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Universit di Macerata

LIo allo Specchio


Anna Arfelli Galli | Ivana Bianchi | Nevia Dolcini Giuseppe Galli | Francesco Orilia | Stefano Polenta

Il quaderno raccoglie le relazioni introduttive ai seminari organizzati per i dottorandi del Dipartimento di Scienze delleducazione e della formazione dellUniversit di Macerata nellA.A. 2004-2005. Lo scopo della pubblicazione quello di esporre alcuni dei problemi inerenti ai fenomeni della coscienza di s e di prospettare alcuni dei diversi approcci con cui gli stessi fenomeni possono essere affrontati: la prospettiva filosofica, quella psicologica (generale ed evolutiva) e quella letteraria.

LIo allo Specchio

LIo allo Specchio


Anna Arfelli Galli | Ivana Bianchi | Nevia Dolcini Giuseppe Galli | Francesco Orilia | Stefano Polenta

UNIVERSIT DEGLI STUDI DI MACERATA

Quaderno n. 1 2005 Universit degli Studi di Macerata Dipartimento di Scienze dellEducazione e della Formazione Impaginazione e grafica Susanna Iraci

SOMMARIO

Introduzione

Anna Arfelli Galli PRIMA DI DIRE IO Ivana Bianchi LA PERCEZIONE DELLA PROPRIA IDENTIT-CONTRARIET ALLO SPECCHIO: PERCORSI SPERIMENTALI Giuseppe Galli LIO FENOMENICO ALLO SPECCHIO DELLA GESTALTTHEORIE Francesco Orilia, Nevia Dolcini IL PRONOME IO. DATI PROTOFILOSOFICI Stefano Polenta SPECCHIO E COSCIENZA DI S IN PIRANDELLO

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Sommario - 1

Le relazioni sono di: Anna Arfelli Galli, Professore ord. di Psicologia dello sviluppo nellUniversit di Macerata (in quiescenza); Ivana Bianchi, Professore ass. di Psicologia generale nellUniversit di Macerata, Nevia Dolcini, Dottoranda nellUniversit di Macerata; Giuseppe Galli, Professore ord. di Psicologia generale nellUniversit di Macerata; Francesco Origlia, Professore ord. di Filosofia del linguaggio nellUniversit di Macerata; Stefano Polenta, Ricercatore di Psicologia generale nellUniversit di Macerata.

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INTRODUZIONE

Il quaderno raccoglie le relazioni introduttive ai seminari organizzati nellA.A. 2004-2005 per i dottorandi del Dipartimento di Scienze delleducazione e della formazione dellUniversit di Macerata. Il tema generale a cui gli scritti fanno riferimento quello della coscienza di s. Per affrontare un tema di tale complessit, lapproccio di studio non poteva che essere multidisciplinare. Abbiamo cos scelto la prospettiva filosofica, quella psicologica (generale ed evolutiva) e quella letteraria. Francesco Orilia e Nevia Dolcini, basandosi sui contributi della filosofia analitica, hanno cercato di dare risposta allinterrogativo: Cosa siamo in grado di dire sul s e sullautocoscienza a partire da unanalisi degli enunciati e dei pensieri in prima persona? Anna Arfelli Galli ha tratteggiato lo sviluppo della coscienza di s prima che nel linguaggio del bambino compaia la parola io. A tal fine ha presentato i risultati delle ricerche sperimentali effettuate su bambini messi di fronte allo specchio. Tali risultati vengono interpretati alla luce di una serie di altri fenomeni evolutivi concomitanti che testimoniano lemergere di diversi aspetti della coscienza di s. Giuseppe Galli ha delineato gli assunti base della Gestalttheorie relativi allio fenomenico partendo dalla distinzione di Khler tra io fenomenico e organismo, dalle concezioni di Wertheimer sullio come parte del campo e dalle differenziazioni dei livelli di autocoscienza proposti da Metzger. Seguono poi riflessioni metodologiche sulla possibilit di sperimentazione in questo ambito di problemi. Ivana Bianchi ha presentato i risultati di ricerche sperimentali da lei effettuate per indagare i seguenti problemi: quale il grado di appartenenza che i soggetti sperimentano di fronte alla propria immagine riflessa? Si tratta di un vedere o di un sapere? Quali aspetti vengono colti nel riflesso: identit, somiglianza, diversit, opposizione? Stefano Polenta ha affrontato il tema della coscienza di s in alcune produzioni di Pirandello, in particolare nei testi che descrivono le reazioni del protagonista Introduzione - 3

di fronte allo specchio. Queste reazioni vengono inquadrate nella tematica pirandelliana relativa al conflitto tra la vita che di continuo si muove e cambia e la forma che la fissa immutabile. Lo scopo della pubblicazione di questi testi lo stesso che ci eravamo proposti organizzando i seminari: esporre alcuni dei problemi inerenti ai fenomeni della coscienza di s e prospettare alcuni dei diversi approcci con cui gli stessi fenomeni possono essere affrontati.

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PRIMA DI DIRE IO
Anna Arfelli Galli

Premessa Per parlare dello sviluppo dellIo fenomenico utile considerare i comportamenti del bambino di fronte alla propria immagine allo specchio, in modo particolare il passaggio dalle condotte di socializzazione rivolte allimmagine riflessa del proprio viso, trattata come fosse un bambino reale, alla dichiarazione esplicita Sono io! In questo modo si possono considerare i risultati di ricerche realizzate in situazioni sperimentali con due vantaggi: in primo luogo per la possibilit di analizzare le diverse fasi che il bambino attraversa nellelaborare le informazioni visive che provengono dallo specchio; in secondo luogo per inferire i processi mentali che attiva nellannettere a s limmagine riflessa del suo volto. Quando affermiamo che il bambino annette a s la sua immagine che vede allo specchio, presupponiamo implicitamente lesistenza di un qualche vissuto di s, attivamente implicato in quello specifico processo mentale; necessario allora specificare alcune questioni. Gli psicologi dello sviluppo di area sperimentale e di area clinica hanno ampiamente indagato sui vissuti precoci relativi al S; ha cos avuto origine una variegata terminologia1 a partire da costrutti coerenti con la struttura bipolare del campo fenomenico e con una competenza primordiale, non riflessiva di esserci. Il quadro ampio e richiederebbe trattare congiuntamente i modelli teorici sviluppati dagli studiosi sulle tappe precoci della conoscenza.2 Per questa trattazione ci limitiamo alla distinzione fra coscienza di s e conoscenza di s.3 Per coscienza di s intendiamo la conoscenza che il soggetto ha dei propri stati mentali e non solo delle azioni che compie sugli oggetti esterni; in altre parole necessario che da una azione competente in una situazione data si sia passati ad
Cfr. fra gli altri BUTTERWORTH, G. Self-Perception in Infancy, in CICCHETTI, D., BEEGHLY, M. (a cura di), (1990) The Self in Transition. Infancy to Childhood, pp. 119-137, University of Chicago, Chicago; GIBSON, J.E., Lontogenesi del S percepito, in NEISSER, U., (1993) (a cura di), La percezione del S, p. 39, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino; KAGAN J. (1998), Lentusiasmo per lastrazione, in KAGAN, J. (2001) Tre idee che ci hanno sedotto, pp. 21-111, trad. it., Il Mulino, Bologna. NEISSER, U. (1993) (a cura di), op.cit., pp. 15-35; SROUFE, A. L. (1989), Relazioni, S e adattamento individuale, in SAMEROFF, J. A., EMDE, N. R. (a cura di),(1991) I disturbi della prima infanzia, pp. 82-106, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino; STERN, N. D. (1985), Il mondo interpersonale del bambino, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino. 2 Cfr. a questo proposito KARMILOFF-SCHMIDT, A. (1992), Oltre la mente modulare. Una prospettiva evolutiva sulla scienza cognitiva, trad. it., Il Mulino, Bologna 1995. 3 BATTACCHI, M. W. (1996) Coscience de soi et connaisance de soi dans lontogense, pp. 156164, Enfance, 2.
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una competenza riflessiva sostenuta da rappresentazioni pi o meno stabili. Saper programmare unazione mirata ad afferrare un oggetto posto nel raggio dazione del proprio braccio richiede una conoscenza di s. Il riconoscimento che il bambino fa di s allo specchio quando si pulisce la macchia sul volto (vedi oltre) attesta solo unazione competente e richiede una conoscenza di s. Dire davanti alla propria immagine speculare sono Io implica, invece, una presa di posizione concettuale nei confronti del vissuto unitario di vedersi e di sentirsi: in altre parole coscienza di s. Poich nelle diverse situazioni sperimentali il riconoscimento di s allo specchio viene verificato con comportamenti che vanno dal gesto di pulirsi la macchia sul volto allesplicita affermazione Sono Io, non tutti gli autori ritengono che il riconoscersi allo specchio attesti una coscienza di s; ma naturalmente occorre intendersi a quali comportamenti infantili si riferiscono. Come afferma Butterworth4, gli studi sul riconoscimento visivo di s
...suggeriscono che lo sviluppo cognitivo, misurato in termini di stadi senso-motori piagetiani, concorre allo sviluppo della conoscenza di s (self-awareness) nello specchio. Tuttavia devono essere districate empiricamente le interrelazioni fra percezione della natura contingente dellimmagine speculare, identificazione di s per mezzo dei tratti distintivi, comprensione dellidentit dellimmagine riflessa, attribuzione dellimmagine riflessa a s, sviluppo nella memoria, ragionamento e infine il contributo dellesperienza sociale. E ragionevole concordare con Galup, secondo il quale il livello di consapevolezza di s nel riconoscersi allo specchio cognitivamente avanzato e non spiegabile ricorrendo alla sola percezione sensoriale.

Ad un dato punto dello sviluppo diversi comportamenti del bambino richiedono la presenza della coscienza di s come consapevolezza sia dei propri stati interiori (Befindlichkeitsbewusstsein) sia della propria particolarit (Besonderheitsbewusstsein). Mi riferisco ad esempio allutilizzo dei pronomi Io-Tu da 30-36 mesi in avanti5 e, in et pi precoci, ai risultati delle ricerche di indirizzo fenomenologico degli allievi di Metzger:6 le condotte di opposizione7 a 18 mesi, la pretesa di far da solo verso
BUTTERWORTH, G., Self-Perception in Infancy, in CICCHETTI, D., BEEGHLY, M. (a cura di), (1990) The Self in Transition. Infancy to Childhood, pp.122-3, University of Chicago, Chicago (trad. personale). 5 BAUMGARTEN, E., DEVESCOVI, A., DAMICO, S., (2000) Il lessico psicologico dei bambini. Origine ed evoluzione, Carocci, Roma. 6 Per una sintesi cfr.: ARFELLI GALLI, A., Levoluzione del S. Problemi e metodi, in ARFELLI GALLI, A. et al., (1995) Levoluzione del S. Teoria psicologica e prassi educativa, pp. 37-60, Cittadella editrice, Assisi. 7 KEMMLER, L., (1957) Untersuchungen ber den frhkindlichen Trotz,, pp. 279-338, in Psychologische Forschung; ARFELLI GALLI, A., La costruzione della fiducia nel rapporto educativo, in GALLI, G. (a cura di), (1999) Interpretazione e fiducia, pp.46-60, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa.
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i due anni8, le aspirazioni al successo e le reazioni allinsuccesso dopo i 3 anni e mezzo9. Sono comportamenti che non si spiegano senza una chiara coscienza di s e della propria peculiarit. Gi a partire da 18 mesi possibile individuare le condotte di opposizione che testimoniano di un momento particolarmente precoce in cui la coscienza di s emerge nel vissuto del bambino; una visione globale di questo periodo evolutivo d anche la possibilit di inquadrare la reazione di evitamento di fronte alla propria immagine allo specchio in una prospettiva che supera il semplice processo di conoscenza della propria immagine vista allo specchio. In altre parole consideriamo il riconoscersi allo specchio come una tappa che, oltre ad inserire limmagine visiva del proprio volto nella conoscenza di s, porta ad organizzare le conoscenze ad un livello superiore caratterizzato da una coscienza della propria individualit, che comprende anche ma non solo la propria immagine come gli altri la vedono. Infatti appare riduttivo pensare che la scoperta della propria immagine speculare riguardi solo il volto; ci che ognuno di noi ha scoperto in modo diretto tramite il canale visivo davanti allo specchio, e il bambino continua a scoprire, il nostro essere individui eretti, dotati di un sopra e di un sotto, di un davanti e un dietro ed anche di un volto con le sue peculiarit: quellaspetto fisionomico che lo dota di espressivit visivamente percettibile. Al momento di questa scoperta molte cose sono gi note e, fra queste, particolarmente rilevante lespressivit incontrata nel volto dellAltro, elaborata e gestita nella comunicazione preverbale. Di conseguenza, il percorso evolutivo del secondo semestre del secondo anno appare particolarmente complesso e non lineare, come dimostra lampio intervallo temporale che intercorre fra i diversi comportamenti di volta in volta presi come indici del riconoscersi allo specchio: il test della macchia, il gesto con cui il bambino indica se stesso, dire il proprio nome oppure ancora affermare esplicitamente: Io.10 Ci che consideriamo rilevante per lo sviluppo della coscienza di s non semplicemente ri-conoscere limmagine riflessa come quella del proprio volto, ma la nuova organizzazione che si raggiunge elaborando questa informazione e inserendola con i contenuti di coscienza preesistenti e/o che si sviluppano nello stesso periodo. Questa nuova organizzazione della conoscenza di s viene a comprendere due componenti rilevanti dellidentit visiva di ogni essere umano: luna la conferma dellappartenenza comune alla specie dellhomo erectus tramite lesercizio e lesperienza anche visiva della stazione eretta; laltra lappropriarsi della propria identit fisionomica che limmagine del volto offre per la prima volta. La comparsa, in questo stesso intervallo di tempo, delle reazioni di opposizione,
KLAMMA, M., ber das Selbermachenwollen und Ablehnen von Hilfe beim Kleinkinder, Tesi non pubblicata, Universit di Mnster. 9 HECHAUSEN, H., ROELOFSEN, I., (1962), Anfnge und Entwicklung der Leistungsmotivation: (I) im Wetteifer des Kleinkindes, pp. 313-397, Psychologische Forschung, 26. 10 FONTANE, A.M., (1996) Quest-ce quun miroir. pp. 244-252, Enfance n 2.
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indice di un nuovo livello di differenziazione dalladulto significativo, permette di aggiunge un ulteriore significato allesperienza di questa fase evolutiva. Si tratta allora dellintersezione di pi processi: comunicativi, affettivi e cognitivi, ma anche psicomotori perch inseriti nellesperienza tutta particolare della deambulazione sicura, che il bambino esercita a 18 mesi, decretando cos al mondo la sua appartenenza alla specie homo erectus. Limportanza di questa conquista, sbiadita per la nostra coscienza adulta ma ben nota agli studiosi di antropologia11, pu meglio risaltare se consideriamo da un lato lemozione che provoca in chi ha cura del bambino e dallaltra lessere uno delle prime grandi conferme della corretta evoluzione dello sviluppo. Il bambino allo specchio Per riconoscere come propria limmagine che vede riflessa nello specchio, vale a dire concludere il processo conoscitivo con la dichiarazione esplicita Sono io!, al bambino occorrono diverse conquiste. Egli deve infatti organizzare la conoscenza delle caratteristiche formali e funzionali delloggetto-specchio; far corrispondere limmagine riflessa degli oggetti fisici e degli oggetti sociali alla loro presenza nello spazio reale; differenziare in qualche modo lo spazio reale da quello virtuale e organizzare in questo le immagini riflesse. Conquiste cognitive che si realizzano progressivamente con processi differenziati anche se intrecciati fra di loro. Boulanger-Balleyguier12 ha il studiato il comportamento con lo specchio di 30 bambini esaminati mensilmente dalla nascita ai due anni. Ha constatato che lesplorazione pu iniziare precocemente e fin dai 4 mesi di vita c attenzione visiva per le immagini che lo specchio riflette; a partire dai 6 mesi anche lesplorazione tattile diventa sistematica, ma inizialmente le due componenti non sono tra loro in relazione. Ad 8 mesi circa si sviluppa linteresse per le variazioni che limmagine riflessa subisce quando si allontana o si avvicina lo specchio o comunque lo si muove. Compaiono inoltre due condotte interessanti: 1) guardare alternativamente limmagine riflessa e la persona reale, madre o sperimentatore; 2) ricercare dietro allo specchio, cio lillusione di profondit associata allo spazio virtuale.13 Lillusione di profondit permane anche oltre i 2 anni, come indicano vari comportamenti: rivoltare lo specchio ed esplorarne la superficie opaca; cercare di afferrare loggetto dietro lo specchio o attraverso la superficie riflettente; a volte cercare la madre dietro lo specchio, se naturalmente lo specchio grande e non appeso a parete. Si tratta di comportamenti
STRAUS, W. E., The Upright Posture, pp. 137-165, in ENG, E. (a cura di), Phenomenological Psychology, Tavistock Pubblications, London. 12 BOULANGER-BELLEYGUIER, G., (1967), Les etapes de la reconnaissance de soi devant le miroir, pp. 91-116, Enfance 1; trad. it. in MOLINA, P. (a cura di), (1995), Il bambino, il riflesso, lidentit, La Nuova Italia, Firenze. 13 Ovviamente si tratta di un comportamento che pu comparire con lo sviluppo della percezione della profondit.
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rivolti ad esplorare le caratteristiche dello spazio virtuale, processo che necessariamente si interseca con il riconoscimento delle immagini riflesse. 14 La manipolazione si fa via via pi attiva e la coordinazione fra esplorazione visiva e tattile si esplica nel confronto, sempre pi sistematico, tra limmagine virtuale e quella reale: il bambino non solo si volta verso loggetto reale di cui vede limmagine riflessa, ma si volta verso gli oggetti o le persone reali, li tocca con un comportamento che si rivolge alternativamente allo specchio e allo spazio reale. In questa situazione sperimentale, caratterizzata dalla vicinanza di un genitore e da un apprendimento progressivo, lesplorazione sulle immagini riflesse delle persone si esercita dapprima sulla figura familiare e sembra completata a 15-16 mesi (a questa et il bambino non cerca pi le concordanze fra limmagine reale e quella virtuale); applica invece questa procedura di ricerca delle concordanze tra limmagine riflessa dellestraneo-sperimentatore e la sua persona reale. Il secondo anno dedicato a sperimentare le concordanze fra parti del proprio corpo e la loro immagine. Gi sul finire del primo anno sempre pi frequentemente il bambino mette la propria mano davanti e contro lo specchio, la muove e ne guarda leffetto nellimmagine riflessa. A 15 mesi lesplorazione con e sulla mano sembra conclusa e il bambino si dedica ad altre parti del corpo, ai suoi vestiti, ai giocattoli che tiene in mano ed anche alle smorfie in cui atteggia il suo viso! Infine, dopo aver organizzato limmagine riflessa della madre ed essersi dedicato alla ricerca di concordanze fra limmagine riflessa dellestraneo e la sua persona reale, il bambino alterna sguardi che vanno dallimmagine riflessa del proprio volto allestraneo reale! Quando attorno ai 18 mesi compare la reazione di evitamento, il viso che lo specchio rimanda ben differenziato da tutti gli altri visi circostanti, familiari e non. Il bambino guarda immobile il volto che lo guarda; a pi riprese lo sguardo viene distolto e riportato sullo specchio, mentre la sua espressione seria, perplessa, a volte turbata. Il riconoscimento della propria immagine riflessa che si ha dopo alcuni mesi , quindi, la conclusione di un percorso cognitivo durante il quale il bambino ha studiato sia le caratteristiche delle superfici riflettenti sia le corrispondenze fra oggetti e persone reali da una parte e immagini riflesse dallaltra. Tuttavia non si tratta di un passaggio lineare e repentino, dato che la reazione di evitamento pu presentarsi anche per alcuni mesi. Occorre quindi chiarire il significato della fase di turbamento che precede lattribuzione a s dellimmagine di quel volto che il bambino non pu annettere ad alcuna persona presente nel mondo reale.

Per gli aspetti pi strettamente legati al dominio dello spazio virtuale cfr.: FONTANE, A. M., op. cit.
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Lo studio dei gemelli Per trovare spiegazione alla reazione di evitamento Zazzo15 ha sperimentato con coppie di gemelli omozigoti ed eterozigoti. Messo di fronte al proprio gemello o di fronte ad un coetaneo sconosciuto, separati da un vetro (situazione-vetro), il bambino ha comportamenti di gioco sociale alternati a disinteresse: i due si scambiano sorrisi, si toccano e si baciano attraverso il vetro. Quando infine il vetro tolto i due si salutano o si abbracciano gioiosamente. Di fronte alla propria immagine speculare (situazione-specchio) sia nei gemelli omozigoti sia in quelli eterozogoti le condotte si succedono regolarmente, simili a quelle di ogni altro bambino. Prima dei 10 mesi, il gioco sociale e quello con limmagine speculare della mano sono molto pi frequenti e intensi che nella situazione-vetro; fra i 10 e i 18 mesi le condotte sono caratterizzate da giochi sociali e giochi di imitazione manuale; fra 18 mesi e 2 anni compare la reazione di evitamento caratterizzata da un atteggiamento immobile e perplesso, con mimica perturbata mentre lo sguardo viene alternativamente distolto dallimmagine e condotto o pi riprese alla zona degli occhi. Per verificare quando il bambino si riconosce allo specchio si usa applicare una macchia rossa sulla guancia con un materiale inerte, in modo inavvertito. Il bambino che si riconosce porta la mano al suo volto per pulirsi e non verso limmagine, come nelle fasi precedenti. La riuscita pi precoce al test macchia sul viso stata ottenuta a 17 mesi, la pi tardiva a 27 mesi. Questo intervallo di tempo si riscontra come un dato costante anche in condizioni sperimentali variate. Il riconoscimento verificato con la domanda Chi ? rivolta al bambino riesce pi tardivamente, ma in modo sistematico stato utilizzato da Fontane16 solo in un campione ridotto; occorre attendere i 36 mesi perch tutti i bambini che in precedenza hanno superato positivamente il test della macchia sul volto rispondano senza la minima esitazione con il proprio nome o con Io. Il divario fra riuscita al test della macchia e risposta verbale non sembra avere rapporto con il quoziente di sviluppo17, ma secondo gli autori attesta la fragilit della conoscenza visiva di s nel bambino piccolo. Il significato della reazione devitamento I gemelli monozigoti e eterozigoti non si differenziano fra loro e, sia nella situazione-vetro sia in situazione-specchio, non mostrano comportamenti diversi
ZAZZO, R. (1997) Riflessi. Esperienze con i bambini allo specchio, Bollati Boringhieri, Torino. Cfr. ZAZZO R., op. cit. 17 Per quanto riguarda invece il ritardo nel riconoscersi allo specchio dei bambini con sindrome di Down cfr.: CICCHETTI, D., BEEGHLY, M., CARSOLN, V. e TOTH, S., pp. 309-344, The Emergence of the Self in atypical Populations, in CICCHETTI, D., BEEGHLY, M. (a cura di), (1990) The Self in Transition. Infancy to Childhood, University of Chicago, Chicago.
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rispetto a quelli degli altri bambini. Ora, entrambi i gemelli nella situazione-vetro vedono la figura familiare del loro gemello; nella situazione-specchio invece, solo i gemelli eterozigoti sono confrontati con unimmagine a loro visivamente sconosciuta e perci estranea, mentre i gemelli omozigoti sono confrontati con una immagine familiare, essendo la loro immagine riflessa corrispondente a quella ben nota del gemello identico.18 Poich anche i gemelli monozigoti presentano la reazione devitamento, questa non pu essere spiegata come una reazione destraneit allimmagine di un coetaneo sconosciuto, tanto pi che, messi nella situazione-vetro, di fronte ad altri bambini realmente sconosciuti, n i gemelli n i singoli bambini presentano reazioni devitamento. Non lestraneit, afferma Zazzo, ma il sincronismo ci che attira e allo stesso tempo conturba il bambino, un effetto che ricorda il mito della Medusa:
Il bambino-specchio talmente disponibile, risponde in modo perfetto, in un feedback permanente; il bambino-vetro agisce a modo suo: dai due lati, si comunica, si interrompe il contatto, ci si ritrova.19

