria individualità , gli elementi in nuce, che cercano ancora una
realizzazione.

 Un altro contributo fondamentale di Jung è la teorizzazione di una dimensione inconscia più


profonda di quella dell’inconscio personale, l’Inconscio Collettivo, magazzino in cui si
sedimentano e si sintetizzano le esperienze e i motivi psichici comuni e universali, gli
Archetipi, condivisi al di là dei fattori di razza, cultura, provenienza geografica, e
manifestantesi nei miti, nelle leggende, nei sogni, nelle creazioni artistiche.

A partire dalle esperienze relazionali personali, i temi esistenziali di ciascuno, prendono


forma i complessi a tonalità affettiva i quali introducono all’interno del dinamismo psichico
gli Archetipi che, una volta attivati, portano avanti, diceva Jung, una sorta di dramma che
aspira a compiersi, orientano la comprensione e l’organizzazione della realtà , il
comportamento, il sentire, il fare, il percepire; possiamo ipotizzare che l’archetipo della madre
si attivi nella donna che vive l’esperienza concreta del divenire madre, predisponendola alla
relazione biologica, affettiva e psicologica col bambino; un soggetto può vivere sotto il
dominio dall’archetipo della vittima sacrificale diventando l’individuo da sacrificare
costantemente, o sotto il dominio dell’archetipo della pecora nera, ed essere quindi
considerato sempre il diverso, o uno psicoterapeuta sotto il dominio dell’archetipo del
salvatore.

 La Psicoterapia junghiana quindi si muove sempre su due piani:

1) interpretazione causale, propria della Psicoanalisi e orientata alle tracce storiche


della psiche individuale;
2) interpretazione sintetico-costruttiva, orientata alle tracce del futuro e allo sviluppo
della personalità , che forse il paziente cerca di eludere; questo approccio mira a
trovare “il senso ultimo dell’esperienza”, mira a integrare la personalità in una totalità .

Psicoterapia adleriana
Alfred Adler fu, come Jung, un collaboratore di Freud, ma successivamente sviluppò una sua
personale impostazione teorica e terapeutica, secondo la quale l’origine del disagio nevrotico
va ricercato nel sentimento di inferiorità dell’uomo e nelle successive compensazioni
nevrotiche che vengono attivate per farvi fronte, un insieme di arrangiamenti che consentono

245
di affrontare al meglio il mondo e controbilanciare l’atavica inferiorità , elaborando un stile di
vita che ha come obiettivo la “volontà di potenza”.

L’uomo quindi intende contrastare l’inferiorità cercando di acquisire valore e potenza, e il


disturbo nevrotico sarebbe una strategia elaborata in tal senso.

Scopo della terapia è consentire al paziente di diventare consapevole delle difese e delle
strategie nevrotiche che contrastano la volontà di potenza, l’acquisizione di valore e potenza.

Il terapeuta avrà anche la funzione di favorire il rapporto con il sociale, sollecitando una
spinta innata che porta l’uomo, liberato dalle proprie nevrosi, verso la collaborazione e la
condivisione.

La psicoterapia psicoanalitica
Le Psicoterapie psicoanalitiche (P.P.) sono anche dette Psicoterapie psicoanaliticamente
orientate, Psicoterapie psicodinamiche, Psicoterapie Esplorative.

Vantaggi di una Psicoterapia Psicoanalitica consistono:

- minore dispendiosità
- possibilità di utilizzare setting meno rigidi
- estendere la metodologia di lavoro analitica a patologie non suscettibili di presa in
carico in una Psicoanalisi classica

La P.P. è dunque una forma modificata di terapia analitica, che può essere a breve o a lungo
termine.

Va sottolineato che la crescente tendenza a ottimizzare i costi in ambito sanitario e nel


contesto della Salute Mentale ha alimentato con sempre più forza forme di intervento
psicoterapico meno complessi, a tempo breve e con obiettivi, quindi, più rapidamente
perseguibili.

Gli strumenti di una P.P. sono rappresentati da:


1) interpretazione delle difese
2) analisi del transfert
3) libere associazioni
4) tecniche di tipo supportivo, come la chiarificazione

In un P.P., rispetto alla Psicoanalisi classica:

1) gli obiettivi sono più ristretti


2) vengono reclutati pazienti con disturbi più gravi (borderline e narcisisti, per esempio)
3) le sedute settimanali sono minori come numero, da una a tre
4) il setting prevede, più che l’uso del lettino, la posizione vis a vis

Psicoterapia di gruppo
E’ una modalità di trattamento psicoterapico che, sia per la sua dimostrata efficacia, sia per i
suoi costi contenuti, si va sempre più largamente diffondendo.

246
Il numero di pazienti è di solito 10-12, gli incontri una volta la settimana, vi è un terapeuta e a
volta anche un co-terapeuta che guidano la seduta, sovente coadiuvati da osservatori silenti.

Al di là delle diversità tecniche scaturite dai differenti modelli teorici alla base di ogni
orientamento psicoterapico gruppale, è possibile cogliere alcuni fattori terapeutici comuni
come la risonanza, il rispecchiamento, l’infusione della speranza, la condivisione, il clima, che
consentono:

- sviluppo delle capacità di socializzazione


- l’emersione, la lettura, la comprensione e il cambiamento di modelli relazionali interni
- a partire dalla riproposizione del gruppo familiare all’interno dello spazio gruppale
terapeutico, esperienze emotivamente correttive

La psicoterapia gruppale lavora sull’importanza delle relazioni interpersonali per lo sviluppo


psicologico, sano o patologico. Il gruppo costituisce ben presto una sorta di microcosmo
sociale dove ogni membro tende a riproporre le prime dinamiche interpersonali interne, i
M.O.I., con una possibilità di sviluppare una comprensione più profonda di queste all’interno
di questa sorta di laboratorio sperimentale.

Interessante l’idea gruppo analitica di una dimensione inconscia gruppale, trans personale, in
quanto mente di gruppo, matrice di significati che si costituisce a partire dalle interazioni
intragruppali.

Psicoterapia di sostegno o supportiva


La Psicoterapia Supportiva tenta di aiutare il paziente a mantenere o a ristabilire il miglior
livello di funzionamento psicologico possibile; mira a fornire supporto all’Io, rafforzando e
non analizzando le difese, un sostegno emotivo al paziente attraverso un intervento attivo del
terapeuta che guida, consiglia e, se necessario, dirige.

