direttore
Paola Francesconi
Via Agnesi, 3 – 40138 Bologna
comitato scientifico
Maria Bolgiani, Emilia Cece, Domenico Cosenza,
Carmelo Licitra Rosa, Céline Menghi, Alberto Turolla
redazione
Erminia Macola (coordinatrice),
Matteo Bonazzi, Fedra Bucelli, Silvia Morrone,
Caterina Paderni, Elda Perelli, Alide Tassinari
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L’immagine di Hans Bellmer che appare in copertina può essere protetta da copyright,
vi siamo grati se ci avvertite.
7
* Maurizio Mazzotti è iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine dei Medici di Bologna;
è Membro AME della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freudiano per la clinica,
la terapia e la scienza.
1. J.-A. Miller, “L’invenzione psicotica”, in La Psicoanalisi, n. 36, Astrolabio, Roma 2004, p. 17.
2. Ibidem, p. 15.
Maurizio Mazzotti | La disarticolazione del corpo nella schizofrenia | 13
In tal senso più che un “corpo senza organi”, secondo la molto citata
espressione di Deleuze e Guattari 4, quello dello schizofrenico è un
“corpo senza discorso” 5. Kraepelin con un’analogia diceva che è come
un’orchestra senza direttore, emblema di un corpo affetto da un disin-
serimento entropico dal punto di capitone del significante padrone che
avrebbe reso possibile applicare la griglia linguistica del discorso come
supporto della simbolizzazione del corpo e dei suoi organi. Al posto di
questa simbolizzazione troviamo invece la produzione della cosiddetta
fenomenologia clinica della macchina influenzante, la cui elaborazio-
ne ha storicamente contrassegnato l’implicazione psicoanalitica nello
stesso concetto di schizofrenia. La macchinizzazione schizofrenica del
corpo supplisce in modo delirante al disinserimento del corpo e dei suoi
organi dall’azione strutturante del significante padrone. È un ampio
ventaglio di fenomeni che vanno dalle trasformazioni più assurde degli
organi all’innesto nel corpo di giunture, leve, cardini, tubi, fili allo
scopo di stabilire un allacciamento degli organi al corpo, di farli stare
3. J. Lacan, “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi”, in Scritti,
Einaudi, Torino 1974, p. 564.
4. G. Deleuze e F. Guattari, L’Antiedipo, Einaudi, Torino 1975.
5. J.-A. Miller, “Schizofrenia e paranoia”, in La Psicoanalisi, n. 25, Astrolabio, Roma 1999, p. 36.
14 | attualità lacaniana n. 12/2010
assumeva di tanto in tanto una forma prolungata quasi come una pera”. 7
Ritroviamo qui esattamente gli elementi del macchinismo influenzante,
manovelle e viti per “allacciare”, cioè nella supplenza delirante di un
collegamento, ma ne vediamo altresì il limite nella risultante della “testa
a pera”, particolare in cui si sigla il tratto umiliante e derisorio di questa
operazione e che consegna il corpo ad una decadenza solo parzialmente
limitata dalla successiva trasformazione in donna.
Tausk citava il caso di una giovane donna 8 schizofrenica che sviluppava
la sindrome di influenzamento attorno ad una macchina elettrica, coi
suoi fili, i suoi collegamenti, ma soprattutto con la pervasività delle sue
emissioni elettromagnetiche, e questa macchina, diceva la paziente,
aveva la stessa forma del suo corpo, a parte qualche piccola differenza.
Non è l’immagine del corpo che trasmette l’idea della vita del corpo,
ma l’immagine del corpo del tutto esteriorizzato nella macchina per
influenzare, è la macchinizzazione del corpo in quanto “fuori corpo”
esso stesso, i cui organi hanno funzioni non previste da alcun discorso
che simbolizzi queste stesse funzioni, se non funzioni di godimento
pervasivo e nocivo.
wolfson “schizo”
l’organo tubo
un’ironia suprema
19. J. Lacan, “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi”, in Scritti,
cit., p. 579.
20. L. Wolfson, Ma mère musicienne est morte…, cit., p. 170.
21
1. la debilità mentale
La debilità mentale non è mai stata una condizione dell’essere che abbia
appassionato gli psicoanalisti, forse perché quando un debile varca
la soglia dello studio di un analista costui “viene subito messo alla
prova” 1. Si tratta di una prova che giunge da più fronti: da parte dei
genitori, pronti ad attendersi il miracolo o rassegnati all’incontro con
l’ennesimo specialista (senza mettere in conto il possibile boicottamento
di fronte ai primi cambiamenti); da parte dal paziente, spesso noioso
e poco loquace in quanto abituato ad essere solo un “oggetto” docile e
buono nelle mani dell’Altro; da parte dell’analista stesso, toccato da un
* Nicola Purgato è iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine degli Psicologi della Regio-
ne Veneto; è Membro della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freudiano per la
clinica, la terapia e la scienza.
1. M. Mannoni, Il bambino ritardato e la madre, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 63.
9. S. Freud, Compendio di psicoanalisi, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1979, vol. XI, p. 572.
10. F. Ansermet e P. Magistretti, A ciascuno il suo cervello. Plasticità neuronale e inconscio, Bollati
Boringhieri, Torino 2008, p. 15.
11. J. Lacan, “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi”, in Scritti,
Einaudi, Torino 1974, p. 545.
12. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXI, Les non-dupes errent, 1973-1974, (inedito) lezione del 12
febbraio 1974, (traduzione nostra).
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 25
▲
Chiamo debilità il fatto che un essere, un essere parlante, non sia solida-
mente installato in un discorso. In questo consiste il pregio del debile.
Non c’è altra definizione che gli si possa dare, se non quella di essere un
po’ à côté de la plaque (fuori strada, fuori misura, fuori luogo), ossia di
oscillare tra due discorsi. Per essere solidamente installati come soggetto
bisogna attenersi a uno oppure sapere ciò che si fa 15.
13. J.-A. Miller, “Quando i sembianti vacillano”, in La Psicoanalisi, n. 43-44, 2008, p. 12.
14. Ibidem, p. 14.
15. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XIX, Ou pire, (inedito), lezione del 12 marzo 1972, (traduzione
nostra).
26 | attualità lacaniana n. 12/2010
La nozione di debilità è stata per lungo tempo tra le più chiare e solide
della psichiatria dal momento che si pensava fosse di natura congenita
o sopravvenisse nei primi due anni di vita a causa di un trauma o di
una infezione. Inizialmente – per la precisione – si parlava di idioti! Nel
1846 Édouard Seguin sostiene che l’idiozia è una infermità del sistema
nervoso che ha per effetto radicale di sottrarre tutte o parte degli organi
e delle facoltà del bambino all’azione regolatrice della sua volontà, libe-
randolo ai suoi istinti e sottraendolo al mondo morale. L’idiota tipo è
un individuo che non sa nulla, non può nulla e non vuole nulla 16.
È a Dupré che, estendendo al mentale una qualifica fino ad allora riser-
vata al fisico (dal latino de habilis), si deve l’introduzione nel 1909 del
termine “debilità mentale” 17. Bisognerà, invece, attendere Alfred Binet
e Théodore Simon, durante la scolarizzazione di massa al tempo della
III Repubblica, per avere uno strumento in grado di misurare l’intelli-
genza e – di conseguenza – individuare i “debili mentali” diffondendo-
ne così il concetto 18.
Lacan, psichiatra e psicoanalista, si scosta da questa impostazione basa-
ta su una definizione deficitaria della debilità mentale, per farne una
“malattia fondamentale del soggetto rispetto al sapere” 19, un “rapporto
particolare dell’essere senza il sapere” 20. In effetti il soggetto debile si
colloca nei confronti del sapere in un evidente rapporto di esteriorità, in
16. E. Seguin, Traitement moral, hygiène et éducation des idiots, Baillière, Paris 1846, p. 107.
17. E. Dupré, “Débilité mentale et débilité motrice associées”, in Revue Neurologique, n. 20,
1910, pp. 54-56.
18. Si tratta della cosiddetta “Scala Binet-Simon” costituita da una cinquantina di item rappre-
sentativi di età comprese dai 3 ai 15 anni. L’insieme degli item superati con successo forniva la
misura dell’età mentale del soggetto la quale veniva confrontata con la sua età cronologica, resti-
tuendo così un profilo di normalità, ritardo o precocità. Il debile mentale presentava un ritardo
di due anni se ne aveva meno di 9 o un ritardo di tre se ne aveva più di nove; non superava mai
– tuttavia – il livello mentale tipico dei 10 anni.
19. P. Bruno, “À coté de la plaque, sur la débilité mentale”, in Ornicar?, n. 37, 1986, p. 39, (tra-
duzione nostra).
20. E. Laurent, “La jouissance du débile”, in Analytica, n. 51, 1987, p. 91, (traduzione nostra).
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 27
Qui la caratteristica principale della debilità sta nel fatto che l’essere par-
lante pensi l’universo a partire dal riflesso del proprio corpo, il macro-
cosmo a partire dal micro, ossia la propria immagine metro e misura di
tutte le cose. Il debile si appoggia così all’immagine che lo cattura e vi si
fissa, mettendo al posto dell’ideale la verità dell’Uno del suo corpo.
Non è perché il soggetto si mette al posto di una verità che dice il vero. È
piuttosto perché egli si identifica a questo posto che egli non è intelligente,
che egli non può sopportare di leggere tra le righe il tranello dell’Altro.
Sapere ciò che si dice, è sapere che tutto ciò che è detto non ha che senso
fallico e come riferimento l’oggetto. Per leggere tra le righe, bisogna sop-
portare di sospendere la supposizione del riflesso del corpo. È questo il
reale impossibile da sopportare per il soggetto debile 22 .
21. J. Lacan, Le Séminare, Livre XXII, R.S.I., 1974-75, in Ornicar?, n. 2, 1975, p. 91, (traduzione
nostra).
22. E. Laurent, “La jouissance du débile”, cit., p. 93.
28 | attualità lacaniana n. 12/2010
Questa nozione di debilità verrà ripresa anche nel 1977, nel seminario
L’ insaputo che una svista sa va alla morra, quando afferma che “l’uomo
non se la cava molto bene in questa faccenda del sapere. È la sua debo-
lezza mentale, né io faccio eccezione perché ho a che fare con lo stesso
materiale di tutti, con il materiale di cui siamo dimora. Con questo
materiale non ci si sa fare” 23.