Certamente il bambino a questa et conosce il suo volto propriocettivamente e conosce il nome delle sue singole parti, lo stesso nome dato alle analoghe parti dei volti che incontra: nella vita quotidiana apre la bocca per mangiare, per imitazione, su comando verbale; ha esplorato le sue narici per necessit e per gioco ed stato invitato a togliere le dita dal naso; si stropicciato gli occhi e sa quale tipo di apertura sul mondo siano. Vista la progressione fatta nel correlare i dati incontrati nello spazio virtuale con i dati incontrati nello spazio reale, potrebbe sembrare facile integrare ora limmagine visiva del suo volto nella totalit delle conoscenze preesistenti. Tuttavia il bambino ha unesperienza del volto umano in situazioni di relazione, in uno scambio interattivo dove pausa e comunicazione si alternano; si pensi che i turni dialogici sono consolidati gi allinizio del secondo semestre di vita, mentre il volto non reattivo da sempre fonte di turbamento. Abbiamo gi detto come il processo evolutivo considerato sia molto complesso e richieda il coinvolgimento di pi ambiti. I livelli raggiunti nella conoscenza delle persone e nella comunicazione preverbale ci permettono di precisare quali siano le competenze consolidate con le quali il bambino si trova a fare i conti
In realt occorre tener conto dellinversione speculare che, data lasimmetria del volto rende limmagine riflessa in qualche modo diversa da quella reale. A questa obiezione possibile contrapporre il dato che risulta dalle ricerche sullevoluzione del riconoscimento di s allo specchio fatte con bambini det superiore ai 3 anni; queste attestano che le differenze dovute alla specularit diventano rilevanti solo a questo punto dello sviluppo; cfr. ZAZZO, R., op cit. FONTANE, A. M., op. cit. 19 ZAZZO R., op. cit., p. 36.
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quando messo di fronte allimmagine virtuale del suo volto: questa infatti non corrisponde ad un oggetto-persona del mondo reale e non si comporta in modo comunicativo corretto, cio coerente con le attese. Limmagine virtuale del proprio volto con il suo sincronismo perfetto, contraddice infatti le aspettative consolidate circa il comportamento dialogico, caratterizzato dallalternanza dei turni che, invece, rispettato dal coetaneo reale in situazione-vetro. Inoltre la competenza comunicativa preverbale che il bambino gestisce a 18 mesi di et molto sofisticata e attesta che egli conosce gli oggetti sociali come dotati di intenzionalit, che si manifesta massimamente con le espressioni del volto. Le persone come oggetti dotati di intenzionalit Tra la fine del primo anno di vita e il primo semestre del secondo, il bambino presenta una serie di comportamenti significativi non solo nellambito della comunicazione non verbale, ma anche per lo sviluppo della conoscenza di cos persona. Sono quei comportamenti diretti agli esseri umani con i quali condividere lattenzione per cose o eventi: dare le cose agli altri, mostrarle, indicarle con episodi successivi di alternanza dello sguardo dalloggetto bersaglio alladulto che si vuole coinvolgere, chiedere aiuto con lo sguardo per avere oggetti, partecipare al gioco del nascondino, imitare attivit domestiche e convenzionali, stuzzicare gli adulti.20 Lattenzione congiunta o coorientamento visivo o attenzione condivisa testimonia che il centro dellattenzione di un altra persona percepito e che possibile condividere quella esperienza dellaltro; c cio conoscenza dellaltro e conoscenza della direzionalit del suo comportamento verso il mondo esterno. E ancora la capacit di controllare lespressione delle persone significative prima di attivarsi nelle situazioni nuove - in termine tecnico il riferimento sociale - attesta indirettamente che le espressioni del volto dellaltra persona hanno un significato in rapporto ad un contesto preciso. Cos il bambino che procede a carponi normalmente evita il finto precipizio, ma a 12 mesi lo attraversa per andare verso la madre se essa mostra una espressione positiva, rassicurante. Gi verso la fine del primo anno il bambino tratta gli altri come dotati di un vissuto che pu allinearsi o divergere dal suo e per conoscerlo ricerca lo sguardo dellaltro. Il riferimento sociale attesta quindi che un oggetto o un evento possono avere significati diversi per s e per laltro, a seconda delle situazioni. Altrimenti detto, alla fine del primo anno c una preliminare comprensione della natura delle persone come entit dotate di una intenzionalit, condizione necessaria anche se non sufficiente per lo sviluppo della conoscenza riflessiva di s. Lo studio dello sviluppo del bambino cieco dalla nascita mette in evidenza
HOBSON, R.P. (1993), Attraverso il sentimento e la visione per giungere al S e ai simboli, in NEISSER, U. (a cura di), pp- 285-311, op. cit. Cfr. anche CAMAIONI, L., (1995) La teoria della mente. Origini, sviluppo e patologia, Laterza, Bari.
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alcuni significativi ritardi che confermano quanto sia importante il canale visivo nella relazione fra il bambino e il partner significativo; si hanno ritardi nella comprensione delle emozioni, nella comparsa del gioco simbolico e nelluso dei pronomi personali. Il bambino affetto da cecit congenita ha anche difficolt ad elaborare lesperienza della persona in quanto dotata di mente differenziata dalla sua: in questa fase evolutiva con lassenza della comunicazione facciafaccia e delle fasi successive della comunicazione preverbale mediata dalla vista, vengono a mancare la comprensione delle reazioni emotive, il seguire lo sguardo delle altre persone, il distinguere i bersagli delle loro azioni, loggetto centrato dai loro sentimenti e interessi; eventi tutti che stanno alla base del riferimento sociale. Lassenza di co-orientamento visivo non incide solo sulla comunicazione preverbale, limita anche il riconoscimento delle differenze e della possibile coordinazione fra le prospettive psicologiche del bambino e quelle di chi lo cura. Possiamo inferire cos che quando a 18 mesi il bambino si confronta con la propria immagine allo specchio si confronta con un volto non solo nuovo per gli aspetti fisionomici, ma con un volto che si comporta in una maniera totalmente discrepante rispetto a quello delle altre persone con cui si relaziona; la sua espressione attenta e fissa, non dialogica ma imitativa, priva di quegli indici che gli servono per orientarsi sulle intenzioni, le attese e i sentimenti altrui. Deliziosamente espressiva risulta la vignetta di F. Tonucci21 della bambina che, confrontata con la sua ombra, afferma Chi sono questa?; dove il simultaneo incontrasi nel mondo esterno e riconoscersi, annettere a s e dichiarare estraneo a s, si applicano alla perfezione alla reazione di evitamento di fronte alla propria immagine riflessa. La fase del opposizione Un altro punto da approfondire cosa sperimenta/ vive di s il piccolo in questa fase dello sviluppo, in cui fanno la loro comparsa anche le reazioni di opposizione (nella letteratura italiana indicate anche col termine negativismo, trotz nella letteratura tedesca e negatismus in quella anglo-americana). Tali reazioni compaiono nello stesso periodo in cui si verifica la reazione di evitamento e sono interpretate come risposta ad unesperienza anchessa discrepante rispetto alle attese del bambino nei confronti della figura familiare significativa. La discrepanza vissuta quando, nelle situazioni abituali e familiari, la nuova autonomia raggiunta con la deambulazione sicura contrastata dalle figure familiari che fino a poco prima ne erano il supporto. Con il termine di opposizione tanto nella letteratura specialistica che nella tradizione educativa si fa riferimento a comportamenti il cui andamento nel tempo tipico: compaiono improvvisamente a 18 mesi, quando il bambino cammina gi speditamente, raggiungono il massimo di intensit a 22 mesi e
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La vignetta riportata in ZAZZO R., op. cit.

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scompaiono altrettanto rapidamente a 30 mesi con linizio della comunicazione verbale. Il bambino, fino a quel momento ben adattato alle richieste degli adulti, si trasforma in un bambino che rifiuta le richieste dei genitori, sconcertati fra laltro dallimprevedibilit delle situazione in cui tale condotta si manifesta, dalla difficolt a individuarne i motivi e dallintensit del coinvolgimento somatopsichico del piccolo (che pu buttarsi a terra incurante di farsi male o piangere talmente forte e a lungo da avere difficolt respiratorie). Il comportamento pu essere molto vario, ma la mimica tipica: il contatto con lambiente circostante perduto; anche solo per pochi minuti, il bambino non influenzabile, non si riesce a entrare in rapporto con lui. La reazione in s inadatta, non ha rapporto adeguato con i desideri che il bambino avrebbe potuto realmente realizzare e non cessa se ladulto desiste dalla sua richiesta. Solo in bambini pi grandi si possono osservare comportamenti di negativismo per raggiungere scopi precisi, ma si tratta di una strumentalizzazione successiva, quando i genitori, impressionati dalla violenza della reazione, per placare il bambino desistono sistematicamente dalle loro richieste e cercano di offrirgli unalternativa piacevole. Kemmler ha raccolto una serie di osservazioni in famiglia e in istituzioni, protratte per un intervallo temporale di 2 anni e 8 mesi, registrando complessivamente 488 episodi di Trotz in famiglia di cui l88,5% riguardano conflitti fra il bambino e gli adulti significativi o altri bambini grandi, mentre nelle istituzioni frequentate dai bambini a tale et i comportamenti oppositori tipici sono apparsi meno frequenti e di minore intensit.22 In sintesi le caratteristiche tipiche di queste condotte sono le seguenti.
1. Le variabili ecologiche sono specifiche: necessario che lostacolo sia presentato da un adulto significativo e che interrompa unazione gi messa in atto spontaneamente dal bambino (ostacoli presentati da oggetti, coetanei o adulti estranei non scatenano queste reazioni); di conseguenza non si riesce ad osservarle per ostacoli frapposti in situazioni di test o in situazioni simulate. 2. Gli ostacoli che hanno il massimo di probabilit di scatenare una reazione di opposizione sono impedimenti portati al corpo del bambino e al suo libero movimento. 3. La perdita di contatto massiccia ed investe non solo lobiettivo che il bambino intendeva raggiungere (che soddisferebbe il bisogno originario), ma anche e soprattutto ladulto frustrante, anche nel caso in cui questi receda dalle sue richieste. 4. Il coinvolgimento emotivo investe globalmente le funzioni neurovegetative con il coinvolgimento delle strutture neurobiologiche profonde deputate al controllo dellomeostasi, manifestazione di un vissuto incarnato tipico dei primi anni di vita. Poich non pare avere pi importanza il contatto con lobiettivo perseguito in partenza, necessario identificare un bisogno diverso da quello originale. In altre parole lostacolo frapposto dalladulto ha significato non (o non solo) come ostacolo per raggiungere lobiettivo originario, ma per una diversa esigenza che indirettamente viene frustrata. KEMMLER, L. (1957), Untersuchung ber den frhkindlichen Trotz, pp. 279-338, Psychol. Forschung, 25; cfr. anche METZGER, W. (1964), Trotz: Anleitung bei einer normalen Entwicklungskrise. pp. 399- 402, in STADLER, M. e CRABUS, H. (a cura di), (1986) Gestalt-Psychologie. Ausgewhlte Werke aus der Jahren 1950-1982, Verlag W. Kramer, Frankfurt am Main.
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5. C un allargamento della estensione temporale del vissuto rispetto alle fasi precedenti. Il processo mentale alla base della reazione di opposizione inizia con il progetto dellazione originaria intrapresa dal bambino, la consapevolezza della possibilit di portare a compimento in modo autonomo lazione ostacolata e la presa datto dellostacolo interposto ad opera di una persona significativa. Del processo mentale caratteristico delle fasi precedenti (nelle quali il bambino facilmente distraibile dalle sue intenzioni, e facilmente consolabile dalladulto significativo) rimangono certamente attive le prime due componenti: a) il vissuto del bisogno da cui origina lazione e b) il progetto motorio finalizzato a realizzarlo; ma occorre aggiungere nuovi motivi di frustrazione: essere inibiti/ostacolati fisicamente dalla persona significativa, fino a quel momento intermediaria fra il bambino e il mondo esterno, di cui si prende atto la non disponibilit. Siamo di fronte alla presa datto di un diverso grado di differenziazione/separazione fra s e lAltro. 6. Il fatto che la reazione di negativismo possa evolversi in uno strumento per ricattare ladulto porta a ritenere che in breve lasso di tempo 6 mesi circa - il processo mentale si estenda comprendendo le reazioni delladulto alle reazioni eclatanti del piccolo che vengono da lui strumentalizzate con un ritorno di interesse per lobiettivo iniziale. In altre parole il bambino apprende che con le reazioni di opposizione pu ottenere il beneficio secondario di far recedere ladulto dalle sue richieste.

In sintesi, il comportamento di opposizione tipico di questa fase evolutiva sempre una reazione ad unazione - in senso lato - che lambiente dirige verso il bambino limitandolo in un progetto gi avviato, progetto che quasi nella totalit dei casi prevede unattivit fisica. La reazione del bambino investe tutta la sua persona e ha carattere affettivo e drammatico, con atteggiamento espressivo di rifiuto diffuso del contatto sociale. Per differenziare il comportamento di opposizione dalla disobbedienza, dallaggressivit e dal gioco competitivo sono significativi: la situazione specifica, il modo di manifestarsi, il ruolo delladulto e il modo in cui la reazione si estingue. Secondo Kemmler il piccolo, per il sentimento di S in via di sviluppo, vive lintervento delladulto che ostacola i suoi desideri o mette in pericolo la sua autonomia come delusione e, a causa della labilit affettiva del momento, risponde al conflitto con la reazione di opposizione. Il S vissuto come il punto di ancoraggio del proprio agire non solo nellimmediatezza dellazione come nelle fasi precedenti, ma nella constatazione dei risultati dellagire stesso; lo conferma anche la necessit di vivere laltro come un avversario che si pone come istanza che interdice i desideri del bambino, vissuto che richiede un qualche livello di coscienza dellIo (Ichbewusstsein per lautrice tedesca). In base a questi dati, a conclusione della fase dopposizione possiamo inferire la presenza di una preliminare coscienza di S: per il livello superiore di separazione/ divergenza dalle richieste fatte dalladulto significativo nellambiente familiare e per laderenza ai propri stati affettivi interiori (affektive Lage) non pi facilmente superati con i tentativi consolatori messi in atto dagli adulti. La comparsa in questo stesso periodo del sentimento di vergogna23, unemozione che richiede
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BATTACCHI, M. W. (2004), Lo sviluppo emotivo, Laterza, Bari.

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il riferimento a se stesso da parte dellindividuo che lo prova, ne unulteriore conferma. Conclusioni Se collochiamo il processo mentale che caratterizza lesperienza del bambino di fronte alla propria immagine nella globalit dei processi attivi nel secondo semestre del secondo anno, possiamo constare che il conoscersi visivamente sottolinea solo una parte delle conquiste realizzate. Sul versante cognitivo dobbiamo considerare che tale conoscenza si inserisce nella costruzione delle corrispondenze fra oggetti incontrati nello spazio reale e oggetti-immagini incontrati nello spazio virtuale: conoscere la propria immagine riflessa anche conoscere lo spazio virtuale. Sul versante comunicativo la scoperta dellaspetto visivo di s, in particolare dellespressivit del proprio volto, che fra laltro rimanda alla propria interiorit, richiede di fare i conti con unespressivit divergente rispetto alle esperienze di relazione con il partner ed una premessa indispensabile per conoscersi come altro rispetto ai propri partner. Infine sul versante relazionale il nuovo livello di separazione/individuazione con ladulto significativo attestato dalla reazioni dopposizione, segna il passaggio dallesercizio della separazione alla consapevolezza della separazione. Il livello di consapevolezza che deriva dallorganizzazione di questi vissuti in un insieme coerente mi pare possa identificarsi nella comparsa della coscienza della propria individualit (Besonderheitsbewusstsein) della psicologia generale. Naturalmente una coscienza in progress, come tutti gli ambiti qui considerati, dalla propria immagine allo specchio24, allo spazio reale25, a quello virtuale26.

ZAZZO, R. op. cit. pp. 54-80. MOUNOUD P., VINTER A., (1981) Le developpement de limage de soi chez lenfant de 3 11 ans. Reconnaisance du visage dans un miroir dformant, in MOUNOUD, P., VINTER, A., La reconnaisance de son image chez lenfant e lanimal, pp. 177-209, Delachaux et Niestl, Neuchatel, Paris. 25 LURAT, L. (1976) Lenfant et lespace. Le rle du corps, PUF, Paris. 26 FONTANE, A.M. op. cit.
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LA PERCEZIONE DELLA PROPRIA IDENTIT-CONTRARIET ALLO SPECCHIO: PERCORSI SPERIMENTALI


Ivana Bianchi

1. Introduzione Il riferimento al proprio corpo compare come parte integrante di tutte le analisi dellio fenomenico avanzate da quella psicologia che studia lesperienza diretta: la Psicologia della Gestalt (Koffka, 1935; Khler, 1929; Metzger, 1941) o Fenomenologia Sperimentale della Percezione, nata dalla tradizione della prima (Bozzi, 1966, 1991; Vicario, 2001). Lesperienza diretta del proprio corpo unesperienza complessa per ricorrere al termine utilizzato da Koffka (1935, ed. 1970, p. 350). Ci sono vari aspetti a cui si pu ascrivere questa complessit e sia la descrizione koffkiana dellio fenomenico, che quella di Khler, che la pi recente rivisitazione di Vicario, permetterebbero di articolare il significato di complessit gi solo attenendosi allesperienza percettiva dellessere, lio, una unit situata del campo fenomenico. Precisiamo che adottando la distinzione proposta anche da Galli, in questo volume, tra fenomenologia sperimentale che si interessa della percezione degli oggetti e fenomenologia che studia la soggettivit fenomenica, il presente contributo sulla relazione percepita tra la propria identit e la propria immagine allo specchio guarda al corpo e al suo riflesso come a due oggetti della percezione. Partiamo, cio, dal presupposto che non sia ontologicamente diverso analizzare la relazione percepita tra due melodie o tra due forme geometriche e la relazione percepita tra il proprio corpo e il suo riflesso. In altri termini, il fatto che lesperienza dellIdentit di s, con la i maiuscola, si articoli in molti piani, variamente profondi, non esclude che si abbia anche unesperienza percettiva di base della propria identit: guardando in una certa direzione del campo percettivo, vedo il mio piede cos come vedo, di fianco, la scarpa su cui il piede era infilato fino ad un attimo prima. Le differenze che eventualmente ci interessa evidenziare, se esistono (ed esistono!), sono legate alle caratteristiche percettive di questi due diversi tipi di esperienza: del piede ho anche una propriocezione, diversamente da quanto accade per la scarpa o per qualsiasi altro oggetto che non parte del mio corpo. Inoltre, nellosservazione diretta del mio corpo sono vincolato a punti di vista determinati e fissi: per esempio, quando guardiamo direttamente (cio in assenza di strumenti che modifichino la nostra dotazione sensoriale ordinaria) la parte davanti del nostro corpo, la vediamo sempre dallo stesso punto di vista, dalle spalle in gi, essendo vincolati alla posizione che la nostra testa e i La percezione della propria identit-contrariet allo specchio - 19

nostri occhi hanno rispetto al resto del corpo. Queste condizioni, se da un lato caratterizzano in un modo particolare questo percetto, dallaltro dimostrano che il nostro corpo pu essere trattato anche come oggetto di percezione (vedi anche la parte finale del lavoro di Khler, 1929b, riportato nellappendice 1 del contributo di Galli, in questo testo). Considereremo allora la relazione che percepiamo tra noi e la nostra immagine riflessa mantenendoci a questo livello di minimo del significato di io fenomenico. 2. Parti visibili e parti non visibili Ai fini di questa analisi mi pare interessante riproporre il discorso della complessit dellesperienza percettiva di s considerando due aspetti particolari: primo, il fatto che lesperienza del nostro corpo fatta di parti direttamente visibili e di parti non direttamente visibili; secondo ed questo laspetto su cui ci soffermeremo diffusamente nel testo la paradossale relazione di identit-contrariet che caratterizza lesperienza della nostra identit riflessa allo specchio. Iniziamo con due note sul primo aspetto. In un certo senso, vale qui lanalogia con quanto accade per qualsiasi oggetto del campo fenomenico (con la differenza, prima menzionata, che nel caso del proprio corpo la propriocezione integra le informazioni percettive che provengono dalle altre modalit sensoriali): attenendoci alla vista e dunque al binomio visibile-non visibile, in ogni momento il nostro accesso visivo agli oggetti tale per cui la stimolazione sensoriale che raggiunge il nostro occhio riguarda soltanto una parte di essi, una o due facce, quelle rivolte verso di noi, mentre non riceviamo stimolazione dalle loro parti posteriori, n dalle loro parti interne, n dalle parti che risultano occluse da altri oggetti. E tuttavia queste parti sono vissute come presenti altrettanto realmente (...), some altrettanto incontrate quanto le parti che in quel momento sono per caso visibili. (...) Di questo tipo il noto fenomeno per cui un cucchiaio (visto dalla parte convessa) pu essere facilmente vissuto come completato anche nella parte posteriore (...). Il muro dietro ad una persona che sta lottando per lei, anche se non lo vede, altrettanto reale di tutto il resto.... (Metzger, trad. 1971, p. 39). Loggetto fenomenico, si dice, si completa amodalmente attraverso un processo percettivo automatico. Tornando a quel particolare percetto che il mio corpo, diventa chiaro in che senso unesperienza fatta di parti direttamente visibili e di parti non direttamente visibili: innanzitutto esperienza di un esterno, in gran parte visibile (i miei piedi, le mie gambe, il mio petto, le mie mani ecc.) ma anche di un interno non visibile (del mio stomaco, che sento come parte di me quando si lamenta; dello spazio occupato dal mio respirare, nel torace; dellinterno della mia bocca; della mia gola; delle mie narici, ecc). Nel fare lelenco delle 20 - L Io allo Specchio

parti esterne di noi stessi, notiamo che di alcune abbiamo un accesso visivo diretto, ma di altre no: la mia schiena, o la mia nuca, non posso mai vederle direttamente; ho bisogno di uno specchio per farlo ( lesercizio che compiamo generalmente davanti al guardaroba o dal parrucchiere). La stessa sorte spetta al mio viso: io posso toccarlo ed esplorarlo tattilmente; posso massimizzare la percezione propriocettiva facendo ad esempio delle smorfie e sentendo come si modifica lesperienza dalla mia pelle, degli zigomi, delle labbra, delle sopracciglia, lapertura dei miei occhi ecc... ma il mio viso io non posso mai vederlo direttamente. Gi questo fatto merita una riflessione: il viso infatti la parte del nostro corpo che pi satura la nostra esperienza di identit. - Nella carta di identit si mette la foto del volto, non quella delle mani o di una qualsiasi altra parte del corpo!-. Constatare che non possiamo vedere direttamente il nostro volto risulta dunque in contrasto con il fatto che su di esso si concentra una parte fondamentale del nostro io fenomenico. Tra laltro ciascuno di noi, quando pensa al proprio volto, non pensa ad un buco nero. Se proviamo a chiudere gli occhi e ad immaginare la forma e le dimensioni della nostra testa, dei nostri occhi, il colore della nostra pelle, la rotondit e la lunghezza del nostro naso, ecc., constatiamo che la cosa assolutamente fattibile: noi abbiamo una rappresentazione, in mente, di questa parte di noi non vista. Si potrebbe obiettare che almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, noi ci vediamo allo specchio. Inoltre, pi saltuariamente, ci capita di vederci anche in fotografia o in videoregistrazioni. Dov, allora, il problema? Il problema nella struttura della relazione che esiste tra la mia identit e la mia identit vista allo specchio, come si mostrer nel paragrafo che segue. 3. Dove i conti non tornano Ma qual limmagine del nostro volto che abbiamo in mente: quella speculare o quella fotografica? Provate a rispondere a questa domanda. La questione non senza senso, se si considera che le due versioni sono niente meno che contrarie (cos come contrario il nostro corpo, allo specchio). Per capire bene questo punto, partiamo da una scena: sono davanti ad uno specchio collocato sulla parete di fronte e rivolto verso di me. Adiacente a questo specchio, ad angolo retto rispetto ad esso, c un altro specchio. Vedo due riflessi (Fig. 1): uno (quello che ho davanti) che chiamiamo riflesso canonico, costituisce la condizione tipica di riflessione; laltro, spostato leggermente di lato e che chiamiamo riflesso 90 si forma per lintervento congiunto dei due specchi ortogonali in questa situazione si creer anche un terzo riflesso, nello specchio laterale rispetto a me, ma su cui ora non focalizziamo lattenzione . I due riflessi sono evidentemente entrambi miei, nel senso che sono io allo specchio, ma posso facilmente notare che, nel confronto tra le due immagini, qualcosa non torna. Se muovo il braccio sinistro (quello su cui indosso La percezione della propria identit-contrariet allo specchio - 21

lorologio) vedo che entrambi i riflessi muovono il braccio con lorologio (... e come potrebbero altrimenti, visto che quello che vedo sono io?!). Per, mentre nel riflesso 90 il braccio che si muove il sinistro, nel riflesso che ho di fronte il braccio che si muove il destro (in quella immagine, infatti, io indosso lorologio sul braccio destro). Lo stesso identico discorso si pu fare ovviamente rispetto al viso: io ho un neo sulla guancia sinistra; nel riflesso canonico ho il neo sulla guancia destra. Nel riflesso 90, al contrario, il neo a sinistra.

Fig. 1 Risposta del riflesso canonico e del riflesso 90 (formato da due specchi ortogonali) allo stesso gesto dellosservatore. Dalle descrizioni riportate del braccio esteso (egoriferite, cio basate sullo schema corporeo) risulta che il riflesso muove il braccio identico a quello mosso dalla persona reale nel riflesso 90, e il braccio contrario nel riflesso canonico. Per le argomentazioni su questa contrariet, vedi testo.

Come posso allora dire che lo specchio rivela la mia identit, se lidentit che mi mostra normalmente (quella canonica) non la mia, ma invertita destra-sinistra rispetto a me? Noi interagiamo con limmagine allo specchio cos come essa ci appare e ci riconosciamo in quello che vediamo, pur data e notata? (questa una domanda importante) la contrariet che abbiamo appena descritto. Nellintersecata e inscindibile esperienza di identit e di contrariet che contenuta nella nostra immagine riflessa e che una relazione del tutto singolare nelluniverso delle nostre esperienze percettive, sta laspetto interessante del problema. 4. La struttura peculiare del percetto Riassumendo le tre peculiarit che caratterizzano questo percetto (trattate pi 22 - L Io allo Specchio

estesamente in Savardi e Bianchi, 2005) constatiamo: I) Lidentit duale del riflesso. Innanzitutto, quello che stiamo analizzando un particolare vissuto di relazione: losservatore di fronte allo specchio percepisce la non indipendenza delle due unit a confronto (s e il riflesso). Il riconoscimento di un fatto come riflesso contiene cio lidentificazione che quel fatto si riferisce a qualcosaltro: il mio riflesso , appunto, il riflesso del mio corpo, cos come il riflesso del vaso che davanti allo specchio il riflesso di quel vaso. Il confronto dunque tra due unit percettive (io sono qui, ununit segregata nel campo fenomenico; il mio riflesso l, segregato anchesso nel campo fenomenico) e tuttavia sotto osservazione unesperienza non di identicit ma di identit. In questo sta la prima peculiarit: nel caso della riflessione allo specchio si percepiscono due unit, ma non due corrispondenti identit, cosa che invece di regola accade nel mondo del fatti percettivi fuori dallo specchio (Bozzi, 1969, pp. 146-147). Quando, fuori dallo specchio, vedo due sedie distinte, vedo due unit ciascuna con la sua identit. Vedo una sedia e un gatto? Di nuovo, vedo due unit e due identit (questa volta maggiormente diverse luna dallaltra per forma, dimensioni, comportamento, ecc.). Nel caso della relazione s-riflesso percepisco due unit, ma il riflesso non avvertito come altra identit indipendente, come accadrebbe invece se di fronte avessi il mio gemello; il riflesso ricondotto alla mia identit. proprio questa condizione che rende paradossale la condizione descritta al punto II. II) Lidentit-contrariet del riflesso. Ed arriviamo cos allinversione destra-sinistra che descritta come specifica dello specchio nella letteratura sulla cosiddetta mirror-question (Corballis, 2000; Gardner, 1964; Gregory, 1989, 1996; Haig, 1993; Ittelson, 1993; Ittelson, Mowafy, Magid, 1991; Morris, 1993; Navon, 1984; Tabata, Okuda, 2000; Takano, 1998). Come altrove stato sostenuto (Bianchi, Savardi, 2005) la questione non sta, di per s, nel fatto che lo specchio inverta destra e sinistra. Lo specchio infatti non inverte nulla, semplicemente riflette linformazione luminosa che arriva sulla sue superficie secondo una regola definita: angolo di riflessione uguale allangolo di incidenza. Questa trasformazione fisica si traduce nella percezione di uninversione delloggetto in determinate condizioni, i.e. in funzione della struttura simmetrica o asimmetrica delloggetto, della posizione relativa oggetto-specchio e condizione imprescindibile! data la presenza di un osservatore con un sistema cognitivo come il nostro. Se guardiamo (vedi Fig. 2) una sfera allo specchio, non vediamo nessun tipo di inversione destra-sinistra nel riflesso, ma se invece guardiamo un oggetto come una scarpa vediamo che quella che una scarpa destra fuori dallo specchio diventa una scarpa sinistra nello specchio.

