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Lequivoco della coscienza

Fenomenologia, coscienza, inconscio


GIOVANNI STANGHELLINI

solo a causa di uno sventurato equivoco che si sparsa la voce che la fenomenologia, sia
nella sua impostazione filosofica, sia nel suo indirizzo clinico, limiti la propria indagine alla
coscienza. Forse il nome stesso fenomeno-logia, cio un discorso attorno ai fenomeni, quindi
attorno a ci che appare ha contribuito a generare e alimentare questo equivoco. Cos come anche
linsistenza, da parte sia dei filosofi fenomenologi sia dei fenomenologi clinici, sul termine
coscienza. Questa parola, per, a ben guardare negli scritti di fenomenologia viene a significare
ben altro che la superficie immediatamente evidente della vita psichica. La parola coscienza a
tal punto abusata fino a generare paradossi semantici o violenze verbali come quando, ad esempio,
si parla dicoscienza inconscia riferendosi alla sua dimensione pre-riflessiva. Il termine
coscienza in fenomenologia viene invece ad abbracciare ci che in un gergo diverso da quello
fenomenologico potrebbe tranquillamente essere chiamato mente o psiche cio la globalit di
ci che si d alla consapevolezza esplicita e le sue implicite condizioni di possibilit.
In questo scritto, indirizzato per lo pi ad un pubblico di lettori di cultura psicoanalitica,
cercher di arginare questo equivoco, e di mostrare come il discorso fenomenologico non sia alieno,
n tantomeno ostile, ad un discorso sulla totalit della vita psichica, e in particolare ad
unesplorazione della sua dimensione inconscia.

Fenomenologia e psicopatologia
Una delle porte dingresso di questo equivoco, autentico convitato di pietra alla tavola presso
cui(talvolta)siedono insieme fenomenologi e psicoanalisti, la psicopatologia fenomenologica, e in
particolare il suo testo fondativo cio la Psicopatologia Generale, pubblicata da Karl Jaspers (19131959) per la prima volta esattamente un secolo fa. La psicopatologia fenomenologica, a partire da
questopera e senza mai (o quasi) poter prescindere da essa, si configurata come uninnovazione
epistemologica e metodologica nellincontro con la persona che soffre di disturbi mentali. Gli autori
che hanno contribuito a questa tradizione hanno effettivamente posto al centro dellindagine clinica
il vissuto dei pazienti, il loro modo di esperire il mondo e se stessi. La centralit dellesperienza
personale costituisce senza dubbio il carattere peculiare dellapproccio fenomenologico in
psicopatologia. Lanalisi del vissuto cosciente del paziente il prerequisito essenziale per la
conoscenza del mondo in cui egli vive, e del modo in cui egli si pone nei confronti di questo mondo.
Ma, oltre a ci, la condizione necessaria per accedere alla dimensione implicita e inconscia
dellesistenza personale. Sulla base di queste premesse generali, la psicopatologia fenomenologica
ha inteso costruire un metodo per la conoscenza e la comprensione del mondo dellaltro, specie
nelle sue declinazioni patologiche, e una categorizzazione sistematica delle esperienze abnormi e
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dei modi in cui si configurano come forme di esistenza mancata. Ci che a noi interessa, in questa
sede, principalmente il versante metodologico.
Sul versante metodologico, la psicopatologia fenomenologica insegna che la patologia
mentale non deve essere osservata dallesterno come se fosse un mero epifenomeno di meccanismi
subpersonali, ma deve essere interrogata come lindice semantico del percorso esistenziale di una
persona. La psicopatologia fenomenologica nasce in contrapposizione al mito positivista di una
psichiatria organicista, che riduce lincontro con il malato a una mera descrizione dei sintomi, per
poi raggrupparli in entit nosografiche che richiamano le classificazioni botaniche, e da qui
procedere ad una terapia che ha come fine la potatura dei sintomi, in analogia al lavoro di un
