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Psicopatologia esplicativa vs.

Psicopatologia descrittiva
I disturbi psicopatologici possono essere suddivisi in 2 categorie di base:
• disturbi organici si ha la presenza e riconoscimento di un’alterazione anatomica per
varie tipologie di accidenti (cerebropatie, traumi cranici, aterosclerosi cerebrali, etilismo
cronico, encefalite, etc.). In riferimento, e alla particolare area cerebrale interessata e alla
gravità dell’evento, tali alterazioni organiche determinano varie e diverse disabilità,
solitamente associate a disturbi percettivi, del pensiero, affettivo-emotivi e
comportamentali.

• disturbi non organici comprendono tutti quei disturbi nei quali, pur non venendo
identificata una causa ascrivibile ad alterazioni del substrato neurologico, gli scompensi
clinici riguardano comunque varie forme di malessere emotivo, interessamento di diversi
processi di base, alterazioni del comportamento ed altre disfunzionalità proteiformi.
Relativamente i disturbi non organici possono distinguersi 3 gradi famiglie di paradigmi
psicopatologici:
• Psicopatologie interpretative
Terapie cognitive, comportamentali, dinamiche, etc.
• Psicopatologia descrittiva
Approccio neuro-biologico, farmacoterapeutico
• Psicopatologia esplicativa
Terapia sistemico-processuale, post-razionalista, costruttivista

Nel novero del disagio psichico, della Psicologia clinica e Psichiatria in generale – riconosciute da
Dilthey come scienze specificamente “idiografiche”, centrate su aspetti unici e non facilmente
generalizzabili dell’esperienza umana – la concezione stessa di “malattia mentale” è un costrutto
tutt’altro che scevro da controversie clinico-accademiche, difficile da operazionalizzare in variabili
fenomenologicamente osservabili ed empiricamente rilevabili.
Nel campo del “mentale”, tralasciando un numero piuttosto esiguo di malattie a base organica, la
diagnosi in sé viene solitamente eseguita mediante una descrizione sintomatologica la cui stessa
validità di criterio è resa alquanto problematica “dalla mancanza di riferimenti su quello che
dovremmo definire un funzionamento normale dei sistemi emotivi, cognitivi e comportamentali di
un essere umano” (Reda, 1988).
• Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM)
Prima versione risalente al 1952 (DSM-I), redatta dall'American Psychiatric Association (APA).
• International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death
(ICD)
Prima versione risalente al 1948 (ICD-I), redatta dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
In accordo con un impianto psicopatologico di tipo eminentemente descrittivo, focalizzato sul
sintomo manifesto, si è assistito negli ultimi decenni all’enorme diffusione dei manuali
diagnostici costituiti da articolate quanto esaustive classificazioni dei disturbi mentali. Queste
possono dirsi descrittive in quanto le definizioni dei sintomi che se ne danno consistono
unicamente nelle descrizioni appunto degli aspetti clinici, così come appaiono all’osservatore
responsabile di eseguire la diagnosi.
Nonostante nei manuali che le contengono si attesti esplicitamente che per la maggior parte dei
disturbi ivi inclusi l’eziologia sia sconosciuta o volutamente non presa in considerazione, queste
considerevoli raccolte sintomatologiche hanno trovato ampio uso negli ambienti più disparati della
sanità, della ricerca e della didattica. Un tale successo non può che essere ricondotto in massima
parte all’aver suggerito e promosso la condivisione di una terminologia ufficialmente accettata, con
l’innegabile pregio di permettere un’efficace comunicazione tra figure di varia estrazione
professionale ed epistemologica.
In particolare le diverse edizioni dei DSM si presentano come un classico sistema multiassiale in
base al quale la valutazione diagnostica viene eseguita su cinque diversi assi, ognuno dei quali si
riferisce ad una specifica fonte di informazioni. La classificazione dei disturbi mentali in esso
contenuta è di tipo categoriale in quanto suddivide i disturbi mentali sulla base di ben definiti “set
di criteri” composti da liste di singoli sintomi, loro costellazioni, e/o criteri temporali.