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Fig. 2 Oggetti simmetrici e asimmetrici di fronte allo specchio e rispettivi riflessi che mostrano (es.: scarpe) o non mostrano (es.: sfera) la contrariet destra-sinistra.

Anche il nostro viso e il nostro corpo (come la scarpa) possiedono una lateralizzazione destra-sinistra. Dunque lesperienza che, nel mondo ecologico, massimizza il significato di percezione della propria identit (in quale altra condizione abbiamo una maggiore esperienza di identit se non di fronte allo specchio?) quella che mostra un s ineludibilmente contrario. III) Le molte contrariet del riflesso. Data la condizione standard di riflessione (con specchio piano), nella configurazione osservatore-riflesso sono presenti anche tutta una serie di altre variazioni spaziali che la propria identit subisce nel riflesso e anchesse descrivibili in termini di contrariet. A cosa ci riferiamo? Torniamo a considerare la situazione descritta allinizio: me di fronte allo specchio (Fig. 1; vedi anche Fig. 3 a,b,c). Gi in questa condizione possiamo notare che, rispetto allorientamento posturale, il mio riflesso ha un orientamento sagittale nord-sud contrario rispetto a me: se io guardo, poniamo, a nord, il riflesso guarda dalla parte contraria, a sud. Questa stessa condizione si verifica quando lo specchio dietro allosservatore. Quando invece lo specchio giace orizzontalmente, sopra o sotto losservatore (Fig. 3 g, h, i), il riflesso ha un orientamento gravitazionale contrario: mentre losservatore orientato normalmente con la testa in alto, il riflesso capovolto sotto-sopra. Quando lo specchio a sinistra o a destra dellosservatore (Fig. 3 d, e, f) non si osserva alcuna variazione dellorientamento posturale: il riflesso mi sta di fianco e siamo entrambi a testa in su e rivolti dalla stessa parte dello spazio (poniamo, 24 - L Io allo Specchio

a nord). Variazioni di orientamento si possono notare anche a livello pi locale, considerando lidentit spaziale dei gesti. Esemplificheremo anche questo punto con il riferimento a qualche specifica configurazione s-riflesso (vedi sempre Fig. 3), ma prima precisiamo che i termini esospazio ed egospazio (comuni alla letteratura psicologica sulla percezione spaziale) sono utilizzati per indicare con esospazio, le coordinate ambientali sopra-sotto, nord-sud, est-ovest, cos come le abbiamo utilizzate anche pocanzi per descrivere la relazione tra postura dellosservatore e del riflesso; con egospazio, le coordinate definite sullo schema corporeo del soggetto (in questo caso, dellosservatore o del riflesso).

Fig. 3 Varie configurazioni s-riflesso. Per la spiegazione dettagliata vedi testo.

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Attenendoci allesospazio, in Fig. 3a il riflesso N oltre ad essere contrario allosservatore di fronte allo specchio (S) per orientamento posturale nord-sud ed essere invece identico per orientamento posturale sopra-sotto, esegue un gesto che risulta identico a quello dellosservatore in quanto a lateralizzazione (usa larto ad est, come losservatore), ma contrario per verso (losservatore compie un gesto verso nord, il riflesso uno verso sud). In Fig. 3b, a parit di relazioni posturali (il riflesso e losservatore hanno cio sempre un identico orientamento sopra-sotto e un contrario orientamento nord-sud), il riflesso N compie invece un gesto identico a quello dellosservatore sia per lateralizzazione (entrambi compiuti con il braccio ad est) che per verso (entrambi estesi verso est). Lo stesso in Fig. 3c, dove il gesto risulta in questo caso eseguito per entrambi con larto che a est e per entrambi con verso sopra. Se applichiamo questi criteri descrittivi alla scena presa in considerazione inizialmente (io con il braccio sinistro alzato, e di fronte a me due riflessi, uno canonico e uno formato dai due specchi ortogonali, Fig. 1) che cosa risulta? Per il riflesso canonico, la contrariet egospaziale destra-sinistra diventa invece una relazione di identit rispetto alle coordinate esospaziali est-ovest. Viceversa, il riflesso formato dai due specchi ortogonali lateralizzato in modo identico per quanto riguarda lo schema corporeo del soggetto (egospazio), ma mostra una contrariet est-ovest rispetto allesospazio. Si faccia attenzione che a generare il paradosso della combinazione inscindibile di identit e contrariet non una confusione dei sistemi di riferimento usati nella descrizione: nel caso di due individui posti luno di fronte allaltro e ciascuno con un braccio sollevato a riprodurre la configurazione del riflesso canonico, non c nessun problema nel constatare che il braccio che sollevano (esospazialmente dalla stessa parte) il sinistro per luno, il destro per laltro. Le due braccia in questione hanno infatti identit indipendenti, cos come i due corpi. Il paradosso inizia ad esistere nel momento in cui si riconosce che lo stesso braccio (cfr. la condizione I, identit duale): non solo il braccio che dalla stessa parte, ma lo stesso. Se quella che abbiamo descritto sin qui la definizione analitica delle identit e contrariet che caratterizzano la relazione s-riflesso con uno specchio piano, che cosa percepisce un osservatore che guarda la propria immagine allo specchio? Vede contrariet e, se s, quale? Lidentit maggiore, minore o uguale alla contrariet riconosciuta? 4. Verifiche sperimentali Per rispondere a queste domande sono state condotte alcune analisi sperimentali (Bianchi, Savardi, De Lotto, 2003) utilizzando una stanza degli specchi allestita presso il laboratorio del Dipartimento di Psicologia dellUniversit di Verona e composta da 4 specchi: due (2.50 x 2 m) collocati verticalmente a formare 26 - L Io allo Specchio

due pareti adiacenti e ortogonali, e altri due (2 x 2m) collocati orizzontalmente a costituire il soffitto e il pavimento. La stanza stata realizzata in modo da consentire ai soggetti di salire sopra lo specchio sul pavimento. In tutti gli esperimenti sono stati utilizzati soggetti adulti (studenti universitari di et compresa tra i 18 e i 35 anni). 4.1 Lesperienza del guardarsi allo specchio Con una prima indagine abbiamo inteso esplorare: 1) quanto lesperienza di un soggetto ingenuo che si riconosca allo specchio si caratterizzi in termini di vedere e quanto in termini di sapere. In altre parole, il soggetto riporta unesperienza che ha pi la forma del vedo che sono io o del so che sono io? 2) quale sia il tipo di identit riconosciuta, prevedendo tre forme di descrizione: la mia immagine, il mio riflesso, sono io; 3) quali siano gli elementi su cui il soggetto fonda o ncora il riconoscimento di identit. Procedura: 46 soggetti hanno partecipato allesperimento in gruppi di interosservazione (Bozzi, 1978; Bozzi, Martinuzzi, 1989) di 3-4 persone. I soggetti venivano introdotti nella stanza degli specchi e invitati a salire sullo specchio a terra, quindi ad osservare i riflessi presenti. Lo sperimentatore dava la consegna: Il tuo compito quello di descrivere nel modo che senti pi giusto lesperienza che stai avendo in questo momento guardando in questi specchi. Hai a disposizione i termini: vedo, penso o so, la mia immagine, il mio riflesso, sono io. Le 5 componenti della descrizione erano stampate su un foglio che veniva consegnato al gruppo (vedo e penso o so in colonna da un lato, le altre tre espressioni in unaltra colonna; lordine entro ciascuna colonna era randomizzato tra i gruppi). Una volta data la risposta e in base ad essa si chiedeva ai soggetti: come fai a dire che sei tu? (oppure: come fai a dire che il tuo riflesso? o che la tua immagine?). Scopo di queste domande era pesare la frequenza di spiegazioni spontanee che fanno riferimento al percepire (es: perch vedo che se io mi muovo, l si muove., perch sono le mie mani, le mie gambe, i miei capelli, i miei abiti), da quelle che fanno riferimento al sapere (es: perch so che i riflessi sono formati per riflessione di raggi che colpiscono i corpi e formano limmagine; oppure perch so che quella la persona che vedo allo specchio tutte le mattine). Risultati: a) vedo o so? Al termine della discussione interosservativa il 100% dei soggetti ha scelto come pi adeguata la descrizione dellesperienza in termini di vedo; meno del 15% dei soggetti aveva inizialmente descritto lesperienza usando il verbo sapere. b) sono io, la mia immagine, il mio riflesso? La risposta scelta pi frequentemente La percezione della propria identit-contrariet allo specchio - 27

la mia immagine (52%); il mio riflesso e sono io vengono preferite rispettivamente dal 35% e dal 13% dei soggetti. Oltre al dato quantitativo interessante considerare le argomentazioni con cui stata motivata linadeguatezza delle descrizioni non scelte e la preferenza per una di esse. In tab. 1 ne sono riportate alcune, raggruppate per contenuto. Nel caso della descrizione sono io largomento di inadeguatezza pi ricorrente che i riflessi non si confondono con lesperienza di essere fisicamente situati in un preciso luogo unesperienza riferibile, forse, al primo livello di coscienza di s di Metzger (2000, p. 109; riportato da Galli, in questo volume) . La preferenza per il mio riflesso o la mia immagine viene invece decisa in base alla diversa caratterizzazione che le due descrizioni sono risultate avere rispetto al grado di corrispondenza e al carattere di dipendenza/indipendenza di quanto osservato con s. La risposta di un soggetto ha introdotto unulteriore dimensione: la naturalezza vs. il carattere di artefatto implicato dalle due descrizioni.
SONO IO Sono io non va bene perch c un po di distacco: io non mi confondo con quello l dentro, nel senso che io sono qui fuori S, vedo me, vedo me riflessa; ma dire sono io mi sembra una cosa troppo forte Limmagine uguale, ma come se fosse unaltra cosa; non mi viene da dire sono io: c qualcosa che si rispecchia, ma qualcosa che c l, non sono io Sono io non va bene per il fatto che io sono qui, non l ...anche quando tu parli, io ti vedo allo specchio; potrei guardarti l dentro, invece mi viene da girarmi perch tu sei l e non dove il riflesso Quella che vedo sono io, per non sono io in carne ed ossa; io sono qui e quello un mio riflesso, non sono io ...non sono l, in questo senso sono io riflessa, ma non sono io Quando li guardo tutti insieme non mi viene proprio da dire che sono io; dico sono tutti miei riflessi o immagini, ma io sono al centro di tutta questa moltitudine. Se ne guardo uno, aumenta lesperienza di identit, per cui potrei anche dire che sono io CORRISPONDENZA DELLINFORMAZIONE
Immagine > Riflesso

MIO RIFLESSO vs. MIA IMMAGINE

il mio riflesso lo direi di ci che vedo quando mi guardo specchiata nellacqua del lago, non per questa immagine, che troppo definita, pi precisa, rispecchia di pi la realt Nellimmagine vedo me stesso riflesso. Sembra un po un gioco di parole, ma quello che intendo dire che limmagine nitida, invece il riflesso pi sfuocato, meno definito. Il riflesso lo direi per limmagine di qualcosa nellacqua, anche la mia immagine nellacqua Quindi dicendo la mia immagine sottolineo che sono riconoscibili molte

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MIO RIFLESSO vs. MIA IMMAGINE

corrispondenze, molte pi che se dicessi il mio riflesso Dico riflesso parlando dellacqua, del riflesso del sole che abbaglia, che non mi permette di vedere bene, sfuggente, mantiene meno la riconoscibilit delle caratteristiche Direi riflesso di quello del sole, che non permette di vedere bene, o dellimmagine riflessa nellacqua, dove di nuovo non si vede bene, o di alcune di queste immagini, quella sotto ai miei piedi per esempio, dove mi vedo in parte e in posizioni che non corrispondono a come sono io in questo momento Nel riflesso vedo qualcosa di un po diverso; il riflesso ti impedisce di vedere bene Posso dire riflesso di qualcosa come limmagine di me o di un paesaggio nellacqua, dove vedo unimmagine che anche proprio opposta a me... penso agli alberi riflessi: li vedo opposti... allora dico Riflesso di quello sotto i piedi, ma non di questa immagine qui davanti che proprio identica il mio riflesso non va bene perch il riflesso qualcosa di pi sfuggente; per esempio potrei dirlo se io fossi di spalle e girandomi velocemente mi vedessi di sfuggita unimmagine che si rispecchia, ma il riflesso qualcosa di pi freddo, pi distaccato rispetto a quello che vedo e che sto facendo; magari appunto se fossi di spalle e girandomi mi guardassi per un momento... La mia immagine ce lho davanti, la vedo. Riflesso lo direi quando magari da lontano c una vetrina, e per caso vedo la mia immagine in quella vetrina: quello il mio riflesso, perch mi arriva da dietro, un po per caso me lo trovo davanti, qui mi sto guardando, invece Il riflesso pi sfuggente, rimanda solo la parte esteriore; nellimmagine ci pu essere anche il riconoscimento di uno stato interiore, di unemozione
Riflesso > Immagine

Il mio riflesso sottolinea di pi la mia corrispondenza in tempo reale Unimmagine pu essere anche una foto, un ritratto; il mio riflesso invece corrisponde esattamente a me, anche perch contemporaneo, mi mostra in questo momento. Vedo anche, se respiro, che respiro Il riflesso una cosa diretta, limmagine pu essere anche unimmagine di me come persona Nel riflesso c anche qualcosa di pi; riesci a vedere se sei tesa, se sei rilassata...; hai pi informazioni che nel caso dellimmagine DIPENDENZA-INDIPENDENZA
Riflesso > Immagine

Non mi viene da usare riflesso, perch uso riflesso per qualcosa colpito dal sole, per qualcosa che ritorna; ma qua io non vedo niente che ritorna; io mi vedo. Limmagine sta l e io sto qui Immagine qualcosa di unitario, pu essere a se stante; pu avere una identit a se stante. Nel riflesso c chiaro il fatto che rimanda a qualcosa:

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MIO RIFLESSO vs. MIA IMMAGINE

il riflesso riflesso di qualcosa. Quindi mi pi facile dire che un riflesso per limmagine che ho sotto i piedi, dove vedo in modo evidente che deriva da me, in contatto con me; limmagine l davanti pi indipendente; vedo meno la dipendenza da me
Immagine>Riflesso

Vedo la mia immagine come dire che mi vedo io, come se fossi una persona unica; invece se io dico che vedo il mio riflesso, ci sono io, c lei, ci riflettiamo, come se fossimo due unit; io non sono l, sono qui; lei l e ci guardiamo
NATURALE-ARTEFATTO

Limmagine pi qualcosa di artefatto, quindi pu essere anche un dipinto; il riflesso qualcosa di naturale
Tab. 1 Esempi di risposte fornite dai soggetti allesperimento 1 (vedi testo, domanda b) per argomentare la scelta di una delle tre descrizioni proposte (sono io, la mia immagine, il mio riflesso), raggruppate in base al contenuto dellargomentazione.

c) alla domanda come fai a dire che la tua immagine (o il tuo riflesso o che sei tu)? il 74% dei soggetti risponde facendo riferimento al movimento, il 65% allidentit generale; progressivamente meno numerosi i soggetti che ncorano il riconoscimento ad attributi particolari (43%), a propriet del volto (35%) o che richiamano lesperienza passata (15%) (Fig. 4).

Fig. 4 Indici a cui i soggetti ncorano il riconoscimento di identit nel proprio riflesso (i valori in ordinata sono espressi in percentuale sul totale dei partecipanti; ciascun soggetto poteva indicare pi indici). P gen = identit generale del riflesso; P attrib = propriet di parti; P movim = corrispondenza di movimenti; P volto = propriet del volto; Esp pass = Esperienza passata

30 - L Io allo Specchio

4.2 Che relazione percepisce un osservatore tra s e il proprio riflesso? Una seconda classe di esperimenti ci ha permesso di esplorare se i soggetti riconoscano perfetta identit con il proprio riflesso o se riconoscano invece la presenza di qualche variazione e, se s, se si tratti specificatamente di contrariet. Rimane infatti da verificare se lidentit e la contrariet che caratterizzano analiticamente la relazione s-riflesso e descritte nel paragrafo 2 corrispondano ad uneffettiva percezione di identit e/o contrariet del proprio riflesso, o se invece i soggetti ne descrivano la somiglianza o la diversit. Le quattro relazioni (identit, contrariet, somiglianza, diversit) venivano proposte al soggetto come descrizioni alternative e spiegate con il riferimento a come questi termini vengono usati nel linguaggio comune per descrivere vari tipi di invarianza o variazione vista tra oggetti. Esperimento 1 La ricerca ha consentito di definire qual la relazione generale percepita tra s e il proprio riflesso; qual la relazione percepita tra lorientamento spaziale proprio e del riflesso; se, focalizzando lattenzione su una parte fortemente lateralizzata del proprio corpo come un braccio, i soggetti ne percepiscano lidentit o la contrariet; quale sia il sistema di riferimento spaziale (esospazio o egospazio) che pi informa lesperienza di identit con il proprio riflesso. Procedura: i soggetti partecipavano allesperimento in gruppi di interosservazione composti da 3 persone. Stimoli: complessivamente lesperimento invitava ad osservare e descrivere 3 scene relative al proprio riflesso: 1) la relazione s-riflesso, dato losservatore con braccia distese lungo i fianchi e i riflessi diretti N e ST in Fig. 5 (si intende che la postura prevedeva, diversamente da quella rappresentata, entrambe le braccia distese lungo i fianchi); 2) la relazione s-riflesso, dato losservatore con braccio a est esteso verso est e i riflessi diretti corrispondenti, in Fig. 5, ai riflessi N e ST; 3) la relazione tra losservatore con braccio a est esteso verso est e due riflessi (uno diretto ed uno formato da due specchi posti ortogonalmente, identici tra loro per orientamento posturale nord-sud e sopra-sotto, ma contrari per orientamento est-ovest). In Fig. 5 sono le coppie di riflessi N, NO e ST, STO.

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Fig. 5 Rappresentazione della situazione sperimentale; indicati da sigle i riflessi analizzati. In grigio chiaro i riflessi formati per intervento di un singolo specchio, in bianco quelli formati da riflessioni su pi specchi.

Compito: ai soggetti, introdotti nella stanza degli specchi, veniva indicata di volta in volta la scena da osservare. Venivano quindi formulate una serie di domande, relative ai quattro aspetti del percetto che si intendevano studiare: A) la relazione generale percepita tra s e il proprio riflesso, indagata osservando la scena uno: a1)Tra te e il tuo riflesso percepisci identicit, somiglianza, diversit, contrariet? a2)Potresti anche dire che percepisci [una delle relazioni escluse dalla risposta precedente]? La domanda a2 veniva ripetuta per tutte le relazioni non scelte come migliore descrizione in a1. Questa doppia richiesta qui come per le successive domande in cui stata utilizzata ha consentito di distinguere le relazioni ritenute pi adatte da quelle ritenute meno adatte ma comunque possibili, da quelle invece completamente inadeguate; B) la relazione tra il proprio orientamento e quello del riflesso, riferendosi sempre alla scena uno: b1)Per quanto riguarda lorientamento spaziale, diresti che il tuo riflesso ha un orientamento identico, simile, diverso o contrario rispetto al tuo? b2)A cosa fai riferimento dicendo che orientato in modo [la relazione indicata in b1]?; C) la relazione tra il proprio braccio disteso e il braccio disteso nel riflesso, osservando la scena due: Adesso osserva questa scena [lo sperimentatore sollevava 32 - L Io allo Specchio

il braccio del soggetto per fargli assumere la postura mostrata in Fig. 5]. c1) Diresti che il riflesso ha fuori il braccio identico al tuo o il braccio contrario al tuo? c2) In che senso dici che [la relazione indicata in c1]? c3) Potresti anche dire che [la relazione esclusa in c1]? D) quale, tra i due riflessi messi a confronto nella scena tre, percepito come pi identico a s (ricordiamo che i due riflessi erano uno contrario allosservatore per lateralizzazione egospaziale ma identico per lateralizzazione esospaziale, laltro contrario per lateralizzazione esospaziale ma identico per lateralizzazione egospaziale): d1) Adesso guarda questi due riflessi [lo sperimentatore indicava i riflessi]. In quale ti riconosci pi identico? d2)Perch dici che quello pi identico? Esperimento 2 Obiettivo dellesperimento era focalizzare lattenzione sulla relazione percepita tra i propri gesti e quelli visti compiere dal riflesso, approfondendo lanalisi del tipo di riferimento spaziale (egospazio o esospazio) a cui si ncora il riconoscimento di identit e contrariet. Quattro le variabili indipendenti studiate: 1) il piano del riflesso, 2) la localizzazione del riflesso rispetto al soggetto, 3) il gesto, 4) il movimento. Procedura: i soggetti partecipavano allesperimento singolarmente, utilizzando lo stesso apparato del precedente esperimento. Stimoli: complessivamente venivano presentate 8 scene. Ciascuna era composta dallinsieme dei riflessi visibili in uno dei due piani (vedi Fig. 5): quindi, per il piano , i riflessi N, O, NO; per il piano 1, i riflessi ST, STN, STO, STNO. Queste scene erano ripetute per i due livelli di gesto considerati (braccio esteso lungo lasse sagittale e coronale) e per i due livelli di presenza e assenza di movimento. Compito: per tutti i riflessi considerati, per tutti i gesti e le condizioni di movimento, la richiesta era cos formulata: 1) Osserva questi riflessi: qualcuno di questi riflessi fa un gesto identico rispetto al tuo? 2) Quali sono gli elementi sui quali ti sei basato per rispondere? (la domanda 2 veniva formulata solo qualora non fossero stati spontaneamente esplicitati i motivi che avevano spinto il soggetto a dare una determinata risposta alla domanda 1). Le stesse domande venivano poste per le altre tre relazioni (contrariet, somiglianza, diversit), con la medesima formulazione. Discussione sintetica dei risultati: che relazione percepisce un osservatore tra s e il proprio riflesso? Dai risultati delle due ricerche emerge che linversione egoriferita destraLa percezione della propria identit-contrariet allo specchio - 33

sinistra, che il riflesso analiticamente contiene, non caratterizza in modo saliente lesperienza della propria identit vista allo specchio. I soggetti descrivono il proprio riflesso come contrario solo nel 28% dei casi, mentre una percentuale significativamente maggiore di soggetti (41,3%) lo descrive come identico. Questa preferenza emersa sia in assenza di particolari gesti, sia in presenza di gesti compiuti con un braccio e che pertanto enfatizzavano il riconoscimento dellidentit destra o sinistra (e quindi della non corrispondenza) delle parti del corpo dellosservatore e del riflesso. Se ci si sposta dal piano della relazione autoevidente a quella della relazione riconosciuta a livello pi analitico (le risposte alla domanda: potresti anche dire che contrario?), allora contrariet e identit risultano caratterizzare il riflesso con la stessa frequenza: il 60,8% dei soggetti ammette che il riflesso possa essere descritto come contrario; il 65,2% che possa essere descritto come identico. Interessante che altrettanto plausibile, a questo livello analitico, risulta la descrizione di somiglianza (71,7%), che peraltro viene scelta come relazione evidente dal 28% dei soggetti, quindi con la stessa frequenza con cui altri soggetti avevano invece descritto evidente contrariet. Questi dati sul riconoscimento di somiglianza tanto quanto di contrariet potrebbero sembrare contraddittori per lapparente distanza tra le due relazioni. Confermano invece un comportamento gi riscontrato in altri contesti sperimentali, nel confronto tra oggetti, e su cui apriamo una breve parentesi. Tra le regole per la percezione di contrariet c il principio di invarianza (Savardi, Bianchi, 2000), secondo il quale condizione necessaria perch due fatti o propriet siano percepiti come contrari che debba essere riconoscibile tra loro anche una chiara invarianza, oltre che una evidente contrariet, pena lessere riconosciuti come diversi e non come contrari. Daltrocanto, prima che come condizione necessaria alla percezione di contrariet, linvarianza stata riconosciuta sperimentalmente come condizione necessaria al riconoscimento di somiglianza tra due oggetti: da Goldmeier (1936) a Tversky (1977) in poi, tutti i modelli della somiglianza riconoscono il ruolo fondamentale delle common features. Su questa condizione si fonderebbe allora il nesso tra le due relazioni. I dati emersi dalle due ricerche qui riportate sullo studio del riflesso contribuiscono ad approfondire la comprensione del rapporto tra contrariet e somiglianza: da un lato interessante la disponibilit a percepire come simile una relazione percepita anche come contraria, dato che conferma lentit dellinvarianza presente in configurazioni che generano il riconoscimento di contrariet; dallaltro interessante che sia descritta somiglianza in una condizione in cui la variazione propriamente presenza di elementi di contrariet, almeno ad una descrizione analitica della trasformazione. Tornando ai risultati della ricerca, che cosa suggerisce ancora il fatto che i soggetti, pur riconoscendo analiticamente contrariet, esperiscano lidentit del proprio riflesso? Da entrambi gli esperimenti emerge che la percezione di identit o di contrariet 34 - L Io allo Specchio

tra il proprio orientamento e quello riflesso e tra i propri gesti e quelli riflessi prende forma sulle relazioni che essi hanno nellesospazio e che invece ha scarsa importanza legospazio; tutti i riflessi formati su specchio singolo, se violano lidentit destra-sinistra, rispettano la corrispondenza che le parti del corpo e i gesti hanno nellesospazio: io muovo il mio braccio verso est, il riflesso si muove nella stessa direzione dello spazio ambientale. Poco conta, percettivamente, che io lo faccia muovendo il braccio destro e che a muoversi, nel riflesso, sia il braccio sinistro. Tra laltro il riconoscimento della contrariet egospaziale destra-sinistra ha rivelato di dipendere dallo specifico riflesso osservato: i soggetti la descrivono davvero raramente con i riflessi che si formano nello specchio posto sotto i piedi dellosservatore. Questultimo risultato verosimilmente dovuto alla difficolt di immaginare la rotazione mentale del proprio corpo per farlo coincidere con il riflesso, trasformazione che porterebbe a scoprire che destra e sinistra del riflesso non corripondono a quelle dellosservatore. Allinterno del dibattito sulla mirror question (perch lo specchio inverte destra e sinistra e non sopra e sotto?) molti autori hanno indicato nella rotazione la trasformazione a cui losservatore ricorrerebbe per verificare lidentit tra s e il proprio riflesso, applicata come rotazione mentale del proprio corpo (Pears, 1952; Block, 1974) o come rotazione del frame dorientamento (Navon, 1987; Takano, 1998). A confermare la possibilit di questa strategia sarebbero le ricerche sulle immagini mentali (Hinton, Parsons, 1987, 1988; Metzler, Shepard, 1974; Murray, Jolicoeur, McMullen, Ingleton, 1993), in particolare gli esperimenti che hanno messo in luce le soluzioni adottate da soggetti adulti per identificare la lateralizzazione di un corpo umano esterno al proprio (o di sue parti, come mani o gambe) e cio proprio immaginando la rotazione del proprio corpo per farlo coincidere con quello dello stimolo di confronto (Ashton, Mc Farland, Walsh, White, 1978; Parsons, 1983 a, b; 1987 a, b, c). Ora, nel caso del riflesso canonico frontale (N in Fig. 3 o in Fig. 5) la rotazione che losservatore deve immaginare per far coincidere il proprio corpo con il suo riflesso una rotazione di 180 attorno ad un asse gravitazionale (losservatore deve cio immaginare di eseguire un mezzo girotondo per arrivare dietro allo specchio, rivolto come il riflesso); nel caso del riflesso generato da uno specchio collocato orizzontalmente (ST in Fig. 3 o in Fig. 5) il soggetto deve immaginare una rotazione di 180 attorno ad un asse sagittale posto sotto i piedi dellosservatore (losservatore deve cio immaginare di far perno sui suoi piedi e di fare un mezzo giro di lato, verso il basso, ruotando come unelica su un piano verticale). La diversa difficolt di immaginare le due rotazioni (dette nella letteratura scientifica transverse self-rotation e coronal selfrotation) confermata dai risultati di un recente lavoro di Creem, Wraga, Proffitt (2001).