diligente giardiniere. A tale proposito il fatto che le malattie mentali siano fondamentalmente
umane ci obbliga come osserva Jaspers a non vederle come un fenomeno naturale generale, ma
come un fenomeno specificamente umano.
In tale cornice epistemologica viene privilegiato un vertice di osservazione che intende quindi
superare i limiti di ogni tipo di riduzionismo (non solo quello biologico), aprendo nella malattia
mentale un orizzonte di senso in grado di illuminarci sul nesso tra ci che umano e ci che
malato. In tal senso la psicopatologia fenomenologica va intesa come una psicologia del
patologico, dove lobiettivo centrale della clinica si traduce in un percorso esplorativo sulle
condizioni di possibilit dellesperienza umana e delle sue declinazioni psicopatologiche. I disturbi
mentali vengono cio studiati non in quanto deviazioni dalla norma o alterazioni del buon
funzionamento, ma in quanto espressioni (fenomeni) che consentono di risalire alla trama fondativa
dellesperienza umana. In questa ricerca delle condizioni di possibilit della patologia mentale, e al
di l di questa della trama fondativa dellesistenza umana, entrambe poste ben oltre i limiti abituali
di quanto si d immediatamente alla coscienza, si pu cominciare a rintracciare la specifica
dimensione fenomenologica dellinconscio. La psicopatologia fenomenologica si posta, inoltre, in
maniera radicale il problema di come, ed entro quali limiti, sia possibile accedere ai vissuti
dellaltro, comprenderne il senso, e ricostruire le strutture portanti dei mondi entro i quali tali vissuti
sono situati. Questo processo di conoscenza consapevole di quanto i pregiudizi, cio le categorie
(in particolare, quelle nosografiche, etiche, filosofiche ecc.) entrino in gioco nella genesi della
propria visione dellaltro e ne ostacolino una piena comprensione.
Fin dai suoi albori, la psicopatologia fenomenologica si scagliata in specie contro i
pregiudizi metapsicologici, cio contro una chiave di lettura della mente dellaltro, e dellaltro
sofferente in particolare, che si supposto venga applicata in maniera automatica, stereotipa,
acritica, cortocircuitando il piano del vissuto cosciente del paziente. Si ritenuto, da parte dei
fenomenologi clinici (e non sempre a torto)che gli aderenti al pensiero psicoanalitico concepissero
ci che si d nella coscienza del paziente uningannevole facciata, una razionalizzazione di ben pi
profonde e autentiche verit, e pertanto una cortina fumogena tra il clinico e linconscio del
paziente. Questa aspra critica della metapsicologia psicoanalitica (e delle sue sventurate attuazioni)
ha avuto numerosi e ben noti obiettivi: tra questi, il suo (presunto) meccanicismo, la sua concezione
delluomo centrata sul primato delle pulsioni e quindi della sua (presunta) negazione della libert
umana, il suo scetticismo (se non addirittura sarcastico dileggio) verso la superficie della coscienza.
Senza dubbio, queste sono state tra le ragioni che hanno radicalizzato, nei decenni passati, lo
scontro tra fenomenologi clinici e psicoanalisti. Al centro di questa contesa si sono poste, dunque,
questioni metodologiche cosa importante analizzare (i fenomeni della coscienza o linconscio),
quali vie prendere (ad es., i vissuti o i sogni) e quali strumenti adottare (ad esempio, la conoscenza
in prima persona, ovvero lempatia, oppure linterpretazione).
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Ragioni meno nobili, ma non meno cogenti, sono state i conflitti di potere e il bisogno di
affermare la propria identit. Ma di questo non intendo parlare in questa sede, se non per dire che
solo le identit deboli sentono la necessit di erigere steccati ideologici, rivendicare primogeniture,
scagliare anatemi, come accade nelle guerre di religione e per quanto riguarda la mia conoscenza
diretta del mondo fenomenologico di questo tipo di debolezza ne ho trovata una certa quantit.