Nella pratica corrente un tale approccio classificatorio è funzionale nella misura in cui consente di
riconoscere un certo grado di omogeneità tra tutti i componenti appartenenti ad una classe
diagnostica data; ovvero quando vi sono limiti netti che distinguono con evidenza discriminatoria
più classi tra loro in una situazione mutualmente escludentesi (APA, 1994).
Limite di un sistema così pensato ed articolato è la rigidità con la quale un clinico si deve prima o
poi confrontare nel novero dei presunti “distinguo” sottendenti l’assunto che una qualsiasi categoria
di disturbo mentale debba considerarsi un’entità totalmente distinta dalle altre, delimitata e definita
da specifici confini che la discriminino sia dagli altri disturbi mentali che dallo stesso concetto di
“normalità”.
Qualsiasi tentativo di fare diagnosi prendendo spunto da tali premesse è così destinato a centrare
le sue attenzioni solo ed unicamente sulla componente “oggettiva” dell’esperienza clinica, in
quanto generale ed appunto generica.
Pregi o limiti delle descrizioni nosografiche dei manuali DSM – a seconda che ci si riconosca tra gli
entusiasti o i detrattori – sono fondamentalmente l’ateoricità ed il descrittivismo che, se da una
parte hanno rincorso il mito della neutralità scientifica non viziata da “correnti di pensiero” che
rendesse possibile un ordinamento nosografico universalmente condivisibile, dall’altra hanno
relegato in secondo piano, fino a perdere completamente di vista, la componente eziologia delle
manifestazioni psicopatologiche.
Ciò ha comportato la diffusione di una pressoché totale ignoranza riguardo le motivazioni, le cause
sottostanti il disturbo psichico di riferimento, i suoi specifici significati nell’economia personale del
paziente che ne soffre.
In tal senso il DSM si configura come niente più che un modo di fare psicopatologia secondo
“formalismi descrittivi” estremamente indicativi e spesso fuorvianti nella necessità di dover
inscrivere il “caso-paziente” in una delle celle diagnostiche previste dagli Autori dell’edizione in
corso. Una diagnosi psicologica viene così eseguita in base alla covariazione di più sintomi tra
loro connessi – con una frequenza tale che faccia decadere l’ipotesi di “casualità” di un loro fortuito
assemblaggio – e che vanno così a costituire un “disturbo” riconosciuto come tale ed identificato
secondo uso.
Ad oggi una classificazione così definita nella e dalla pratica di “etichettamento” trova
probabilmente la sua unica ragione d’essere nell’ambito di una terapia farmacologica che ignora
per suo statuto una ricostruzione eziologica delle cause o del significato del disturbo.
Da un punto di vista epistemologico il DSM abbraccia le intuizioni del riduzionismo più estremo,
rifacendosi quindi al funzionalismo operazionistico radicale. Tale complesso movimento di critica
del metodo scientifico si inscrisse all’interno della più ampia corrente del neopositivismo logico,
mostrando profonde concordanze sia con l’operazionismo di Bridgman che con il
comportamentismo di Watson; oltre che con diverse formulazioni del neoempirismo riduzionistico
di stampo anglosassone.
Da questa breve premessa si può facilmente immaginare come il DSM non sia affatto immune da
una qualsiasi parvenza residuale di teoricità, assumendo invece una visione meramente
utilitaristica ed economicistica della scienza che rende di fatto discutibile la tesi che lo rappresenta
sintesi e felice “superamento” della psicopatologia classica.
Riproduce un modello neo-positivista di spiegazione di tipo nosografico, metodo descrittivo della
malattia psichiatrica su basi di etichettamento non necessariamente corrispondenti alla realtà
(artifici categoriali).