Per Lacan – sulla scorta della parola latina intelligere – l’intelligenza
è la capacità di leggere tra le righe, andando al di là del senso, perché
al di là del senso c’è qualcosa attorno a cui il discorso gira 24. Così, a
colui che legge tra le righe, Lacan contrappone colui che oscilla tra
due discorsi. Pierre Bruno, che a lungo si è interessato di questo tema,
afferma che “la debilità mentale, in quanto colpisce chiunque, segna
in un modo particolare alcuni, che si fanno notare per una tenace
resistenza, talvolta geniale contro tutto ciò che potrebbe contrastare la
veracità dell’Altro” 25.
Nel testo “Una questione preliminare” Lacan illustrando lo schema R
presenta uno sdoppiamento all’interno del campo dell’Altro, formato
da P (o luogo della Legge in cui si colloca la funzione paterna, l’azio-
ne del Nome-del-Padre) e M (“significante dell’oggetto primordiale”,
Altro della simbolizzazione primordiale fondata sull’alternanza pre-
senza/assenza) 26 .
Ebbene, la debilità si pone direttamente in rapporto con quanto acca-
de nel campo dell’Altro, formato sia da M che da P, alla cui “veracità”
il debile si consacra interamente. Vedremo che Lacan, come Mannoni,
collega sempre la debilità a quanto si svolge nel discorso dell’Altro,
nella fattispecie quello genitoriale.
23. J. Lacan, “Il Seminario di Jacques Lacan (1976-77): L’insaputo che una svista sa va alla
morra”, in Ornicar?, 4, 1979, p. 24.
24. J. Lacan, Le Séminaire. Livre XXII, R.S.I., 1974-75, cit., p. 92.
25. P. Bruno, “A cotè de la plaque, sur la débilité mentale”, cit., p. 39.
26. J. Lacan, “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi”, in Scritti,
cit., p. 549.
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 29
I
R
S
Sono molto importanti i modelli. Non che ciò voglia dire qualcosa – non
vuole dire niente. Ma noi siamo fatti così – è la nostra debolezza animale –
abbiamo bisogno di immagini. E, in mancanza di immagini, capita che dei
simboli non vengano alla luce. In generale, (però) è piuttosto la deficienza
simbolica che è grave 27.
27. J. Lacan, Il Seminario, Libro II, L’ io nella teoria di Freud, 1954-1955, Einaudi, Torino 2006,
p. 103.
30 | attualità lacaniana n. 12/2010
L’essere Il Il senso
( il soggetto ) non senso ( l’Altro )
formulare che, quando non c’è intervallo tra e , quando la prima coppia
di significanti si solidifica, si olofrasizza, abbiamo il modello di tutta una
serie di casi, anche se, in ciascuno il soggetto non occupa lo stesso posto.
Per esempio, è nella misura in cui il bambino, il bambino debile, prende
il posto di questa S, rispetto a quel qualcosa a cui la madre lo riduce, a
non essere più che il supporto del suo desiderio in un termine oscuro, che
si introduce nell’educazione del debile la dimensione psicotica. È precisa-
mente ciò che la nostra collega Maud Mannoni, in un libro appena uscito
e di cui vi raccomando la lettura, tenta di indicare […] È sicuramente
di qualcosa dello stesso ordine che si tratta nella psicosi. Questa solidità,
questa presa in massa della catena significante primitiva è ciò che proibisce
quell’apertura dialettica che si manifesta nel fenomeno della credenza 31.
31. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964, cit.,
p. 233.
32 | attualità lacaniana n. 12/2010
0. s, s', s'', s''', … a, a', a'', a''', …
32. E. Laurent, “La psychose chez l’enfant dans l’enseignement de Jacques Lacan”, in Quarto,
n. 9, 1982, p. 7.
33. J. Lacan, “Préface à la traduction des Mémoires de Schreber”, in Le Cahier pour l’Analyse,
n. 5, 1966.
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 33
misura in cui il bambino occupa un certo posto: quello che nello sche-
ma del seminario nono sopra riportato è in basso a destra 36.
L’essere umano entra nell’universo del senso, quindi nella dimensione
della condivisione, dello scambio e del legame sociale attraverso l’in-
gresso in quel discorso che trova già lì quando nasce. Si tratta di un
discorso che si costituisce come un campo ben definito che è quello del
discorso familiare, sociale, culturale, etnico che Lacan definisce come
ciò a cui il soggetto non ha accesso se non come assoggettato.
36. E. Laurent, “La psychose chez l’enfant dans l’enseignement de Jacques Lacan”, cit., p. 7.
37. J. Lacan, Il Seminario, Libro V, Le formazioni dell’ inconscio, 1957-1958, Einaudi, Torino
2004, p. 191.
38. Ibidem, p. 204.
39. J. Lacan, “La significazione del fallo”, in Scritti, cit., vol. II, p. 687.
40. A. Stevens, “L’holophrase, entre psychose et psychosomatique”, in Ornicar?, n. 42-43, 1987,
p. 66, (traduzione nostra).
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 35
41. J. Lacan, Il Seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-1954, Einaudi, Torino 1978,
p. 278.
42. Ibidem, p. 270.
36 | attualità lacaniana n. 12/2010
È qui che il soggetto debile non essendo fuori discorso come nella psicosi,
pur tuttavia oscilla tra i discorsi senza entravi del tutto. Il soggetto debile,
infatti, nel tenersi ad opportuna distanza dal comprendere in cosa consista
questo termine oscuro che ne condiziona il destino, evita la possibilità di
fare chiarezza sulla sua collocazione mantenendosi, viceversa, in quell’at-
mosfera di incertezza, di nebulosità e di vaghezza che caratterizza la sua
posizione nel mondo; fluttuante ma congelato nella specularizzazione
immaginaria con la madre. 47
gli effetti sono dal lato dell’analizzante. È in questo contesto che Lacan
evoca la debilità. “Certamente, capita, come è stato dimostrato in posti
molto buoni, che i bambini scivolino nella debolezza mentale per l’azio-
ne degli adulti” 50.
Il testo “Due note sul bambino” è una lettera scritta da Lacan all’amica
Madame Aubry, pioniera nell’aiuto all’infanzia, che cercava di inventa-
re forme nuove di sostegno per i bambini in difficoltà. Dopo aver parla-
to del sintomo del bambino come “verità della coppia familiare”, Lacan
passa al punto di maggior interesse per quanto attiene al nostro tema:
Lacan, inoltre, in questa lezione del 1969 evoca il fatto che qualcosa
52. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XVI, D’un Autre à l’autre, 1968-1969, Seuil, Paris 2006, p. 174.
53. M. Mannoni, Il bambino ritardato, cit., pp. 91, 99, 169.
40 | attualità lacaniana n. 12/2010
Qualche anno dopo Lacan pronuncia la frase che abbiamo già incontra-
to ma ora che vale la pena riprendere.
Chiamo debilità il fatto che un essere, un essere parlante, non sia solida-
mente installato in un discorso. In questo consiste il pregio del debile.
Non c’è altra definizione che gli si possa dare, se non quella di essere un
po’ à côté de la plaque (fuori strada), ossia di oscillare tra due discorsi. Per
essere solidamente installati come soggetto bisogna attenersi a uno oppure
sapere ciò che si fa 54.
Il debile oscilla quindi tra due discorsi. Nella teoria lacaniana ne cono-
sciamo quattro che rappresentano “l’articolazione significante, ovvero
quell’apparecchio la cui sola presenza o il cui statuto esistente domina e
governa tutto ciò che può eventualmente nascere da parole. Sono discor-
si senza la parola, la quale viene solo dopo a trovarvi sistemazione” 55. Nel
funzionamento di questo apparecchio ci sono due termini fondamentali
per comprendere la questione della debilità: il sapere e la verità. Il primo,
, è uno dei quattro termini; la verità è uno dei quattro posti (in basso
a destra). In rapporto al godimento la verità è sorella del godimento 56,
mentre il sapere (l’articolazione simbolica) è solo mezzo di godimento 57.
Eric Laurent sottolinea bene che il paradosso del debile è di premu-
nirsi dal sapere identificandosi ad un posto nel quale, tuttavia, non è
54. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XIX, Ou pire, cit., lezione del 12 marzo 1972, (traduzione nostra).
55. J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi, 1969-1970, Einaudi, Torino
2001, p. 208.
56. Ibidem, p. 288.
57. Ibidem, p. 57, 94.
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 41
L’idea che il sapere possa fare totalità […] lo si sa da molto tempo. L’idea
immaginaria di un tutto, così come è data dal corpo, in quanto si appog-
gia sulla buona forma del soddisfacimento, su ciò che, al limite, diviene
sferico, è sempre stata utilizzata in politica dal partito del predicozzo. Che
c’è di più bello, ma anche di meno aperto? Che c’è di più simile alla chiu-
sura del soddisfacimento? La collusione di questa immagine con l’idea di
soddisfacimento, ecco contro cosa dobbiamo lottare 60.
È solo nel discorso dell’analista che il sapere occupa il posto della verità
e produce certi effetti, perché qui il sapere si apre e “parla da solo, ecco
l’inconscio” 61.
▲
l’esperienza analitica ha di mira proprio “trovare il reale […] dove più che
essere il soggetto a trovarlo è il reale che lo trova, lo raggiunge” 63. Ma pro-
prio perché il discorso analitico possa articolarsi in questo modo, occorre
essere nel discorso del padrone, altro nome del discorso dell’inconscio.
Per essere nel discorso dell’inconscio bisogna essere stati afferrati nel
discorso universale, e che questo discorso universale sia calato su di voi,
a battezzarvi, a transustantivificarvi attraverso un significante padrone.
Se non è accaduto così, se qualcosa è fallito in questa cattura iniziale, se
il significante-padrone è stato agganciato male, di traverso, allora non si è
nel discorso dell’inconscio 64.
63. J.-A. Miller, “L’esperienza del reale nella cura analitica”, in La Psicoanalisi, n. 25, 1999, p. 205.
64. J.-A. Miller, “Quando i sembianti vacillano”, cit., p. 20.
65. P. Walleghem, “Le débile et son discours. Quelques réflexions cliniques”, in Les Feuillets di
Courtil, n. 6 1997, pp. 113-121.