Lantropologia psicoanalitica e quella fenomenologica


Che non sia proprio il caso di fare guerre di religione lo dimostra lanalogia tra lantropologia
di marca psicoanalitica(che ha le sue principali radici nella clinica) e quella di matrice
fenomenologica(che ha le sue radici nella biologia e nellantropologia scientifica, oltre che nella
riflessione speculativa). Per entrambe, la condizione umana segnata dal medesimo dispositivo: il
conflitto. In quanto fenomeno clinico, il conflitto stato consacrato dalla psicoanalisi quale snodo
patogenetico fondamentale nel percorso psicopatologico (in specie quello nevrotico) e punto di
repere irrinunciabile nel processo diagnostico e terapeutico. Esso rappresenta la contrapposizione
tra istanze o esigenze contrastanti. Per la clinica di matrice dinamica, questo contrasto lepicentro
della genesi dei sintomi.
A partire da questa ontologia del conflitto, o della disunione, su cui convergono sia la
psicoanalisi, sia lantropologia fenomenologica, le differenze nella concezione delluomo sono
forse pi sfumate di quanto non si voglia. La loro matrice comune pu essere rintracciata nel
pensiero di Nietzsche (1872), il quale, ne La Nascita della tragedia, individua due istanze
fondamentali e in contrasto tra loro: lapollineo e il dionisiaco. Apollo il dio della scultura e il suo
mondo determinato dal principio di individuazione, dalla forma, dalla misura; Dioniso il dio
della musica e il suo impulso conduce viceversa alleccesso. Dal contrasto tra questi due principio
nasce la tragedia greca, assunta come paradigma universale dellesistenza umana.
Lesistenza umana concepita a partire dalla constatazione della doppia appartenenza
delluomo, sospeso e in tensione tra natura e cultura, tra pulsioni vitali e civilt, tra sensibilit e
ragione, tra logos e pathos, tra bisogno di socialit e di separatezza, tra aspirazione allappartenenza
e allindividualit, e tra rappresentazioni della propria identit diverse e divergenti. Il conflitto viene
assunto come fenomeno ubiquitario nellesistenza umana, non solo di quella patologica; forse
addirittura la cifra della humana condicio, della nostra duplice natura e doppia appartenenza. Credo
sia difficile per chiunque pensare allesistenza umana scevra da questo conflitto che tiene in
tensione infere istanze bestiali e la crosta sottile della civilt.
I principali artefici dellantropologia di ispirazione fenomenologica, e tra questi Scheler,
Plessner, Gehlen, Jaspers e Ricouer, continuano (sebbene in modi originali e diversi) a porre come
problema centrale il rapporto della doppia appartenenza delluomo alla dimensione naturale e a
quella culturale, che mette luomo in conflitto con s stesso. Scheler (1928), che pu essere preso ad
esempio, caratterizza lessere delluomo come la possibilit di dire no, di protestare contro
lelemento vitale, e cio di sublimare le proprie pulsioni. Questatto di negazione e di sublimazione,
argomenta Scheler, si compie a partire da un elemento diverso rispetto allelemento vitale che
luomo condivide con gli altri animali: questo elemento lo Spirito, ci che caratterizza luomo in
quanto persona. Lo spirito (Geist) in s stesso impotente e la pulsione (Drang) in s stessa
cieca. Lo spirito, incapace di realizzarsi con i propri mezzi, deve utilizzare le energie che
provengono dalle pulsioni. Spirito e pulsione, per quanto in conflitto, non sono semplicemente
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contrapposti, ma interdipendenti: lo spirito d forma alla vita, ma soltanto grazie a questultima il