Le tecniche utilizzate vanno dal rinforzo alla rassicurazione.

I pazienti a cui viene proposta una terapia supportava sono dotati di:

- uno scarso esame di realtà


- cattivo controllo degli impulsi
- scarso livello di socializzazione
- scarse capacità di sublimazione (capacità di incanalare le energie in attività creative e
socialmente utili)
- debole capacità di introspezione
- scarsa fiducia nelle proprie possibilità
- soggetti alexitimici, incapaci di trovare le parole per esprimere le proprie emozioni e a
rischio di malattie psicosomatiche.

Ipnosi
V. Libro pag. 296.

247
La Psicoterapia Cognitiva
V. Libro pag. 296-7.

Psicoterapia comportamentale
V. Libro pag. 297-8.

Psicoterapia Sistemico-Relazionale
V. Libro pag. 298-9-300.

28-29-30. LA LEGISLAZIONE PSICHIATRICA


Nell’ambito dell’Assistenza Psichiatrica abbiamo assistito al passaggio da una concezione
custodialistica e segregativa del malato mentale – collocato all’interno degli Ospedali
Psichiatrici e delle Istituzioni manicomiali – ad un modello teso a promuovere la tutela e lo
sviluppo della Salute Mentale.

Nel mondo romano il folle era visto come vicino alla divinità .

Nel mondo greco viene riconosciuta alla follia la stessa natura di qualsiasi malattia, perdendo
per questo il suo carattere sacro.

Nel Medioevo parecchi pazienti psichiatrici vengono giudicati streghe e uccisi dalla Santa
Inquisizione.
Nell’età moderna, per lungo tempo, il paziente psichiatrico era assimilato al “folle”, fortemente
stigmatizzato, minaccia sociale da allontanare e rimuovere, secondo un criterio di
<<razionalità /produttività >>: l’obiettivo non era quindi quello di aiutare il paziente ma
tutelare la società .

La Legge Giolitti del 1904


La Legge Giolitti del 1904 fu la prima legge italiana “sui manicomi e sugli alienati”. La legge:

1. riconosce il potere sovrano del direttore del manicomio


2. regolamenta le condizioni per l’ammissione, prevedendo il ricovero coatto, e per la
dimissione
3. sancisce il legame tra la malattia mentale e la pericolosità

A proposito dell’ultimo punto, la Legge Giolitti infatti stabiliva come criterio di internamento
la <<pericolosità sociale e il pubblico scandalo>>: decretava l’ingresso in manicomio perché

248
pericolosi e scandalosi, dimostrandosi strumento di protezione dal "matto" per la società e
non di difesa dei bisogni e dei diritti del malato.

Il ricovero prevedeva la perdita dei diritti civili e politici del malato di mente e, dopo la
dimissione, era sorvegliato dalla polizia; negli ospedali psichiatrici venivano utilizzati
l'elettroshock, il coma insulinico.

La Legge 431 del 1968 (Legge Mariotti)


• Per la prima volta il “malato di mente” è una personacon una malattia pari alle altre
• Possibilità di trasformare il ricovero coatto in volontario, previo accertamento del consenso
della persona.

Un momento fondamentale di svolta dell’Assistenza Psichiatrica è rappresentato dalla Legge


n.180/1978, alla quale ci si riferisce comunementecon l'associazione al nome di Franco
Basaglia, lo psichiatra artefice e promotore della riforma psichiatrica in Italia.

Questo, ispirandosi alle idee dello psichiatra ungherese Thomas Szasz, s'impegnò nel compito
di riformare l'organizzazione dell'assistenza psichiatrica, proponendo un superamento della
logica manicomiale.

Basaglia denunciò all’opinione pubblica ciò che succedeva nei manicomi, dove i malati erano
spesso immobilizzati, legati alle panchine e puniti con l’elettroshock. Lo psichiatra sosteneva
che <<un malato entra nel manicomio come persona per diventare una cosa>>, sottolineando
la disumanizzazione del malato mentale all’interno degli istituti manicomiali.

L’assistenza psichiatrica è attualmente regolata dalla legge n.833/1978 (Istituzione del


Servizio Sanitario Nazionale), che ha promosso un nuovo ordinamento della sanità italiana e
che ha recepito la Legge n.180/1978 (Accertamenti e Trattamenti Sanitari Volontari ed
Obbligatori).

Lalegge n.180/1978100
Come visto, ha modificato in modo radicale la regolamentazione dell’assistenza psichiatrica in
Italia: la vecchia legislazione era custodialistica, mentre l’attuale considera il malato di mente
alla stregua degli altri malati, riconoscendogli gli stessi diritti.

 L’Art.1 della Legge 180assimila il ricovero senza il consenso del paziente (Trattamento
Sanitario Obbligatorio T.S.O.) ai ricoveri obbligatori per motivi sanitari, come nel caso di
colera, ad esempio.

Non si menziona più il concetto di pericolosità sociale del malato di mente.

 L’Art.2 indica le tre condizioni essenziali per attuare un T.S.O.:

1) presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere interventi terapeutici urgenti (il


paziente rappresenta un pericolo per se stesso e per gli altri); il TSO quindi è una

100
La legge Basaglia non va ridotta esclusivamente all’introduzione del TSO perché altri sono i suoi aspetti innovativi

249
procedura attivabile solo in condizione di grave urgenza, gravità e inevitabilità , sempre
e comunque dopo aver ricercato il consenso del paziente per un intervento volontario
e nella massimo tutela dei diritti di questo;
2) rifiuto di tali misure da parte del paziente;
3) assenza di condizioni che consentano di applicare gli interventi sanitari in contesto
extra-ospedaliero.

L’iter di un T.S.O. è il seguente:

a. Il T.S.O. viene proposto e motivato da un medico


b. La proposta motivata del medico deve poi essere convalidata da un sanitario (medico)
che opera nella struttura sanitaria pubblica (Servizio Pubblico)
c. Successivamente il Sindaco, nella qualità di massima Autorità Sanitaria Locale, notifica
entro 48 ore dal ricovero il provvedimento al Giudice Tutelare nella cui circoscrizione
rientra il comune.

Il T.S.O. dura 7 giorni, e il suo prolungamento o la sua sospensione devono essere comunicati
al Sindaco e al Giudice Tutelare.