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 43
66. J. Lacan, “Lo stordito”, in Scilicet 1/4, Feltrinelli, Milano 1977, p. 363.
67. M. Mannoni, Il bambino ritardato e la madre, cit., p. 67.
68. J. Lacan, Il Seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-1954, cit., p. 298.
44 | attualità lacaniana n. 12/2010
Ciò che troviamo nella legge dell’incesto si situa come tale a livello del
rapporto inconscio con Das Ding, la Cosa. Il desiderio per la madre non
può essere soddisfatto perché sarebbe la fine, il termine, l’abolizione di
tutto l’universo della domanda, che è quel che struttura più profonda-
mente l’inconscio nell’uomo. È proprio in quanto la funzione del princi-
pio del piacere è di far sì che l’uomo cerchi sempre ciò che deve ritrovare
ma che non può certo raggiungere, che l’essenziale sta proprio qui, in
questa molla, in questo rapporto che si chiama la legge dell’interdizione
dell’incesto. […] Questo ci porta ad interrogare il senso dei dieci coman-
damenti in quanto essi sono legati nel modo più profondo a ciò che regola
la distanza tra il soggetto e Das Ding, in quanto tale distanza è appunto la
condizione della parola 72 .
In fin dei conti fin dal seminario secondo il simbolico è descritto come
“una successione di assenze e di presenze, o piuttosto della presenza su
un fondo di assenza, dell’assenza costituita dal fatto che una presenza
possa esistere. Non c’è assenza nel reale. C’è assenza se suggerite che
può esserci una presenza dove non ce n’è. Io propongo di situare nell’in
principio la parola in quanto crea l’opposizione, il contrasto” 73. A partire
da questo presupposto può sostenere che è solo dal momento in cui l’og-
getto può essere nominato, “che la sua presenza può essere evocata come
dimensione originaria, distinta dalla realtà. La nominazione – dice Lacan
– è evocazione della presenza, e sostegno della presenza nell’assenza” 74.
La nominazione dell’oggetto, infatti, dona all’oggetto stesso un valore
trans-oggettuale: l’oggetto può esistere o può essere evocato anche se
non è presente. In tal modo l’oggetto si svincola dal rapporto imma-
ginario ed esiste al di là di esso, ed al contempo, si svincola pure dalla
dimensione temporale, dalla necessità della presenza. È per questo che
72. J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi, 1959-1960, Einaudi, Torino 1994,
pp. 83, 86.
73. J. Lacan, Il Seminario, Libro II, L’ io nella teoria di Freud, 1954-1955, cit., pp. 358-359.
74. Ibidem, pp. 294-295.
46 | attualità lacaniana n. 12/2010
Per quanto sia evidente il duplice uso del termine debilità lungo l’inse-
gnamento di Lacan, tale scansione anziché complicarne la concezione la
illumina. Ci sono infatti due fili che con spessore e grana diversa si intrec-
ciano nello snodarsi del percorso. Da un lato, una certa “carenza simbo-
lica” presente a partire dal seminario primo nei termini di “deficienza
simbolica” fino al seminario diciannovesimo nell’immagine del non esse-
re “solidamente installati in un discorso”; dall’altro, il potere di cattura
dell’immaginario che porta con sé il rischio della debilità. Ogni volta che
Lacan evoca qualcosa del registro immaginario mette in guardia da que-
sto rischio, come quando afferma che “l’immagine può condurre ad un
P 0
Così il sinthomo nella sua equivalenza al Nome-del-Padre non è più
riconducibile esclusivamente all’articolazione simbolica o al suo valore
di Legge, ma al suo valore di “apparato”, “cardine”, “annodamento” che
consente di articolare in maniera inedita il significante al godimento 84.
78. J. Lacan, Il Seminario, Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, 1970-1971,
Einaudi, Torino 2010, p. 20.
79. J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo, 1975-1976, Astrolabio, Roma 2006, p. 35.
80. J. Lacan, Il Seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-1954, cit., p. 323.
81. J. Lacan, Il Seminario, Libro II, L’ io nella teoria di Freud, 1954-1955, cit., p. 195, p. 49.
82. J.-A. Miller (a cura di), Il sintomo psicotico. Conversazione di Roma, Astrolabio, Roma 2001, p. 214.
83. J.-A. Miller, “Sette considerazioni sulla creazione”, in La Psicoanalisi, n. 9, 1991, p. 149.
84. Cfr. IRMA, La conversazione di Archachon, Astrolabio, Roma 1999, pp. 123-27, 141-43, 223-26.
48 | attualità lacaniana n. 12/2010
bambino debile occupa, perché molto spesso è quello di essere “il pegno
vivente di una menzogna a livello della coppia parentale” 90. Il bambino
rimane così incastrato a difendere una verità, preferendo fluttuare tra
gli elementi che la costituiscono, piuttosto che affrontarne o tradirne
i segreti. Si tratta di una verità che lo seduce, per quanto possa essere
triste o drammatica, urlata o colta tra i silenzi del non detto, presen-
tandosi sempre, come i riferimenti all’immagine del corpo riflesso o al
“sapere chiuso” suggeriscono, con quella buona forma che costituisce
una “trappola” 91 ed un inganno, quello stesso (microcosmo/macroco-
smo) evocato da Lacan proprio per spiegare la posizione del debile 92 .
95. J.-A. Miller, “L’immagine regina”, in Delucidazioni su Lacan, Antigone, Torino 2008, p.
396; Cfr. J.-A. Miller, “Silet”, in La Psicoanalisi, n. 24, 1998, p. 234: “l’immagine può benissimo
avere funzione di significante”.
96. A. Di Ciaccia, “Lacan et l’intelligence”, in Preliminaire, n. 5, 1993, p. 100.
97. J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi, 1969-1970, cit., p. 20.
Nicola Purgato | Debilità, o il potere dell’immaginario | 51
Non sarà possibile aprire questo “sapere chiuso”, questo tutto solo,
questo “significante passe-partout” se non liberando la parola del sog-
Nel campo dell’età evolutiva si richiede sempre più spesso agli “esperti” un inter-
vento per le “nuove forme del sintomo” del disagio giovanile. L’ inibizione allo stu-
dio, le forme di anoressia, il suicidio tentato o raggiunto sono presi in esame, ana-
lizzati al microscopio fenomenologico e comportamentale, nel tentativo di isolare
il “male” del ragazzo. L’Altro familiare, educativo, sociale respinge ogni implica-
zione e non vuole accorgersi che al fondamento del disagio possa esserci un rifiuto
degli oggetti di consumo già pronti, della via già tracciata, che al giovane sono
presentati come soluzioni di vita “normale” a cui non resta che adeguarsi. Quello
che invece il ragazzo chiede con il rifiuto – talora fino alla morte – è che l’Altro
prenda atto della sua esistenza come soggetto irripetibile, singolare nell’emergere
del desiderio e nella ricerca degli oggetti di soddisfazione.
Per chi si trova ad operare nel campo dell’età evolutiva e con le diverse
istituzioni che si occupano degli adolescenti e dei giovani, la richiesta
di intervento per queste che sono state dette “nuove forme del sintomo”
* Intervento tenuto nel corso di una tavola rotonda con genitori, insegnanti, ragazzi di Scuole
Superiori sulle “Manifestazioni attuali del disagio giovanile”, dicembre 2008.
** Giovanna Di Giovanni è iscritta all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine dei Medici di
Milano; è Membro AME della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freudiano per la
clinica, la terapia e la scienza.
tiche nuove che il rapido mutare sociale presenta anzitutto nella popo-
lazione giovanile e scolastica, capita che gli adulti intorno si ritraggano
nel paragone e nel rimpianto del passato.
Si chiudono allora in un altro fortino contrapposto a quello familiare,
nella guerra di posizione sulla colpa da attribuire gli uni agli altri, che
tanto spesso oppone l’istituzione scolastica a quella familiare. Il ragazzo
resta in mezzo, oggetto del contendere degli adulti e non soggetto per
le cui difficoltà essere in ansia o chiedere un aiuto. Vi è poi la caduta di
ruoli definiti a cui fare riferimento, che – prima ancora del giovane –
mette in crisi l’adulto. Questo secondo aspetto infatti può significare
certo maggior libertà, ma suscita anche grande paura. Tipico infatti
della nostra attualità è reclamare la libertà più ampia ma insieme, fug-
girne l’aspetto correlativo della responsabilità. Il non definito, non a
priori delimitato, chiama infatti in causa il soggetto e suscita inevitabil-
mente angoscia.
È comunque nel mondo sociale dell’adulto che l’adolescente e il giovane
si immettono. Anche il bambino, certo, vive nel mondo sociale, ma in un
modo mediato dai genitori e dagli adulti. Con la pubertà, con lo sviluppo
sessuale questa mediazione viene a cadere. C’è un reale del corpo che non
può essere affidato ad alcuno. E insieme c’è una realtà esterna, di rela-
zione che si presenta altrettanto improvvisamente diversa: i genitori, la
famiglia non sono più assoluti e intoccabili, ma simili o inferiori agli altri
adulti, in un conflitto che pone il giovane tra appartenenza e distacco.
Non vi sono più certezze di alcun genere. Tutto l’assetto pulsionale e
affettivo che fino all’adolescenza può avere retto è rimesso in discussio-
ne e richiede un nuovo aggiustamento, perché l’ individuo possa assu-
mere una sua identità personale e sociale. Il legame con l’altro familiare
e la separazione necessaria per esistere come individui sono di nuovo in
questione, diversamente che nell’infanzia e richiedono nuove risposte e
anche più complesse, che chiamino in causa, oltre la famiglia, organi-
smi sociali come la scuola, le istituzioni sanitarie, i gruppi di pari.
L’adolescenza si configura quindi come una situazione a rischio, nel
56 | attualità lacaniana n. 12/2010
senso del rischio di non riuscire a passare all’età adulta, di rimanere invi-
schiati nell’inconsapevole immagine di una impossibile pienezza infan-
tile, rischio di rifiuto dell’ esistere nei suoi diversi aspetti: di conoscenza
per quanto riguarda lo studio, di definizione fisica, per il corpo con il
cibo, di relazione fra gli altri per la morte sfidata o apertamente cercata.
Inibizione allo studio, anoressia, tentati suicidi, aperti o mascherati,
a cui si possono aggiungere le diverse forme di devianza giovanile.