primo reso potente ed efficace.
Una tesi non molto diversa sviluppata da Ricoeur (1950). Lessenza conflittuale
dellesistenza umana radicata nel principio del disordine e della indeterminazione dellesistenza
corporea, nella incoerenza dei valori sociali, e nel contrasto tra queste due sfere dellinvolontario
che si collocano o si instillano al cuore dellumano. Tra questa eterarchia di strati conflittuali
primordiali dellesistenza e la sfera del volontario si instaura un rapporto non di opposizione, ma
chiasmatico e di interpenetrazione.
Queste, mi pare, le analogie tra la visione di ispirazione psicoanalitica delluomo e quella
fenomenologica. Oltre allanalogia, forse necessario rimarcare anche una differenza. Laddove la
clinica psicoanalitica fa del conflitto la matrice patogenetica dei sintomi (in particolare di quelli
nevrotici), la clinica fenomenologica ne fa il dispositivo-chiave per leggere la patomorfosi dei
sintomi, delle sindromi e dei decorsi psicopatologici. Questa seconda idea si affaccia sulla scena
della psicopatologia ai primi dellOttocento a opera del medico-filosofo Philippe Pinel (1800). I
cardini della sua teoria della malattia mentale sono cos riassumibili. Principio nosodromico:
esistono per Pinel gradienti di follia nelle varie forme dellalienazione mentale; a seconda della
proporzione tra salute e malattia la persona transita (per questo si parla di noso-dromia) da un
quadro a un altro della patologia mentale. Principio della parzialit della follia: nessun folle
completamente tale, resta sempre in piedi una parte della persona non invasa dalla follia, capace di
rappresentare una parte osservante del s che fronteggia la propria patologia. Principio patoplastico:
i quadri morbosi sono limmagine che il conio antropologico imprime sul metallo della vulnerabilit.
La persona, fronteggiando la sua vulnerabilit, entra in un rapporto dialettico con essa, conferisce a
essa una dimensione e una forma che relativa alle proprie caratteristiche per esempio alle
caratteristiche dei meccanismi di difesa a disposizione della persona stessa. Le malattie mentali
sono la risultante di una dialettica tra persona e vulnerabilit.
La psicoanalista e storica della psichiatria Gladys Swain scrive a questo riguardo:
Lalienazione mentale non mai totale: lalienato conserva sempre una distanza dalla sua
alienazione []. Essa emerge in seguito al vacillamento della capacit del soggetto a sostenersi in
quanto tale. A partire da qui, la raccolta e la decifrazione dei sintomi ricevono un senso
profondamente nuovo. C un fuoco centrale in funzione del quale ordinarli: essi devono essere letti
come espressione del vincolo del soggetto alla sua follia e del suo rapporto con la follia stessa
(Swain, 1983, 13-14). Questa tesi stata di recente sottoscritta e riaffermata da Mario Rossi Monti
(2008) in Forme del delirio e psicopatologia e nel libro che di recente abbiamo scritto insieme,
sulle orme di Eugne Minkowski, dal titolo Psicologia del patologico, che reca come sottotitolo
Una proposta fenomenologico-dinamica. Ora io mi sento di affermare che il trattino una pura
esigenza tipografica ed editoriale, poich per quanto mi concerne la proposta fenomenologica
intrinsecamente dinamica.
Lo sfondo fenomenologico di questo pensiero, e di questo modello della patologia mentale (e
della cura) pu essere rintracciato non solo nellantropologia di matrice fenomenologica, ma anche
nella fenomenologia husserliana, e in particolare la distinzione tra intenzionalit implicita ed
esplicita. Lintenzionalit implicita o operativa (fungierende) si struttura come un campo precognitivo, umorale, pronto ad accogliere, a essere impressionato, da certe esperienze, ma non da
altre. il livello pi fondamentale del nostro essere aperti al mondo. Non avrei nessuna difficolt a
parlarne come di un livello inconscio. Da questo campo pre-tematico di impressioni emerge una
certa recettivit, che consiste nel rispondere, prestare attenzione o dirigersi versi certi fenomeni
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piuttosto che altri. Lintenzionalit esplicita quella espressamente diretta a un oggetto. Un