 L’Art.6 prevede l’istituzione, all’interno degli Ospedali Generali, degli S.P.D.C. (Servizi
Psichiatrici di Diagnosi e Cura), che devono essere dotati di un numero di posti letto non
superiore a 15, per evitare l’eccessiva concentrazione dei malati.

Gli S.P.D.C. devono essere collegati funzionalmente, in forma dipartimentale, con gli altri
Servizi Territoriali (collegato cioè funzionalmente alle altre strutture facenti parte del D.S.M.).

 Gli Art.7 e 8 disponevano il trasferimento dalle Province alle Regioni delle competenze in
materia di assistenza psichiatrica, creando le premesse, poi recepite dalla Legge n.833/1978,
dell’inserimento a pieno titolo della Psichiatria nel Servizio Sanitario Nazionale.

In questi articoli, inoltre, si vietava la costruzione di nuovi Ospedali Psichiatrici e l’ammissione


di nuovi pazienti in quelli già esistenti.

Gli aspetti innovativi quindi della Legge 180 sono:


1. Graduale superamento del manicomio (blocco dei nuovi ricoveri negli Ospedali
Psichiatrici);
2. Creazione di Servizi Psichiatrici Territoriali alternativi al modello assistenziale-
custodialista centrato sul manicomio (quindi spostamento dell’assistenza psichiatrica
sul territorio) in cui gli operatori hanno responsabilità sulla cura e l’assistenza
psichiatrica dei residenti;
3. Integrazione della psichiatria con il Sistema Nazionale Sanitario, che ha portato alla
costituzione degli SPDC all’interno degli Ospedali Generali, come parte integrante del
D.S.M., dotati di non più di 15 posti letto, dove effettuare tutti i ricoveri psichiatrici,
volontari e/o obbligatori;
4. Regolamentazione delle procedure relative ai TSO, da considerare sempre, è bene
ricordarlo, eventi straordinari.
5. Destigmatizzazione della malattia mentale (superamento del concetto di “pericolosità
sociale”)
6. Riconoscimento e tutela della dignità al malato mentale (a differenza della Legge
Giolitti che tutelava la società ): la Legge 180 sottolinea la necessità di mettere a punto
progetti terapeutici che siano il più possibile individualizzati e aderenti alle
potenzialità /risorse e necessità del malato mentale

250
7. Riconoscimento delle competenze e delle responsabilità degli operatori

In sintesi, i punti qualificanti di questa Legge sono:

1) l’omologazione del paziente psichiatrico al malato con altre patologie (Art.1)


2) Il superamento dell’Istituzione Ospedale Psichiatrico come luogo centrale di cura e lo
spostamento sul Territorio del fulcro dell’assistenza psichiatrica.

I principi ispiratori e le linee direttive della Legge 180 hanno avviato una svolta radicale nelle
modalità di Assistenza e Cura del malato mentale.

Tuttavia, accanto a questi indiscutibili pregi, la Legge ha evidenziato alcuni difetti:

a. la frettolosa approvazione della Legge, per evitare un referendum popolare sulla


chiusura degli Ospedali Psichiatrici, non ha consentito una corretta valutazione dei
costi di applicazione della Legge, e ha portato pertanto a un conseguente ritardato
stanziamento dei fondi necessari
b. L’iter per un T.S.O., al fine di evitare abusi o ricorsi, appare in atto molto lungo
c. La mancanza di una normativa nazionale che regolamenti l’applicazione della Legge
180 ha determinato un’attuazione alquanto difforme nelle varie regioni italiane.
Per ovviare a questo inconveniente, nel 1994 è stato promulgato il Progetto-
Obiettivoper la Salute Mentale, che dovrebbe consentire un’applicazione uniforme
su tutto il territorio nazionale dell’assistenza psichiatrica.

La Legge n.724 del 1994, all’Art.3 comma 5 fissa al 31 Dicembre 1996 la data per la
definitiva chiusura e dismissione dei residui manicomiali.

L’ASSISTENZA PSICHIATRICA OGGI


Posti i cambiamenti in termini legislativi prima discussi, oggi gli Obiettivi fondamentali
dell’Assistenza Psichiatrica sono:

- la presa in carico dei pazienti che presentano le varie espressioni del disturbo
psichico, dalle forme più gravi alle forme più lievi e la loro:
a. prevenzione
b. cura
c. riabilitazione
d. reinserimento sociale
- Il supporto all’ambiente di riferimento del paziente, nell’ottica di un intervento
olistico che si faccia carico del “malato mentale” in quanto totalità bio-psico-sociale

Gli Obiettivi di cui sopra vengono perseguiti attraverso specifici fondamenti metodologici,
ovvero attraverso:

1) un intervento terapeutico continuo nello spazio e nel tempo, capace cioè di seguire
l’evoluzione dell’utente nei vari luoghi e momenti del trattamento - dall’ospedale alle
strutture intermedie, fino al reinserimento sociale, lavorativo e domiciliare -.

251
2) la presenza di un’equipe multi-professionale che tenga conto della poli-fattorialità
del disturbo psichico, specie nella forma psicotica dove si rendono necessari interventi
di carattere biologico, psicologico e sociale, e composta da:
a. psichiatra
b. psicologo
c. assistente sociale
d. educatore
e. terapista della riabilitazione
f. infermiere

Quanto sopra delinea un’Assistenza Psichiatrica multimodale/multilivello, intesa cioè


come una serie di interventi eterogenei, multiprofessionali ma tra loro integrati, finalizzati
alla (1) presa in carico, (2) assistenza e (3) riabilitazione del paziente, nella sua totalità bio-
psico-relazionale, quindi estesi anche al suo contesto familiare di riferimento.

LA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA
La definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dà della Riabilitazione è la
seguente:

“La Riabilitazione Psichiatrica si riferisce a quel campo di azioni e di interventi volti ad


alleviare le menomazioni, le disabilità e gli handicaps degli individui con disturbi
mentali e migliorare, nei limiti del possibile, la qualità della loro vita”.