Forme del sintomo, del disagio di vivere diverse ma accomunate
dall’elemento del ritiro, della chiusura, del rifiuto dell’Altro. Il sog-
getto rifiuta il sapere, il cibo, il modo di vita che l’Altro gli presenta.
Il desiderio, unica molla dell’esistenza, sembra rivolto solamente al
“no”, al rifiuto fino alla morte. Qualcosa ne impedisce la circolazione
e fissa il soggetto in una sfida comunque mortale. Più l’Altro familiare
e sociale si accanisce sul sintomo, più l’individuo esaspera il suo com-
portamento come per indicare che la questione non è lì ma altrove, in
uno spazio che non si è aperto per il discorso, per il desiderio, che non
può essere se non singolare e irripetibile e che può nascere solo dalla
mancanza accettata e riconosciuta.
Posizione di sfida quindi anzitutto ad un ambiente sociale che propo-
ne soluzioni già pronte, oggetti che colmano ogni mancanza per una
norma codificata e che vuole ignorare la solitudine e l’angoscia che
accompagnano il percorso della vita umana.
Infatti, la domanda di genitori, insegnanti e degli adulti intorno è
spesso: – ma cosa vuole ancora da me, da noi? gli abbiamo dato tutto il
possibile, perché non se ne accomoda e ringrazia?
La risposta paradossale di chi rifiuta è appunto questa: – perché il sog-
getto nella relazione con se stesso e con gli altri non può vivere se non
nell’impossibilità di colmarsi della mancanza squisitamente singolare
e dell’accettazione di questa come molla per il desiderio individuale,
irripetibile, solitario. L’adolescente, il giovane nel loro affacciarsi alla
vita sociale più vasta ripropongono all’adulto le questioni di fondo
dell’esistere, spesso accantonate e che perciò stesso spaventano, ma che
Giovanna Di Giovanni | Inibizione allo studio, anoressia, suicidio come tentativi di esistenza del soggetto | 57
comunque più sono ignorate e respinte e più si ripresentano nel reale del
corpo e del sociale.
“Non è questo che voglio”, dice con l’atto autolesivo il soggetto, non
il tuo sapere o cibo o modello di vita già pronto ma, caso mai, voglio
vedere la tua personale implicazione, il tuo personale impegno e desi-
derio nel rapporto con me e con gli altri intorno perché anch’io possa
trovare il coraggio di desiderare e di vivere. Discorso senza parole, ma
che ancor più chiede una risposta personale dell’altro, lo sfida sul terre-
no dell’atto, che è sempre personale e irripetibile 1.
Proprio questo angoscia le persone intorno all’adolescente, la dimen-
sione di sfida e di richiamo oltre ogni ruolo codificato di genitore,
insegnante, medico, educatore, chiamati in causa invece solo per il
proprio desiderio verso quel soggetto non uniformabile alla generalità,
al gruppo, alla massa.
È vero che c’è un’ambivalenza anche del soggetto adolescente, che vuole
richiamare per sé un’attenzione unica e irripetibile ma anche rifugge
dall’altro aspetto della soggettività, che è appunto l’assunzione della
responsabilità e la solitudine che ciò comporta. Per questo, più che le
parole, il ragazzo guarda al modo di porsi, di essere degli adulti per
coglierne le contraddizioni, la paura, il rifiuto, l’isolamento, l’esclusione
del diverso sotto le apparenze di accettazione, gli aspetti più profondi di
timore oltre le parole comuni di incoraggiamento.
Il giovane, di fronte a questo evitamento degli adulti, fugge a sua volta
e s’innesca un circolo non facile da rompere. Perché di risposte non
adeguate e di modelli di identificazione alienanti il soggetto ne ha già
incontrati e lo manifesta nel rifiuto di apprendere, di nutrirsi, di vivere
che sono appunto l’involucro formale, sintomatico, apparentemente
simile in tutti i casi, ma nella problematica profonda diversi per ciascu-
no. Spesso gli adulti intorno si fermano a questa apparenza, alla forma
Il passaggio all’atto è dal lato del soggetto in quanto questo appare can-
cellato in modo estremo dalla barra. Il momento del passaggio all’atto è
quello del massimo imbarazzo del soggetto. È allora che, da dove si trova
– ovvero dal luogo della scena in cui soltanto può mantenersi nel suo sta-
tuto di soggetto, come soggetto fondamentalmente storicizzato – esso si
precipita e cade fuori della scena 2 .
Chiamarsi fuori dal campo dell’Altro infatti, anche con la morte tentata
o raggiunta, può essere talora l’estremo atto di vita del soggetto.
2. J. Lacan, Il Seminario, Libro X, L’angoscia, 1962-1963, Einaudi, Torino 2007, p. 125.
61
I sopravissuti dei campi di concentramento mostrano tutti gli effetti del trau-
ma sul corpo e sul linguaggio. Uno degli effetti del trauma è il mutismo che la
lingua incontra perché incapace di dire il reale. Nel campo di concentramen-
to, infatti, il corpo e il linguaggio si riducono al resto che Lacan ha chiamato
l’oggetto a. Questa è la tesi di Anne-Lise Stern deportata ad Auschwitz-Birke-
nau. Nel testo viene esaminata la ricchezza de lalingua, la prima lallazione
del bambino che congiunge il corpo al linguaggio, non destinata alla comu-
nicazione, per giungere a dire che la lingua che viene colpita nel trauma è
lalingua orginaria. Il trauma de lalingua è infine confrontato ad alcuni casi
di anoressia restrittiva, in cui non si rileva il rifiuto, ma una non avvenuta
trasmissione de lalingua.
premessa
* Giuliana Grando è iscritta all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine degli Psicologi della
Regione Veneto; è Membro della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freudiano per
la clinica, la terapia e la scienza.
per noi, è essere stati separati dai nostri amori, dalle nostre madri e dai
nostri padri, e, poi, in un istante, da tutto ciò che sta al posto dell’oggetto:
foto, lettere, bijoux, chignons, vestiti, scarpe, capelli […] per noi c’era stata
data una intimità con ciò che Lacan aveva circoscritto, isolato come ogget-
to a. Il solo oggetto che ci restava era questo corpo che era noi: l’oggetto a
viene direttamente da Auschwitz 3.
6. J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, 1972-1973, Einaudi, Torino 1983, p. 138.
7. Ibidem, p. 144.
8. J.-A. Miller, “Il Monologo dell’apparola”, in La Psicoanalisi, n. 20, Astrolabio, p. 27.
9. J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma 2001, p. 39.
10. J.-C. Milner, L’amore della lingua, Spirali, Milano 1980, p. 104.
66 | attualità lacaniana n. 12/2010
la deportazione
13. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964,
Einaudi, Torino 2003, p. 270.
14. J. Lacan, “Proposta del 9 ottobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola”, in Scilicet ¼,
Feltrinelli, Milano 1977, p. 32.
68 | attualità lacaniana n. 12/2010
In queste pagine vengono indagati i concetti di “pulsione orale” e “oggetto orale” nel
tentativo di comprendere come l’oralità sia implicata nella formazione del sintomo
alimentare. A tal fine insieme ad Abraham ci si interroga su come l’erotismo orale
influisca nella formazione del carattere. Con Freud, Abraham, Klein e Winnicot
vengono messi al lavoro i concetti di “Incorporazione” e “Identificazione” mentre con
Lacan viene studiato il “Complesso di Svezzamento” e le sue implicazioni nell’ in-
sorgenza del disturbo alimentare. A partire dai riferimenti offerti da Freud e Lacan
sul tema dell’anoressia si prosegue attraverso gli studi di altri autori che prendendo
spunto dall’ insegnamento di Miller hanno messo al lavoro la loro esperienza clinica.
* Edy Marruchi è psicoterapeuta. L’articolo è tratto dal suo lavoro di tesi di specializzazione in
psicoterapia presso l’Istituto Freudiano per la clinica, la terapia e la scienza.
Per Freud “la pulsione appare come un concetto limite tra lo psichico
e il somatico, come il rappresentate psichico degli stimoli che traggo-
no origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una
misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza
della sua connessione con quella corporea” 2 .
La concezione freudiana della pulsione emerge dalla descrizione della
sessualità umana. La nozione di pulsione resta per Freud sempre duali-
sta: il primo dualismo proposto è quello tra pulsioni sessuali e pulsioni
dell’Io o di autoconservazione.
La pulsione sessuale è una spinta interna che si riferisce ad un campo
più vasto di quello dell’attività sessuale. Freud la vede operare prima
come pulsione parziale legata alle singole zone erogene e poi, attraverso
un’evoluzione, sotto il primato della genitalità. L’aspetto psichico di
questa pulsione è designato col termine di libido che costituisce un polo
del conflitto psichico ed oggetto privilegiato della rimozione.
La pulsione di autoconservazione è una funzione legata alle funzioni
somatiche necessarie alla conservazione della vita dell’individuo, come
ad esempio la fame. Questo dualismo è presente secondo Freud, già alle
origini della sessualità in quanto la pulsione sessuale si distacca dalle
funzioni di autoconservazione su cui prima si appoggiava.
Il dualismo pulsionale introdotto da Freud in Al di là del principio di
piacere contrappone, invece, le pulsioni di vita alle pulsioni di morte
e modifica la funzione e la collocazione delle pulsioni nel conflitto. In
questa seconda formulazione della teoria la pulsione sessuale e quella di
autoconservazione vengono unificate essendo entrambe assimilate alle
1. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, (1932), in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 2003,
vol. XI, p. 205.
2. S. Freud, Metapsicologia (1915), in Opere, cit., vol. VIII, p. 17.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 73
nite volte durante le vicissitudini che la pulsione subisce nel corso della
sua esistenza. A questo spostamento della pulsione spettano funzioni
importantissime. Può accadere che lo stesso oggetto serva al soddisfaci-
mento di più pulsioni, producendo ciò che Adler chiama “un intreccio
pulsionale”. La bulimia mette in risalto questo aspetto: l’oggetto è asso-
lutamente variabile, l’obiettivo della pulsione è soddisfarsi, “mangiare”.
Lacan esprime questo concetto della variabilità dell’oggetto dicendo che
“il desiderio è una metonimia”. Il desiderio è un continuo rilancio da
un oggetto all’altro e in questo senso è una metonimia.