ulteriore livello di intenzionalit esplicita rappresentato dalla possibilit di prendere attivamente
una posizione rispetto a ci che ci ha passivamente impressionato e a ci che abbiamo quasiattivamente recepito. Le storie che ognuno di noi racconta su se stesso per dar senso ai dati bruti
della propria esistenza, che fanno parte dei prodotti dellattivit umana, sono per cos dire
manufatti dellintenzionalit esplicita nella sua opera di posizionamento e narrazione della propria
esperienza.

Fenomenologia e spiegazione causale


Una delle ragioni pi profonde del mancato dialogo tra fenomenologia e psicoanalisi da
ricercarsi nella diffidenza da parte di molti fenomenologi delle precedenti generazioni verso ipotesi
causali, e nel fraintendimento del pensiero dei padri della fenomenologia in tal senso. Ci che si
temeva che unapertura verso le ipotesi etio-patogenetiche potesse far emergere il rischio di una
deriva riduzionista. Mantenere in sospeso linterrogativo clinico sulle cause del sintomo ha avuto
tra le sue conseguenze pi gravi eludere la domanda sul come intervenire su tali cause e quindi sul
come sviluppare i presupposti di una psicoterapia fenomenologica.
In realt, queste esitazioni non sembrano giustificate anche da un vertice di pura ortodossia
fenomenologica. Alla fenomenologia da sempre inerente una dimensione che potremmo definire
dinamica. Sia in ambito filosofico, sia in ambito clinico il tema della spiegazione causale fin dagli
inizi considerato di pertinenza fenomenologica. Husserl (1925) usa il concetto di motivazione
causale e scrive che la coscienza consiste di una rete fondata su intreccio intenzionale,
motivazione e mutua implicazione (sez. 37) sebbene ammetta che questo tipo di causazione
non analogo a quello che si trova nel mondo fisico. Diversamente dalla causazione fisica, la
causazione psichica coinvolge elementi personali e soggettivi, come ad esempio gli atteggiamenti e
gli orientamenti del soggetto, il suo punto di vista, e la sua interpretazione del mondo. Si tratta, pur
tuttavia, di un dispositivo teso a spiegare linterdipendenza tra diversi stati mentali e la loro
continuit temporale. In un recente contributo, due fenomenologi clinici tra i pi rappresentativi
scrivono che [a]vere una presa fenomenologica sulla mente di unaltra persona afferrare le
relazioni motivazionali che conferiscono coerenza e continuit alla coscienza di quella persona
(Parnas e Sass, 2008, 239-278). A me pare ovvio che comincia ad essere assai difficile parlare della
fenomenologia come di una disciplina meramente descrittiva.
Il padre della fenomenologia distingue tra un metodo fenomenologico statico e uno genetico
(Husserl, 1918-1926), cio tra una descrizione dei fenomeni che si danno alla coscienza e una
esplicitazione e spiegazione dellattivit mentale implicita e fungente che costituisce, cio genera,
tali fenomeni. Il metodo genetico in fenomenologia dischiude, come si pu ben capire, oltre al
campo della coscienza il territorio dellinconscio, cio del fungere oscuro e inconsapevole al quale
va ricondotto il contenuto esplicito e cosciente dellesperienza. Come scrive Carlo Sini (2003, 13),
limmagine della fenomenologia che deriva dallapertura alla causazione psichica e quindi alla
dimensione dellinconscio lontana e incompatibile rispetto a quella che i suoi critici hanno da
sempre ostinatamente disegnato, limmagine cio di una sorta di idealismo metafisico e di
coscienzialismo e soggettivismo astratti e arbitrari.
Jaspers (1913-1959), da parte sua, descrive un concetto analogo alla motivazione causale che
egli denomina comprensione genetica. Si tratta di un modo di cogliere le concatenazioni
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psichiche dallinterno (cio da una prospettiva di prima persona): come uno stato psichico derivi da
un altro stato psichico. Il comprendere genetico sinonimo di spiegare psicologico e va tenuto
ben distinto dallo spiegare causale (il conoscere i nessi causali obiettivi visti dal di fuori, cio in una
prospettiva di terza persona). Esso alla base della cosiddetta psicologia comprensiva alla quale il
padre della psicopatologia fenomenologica dedica molte pagine. Leggere Jaspers come puro fautore
della comprensione statica (cio di un sapere esclusivamente centrato su ci che dato conoscere
mediante lattualizzarsi nel clinico del singolo e isolato stato danimo del paziente per mezzo
dellempatia) rappresenta un radicale fraintendimento delle intenzioni del padre della
psicopatologia fenomenologica. Secondo Jaspers, invece, lobiettivo fondamentale della
psicopatologia rendere attuali ed esplicite le relazioni comprensibili che intercorrono tra
molteplici fenomeni che si danno nellesperienza. Inoltre, la ricerca di tali relazioni comprensibili
non si articola soltanto su elementi immediatamente emersi alla coscienza, ma come viene scritto
apertisverbis si deve estendere a meccanismi extracoscienti, normali o abnormi (341).
Il concetto fenomenologico di comprensione, dunque, non equivale come spesso si crede a
comprensione mediante empatia e va ben oltre i limiti della comprensione statica e i confini della
coscienza esplicita. Come spiega Thomas Fuchs, il concetto di comprensione, comunque, non
significa comprensione psicologica o empatica. Piuttosto, una comprensione arricchita da ulteriori
risorse, in particolare informata da una spiegazione delle strutture implicite costitutive
dellesperienza cosciente (Fuchs, 2008, 280). Si pu, infine, affermare che la comprensione statica
non sia possibile, in quanto non possibile comprendere un fenomeno isolato, al di fuori dal flusso
dellesperienza personale. Comprendere una sequenza cosa ben diversa dal comprendere un
singolo fotogramma, poich ogni fenomeno trae il proprio significato da una concatenazione di
fenomeni. questo il punto in cui la stessa nozione di comprensione statica mostra tutti i propri
limiti, e la fenomenologia mostra la propria intrinseca natura ermeneutica. Comprendere un
fenomeno, dunque, non equivale a comprendere ci che si d immediatamente alla coscienza
riproducendo tale fenomeno in se stessi; bens, inserirlo in un flusso di fenomeni che pi o meno
esplicitamente affiorano alla coscienza e cogliere lunit semantico-strutturale tra esso e tutti gli
altri. La dimensione temporale entra prepotentemente in gioco quando si intende comprendere un
vissuto, cio un frammento del mondo interno di una persona.