A partire da questa definizione:

1) per Menomazione si intende “la limitazione funzionale derivante dalla malattia” – in


termini di perdita o riduzione di una funzione psichica, o della funzionalità di un
organo o di un apparato -.
2) Per Disabilità si intende “la riduzione delle capacità del soggetto di rispondere alle
sollecitazioni legate al suo ruolo sociale”, quindi il deterioramento che la malattia
comporta in termini di:
a. cura di sé
b. qualità delle relazioni familiari, affettive, amicali (sfera relazionale)
c. competenze lavorative (sfera lavorativa)
d. comportamenti sociali disfunzionali (sfera sociale)
3) L’Handicap (letteralmente: svantaggio) è “la conseguenza sociale della disabilità , la
risposta sociale alla disabilità dell’individuo, che lo rende meno competitivo rispetto
agli altri”.
L’handicap è legato al giudizio sociale, ai pregiudizi, e può anche insorgere
indipendentemente da una reale disabilità , come accade in molte malattie croniche.

In sintesi quindi:

a. la malattia determina una menomazione funzionale (d’organo, d’apparato, psichica)


b. questa determina una disabilitò , riduce cioè le capacità del soggetto di rispondere alle
sollecitazioni sociali, deteriora la competenza relazionale, sociale e lavorativa del
soggetto

252
c. questa sottopone al giudizio sociale, e al pregiudizio, per cui il soggetto diventa meno
competitivo, portatore di un handicap, quindi svantaggiato.

Quindi:

La Riabilitazione mira a favorire la riacquisizione di capacità perdute, attraverso


interventi complessi e integrati, quindi reticolari, condotti sia a livello individuale che
ambientale, quindi olistici, e centrati cioè su tutto ciò che costituisce la vita quotidiana
del malato.

L’evoluzione delle conoscenze in campo biologico e psicologico, l’avvento dell’era


farmacologica, le rivoluzioni in campo culturale e sociale della fase post-manicomiale, hanno
portato negli anni all’affinamento degli strumenti di intervento in campo psichiatrico, e
modificato in modo decisivo il decorso, la storia e l’evoluzione della malattia psichiatrica.

La Riabilitazione ha come Obiettivi:

1) promuovere la massima integrazione dell’individuo con la famiglia e la comunità di


riferimento;
2) prevenire e/o diminuire la disabilità – intesa come deterioramento del funzionamento
sociale e lavorativo -;
3) ridurre le ricadute (minore cronicizzazione);
4) promuovere la partecipazione dell’individuo alla sua riabilitazione, nella logica di un
intervento coinvolgente e non passivizzante.

La Riabilitazione è rivolta:

a. alle varie forme di Schizofrenia


b. ai gravi Disturbi di Personalità
c. ai quadri clinici da Abuso di sostanze psicotrope

La Riabilitazione della Schizofrenia Cronica


Si basa su alcuni punti fondamentali:

1) Non esiste un progetto riabilitativo standardizzato, ma occorre di volta in volta


identificare e valutare le disabilità psicosociali del soggetto, e adattare l’intervento
riabilitativo a queste.

2) Ogni intervento deve prevedere per ogni paziente un periodo di permanenza di durata
variabile, di solito non predeterminabile, in una struttura che eroga assistenza in regime di
degenza totale o parziale (Strutture Residenziali o Semi-residenziali).

3) In tale lasso di tempo, occorre mantenere un’adeguata osmosi con l’ambiente di


riferimento del paziente, che va contemporaneamente potenziato, così da non recidere i
legami tra questo e il paziente, ma garantendo, anzi, la possibilità a quest’ultimo di trasferire
in una fase successiva le abilità apprese all’interno del contesto familiare e sociale di
riferimento.

La Riabilitazione, come intervento di presa in carico di cura, ha remote origini.

253
Com’è noto si impose poi la tesi di una cura in un’Istituzione “Forte e Totale” come l’Ospedale
Psichiatrico, a partire da due esigenze fondamentali:

1. l’esigenza di razionalizzare la cura dei malati e sottoporli a una attenta, rigorosa e


prolungata osservazione
2. l’esigenza della società civile di separare la malattia mentale, confinandola in
un’Istituzione totalizzante.

Gli Ospedali Psichiatrici hanno così rappresentato per lungo tempo la migliore risposta sociale
alla malattia mentale.

I progressi che la Psichiatria ha fatto in campo biologico e psicologico hanno determinato una
nuova sensibilità sociale verso il malato di mente (i fattori di cambiamento biologici,
psicologici e sociali prima discussi), e il tramonto dell’idea che l’Ospedale Psichiatrico fosse
un’Istituzione Terapeutica.

Questa rivoluzione dei trattamenti psichiatrici aprì il problema di tutti quei pazienti che dopo
anni di permanenza in un Ospedale Psichiatrico si erano “istituzionalizzati”, avevano cioè
strutturato una “Sindrome da Istituzione”.

Per essi venne avviato un programma di de-istituzionalizzazione che, salvo rari casi, diede
esito negativo, in quanto la maggior parte di essi erano privi di famiglie in grado di
riaccogliergli al loro interno.

Pertanto, con i vecchi ricoverati venne avviato un programma riabilitativo che mirasse alla
riacquisizione delle capacità perdute.

Per quanto riguarda la riabilitazione psichiatrica è possibile distinguere alcuni modelli


fondamentali:

A- Il modello comportamentale della riabilitazione


1) fa riferimento a Liberman e Green
2) il suo assunto di base poggia sul principio che i pazienti possano essere “educati”
nel comportamento per migliorare le capacità sociali in specifiche realtà
interpersonali (sociali skills training)
3) tecniche utilizzate sono:
a. giochi di ruolo (role playing)
b. risoluzione di problemi (problem solving)
4) vantaggi: precisione e standardizzazione dei programmi finalizzati a raggiungere
obiettivi verificabili
5) limiti: scarsa attenzione al mondo interno del paziente e alle sue interazioni sociali
(lavoro, cioè, non in osmosi col contesto familiare e sociale del malato).