Nel testo Lutto e melanconia, Freud afferma che l’oggetto è “insosti-
tuibile”. Questa teoria sembra inconciliabile con la prima, nella quale
l’oggetto è definito “variabile”. A partire dal fenomeno clinico della
melanconia, Freud scopre che in essa c’è l’identificazione del soggetto
con l’oggetto perduto. Questo oggetto non si lascia sostituire.
Queste teorie freudiane sono alla base dell’idea di Lacan che il soggetto
si diriga, non verso un oggetto qualsiasi, ma verso il vuoto, verso l’og-
getto niente. Lacan nel seminario undicesimo, I quattro concetti fonda-
mentali della psicoanalisi, afferma che la pulsione che afferra il proprio
oggetto apprende che non è così che essa si soddisfa. Nessun oggetto
può soddisfare la pulsione “Anche se rimpinzaste la bocca – bocca che si
apre nel registro della pulsione – non è del cibo che essa si soddisfa ma,
come si dice, del piacere della bocca” 4. Proprio per questo, ci dice Lacan,
nell’esperienza analitica, la pulsione orale si incontra alla fine, in una
situazione in cui “essa non fa altro che ordinare il menù” 5. Lacan ripren-
de l’esempio della bocca che si bacia da sé. La definisce una bocca cucita 6
dove nell’analisi si può riconoscere, in certi silenzi, l’istanza pura della
pulsione orale che si richiude sulla propria soddisfazione. L’oggetto su cui
la pulsione si richiude, ci dice Lacan, in realtà non è un vuoto occupabi-
4. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della Psicoanalisi, 1964,
Einaudi, Torino 2003, p. 163.
5. Ibidem, p. 163.
6. Ibidem, p. 174.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 75
mente dalla metafora del nutrimento, cioè il seno. Il seno pure è qualcosa
di appiccicato. Che succhia. Che cosa succhia? L’organismo della madre.
In questo modo, è sufficientemente indicato, a questo livello, qual è la
rivendicazione, da parte del soggetto, di qualcosa che è separato da lui, ma
che gli appartiene e di cui si tratta che si completi 7.
K. Abraham 9 afferma che, oltre alla fonte anale un’altra fonte originaria
per la formazione del carattere è l’erotismo orale.
Abraham ricorda che una gran parte dell’investimento libidico della
bocca, proprio della prima infanzia, rimane utilizzabile nella vita suc-
cessiva. Le porzioni orali della sessualità infantile non hanno perciò
bisogno di essere assorbite nella stessa misura di quelle anali nella for-
mazione di carattere o nella sublimazione.
Durante la prima infanzia è presente un intenso piacere connesso
all’attività del succhiare, piacere non esclusivamente legato ai processi
di nutrizione ma legato all’importanza della bocca come zona eroge-
na. Questa forma primitiva di soddisfacimento del piacere non viene
mai del tutto superata dall’individuo ma continua ad esistere, anche
se mascherata, per tutta la sua vita. Lo sviluppo fisico e psichico del
bambino implica tuttavia una rinuncia sempre più ampia al piacere di
succhiare. Queste progressive rinunce possono avvenire solo a partire da
uno scambio. Il processo di dentizione ad esempio permette di perdere
buona parte del piacere di succhiare in cambio del piacere di mordere.
In questo periodo si stabiliscono relazioni ambivalenti del bambino
verso oggetti esterni. Queste relazioni saranno condizionate dal piacere
di succhiare e di mordere.
In questo stesso periodo il piacere di succhiare inizia una specie di pere-
grinazione. Quasi contemporaneamente allo svezzamento del bambino
dall’assunzione del cibo mediante suzione ha luogo la sua assuefazione
alla pulizia del corpo.
Un’elaborazione ben riuscita dell’erotismo orale rappresenta il primo e
più importante presupposto di un comportamento futuro normale, dal
punto di vista sociale e sessuale. Molteplici sono però le possibilità di
un disturbo di questo importante momento dello sviluppo.
Abraham continua sostenendo che il periodo della suzione può essere
9. K. Abraham, Studi psicoanalitici sulla formazione del carattere, 1925, in Opere, Bollati Borin-
ghieri, Torino 1997, vol. I.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 79
10. Ibidem.
80 | attualità lacaniana n. 12/2010
11. Ibidem.
12. Ibidem.
13. Ibidem.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 81
14. Ibidem.
15. Ibidem.
82 | attualità lacaniana n. 12/2010
16. S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1920, in Opere, cit., vol. IX.
17. M. Klein, “Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi” (1935), in Scritti
1921-1958, Bollati Boringhieri. Torino 1997.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 83
18. K. Abraham Vedute psicoanalitiche su alcune caratteristiche del pensiero infantile, 1923 in
Opere, cit., vol. I.
19. S. Freud, Totem e tabù, 1912-13, in Opere, cit., vol. VII, p. 88.
84 | attualità lacaniana n. 12/2010
In questa stessa opera è reperibile anche una seconda matrice che Freud
rinviene all’origine dell’anoressia: quella melanconica. Anoressia come
paradigma della posizione melanconica. “Così non sarebbe inopportu-
no partire dall’idea che la melanconia consiste nel lutto per la perdita
della libido” 21. Pertanto possiamo constatare che Freud divide l’ano-
ressia melanconica, fondata sulla perdita di libido nella vita pulsionale,
dall’anoressia isterica, basata sul meccanismo della difesa-disgusto. Freud
sottolinea la distinzione tra “dimensione del lutto” e “lavoro del lutto”.
Nell’anoressia il lutto per l’oggetto perduto annienta la possibilità stessa
di un lavoro del lutto.
Nell’anoressia troviamo una fissazione enigmatica all’oggetto perduto.
Fissazione che dapprima spinge Freud, come abbiamo visto, ad avan-
zare l’ipotesi di una perdita tout court della libido e che, in un secondo
tempo, in Lutto e melanconia, lo condurrà a teorizzare l’identificazione
all’oggetto perduto come una sorta di spostamento della libido (dall’og-
getto all’io) che produce l’effetto melanconico vero e proprio come
estensione dell’ombra dell’oggetto sull’io.
Nell’anoressia troviamo sia il rifiuto come scudo del desiderio rispetto
alla domanda dell’Altro, che la riduzione del desiderio stesso a rifiuto,
ovvero rifiuto del desiderio.
Possiamo considerare la prima oscillazione come l’oscillazione isterica
dell’anoressia e la seconda come l’oscillazione melanconica. Nell’oscil-
lazione melanconica dell’anoressia, il desiderio come rifiuto, si verifica
una degradazione del desiderio a rifiuto. Il soggetto non domanda più
nulla. Il desiderio viene rifiutato e si annulla nel godimento puro della
pulsione di morte.
Questo tema è ripreso da Freud in Lutto e melanconia. In questo testo,
come ho anticipato, Freud considera la posizione anoressica come feno-
meno che può accompagnare alcune gravi forme di melanconia. “L’Io
vorrebbe incorporare in sé tale oggetto e, data la fase orale o cannibali-
24. P. Francesconi, “Note sui moderni disagi dell’oralità”, in La Psicoanalisi, n. 22, 1997, Astro-
labio, Roma.
25. S. Freud, Totem e tabù, in Opere, cit., pp. 293-298.
26. P. Francesconi, “Note sui moderni disagi dell’oralità”, in La Psicoanalisi, n. 22, cit..
27. M. Recalcati, L’ultima cena: anoressia e bulimia, Bruno Mondatori, Milano 1997.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 93
patto con l’Altro). Nel primo la pulsione orale sacrifica l’oggetto orale
e si soddisfa di un oggetto trasformato simbolicamente. Nel secondo
abbiamo il cibo simbolizzato, trasformato dalla cucina dell’Altro e inve-
stito di valore simbolico. L’anoressia e la bulimia dicono di no a questo
oggetto simbolizzato: la prima rifiutandolo e la seconda facendolo
regredire a oggetto reale. Nelle anoressie e bulimie la pulsione orale è
diventata veicolo privilegiato di un dissenso nuovo con l’Ideale.
Lacan ci insegna a leggere ogni disturbo come modo di rapportarsi con
l’Altro simbolico. Qual è l’Altro dell’anoressia e bulimia? Francesconi in
questo testo mette in risalto come questo Altro sia un “Altro divorante”
che emerge con una consistenza nuova a partire dai moderni disagi
dell’oralità. Nel fenomeno anoressico e bulimico non reperiamo un
appello al padre ma piuttosto una sfida a un padre che non ha niente
da offrire, che può solo assistere al corpo che va alla deriva di un godi-
mento fuori dalla sua legislazione. Nella bulimia la sfida si traduce nello
spettacolo offerto di un corpo degradato a sacco, a pattumiera colma di
cibo. Nell’anoressia la sfida si traduce nella presentazione di un corpo
ridotto a sacco vuoto, a ideale cadaverico.
Una delle funzioni determinanti del Padre simbolico è quella di addo-
mesticare l’Altro materno, di introdurre una legge nel suo desiderio.
L’Altro materno, che il bambino elegge a supporto dei propri oggetti
pulsionali, viene trasformato dal Padre in Altro castrato, mancante del
fallo e orientato a cercarlo nel Padre. Il Padre separa il bambino dall’Al-
tro pulsionale e fa di questo un Altro desiderante il fallo. Rotto il patto
con l’Altro paterno, in conseguenza anche della caduta ideale del Padre
come testimonia il nostro moderno disagio della civiltà, l’anoressia e la
bulimia installano al suo posto l’Altro materno nella forma dell’Altro
divorante. Un Altro che non fornisce più identificazioni. Ciò che non
è simbolizzabile della pulsione orale fornisce il supporto a un modo di
essere non più inquadrato da un’identificazione ideale, ma ridotto a
un modo di godimento. L’obiezione radicale al patto con l’Altro, nelle
patologie da disfunzione della pulsione orale, comporta due possibilità:
94 | attualità lacaniana n. 12/2010
30. J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’ individuo, 1938, Seuil, Paris 2001.
31. Ibidem.
96 | attualità lacaniana n. 12/2010
32. J. Lacan, “La significazione del fallo” (1966), in Scritti, Einaudi, Torino 2002, vol. II.
98 | attualità lacaniana n. 12/2010
33. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere” (1958), in Scritti, cit., vol. II,
p. 623.
34. Ibidem, p. 623.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 99
Addormenta il gioco nella presa orale. Soffoca ciò che riguarda la relazio-
ne fondamentalmente simbolica. […]. È così che l’oralità diventa ciò che.