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5. Alcune osservazioni conclusive Scrive Bozzi: Una lunga tradizione culturale (...) ci ha abituati a immaginare lio come qualcosa di estremamente rarefatto, come unentit priva di dimensioni spaziali e forse anche temporali, certo fatta di una stoffa diversa da quella che costituisce il resto del mondo; non c, nellesperienza, un posto occupato dallio: casomai lio dappertutto, invisibile in ogni piega dellesperienza (...) Altri lo hanno rappresentato nella forma di una entit non materiale, ma tuttavia dotata di una sua propria fisiologia; entit che compare nel mondo constatabile, in piccola parte, come coscienza, ma le cui regioni funzionalmente pi importanti restano per noi inesperibili. (...) In ciascuna di esse [queste concezioni dellio] la parte dellio teorizzato che corrisponde a qualcosa di immediatamente esperibile, e su cui tutti possiamo essere daccordo, di solito molto piccola. (...) chiaro che, se mettiamo le cose cos, la ricerca sperimentale si trover di fronte a difficolt insormontabili. (...) Lio una regione del campo totale dellesperienza, e come ogni regione ha i suoi limiti, una sua dinamica, certe sue leggi di configurazione... (Bozzi, 1966, p. XXV). Il presente contributo si proponeva di mostrare la percorribilit sperimentale di analisi della percezione dellio focalizzando una specifica condizione: quella dellosservazione di s allo specchio. Se, da un lato, la condizione studiata pu essere ritenuta un caso particolare di esperienza, dallaltro, nella prima parte abbiamo anche mostrato in che senso debba anche essere ritenuta una delle pi ecologiche (naturali e frequenti) esperienze della propria identit che ogni individuo adulto incontra e che, peraltro, garantisce laccesso a parti di s altrimenti non visibili. Vi sono molti altri contenuti che articolano lesperienza di io fenomenico che credo affrontabili sperimentalmente. Ad esempio, la questione dei confini dellio: coincidono con i confini del mio corpo? Le mie parti interne, le percepisco come mie pi di quanto capiti per le parti esterne? La mia casa, mia figlio, il mio gatto, i miei ricordi, la mia penna stilografica, i miei antenati... sono o non sono, e se s in che modo, esperiti come parti della mia identit? O ancora, quali sono le dimensioni percepite di parti del mio corpo non viste, come la mia testa o il mio fegato? In che senso la presenza dellio struttura lo spazio fenomenico attorno allosservatore? Metodologicamente, ritengo che il ricorso allintrospezione sia ancor oggi, se non lunico metodo, uno dei metodi da coinvolgere fruttuosamente; non il metodo introspettivo classico (quello della scuola di Wrzburg), storicamente sottoposto ad una severa serie di critiche, ma un nuovo metodo introspettivo in cui ricercata sia la validit intersoggettiva delle descrizioni. Cos come linterosservazione (Bozzi, 1978; Bozzi, Martinuzzi, 1985) garantisce la condivisibilit e la verificabilit intersoggettiva della bont delle descrizioni fornite dagli altri soggetti 36 - L Io allo Specchio

nellosservazione di fatti esterni allio, cos non c nulla di difficilmente comprensibile o di non intersoggettivamente condivisibile in certe descrizioni fornite da altri e riferite ad alcuni contenuti dellesperienza di s. Il metodo interosservativo, gi risultato estendibile al caso di eventi non direttamente sotto osservazione (Savardi, Bianchi, 2003), applicato in questo ambito di ricerca, potrebbe rappresentare lanello mancante di un modo di ripensare lindagabilit sperimentale dellio in quanto oggetto di esperienza fenomenica condivisa.

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LIO FENOMENICO ALLO SPECCHIO DELLA GESTALTTHEORIE


Giuseppe Galli

I. ALCUNI ASSUNTI GESTALTICI 1) Distinzione tra organismo biologico e corpo fenomenico In un articolo di Khler del 1929 intitolato: Un antico pseudo-problema1 troviamo la netta distinzione non solo tra oggetto fisico e oggetto fenomenico ma anche quella tra organismo e corpo fenomenico (io corporeo). Questa differenziazione viene descritta da Khler mediante una metafora balistica:
Se io sparo un colpo ad un bersaglio, nessuno vorr ammettere che il foro nel bersaglio lo stesso del revolver da cui uscito il proiettile. Similmente non consentito identificare loggetto fenomenico con loggetto fisico dal quale sono partiti gli stimoli in gioco.. Il mio corpo, davanti al quale e fuori del quale percepiamo gli oggetti fenomenici, esso stesso un oggetto fenomenico accanto agli altri che occupano lo spazio fenomenico, corpo che non va identificato e confuso con lorganismo inteso come oggetto fisico, oggetto di indagine della scienze naturali, anatomia e fisiologia.

Il pregio della metafora di Khler sta nel fatto che come il foro sul bersaglio dipende sia dal calibro del proiettile sia dal materiale di cui fatto il bersaglio (cartone, metallo, ecc) cos levento fenomenico (sia oggetto sia corpo proprio) dipende dalle caratteristiche degli stimoli ma anche dalle propriet del percepiente ( sia fisiologiche che psichiche). Posta la distinzione tra organismo e corpo, Khler in grado di risolvere il problema che ha tormentato pensatori illustri: come mai gli oggetti sono esterni a me, quando i fisiologi dicono che essi sono determinati da processi interni a me? Il primo me si riferisce al corpo fenomenico mentre il secondo me allorganismo.

KHLER, W. (1929) Ein altes Scheinproblem, in Die Naturwissenschaften, XVII, 22, pp.395-401, tr. it. parziale in Appendice a questo articolo. Khler ha poi utilizzato queste argomentazioni nelle sue lezioni, come riferisce Koffka, e nel Capitolo VII del libro Gestalt Psychology (1947), tr. it. La psicologia della Gestalt, 1981, Feltrinelli, Milano. Si veda anche Bozzi, P. (1966) Introduzione alle tesi di W. Khler, in Khler, W. (1966) Principi dinamici in psicologia, pp. XXXIV-XXXVIII, Giunti-Barbera, Firenze.
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2) Bipolarit del campo fenomenico

S1

S2

S3

Uno dei principi dellorganizzazione del microcosmo fenomenico quello della bipolarit: i vissuti si organizzano in due grandi aree o sottosistemi, larea delloggettivit fenomenica e larea della soggettivit fenomenica (io fenomenico). Il loro insieme pu essere definito con Koffka campo totale (Gesamtfeld). Lespressione grafica pi confacente mi pare quella della doppia spirale per la perfetta continuit tra le due spire. Nel campo bipolare il centramento, ossia il risalto con cui uno dei poli si presenta rispetto allaltro pu cadere ora sulloggetto (S1) ora sullio (S2) ora su entrambi, a seconda delle condizioni del campo totale e dei suoi sottosistemi. Koffka analizza il resoconto di un alpinista al risveglio dallo stato di incoscienza dopo la caduta in un crepaccio per mostrare la riorganizzazione della bipolarit della coscienza.2
Il racconto fu scritto nel 1893, credo poco dopo lesperienza, bench lautore non lo dica esplicitamente . Il professor Eugen Guido Lammer, un insegnante di Vienna, aveva fatto da solo la prima ascensione della Thurwieserspitze per la parete nord, una sottile cresta di ghiaccio, e passando per lo spigolo ovest era ridisceso al ghiacciaio sottostante . La discesa successiva lo port in uno dei peggiori ghiacciai delle Alpi orientali, un ghiacciaio squarciato da un labirinto di crepacci ricoperti di neve; egli lo attravers nelle ore pi calde della giornata, quando la neve, che la mattina era dura, tanto da consentire di camminarci sopra tranquillamente, si era ammorbidita per il calore del sole. Aveva quasi gi compiuto la traversata del ghiacciaio quando un ponte di neve su cui aveva inavvertitamente messo il piede cedette ed egli cadde nel vuoto, battendo varie volte contro le pareti del crepaccio e perdendo coscienza. Traduco ora quanto pi letteralmente la sua descrizione: ...nebbia... buio...ronzio....un velo grigio con una piccola macchia pi chiara ... nebbia... debole albeggiare... un fioco borbottio ... un sordo dolore... nebbia... qualcosa successo a
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KOFFKA, K. (1935) Principi di psicologia della forma, (tr. it 1970), Boringhieri,Torino.

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qualcuno... nebbia scura e ancora quel punto pi chiaro ... un brivido: qualcosa di viscido ... nebbia... cosera? ... uno sforzo per pensare ... ah, ancora nebbia, ma oltre questo punto luminoso l fuori, emerge dentro un secondo punto : a destra, sono Io! ... nebbia... un suono cupo che riecheggia; il gelo... un sogno? ... s, certo, un sogno terribile! ... qualcuno ha sognato ... no no, sono Io che ho sognato ...3 Non citer fino alla fine, vale a dire fino alla completa consapevolezza della situazione, e non star a dire come con i suoi stessi sforzi il coraggioso alpinista riusc a liberarsi. Ai fini della nostra disamina sufficiente la parte che ho citato. Essa mostra, se la descrizione fedele (ed molto probabile che lo sia, data la sua vivacit e la sua forza espressiva) che fenomenicamente pass un periodo piuttosto lungo senza un Io, e che tale periodo cominci con lomogeneit pi completa che si possa immaginare. LIo non emerse neppure con la prima articolazione del campo, il punto luminoso, e neppure con la prima sensazione di dolore e nemmeno, a quanto sembra, con il primo pensiero cosciente, bench proprio questo abbia portato ben presto allinstaurazione momentanea del S, peraltro ancora molto instabile ; scomparve ancora, e poi riemerse con maggiore stabilit e migliore organizzazione, mentre lesperienza appariva come un sogno.

3) Percezione del corpo, attivit e passivit Metzger ha descritto alcuni fenomeni che configurano il principio di biforcazione (Gabelungsprinzip): ad es. quando ho un oggetto sul palmo della mano posso avvertire una pressione sulla pelle o il peso delloggetto; se con un dito di una mano tocco un dito dellaltra, percepisco solo il dito toccato e non quello toccante. Del resto, anche per apprezzare meglio il peso di un oggetto noi losoppesiamo facendo oscillare la mano in verticale. Tutto ci fa pensare a una sorta di anestesia della parte del corpo in azione mentre la parte toccata al centro dellattenzione. Su questi aspetti ha scritto un saggio interessante F. J. J. Buytendijk intitolato Toccare ed essere toccati.

4) Lio come parte del campo La teoria globalista non prende le mosse da elementi costitutivi preesistenti e invarianti ma dallattivit psichica intesa come continuum. Tale teoria opera con il concetto di campo, dove vige interazione tra le varie componenti, e quello di sistema entro il quale si danno sottoinsiemi tra loro interagenti. Questo uno degli assiomi base della Gestalttheorie, cos come Wertheimer li ha esposti alla Societ kantiana nel dicembre 1924, a Berlino4. Ci sono situazioni complesse dove per capire ci che accade nella totalit non si pu partire da come sono fatte le singole componenti e da come si collegano tra di loro; piuttosto ci che accade in una parte di questo tutto determinato dalle leggi
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Mi stato detto che lesperienza del ritorno della coscienza dopo il gas esilarante simile a questa. WERTHEIMER, M. (1925) ber Gestalttheorie, in Philos. Z. fr Forschung und Aussprache, 1, 39-60.

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strutturali dello stesso tutto Io sono qui con questo Io come parte del campo. Dunque non come un Io originariamente contrapposto ad altri Io, come si affermato cos spesso fin dal passato. Piuttosto il divenire Io appartiene agli eventi pi straordinari ma anche pi rari che occorrano, eventi a loro volta determinati da leggi del tutto... Se poi io sono parte del campo, allora il mio comportamento sar governato da leggi del tutto e non da momenti isolati, esperienze parcellari, ecc.. Cos se pi persone sono impegnate insieme in un lavoro il comportamento pi innaturale, ai limiti del patologico, sarebbe quello di pi Io che stanno accostati tra loro, mentre in condizioni normali il lavoro comune fa si che ciascuno rivesta la funzione di parte significativa del tutto Nei passi citati Wertheimer propone un ribaltamento del metodo tipico delle scienze naturali del suo tempo: non pi un uso esclusivo della lente di ingrandimento per isolare le componenti elementari ma lutilizzo della lente di rimpicciolimento per avere innanzitutto la visione dinsieme che permetta di cogliere le qualit globali o gestaltiche del tutto, entro il quale poi analizzare il ruolo e la funzione che le parti rivestono nello stesso. Il concetto di ruolo diviene cos centrale in tutte le opere di Wertheimer. Nelle analisi proposte dai gestaltisti non compare lindividuo a s stante ma la persona in situazione, spesso come parte di una unit interpersonale pi vasta, una coppia, un gruppo. La condizione naturale quella di un Io che parte di un Noi (Wir-Teil), non quella dellio irrelato e isolato.5 LIo e le sue propriet variano a seconda della regione dello spazio di vita in cui la persona inserita in un momento dato. A seconda della regione e delle relazioni in essa esistenti, emerge un determinato ruolo: di scolaro, di figlio, di leader, ecc. con le diverse propriet connesse a tali ruoli. 5) Io fenomenico e vettori del campo Per quanto riguarda la dinamica del campo, sia Wetheimer sia Khler hanno messo in evidenza come il modo tradizionale di considerare i motivi dellazione, esclusivamente centrati sullio della persona, finisca per trascurare i tanti casi in cui i vettori motivazionali derivano dalla situazione e dalle sue esigenze (requiredness) a cui la persona sente il bisogno di adeguarsi.6 Wertheimer ha cercato di esemplificare come un eccessivo centramento su di s modifichi le relazioni interpersonali e la percezione delle stesse7.
Werheimer ha fornito numerosi esempi al riguardo: si veda il Capitolo: Due ragazzi giocano a volano; una ragazza descrive il suo ufficio in Wertheimer, M. (1945) Productive Thinking, New York, tr. it. Il pensiero produttivo, 1965, pp. 183-196, Barbera, Firenze. 6 Su questi aspetti rimando al capitolo sulla Dedizione nel mio libro: (2003) Psicologia delle virt sociali, CLUEB, Bologna, 2 ed. 7 Si veda il Capitolo gi citato: Due ragazzi giocano a volano; una ragazza descrive il suo ufficio.
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6) Livelli e forme della coscienza di s Metzger propone la seguente differenziazione di livelli: un primo livello che potremmo definire coscienza dellesserci (Daseinsbewustsein); questo permette luso sensato del proprio nome e del termine io; a questo livello si aggiunge poi la coscienza del proprio stato interiore (Befindlichkeitsbewustsein) caratterizzata dai vissuti dei sentimenti e delle emozioni dominanti in un certo momento: la gioia, il dolore, leccitazione di unattesa,ecc.; infine viene raggiunta, e in modo sempre pi chiaro, la coscienza della propria particolarit (Besonderheitsbewustsein), cio di essere uno fatto cos e cosQuesto rende possibile il confronto con altri e il volere essere come un altros. 8 Metzger precisa in altra sede che a differenza della conoscenza dellaltro da s dove la componente percettiva indubbia, nel caso della Besonderheitsbewustsein difficile dire quanto vi sia ancora di percettivo o se si tratti di un puro sapere.9 Nelladulto i livelli, indicati da Metzger, si presentano come forme di coscienza di s sempre pi complesse. Cos la Daseinsbewustsein si presenta diversamente a seconda del tipo di sistema di riferimento spaziale, lo sfondo, in cui si collocati: nella propria casa o in un ambiente estraneo (capita al risveglio in una stanza insolita e buia di sentirsi disorientati: dove sono? Come sono girato? ); in patria o allestero, ecc..10 Importante, a questo riguardo, lesistenza di sistemi di riferimento incapsulati uno nellaltro. Si veda ad esempio la distinzione fatta da Bianchi e Savardi tra egospazio ed eso-spazio: le polarit testa-piedi del corpo in relazione col sopra-sotto del sistema gravitazionale, ecc.11 Lo stesso vale per il sistema di riferimento temporale12: quello scandito dallagenda di lavoro, quello rilassato delle ferie quando si vive alla giornata senza preoccupazioni per il dopo; quello del ciclo della vita: sono nella terza et, ecc.; quello generazionale (voi siete ci che noi fummo, voi sarete ci che noi siamorecita un aforisma scritto in alcune epigrafi funerarie). Anche il concetto di cronotopo elaborato da Bachtin per lanalisi dei testi letterari, anche autobiografici, si collega a questo aspetto della coscienza di s; pensiamo

METZGER, W. (2000) Psicologia per leducazione, p. 109, Armando, Roma. Lautore aveva gi proposto e descritto questi livelli di autocoscienza in uno scritto del 1959: Die Entwicklung der Erkentnissprozesse in Handbuch der Psychologie, 3 Bd. I., Hogrefe, Gttingen. 9 METZGER, W. (1966) Der Ort der Wahrnehmungslehre im Aufbau der Psychologie in Handbuch der Psychologie, 1 Bd. ( I. Halbband), Hogrefe, Gttingen. 10 METZGER, W. (1971) I fondamenti della psicologia della Gestalt, Giunti e Barbera, Firenze. Cap. IV: Il problema del sistema di riferimento. 11 Cfr. Ivana Bianchi, in questa pubblicazione. 12 METZGER, W. I fondamenti della psicologia della Gestalt, cit. Cap. IV.
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allinizio della Divina Commedia dove Dante precisa il luogo e il tempo della sua vicenda. Interessanti anche le esperienze descritte dai mistici dopo unestasi: Me ne entrai dove non seppi,/ vi rimasi non sapendo,/ ogni scienza trascendendo..cos assorto ed alienato,/che il mio senso ne rimase/ privo di ogni sentimento.. (San Giovanni della Croce). La fenomenologia della Befindlichkeitsbewustsein estremamente complessa: va dal riconoscimento allaccettazione delle emozioni e dei bisogni fino alla possibilit di dare parola agli affetti come si esprimevano Breuer e Freud. Ho cercato di proporre alcuni lineamenti di fenomenologia e dinamica di tali aspetti nel mio libro: Psicologia del corpo.13 La Besonderheitsbewustsein si lega, assieme alle dimensioni prima citate, al tema dellidentit personale sia per quanto riguarda lio corporeo sia per quanto concerne lio sociale e lio spirituale nel senso di James.14 7. Lidentit secondo lapproccio storico-culturale Il tema dellidentit stato studiato in chiave di evoluzione storica da Norbet Elias15. Egli polemizza a pi riprese con il modello di homo clausus che egli riscontra presente in varie scuole filosofiche e sociologiche: Limmagine di se stesso come homo clausus rende assai difficile, se non impossibile, il compito di vedere se stesso da una distanza maggiore, come parte di un intreccio di rapporti formato da parecchie entit e di studiare la peculiarit e la struttura di tale intreccio. Lideale di un individuo totalmente indipendente, di un io senza tu e noi, viene presentato come fosse un fatto atemporale e universale. Fu Descartes a dare il segnale: cogito ergo sum. Che cosa pu esservi di pi assurdo.16 La scelta di Elias per la concezione di homo non clausus sive sociologicus in perfetta sintonia con lapproccio gestaltico. Relativamente al nostro tema, il contributo pi interessante di Elias quello concernente le modificazioni dellequilibrio identit-Io e identit-Noi nel corso della civilt occidentale. Lespressione identit-Noi si compone di moli strati in ognuno dei quali si hanno forme diverse di identificazione e coinvolgimento
GALLI, G. (1999) Psicologia del corpo, CLUEB, Bologna. Parte II, Psicologia delle passioni. JAMES, W. (1890) The Principles of Psychology. Cap. X: The consciousness of self. Una rassegna esauriente delle varie teorie dellidentit in ambito filosofico stata elaborata da ALICI, L., Lidentit smarrita. Percorsi dellindividualit nella filosofia contemporanea e da ORILIA, F., Il problema dellidentit personale nella filosofia analitica contemporanea, in GALLI G. (a cura di) (2002) Interpretazione e individualit, IEPI, Pisa-Roma. I concetti di S e non-S sono utilizzati anche in campo biologico. La storia dellimmunologia dimostra che vari concetti usati dagli studiosi di questo settore sono stati mutuati dalla filosofia e dalla psicologia del S. Si veda: TAUBER, A. I. (1999) Immunologia dellIo, Mc Graw-Hill, Milano. 15 Si tratta di un autore, la cui formazione risale per un verso allapproccio globalista della Gestalttheorie, e per laltro alla psicoanalisi, due indirizzi entrambi presenti a Francoforte negli anni in cui egli vi era come assistente di Karl Mannheim.
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ELIAS, N. (1988) Coinvolgimento e distacco, p. 19, Il Mulino, Bologna.

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emotivo: famiglia, luogo di origine, regione, Stato, ecc. In questo contesto sociale e culturale, ognuno si differenzia dagli altri nel corso dello sviluppo, adottando ad esempio uno stile personale entro la lingua comune, un modo individuale di gestire i ruoli, ecc. acquisendo cos la propria identit-Io. Secondo lautore nel corso della nostra evoluzione culturale, nellequilibrio tra le due forme di identit, lidentit-Io ha assunto un peso sempre pi rilevante a scapito dellidentit-Noi. E tipico della struttura delle societ sviluppate dei giorni nostri che si attribuisca un valore superiore a ci per cui gli uomini si distinguono tra loro, alla loro identit-Io, che non a ci che hanno in comune, alla loro identit-Noi Ma questo genere di equilibrio Noi-Io, il suo pendere decisamente in favore dellidentit-Io non sono affatto ovvi: in precedenti stadi di sviluppo, infatti lidentit-Noi prevaleva spesso sulla identit-Io. Ma a partire dal Rinascimento il peso pian piano si spost in favore dellidentit-Io.17 Lidentit e i modelli positivi e negativi Nel processo di costruzione dellidentit, entrano in gioco fattori di carattere valoriale per cui le immagini che ci riguardano vengono a raggrupparsi attorno a due poli: quello delle immagini negative, disprezzate o temute, e quello delle immagini positive, apprezzate o idealizzate. Il complesso delle immagini che la persona riconosce come pertinenti a s si trova in un delicato equilibrio fra questi due poli. In difesa di questo equilibrio si muovono forze potenti, quando vi sia la minaccia di uno spostamento verso le immagini negative, in quanto viene intaccata la stima di s. In questo ambito di problemi, contributi importanti ci vengono dalle ricerche sulle interazioni familiari di pazienti affetti da disturbi psichici. Vari autori, tra cui R. Laing, hanno messo in luce, ad esempio, gli effetti di mistificazione che possono prodursi quando il genitore o leducatore propone con la sua autorit immagini estranee al vissuto della persona.

II. VIE DACCESSO ALLA CONOSCENZA DI S 1. Conoscenza a latere(nebenbei) secondo Brentano Il fondamento della psicologia come di ogni scienza naturale costituito dalla percezione e dalla esperienza. Ed soprattutto la percezione interna dei propri fenomeni psichici che costituisce la sorgente dei dati.Si noti bene, noi diciamo che la vera e irrinunciabile fonte dei dati la percezione interna e non losservazione internaQuesto vale soprattutto per alcuni fenomeni psichici per esempio la collera. Perch chi volesse osservare la collera che si accende dentro di lui, gi si
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ELIAS, N. (1990) La societ degli individui, p.178 ss, Il Mulino, Bologna.

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accorgerebbe che essa si raffreddataSolo mentre lattenzione rivolta ad un altro oggetto avviene che anche i processi psichici ad esso orientati divengano a latere (nebenbei) accessibili alla percezione. Per quanto noto nessuno psicologo ha finora operato questa distinzione e le conseguenze di questa confusione e scambio sono assai rilevanti18 Per esemplificare il passo di Brentano pensiamo a varie situazioni: mentre guardo un oggetto ho anche coscienza di vedere e non di un puro immaginare; quando inveisco contro X ho anche coscienza di essere arrabbiato; ecc. Recentemente Kahnemann ha distinto un actual self da un remembering self volendo sottolineare che il primo di brevissima durata e che molti vissuti si riferiscono al secondo. Certo molti vissuti del s necessitano di un certo distacco anche temporale. 2. Riconoscersi in un testo secondo Paul Ricoeur Contrariamente alla tradizione del Cogito e alla pretesa del soggetto di conoscere se stesso per intuizione immediata, ci si comprende passando attraverso le grandi testimonianze che lumanit ha deposto nelle opere della culturala soggettivit del lettore coglie se stessa solo nella misura in cui viene posta in sospeso, dichiarata irrealizzata e potenziale al modo di quel mondo che il testo dispiega Come lettore, solo quando mi perdo, mi ritrovo; dalla lettura vengo introdotto nelle variazioni immaginative dellego.La metamorfosi dellego implica un momento di distanziazione persino nel rapporto con se stessi.La comprensione di s pu, anzi deve di conseguenza includere una critica sia marxista sia freudiana delle illusioni del soggettoIn tutte le forme di analisi, la presa di distanza la condizione della comprensione19. Per illustrare il fenomeno della presa di distanza propongo lo schema grafico seguente, dove il polo oggettuale costituito da una scena pregressa che comprende sia lIo che loggetto. Questo capita, ad esempio, quando sbollita la rabbia, uno cerca di rivedere se stesso in rapporto alla persona con cui ha litigato, al fine di rendersi conto dei motivi del litigio, delle proprie reazioni, ecc... Anche la cosiddetta metacomunicazione consiste in distanziarsi per riflettere in forma monologica o dialogica sullo scambio verbale avvenuto.