B- Modello psicosociale della riabilitazione


1) fa riferimento a Spivak
2) nucleo teorico fondamentale è l’attenzione verso l’interazione tra:
a. paziente
b. la sua disabilità
c. mondo circostante (contesto sociale)

254
- il programma individuale viene integrato da una terapia familiare definita “strategia
integrata multicontestuale”
- viene riservata grande importanza allo stile di “emotività espressa” del contesto di
provenienza
- vantaggi: tentativo di integrazione di più modelli
- limiti: scarsa attenzione ai vissuti psicologici e psicopatologici soggettivi della
disabilità

C- Modello “Centrato sull’individuo”


1) interazione sinergica del trattamento riabilitativo con quello psicoterapico
individuale
2) particolare attenzione al mondo del singolo, ai suoi vissuti, alla sue cause interne di
disabilità (quindi ai vissuti interiori che determinano e si legano le disfunzioni
comportamentali, sociali e relazionali)
3) obiettivo principale è l’apprendimento di strategie in grado di ristrutturare il
proprio comportamento
4) vantaggio: personalizzazione di ogni percorso riabilitativo
5) limiti: difficile conciliazione tra programma terapeutico e riabilitativo; scarsa
attenzione al mondo esterno del paziente.

LE RISORSE DELLA RIABILITAZIONE


Abbiamo assistito nel tempo a un profondo cambiamentodei presupposti teorici, operativi, dei
tempi e dei luoghi della Assistenza Psichiatrica.

Le risorse (che diventano poi punti critici se non sufficientemente sfruttate) della
riabilitazione psichiatrica sono oggi:

1) le risorse interne del singolo operatore, attraverso cui questo fa fronte alle
incognite e alla difficoltà che inevitabilmente si presentano nel lavoro con la sofferenza
mentale, e sintetizzabili attraverso 3 metafore:
a. Metafora del missionario: spinta a realizzare nella pratica i principi, gli ideali, e i
valori in cui crede e che lo motivano fortemente;
b. Metafora del commerciante: Capacità di coinvolgere enti pubblici e privati,
ottimizzare i costi, promuovere la massima efficienza del progetto riabilitativo, la
creazione di opportunità lavorative per gli utenti, in grado anche di attivare risorse
economiche.
c. Metaofora del cacciatore: Attenzione, pazienza e costanza, determinazione e
passione per il proprio lavoro, capacità di utilizzare l’esperienza maturata, di
migliorare di continuo i propri strumenti e le proprie strategie e di perseguire gli
obiettivi fissati.
2) le risorse dell’equipe multiprofessionale: la riabilitazione psichiatrica richiede una
precisa capacità a interfacciare e intrecciare modelli e saperi, una disponibilità a
confrontarsi con operatori di diversa estrazione, formazione e che utilizzano strumenti
e procedure disomogenee che si svolgono presso differenti strutture.

255
Nell’ambito riabilitativo è quindi fondamentale l’attitudine al lavoro multidisciplinare e
integrato.
3) risorse a livello familiare: i familiari devono essere considerati vere e proprie
variabili per l’esito riabilitativo; come affermato da Anthony e Cohen, il possesso - e il
potenziamento in ambito riabilitativo - di abilità e conoscenze utili ad affrontare la
malattia del congiunto influenza notevolmente i risultati del trattamento.
Quanto detto dimostra la necessità di coinvolgere la famiglia nel cammino riabilitativo
del proprio congiunto, in quanto risorsa preziosa.
L’intervento sulla famiglia mira:
- individuare ed eliminare, o attenuare, aspetti perversi del sistema relazionale
familiare (alta emotività familiare espressa).
- potenziare la capacità della famiglia di funzionare come anello di congiunzione e
mediazione tra il congiunto e la comunità esterna
- offrire un sopporto per lo stress cronico determinato dalla presenza continuo del
congiunto
- educare/aiutare a riconoscere e ad affrontare in modo costruttivo certi
comportamenti bizzarri o disfunzionali del familiare (intervento psico-educativo).
Tali obiettivi sono raggiungibili con la messa in atto di uno o più dei seguenti
metodi di lavoro:
a. terapia familiare
b. interventi domiciliari
c. costituzione di gruppi di auto-aiuto di discussione e sostegno
4) Risorse a livello sociale e ambientale: capacità di interfacciare i progetti riabilitativi
con le agenzie e le imprese pubbliche, le agenzie di volontariato; fondamentale a tal
fine è la capacità dell’equipe di orientarsi nel campo sociale e politico-economico, con
un atteggiamento operativo (metafora del commerciante), improntato alla iniziativa,
creatività , alla capacità di mediazione e di negoziazione.

I LUOGHI DELLA RIABILITAZIONE


Oggi non si parla più di luogo della riabilitazione ma di luoghi della riabilitazione. I luoghi
della riabilitazione sono i luoghi della cura, lo spazio dove viene trattata la malattia mentale.

Quando la malattia era confinata in un’Istituzione Forte e Totale come l’Ospedale Psichiatrico,
questo era il luogo della diagnosi, della terapia e della riabilitazione. Queste Istituzioni si
connotavano come vere e proprie cittadelle autosufficienti, tanto che, ad esempio, l’Ospedale
Psichiatrico di Volterra coniò addirittura una moneta che serviva per lo scambio di beni e per
il pagamento dei Servizi.

La risposta terapeutica non era calibrata sui bisogni individuali, ma le regole erano rigide e
miravano a uniformare i comportamenti dei ricoverati.

Il tramonto dell’idea del manicomio come spazio terapeutico e curativo, ha trasferito la


maggior parte degli interventi sul territorio; a parte gli episodi acuti, che vengono curati nei
Servizi di Psichiatria all’interno degli Ospedali Generali (SPDC), pertanto, la malattia mentale
viene ora trattata nelle cosiddette Strutture Intermedie, intese come luoghi di cura non più
separati, ma integrati con gli spazi in cui vivono i soggetti sani.

256
La Riabilitazione coinvolge oggi numerosi luoghi, spazi e tempi, diverse risorse umane –
dislocate in vari spazi sociali e ambientali -, agenzie pubbliche e private, impone quindi un
lavoro di equipe e multiprofessionale.

 L’Assistenza Psichiatrica prevede oggi attività sul territorio e attività ospedaliere. Il centro
vitale di tutte le attività territoriali ed ospedaliere dell’assistenza psichiatrica è il
Dipartimento di Salute Mentale (D.S.M.). Il D.S.M. deve avere un bacino di utenza non
superiore ai 150.000 abitanti e, per assicurare gli interventi di prevenzione, cura,
riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo, deve essere dotato delle seguenti strutture:

1) Centro di Salute Mentale (C.S.M.)