Essendo una modalità istintuale della fame, è portatrice di una libido con-
servatrice del corpo proprio, ma non è solo questo. […]. È libido in senso
proprio e libido sessuale. […]. Dal momento che entra nella dialettica della
frustrazione […] l’oggetto reale non ha alcun bisogno di essere specificato.
Anche se non è il seno della madre, non per questo perderà il valore del
suo posto nella dialettica sessuale da cui dipende l’erotizzazione della zona
orale. Non è l’oggetto a svolgere il ruolo essenziale, ma il fatto che l’attività
ha preso una funzione erotizzata sul piano del desiderio, il quale si articola
nell’ordine simbolico 35.
35. J. Lacan, Il Seminario, Libro IV, La relazione d’oggetto, 1956-1957, cit., pp. 197-199.
36. Ibidem, p. 199.
37. Ibidem.
38. Ibidem.
100 | attualità lacaniana n. 12/2010
soddisfare, dia non quello che ha ma quello che non ha, è quel niente
di soddisfazione in cui il soggetto può rinvenire la marca dell’amore.
L’oggetto si trasforma non appena diviene segno nell’esigenza d’amore.
È proprio questa attività a giocare un ruolo determinante. L’attività di
suzione diviene un’attività simbolica, attività che ha preso una funzione
erotizzata sul piano del desiderio, che si ordina nell’ordine simbolico.
Questa supremazia dell’attività sull’oggetto arriva ad annullare l’oggetto
nel registro del reale, che diventa “niente da mangiare”. Questo niente
esiste, come abbiamo visto, sul piano simbolico. Mangiare niente è
diverso da una negazione di attività, niente è al fondo di ogni doman-
da d’amore con cui il bambino rovescia la relazione di dipendenza; la
madre ora dipende dal suo desiderio per lui. Il “niente” dell’anoressia
ha un valore simbolico. Questo è ribadito da Lacan anche quando parla
del piccolo Hans. Lacan fa un confronto tra la paura relativa all’assenza
paterna e il niente dell’anoressia. Afferma che questa assenza va intesa
come il “niente” in gioco nell’anoressia.
Ne “La direzione della cura e i principi del suo potere” Lacan assume
l’anoressia come esempio dell’irriducibilità strutturale del desiderio al
registro del bisogno. La manovra in atto nel rifiuto anoressico del cibo
portato alle estreme conseguenze del rischio di morte viene intesa da
Lacan come operazione attiva del soggetto per mantenersi vivo presso
l’Altro come soggetto desiderante, anche a rischio della propria morte
come organismo affetto dai bisogni: “La soddisfazione del bisogno
appare come l’illusione in cui la domanda d’amore va a schiantarsi […].
Perché l’essere del linguaggio è il non essere degli oggetti” 41.
L’anoressia mette in rilievo una confusione fondamentale in atto presso
l’Altro genitoriale che soggetto punta inconsciamente a smascherare e
correggere. “Ma il bambino non si addormenta sempre così nel seno
dell’essere, soprattutto se l’Altro, […] al posto di ciò che non ha lo rim-
pinza della pappa asfissiante di ciò che ha, cioè confonde le sue cure
con il dono del suo amore” 42 .
I genitori rispondono al soggetto somministrandogli accuratamente le
cure e gli oggetti del bisogno, ma restano ciechi davanti alla doman-
da fondamentale che anima il suo desiderio che è domanda d’amore.
Domanda di un dono che non sia oggetto di soddisfacimento ma segno
dell’amore dell’Altro per il soggetto. Lacan mette in risalto il rapporto
stretto che l’anoressica tesse tra il desiderio e il rifiuto: “È il bambino
nutrito con più amore a rifiutare il nutrimento e orchestrare il suo
rifiuto come un desiderio” 43. È dunque attraverso il rifiuto anoressico
che il desiderio può sopravvivere all’attentato della domanda dell’Altro.
Perché ci sia segno d’amore occorre che l’Altro non riempia il soggetto
somministrandogli la “pappa asfissiante” di ciò che ha, ma piuttosto
gli offra ciò che non ha, la propria mancanza, cioè il proprio amore.
In questa prospettiva l’anoressica orchestra “il suo rifiuto come un
desiderio”, ossia fa funzionare il rifiuto come una domanda inconscia e
41. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere” (1958), in Scritti, cit., p. 623.
42. Ibidem, pag. 623.
43. Ibidem, pag. 624.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 103
“dire niente e dire troppo”. Così la bulimia di Clia è legata alla parola
di sua madre e di suo padre mettendo l’accento sul fatto che lei non ha
niente da dire sul loro conto; e, afferma Pierre Naveau, sta proprio qui
il nodo della questione.
In Lacan il riferimento all’anoressia passa anche attraverso la pulsione
orale. Negli Scritti 48 Lacan propone l’esempio del paziente di Kris e
dell’interpretazione di quest’ultimo. Proprio in seguito alla sua interpre-
tazione “Non rubi niente” la pulsione orale emerge nell’acting out delle
“cervella fresche”. Sempre negli Scritti, Lacan afferma: “Ciò che impor-
ta non è il fatto che il suo paziente non ruba, ma che non… Nessun
non: che egli ruba niente. […] ciò che gli fa credere di rubare […] che
possa venirgli in mente un’idea sua” 49.
Secondo Lacan ciò che veramente interessa al paziente è di continuare
a mantenere il niente su cui vive l’idea come puntualizza E. Laurent 50
nel suo articolo sull’anoressia. Questo niente su cui vive l’idea altro non
è che il posto del desiderio. Lacan aggiunge “Lei Kris tratta il paziente
come un ossessionato, ma lui Le tende la mano col suo fantasma di
commestibile: per darLe l’occasione di avere un quarto d’ora di anticipo
sulla nosologia della sua epoca con la diagnosi: Anoressia Mentale” 51.
Dewanbrechies-La Sagna 52 osserva che è molto interessante che il caso
elevato da Lacan alla dignità di “anoressia mentale”, come “avversio-
ne del paziente per ciò che egli pensa”, sia un uomo. Ciò permette
di collocare l’anoressia come un rifiuto, non della femminilità, come
comunemente si dice, ma come “un rifiuto simbolicamente motivato”
del “desiderio di cui vive l’idea” 53, cioè come un rifiuto del desiderio.
Dewanbrechies-La Sagna afferma che la sua paziente, Catherine, non
48. J. Lacan, “Risposta al commento di Jean Hyppolite”, in Scritti, cit., vol. I, p. 389.
49. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti, cit., p. 595.
50. E. Laurent, “Sull’anoressia”, in La Psicoanalisi, n. 15, 1994, Astrolabio, Roma.
51. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti, cit., pag. 596.
52. C. Dewambrechies- La Sagna, “Un caso di tossicomania del niente”, in La Psicoanalisi, n.
22, Astrolabio, 1997, Roma.
53. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti, cit., p. 596.
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 105
54. C. Dewambrechies-P. Lasagna, “Les anorexiques ont-elles une mère?”, in La Cause freudien-
ne, n. 68, Navarin.
55. J. Lacan, Il Seminario, Libro VIII, Il Transfert, 1960-1961, Einaudi, Torino 2006.
106 | attualità lacaniana n. 12/2010
56. C. Dewanbrechies-La Sagna, “Les anorexiques ont-elles une mère?”, cit., p. 239, (traduzione
nostra).
57. Ibidem, p. 255, (traduzione nostra).
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 107
reale come poppata che si stacca sia dall’Altro che ne è a sua volta priva-
to, sia dal soggetto grazie all’intervento del Nome-del-Padre.
Questa privazione può soddisfarsi nell’oggetto “niente”. Il mangiare
niente del bambino anoressico mostra l’irriducibilità dell’oggetto a al
campo del significante, incarnato da un godimento invisibile e innomi-
nabile se non attraverso il significante “niente”.
Lacan espone l’operazione compiuta dal bambino anoressico rispetto al
niente come oggetto a nel tempo logico della separazione. Dinanzi alla
perdita dell’oggetto orale per l’effetto dello svezzamento e all’apertura al
piano strutturale della castrazione −, l’operazione anoressica consiste
in una manovra antiseparativa in cui, attraverso il rifiuto di mangiare
cibo, l’oggetto niente viene trattenuto nella bocca vuota e positivizzato
come godimento reale in atto. Il soggetto anoressico non si separa fino
in fondo dall’oggetto niente, trattenendo il godimento primario nella
bocca. Volendosi sottrarre agli effetti dell’alienazione significante sul
godimento che abita il corpo pulsionale, pur di trattenere il pieno godi-
mento dell’oggetto primario del soddisfacimento, l’anoressica perde così
la possibilità di un recupero di godimento a livello della fallicizzazione
del corpo pulsionale come corpo iscritto nella dialettica del desiderio e
nella significazione fallica.
L’isterica afferma la privazione dell’oggetto, ne produce la caduta per
mantenere la presenza di un puro soggetto del desiderio, perché sussista
sulla scena, come vero protagonista, il desiderio insoddisfatto. L’anores-
sia appare, in questo contesto, come dimostrazione di quella parte di sé
che l’articolazione significante non può esplicitare. L’anoressia diventa
allora una via di radicalizzazione della posizione isterica. L’anoressica
però, che pure parte come l’isterica, per salvaguardare il desiderio, ne
perde in realtà l’accesso. Il suo desiderio appare deificato, schiacciato
di fronte al godimento. Di qui gli effetti di ricaduta nel reale del suo
corpo: amenorrea nella donna, riduzione al minimo delle forme sessuali
del corpo, prevalere di una forma entropica e inerziale del desiderio
primario che Lacan chiama ne I Complessi familiari “desiderio della
Edy Marruchi | Oralità e disturbi alimentari in psicoanalisi | 109
60. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964, cit..
110 | attualità lacaniana n. 12/2010
A partire dal titolo del Convegno “Dalla parte dell’ inconscio”, l’autore del testo
pone due questioni: qual è la parte dell’ inconscio quando il soggetto stesso è fatto
di più parti? Quale ruolo gioca la verità inconscia nel mostrare il reale della par-
tizione del soggetto?
la divisione
* Fabio Galimberti è iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine degli Psicologi della
Regione Lombardia; è Membro della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freudiano
per la clinica, la terapia e la scienza.
1. S. Freud, Sulla più comune degradazione della vita amorosa, in Opere, Bollati Boringhieri,
Torino 1994, vol. VI, p. 427.