BRENTANO, F. (1874) Psychologie vom empirischen Standpunkt, Leipzig, I, p.40 ss. (trad. mia); nebenbei viene tradotto da alcuni col termine marginale; da altri: per inciso. 19 RICOEUR, P. (1977) Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, pp. 76 ss, Paidea, Brescia.
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III. RICERCHE SPERIMENTALI SULLA SOGGETTIVITA FENOMENICA: PROBLEMI METODOLOGICI La scuola berlinese ha svolto le sue ricerche quasi esclusivamente nel campo della oggettivit fenomenica. Nella rivista Psychologische Forschung i lavori dedicati alla soggettivit fenomenica sono pochissimi: W. Wolff (1932) ha fatto una ricerca sul riconoscimento della propria voce, delle proprie mani e del profilo del volto mascherato. Si tratta di una raccolta di osservazioni interessanti ma prive di una elaborazione teorica. Pi importante la ricerca di Tamara Dembo sulla Collera come problema dinamico20 programmata da Lewin nella serie dedicata alla Psicologia dellazione e dellaffettivit. In questa ricerca compaiono aspetti metodologici tra loro interconnessi: il tema della motivazione che spinge le persone a partecipare alla ricerca; il tema del rapporto tra sperimentatore e soggetto; il tema della situazione in cui viene trovarsi il soggetto che parla di s. Alla fine degli anni 60 ho cercato di abbordare sperimentalmente il tema del riconoscersi utilizzando unimmagine non usuale come lombra del profilo del proprio volto.
DEMBO, T. (1931) Der rger als dynamisches Problem, in Psychol. Forsch. 15, 1-144, trad. it. parziale in GALLI G. (a cura di) (1977) Lewin, Antologia, Il Mulino, Bologna.
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Cosa significa riconoscersi? Una prima ipotesi che la persona ad un certo stadio evolutivo abbia acquisito una immagine di s interiore tale da fungere da parametro di riferimento nel confronto con stimoli percettivi (immagini speculari, fotografie, sequenze cinematografiche, caricature, ecc.) cos da poter dire sono proprio io oppure, non mi ci ritrovo, ecc. corretto pensare ad una immagine di s unica, valida in ogni situazione, una sorta di essenza di s? O si deve piuttosto pensare a immagini diverse a seconda del contesto e delle relazioni interpersonali? Seguendo questa seconda ipotesi ho presentato, oltre a immagini isolate, anche situazioni diadiche dove la persona vedeva il proprio profilo affrontato a quello di un partner (il padre, lo sperimentatore, ecc). Una sintesi di queste ricerche si pu trovare nel mio libro Conoscere e conoscersi, Clueb, Bologna, 1991 (pp.83-90). Nel frattempo mi sono imbattuto in una serie di problemi metodologici legati alla struttura della situazione sperimentale che voglia indagare la soggettivit fenomenica. Lapproccio di campo, particolarmente approfondito da Lewin21 obbliga a tenere conto non solo delle variabili personali ma anche di quelle della situazione nella quale la persona stessa vive in un momento dato. Schematicamente, in una situazione di ricerca, possiamo distinguere i seguenti aspetti: La struttura degli scopi In psicologia necessario distinguere la ricerca in situazioni cliniche da quelle sperimentali Nelle situazioni cliniche una persona, mossa dalla sofferenza, che interpella uno psicologo in cerca di aiuto. Il fine primario condiviso quello della cura: di qui lalleanza terapeutica e le sue vicissitudini. Come fine ancillare pu esservi quello della ricerca. Qui si aprono problemi metodologici da un lato ed etici dallaltro per lutilizzo di materiale privato (sensibile). Nelle situazioni sperimentali uno psicologo, mosso dai suoi interessi scientifici, a cercare la collaborazione di una persona disposta a collaborare. La relazione di collaborazione e il ruolo dei soggetti sperimentali. Dalle ricerche dei padri fondatori della Gestalt, sappiamo che essi facevano da soggetti luno per laltro. Cosi nella ricerche sul movimento apparente, Wertheimer ha avuto come soggetti i colleghi Khler e Koffka mossi, verosimilmente sia da interesse scientifico sia da cortesia. Lo stesso avveniva tra le dottorande di Lewin
LEWIN, K. (1931) bergang von der aristotelischen zur galileischen Denkweise in Psychologie und Biologie, in Erkenntnis, 1, 1965, Transizione dalla mentalit aristotelica a quella galileiana in biologia e psicologia in Teoria dinamica della personalit, Giunti, Firenze.
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a Berlino; la Dembo parla di scambi di cortesia tra colleghi. Nella psicologia accademica internazionale gran parte delle ricerche sono svolte con studenti universitari come io stesso ho fatto nella ricerca citata. Circa la motivazione degli studenti alla collaborazione si deve pensare ad un intreccio di ruoli non sempre favorevole al buon esito delle ricerche: il ricercatore ad un tempo anche professore, esaminatore; lo studente oltre che tale anche, talvolta, desideroso di una terapia, ecc. In molte ricerche, lo sperimentatore stesso, a non condividere con i soggetti gli scopi della ricerca. Ad esempio nella citata ricerca sulla collera, la Dembo propone ai suoi soggetti la soluzione di un compito praticamente impossibile (il lancio di una decina di anelli sul collo di una bottiglia posta ad una distanza notevole) ma il soggetto entra nella stanza ignorando del tutto il vero scopo dellesperimento (p.79). In che misura viene attuato il principio del rispetto nei confronti della persona? Sar Lewin nelle ricerche-azione a sottolineare la necessit della piena condivisione dei fini con tutti i partecipanti alla ricerca stessa. Attualmente riemerge come problema rilevante: come ottenere la collaborazione e la corresponsabilit delle persone partecipanti ad una ricerca? In Italia stato Paolo Bozzi a proporre una inversione di tendenza al riguardo.22 I gradi di dialogicit Nelle ricerche di fenomenologia che mirano a conoscere i vissuti del soggetto, in particolare il modo in cui egli percepisce la situazione attuale, lapproccio dialogico appare quello privilegiato23. Tuttavia sono in gioco gradi diversi di dialogicit a seconda del tipo di ricerche. Ricerche sulloggettivit fenomenica Nel caso della fenomenologia sperimentale della percezione degli oggetti (almeno della forma classica della Gestalttheorie), lo psicologo una volta elaborata una configurazione stimolante pregnante, si pone di fronte ad essa come primo osservatore e non ha che da attendersi dalle parole del soggetto (secondo osservatore) una conferma del proprio vissuto. Graefe24 parla a questo proposito di identit strutturale dei vissuti. Dunque sono i vissuti comuni agli osservatori ad essere privilegiati e tematizzati mentre le modalit di comunicazione degli stessi vissuti vengono lasciate in disparte. Per quanto riguarda le modalit di comunicazione vorrei sottolineare un aspetto che permette di differenziare ulteriormente la fenomenologia sperimentale degli
BOZZI, P. (1978) Linterosservazione come metodo per la fenomenologia sperimentale, Gior. It. Psicol. 5, 229-239; Id (in collaborazione con Martinuzzi, L.) 1989, Un esperimento di interosservazione, Riv. Psicol. 23 BACHTIN, M. (1988) Lautore e leroe, pp. 43ss, 354ss, 364-365, Einaudi, Torino. 24 GRAEFE, O. (1960) Carnaps Psychologie in physichalischen Sprache, in Archiv fr Philosophie, X, pp.318ss.
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oggetti dallo studio della soggettivit fenomenica. E utile al riguardo richiamare la distinzione operata da Karl Bhler25 circa le funzioni del linguaggio. Secondo Bhler, il linguaggio esplica tre funzioni fondamentali: funzione rappresentativa o simbolica, in quanto si riferisce agli oggetti o avvenimenti di cui si parla; funzione espressiva o sintomatica, in quanto il parlante esprime i suoi lati emotivi; funzione di appello o segnale, in quanto fa riferimento ai modi per coinvolgere linterlocutore.

Nel caso della percezione, lo psicologo ricercatore richiede al suo soggetto di comunicargli ci che percepisce qui ed ora della costellazione stimolante presentata; si occupa quindi solamente della funzione descrittiva o rappresentativa, tralasciando le altre due funzioni del linguaggio. Nel caso della soggettivit, invece, linteresse per lindividuale e quindi lattenzione deve essere rivolta anche alle altre due funzioni linguistiche, quella espressiva e quella di appello. Entrambe queste funzioni trovano il loro substrato non tanto nel contenuto del discorso, quanto nel tono e nello stile in cui tale contenuto viene veicolato26. Di ci noi siamo consapevoli nella vita quotidiana quando ci poniamo mentalmente interrogativi del tipo: perch mi ha detto le cose con quel tono (lamentoso, spaventato, ecc.)? Cosa voleva ottenere da me (che lo consolassi, che fossi intimorito, ecc.)? Il riserbo reciproco impone per che tali interrogativi restino privati anche nelle situazioni intime.
BHLER, K. (1924) Sprachtheorie, Jena, tr. it. 1983 Teoria del linguaggio, Armando, Roma. Cfr. BENVENISTE, E. (1971) Saggi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano; GOFFMAN, E. (1969) La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna.
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Tale rispetto, a mio avviso, va mantenuto anche nelle situazioni di laboratorio dove la persona entrata su invito del ricercatore e non per motivazioni proprie come nella situazione clinica. Ricerche sulla soggettivit fenomenica Diversa la situazione nel caso dello studio della soggettivit fenonemica, cio delle immagini di s che la persona sperimenta. In questo ambito, la relazione interpersonale Io-Tu imprenscindibile. Leggiamo ancora quanto scrive Bachtin27 nei suoi appunti per una metodologia delle scienze umane:
Qui necessario il libero autosvelamento della persona. Qui c un nucleo interiore che non si pu assorbire e usare, un nucleo dove si mantiene sempre una distanza e nei riguardi del quale possibile soltanto un rapporto puro e disinteressato; pur svelandosi per laltro, esso resta sempre anche per s. La domanda qui posta dal conoscente non a s e non a un terzo in presenza di una morta cosa, ma al conosciuto stesso. () Lapproccio monologico mira allesattezza della conoscenza generale; lapproccio dialogico mira alla profondit della penetrazione nel mondo individuale. Si tratta di una sfera di scoperte, rivelazioni, conoscimenti, comunicazioni. Qui contano sia il mistero sia la menzogna (e non lerrore). Qui conta limmodestia e loffesa.. Il nucleo ineffabile dellanima pu essere riflesso solo nello specchio di una simpatia assoluta.

Il problema che ora si pone il seguente: possibile costruire un rapporto personalizzato in un laboratorio di fenomenologia sperimentale? Stando anche alle mie esperienze28, la risposta negativa e conferma quanto diceva uno dei soggetti di Tamara Dembo durante una ricerca pianificata da Kurt Lewin29: sempre piacevole parlare di s, ma non in laboratorio. Infatti, quali motivazioni potrebbero indurre un soggetto ad aprirsi a parlare di s, quando ha acconsentito a partecipare ad una ricerca che di esclusivo interesse dello psicologo ricercatore. Certo, tra i soggetti alcuni sono disposti a parlare di s perch gravati dai loro problemi interiori. A questo punto per, latmosfera diviene ambigua e carica di imbarazzo, perch sospesa tra finalit diverse: quelle dello sperimentatore e quelle del soggetto. Lindagine della soggettiva fenomenica in situazioni di laboratorio trova qui il suo limite invalicabile. Queste esperienze e riflessioni mi hanno portato a concludere sulla impossibilit di continuare ricerche sulla soggettivit fenomenica in un laboratorio sperimentale. Quali altre vie abbiamo?
BACHTIN, in Lautore e leroe, cit., pp.375.387, pp.418-19. GALLI, G. (1980) Die Analyse des phnomemalen Ich in die Tragweite der Gestalttheorie, in Gestalt Theory, II (1980), pp.71-77; (1991) Conoscere e conoscersi, CLUEB, Bologna. 29 DEMBO, T. (1931) Der rger als dynamisches Problem in Psychol. Forschung, XV, pp.1-144, tr. it. parziale in GALLI, G. (a cura di), Lewin. Antologia, cit.
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IV. RICONOSCERSI IN UN TESTO Un approccio di campo Oltre al metodo dialogico-clinico vi unaltra via per accedere alla conoscenza di s, che chiamer metodo della psicologia ermeneutica. Questa consente di approfondire la conoscenza di s attraverso il riconoscersi in un testo letterario od artistico. Mentre lapproccio elementarista prevede due componenti coi loro attributi preesistenti, da un lato il testo con il suo significato, dallaltro il lettore con le sue molteplici qualit, il modello di campo ammette invece uninterazione reciproca tra i due poli: il significato nasce dallinterazione tra testo e interprete; le qualit dellio fenomenico emergono in funzione della situazione hic et nunc. Per brevit illustrer questo concetto con un aforisma che recita: come il testo cresce con il lettore cos il lettore cresce con il testo. Si tratta del completamento dellantica massima di Gregorio: divina eloquia cum legente crescunt, dove si sottolineava lapporto del lettore allarricchimento dei significati di un testo. Laggiunta: il lettore cresce con il testo vuole mettere in evidenza che la persona mentre comprende il testo, comprende meglio anche se stessa. Aspetti di s prima non conosciuti o non chiari lo diventano. Contemporaneamente si approfondisce i significato del testo in un circolo virtuoso. Linterazione tra lettore e testo soggiace tuttavia ad una serie di condizioni, alcune favorenti altre ostacolanti che vanno indagate. Il lettore pu comprendere il testo ma non entrare in risonanza col proprio ego, pu vedere senza percepire, udire senza capire secondo il detto di Isaia riferito da Cristo ad alcuni ascoltatori delle sue parabole30. Nellultimo decennio, seguendo anche Heider, ho cercato di studiare, attraverso lanalisi di testi letterari, la fenomenologia del corpo vissuto nonch la fenomenologia e la dinamica di alcune relazioni interpersonali che ho definito virt sociali: la fiducia, la sincerit, la speranza, la dedizione ecc. Rimando su questi temi ai due libri: Psicologia del corpo; Psicologia delle virt sociali. 31

Mt 13, 13-15. GALLI, G. (1999) Psicologia del corpo, CLUEB, Bologna; (2003) Psicologia delle virt sociali, CLUEB, Bologna, (2edizione ampliata). I singoli temi delle virt sociali sono stati trattati, secondo un approccio multidisciplinare, nei Colloqui sulla Interpretazione da me organizzati a partire dal 1979. Si vedano gli Atti nelle pubblicazioni della Facolt di Lettere e Filosofia di Macerata presso gli Istituti Editoriali Poligrafici Internazionali (IEPI) di Pisa (Voll. I-XIX).
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APPENDICE (traduzione parziale da Khler, W., Ein altes Scheinproblem, cit.) Come mai abbiamo le cose del mondo fenomenico davanti a noi, esternamente a noi, quando, oggi, ciascuno sa che esse sono determinate da processi del sistema nervoso centrale situati nel nostro interno? Uno psicologo potrebbe indicare immediatamente la semplice soluzione a questo singolare problema. Tuttavia non si pu certo affermare che tale soluzione sia di dominio generale. Non solo un filosofo del calibro di Schopenhauer, facendo sue, senza critica, le premesse inverse del quesito posto si trovato poi nella necessit di fare le ipotesi pi spericolate per elaborare una risposta. Anche molti dei maggiori fisiologi, tra i quali persino Helmholtz, non sono riusciti a far chiarezza su questo punto. Mach e Avenarius si sforzarono di separare nettamente lapproccio scientifico dagli errori implicitamente contenuti nella formulazione del paradosso. Tuttavia, o le loro riflessioni sono state ignorate, oppure il problema non stato da loro risolto in modo esauriente. Infatti, pochi anni or sono, un famoso medico ripropose nuovamente il quesito: come pu la coscienza, connessa ad un organismo, giungere a riferire le modificazioni dei suoi organi di senso a qualcosa di esterno ad essa? Allautore sembrarono vani tutti i tentativi di dare spiegazione a questo impulso proiettivo (Projektionszwang); qui infatti si nasconderebbe uno degli eterni quesiti connessi al problema mente-corpo. Ci si pu convincere facilmente che il nostro medico non attualmente solo; egli rappresenta piuttosto la maggioranza degli scienziati [...] Abbiamo di fronte a noi la tipica difficolt, che si crea quando, entro un corretto percorso logico, si procede per un tratto senza portare a termine il percorso stesso. Se in un certo ambito si raggiunge una nuova conoscenza, mentre in un territorio confinante si conserva inavvertitamente un livello di conoscenza antiquato, necessariamente nascono contraddizioni. Il percorso, di cui si tratta nel nostro caso, intimamente connesso allo sviluppo della fisica di Galilei e Newton. Di conseguenza dobbiamo ripercorrere tale corso scientifico per scoprire ed eliminare le difficolt insorte. La fisica del tardo barocco ha distrutto il realismo ingenuo. Le cose, che sussistono indipendentemente dallosservatore e che devono divenire oggetto di una ricerca obiettiva, non possono avere tutte le qualit variopinte che lambiente mostra inoppugnabilmente ad una osservazione fenomenica. Il fisico mette quindi da parte una quantit di cosiddette qualit sensoriali quando egli vuol fare emergere dal mondo fenomenico ci che ritiene oggettivo. Se i maggiori ingegni del tempo abbiano percepito con immediata chiarezza che bisognava procedere assai oltre fino ad arrivare ad un radicale annullamento dellidentit numerica tra oggetto fenomenico e oggetto fisico, su questo punto non so dare una valutazione ponderata. In alcuni casi si ha limpressione che per essi loggetto fenomenico fosse semplicemente loggetto fisico parzialmente ridipinto mediante varie aggiunte soggettive, che entrambi dunque fossero in fondo una LIo fenomenico allo specchio della Gestalttheorie - 55

stessa entit. Comunque si risolva questo problema storiografico, la fisica, dopo leliminazione delle qualit secondarie, si sviluppata cos velocemente che il suo approccio si trasferito immediatamente anche al rapporto tra processi fisici e organismo. Quindi che unonda sonora investa una corda o la membrana timpanica delluomo, ci non fa nessuna differenza di principio. Anatomia, fisiologia e patologia insegnano che su un punto non esistono dubbi. Ai processi che avvengono nellimpatto tra oggetti e organi di senso si connettono ulteriori eventi che si propagano attraverso nervi e neuroni, fino ad una determinata area corticale; qui si realizzano processi alla cui esistenza si connette la percezione, e quindi la stessa presenza degli oggetti percettivi. Cos un oggetto fisico che riflette la luce in maniera diversa dallambiente circostante diviene linizio di una lunga serie di processi di transduzione o di propagazione attraverso media diversi fino a che si realizza un complesso di eventi che pu essere definito come il substrato fisiologico portante del corrispondente oggetto visivo fenomenico. Bench sia chiaramente irrazionale identificare il punto di partenza con una delle fasi successive, pi o meno distanti, del processo, tuttavia consentito da questa ovvia riflessione ammettere lesistenza di somiglianze di vario grado tra loggetto fenomenico e il suo partner nel mondo fisico; in ogni caso, tuttavia, siamo di fronte a due entit distinte: luna rappresentata dalloggetto fisico, laltra dal processo corticale, situato da tuttaltra parte, dal quale dipende direttamente la presenza delloggetto fenomenico. Se io sparo un colpo ad un bersaglio, nessuno vorr ammettere che il foro nel bersaglio lo stesso del revolver da cui uscito il proiettile. Similmente non consentito identificare loggetto fenomenico con loggetto fisico dal quale sono partiti gli stimoli in gioco. In nessun caso loggetto fenomenico ha qualcosa a che fare con lo spazio fisico dove ha sede loggetto fisico corrispondente. Se proprio si volesse localizzare da qualche parte loggetto fenomenico, verrebbe ovvio pensare in primo luogo a quellarea del cervello dove si svolgono i processi fisiologici correlati. Sia Schopenhauer che Helmholtz, sia il medico sopracitato e chiunque per il quale sussista il paradosso in oggetto, sembrano ritenere come naturale una tale localizzazione degli oggetti fenomenici e delle relative qualit. Non vi dubbio invece che gli oggetti fenomenici li abbiamo davanti a noi, fuori di noi. Posto che una localizzazione fenomenica e una fisica sono dati tra loro incommensurabili, viene facile affermare che non possibile rappresentarsi una localizzazione delle componenti del mondo fenomenico in nessun luogo del mondo corporeo fisico. Perci non possiamo prendere in considerazione neppure una localizzazione degli oggetti fenomenici dentro il cervello. Non dobbiamo tuttavia rendere troppo facile la risposta al nostro problema, che non riceverebbe soluzione da una tesi puramente negativa. Infatti vi un dato incontrovertibile, che gli oggetti fenomenici hanno comunque una localizzazione che sta propriamente in rapporto con il nostro corpo, non in esso, ma fuori di esso. Sembra cos che lesperienza immediata contraddica la tesi gnoseologica sopra riportata. In effetti proprio a questo riguardo si trova presso 56 - L Io allo Specchio

i biologi e persino i filosofi lipotesi che loggetto fenomenico venga rigettato, in qualche modo (impulso proiettivo), fuori del corpo nello spazio fisico esterno e possibilmente proprio nella sede del suo partner fisico. Per quanto una simile rappresentazione possa apparire fantasiosa, tuttavia, in ambito psicologico, siamo purtroppo abituati a consentire ogni genere di ipotesi, quelle stesse che per la loro irrazionalit nessuno sarebbe disposto ad accettare nel campo delle scienze naturali. N da queste ipotesi rifuggono coloro i quali, in una prestazione cos acrobatica, vedrebbero esprimersi la superiorit dello spirito rispetto alle maggiori limitatezze della natura. Circa la tesi filosofica della incommensurabilit della localizzazione fisica e fenomenica vi tuttavia da aggiungere quanto segue [...] Nello spazio fenomenico riscontriamo ovunque esempi di relazioni di esteriorit. Vicino ad un libro, fuori di esso, c la matita, ancora pi distante da entrambi vedo il calamaio. Tutto ci appare assolutamente ovvio. Lunico concetto, necessario per la soluzione del singolare problema che ci siamo posti, consiste nel fatto che il mio corpo, davanti al quale e fuori del quale percepiamo gli oggetti fenomenici, esso stesso un oggetto fenomenico accanto agli altri che occupano lo spazio fenomenico, corpo che non va identificato e confuso con lorganismo inteso come oggetto fisico, oggetto di indagine delle scienze naturali, anatomia e fisiologia. Nella misura in cui questa distinzione non divenuta ovvia tanto da far sparire il problema e le sue apparenti difficolt, si rimane allinizio un po perplessi; perci necessario procedere per gradi: quando io tengo la mia mano vicino alla matita e al calamaio, essa riflette la luce e stimola il mio occhio allo stesso modo degli altri due oggetti. In quellarea del cervello che contiene i correlati fisiologici degli oggetti (e secondo la nostra concezione gli oggetti fenomenici stessi) si svolgono non solo due serie di processi corrispondenti agli oggetti esterni matita e calamaio, ma anche una terza serie, del tutto assimilabile, a cui connesso lemergere delloggetto fenomenico mano. Nessuno si meraviglia che fenomenicamente la matita appaia dislocata esternamente al calamaio. Altrettanto poco ci si dovrebbe meravigliare che il terzo oggetto fenomenico, la mano, appaia vicino agli altri due e questi siano esterni ad essa. I processi dellarea corticale devono avere, senza dubbio, una costituzione tale da permettere non solo il vedere nello spazio, ma anche da assicurare rapporti spaziali del tipo vicino o esterno luno allaltro. Se un tale genere di processi in grado di assicurare le relazioni tra matita e calamaio, altrettanto deve avvenire per la relazione tra i due e la mano. Dal modo come siedo alla scrivania prendo visione non solo della mano, ma anche, pi perifericamente, delle braccia e della parte superiore del tronco. Non c dubbio che sia le braccia che la parte del tronco sono oggetti fenomenici alla stessa stregua della mano o anche della matita e del calamaio; tali oggetti devono la loro esistenza fenomenica agli usuali processi fisico-fisiologici: immagine retinica ed eventi susseguenti del sistema nervoso; gli oggetti stessi soggiacciono infine alle medesime regole per quanto riguarda la localizzazione relativa. Se quindi vi sono buoni motivi LIo fenomenico allo specchio della Gestalttheorie - 57

perch gli oggetti del nostro esempio siano esterni luno allaltro, gli stessi motivi valgono per spiegare come essi, nel loro insieme, giacciano fuori del mio corpo inteso, anche questultimo, come oggetto fenomenico. [...] Quando noi diciamo che un certo oggetto sta davanti a noi, bene avere chiaro che col termine noi designiamo non lorganismo in senso fisico-fisiologico, ma un oggetto fenomenico che, come tutti gli altri oggetti fenomenici, gode della propriet di localizzazione relativa. [...] Il termine di Io fenomenico finora usato si riferisce alle situazioni dove diciamo: io mi sdraio sul sof; io mi siedo; io scendo le scale. Resta invece del tutto fuori discussione la personalit intesa in senso pi profondo. (Traduzione di G. Galli)

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IL PRONOME IO. DATI PROTOFILOSOFICI


Francesco Orilia, Nevia Dolcini* *Nevia Dolcini responsabile soprattutto della stesura dei paragrafi: La distinzione tra auto-attribuzione e autoriferimento; Il legame tra lindicale io e le azioni.