2) SPDC, dotato di un posto letto ogni 10.000 abitanti (quindi 15)
3) Centro Diurno, dotato di un posto letto ogni 10.000 abitanti, per attività in regime
semiresidenziale (quindi 15)
4) Strutture Residenziali con recettività di almeno un posto ogni 10.000 abitanti
5) Organico pluriprofessionale, che consta di almeno un operatore ogni 1.500 abitanti,
tra cui:
a. Psichiatra, presente in tutti i Servizi tranne in Neuropsichiatria Infantile. È
responsabile degli interventi clinici e farmacologici, di tutti gli aspetti medico-legali
e conduce trattamenti psicoterapici
b. Psicologo, presente in tutti i Servizi, ha competenze in psicologia clinica e
diagnostica. Conduce trattamenti psicoterapici collabora con tutte le altre figure
professionali nelle attività riabilitative e di prevenzione
c. Pedagogista, presente soprattutto nei Servizi di NPI (neuroPsichiatria Infantile). Ha
competenze nelle aree dello sviluppo e dell’apprendimento dell’età evolutiva e
dell’età adulta.
d. Assistente Sociale, in tutti i servizi, ha funzione di ascolto, consulenza e sostegno
familiare per problematiche sociali e assistenziali.
e. Educatore, Infermiere professionale- Ausiliario socio-sanitario

Il Centro di Salute Mentale (CSM)è il centrodi primo riferimento per i cittadini con disagio
psichico. E’ la sede che coordina tutti gli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione dei
cittadini che presentano patologie psichiatriche all’interno del DSM di competenza.
Al Centro fa capo un’équipe multiprofessionale costituita almeno da uno psichiatra, uno
psicologo, un assistente sociale e un infermiere professionale.

Il C.S.M. è attivo almeno 12 ore al giorno, per 6 giorni alla settimana, e svolge attività di
consulenza e promuove interventi ambulatoriali e/o domiciliari.

Nello specifico il CentrodiSaluteMentale assicura i seguenti interventi:

1) Attività di accoglienza, analisi della domanda e attività diagnostica con visite


psichiatriche e colloqui psicologici
2) Definizione e attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi e socio-riabilitativi
personalizzati e integrati, cioè interventi multiprofessionali (medici, psicologici,
farmacologici) da portare avanti nel proprio ambiente di riferimento/provenienza
(domiciliari) o meno (ambulatoriali o residenziali)
3) trattamenti psichiatrici e psicoterapici
4) inserimento dei pazienti in Centri diurni, Day hospital, strutture residenziali, ricoveri
1) attività di filtro ai ricoveri

257
2) valutazione, ai fini del miglioramento continuo, della qualità delle pratiche e delle
procedure adottate
3) Consulenza specialistica agli ospedali pubblici non dotati di SPDC
4) accordi con i Comuni per inserimenti lavorativi degli utenti psichiatrici ed assistenza
domiciliare
5) Informazione e assistenza dei nuclei familiari o dei gruppi di riferimento
6) collaborazione con Associazioni di volontariato, scuole, cooperative sociali e tutte le
agenzie della rete territoriale.

 il SPDC è un servizio ospedaliero dove vengono accolti pazienti in fase acuta o subacuta di
malattia ed effettuati:

1) attività diagnostica
2) trattamenti psichiatrici (terapeutici e riabilitativi) volontari ed obbligatori
(T.S.O.) in regime di ricovero; si trova ubicato negli Ospedali Generali.

Svolge, inoltre, consulenze specialistiche (psichiatriche) agli altri servizi ospedalieri.

Vi prestano servizio psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri.

Le Strutture Intermedie sono:

1) Strutture per interventi intermedi tra il ricovero ospedaliero e l’attività


ambulatoriale101 e domiciliare;
2) Luoghi dove si attuano progetti riabilitativi finalizzati a promuovere nel paziente
forme di autonomia ed inserimento nel contesto sociale;
3) Contesti che favoriscono un’evoluzione della storia della malattia, promuovendo
cambiamenti relazionali e comportamentali nel paziente;
4) Istituzioni di intermediazione tra sani e malati, finalizzate quindi al reinserimento
sociale;
5) Spazi intermedi tra il mondo interno dell’individuo e il mondo esterno.

Le Strutture Intermedie hanno come utenti:


3) i vecchi malati psichiatrici cronici ricoverati negli Ospedali Psichiatrici , i quali
necessitano di strutture riabilitative in grado di fornire livelli di assistenza
conformi alla loro grado di autonomia, alla persistenza della sintomatologia
florida e ai disturbi organici, dovuti all’età
4) i nuovi malati psichiatrici cronici, ovvero quei pazienti che non sono mai entrati
negli Ospedali Psichiatrici e che, nonostante tutti i tentativi terapeutici,
necessitano di assistenza prolungata perché hanno sviluppato forme di
patologia che hanno deteriorato le capacità socio-relazionali e lavorative, e
generato forti livelli di dipendenza.

Questi pazienti sono “utilizzatori pesanti “ dei Servizi Psichiatrici ed in genere sono
protagonisti di quel fenomeno definito della “porta girevole”, che designa la dimissione e il
reingresso continuo in strutture psichiatriche ospedaliere.

Le Strutture Intermedie rappresentano istituzioni in grado di “raffreddare” il fenomeno


dell’ospedalizzazione e offrire risposte calibrate ai bisogni del singolo paziente.

Le Strutture Intermedie si dividono in:


101
ambulatòrio– Complesso di locali destinato all’esame clinico e alla cura di infermi non ricoverati

258
1) Strutture residenziali:
a) Casa-famiglia
b) Residenza Assistita e Protetta (Comunità Alloggio)
c) Comunità Terapeutica
2) Strutture Non Residenziali (Semi-residenziali)
a) Centro Diurno
b) Day Hospital

 LE STRUTTURE RESIDENZIALI
Sono strutture che forniscono una residenza protetta extra-ospedaliera a medio-breve
termine per soggetti che necessitano di un programma terapeutico-raibilitativo, quali i vecchi
ricoverati presso gli Ospedali Psichiatrici, e quei pazienti che presentano quadri clinici che
tendono alla cronicizzazione.

Il livello di assistenza è variabile, dalle 24 h( CTA), alle 12h (per esempio CA) a fasce orarie
(Casa-Famiglia).