Fabio Galimberti | Dalla divisione alla scissione | 115
la spaltung
Lacan ha riletto la frattura libidica nelle due correnti nei termini della
divergenza tra desiderio e domanda. E riteneva che la loro scissione non
fosse ricomponibile. Per parlarne ha spesso fatto riferimento all’articolo
“La scissione dell’Io nel processo di difesa” che ha sempre visto come
il lascito testamentario di Freud. Ogni volta che lo cita aggiunge che
Freud l’ha scritto appena prima che la penna gli cadesse di mano. In
effetti è una nota del 1938, incompleta, che è stata pubblicata soltan-
to postuma. Ma perché Lacan dà tanta importanza a questo testo? Lì
Freud avanza l’idea che in un soggetto possano coesistere due atteggia-
menti contrapposti di fronte alla scoperta capitale della vita soggettiva:
la castrazione. Non si tratta di due reazioni sentimentali differenti, non
si tratta dell’ambivalenza affettiva. È un’ovvietà analitica e non solo
analitica che un soggetto possa provare sentimenti contrastanti di fron-
te ad una stessa esperienza. Qui si tratta di due giudizi diversi, di un
“sì” e di un “no” detti alla castrazione, che sono pronunciati dallo stesso
soggetto. “Come è possibile?” domanda Freud. È possibile – risponde –
solo a condizione che l’Io si scinda. Si scinda in un Io che riconosce la
castrazione e in un Io che la rifiuta. Così – scrive – le “due impostazioni
coesistono per tutta la vita una accanto all’altra, senza mai influenzarsi
a vicenda” 2. È questo “senza mai influenzarsi a vicenda” che è cruciale.
Perché la conseguenza è che la scissione, la Spaltung, rimarrà definitiva
e che davvero uno stesso soggetto conterrà in sé due Io: è – dice Freud –
“una lacerazione che non si cicatrizzerà mai più”. L’Io stesso è spaccato,
tagliato in due. Ma questa non è forse la condizione della psicosi e più
esattamente di quella schizofrenica? Freud lo riconosce, ma è costretto
ad ammettere, con la sua caratteristica sottomissione ai dati della clini-
ca, che questa condizione vale anche per la nevrosi. Che cosa distingue
allora la scissione dell’Io nell’uno e nell’altro caso?
la stoffa dell’io
Per rispondere torniamo alla descrizione freudiana dei due Io. Uno,
quello che riconosce la castrazione e sottosta alla minaccia superegoi-
ca, rinuncia alla soddisfazione. In termini lacaniani si colloca dal lato
del desiderio contro il godimento. È il soggetto articolato nella catena
significante che cercherà di ritrovarsi nel campo dell’Altro. Con tutte
le vicissitudini e le impasses che questo comporta. L’altro Io, quello
che rinnega la castrazione, non rinuncia alla soddisfazione pulsionale e
gode. Sceglie il godimento contro il desiderio. Ha trovato l’oggetto del
suo soddisfacimento perché – scrive Freud – “come sostituto al pene
che manca alla donna si è creato un feticcio” 3. Ha trovato l’oggetto a.
Dunque, con la scissione dell’Io, abbiamo da una parte il soggetto bar-
rato ( ) e dall’altra l’oggetto a. Già in questa riformulazione tramite
i matemi lacaniani risulta evidente che la nevrosi si differenzia dalla
psicosi perché articola ed a nel fantasma. La scissione dell’Io non è
superata nemmeno nella nevrosi, ma è affrontata con lo strumento del
fantasma. Il fantasma è il modo in cui il soggetto cerca di ricomporre la
frattura dell’Io. È per questo che Lacan lo definisce “la stoffa dell’Io”. È
la stoffa con cui il soggetto cerca di rammendare lo strappo originario.
presenza
3. S. Freud, La scissione dell’Io nel processo di difesa, in Opere, cit., vol. XI, p. 559.
Fabio Galimberti | Dalla divisione alla scissione | 117
ubiquità
4. J. Lacan, “Discorso sulla causalità psichica”, in Scritti, Einaudi, Torino 1994, p. 170.
5. J.-A. Miller, “Sintomo e fantasma”, in Logiche della vita amorosa, Astrolabio, Roma 1997, p. 108.
118 | attualità lacaniana n. 12/2010
Allora non sapevo ancora che cosa è la vastità, eppure lo intuivo: il poter
contenere in sé moltissime cose, anche tra loro contraddittorie, sapere che
tutto ciò che sembra inconciliabile sussiste tuttavia in un suo ambito, e
questo sentirlo senza perdersi nella paura, e anzi sapendo che bisogna chia-
marlo col suo nome e meditarci sopra: ecco la cosa che […] è la vera gloria
della natura umana 6.
l’amore… l’analizzante…
un lavoro d’amore
di Alide Tassinari *
La questione dei rapporti tra i sessi nasce a partire da un apparire. I due sessi bio-
logici sono iscritti nel registro del sembiante: l’uno appare come un uomo, l’altra
come una donna. Gli esseri umani, in quanto parlanti, hanno a che fare con la
mancanza strutturale ad essere.
* Alide Tassinari è iscritta all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine degli Psicologi della Regio-
ne Emilia Romagna; è Membro della SLP e Membro dell’AMP, lavora a Cesena.
1. J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, 1972-1973, Einaudi, Torino 1983, p. 94.
2. J.-A. Miller, “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 14, Astrolabio, Roma 1987,
p. 133.
quello dell’avere in quando ha, per dirsi tale, un figlio. Dal punto di
vista della psicologia, i tratti psicologici attribuiti alle donne, che fanno
parte della loro identità, possono essere indifferentemente l’uno e il con-
trario dell’altro: la strega, la fata, la borghese, la passionaria; c’è per le
donne nel simbolico la possibilità di una congiunzione tra gli opposti;
al contrario, per gli uomini, c’è la tendenza alla disgiunzione, che sot-
tende una certa omologazione che porta ad avere un tratto o l’altro. Un
modo questo di rivestire la tendenza all’ideale propria dell’uomo.
Una donna può avere un utilizzo dei semblant molto più libero, perché
pur servendosene non ci crede fino in fondo, rimane sempre un po’
più soggetto. Soggetta a ciò che è sconosciuto a lei stessa, non avendo
nessun significante che la dica tutta. Il posto vuoto, la barra sul grande
Altro la interroga e la mette nella condizione di una ricerca di potersi
dire, dirsi tutta. Per l’isterica questo sapere che non c’è è collocato
nell’altra donna; per una donna che abbia trovato un certo saperci fare
con la mancanza, ciò viene a collocarsi nell’altra che lei è per se stessa. È
qui che si colloca l’amore, l’amore per una donna nell’incontro con l’Al-
tro, pur incontrando un altro; tentativo non mai riuscito di far esistere
la possibilità di un rapporto impossibile tra i sessi.
Nel suo incontro con un altro che ama, lei deve poter rivestire la posi-
zione di oggetto del desiderio. Non è una posizione facile perché per
una donna il sesso, paradossalmente anche nella nostra società così
liberata dalla sessuofobia e con una spinta al godimento ad ogni costo,
non è di facile approccio. Lei che è il sesso per antonomasia, lei che non
è un secondo sesso ma il sesso, a lei servono le parole, la significazione
dell’amore per poter accedere a quella posizione che la metta nella con-
dizione di godere fallicamente e di accedere al godimento femminile, a
quel sovrappiù che le viene anche se non sa dirne.
L’amore come supplenza mai del tutto compiuta la espone all’incontro
con il sesso, l’altro da sé ma anche l’Altra che lei rappresenta per se stes-
sa. È questo incontro che Cinzia rifiuta. Cinzia soffre di una gelosia che
non la lascia vivere: è gelosa dell’uomo che ora sta con lei, è convinta
Alide Tassinari | L’amore… l’analizzante… un lavoro d’amore | 125
contro ogni evidenza che lui la tradisce con un’altra. Nel labirinto costi-
tuito dalla sua vita amorosa questo è la prima volta che è gelosa di un
uomo, prima erano gli uomini che ha avuto ad essere gelosi di lei. Rac-
conta che dopo tre gravidanze il suo seno, in seguito all’allattamento,
era sparito; il secondo marito Luigi, padre della sua terza figlia, non la
cercava sessualmente da anni ma era un marito responsabile e un padre
affettuoso, al contrario del primo marito che era brutale. Chiede alla
chirurgia estetica per avere ciò che le manca: un bel seno così da piacer-
si un po’ di più. Luigi è contrario ma alla fine accetta. Nella loro quoti-
dianità lui andava frettolosamente al lavoro, ma dopo l’operazione, ogni
giorno prima di uscire le dava castamente un bacio su ogni seno fino a
che una mattina, vedendola a seno nudo, è preso dal desiderio ma lei lo
rifiuta. Dopo poco tempo lo lascia. In seduta esclama: Di questo seno
nuovo lui non ha goduto, era il seno non me che desiderava.
Le donne vivono la mancanza di significazione del chi è una donna, una
donna oscilla come una funambola sul filo teso sopra al vuoto scavato
tra lei e l’altra se stessa che incontra nel godimento così detto femmini-
le, di cui non sa e non può dire, anche se con l’apporto dell’amore sup-
posto a un uomo, che fa da relais, ritrova nella contiguità del suo corpo
ciò che le mistiche hanno trovato in rapporto all’Altro esistente come
essenza. Se l’amore non ha oggetto, ognuno dei partner nell’amore dona
ciò che non ha proprio perché mira all’essere, all’essere dell’altro.
Nel farsi semblant di oggetto di un uomo, una donna domanda amore
e, nello stesso tempo, chiede che non sia solo l’oggetto a rispondere. Nel
trasporto amoroso, si fa oggetto del desiderio dell’altro. Si fa oggetto
senza crederci troppo, senza identificarvisi e ritrova in questa operazio-
ne la possibilità di un incontro con l’Altro godimento e con l’Altra da se
stessa. Incontro in cui il rapimento, il ravage silenzioso della pulsione di
morte e della sparizione del soggetto rimandano ad Altro ancora.
C’è in una donna il far semblant d’oggetto. Lei è l’oggetto per lui ma
senza crederci troppo, si riveste dell’oggetto. In questo sta la dissimme-
tria dei sessi. Le donne amano l’amore, sono affette dal narcisismo del
126 | attualità lacaniana n. 12/2010
narcisismo, amano essere amate si, ma per loro stesse! Una donna vuole
essere amata per se stessa in quanto una, diversa da ogni altra e non per
ciò che ha e ciò che mostra. Anche se ha molto e mostra di avere molto.