• L'approccio descrittivo impedisce di individuare le caratteristiche soggettive del paziente,
agli effetti della sua esperienza e la sua storia personale (esasperazione nomotetica).
• Motivi eticamente dubitabili che gettano discredito sull’Opera in sé. La metà degli
psichiatri che hanno partecipato alla stesura dell'ultima edizione del DSM ha avuto rapporti
economici (tra il 1989 ed il 2004, con ruoli di ricercatore o consulente) con società
farmaceutiche. Si tratta di tutti gli psichiatri che hanno curato la sezione sui disturbi
dell'umore e sulle psicosi del manuale, definizioni di disturbi che in quegli anni si sono
accompagnate all'impennata nelle vendite di farmaci "appropriati".
• Critiche epistemologiche secondo le quali il DSM è entrato in un periodo di crisi
scientifica a causa di una serie di vere e proprie "anomalie kuhniane": eccessiva
comorbilità, elevata eterogeneità interna delle diagnosi, ecc. Da queste analisi
emergerebbe che queste anomalie sono conseguenze necessarie dell'approccio
neopositivista che sottende il DSM e sulla cui base sono strutturati i criteri diagnostici
operativi.
Il Costruttivismo radicale, al cui più ampio paradigma certa psicopatologia esplicativa appartiene,
ha originalmente operato un “sostanzioso” cambiamento nell’ambito delle scienze cognitive. La
sua versione “forte” ha messo in discussione il concetto di “oggettività”, di verità assoluta, di
sapere esaustivo rappresentante una realtà esterna indipendente dall’osservatore che l’esperisce.
In questa ottica la conoscenza non è più assimilabile ad una concezione di realtà quale essa è
(rappresentazione), ma come appare (costruzione) ad un osservatore che la esamina in base un
proprio assetto esperienziale, al suo specifico modo d’essere.
Particolare enfasi viene quindi posta sull’esperienza soggettiva, sulla necessità di dover
comprendere la messe di significati che la persona le attribuisce dal momento che “non possiamo
mai percepire nessun ordine indipendente da noi stessi.” (Guidano, 1989) dato che “non riflette in
alcun modo un ordine esterno ma è un prodotto della nostra mente.” (Hayek, 1952).
Nel novero del Costruttivismo radicale Vittorio Guidano elabora il concetto di “Organizzazione di
Significato Personale” (O.S.P.) quale specifica modalità conoscitiva di ordinare la propria
esperienza – con senso di unicità personale e continuità storica – secondo uno specifico
assemblaggio dei processi cognitivi (ed in prima istanza emotivi) attraverso cui assimilare,
decodificare e riordinare in maniera personale gli eventi esperiti nella quotidiana prassi del vivere.
Il modello Cognitivista sistemico-processuale, così come originalmente articolato (Guidano 1988,
1992), definisce 4 distinte Organizzazioni, ognuna delle quali si caratterizza in base a specifiche
attivazioni emotive (il caratteristico dominio emotivo) che appunto ne condizionano le peculiari
modalità di riferirsi l’esperienza di vita vissuta e le modalità di sequenzializzare le scene ricorrenti
da cui estrarre a posteriori (e poi sempre più in maniera anticipatoria) gli specifici temi di vita.
Ogni Organizzazione di Significato Personale” (O.S.P.), in concomitanza di specifiche attivazioni
emotive innescate a loro volta da accadimenti del ciclo di vita particolarmente intensi, può dar
luogo a determinati disturbi di rilevanza clinica.
Ciò che è qui rilevante è il significato personale che tali eventi, comportamenti, emozioni e
pensieri assumono nell’ambito generale delle leggi che governano l’organizzazione e l’evoluzione
dello specifico paziente. Ed è così nel dato sintomatologico lamentato che il clinico rinviene la sola,
possibile, forma espressiva manifestabile da quella organizzazione di riferimento, in quella fase di
vita, in concomitanza di quegli eventi.