Introduzione Che cosa vogliamo intendere quando affermiamo che i bambini mostrano di avere una coscienza di s e dei propri stati mentali nel momento in cui cominciano ad usare propriamente i pronomi personali e in particolare quando padroneggiano il termine io? legittimo pensare che ci sia una relazione tra lessere autocoscienti ed il riconoscere la propria immagine allo specchio? Siamo in grado di dire qualcosa di pi sul s e sullautocoscienza a partire da unanalisi degli enunciati e dei pensieri in prima persona? Rispetto a questi problemi la filosofia di tradizione analitica e la psicologia sembrano trovare un terreno di comune interesse, dal momento che entrambe si occupano, sia pure con metodi differenti, della coscienza e della sua relazione con luso dei deittici, in particolare del pronome io, oltre che del tema del riconoscersi in unimmagine di s riflessa. Nella letteratura filosofica di tipo analitico si dibatte vivacemente sul termine io, sulla coscienza di s e sulla loro eventuale relazione, mentre la questione del riconoscersi allo specchio tirata in ballo in molti esperimenti mentali che vogliono mostrare il modo in cui io si riferisce al parlante, al s, o comunque a qualcosa. Il problema potrebbe in generale essere riassunto con la seguente domanda: a che cosa si riferisce il termine io, se mai ci sia un tale referente? Lintuizione che nelluso corretto del pronome di prima persona si manifesti un certo grado di autocoscienza e che il referente del termine io possa essere unentit classificabile come un s va indagata a partire dallanalisi di una serie di dati protofilosofici (nella terminologia di Hector-Neri Castaeda1) che ogni teoria filosofica, che tenti di illuminare queste questioni deve prendere in considerazione. Il presente lavoro si pone lobiettivo di raccogliere alcuni di questi dati al fine di mettere in luce la particolarit del funzionamento del termine indicale io rispetto ad altri termini singolari (nomi propri, descrizioni definite o dimostrativi). Gi Frege rifletteva su questa particolarit in un celebre passo di Der Gedanke: Ora, ciascuno dato a se stesso in un modo particolare e originario nel
Cfr., CASTAEDA, H.N., (1980) On Philosophical Method, Nos Pubblications, 1, Bloomington, IN.
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quale non dato nessun altro. Allorch il Dr. Lauben pensa di essere stato ferito, si basa probabilmente su questo modo originario in cui egli dato a s stesso, e non vi che il Dr. Lauben che pu capire il pensiero determinato in questo modo. Ma ecco che egli vorrebbe comunicare con gli altri. Non pu comunicare un pensiero che solo lui pu capire. Se pertanto dice Io sono stato ferito deve utilizzare io in un senso che sia comprensibile anche agli altri, pi o meno nel senso di colui che vi sta parlando in questo momento. Egli mette cos al servizio dellespressione del pensiero le circostanze che accompagnano il suo parlare.2 Appare chiaro in questo passo che, secondo Frege, il termine io, in quanto usato da un dato soggetto, ha un senso particolare, privato e soggettivo. Per queste sue caratteristiche il termine io nella teoria fregeana rappresenta uneccezione rispetto al modo in cui egli tratta tutti gli altri elementi di una lingua. Questa scelta teorica non da tutti condivisa3. Qui non discuteremo la questione della sua appropriatezza, ma ci limiteremo appunto a presentare i dati protofilosofici che potrebbero eventualmente suffragarla. (Leggendo il testo di Frege anche in originale, darei unaltra interpretazione: per uscire dal mondo privato il parlante usa una convenzione come Io magari accompagnando il suo parlare con un gesto rivolto a s che lo indica come parlante) La distinzione tra auto-attribuzione e auto-riferimento In primo luogo sembra opportuno distinguere tra unauto-attribuzione di qualit o propriet che non coinvolge necessariamente luso del linguaggio e unauto-attribuzione che richiede in modo essenziale un auto-riferimento mediato dal linguaggio, un auto-riferimento che pu avvenire in prima o in terza persona. La prima sembra in gioco quando un soggetto S si auto-attribuisce una qualit Q (un dolore, una sensazione di caldo, una sensazione piacevole, ecc.), in senso fenomenico. In questo caso, presumibilmente, Q inglobata, per cos dire, nellio fenomenico inteso come uno dei due poli del campo totale di coscienza di S4. Per esempio, un soggetto che, assorto nella contemplazione dellazzurro del cielo, mette il cappotto come risposta a una sensazione di freddo presente nel
FREGE, G., Le ricerche logiche, tr. it. Di Francesco, M., (1988) p. 55, Guerini Ass., Milano. Tra coloro che si oppongono allapproccio fregeano, in difesa di una posizione referenzialista, si veda in particolare KAPLAN, D. Dthat, in YOURGRAU (a cura di), (1990) Demonstratives, Oxford University Press, Oxford; e KAPLAN, D., Demonstratives. An Essay on the Semantics, Logic, Metaphysics, and Epistemology of Demonstratives and Other Indexicals, in ALMOG, J., PERRY, J., WETTSTEIN, H. (a cura di), (1989) Themes from Kaplan, pp. 481 563, Oxford University Press, Oxford. 4 Cfr., GALLI, G. (1991) Conoscere e conoscersi, p. 55, CLUEB, Bologna.
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suo campo di coscienza, si auto-attribuisce la qualit freddo, ma non quella azzurro, per quanto entrambe siano presenti nel suo campo totale di coscienza. Ci possibile, senza che un pensiero esprimibile con (io) sento freddo sia passato per la mente del soggetto, ossia senza che il soggetto abbia compiuto un auto-riferimento in prima persona. In generale, un soggetto compie un autoriferimento in prima persona quando intrattiene un pensiero esprimibile (in un contesto dato) con una frase del tipo (io) sono P, ossia un io-pensiero. Un soggetto S compie invece un auto-riferimento in terza persona quando S intrattiene un pensiero del tipo Ciampi P, il presidente della Repubblica Italiana P, questo P, laddove il termine singolare in questione si riferisce a S (per esempio, se Ciampi dice Ciampi livornese, compie un auto-riferimento in terza persona). Queste distinzioni aprono un problema rispetto al grado di coscienza che dovrebbe/potrebbe essere coinvolto nei tre differenti casi. Lauto-attribuzione senza auto-riferimento in prima persona, ad esempio, potrebbe presupporre semplicemente una coscienza di esserci, nella terminologia di Metzger5, mentre lauto-riferimento in prima persona potrebbe presupporre un diverso, e forse pi alto, grado di coscienza (autocoscienza o coscienza della propria singolarit, sempre nella terminologia di Metzger), non presupposto nellautoriferimento in terza persona. La distinzione tra auto-attribuzione fenomenica e auto-riferimento (di prima e di terza persona) sembra necessaria se si considerano le seguenti motivazioni: i) lauto-riferimento sembra legato alla capacit di pensiero linguistico; ii) lauto-attribuzione in senso fenomenico sembra indipendente dal linguaggio; iii) lauto-attribuzione in senso fenomenico sembra legata ad una certa ricchezza propriocettiva ed agli stati sensoriali in genere; iv) lauto-riferimento sembra indipendente dalla propriocezione (e dagli stati sensoriali in genere). Per quanto riguarda (i) e (ii) interessante notare che lauto-riferimento attribuibile anche a bambini prima dei 18 mesi (circa), i quali fino ad allora non padroneggiano luso corretto della parola io. A tale incapacit linguistica si accompagna lincapacit di compiere gesti classificabili come auto-riferimento gestuale (che potrebbe essere considerato il corrispettivo non verbale dellautoriferimento linguistico) e la mancata padronanza delluso di altri pronomi personali come tu, noi6, ecc.
Cfr., METZGER, W. Psicologia per leducazione. Modelli antropologici. Regole sociali. Applicazioni pedagogiche, trad. it. Galli, G., (2000), p. 109, Armando Editore, Roma. 6 Vedi CORAZZA, E. (2004) Reflecting the Mind: Indexicality and Quasi-Indexicality, pp. 176-178, Oxford University Press, Oxford; per un approfondimento sulla relazione tra auto-riferimento gestuale e padronanza dei termini indicali nei bambini, cfr., TOMASELLO, M. (2003) Constructing a Language: a Usage-Based Theory of Language Acquisition, Harvard University Press, Harvard.
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La relazione, in gioco nei punti (iii) e (iv), tra propriocezione (o stati sensoriali in genere) e auto-riferimento o auto-attribuzione un po pi complessa da supportare con dati, dal momento che non cos evidente che cosa in definitiva si possa intendere per propriocezione, ma soprattutto perch non possibile rilevare stati di questo tipo con esattezza scientifica. Oliver Sacks, in The man who mistook his wife for a hat7, fornisce un esempio interessante nella storia (The disembodied lady, o La disincarnata8) di una donna priva di propriocezione, la quale tuttavia ancora in grado di compiere auto-riferimenti (ovvero di avere pensieri del tipo io sono P). Il caso della disembodied lady supporterebbe il punto (iv), eppure non cos pacifico che essa rappresenti un caso di totale assenza di propriocezione. Nel racconto di Sacks si legge infatti che la donna era ancora in grado di avere esperienze propriocettive, anche se limitatamente allunica circostanza in cui veniva accompagnata in unauto cabriolet portata a grande velocit. Esce ogni volta che pu, ama le macchine scoperte che le fanno sentire il vento sul corpo e sul viso (lentit del danno alla sensibilit superficiale, del tatto superficiale molto lieve). Che meraviglia! dice. Sento il vento sulle braccia e sul viso e allora so, vagamente, di avere delle braccia e un viso. Non come sentirli in modo completo, ma pur sempre qualcosa []9 In quellauto, grazie alla sensazione del vento sul suo corpo, la donna si sentiva (o sentiva il suo corpo?). (Il tatto fornisce anche materiali per la percezione di s accanto ai canali propriocettivi come i recettori muscolo-tendinei e lapparato vestibolare. Pu essere utile distinguere vari livelli partendo dal non-conscio fisiologico: 1) reazioni omeostatiche che entrano in gioco prima che uno percepisca freddo o caldo o sete, ecc.; 2) riflessi di difesa che precedono il dolore come il ritrarre larto scottato o ferito, ecc. Questi processi interessano il cervello antico o rettiliano secondo il modello di McLean. Su questi si innesta poi il fenomenico.) Lirriducibilit dellauto-riferimento in prima persona La distinzione tra auto-riferimento in prima persona ed auto-riferimento in terza persona supportata da numerosi dati offerti dalla letteratura filosofica, soprattutto grazie a H.N. Castaeda. Qui ne considereremo alcuni tra i pi significativi per i nostri scopi. Castaeda presenta un esempio in cui lEditore di Soul miliardario, ma non sa che lui stesso ad essere miliardario, dal momento che non sa ancora che
SACKS, O. (1985) Luomo che scambi sua moglie per un cappello, Adelphi, Milano. Ibid., pp. 69-83. 9 Ibid., p. 81. Il corsivo dellautore.
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proprio lui stesso lEditore di Soul. Con questo caso Castaeda mette in luce la funzione particolare del quasi-indicatore lui*. Per quasi-indicatore Castaeda intende, allincirca, un pronome utilizzato da qualcuno per attribuire luso di un deittico al soggetto di un qualche atteggiamento proposizionale10, come una credenza o un desiderio. In particolare lui* corrisponde ad un io utilizzato da qualcuno diverso dal parlante. Vediamo in dettaglio i passaggi: (1) LEditore di Soul crede che lEditore di Soul un miliardario [attribuzione allEditore di un auto-riferimento in terza persona] (2) LEditore di Soul crede di essere miliardario, ossia che lui* un miliardario [attribuzione allEditore di un auto-riferimento in terza persona] Dal momento che lEditore potrebbe non sapere di essere tale (ad esempio stato nominato a sua insaputa), mentre sa che lEditore (chiunque egli sia) riceve insieme alla nomina un cospicuo lascito finanziario, (1) non implica (2); perch, in tale circostanza, (1) vero e (2) falso. Viceversa, (2) non implica (1); infatti lEditore potrebbe non sapere di essere tale ( stato nominato a sua insaputa), ma ha appena saputo di avere ricevuto una cospicua eredit da sua zia, e quindi (2) vero e (1) falso11. Lo stesso ragionamento pu essere costruito per qualunque altro termine singolare che sostituisse lEditore di Soul e questo basta per concludere che lauto-riferimento in terza persona diverso dallauto-riferimento in prima persona, dal momento che il quasi-indicatore lui* di (2) corrisponde al pronome io utilizzato dallEditore. Alla medesima conclusione portano anche gli altri due esempi di Castaeda, il caso delleroe di guerra ed il caso del malato di F, che andiamo ora a considerare. La storia delleroe di guerra compare pi volte negli scritti di Castaeda e spesso in versioni diverse12. Possiamo riassumere la storia in questo modo: un giorno, dopo una rissa, un uomo il cui nome di battesimo Mark viene trasportato in stato di incoscienza da Los Angeles in Vietnam. Giunto in Vietnam ritorna cosciente e nei vari combattimenti, ferito cento volte ma sempre vincente, diventa un grande eroe ed celebrato da tutti e compare molto spesso in quotidiani e
Per atteggiamento proposizionale si intende una relazione (credere, desiderare, dubitare, ecc.) che intercorre tra un soggetto S (ad esempio Mario) e una proposizione P (ad esempio Roma la capitale dItalia). Supponiamo che Mario abbia dimostrato di credere (di se stesso) che felice, tale atteggiamento proposizionale di Mario pu essere espresso dallenunciato: Mario crede che lui* felice. Nella terminologia di Castaeda, lui* un quasi-indicatore. 11 Cfr., CASTAEDA, H.N. (1996) HE*: a Study in the Logic of Self-Consciousness, in Ratio, 8, pp. 130-157, v. pp. 134-135. 12 Cfr., per esempio, CASTAEDA, H.N. (1989) Thinking, Language and Experience, pp. 132-136, University of Minnesota Press, Minneapolis.
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riviste. Purtroppo nella sua centesima e ultima battaglia Mark rimane gravemente ferito ed entra in uno stato di coma. Riportato privo di coscienza a Los Angeles, Mark sviluppa unamnesia che investe tutto il capitolo della sua vita in Vietnam. La sua convalescenza lunga e Mark passa la maggior parte del suo tempo a leggere quotidiani e riviste rimanendo stranamente affascinato dalle gesta di un eroe della guerra nel Vietnam. Comincia cos a studiare tutto ci che leroe ha fatto fino al punto che comincia a scriverne una biografia, la pi autorevole, sapendo chi leroe meglio di chiunque altro, ma senza sapere che lui stesso leroe. (3) Lautore della pi autorevole biografia delleroe di guerra crede che leroe di guerra ha combattuto cento battaglie. [attribuzione allautore della pi autorevole biografia di un autoriferimento in terza persona] (4) Lautore della pi autorevole biografia delleroe di guerra crede di essere leroe di guerra, ossia che lui* leroe di guerra. [attribuzione allautore della pi autorevole biografia di un autoriferimento in terza persona] Anche questo esempio pu essere letto come il precedente: (3) non implica (4), poich lautore della pi autorevole biografia sa tutto sulleroe di guerra senza tuttavia sapere di essere lui stesso leroe di guerra a causa dellamnesia: (3) vero e (4) falso. Questo caso stimola una domanda su ci che significa sapere chi un certo individuo. Una possibile soluzione13 la seguente: sapere chi il P, in relazione a un certo scopo, sapere che il P il Q, dove Q rilevante allo scopo. Ad esempio, possiamo dire che Sherlock Holmes sa chi lassassino di Smith, relativamente allo scopo di arrestarlo, quando scopre che lassassino di Smith il maggiordomo di Smith, ma non quando semplicemente sa che lassassino di Smith lautore del pi efferato crimine mai compiuto a Smallville. La seconda descrizione, lautore del pi efferato crimine mai compiuto a Smallville, non rilevante allo scopo di arrestare lassassino di Smith, o almeno meno rilevante della descrizione il maggiordomo di Smith. Questo ragionamento si applica molto bene allesempio delleroe di guerra di Castaeda, infatti il P pu sapere benissimo chi il P (dal punto di vista di molteplici scopi, per esempio, scrivere una biografia sul P) in terza persona, senza sapere di essere il P in prima persona. Mark, in quanto autore della pi autorevole biografia delleroe di guerra, sa forse meglio di chiunque altro chi leroe di guerra senza sapere che lui* stesso leroe di guerra e quindi di avere scritto non
Cfr., ORILIA, F. (1994) The Eightfold Ambiguity of Oratio Obliqua Sentences, Grazer Philosophische Studien, 47, pp. 197-205.
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una biografia, ma unautobiografia. Lesempio delleroe di guerra prosegue con la decisione di Mark di continuare lattivit di scrittore facendosi conoscere al pubblico con lo pseudonimo di Quintus. Il suo libro biografico sulleroe di guerra ha molto successo, cos passa una decina danni vivendo serenamente fino a che cade in uno stato di depressione che sfocia in una nuova amnesia, in seguito alla quale dimentica la sua vita da scrittore e il suo pseudonimo Quintus. Continua tuttavia ad usare il nome di battesimo Mark e mantiene un grande interesse per la lettura trovando in Quintus il suo autore preferito. Si considerino alla luce di ci i seguenti enunciati: (5) Mark crede che Quintus un ottimo scrittore. [attribuzione a Mark di un auto-riferimento in terza persona] (6) Mark crede di essere Quintus, ossia che lui* stesso Quintus. [attribuzione a Mark di un auto-riferimento in prima persona] Negli enunciati (5) e (6), di cui il primo vero ed il secondo falso, si nota la differenza tra un auto-riferimento in terza persona (Quintus si riferisce a Mark) ed un auto-riferimento in prima persona (il quasi-indicatore lui* indica luso di io da parte di Mark), rispetto ai quali, sebbene vertano entrambi sullo stesso individuo (Mark), non vale la relazione di implicazione, ovvero (5) non implica (6). I pensieri in prima persona, ossia quelli espressi da enunciati che coinvolgono un auto-riferimento in prima persona, si comportano, al contrario di quelli in terza persona, come dei pensieri resistenti alle amnesie. Infatti, si immagini leroe militare colpito da una amnesia totale per un colpo alla testa: sebbene non sia in grado di fare auto-riferimenti in terza persona, tuttavia capace di dire (io) ho un tremendo mal di testa14. Lultimo esempio tratto da Castaeda che proponiamo coinvolge anche lo specchio e riguarda il riconoscimento della propria immagine allo specchio. Ammettiamo che un uomo, Gaskon, si trovi nelle seguenti circostanze: Gaskon crede (forse sbagliando) che gli uomini con un certo aspetto e colorito del viso abbiano contratto una certa malattia F, la quale porta alla morte in poche ore. Gaskon si vede (vede il suo viso e il suo corpo) riflesso in uno specchio, senza tuttavia capire che se stesso che sta guardando. Pensa dimostrativamente, e a voce alta (per nostra convenienza filosofica, direbbe Castaeda): Quelluomo (puntando il dito verso limmagine allo specchio) malato di F. Supponiamo
Cfr., ORILIA, F. (2003) A Description Theory of Singular Reference, Dialectica, 57, pp. 7-40, v. p. 29.
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che Gaskon riesca a malapena a finire di concepire il pensiero espresso dalla frase da lui pronunciata, prima di morire per un attacco di cuore. Gaskon non ha mai avuto il pensiero che avrebbe potuto esprimere dicendo io sono malato di F. Passiamo ad un esempio ispirato ad un caso accaduto a Ernst Mach e che lui stesso riporta: Not long ago, after a trying railway journey by night, when I was very tired, I got into a omnibus, just as another man appeared at the other end. What a shabby pedagogue that is, that has just entered, thought I. It was myself: opposite me hung a large mirror. The physiognomy of my class, accordingly, was better known to me than my own.15 Allinizio dellepisodio Mach ha un pensiero in terza persona espresso dal seguente enunciato: (7) Quelluomo un professore sciatto. Alla fine dellepisodio ha un nuovo pensiero, questa volta in prima persona, espresso dallenunciato: (8) Io sono un professore sciatto. Dato (8), Mach potrebbe inferire un pensiero legato ad un auto-riferimento in terza persona, come quello espresso da (9): (9) Mach un professore sciatto. Gli enunciati (7), (8) e (9) esprimono tre diversi tipi di pensieri che Mach potrebbe avere avuto. In particolare, il pensiero (7) esprime il tipo di pensiero che verte su di una persona che si sta percependo, e si potrebbe anche non sapere chi essa sia, o quale sia il suo nome; (9) esprime invece un pensiero che possiamo avere su qualcuno che non abbiamo mai incontrato, ma di cui magari abbiamo letto qualcosa, ovvero potrebbe essere legato a un riferimento in terza persona senza esserlo ad un auto-riferimento in terza persona. Sia (7) che (9) esprimono
Non molto tempo fa, dopo un faticoso viaggio notturno in treno, quando ero molto stanco, sono salito su un omnibus, proprio mentre un uomo appariva dal lato opposto. Che professore sciatto che , quello che appena entrato, ho pensato. Ero io: di fronte a me cera un grande specchio. La fisionomia della mia categoria, dunque, mi era pi familiare di quanto io non lo fossi a me stesso. (trad. nostra). Questa citazione ripresa da Perry che utilizza questo esempio nella sua trattazione degli indicali. Cfr., PERRY, J. (2001) Reference and Reflexivity, pp. 1-2, CSLI, Stanford.
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pensieri che solitamente abbiamo sugli altri, ma il tipo di pensiero (8) molto particolare in confronto agli altri due, esso infatti un auto-riferimento in prima persona. Unicamente lauto-riferimento in prima persona quel tipo di pensiero che verte necessariamente su s stessi. In conclusione, io un indicale irriducibile, o, nella terminologia di Perry, essenziale16. Ossia, una occorrenza di io in una frase non pu essere sostituita salva propositione, con un nome proprio (come Nevia Dolcini), un dimostrativo (come questa qui) o una descrizione definita (come la persona che abita al quarto piano di Via Garibaldi 5), anche se tali termini si riferiscono allo stesso individuo a cui si riferisce loccorrenza di io in questione. Infatti, nel momento in cui operiamo una tale sostituzione esprimiamo una proposizione differente da quella espressa dalla frase di partenza. Per esempio luna potrebbe essere creduta da un certo soggetto e laltra non creduta. Il legame tra lindicale io e le azioni Il caso di Gaskon malato di F fa intravedere una particolare relazione tra autoriferimento in prima persona e azione. Infatti, se Gaskon avesse avuto un pensiero in prima persona sarebbe magari andato dal medico, se ne avesse avuto il tempo. In un esempio (autobiografico) proposto da John Perry questa relazione speciale che lauto-riferimento in prima persona ha con lazione portata alla luce in modo particolarmente esplicito. Si consideri un uomo al supermercato intento a girare con il suo carrello per i corridoi del reparto alimentare. Ad un certo punto nota una striscia di zucchero sul pavimento e pensa Qualcuno sta spargendo zucchero sul pavimento (ha un buco nel suo sacchetto dello zucchero). Solo ad un certo punto realizza che lui ad avere il sacchetto dello zucchero bucato e nel momento in cui pensa Io sto spargendo zucchero sul pavimento interviene per eliminare il problema. Si considerino questi enunciati: (10) Il cliente con il pacco di zucchero bucato sta combinando un guaio. (11) Io sto combinando un guaio! Sia lenunciato (10) che lenunciato (11) sono veri e vertono entrambi sullo stesso individuo, dal momento che il proferitore di (10) lui stesso lindividuo che sta girando con il sacchetto bucato. Ancora una volta per, avere un pensiero come quello espresso da (10) non implica avere il pensiero espresso da (11). Da notare che mentre (10) non fa scattare nel soggetto che ha tale credenza lazione di ovviare al problema (magari sostituendo il sacchetto bucato con uno integro),
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Cfr., PERRY, J. (1979) The Problem of the Essential Indexical, Nos 13, 1, pp. 3-21.

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un auto-riferimento in prima persona, come quello espresso da (11), una condizione per lazione. Lesempio di Perry suggerisce che il funzionamento nel linguaggio del termine io presenta uno stretto legame con il pensiero pratico, ovvero con quel pensiero che manifesta stati dellintendere e del volere. Secondo Castaeda17, cos come le proposizioni, vere o false, sono oggetto del credere e in quanto tali sono credenze, le praticazioni, n vere, n false, sono oggetto dellintendere e in quanto tali sono intenzioni (a differenza delle credenze, le praticazioni non possono essere n vere n false, perch corrispondenti a stati di cose da realizzare). Ora, le intenzioni presuppongono, secondo Castaeda, un autoriferimento in prima persona. Ad esempio, se Giovanni dovesse esprimere a parole la sua intenzione di smettere di fumare direbbe io smetter di fumare e non Giovanni smetter di fumare. Questa caratteristica delle praticazioni appare particolarmente rilevante per spiegare, nellesempio del sacchetto bucato di Perry, come pure nellesempio del malato di F di Castaeda, perch la credenza esprimibile con un autoriferimento in prima persona, piuttosto che in terza persona, che determinante per far scattare lazione. Il termine io ha sempre ambito ampio Castaeda18 ha fatto notare che il termine io ha sempre ambito ampio, o almeno cos sembra, in un senso che adesso spiegheremo. Se consideriamo ad esempio il seguente enunciato: (12) Giovanni crede che Mario miliardario. Si possono dare due possibili interpretazioni di (12), di cui la prima considera Mario con ambito ampio, mentre la seconda considera Mario con ambito stretto: (12a) Di Mario, Giovanni crede: miliardario [Mario ha ambito ampio: non ci viene detto in che termini Giovanni si riferisce a Mario] oppure (12b) Giovanni crede: Mario miliardario [Mario ha ambito stretto: il termine con il quale Giovanni si riferisce a Mario].
Cfr., CASTAEDA, H.N., (1975) Thinking and Doing, Reidel, Dordrecht. CASTAEDA, H.N. (1968) On the Logic of Self-Attribution of Self-Knowledge to Others, Journal of Philosophy, 65, pp. 439-456, cfr. p. 440.
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Le cose vanno diversamente se si considera il seguente enunciato: (13) Giovanni crede che io sono miliardario. In questo caso sembra possibile solo linterpretazione di io con ambito ampio: (13a) Di me, Giovanni crede: miliardario. Quella in cui io ha ambito ristretto, (13b) Giovanni crede: io sono miliardario appare impossibile, perch sembra attribuire a Giovanni un suo pensiero in prima persona, in conflitto con il fatto che io si riferisce sempre al parlante.