Vari tipi di inconscio


Una silloge dei vari tipi di inconscio va ben oltre gli scopi di questo scritto. Qui baster dire,
prendendo a prestito le parole di Aristotele, che linconscio si dice in molti modi e che alcuni di
queste dimensioni dellinconscio sono oggetto di studio della fenomenologia. stato proposto di
distinguere due tipi di inconscio: il primo, detto inconscio dinamico viene a coincidere con
linconscio prodotto dalla rimozione. Esso per rappresenterebbe solo una parte della vita psichica
non presente nel campo attuale di coscienza. Accanto allinconscio cosiddetto dinamico si rende
necessario ipotizzare lesistenza di un inconscio non prodotto dalla rimozione. Sarebbe il repertorio
di esperienze pre-verbali precocissime che hanno partecipato in maniera fondante
allorganizzazione di rappresentazioni affettive delle figure pi significative nello sviluppo del
bambino e di fantasie e difese rispetto a delusioni, frustrazioni e traumi diversi che il bambino ha
incontrato nel suo impatto con la realt (49). Il tipo di memoria in gioco nellinconscio nonrimosso sarebbe la memoria procedurale che consta di una serie di configurazioni (schemi) senso6

motori impliciti, cio di risposte motorie (procedure) a stimoli sensoriali che rispecchiano luso
implicito delle esperienze predominanti nel passato specialmente in quello pre-verbale. Tra le
manifestazioni principali della memoria procedurale, e dunque dellinconscio non-rimosso, ci
sarebbero gli usi particolari del corpo come la postura, il modo di muoversi, lespressivit
facciale, il modo di vestire, il timbro della voce ecc.
Per usare un linguaggio prossimo a quello della fenomenologia, si tratterebbe di schemi
incarnati di azioni e percezioni, cio da un insieme di disposizioni, implicite, non-concettuali che
guidano lazione. Quindi, non di stati mentali, tantomeno di stati mentali consci, bens di uno stato
del corpo. Il nostro corpo, scrive Bourdieu (1980), pieno di imperativi muti: atteggiamenti,
modo di parlare, di camminare, gusti e automatismi corporei. Questi schemi percettivi e motori che
ci guidano nel mondo sociale sono immersi nellazione e non sono rappresentazioni teoriche del
mondo. Anche secondo Stern (2004) la regolazione del campo intersoggettivo avviene a opera di
un tipo di conoscenza implicita non-conscia nel senso di non-verbale e procedurale. I modelli
operativi interni (Bowlby), o gli stili di attaccamento in generale, le triadi S-Altro-Affetto
(Kernberg), o le rappresentazioni di interazioni generalizzate (RIGs) descritte dallo stesso Stern
potrebbero anchessi essere considerati esempi di inconscio procedurale. Si tratta di schemi
emozionali che non sono inconsci in quanto oggetto di rimozione, ma in quanto fungono
implicitamente e involontariamente guidandoci nelle nostre interazioni con gli altri e con il mondo
in genere. Proprio in quanto principi incarnati stanno oltre la portata della coscienza e sono resi
accessibili solo attraverso la performance (e recuperabili nel corso del processo terapeutico).
Ora, sono proprio queste dimensioni incarnate, situate e pragmatiche che hanno rappresentato
la frontiera delle ricerche fenomenologiche nellultimo ventennio, specie nel mondo anglosassone.
Ancora una volta, trascende i confini di questo contributo tracciare una storia di questa traiettoria,
ma baster indicare (per chi voglia documentarsi) un libro pubblicato nel 2007 intitolato Mind In
Life. Biology, Phenomenology, and the Sciences of Mind (Thompson, 2007) come esempio dello
sviluppo del pensiero fenomenologico nellapproccio detto embodied and enacted, e come antidoto
contro facili semplificazioni e pregiudizi coscienzialisti sulla fenomenologia. Thompson scrive
che, dal punto di vista della fenomenologia genetica, la struttura dellintenzionalit deve essere
descritta in chiave di sviluppo (developmentally). La fenomenologia genetica studia come le
strutture intenzionali emergono nel tempo e come fenomeni impliciti e pre-riflessivi motivano
processi attentivi e riflessivi. Per la fenomenologia genetica (che, come abbiamo visto, parte
integrante delleredit husserliana), ci di cui facciamo esperienza non un dato, ma qualcosa che
emerge (emergent) da esperienze precedenti. LIo non un polo vuoto ma un soggetto concreto
che ha abitudini, interessi, convinzioni e capacit come risultati dellesperienza accumulata (29).
Per cogliere lesperienza come fenomeno emergente abbiamo bisogno di mettere a fuoco due
sorgenti implicite fondamentali dellesperienza esplicita che abbiamo del mondo: il corpo-vissuto e
la coscienza interna del tempo: [i]l passaggio (shift) dalla fenomenologia statica a quella dinamica
segna una svolta verso il corpo vissuto e la coscienza del tempo (28).

Linconscio fenomenologico
Vorrei, per concludere, passare in rassegna le principali dimensioni dellinconscio di cui parla
la fenomenologia, senza avere intenti sistematici, ma solo (per cos dire) per marcare il territorio in

vista di unanalisi pi dettagliata. Mi scuso in anticipo, con i fenomenologi per le evidenti