Abbiamo precedentemente visto come la psicopatologia descrittiva rimanga ancorata, con
inamovibile staticità, alla fenomenologia in corso o pregressa del disagio psichico. Il clinico che vi
si attenga strettamente perde così qualsiasi chance di “connettere” il disturbo (da lui stesso
osservato, da lui stesso riconosciuto, da lui stesso definito ed inquadrato) al soggetto che ne soffre
in termini di causalità esplicativa: primo fondamentale passo nella pianificazione di un intervento
terapeutico.
L’ottica esplicativa abbandona invece l’indagine interpretativa – condotta da un terapeuta
“interprete” comunque esterno all’esperienza del paziente “interpretato” – in favore di una
“ricostruzione” effettuata dal punto di vista del paziente stesso, che tributerà il suo insindacabile
significato all’esperienza disturbante e alla gestione della sua attività conoscitiva.

La diagnosi, nel novero della psicopatologia esplicativa, consiste quindi nel cogliere la logica
individuale del paziente per consentirgli di spiegarsi i motivi che, per la sua specifica modalità
organizzativa, hanno costituito l’elemento destrutturante la sua continuità esperienziale. A tale
scopo la psicopatologia esplicativa presenta alcune specifiche caratteristiche che, sul recupero
della qualità esperienziale dell’elemento psicopatologico in sé, passano attraverso una
rivalutazione del dato emotivo più che cognitivo in sensu strictu, preoccupazione invece degli
approcci “razionalisti”.
Poiché ogni organizzazione di significato personale possiede una logica, “interna” alla sua
coerenza sistemica, il terapeuta non potrebbe coglierla mantenendosi in una posizione di
“osservatore esterno”, artefice di una diagnosi condotta in base alle proprie convinzioni e ai propri
schemi logici stabiliti nosograficamente a priori.
Al contrario la diagnosi con tali premesse epistemologiche prevede un’adesione al punto di vista
del paziente: solo così essa può ritenersi realmente esplicativa in quanto spiegata dal paziente e
non interpretativa in base alle spiegazioni di un “modello” precedentemente definito all’interno del
quale tentare di inscrivere l’occasionale storia di vita.
Partendo da un’accurata valutazione fenomenologica (il come del sintomo), qui usata come base
per orientare una ricostruzione che possa dare un senso alla sintomatologia, ben presto si giunge
al senso (il perché del sintomo), il significato che il paziente riferisce della propria esperienza;
tutto ciò in contrasto con un approccio descrittivo in cui la raccolta dei dati definisce
automaticamente la diagnosi attraverso un confronto tra i sintomi raccolti ed i criteri diagnostici di
riferimento adottati.
In merito quindi al rapporto tra una psicopatologia descrittiva ed una esplicativa possiamo
constatare come nella pratica clinica la vasta gamma di manifestazioni psicopatologiche – qui
intesa a livello di quadro fenomenologicamente rilevabile come appunto riportato nei manuali
diagnostici – viene esplicativamente ricondotta alle 4 organizzazioni di significato personale che
comunque rimandano ad una vasta gamma di temi di vita sottendenti i significati specifici di quella
particolare persona.
Pertanto si sottolinea come uno stesso sintomo manifestato con la medesima sintomatologia in
pazienti diversi, sottenda invece a livello di coerenza sistemica del singolo sofferente significati
profondamente diversi, in accordo con i suoi specifici temi di vita.
Vivere è inscindibile dal conoscere, questi – inteso come processo biologico – diviene sinonimo di
coerenza da preservare “attutendo” l’impatto degli imprevedibili accadimenti che la vita riserva ad
ognuno di noi all’interno dell’incessabile flusso esperienziale. In accordo così con queste
caratteristiche sistemiche di specifica significazione anche gli accadimenti in sé – in termini
appunto di eventi quotidiani – non comportano necessariamente la “causazione scompensante” in
quanto dipendenti appunto dal significato assunto per quella specifica organizzazione “paziente”
che li esperisce.