La priorit ontologica ed epistemologica dellindicale io Castaeda ha anche notato che il pronome io ha una priorit referenziale, ontologica ed epistemologica, rispetto a nomi, descrizioni definite e altri deittici19. Io ha priorit referenziale, in quanto per ogni ogni suo uso corretto, vi un referente, ossia, il proferitore (al contrario, altri termini singolari, come Pegaso non godono di questa caratteristica). Ha priorit ontologica in quanto ogni sua occorrenza (ogni suo proferimento) si riferisce infallibilmente allindividuo a cui intende riferirsi colui che la proferisce, ossia al proferitore stesso. Tutti gli altri meccanismi del riferimento singolare (gli altri indicali, i nomi e le descrizioni) anche quando vengono usati in modo corretto contengono, per cos dire, un margine di errore nella loro capacit di cogliere il riferimento inteso dal parlante; al contrario io costituisce uneccezione alla regola perch infallibile, da questo punto di vista: The first-person pronoun has a strong ontological priority over all names, contingent descriptions, and other indicators. A correct use of I cannot fail to refer to the entity it purports to refer...20
Cfr., CASTAEDA, H.N. (1966) op. cit., e CASTAEDA, H.N. (1989) The Language of Other Minds: Indicators and Quasi-Indicators, Thinking, Language and Experience, pp. 206-231, University of Minnesota Press, Minneapolis. 20 Il pronome di prima persona ha una forte priorit ontologica rispetto a tutti gli altri nomi, descrizioni contingenti, ed altri indicatori. Un uso corretto di io non pu sbagliare nel riferire allentit a cui intende riferire (trad. nostra), CASTAEDA, H.N. (1989) op. cit., p. 208. 21 Cfr. ANSCOMBE, E. (1975) The First Person, in GUTTENPLAN, S. (a cura di), Mind and
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Nel riprendere delle idee di Wittgenstein, qualcosa del genere era gi stata notata da Elisabeth Anscombe21 che parla a tal riguardo di immunit dallerrore di misidentificazione, nel sottolineare che il proferitore di un io non pu non sapere che tale termine si riferisce a lui stesso. Shoemaker in un articolo del 199422 discute della IEM della Anscombe mettendo in luce un dato legato alluso di io in connessione con propriet psicologiche come avere mal di denti, sentire un certo prurito, ecc. Si tratta di una asimmetria tra io e altri termini singolari che pu essere illustrata cos. Ha senso dire: sapevo che qualcuno aveva mal di denti e ho inferito che Marta avesse mal di denti, ma mi sono sbagliato perch era Giovanni ad avere mal di denti. Ma se al posto di Marta mettiamo io, otteniamo una frase che non sembra sensato asserire: sapevo che qualcuno aveva mal di denti e ho inferito che io avessi mal di denti, ma mi sono sbagliato perch era Giovanni ad avere mal di denti. La capacit di io di riferirsi, per ogni suo proferimento, ad un referente che coincide con il referente inteso dal parlante, senza errore alcuno, pu per essere messa in dubbio da alcuni casi che costituiscono dei contro-esempi, o almeno usi non paradigmatici di io per i quali non varrebbe questa caratteristica. Si immagini ad esempio Giovanna DArco che sente la voce di Dio che dice io ti chiedo di salvare la Francia, mentre in realt (supponiamo) tale voce prodotta inconsciamente da Giovanna DArco stessa. In questo caso Giovanna DArco crede che io si riferisca a Dio, ma si sbaglia perch si riferisce a se stessa. In un certo senso, ha proferito un io, che in quanto pronome di prima persona si riferisce al parlante, cio Giovanna, senza che questo si riferisca al referente inteso da Giovanna, cio Dio. Un altro contro-esempio dato dal caso in cui si abbia una occorrenza scritta o proferita verbalmente (incisa su un disco o in una segreteria telefonica) di io il cui proferitore morto, cosicch io un termine vuoto, ovvero non si riferisce al suo proferitore (tralasciando qui la possibilit della sopravvivenza dopo la morte). Un ultimo caso23 non paradigmatico, che contraddice la priorit referenziale di io, dato dalla circostanza in cui due persone scrivano insieme io in una lettera redatta in prima persona (magari per ingannare il destinatario) per cui il riferimento a un unico individuo viene a mancare. La priorit epistemologica del termine io quella caratteristica del pronome di prima persona per cui ogni auto-riferimento in terza persona che un soggetto recepisce da esso trasformato (ipso facto, o quasi) in auto-riferimento in prima persona. Nobody can at all keep knowledge or belief or whatever information
Language, Clarendon Press, Oxford. 22 SHOEMAKER, S. (1994) Self-Knowledge and Inner Sense, Philosophy and Phenomenological Research, 54, pp. 249-314. 23 ORILIA, F. (2003) op. cit., p. 30.

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about himself he receives, unless he manages to replace every single reference to himself in terms of descriptions or names, or in terms of other demonstratives (like you, he, this) by a reference in terms of I (me, mine, my, myself ).24 Se Ciampi legge, ad esempio, Ciampi sar chiamato a testimoniare former una credenza esprimibile con (io) sar chiamato a testimoniare; al contrario, ciascuno (diverso da Ciampi) deve trasformare lauto-riferimento in prima persona di Ciampi in auto-riferimento in terza persona, ovvero deve rimpiazzare io con un nome, una descrizione o un dimostrativo. Se, ad esempio Ciampi dice (io) ho fede nel popolo italiano, acquisiamo la credenza Ciampi ha fede nel popolo italiano .

Conclusione La raccolta di dati che abbiamo proposto non completa, ma tocca, crediamo, alcune delle questioni principali che qualsiasi tentativo teorico di gettare luce in modo interdisciplinare sulla natura dellautocoscienza deve prendere in considerazione. Speriamo cos di aver contribuito al dialogo tra quanti da prospettive disciplinari diverse sono interessati a indagare questo fenomeno cos elusivo e misterioso nella sua pur evidente presenza.

Riferimenti bibliografici ANSCOMBE, E. (1975) The First Person, in GUTTENPLAN, S. (a cura di), Mind and Language, Clarendon Press, Oxford. CASTAEDA, H.N. (1968) On the Logic of Self-Attribution of SelfKnowledge to Others, Journal of Philosophy, 65, pp. 439-456. CASTAEDA, H.N., (1975) Thinking and Doing, Reidel, Dordrecht.

Nessuno pu trattenere una conoscenza o una credenza o qualunque informazione che riceve su se stesso, salvo che non rimpiazzi ogni singola referenza a se stesso, fatta mediante descrizioni o nomi, o dimostrativi (come tu, lui, questo), con una referenza in termini di io (me, mio, me stesso). (trad. nostra), CASTAEDA, H.N. (1966) op. cit., p. 145.
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CASTAEDA, H.N., (1980) On Philosophical Method, Nos Pubblications, 1, Bloomington, ID. CASTAEDA, H.N. (1989) The Language of Other Minds: Indicators and Quasi-Indicators, Thinking, Language and Experience, pp. 206-231, University of Minnesota Press, Minneapolis. CASTAEDA, H.N. (1996) HE*: a Study in the Logic of Self-Consciousness, in Ratio, 8, pp. 130-157. CORAZZA, E. (2004) Reflecting the Mind: Indexicality and Quasi-Indexicality, Oxford University Press, Oxford. FREGE, G., Le ricerche logiche, tr. it. Di Francesco, M., (1988), Guerini Ass., Milano. GALLI, G. (1991) Conoscere e conoscersi, CLUEB, Bologna. KAPLAN, D., Dthat, in YOURGRAU (a cura di), (1990) Demonstratives, Oxford University Press, Oxford. KAPLAN, D., Demonstratives. An Essay on the Semantics, Logic, Metaphysics, and Epistemology of Demonstratives and Other Indexicals, in ALMOG, J., PERRY, J., WETTSTEIN, H. (a cura di), (1989) Themes from Kaplan, Oxford University Press, Oxford. METZGER, W. Psicologia per leducazione. Modelli antropologici. Regole sociali. Applicazioni pedagogiche, trad. it. Galli, G., (2000), Armando Editore, Roma. ORILIA, F. (1994) The Eightfold Ambiguity of Oratio Obliqua Sentences, Grazer Philosophische Studien, 47. ORILIA, F. (2003) A Description Theory of Singular Reference, Dialectica, 57, pp. 7-40. PERRY, J. (1979) The Problem of the Essential Indexical, Nos 13, 1, pp. 321. PERRY, J. (2001) Reference and Reflexivity, CSLI, Stanford. SACKS, O. (1985) Luomo che scambi sua moglie per un cappello, Adelphi, Milano. 74 - L Io allo Specchio

SHOEMAKER, S. (1994) Self-Knowledge and Inner Sense, Philosophy and Phenomenological Research, 54, pp. 249-314. TOMASELLO, M. (2003) Constructing a Language: a Usage-Based Theory of Language Acquisition, Harvard University Press, Harvard.

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SPECCHIO E COSCIENZA DI S IN PIRANDELLO


Stefano Polenta
Ho sempre avuto paura degli specchi. Quandero ragazzino, in casa mia cera una cosa terribile. Nella mia stanza avevo tre enormi specchi. J.L. BORGES Quando uno vive, vive e non si vede. Orbene, fate che si veda, nellatto di vivere, in preda alle sue passioni, ponendogli uno specchio davanti: o resta attonito e sbalordito del suo stesso aspetto, o torce gli occhi per non vedersi, o sdegnato tira uno sputo sulla sua immagine, o irato avventa un pugno per infrangerla; o se piangeva non pu pi piangere; e se rideva non pu pi ridere, e che so io. Insomma, nasce un guaio, per forza. Questo guaio il mio teatro. L. PIRANDELLO

1. Lenigma dello specchi Si pu notare, in prima istanza, che vi sono due modi di guardarsi allo specchio. La prima modalit ignora la particolare auto-referenzialit dellimmagine contenuta nello specchio e tende a considerarla come se fosse unimmagine fra le altre di cose o persone. Quando questo avviene, non significa che non si sappia che limmagine che appare nello specchio la nostra; ma tale riconoscimento avviene basandosi sulla memoria e avvalendosi di percorsi mentali periferici, che non coinvolgono le dimensioni profonde del S e dellidentit. Questo succede in quei casi in cui, ad esempio, ci si guarda allo specchio per pettinarsi, o per sistemarsi i vestiti ecc. Si tratta di un guardarsi allo specchio funzionale ad un certo scopo. Quando Moscarda, nellapertura del romanzo Uno, nessuno e centomila di Pirandello, si osserva allo specchio, lo fa proprio con questa intenzione, diretta, nel caso specifico, ad appurare il perch di un certo dolorino. Nel momento in cui la moglie gli domanda Che fai?, egli risponde, infatti, con la massima tranquillit: Niente [] mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino. Poi c un secondo modo di guardarsi allo specchio, in cui chi guarda sente appartenergli limmagine restituita. Si guarda, per cos dire, la propria identit specchiata. Per cui, per un certo tempo, si resta l a tentare di colmare la distanza Specchio e coscienza di s - 77

che c fra il sentimento interiore, spesso inespresso e inconscio, dellessere se stessi con quella immagine, che pure nostra e della quale dobbiamo farci una ragione, dobbiamo anchessa sentirla come se fosse nostra, anche se questo difficoltoso, perch quella immagine non rappresenta un oggetto qualunque, ma noi stessi. Ed difficile, per continuare ad utilizzare le parole di Pirandello, perch il sentimento che ciascuno ha della vita non qualcosa che possiamo contenere in delle immagini, ma fluido e cangiante, una specie di flusso interiore, indefinibile. Davanti allo specchio, tuttavia, esso prende una forma ben determinata e si resta basiti a misurare la differenza che c fra lindefinibilit della vita interiore e limmagine allo specchio che, in qualche modo, ha la capacit di definire e fissare quella vita. Paolo Serpietri ricorda che limmagine dentro lo specchio fosse in origine designata dalla parola enigma (aenigma); infatti, continua, ogni giorno della nostra esistenza ci confrontiamo con un enigma, in definitiva con unassenza, e ci affidiamo ad un oggetto che ci illude di imprigionarla. Non a caso le prime fattezze che ritroveremo riflesse in uno specchio sono un emblema di alterit e mistero. Unantica meditazione orientale consiste nel guardare la propria immagine allo specchio, intensamente, cercando di penetrare proprio in questo mistero. Ma lungi dallo svelare tale mistero, lesito di tale meditazione conduce a vedere nello specchio non la nostra immagine, ma un flusso cangiante di immagini in cui il soggetto precipita e dimentica se stesso. Per restare al romanzo di Pirandello, quando, alla risposta di Moscarda sopra ricordata circa il dolorino al naso, la moglie replica: Credevo che ti guardassi da che parte ti pende, Moscarda si volta come un cane inferocito a cui qualcuno avesse pestato a coda. Infatti Moscarda aveva perso la certezza in cui pigramente indugiava di poter essere certo di s e della sua immagine, tanto da poterla guardare con noia e solo per uno scopo funzionale ad appurare il perch di un certo dolore. Pertanto, deve presto riconoscere: Ritornando alla scoperta di quei lievi difetti, sprofondai tutto, subito, nella riflessione che dunque possibile? non conoscevo bene neppure il mio stesso corpo, le cose mie che pi intimamente mappartenevano: il naso, le orecchie, le mani, le gambe. E tornavo a guardarmele per rifarne lesame. Cominci da questo il mio male. Male che si conclude con un rovesciamento del concetto di coscienza di s, intesa non pi come qualcosa che produce delle immagini e le rapporta al S concepito come dimensione privata, ma come unapertura del S che non ha pi interesse a trattenere qualcosa e che, per ci stesso, diventa una coscienza capace di riflettere il mondo intero. La vicenda di Moscarda, iniziata col suo ragionare davanti allo specchio sullimmagine di s, si conclude, emblematicamente, proprio con il suo rifiuto di guardarsi in uno specchio: Non mi sono pi guardato in uno specchio, e non mi passa neppure per il capo di voler sapere che cosa sia avvenuto della
SERPIETRI, P. (1999) Specchio e parola in Moby-Dick, Gioco di specchi. Saggi sulluso letterario dellimmagine dello specchio, ed. Lombardo, A. p. 215. Bulzoni, Roma. 2 PIRANDELLO, L. (1993) Uno, nessuno e centomila, p.3. Feltrinelli, Milano.
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mia faccia e di tutto il mio aspetto. Tematiche analoghe possiamo trovarle in D. H. Lawrence, per il quale la verit, per luomo, sta in unauto-appartenenza che precede quella, pi raziocinante, basata sul pensiero riflesso. Lidentit delluomo risiede in quel momento di pace interiore e di silenzio in cui l essere riposa in s, pi che nellagitarsi frenetico e vuoto del pensiero che, come direbbe Pirandello, crea solo vane costruzioni. Egli, pertanto, giudica la capacit delluomo di guardarsi in uno specchio come fonte di immoralit, perch costringe ad estrinsecare ci che, per definizione, giace nelle inviolabili profondit interiori. Lessere richiede silenzio e pudore e non il clamore dellautocoscienza che profana ogni segreto.
Morality Man alone is immoral Neither beasts nor flowers are Because man, poor beast, can look at himself And know himself in the glass. He doesnt bark at himself, as a dog does When he look at himself in the glass. He takes himself seriously. It would be so much nicer if he just barked at himself Or fluffed up rather angry, as a cat does. Then turned away and forgot. (Moralit. Luomo solo immorale / Come n le bestie n i fiori lo sono. // Perch luomo, povera bestia, pu guardarsi / E conoscersi in uno specchio. // Egli non abbaia a se stesso, come farebbe un cane / Quando si guarda nello specchio. Si prende seriamente. // Sarebbe molto pi bello se si abbaiasse / O si arruffasse adirato come farebbe un gatto E poi si girasse e si dimenticasse. [la traduzione mia])

2. Il vero S interiore e il falso S allo specchio. Lo specchio pone dunque un problema di rapporto fra limmagine di s e il sentimento interiore della vita ed esplicita la difficolt a conciliare questi due aspetti. Ora, si visto che Pirandello e Lawrence privilegiano lintegrit del sentimento vitale rispetto alla capacit speculativa della coscienza. Similmente a quanto riteneva Eraclito, per il quale luomo non pu bagnarsi nello stesso fiume per due volte, per Pirandello e Lawrence lessere si pu cogliere solo dallinterno
PIRANDELLO, L. Uno, nessuno e centomila, p. 138, cit. LAWRENCE, D.H. Uncollected Poems in The Complete Poems of D.H. Lawrence (1967), vol. II, p. 836. Heinemann, London.
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del flusso del suo divenire e nessuna immagine esterna pu restituire la vividezza della dinamica interiore dellesistere. Se in Lawrence ci conduce ad una difesa degli aspetti profondi, densi e originari, della vita affettiva contrapposta al freddo raziocinio calcolatore privo di vita, in Pirandello si assiste invece ad una condanna: quella che patiscono gli uomini che non possono fare a meno di vedersi vivere come davanti ad uno specchio. Lo specchio, per Pirandello, raggelante non solo perch, nel mostrarcele, evidenzia la vanit delle nostre azioni, facendoci vedere, nel vivo di una passione o di un sentimento, quella passione e quel sentimento da fuori, come in unoggettivit che raffredda e inibisce la spontaneit: perch, per Pirandello, il sentimento che ci tiene in vita crea costantemente delle illusioni e non si pu credere a quelle illusioni se esse ci vengono mostrate nella loro cruda realt, come fa uno specchio. raggelante anche perch la vita stessa patisce una contraddizione in virt della quale deve generare alle forme nelle quali rimane poi intrappolata5. La vita, cio, non pu esistere se non assume una forma:
Tempo, spazio: necessit. Sorte, fortuna, casi: trappole tutte della vita. Volete essere? C questo. In astratto non si . Bisogna che sintrappoli lessere in una forma, e per alcun tempo si finisca in essa, qua o l, cos o cos. E ogni cosa, finch dura, porta con s la pena della sua forma, la pena desser cos e di non poter pi essere altrimenti (p. 51).

La nostra vita impigliata nelle trame di unesteriorit che poi la uccide. La vita, anche la vita interiore, non pu riposare in s, ma deve consegnarsi alla dialettica delle circostanze oggettive, compresa quella del giudizio altrui. Dietro tutto ci, il terrore, innominabile, di una solitudine che induce luomo a consegnarsi a quella tanto deprecata esteriorit pur di non avvertire il peso annichilente di quella solitudine, la cui ombra presente in tutto il romanzo. Non sufficiente pertanto affermare ho la mia coscienza e mi basta in quanto
forse la coscienza qualcosa dassoluto che possa bastare a se stessa? Se fossimo soli, forse s. Ma allora, belli miei, non ci sarebbe coscienza. Purtroppo, ci sono io, e ci siete voi. Purtroppo. E che vuol dunque dire che avete la vostra coscienza e che vi basta? Che gli altri possono pensare di voi e giudicarvi come piace a loro, cio ingiustamente, ch voi siete intanto sicuro e confortato di non aver male? Oh di grazia, e se non sono gli altri, chi ve la d codesta certezza? Codesto conforto chi ve lo d? Voi stesso? E come? [] a che vi basta dunque la vostra coscienza? A sentirvi solo? No, perdio. La solitudine vi spaventa. E che fate allora? Vimmaginate tante teste Tutte come la vostra. Tante teste che anzi sono la vostra stessa. Le quali ad un dato cenno, tirate da voi come per un filo invisibile, vi dicono s e no, e no e s; come volete voi. E questo vi conforta e vi fa sicuri.
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PIRANDELLO, L. novella La trappola.

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Andate l che un giuoco magnifico, codesto della vostra coscienza che vi basta6. Si legga per intero il passo dellultimo incontro di Moscarda con Anna Rosa, della quale egli aveva indovinato quell insofferenza assoluta dogni cosa che accennasse a durare e stabilirsi che contraddistingue molti personaggi pirandelliani e che li induce a distruggere quelle circostanze esteriori accusate di imprigionare il flusso interiore della vita (ma delle quali, daltra parte, non si pu fare a meno): Una mattina le vidi provare e studiare a lungo nello specchietto a mano che teneva con s sul letto un sorriso pietoso e tenero, pur con un brillio negli occhi di malizia quasi puerile. Vedermelo poi rifare tal quale, quel sorriso, vivo, proprio come se le nascesse or ora spontaneo per me, mi provoc un moto di ribellione. Le dissi che non ero il suo specchio. Ma non soffese. Mi domand se quel sorriso, come ora glielavevo visto, era quello stesso che lei sera veduto e studiato nello specchio dianzi. Le risposi, seccato dellinsistenza: - Che vuole che ne sappia io? Non posso mica sapere come lei se l veduto. Si faccia fare una fotografia con quel sorriso. - Ce lho, - mi disse Una, grande. L nel cassetto di sotto allarmadio. Me la prenda, per favore. Quel cassetto era pieno di sue fotografie. Me ne mostr tante, di antiche e di recenti. - Tutte morte, - le dissi. Si volt di scatto a guardarmi. - Morte? - Per quanto vogliano parer vive. - Anche questa col sorriso? - E codesta, pensierosa; e codesta con gli occhi bassi. - Ma come morta, se sono qua viva? - Ah, lei s; perch ora non si vede. Ma quando sta davanti allo specchio, nellattimo che si rimira, lei non pi viva. - E perch? - Perch bisogna che lei fermi un attimo in s la vita, per vedersi. Come davanti ad una macchina fotografica. Lei satteggia. E atteggiarsi come diventare una statua per un momento. La vita si muove di continuo, e non pu mai veramente vedere se stessa. [] - Quando uno vive, vive e non si vede Conoscersi morire [] Lei vuole vedersi sempre. [] Lei non vuole che il suo sentimento sia cieco. Lo obbliga ad aprir gli occhi e a vedersi in uno specchio che gli mette sempre davanti. E il sentimento, subito come si vede, le si gela. Non si pu vivere davanti ad uno specchio. Procuri di non vedersi mai. Perch tanto non riuscir mai a conoscersi per come la vedono gli altri. E allora che vale che si conosca solo per s? Le pu avvenire di non comprendere pi perch lei debba avere quellimmagine che lo specchio le rid. Rimase a lungo con gli occhi fissi a pensare. Sono certo che lei, come a me, dopo quel discorso e dopo quanto le avevo gi detto di tutto il tormento del mio spirito, sapr davanti in quel momento sconfinata, e tanto pi spaventosa quanto pi lucida, la sconfinata visione dellirrimediabile nostra solitudine. [] Cadeva ogni orgoglio.
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PIRANDELLO, L. Uno, nessuno e centomila, pp. 20-21, cit.

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Vedere le cose con occhi che non potevano sapere intanto come gli altri occhi le vedevano. Parlare per non intendersi. Non valeva pi nulla essere per s qualche cosa. E nulla era pi vero, se nessuna cosa era vera. Ciascuno per conto suo lassumeva come tale e se ne appropriava per riempire comunque la sua solitudine e far consistere in qualche modo, giorno per giorno, la sua vita7.

importante mettere in luce che in Pirandello vi sono due dimensioni sovrapposte, che vanno tenute presenti entrambe, e che ben emergono nel romanzo che abbiamo preso a guida per approfondire le implicazioni psicologiche connesse allo specchio e allo specchiarsi: 1) La prima dimensione attiene alla consapevolezza che il nome non la cosa, che limmagine riflessa nello specchio non restituisce la nostra identit, in quanto la vita un flusso continuo rispetto al quale le nostre costruzioni mentali non sono che espedienti per cercare una sicurezza che non c. Tuttavia non possiamo fare a meno di nomi e identit sociali, di pregiudizi e maschere essenzialmente perch la solitudine pi invivibile della finzione; 2) La seconda dimensione riconosce che c una bellezza intrinseca della vita e una profondit recondita del nostro stesso essere interiore, che travalicano anche la noia e la consuetudine. Pertanto c un ulteriore livello, rispetto a quello della denuncia del mascheramento: quello della ricerca di una vita diversa e pi vera (la vita, pure, cos bella, cos piena). Intrecciata con una dimensione nichilistica, esiste pertanto una ricerca costruttiva di una verit pi vera. Molti dei personaggi delle vicende pirandelliane sono impegnati nella ricerca di una verit che nasca dalla capacit di affermare una propria personale concezione della vita, in modo che le cose, cos come vengono percepite e intese soggettivamente, precedano le parole, cos come ci vengono tramandate dalla tradizione e dagli altri. Si legga, a titolo esemplificativo, il seguente brano tratto dalla novella La mano del malato povero.
Ecco, sar perch io propriamente non ho mai capito che gusto ci sia a rivolgere domande agli altri per sapere le cose come sono. Ve le dicono come le sanno loro, come pajono a loro. Voi ve ne contentate? Grazie tante! Io voglio saperle per me, e voglio che entrino in me come a me pajono. ben per questo vedere che ormai tutte le cose ci stanno sopra, sotto intorno, col modo dessere, il senso, il valore che da secoli e secoli gli uomini hanno dato ad esse. Cos e cos il cielo, cos e cos le stelle: e il mare e i monti cos e cos, e la campagna, la citt, le strade, le case... Dio mio, che ne volete pi? Ci opprimono ormai per forza col fastidio infinito di questa immutabile realt convenuta e convenzionale da tutti subita passivamente. Le fracasserei. [] Ma quanti si sforzano di rompere la crosta di questa comune rappresentazione delle cose? di sottrarsi allorribile noja dei consueti aspetti? di spogliare le cose delle vecchie apparenze che
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PIRANDELLO, L. Uno, nessuno e centomila, pp. 129-130, cit.

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ormai per abitudine, per pigrizia di spirito, ponderosamente si sono imposte a tutti? Eppure raro che almeno una volta, in un momento felice, non sia avvenuto a ciascuno di vedere allimprovviso il mondo, la vita, con occhi nuovi; dintravedere in una subita luce un senso nuovo delle cose; dintuire in un lampo che relazioni insolite, nuove, impensate, si possono forse stabilire con esse, sicch la vita acquisti agli occhi nostri rinfrescati un valore meraviglioso, diverso, mutevole. Ahim, si ricasca subito nelluniformit degli aspetti consueti, nellabitudine delle consuete relazioni; si riaccetta il consueto valore dellesistenza quotidiana; il cielo col solito azzurro vi guarda poi la sera con le solite stelle; il mare vaddormenta col solito brontolio; le case vi sbadigliano di qua e di l con le finestre delle solite facciate, e col solito lastricato vi sallungano sotto i piedi le vie. E io passo per pazzo perch voglio vivere l, in quello che per voi stato un momento, uno sbarbaglio, un fresco breve stupore di sogno vivo, luminoso; l, fuori dogni traccia solita, dogni consuetudine, libero di tutte le vecchie apparenze, col respiro sempre nuovo e largo tra cose sempre nuove e vive.

Tali due aspetti dellarte di Pirandello che si sono delineati generano due linee di sviluppo e di lettura dei suoi racconti: accanto ad una fase negativa, che denuncia linconsistenza di ogni costruzione umana, ve n una pi positiva, che tende alla ricerca della verit che si cela dietro le costruzioni. Si tratta per di una verit che possiede una qualit particolare: essa non pu essere affermata e sostenuta, perch altrimenti sarebbe unaltra fra le costruzioni che Pirandello intende invece denunciare. Tale dialettica contraddistingue anche la vita interiore. Accanto alla determinazione auto-distruttiva di Moscarda, nel romanzo Uno, nessuno e centomila possibile individuare dei momenti in cui Moscarda afferma con certezza lesistenza di un momento spirituale che vive nella sua intimit e che non viene toccato dalle costruzioni e dalle apparenze. A pag. 49 dice:
Ah, ecco un usurajo, per gli altri; uno stupido qua, nellanimo e davanti agli occhi di mia moglie; e chi sa quantaltri Geng, fuori, nellanimo o solamente negli occhi della gente di Richieri. Non si trattava del mio spirito, che si sentiva dentro di me libero e immune, nella sua intimit originaria, di tutte quelle considerazioni delle cose che merano venute, che mi erano state fatte e date dagli altri, e principalmente di questa del denaro e della professione di mio padre8.