inesattezze e approssimazioni, e con tutti per lo schematismo apodittico dellesposizione.
La dimensione pre-riflessiva della coscienza. La fenomenologia parla di coscienza di s preriflessiva (con un evidente paradosso, come dicevo nellintroduzione) riferendosi ad una forma di
auto-coscienza inconscia intesa come la modalit fondamentale di presenza a s stessi. Questi sono i
caratteri che la definiscono. immediata: non raggiunta per inferenza o a partire da criteri. nonosservativa: non origina da una percezione oggettivante di s, cio non mediata da alcun atto
percettivo, che presupporrebbe una duplicazione tra soggetto e oggetto. pre-riflessiva: anteriore a
e indipendente da un qualsiasi atto di coscienza riflessiva, cio non origina a partire da una
duplicazione tra un S che riflette e un S oggetto di riflessione. non-concettuale e nonlinguistica: non una rappresentazione di s mediata linguisticamente e tanto meno narrativamente.
non-tematizzata: implicita e silente, ma ciononostante presente e fungente.
La coscienza di s pre-riflessiva possibile a partire dal carattere incarnato della coscienza: il
fondamento della coscienza la carne in quanto materia impressionabile, che riceve dal contatto
con il mondo il sentimento della propria presenza al mondo. Questa primordiale presenza a s stessi
incarnata, che alla base di qualsivoglia esperienza, anche chiamata ipseit (Henry, 1963).
La coscienza di s pre-riflessiva allorigine del modo di darsi delle nostre esperienze e
azioni come esperienze e azioni in prima persona,cio vissute come mie proprie (Zahavi, 1999).
Ci che essa garantisce il sentimento di meit (ownership) e diattivit (agency) (Gallagher, 2004).
In assenza di questi due dispositivi la nostra esistenza non sarebbe la nostra esistenza. Il sentimento
di meit il senso implicito di essere il titolare di quellesperienza o azione, cio che
quellesperienza o azione mia. Per esempio, questi pensieri sono miei pensieri (e non di qualcun
altro). Il sentimento di attivit il senso implicito di essere liniziatore di quella data azione o atto
psichico. Per esempio, sono io colui che vuole pensare questi pensieri (e non qualcun altro che me li
impone). La distinzione tra sentimento di meit e di attivit di fondamentale importanza in
psicopatologia. I disturbi della coscienza di s pre-riflessiva sono al centro della concettualizzazione
fenomenologica dei sintomi schizofrenici.
La coscienza implicita del tempo. La fenomenologia rappresenta la coscienza come un arco il
cui vettore il tempo. Gli oggetti di cui fatto il nostro mondo ci appaiono come ci appaiono, cio
familiari, reali e dotati di significato grazie al fatto che un dispositivo implicito svolge una funzione
di sintesi,al di sotto della soglia perspicua della nostra coscienza, delle prospettive che per istante
abbiamo su di essi. Tra gli esempi cari alla fenomenologia per rappresentare questo fungere
implicito vi quello dellascoltare una melodia: quando ascolto un brano musicale, ci che si d in
questo istante nella mia coscienza limpressione di una singola nota. Essa mi suonerebbe priva di
senso, e avulsa da una qualunque melodia, se non venisse in me automaticamente articolata alle
note precedenti, ritenute nella mia memoria, e a quelle future, anticipate come momenti attesi,
sebbene non ancora presenti. Essere coscienti di un motivo musicale, quindi, necessita di un lavoro
oscuro di sintesi tra limpressione presente, la ritenzione del gi stato, e la protenzione verso il da
venire. In assenza di questo fungere implicito e inconscio, una melodia non sarebbe una melodia,
ma il mero succedersi di note musicali.
La coscienza, quindi, si distende oltre lora in direzione di ci che, per intenderci,
chiamiamo passato e futuro e che la fenomenologia invece chiama ritenzione (o memoria
primaria) e protenzione (o anticipazione primaria). Il motivo per cui la fenomenologia non parla,
a questo riguardo, di passato e futuro perch essi non si danno alla coscienza se non in quanto
intenzionalmente contenuti nel presente. nel presente che intende ecco la metafora dellarco che
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si spiega il passato e futuro tenendoli, per cos dire, in vista. Un altro esempio, per capire il
ruolo fondamentale di questo dispositivo affinch le nostre esperienze coscienti si diano come
siamo abituati a viverle pu essere il seguente. Quando stasera torner a casa, nellistante
(chiamiamolo t0) in cui apparir davanti a me la facciata del palazzo in cui vivo non avr
limpressione di essere di fronte ad un oggetto bidimensionale, ad una quinta di teatro; bens ad un
edificio tridimensionale e in carne-e-ossa. Ci che mi dato vedere delledificio in quellistante t0
un singolo scorcio delledificio stesso, che si imprime sulla mia coscienza come unimmagine a due
dimensioni. Ma in quello stesso istante la visione di quella particolare prospettiva delledificio
stessa sar implicitamente in me articolata con il mio ricordo e con lanticipazione dello scorcio
delledificio che mi aspetto di vedere un istante dopo quello presente. Il ricordo (la ritenzione) agir
in me suggerendomi che ci che vedo a t0 (cio un profilo di un edificio, senza spessore n
profondit) altro non che una delle innumerevoli prospettive su quella casa che ho gi visto in
passato (essendo entrato e uscito da essa, mossomi al suo interno, ecc. innumerevoli volte). E la
protenzione mi far anticipare le prospettive che, muovendomi, potr avere sulledificio stesso.
La sintesi passiva delle impressioni della coscienza con le ritenzioni da un lato e le protezioni
dallaltro la condizione di possibilit dellapparire degli oggetti mondani come reali, in-carne-eossa, e per me significativi, piuttosto che mere immagini prive di utilizzabilit e significato. Questa
unaltra delle dimensioni della nostra vita inconscia esplorata dalla fenomenologia. La
disarticolazione delle sintesi passive una chiave di lettura dei disturbi dello spettro psicotico
(Kimura, 1992).
La dimensione strutturale come condizione di possibilit dellapparire dei fenomeni nel