Il significarsi opportunamente, in base ai propri significati personali, l’immediatezza del vivere
corrente è qui l’elemento conoscitivo che può comportare una lettura della propria storia di vita
discrepante da ciò che il soggetto si è sempre raccontato.
Il probabile scompenso nasce dall’impossibilità del paziente di riuscire ad inserire all’interno del
proprio senso di sé un evento di vita attuale, se non “ri-narrandosi” alla luce appunto del nuovo
accadimento. Se così la mancanza di disagio psichico coincide con la capacità di una persona a
riconoscere coscientemente, ed auto-riferirsi di conseguenza come propri, i vari aspetti della sua
esperienza immediata (emozioni, sensazioni, vissuti, modulazioni psicofisiologiche), diversamente,
qualora le tonalità emotive non dovessero essere riconosciute, la persona che le esperisce le vivrà
come estranee a sé, senza nessun dato di appartenenza, esattamente alla stregua di un
improvviso malanno: i sintomi clinici.
Sintomo come processo conoscitivo
• L’espressione clinica, la sintomatologia stessa, è tutt’altro così che da considerarsi un
“accidente” esterno alla persona che ne soffre, andandosi a configurare in termini di
concomitanza con le sue modalità di esperire, valutare ed integrare tra loro (in maniera
coerente) le informazioni su di sé ed il mondo circostante.
• Il sintomo diviene così processo conoscitivo, il dato che ci consente di considerare “come”,
secondo quale modalità, si è venuta a modificare la coerenza interna del paziente da
quando è cambiato il suo equilibrio interno.
• Il sintomo in sé diviene così espressione della manifesta difficoltà a riuscire ad assimilare
consapevolmente all’interno della coerenza del suo “assetto emotivo” esperienze di vita
particolarmente problematiche.
• Basilare è ricostruire con il paziente stesso l’evoluzione storica della sintomatologia a
partire dalla “dinamica dello scompenso”, che equivale a venire a conoscenza tanto della
sua storia di vita che della sua coerenza interna di “funzionamento” epistemico dei propri
significati.
Dinamica dello scompenso clinico
• partendo dal sintomo lamentato, non più quindi punto di arrivo della diagnosi in quanto tale,
ma incipit per una ricostruzione a posteriore dello scompenso, esso si va a ri-configurare
come una ineluttabilità espressiva del paziente che lo manifesta in quella specifica fase del
suo percorso evolutivo.
• Nel dato sintomatologico lamentato dal paziente il clinico rinviene la sola, possibile, forma
espressiva manifestabile da quella organizzazione di riferimento, in quella fase di vita, in
concomitanza di quegli eventi.

Le dimensioni d’elaborazione del significato personale


• Progredendo nella ri-lettura di una psicopatologia descrittiva con le lenti del modello
esplicativo possiamo intendere le stesse categorie concettuali di “normalità”, “nevrosi” e
“psicosi” sia dotate di un carattere di reversibilità e mutevolezza che rappresentabili,
topograficamente, lungo un continuum ininterrotto.
• Lungo il dispiegarsi del flusso di vita un’O.S.P. può infatti modularsi, in relazione alla
specifica qualità e tipologia d’elaborazione delle proprie esperienze evolutive, su uno di tali
3 livelli. Questi, caratterizzandosi nella loro varietà sempre e comunque in base ad un
nucleo di significati invarianti, possono essere schematizzati usando una semplificazione
esplicativa secondo un iter che dalla “normalità” giunge alla “psicosi” passando per la fase
intermedia di “nevrosi”.
• Una persona “compensata” (condizione asintomatica/normalità) presenta un alto livello di
flessibilità, ovvero “quando uno stato interno emergente può essere visto da molti punti di
vista, non solo dal punto di vista in cui uno l’ha percepito nel momento in cui l’ha sentito”
(Guidano, 1998). Tale molteplicità di punti di vista, con cui può essere riordinato e riferito
uno stesso stato d’animo, porta necessariamente ad un incremento d’astrazione come
stimolo alla generatività e creatività di nuove ipotesi.