Le Strutture residenziali sono, come detto:

1) Casa-famiglia
2) CTA (Comunità Terapeutica Assistita)
3) Comunità Alloggio (Residenza Assistita e Protetta)

Casa-Famiglia
Si tratta di appartamenti situati nel contesto urbano o rurale, che accolgono piccoli gruppi di
pazienti (in genere non più di 6-8), nei quali viene fornita dai Servizi di Salute Mentale
un’assistenza calibrata secondo il grado di autosufficienza degli ospiti. Ad esempio
l’inserimento sociale può avvenire direttamente o con l’intermediazione del personale del
Servizio, a secondo del grado di autonomia di coloro che abitano la Casa-Famiglia.

Residenze Assistite e Protette


Le Comunità Alloggio (CA) sono strutture destinate alla prosecuzione dell’assistenza a favore
di persone con problematiche psichiatriche che, al termine di un progetto
riabilitativo/protetto (CTA), presentano parziali livelli di autonomia, e necessitano di
sostegno per la gestione della propria autosufficienza. La CA è una che prevede la presenza di
personale qualificato nell’arco diurno.La Comunità è una struttura dotata delle caratteristiche
delle civili abitazioni, con un’organizzazione interna che garantisce spazi della normale vita
quotidiana. La CA ha lo scopo di facilitare l’integrazione sociale dell’utente.

Le Residenze Assistite e Protette sono rivolte a pazienti che:

1) presentano quadri psicopatologici con sintomatologia di tipo residuo


2) con livelli di autosufficienza modesta

259
3) posti i due punti precedenti, pertanto necessitano di una presenza più
costante del personale del Servizio rispetto alla Casa-Famiglia

Compito degli operatori dei Servizi di Salute Mentale è quello di facilitare lo sviluppo di
rapporti affettivi e socio-relazionali dei pazienti di tali strutture con l’ambiente esterno.

La tipologia delle residenze è diversa da quella delle case-famiglia, in genere sono accolti 10-
12 paziente per residenza.

Comunità Terapeutica
La C.T. è un tipo di struttura intermedia a carattere residenziale.

E’ prevista una capienza di solito non superiore ai 20 ospiti ove, attraverso un’organizzazione
di vita di tipo comunitario, si tende non solo al contenimento sintomatologico, ma anche alla
partecipazione alle attività di gruppo e alle forme di riabilitazione possibili.

Essa prevede la presenza di operatori sanitari e parasanitari e una durata di permanenza dei
pazienti al suo interno variabile; di solito l’esperienze comunitaria è considerata una tappa
intermedia del programma riabilitativo cui segue il passaggio ad una sede residenziale stabile
(casa-famiglia o residenza protetta), o il reinserimento sociale a pieno titolo.

L’elemento terapeutico in una C.T è dato dal contatto interpersonale quotidiano, quindi dal
clima positivo nel quale ogni ospite possa sentirsi coinvolto e partecipe di tutti i momenti di
vita in comune.

Un aspetto importante è la presenza o meno di criteri di ammissione in C.T. Essi


generalmente riguardano:

1) età
2) tipo di patologia
3) potenzialità riabilitative
4) presenza di supporto familiare, ecc.

I criteri di ammissione:
1) Se da una parte consentono di elaborare programmi riabilitativi comuni e omogenei a
cui gli ospiti possono adattarsi, e alimentano la sinergia al lavoro di gruppo
2) dall’altra parte, provocano un rifiuto di tutti quei casi che sono privi di certi requisiti e
che, per questo, rischiano di trovarsi fuori dal circuito assistenziale pubblico,
aggravando ulteriormente la loro condizione.
3) La mancanza di criteri di ammissione, invece, delinea una situazione generale in
apparenza più accogliente, ma in realtà più vaga che può portare, in fasi successive, a
manovre espulsive.

Possono essere considerati indici di efficacia del lavoro di una C.T.:

a. la compliance del paziente al percorso riabilitativo


b. la riduzione degli episodi acuti di malattia
c. la riduzione dei dosaggi di neurolettici somministrati
d. l’acquisizione da parte del paziente della capacità di interagire positivamente
all’interno della struttura comunitaria (riabilitazione relazionale)
e. il miglioramento delle relazioni con i familiari (lavoro di osmosi con la famiglia)
f. l’acquisizione di nuove abilità socio-occupazionali (socio-riabilitazione)

260
g. il numero di degenti avviati a strutture intermedie a più basso gradiente assistenziale
e/o reinseriti nel contesto sociale

Nelle situazioni ottimali, il percorso riabilitativo si conclude con il reinserimento a pieno titolo
in società del paziente, grazie al recupero della capacità di condividere con altri un alloggio e
di avere un lavoro da cui trarre il proprio sostentamento

LE STRUTTURE NON RESIDENZIALI (SEMI-RESIDENZIALI)

Ospitano pazienti che necessitano di interventi terapeutici e di risocializzazione in regime


diurno sulla base di programmi a breve, medio e lungo termine.

Queste sono il Day Hospital e il Centro Diurno.

Day Hospital
Collegato al C.S.M., attua programmi terapeutico-riabilitativi e farmacologici a medio e breve
termine per pazienti in fase subacuta, che provengono da un periodo di degenza al Servizio di
Diagnosi e Cura o che non sono adatti per altre strutture non residenziali, in quanto
necessitano di un intervento farmacologico infusionale (iniezioni, flebo).

Il ricorso al Day Hospital nasce dall’esigenza di ridurre la degenza ospedaliera o di evitarne il


ricorso (ricovero ordinario).

La definizione operativa di questa struttura non è univoca, infatti l’aspetto qualificante


dell’intervento portato avanti al suo interno viene considerato, alternativamente:

•Trattamento farmacologici

Attività generica di risocializzazione

Altro punto controverso è l’ubicazione o meno del Day Hospital all’interno del Servizio di
Diagnosi e Cura

Centro Diurno
Struttura aperta almeno 8h al giorno finalizzata a prevenire ed a limitare il ricorso al ricovero
ospedaliero. Non viene attivato trattamento farmacologico infusionale. Al suo interno
vengono portati avanti progetti terapeutico-riabilitativi atti a rimuovere o ad attenuare le
conseguenze dei disturbi psichici del paziente (lavorare, cioè, sulla disabilità ), ovvero
l’inibizione o la limitazione relazionale e lavorativo. Il Centro Diurno quindi mira a sviluppare
progressivamente le competenze socio-relazionale e lavorative non adeguatamente mature
del paziente, così da consentirne un completo inserimento in società e, in via subordinata,
ridurre il loro grado di disabilità .