Per Moscarda, pertanto, non tutto consegnato alla disillusione, ma ci sono dei punti vivi della sua personalit che non vuole tradire. Precisamente: 1. Confermando la sensazione che abbiamo appena riportato, Moscarda, nel proseguire del romanzo, afferma nuovamente di sentirsi ferito in un punto vivo per il fatto di venire considerato un usuraio9. E subito deve riconoscere che
quel punto vivo che sera sentito ferire in me quando mia moglie aveva riso nel sentirmi dire che
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Ibidem, p. 49. Il corsivo mio. Ibidem, p. 101.

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non volevo pi che mi si tenesse in conto lusurajo a Richieri, era Dio senza alcun dubbio: Dio che sera sentito ferire in me, Dio che in me non poteva pi tollerare che gli altri a Richieri mi tenessero in conto dusurajo.10

Pu sembrare strano che Moscarda si riferisca a Dio, ma a ben vedere la dinamica interna del personaggio pirandelliano a chiedere appello ad una dimensione assoluta. Direbbe Bachtin, come vedremo meglio dopo, che lunico vero interlocutore di un autorendiconto-confessione proprio Dio. Dio lunico orizzonte che rimane alla radicale non-autoconcidenza dello spirito con se stesso. Bachtin parla di tale non-coincidenza con s a motivo del fatto che lidentit personale consiste in una prospettiva di senso piuttosto che in delle determinazioni di qualsiasi genere (corpo, personalit ecc.) in cui ci si possa riconoscere interamente. Tale non-coincidenza con s costituisce una dimensione di follia che contraddistingue lintimit dellidentit personale:
La giusta follia che fa che io, per principio, non coincida con me stesso in quanto dato, condiziona la forma della mia vita dallinterno. Io non accetto la mia presenzialit; credo follemente indicibilmente nella mia non-coincidenza con questa mia presenzialit interiore. Non posso calcolarmi tutto, dicendo: eccomi tutto qui, non c pi luogo in cui non sia e cosa che io non sia, io sono gi per intero. Non si tratta qui del fatto della morte: io morr, ma nel senso [allinterno di una dimensione di senso]. Nel profondo di me io vivo delleterna fede e speranza nella costante possibilit di un interiore miracolo di una nuova nascita. Non posso disporre, in termini di valore, tutta la mia vita nel tempo e in esso darle giustificazione e compimento integrali. Una vita che abbia ricevuto compimento temporale una vita disperata dal punto di vista del senso che la muove11.

Per tale ragione (la non-autocoincidenza) luomo si sente macchiato di una colpa (si confronti tale concetto con quello dell immoralit della poesia di Lawrence sopra riportata): la colpa dellesistere come pura datit non coincidente con se stessa, quindi datit fragile e debole perch incompiuta12. Quello che cerca Moscarda, in definitiva, proprio accettare tale condizione di non-autoincidenza, elevandola a paradigma esistenziale. Lultimo capitolo del romanzo Uno, nessuno e centomila si intitola, non a caso, non conclude. Lauto rendiconto-confessione, pertanto, costituendo un lavorio interno allindividuo, con contempla la possibilit di appellarsi ad un altro soggetto che mi guardi dallesterno: la mia coscienza non pu farsi esterna a se stessa, ed io non posso appellarmi a nessuno che, in base alla sua prospettiva soggettiva, possa guardarmi nella mia interezza. Ci si imbatte, per cos dire, nella limitazione del meccanismo della coscienza, che ha bisogno proprio di specularit e riflessione, ovvero di immagini e determinazioni in cui riconoscersi e consistere. Luomo
Ibidem, pp. 121-122. BACHTIN, M. (1988) Lautore e leroe, pp. 114-115. Einaudi, Torino. 12 ibidem, pp. 128-130.
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che pensa in solitudine a se stesso stenta a credere alle auto-determinazioni che pone a se stesso e precipita allinterno di se stesso senza impossibilit di autooggettivarsi. Lunico altro possibile un altro a cui aspirare come osservatore partecipe dellintero processo della mia coscienza non pu pertanto essere altri che Dio.
Fuori di Dio, fuori della fiducia nellassoluta alterit impossibile prendere coscienza di s ed enunciare s [] perch la fiducia in Dio il momento costitutivo immanente della pura presa di coscienza di s ed espressione di s13.

Allinterno della propria coscienza non pertanto possibile alcuna extralocalit (il termine Bachtin), perch lo spirito non riesce a trovare un solo momento che sia autosufficiente e sia tolto fuori dallunitario e unico evento dellesistenza il cui divenire privo di un esito14. Non possibile, cio, assumere una posizione esterna a se stessi. Dio, ovviamente, non elimina la radicale non autocoincidenza della coscienza con se stessa. Anzi: egli impedisce che essa degeneri verso una tendenza allautosoddisfazione interiore dello spirito, in quanto essa costituirebbe un peccato: una vita che abbia ricevuto compimento temporale una vita disperata dal punto di vista del senso che la muove15. La vita interiore, infatti, vive della speranza e della fede nella sua non-coincidenza con s16. Vive, cio, di perenne speranza e fiducia nel futuro, e non di dimensioni gi realizzate nel presente. Vive, per usare le parole di Pirandello, del suo flusso interiore e non del suo esser forma. Spiega ancora Bachtin:
Possiamo dire che il peccato originale immanente allesistenza e dallinterno di essa vissuto, inscritto nella tendenza dellesistenza allautosufficienza: linteriore autocontraddizione dellesistenza, in quanto essa pretende di permanere autosoddisfatta nella sua presenzialit di fronte al senso, - lautoconvalida autocondensata dellesistenza nonostante il senso da cui essa promana (la rottura con la fonte), il movimento che dun tratto s arrestato e, senza ragione, si bloccato, ha voltato le spalle al fine che lo ha creato (materia che, dun tratto, si cristallizza in una roccia di una forma determinata). lassurda e sconcertata compiutezza, che prova la vergogna verso la propria forma17.

La precisazione di Moscarda, poco pi avanti nel romanzo, in linea con le considerazioni appena espresse: quel Dio che Moscarda aveva avvertito ferito in s, il Dio che in me voleva riavere il danaro dalla banca perch io non fossi pi chiamato usurajo, era un Dio nemico di tutte le tutte le costruzioni18; un Dio, cio, che non alleato delle forme e delle maschere, che non comodo per tutti
Ibidem, p. 130. Ibidem, p. 132. 15 Ibidem, p. 115. 16 Ibidem, p. 115. 17 Ibidem, p. 112. 18 Ibidem, p. 125.
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coloro che han voluto mettere fuori di s il sentimento di Dio costruendogli una casa fuori19, ma che, anzi, genera uninsoddisfazione verso ogni conclusione, tanto da indurre Moscarda a provare lorrore di rimanere comunque qualcuno, in possesso di qualche cosa.20 2. Un altro punto vivo a cui Moscarda fa riferimento la moglie Dida ed egli scopre di amarla, nonostante per lei sia solo il suo Geng:
Era anche lei lo sentivo bene, ora che non la avevo pi in casa era anche lei un punto vivo in me. Io lamavo, non ostante lo strazio che mi veniva dalla coscienza di non appartenere al mio stesso corpo come oggetto del suo amore21.

Abbiamo quindi, in Pirandello, una singolare contraddizione: luomo falso in quanto costretto ad atteggiarsi, a prendere una forma, a costruirsi; ma ogni costruzione una maschera, perch ci costringe ad assumere una posizione che non corrisponde al nostro interiore sentimento. Tuttavia, tale costruirsi una condanna inevitabile in virt di quella capacit che luomo possiede di vedersi vivere. Lunica possibilit che luomo ha di essere vero di rinunciare ad ogni costruzione: impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni, afferma Moscarda. Il problema del vero attiene all essere, a quello che si potrebbe definire, col linguaggio di Winnicott, vero S. Ma lessere inattingibile, perch la vita costretta ad agire per forme e, di conseguenza, la verit non appartiene allorizzonte degli eventi sperimentabili. Ci che sperimentabile solamente la forma, che appartiene viceversa alla dimensione del falso S, sempre per restare alla concettualizzazione di Winnicott. Non vi pertanto, in Pirandello, un problema di falsit della vita nel suo complesso, ma di falsit delluomo: vero il mare, s, vera la montagna; vero il sasso; vero un filo derba; ma luomo? Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo, di quella tal cosa chegli in buona fede si figura di essere: bello, buono, grazioso, generoso, infelice ecc. ecc.22. E tale condanna a costruirsi e ad indossare maschere deriva dalla capacit che luomo ha di vedersi vivere, che costituisce l immoralit delluomo, nel senso della poesia di Lawrence che sopra si riportata.
Perch la prima radice del nostro male appunto in questo sentimento che noi abbiamo della vita. Lalbero vive e non si sente: per lui la terra, il sole, laria, la luce, il vento, la pioggia, non sono cose che esso non sia. Alluomo, invece, nascendo toccato questo triste privilegio di sentirsi Ibidem, p. 123. Ibidem, p. 138. 21 Ibidem, pp. 104-105. 22 PIRANDELLO, L. (1986) Lumorismo, p.161. Mondadori, Milano.
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vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cio come una realt fuori di s questo interno sentimento della vita, mutabile e vario23.

3. Lestraneo La tematica dello specchio, poich induce ad interrogarsi sul rapporto che intercorre fra limmagine allo specchio e la propria identit, ha condotto sinora a constatare che solo con estrema difficolt possiamo giungere a vedere la nostra immagine riflessa nello specchio come separata dalla nostra interiore sensazione di esistere. Normalmente, viene evitato ogni coinvolgimento dellautocoscienza e, come si diceva, guardiamo allimmagine allo specchio solo funzionalmente ad un certo obiettivo (ad esempio per vedere se siamo ben vestiti o pettinati, se abbiamo locchio arrossato o, come Moscarda, perch proviamo un certo dolorino): trattiamo la nostra immagine come un oggetto del quale noi siamo i proprietari similmente a come lo siamo di altre cose meramente materiali. Limplicazione con la nostra soggettivit di quella immagine non viene messa a fuoco. Se invece poniamo lattenzione alla connessione che intercorre fra limmagine allo specchio e la nostra autocoscienza, facilmente restiamo avvinti in un singolare panico, che ci sorprende e che deriva dal fatto che la nostra autocoscienza, ovvero lintima sensazione che abbiamo di esistere, sembra refrattaria ad essere espressa in qualsivoglia immagine ed contraddistinta piuttosto da una peculiare dinamica interna che non si presta ad essere definita in delle immagini. Secondo Bachtin una percezione di un uomo umanamente carica di valore possibile a condizione che vi sia un altro uomo che ricopre, nei confronti di questo individuo, una posizione esterna o extralocalizzata. Lo sguardo di tale osservatore dotato di senso, etico ed estetico, se egli si pone come essere umano dotato di una prospettiva di valore; altres decade se tale luomo abdica da tale posizione di senso, ad esempio quando, nella conoscenza di carattere scientifico, non c la categoria dellio-tu, ma solamente com giusto che sia in tale caso delle cose da comprendere e da decifrare con lintelletto. Ora, finch osservo la mia immagine allo specchio con tale spirito scientifico-oggettivizzante, essa costituisce solo un problema per lintelletto e per lorganizzazione percettiva. Completamente diverso se, per suo tramite, io voglio accedere al sentimento interno del mio esistere. Si avverte, in tale circostanza, una difficolt legata al fatto che l io-per-me fondato su unautosensazione interna che solo un altro, in quanto altro, pu illuminare. Se volessi farlo in maniera autonoma, dovrei pormi come altro rispetto a me stesso.
Il mio aspetto esteriore, cio tutti senza eccezione i momenti espressivi del mio corpo, io lo vivo dallinterno; soltanto sotto forma di frammenti penzolanti sulla corda dellautosensazione
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Ibidem, p. 163.

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interna il mio aspetto esteriore viene a trovarsi nel campo dei miei senso esterni, e prima di tutto della vista, ma i dati di questi sensi esterni non costituiscono unultima istanza neppure per rispondere alla questione se sia mio questo corpo, questione alla quale soltanto la nostra autosensazione interna pu dare risposta. Questa stessa autosensazione conferisce anche unit ai frammenti della mia espressione esteriore e li traduce nel proprio linguaggio interiore. Cos stanno le cose con la percezione effettiva: nel mondo esteriormente unitario, che percepisco con la vista, ludito e il tatto, non incontro la mia espressione esteriore come unitario oggetto accanto ad altri oggetti []. il mio pensiero a collocare il mio corpo interamente nel mondo esterno come oggetto tra gli altri oggetti, ma non la mia effettiva visione, che non pu venire in aiuto al pensiero dandogli unimmagine adeguata. [] mi vivo dallinterno24.

E se volessimo comunque tentare di rappresentarci come se fossimo esterni a noi stessi, come se fossimo degli estranei rispetto a noi stessi?
Possiamo tentare, nellimmaginazione, di rappresentarci la nostra immagine esteriore, di percepire noi stessi dal di fuori, di tradurci nel linguaggio dellespressione esteriore: una cosa tuttaltro che facile e richiede uno sforzo non comune; si tratta di una difficolt e di uno sforzo del tutto diversi da quelli che sperimentiamo quando cerchiamo di ricordare il volto poco familiare e semidimenticato di unaltra persona: il problema che qui si pone non quello della carenza della memoria riguardo al nostro aspetto, ma quello di una resistenza di principio alla nostra immagine esteriore. facile convincersi mediante lautosservazione che il risultato iniziale del tentativo sar il seguente: la mia immagine visivamente espressa comincer a delinearsi fluttuante accanto a me, vissuto dallinterno, si staccher appena appena dalla mia autosensazione interna movendosi in avanti e spostandosi un po lateralmente, come un bassorilievo si staccher dalla superficie dellautosensazione interna, senza separarsene del tutto; come se mi sdoppiassi un po, senza disintegrarmi definitivamente: il cordone ombelicale dellautosensazione unificher la mia espressione esteriore con la mia interiore esperienza di s. necessario un nuovo sforzo perch immagini me stesso chiaramente en face, perch mi stacchi completamente dalla mia autosensazione interna e, quando ci riesce, nella nostra immagine esteriore ci colpisce che essa sia, per cos dire, vuota, spettrale, sinistramente solitaria. Come si spiega la cosa? Col fatto che nei confronti di questa immagine non abbiamo un adeguato atteggiamento emotivo-volitivo che possa vivificarla e includerla, valorizzandola, nellunit esterna del mondo plastico-pittorico. Tutte le mie reazioni emotivo-volitive, che, sul piano dei valori, percepiscono e organizzano lespressione esteriore dellaltro: ammirazione, amore, tenerezza, piet, ostilit, odio ecc., e che nel mondo sono orientate in avanti rispetto a me, non sono applicabili direttamente a me stesso cos come io mi vivo dallinterno; io strutturo dallinterno il mio io interiore volente, amante, senziente, vedente e conoscente in categorie di valore totalmente diverse, che sono direttamente applicabili alla mia espressione esterna. Ma la mia autosensazione interna e la mia vita restano in me che immagino e vedo, sono assenti in me che sono immaginato e visto, e io non dispongo di unimmediata reazione emotivo-volitiva capace di vivificare e coinvolgere il mio aspetto esteriore: proprio di qui derivano il vuoto e la solitudine25.

Moscarda intraprende proprio una ricerca di tale genere nel libro I (paragrafi IIIVIII), ovvero vuole vedersi come se fosse un estraneo rispetto a se stesso. Disorientato profondamente dai giudizi che gli altri davano del suo aspetto
24 25

BACHTIN, M. pp. 25-26, cit. BACHTIN, M. pp. 27-28, cit.

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fisico, giudizi della cui esistenza egli non aveva mai sospettato e che lo gettavano nellambascia di non essere sicuro di se stesso e di come si era autopercepito e considerato sino a quel momento - se questi altri potevano dare del suo aspetto impressioni cos diverse e inattese - Moscarda inizia ardentissimamente ad avvertire non solo il desiderio, ma il vero e proprio bisogno di rimanere da solo almeno per unora al giorno. Ma il modo in cui Moscarda avverte tale bisogno di rimanere solo particolare: per lui esser soli significa restare in compagnia di s stesso ma senza di s, ovvero con un estraneo attorno. Infatti Moscarda scopre che la solitudine un vissuto speciale che richiede che cessi lintimit della propria coscienza; questa come una stanza che si apre sulle tante finestre della memoria ed abitata da mille atti e da mille persone che impediscono che si possa essere veramente soli. No! Per essere veramente soli ci si deve sottrarre a questa trama dei ricordi e vedersi allo specchio come ci potrebbe vedere un altro: come un estraneo. Altrimenti, la solitudine non la si pu toccare con mano, ma la si vive, ci si sprofonda dentro ma non la si riesce a vedere. Nella solitudine, ragiona Moscarda, forse possibile vedere quel Moscarda che gli altri vedono ma che lui, Moscarda in prima persona, non riesce a vedere. Tale idea che non gli d pi tregua: Come sopportare in me questestraneo? Questestraneo che ero io stesso per me? Come non vederlo?26. Moscarda, approfittando della dipartita della moglie per qualche giorno, scruta nello specchio per tentare di sorprendere quellestraneo che gli altri possono vedere e lui no. I ripetuti tentativi di vedersi allo specchio in tale maniera falliscono miseramente: io mi sentivo quegli occhi [] li sentivo miei; non gi fissi su me, ma in se stessi. Ad un certo punto, inaspettatamente, quando Moscarda vede riflessa nello specchio una sua immagine di stizza improvvisa, riesce finalmente al vedere il suo corpo staccato dallo spirito. Cosera questo corpo? Una parte del S di Moscarda? Nientaffatto, ma un povero corpo che nulla aveva a che fare con lui, se non casualmente.
Ah, finalmente! Eccolo l. Chi era? Niente era. Nessuno. Un povero corpo mortificato, in attesa che qualcuno se lo prendesse. - Moscarda - mormorai, dopo un lungo silenzio. Non si mosse; rimase a guardarmi attonito. Poteva anche chiamarsi altrimenti. Era l, come un cane sperduto, senza padrone e senza nome, che uno poteva Flik, e un altro Flok, a piacere. Non conosceva nulla, n si conosceva; viveva per vivere, e non sapeva di vivere; gli batteva il cuore, e non lo sapeva; respirava, e non lo sapeva; moveva le palpebre, e non se naccorgeva. []

26

PIRANDELLO, L. Uno, nessuno e centomila, p. 13, cit.

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Chi era? Ero io? Ma poteva anche essere un altro! Chiunque poteva essere quello l [] Perch dovevo esser io, questo, cos? Vivendo, io non rappresentavo a me stesso nessuna immagine di me. Perch dovevo dunque vedermi in quel corpo l come unimmagine di me necessaria?27 (pp. 15-16)

Moscarda stabilisce pertanto la non coincidenza del suo s interiore con qualsiasi sua determinazione esteriore (i centomila). Non dimentichiamo che Moscarda non parla mai, come si visto anche sopra, della sua identit interiore come di un qualcosa di vuoto e inconsistente, ma casomai come una dimensione talmente ampia che rifugge a qualsiasi definizione che sarebbe limitante e claustrofobica.
Non aveva mica un nome per s il suo spirito, n uno stato civile: aveva tutto un mondo dentro; e io non bollavo ogni volta di quel mio nome, a cui non pensavo affatto, tutte le cose che vedevo dentro e intorno. Ebbene, ma per gli altri non ero quel mondo che portavo dentro di me senza nome, tutto intero, indiviso e pur vario. Ero invece, fuori, nel loro mondo, uno staccato che si chiamava Moscarda, un piccolo e determinato aspetto di realt non mia, incluso fuori di me nella realt degli altri e chiamato Moscarda28.

Il dilemma di Moscarda e di molti personaggi pirandelliani quello di dover fare i conti da un lato con le consuetudini della vita e dellidentit sociale che soffocano il flusso interiore, e dallaltro di desiderare una vita diversa e pi piena, di avvertire il brulichio, insomma, di una vita che era da vivere, l lontano lontano, donde accennava con palpiti e guizzi di luce; e non era nata; nella quale esso, lo spirito, allora s, ah, tutto intero e pieno di sarebbe ritrovato; anche per soffrire, non per godere soltanto, ma di sofferenze veramente sue29. Essi cercano, insomma, la libert dello spirito da qualsiasi determinazione esteriore che lo leghi a dinamiche estranee, imprigionandolo in una forma. Su tutte, la forma del corpo.
Veramente non vide mai la ragione che gli altri dovessero riconoscere quellimmagine [del suo corpo] come la cosa pi sua. Non era vero. Non era vero. Lui non era quel suo corpo; cera anzi cos poco era nella vita, lui, nelle cose che pensava, che gli sagitavano dentro, in tutto ci che vedeva fuori senza pi vedere se stesso. Case strade cielo. Tutto il mondo30.

Anche per Bachtin, come si detto, vi unimpossibilit di principio delluomo a rapportarsi con se stesso in maniera autonoma e solitaria, perch luomo eccedente rispetto a qualsiasi auto-oggettivazione.
Ibidem, pp. 15-16. Ibidem, p. 42. 29 PIRANDELLO, L. novella La carriola. 30 PIRANDELLO, L. novella Di sera, un geranio.
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Io posso ricordarmi, posso in parte percepirmi col senso esterno, in parte farmi oggetto di desiderio e di sentimento, cio posso farmi oggetto di me stesso. Ma in questo atto di autoggettivazione io non coincider con me stesso, io-per-me rester nellatto stesso di questa autoggettivazione, ma non del suo prodotto, rester nellatto della visione, del sentimento, del pensiero, ma non delloggetto visto o sentito. Non posso mettere tutto me stesso nelloggetto, eccedo ogni oggetto in quanto soggetto attivo31. Io per me non sono interamente consustanziale al mondo esterno, in me c sempre qualcosa di essenziale che posso contrapporre ad esso, e precisamente la mia attivit interiore, la mia soggettivit, che opposta al mondo interno in quanto oggetto, senza farsi contenere da esso; questa mia attivit interiore extranaturale e extramondana, io dispongo sempre di una via di uscita lungo la linea dellesperienza interiore di me stesso nellatto [illeggibile32] del mondo, c insomma una scappatoia che mi permette di sfuggire alla totale datit naturale. Laltro [illeggibile33] intimamente legato al mondo, io lo sono alla mia attivit extramondana [] Non c circostanza esteriore in cui io entri interamente e in cui io mi esaurisca, io per me come se mi trovassi sulla tangente rispetto ad ogni circostanza data. Tutto ci che spazialmente dato in me tende verso un centro interiore non spaziale, mentre nellaltro tutto ci che ideale tende verso la sua datit spaziale34.

Se dunque Moscarda non ha dubbi sulla libert interiore del suo spirito, qual il problema che lo attanaglia? Il problema quello della necessit che luomo ha di legarsi a delle forme e a delle determinazioni del suo essere interiore, la necessit che possiede di unidentit, di un S certo e ben saldo, che costituisce quanto di pi nobile e contemporaneamente pi infimo egli possieda. Infatti, se da un lato solo una solida identit offre la possibilit di uno sguardo soggettivo sul mondo e un ancoraggio ad una prospettiva personale, dallaltro lato una personalit consiste in un precipitato arbitrario e limitante di cause ed eventi, di possibilit e progetti. Quella certezza circa se stesso che, finch veniva cercata quale orizzonte futuro, ma mai realizzato, era sprone e obiettivo da perseguire, motivo di vitalit interiore, non appena viene raggiunta diventa un peso e un impaccio. Moscarda preferisce, per usare le parole di E. Fromm, di condurre unesistenza basata sulla modalit dell essere in una fondata sulla modalit dell avere e sul possedere (sicurezze, identit, prospettive di giudizio immodificabili ecc.). Ma si tratta di una ricerca che Moscarda porter fino alleccesso, fino a raggiungere uno svuotamento interiore che lo condurr ad esclamare: Ecco: per s nessuno. Era questa, forse, la via che conduceva a diventare uno per tutti35. Moscarda si trasforma in una sorta di pazzo lucido (Pirandello ha sempre pensato che la pazzia contenesse barlumi di saggezza) che capace finalmente di vivere secondo una sua personale religiosit interiore. Tale nuova identit, in cui stato visto,
BACHTIN, M. pp. 35-36, cit. Illeggibile nel manoscritto originale dellopera. 33 Illeggibile nel manoscritto originale dellopera. 34 BACHTIN, M. pp. 37-38, cit. 35 PIRANDELLO, L. Uno, nessuno e centomila, p. 138, cit.
31 32

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ad esempio da Renato Barilli, un percorso di misticismo, fa s che Moscarda abbia la forza di sottrarsi dalla trama del pensiero e della coscienza per vivere in un eterno presente in cui le cose sono colte nel loro nascere. Moscarda cerca non lidentit che si solidifica in immagine davanti allo specchio, perch questa un estraneo che ormai anche lui stesso pu vedere; ed esistono centomila estranei, corrispondenti, oltre alla sua, alle immagini che di Moscarda hanno le altre persone, delle quali nessuna pi vera delle altre, perch ognuna di quelle realt si fonda comunque su un arbitrio; vera lidentit che si cela dietro le immagini e le forme, che vive in una lontananza remota e che ha le dimensioni di un costante rinascere. Solo nell impedire che il pensiero si metta di nuovo in me a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle sue vane costruzioni, Moscarda ritiene di poter mantenere il suo essere immacolato. Solo cos Moscarda scopre di poter rinascere vivo e intero.

Riferimenti bibliografici BACHTIN, M. (1988) Lautore e leroe, Einaudi, Torino. LAWRENCE, D.H. Uncollected Poems in The Complete Poems of D.H. Lawrence (1967), Heinemann, London. PIRANDELLO, L. (1986) Lumorismo, Mondadori, Milano. PIRANDELLO, L. (1993) Uno, nessuno e centomila, Feltrinelli, Milano. PIRANDELLO, L. novella Di sera, un geranio. PIRANDELLO, L. novella La carriola. PIRANDELLO, L. novella La trappola. SERPIETRI, P. (1999) Specchio e parola in Moby-Dick, in LOMBARDO, A. (a cura di) Gioco di specchi. Saggi sulluso letterario dellimmagine dello specchio, Bulzoni, Roma.

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