• A qualsiasi O.S.P. appartenga un tale soggetto le modalità di rapportarsi alla realtà e a sé
stessi sono le medesime imperniate, cioè, sulla consapevolezza del proprio modo di
funzionare permettendo - contestualmente all’assimilazione dell’evento discrepante - una
progressione della storia ed un’articolazione più ampia del senso di sé stesso.
• In un’elaborazione di tipo “nevrotico” troviamo una diminuzione della capacità a modificare
le proprie spiegazioni dell’esperienza in corso, in disaccordo con i mutamenti avvenuti in
seno alla canonicità degli stati emotivi usualmente esperiti. Un’elaborazione dell’esperienza
con modalità così concrete porta il soggetto a rimanere legato allo specifico contesto
percettivo immediato, senza possibilità di generalizzazione e di poter quindi considerare un
punto di vista alternativo.
• Il soggetto è solo in parte ancora in grado di operare una distinzione tra l’esperienza e la
significazione, come nel rendere tra loro integrati i vari aspetti della prima. Scadenti e
limitate risultano le capacità di generare ed articolare nuove chiavi di lettura di sé in base ai
nuovi eventi, tali per cui una situazione particolarmente discrepante viene invece elaborata
al di fuori della percezione del senso sé, avvertita quindi come un’esperienza “aliena”.
• In un’elaborazione di tipo “psicotico” tutte le dimensioni appaiono fortemente coartate ed
impossibilitate a svolgere le loro rispettive funzioni in vista di una continuità del senso di sé
unitaria ed ininterrotta. Una riduzione della Flessibilità ed Astrazione implica sia l’incapacità
a modificare le proprie spiegazioni in base all’esperienza in corso, che un rigido legame al
contesto percettivo immediato. La compromissione della Generatività impossibilita la
creazione di nuove forme di significarsi le novità esperienziali. Manca in parte o del tutto la
capacità di mantenere un senso di sé stabile nel tempo integrando aspetti che, vissuti
invece come “alieni”, esterni alla propria esperienza, vengono esperiti come allucinatori o
deliranti. Notevoli difficoltà risultano anche nel distinguere tra dato esperienziale e suo
significato, mentre l’immagine cosciente di sé così “impoverita” a livello di emozioni
riconoscibili e decodificabili diventa eccessivamente stabile stereotipandosi
“improduttivamente”.
• Una caratteristica di tale elaborazione è anche un’evidente compromissione della
capacità di sequenzializzare temporalmente gli eventi lungo un asse cronologico tanto
tematico che strutturale, portando ad un’interruzione della trama narrativa. Se la
sequenzializzazione non solo inizia ad essere rigida, ma anche poco integrata per cui, in
alcuni momenti, si perde la sequenza cronologica e causale, sorgono tutte le caratteristiche
di una elaborazione psicotica (disgregazione del senso di sé e dell’intera identità narrativa).
Un delirio, da questo punto di vista, è un ordinamento dell'esperienza dove la
sequenzializzazione perde le sue caratteristiche di cronologia, causalità, temporalità.
• A livello esecutivo l’incessante riordinamento di sé viene costellato da tutta una serie di
discrepanze tra l’immediatezza dell’esperienza affettiva ed il suo riordinamento.
• “In questa dialettica tra «Io» e il «Me» il problema fondamentale consiste in questo: quanto
una persona, l'immagine cosciente di una persona riesce a riconoscere come propri, quegli
aspetti dell'esperienza immediata. Perché soltanto se aspetti dell'esperienza immediata,
che sono emozioni, sensazioni, modulazioni psicofisiologiche, vengono riconosciute come
proprie e auto-riferite, allora la persona può viverle in maniera cosciente, come un suo
modo di essere” (Guidano, 1999).