mondo della vita. La fenomenologia studia il mondo in cui la coscienza si appropria del mondo. Ci
significa che la fenomenologia interessata a cogliere il modo in cui la mente deve essere
strutturata affinch il mondo le possa apparire in quel dato modo in cui le appare. Chiaramente,
questa struttura della mente non appare esplicitamente alla coscienza stessa, ma deve essere per cos
dire ricavata tramite un qualche tipo di analisi. La peculiarit dellanalisi fenomenologica la
seguente: per scoprire come fatta la mente, piuttosto che rivolgersi alla mente stessa, lanalisi si
rivolge altrove, e in particolare al mondo. Questa la direzione che deve prendere lindagine
dellinconscio nellottica fenomenologica (o, almeno, nella rotta tracciata dallultimo MerleauPonty): Ci che va compreso, al di l delle persone scrive Merleau-Ponty (1964) ne Il visibile
e linvisibile sono gli esistenziali secondo i quali noi le comprendiamo, e che sono il senso
sedimentato di tutte le nostre esperienze volontarie e involontarie. Questo linconscio da cercare,
non in fondo a noi, dietro la nostra coscienza, ma davanti a noi, come articolazioni del nostro
campo. Esso inconscio per il fatto che non oggetto, ma ci grazie a cui degli oggetti sono
possibili, la costellazione in cui si legge il nostro avvenire Linconscio fra di essi come
lintervallo degli alberi tra gli alberi, o come il loro livello comune. la Urgemeinschftung della
nostra vita intenzionale, Ineinander degli altri in noi e di noi negli altri (197).
Questo brano, scritto nel Febbraio del 1959, traccia la rotta dellesplorazione fenomenologica,
designando il cosa, il come e il dove cercare. Il dove detto esplicitamente: non dentro il
soggetto, ma davanti a lui, cio nel mondo in cui si proietta. Il come altrettanto chiaro: andando
alla ricerca della struttura del mondo in cui il soggetto vive, che riflette la sua struttura interna.
Cosa si cerchi nel mondo del soggetto anchesso chiaro fin dalle prime righe: gli esistenziali
secondo i quali il soggetto comprende il mondo. Questi esistenziali sono le strutture trascendentali
della mente, e cio le categorie implicite e fungenti in base alle quali il nostro mondo prende forma.
Gli esistenziali sono il modo in cui noi implicitamente strutturiamo il tempo, lo spazio, il nostro
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corpo, laltro, la materialit degli oggetti. Essi sono, prosegue Merleau-Ponty, lossatura del
mondo invisibile. Queste categorie ma si tratta, beninteso, di categorie incarnate, e non di
categorie astratte e puramente cognitive mettono in forma il nostro mondo e dettano il modo in
cui percepiamo e ci rappresentiamo lo scorrere del tempo, lestensione dello spazio attorno a noi,
lunit e i limiti del nostro corpo, la prossimit o la distanza dellaltro, la fisionomia delle cose che
incontriamo. Queste categorie incarnate sono il nostro cardine esistenziale. [G]li e[sistenziali]
formano lossatura del campo trascendentale () ci che la coscienza non vede sono gli
e[sistenziali] grazie ai quali il mondo diviene visibile (316).
Gli esistenziali sono categorie descrittive fintantoch se ne fa un uso limitato a mostrare e
delineare larchitettura di un mondo come fatto quel mondo. Ma divengono categorie esplicative
dal momento in cui vengano usate per esporre e rendere visibile la struttura della mente, cio come
la mente ha fatto quel mondo, cio come organizza le proprie percezioni e rappresentazioni.
Merleau-Ponty fa un esempio del fungere di queste categorie, e lo fa con riferimento alla
psicoanalisi: Locculto in psicoanalisi (linconscio) di questo tipo (cfr. una donna che per strada
sente che si guardano i suoi seni e che verifica il vestito. Il suo schema corporeo per s-per altri
la cerniera del per s e del per altri. Avere un corpo significa essere guardati (non soltanto
questo), significa essere visibili. (). Certamente, se si interrogasse una donna in buona fede che
richiude il proprio cappotto (o viceversa), questa donna non saprebbe che cosa ha appena fatto. Essa
non lo saprebbe nel linguaggio del pensiero convenzionale, ma lo saprebbe come si conosce il
represso, cio non come figura su sfondo, ma come sfondo (205-6).
In altre parole, linconscio che pu illuminare la fenomenologia il nesso (per quella donna)
tra lavere (o lessere) un corpo e lessere visibili e tutto ci che esso comporta in termini di
emozioni, laddove lemozione qui in gioco , evidentemente, la vergogna. E infatti le emozioni
sono lepicentro della vita, il vortice temporalizzante-spazializzante (per usare ancora le parole di
Merleau-Ponty), ci che motiva il nostro agire, e quindi in ultima analisi ci che ci posiziona nel
mondo e detta la nostra prospettiva su di esso. Le emozioni sono intenzionalit incarnata, e
svolgono per lermeneutica fenomenologica del soggetto il ruolo fondamentale svolto, per altre
ermeneutiche, da altri strati dellinconscio (Stanghellini, Rosfort, in press).
Qui si ferma lanalisi fenomenologica? Potremo mai sapere perch quella donna prova
vergogna? O dovremo chiederlo alla psicoanalisi?
SINTESI
Questo scritto si occupa dei rapporti tra fenomenologia e inconscio. La fenomenologia, sia nella sua
originaria fondazione filosofica, sia nella sua derivazione clinica, viene concepita come una dettagliata
vivisezione della coscienza. Se da un lato vero che lanalisi dei fenomeni che si danno alla coscienza siano
loggetto da cui prende inizio lindagine fenomenologica, solo per un inveterato equivoco che si intenda il
termine coscienza in termini restrittivi e cio contrapposti al termine inconscio. assai pi corretto dire
che la fenomenologia filosofica e clinica si occupa delle condizioni di possibilit dell'apparire dei fenomeni
cos come si danno coscientemente ed essendo tali condizioni di possibilit al di l dei confini della vita
cosciente, chiaro che esse estendono la propria indagine alla dimensione inconscia.
PAROLE CHIAVE: Coscienza, fenomenologia, inconscio, psicopatologia fenomenologica.

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