Il Centro Diurno quindi attiva:

1) programmi in grado di attivare, sperimentare, apprendere o potenziare idonee


modalità di contatto interpersonale.

261
2) programmi occupazionali tesi all’apprendimento di abilità specifiche, utilizzabili nel
mondo del lavoro, allo scopo di consentire un successivo reinserimento sociale.

I SERVIZI PER LE TOSSICODIPENDENZE E LA NORMATIVA


VIGENTE
I Servizi per le Tossicodipendenze (Ser.T.) hanno il compito di coordinare gli interventi in
favore dei soggetti che abusano o sono dipendenti da sostanze psicoattive.

Dal momento che la tossicodipendenza è una malattia ad eziologia multifattoriale, il


trattamento su di essa deve essere integrato e multimodale, ovvero deve intrecciare
trattamenti di diversa natura:

1) attività medica/farmacologica:
a. trattamento anti-astinenziale (con farmaci agonisti o antagonisti)
b. trattamento dei disturbi psichiatrici concomitanti
c. trattamento di patologie somatiche correlate al consumo della sostanza (epatite,
HIV, ecc.)
2) attività psicorelazionale:
a. uso di tests psicodiagnostici
b. psicoterapia individuale o di gruppo o familiare
3) attività socioriabilitativo:
a. contatti con Enti o istituzioni esterne
b. Invio a C.T. per programmi residenziali di reucpero
c. Gestione della fase di reinserimento nel mondo del lavoro

Per tale ragione gli organici dei Ser.T. prevedono la presenza di varie figure professionali:

5) medico-psichiatra
6) psicologo
7) assistente sociale
8) educatore
9) infermiere
10)personale amministrativo

Ogni utente di un Ser.T. necessita di un programma terapeutico personalizzato. Tuttavia è


possibile tracciare alcune costanti all’interno di questo percorso; in un Ser.T. è sempre
necessario in tal senso:

1) valutare preliminarmente le motivazioni del ricorso al Servizio (analisi della domanda)


2) inquadrare la personalità premorbosa e gli evenutali disturbi psichici associati alla
tossicodipendenza (diagnosi)
3) valutare il tipo e il grado di dipendenza dalla sostanza psicoattiva
4) valutare la presenza di patologie somatiche correlate al consumo di droga
5) considerare risorse e rischi del contesto di riferimento (valutazione della famiglia).

Successivamente si potrà abbozzare un programma terapeutico che potrà essere portato


avanti nel proprio ambiente di provenienza (intervento domiciliare) o in un contesto diverso
(Comunità Terapeutica).

262
Legislazione vigente
La Legge 162/1990 ha sensibilmente modificato l’orientamento legislativo precedente, che
distingueva la figura del consumatore da quello dello spacciatore, tollerando il primo e
perseguendo penalmente il secondo.

La legislazione vigente vieta l’uso personale di qualsivoglia sostanza in grado di provocare


alterazioni psichiche e dipendenza (oppiacei, cocainici, cannabinoidici, anfetaminici,
barbiturici e altri farmaci).

La legge stabilisce che la detenzione di tali sostanze in misura superiore alla “Dose Media
Giornaliera” (DMG) venga punita con pene detentive e pecuniarie severe; viceversa, la
detenzione di quantità di sostanza inferiore alla DMG mette in moto un meccanismo di
sanzioni, di gravita crescente in caso di recidiva, che iniziano con provvedimenti
amministrativi per poi passare a provvedimenti di restrizione della libertà personale.

In ogni caso i provvedimenti amministrativi e penali, ivi compresi quelli pregressi, vengono
sospesi per quei soggetti che aderiscono a programmi di recupero, secondo una Ratio Legis
volta a favorire i tentativi di trattamento in alternativa alle sanzioni punitive derivanti
dall’assunzione di droga.

I nodi della riabilitazione


Questa metodologia di lavoro ha evidenziato una serie di problemi:

1) difficoltà di individuare indicatori di esito in grado di segnalare la conclusione del


programma riabilitativo (quanto un programma riabilitativo può considerarsi
concluso?)
2) i limiti sfumati della competenza di ogni ruolo professionale che componel’equipe
riabilitativa possono creare tensioni nel gruppo di lavoro
3) la presenza di criteri di ammissione in una struttura riabilitativa (es. una C.T.) può
creare un controsenso terapeutico per cui si vengono a scontrare i bisogni del singolo
paziente con l’equilibrio del gruppo dei residenti: per salvaguardare l’omogeneità di
questo si rischia di privare un malato e la sua famiglia di un’opportunità terapeutica. Di
contro, l’assenza di tali requisiti di accesso può provocare la formazione di un gruppo
disomogeneo, con la conseguente difficoltà nell’elaborazione di un programma comune
di intervento
4) la trasmissione di valori e consuetudini al paziente, durante la permanenza in una
struttura, può creargli delle difficoltà di reinserimento nel suo gruppo di provenienza
5) la presenza di variabili esterne all’equipe di lavoro (ambiente di lavoro, difficoltà di
reperire alloggi protetti) in grado di vanificare anni di trattamento
6) la Riabilitazione, in quanto modello di lavoro nuovo e in via di definizione, richiede una
formazione del personale che opera nella Salute Mentale.

Conclusioni

263
E’ opportuno citare Borgna quando affermava che un ingrediente indispensabile per il lavoro
riabilitativo è l’empatia.

Egli infatti affermava che, sebbene la tecnica è essenziale nell’organizzazione di un lavoro


riabilitativo, va primariamente incoraggiata la promozione dell’intersoggettività , dello
scambio, dell’incontro umano, di un clima psicologico in grado di far avvertire al paziente
intorno a sé non l’applicazione fredda, algida e asettica di metodologie e strumenti, ma
presenze umane in grado di ascoltare e fare, insieme, assistenza e terapia.

Operare efficacemente nel campo della Riabilitazione vuol dire non solo agire con empatia ma
anche con speranza, ovvero con quell’“entusiasmo terapeutico” che nasce dalla possibilità e
dalla capacità di portare avanti progetti finalizzati alla crescita e alla promozione della salute
e di un futuro migliore, e in tal senso, antidoti alla collusione con la cronicità .

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