• Tutte le volte che ciò non avviene il soggetto si ritrova esposto all’emergere di una
emotività non riconosciuta come tale perché non appartenente al suo specifico range
affettivo, quindi esternalizzata in un sintomo esogeno. Un’affettività non processata a causa
degli specifici meccanismi di selezione ed ordinamento di un repertorio emotivo in cui
l’esperienza emotiva stessa (l’«I») risulta deprivata della relativa spiegazione (il «Me») che
ognuno si dà per renderla congrua con il proprio senso di sé (il «Self»).
• In un contesto così delineato la modificazione terapeutica passa attraverso una
riorganizzazione della proprie modalità di esperire l’immediatezza che, innescando un
cambiamento nella valutazione dell’«Io» da parte del «Me», consentiranno di integrare
quelle attivazioni emotive vissute come estranee all’interno di un senso di sé più articolato.
• Meta conclusiva di un percorso terapeutico processuale è quella di far giungere il paziente
a cambiare, meglio articolando, la valutazione che il Me dà dell’Io: il proprio punto di vista
su di sé. Il processo terapeutico in sé consta del continuo profilare al paziente le due
diverse direttrici su cui viaggia il proprio esclusivo “viversi la realtà” in termini d’esperienza
quotidiana: da una parte il caratteristico dominio emotivo di riferimento (immediatezza
tacita), dall’altra la specifica modalità con la quale significarsi gli stessi accadimenti
(riordinamento esplicita).
• Così facendo al paziente risulterà col tempo sempre più evidente la coerenza personale
all’interno della quale inscrivere anche l’originaria estraneità di alcune perturbazioni
emotive vissute in maniera particolarmente disturbante. Il cambiamento terapeutico a livello
di conoscenza individuale riguarda quindi sia aspetti di contenuto che strutturali, come
relativi anche alle modalità processuali di costruzione interpersonale della conoscenza di
sé.
Il tentativo di operare una distinzione netta tra una psicopatologia d’ordine descrittivo ed una
psicopatologia invece esplicativa risulta, alla prova dei fatti, una pratica “infelice”, se non una vera
e propria forzatura, in quanto la descrizione è un momento fondamentale della spiegazione stessa.
Certamente più proficuo risulterà quindi immaginare un’integrazione che nello specifico di una loro
reciproca connessione può essere così formalizzata topograficamente considerando una sorta di
livello logico costituito dal definito numero di manifestazioni empiricamente e categoricamente
rilevabili da un punto di vista fenomenologico (psicopatologia descrittiva), poggiante su un secondo
piano caratterizzato invece dalla poliedricità idiografica dei significati personali del paziente che
esperisce, significa e sintomaticizza di conseguenza (psicopatologia esplicativa).
Mano a mano che ci si sposta dal più basale substrato significativo e significante, d’ordine
esplicativo, rispetto a quello sovraordinato invece descrittivo, si registra una sorta di restringimento
ad imbuto capovolto, dove la polimorfica varietà individuale che ogni singolo soggetto tributa in
termini “personali” ad un accadimento di vita qualsiasi, viene notevolmente ridotta dal confluire
canalizzato in un numero relativamente ristretto di espressioni cliniche quali quelle riportate negli
elenchi dei manuali diagnostici.

la vita di relazione dell’adulto, oltre che quella del bambino, è regolata continuamente da fenomeni
di attaccamento e distacco, e che è ovviamente nei rapporti interpersonali che i disturbi psichiatrici
acquistano significato, valore e comprensibilità”.

(Liotti e Guidano, 1978)


O.S.P. - DEP.
sfera affettivo-sentimentale (scompenso)
• causa di squilibrio importante per un significato depressivo è qualsiasi rottura affettiva
• ogni percezione di perdita diventa un processo di lutto da doversi rielaborare
• la minima discrepanza percepita con la persona significativa scatena una reazione di
rabbia inadeguata per la situazione elicitante

O.S.P. - DEP.
sfera affettivo-sentimentale (modalità gestionali)
• a prevenzione della perdita un soggetto con organizzazione depressiva non deve avere la
percezione di coinvolgersi:
“se non mi lego evito poi di dover così sperimentare la separazione”
• attraverso le spiegazioni (controllo cognitivo) si negano ciò che di fatto sentono e vivono
nella loro esperienza immediata.

O.S.P. - FOB.
sfera affettivo-sentimentale (scompenso)
• causa di squilibrio per un significato fobico è la perdita di gestione/controllo sul partner/sé
stessi.
• una vicinanza percepita eccessiva o l’impossibilità ad allontanarsi da situazioni vincolanti
portano a vissuti “costrittivi”
• una percepita lontananza dal partner o l’impossibilità a gestirlo secondo le proprie esigenze
di supporto portano a vissuti “sprotettivi”
O.S.P. - FOB.
sfera affettivo-sentimentale (modalità gestionali)
• costante ricerca di un equilibrio tra il bisogno di protezione e la sensazione di costrizione:
“gestendo autonomamente il partner ne sono protetto senza sentirmi limitato da questi”
• necessità di avere il controllo delle relazioni in modo da decidere quando avvicinarsi e
quando allontanarsi senza nessun tipo di costrizione che lo vincoli
O.S.P. - D.A.P.
sfera affettivo-sentimentale (scompenso)
• causa di squilibrio per un significato “dappico” è la mancanza di riferimenti chiari
(ambiguità) sui quali modularsi o l’eccessiva esposizione foriera di critiche e disconferme
• ogni percezione di aspettativa altrui su di sé diventa un diktat sul quale definirsi a costo di
viverselo con intrusività depersonalizzante
• la minima discrepanza percepita con la persona di riferimento scatena una reazione di
inadeguatezza pervasiva della propria persona con la colpa di averla delusa
O.S.P. - D.A.P.
sfera affettivo-sentimentale (modalità gestionali)
• evitare che la persona di riferimento lo critichi ridefinendolo incapace, inamabile, ed
inaccettabile:
“adeguandomi alle richieste altrui ricevo il massimo delle conferme con la minima
esposizione/l'altro mi dice come debba sentirmi”
• strategia del “mettere l’altro alla prova” per sentirsi accettato così come si è
• ricerca di un perfezionismo su criteri esterni (in ogni istante ed in ogni contesto) per la
necessità dell’approvazione/conferma altrui sul quale definire un senso di sé positivo

O.S.P. - OSS.
sfera affettivo-sentimentale (scompenso)
• causa di squilibrio per un significato ossessivo è l’impossibilità ad operare con nettezza
(ambivalenza) e certezza (dubbio) una decisione che gli consenta di perseguire
un’immagine di sé “giusta”
• critiche le situazioni in cui emergono tematiche emotive convenzionalmente antietiche
(rabbia-aggressività/sessualità-intimità) in quanto obnubilando la certezza di poter
corrispondere alla polarità positiva sono inaccettabili e da “negarsene” la paternità (treni
ideativi/rituali di ordine e pulizia)
• non controllabilità preventivabile per rimanere all'interno di un range emotivo che non ne
minacci l'integrità (prevedibilità dell’intensità

O.S.P. - OSS.
sfera affettivo-sentimentale (modalità gestionali)
• scelta di un partner che con "certezza" gli consenta di raggiungere una percezione di sé
stabilmente positiva ed univoca
• Cognitivizzazione logica della materia emotiva:
“solo nel controllo analitico della mia emotività avrò la certezza di non commettere atti
indegni non corrispondenti, cioè, alla mia percezione attuale”
• ricerca di un perfezionismo su Valori che gli conferiscano un'immagine virtuosamente
“irreprensibile”

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