Il legame d’amore si crea, nonostante i paradossi, le ambiguità, le con-
traddizioni che ognuno dei partner rappresenta. Un legame tra i part-
ner si realizza nel percorso accidentato dell’amore, tramite la disidenti-
ficazione dall’oggetto e accettare di occupare la posizione di sembiante.
La relazione amorosa è la traccia del modo con cui ognuno testimonia di
come, attraverso il sintomo e l’amore, ha dato risposta al non c’è rapporto
sessuale. L’amore è dare ciò che manca e ciò che manca deriva dal proprio
rapporto con la castrazione simbolica, per l’uno e per l’Altro sesso. È sulla
traccia dell’esilio che si innesta la parola d’amore, la poesia, la lettera.
La posizione femminile divisione tra il riferimento al godimento fallico,
proprio del campo della significazione e quindi fuori corpo, e il godi-
mento Altro, illimitato, supplementare che è del corpo, non legato ad
alcun sembiante, vale a dire non causato da un oggetto. Doppia divisio-
ne: come soggetto in quanto essere parlante e come l’Altro che ha a che
fare con un godimento fuori senso.
Fra l’uomo e la donna il muro che conviene è quello che trasformato
dalle parole diviene amore. Ma spesso è lei che ama, l’amore per un
uomo è solo abbozzato, è ingombrato da ciò che ha. Solo se è un poeta,
può avvicinarsi all’amore perché come lo apostrofa Lou Andreas Salomè
è femmina. L’amore è un lavoro d’amore per superare la fondamentale
dissimmetria che è una dissimmetria dei godimenti ma è responsabilità
di ogni soggetto dove collocarsi al di là degli attributi che si hanno.
L’analisi portata al suo estremo limite testimonia sostanzialmente di
questo impossibile a dirsi. Il lavoro analitico come partitura musicale
che l’analizzante cerca incessantemente di completare perché manca
un accordo, una frase musicale che se ci fosse la completerebbe. È la
frase mancante che cerca ininterrottamente fino a che si rende conto
che manca strutturalmente! L’analizzante così da amato può accedere,
grazie al Desiderio dell’Analista, alla funzione dell’amante.
127
In questo testo l’autore ci conduce nella questione del “ familiare” così come Lacan
l’ ha elaborata in quanto luogo di iscrizione del soggetto in relazione con un Altro
che lo ha preceduto. Diversamente dalle teorie dell’attaccamento e dal considerare
il familiare come “ impronta naturale”, l’autore richiama il neologismo lalingua.
Attraverso di esso Lacan designa la traccia che la parola lascia nell’ inconscio nella
nostra relazione originaria con il “ lessico familiare” in quanto separata dalla
struttura del linguaggio e della comunicazione.
* Vicente Palomera, A.E., membro ELP, AME. Dottorato di Psicoanalisi all’Università di Parigi
VIII, Docente della Sezione Clinica di Barcellona.
1. J. Lacan, “Conférences Américaines”, in Scilicet, Seuil, Paris 1976, n. 6/7, p. 44. “L’analysant
(si l’analyse, ça fonctionne, ça avance) en vient à parler d’une façon de plus en plus centrée, cen-
trée sur quelque chose qui depuis toujours s’oppose à la polis (au sens de cité), c’est à savoir sur sa
famille particulière. L’inertie qui fait qu’un sujet ne parle que de papa ou de maman est quand
même une curieuse affaire. A dire n’importe quoi, il est curieux que cette pente se suive, que ça
fasse, ça finisse par faire comme l’eau, par faire rivière, rivière de retour à ce par quoi ont tient à
sa famille, c’est à dire par l’enfance”.
Questo “curioso tema” cui allude Lacan rimanda al fatto che l’analiz-
zante, parlando di una famiglia particolare, parla fondamentalmente
del luogo d’iscrizione delle origini della sua vita in una storia, cioè,
della sua esistenza soggettiva legata a un Altro che lo precede. In questo
modo uno entra sempre nell’esperienza dell’inconscio, si analizza come
figlio, non come padre.
L’inerzia che fa sì che un soggetto non faccia che parlare di papà e
mamma non è condizionata, come sostenne uno psicoanalista, da un
attaccamento che fissa i vincoli che uniscono le successive generazioni
in tutte le specie animali, in particolar modo nei mammiferi, un attac-
camento che dovrebbe stare alla base del rapporto tra i membri della
famiglia umana. Questa teoria dell’attaccamento, molto diffusa tra gli
etologi, cercava di capire come hanno inizio le condotte programmate
nella famiglia naturale cortocircuitando il sapere inconscio, un sapere
strettamente annodato con il materiale del linguaggio.
Se ciò che interessa è capire come si iscrive e si colloca nella famiglia
particolare di ciascuno questa struttura dell’inconscio, niente di meglio,
in questa bella città di Torino, che evocare il libro di Natalia Ginzburg,
Lessico famigliare, nel quale si mostra come si inscrive l’essere parlante
nella trama famigliare e come si trasmette nell’inconscio come vocabo-
lario. Lei lo chiamò “lessico famigliare”.
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno
all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo
essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una
parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite
e ripetute infinite volte nella nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo
venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”,
per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e
giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di
quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli,
nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro
Vicente Palomera | Lessico famigliare e inconscio | 129
restava come ritaglio di quel verso era tetable. Ciò che si isolava – in
quello che udiva – era la e della te de petitetable. 6 “La sillaba te – conti-
nua Leiris – cominciò a prendere consistenza attaccandosi al sostantivo
table: essa aveva cambiato la nostra tavola (table) in tetable o in totable”. 7
Leiris spiega poi come tetable o totable sarebbe diventato per lui un nome
per battezzare qualunque oggetto: una stalla, un quadro, un totem, un
lavandino in cui usciva acqua potabile, ecc., ecc., cioè tutte le vocali che
gli venivano in testa in quel momento per etichettare qualcosa di indefi-
nito o del quale l’unica cosa che sapeva era che era un oggetto 8.
Lalingua è qualcosa che si costruisce come il tetable di Leiris, cioè come
qualcosa che è il risultato degli equivoci prodotti dal linguaggio. Lalingua
è in definitiva la parola quando è separata dalla struttura del linguaggio
e della comunicazione, è un termine che serve a designare ciò che rimane
in ciascuno di noi, della nostra relazione con la lingua materna, nell’età
in cui non sappiamo ancora né leggere, né scrivere, quando ci troviamo,
in modo specifico, confrontati con quella dimensione di equivoci propria
del linguaggio. Diciamo che i significanti de lalingua si forgiano a partire
da vincoli che non rispondono all’ordine del lessico. Lalingua è un effetto
degli imbrogli e delle trame delle assonanze, dei tagli singolari, dove la
frase più banale può trasformarsi nella cosa più oscura. 9
Lacan presenta in questo modo l’inconscio come un sapere indelebile
depositato ne lalingua, un sapere che si presenta come un’impronta,
un’iscrizione, una traccia, una scrittura di ciò che fu la nostra relazione
originaria con il “lessico famigliare”. Tuttavia, cosa fa che questo si fissi
ed eternizzi in modo indelebile, cosa fa che, come scrive acutamente
Natalia Ginzburg, “sopravviva nei suoi testi, salvati dalla furia delle
acque e dalla corrosione del tempo” 10?
11. J. Lacan, Le Séminaire. Livre XXI, Le non-dupes errent, 1973-1974, inedito, lezione del 12
febbraio 1974.
132 | attualità lacaniana n. 12/2010
nel sapere che concerne il godimento, con questo fuori senso nel sapere,
rivelato in qualche modo nel momento stesso in cui sorge il godimento.
Lacan definisce come reale questa assenza di rapporto sessuale, questo
buco nel sapere. Ecco la cosa traumatica, il buco (trou) nel sapere, ragio-
ne per cui Lacan trasforma il traumatismo in troumatisme.
Questo è il nuovo modo di pensare l’inconscio che Lacan ci propone:
l’inconscio è fatto de lalingua, è costituito da una serie di significanti
isolati che fissano punte di godimento, con la particolarità che non pro-
ducono significazione e rimangono incomprensibili al soggetto.
Questo sapere inconscio che è giunto a depositarsi nel lessico famigliare,
ne lalingua, come un tratto, una scrittura, è un sapere per il quale non
c’è “nessun soggetto che lo sappia”. È un sapere indelebile, dice Lacan
e, allo stesso tempo, non soggettivato. Detto altrimenti: a proposito di
ciò che lo concerne in quanto ha di più intimo, il soggetto non può dire
nulla. È un sapere che rimane in attesa, che, da questo punto di vista,
ha la stessa struttura di un fenomeno elementare. L’inconscio parla
piuttosto con un “semi-dire” enigmatico, un dire a metà che introduce
qualcosa di discordante nella famiglia.
La famiglia che il nevrotico porta nel suo inconscio, il suo “lessico
famigliare”, è una specie di famiglia-fiction (Lacan la chiamò “mito
individuale”). Questa famiglia che si inventa con l’intreccio tra il Sim-
bolico e l’Immaginario, come la trama di un fantasma, serve per dare
supporto e schermo al reale indicibile de lalangue, reale che fa buco nel
sapere ed è la “maledizione sul sesso” inerente alla sessualità umana. A
questo punto, la cosa straordinaria è che Lacan arrivi a indicare che la
“produzione di un corpo nuovo di parlante è l’effetto della trasmissione
di un malinteso” e che “il corpo non fa la sua apparizione nel reale se
non malinteso”. 12
Quindi, contro la idea di Rank del trauma della nascita, Lacan preci-
sa che “essere umano vuol dire nascere malinteso”. Leggiamo meglio
12. J. Lacan, “Le malentendu”, (10 giugno 1980), in Ornicar? nn. 22/23, 1981.
Vicente Palomera | Lessico famigliare e inconscio | 133
quello che ha detto: “Non dico che il verbo è creatore, dico che il verbo
è inconscio, ovvero, malinteso” e aggiunge: “La prodezza della psico-
analisi è sfruttare il malinteso con, alla fine, una rivelazione che è di
fantasma”. Farsi umano è allora “nascere malinteso” 13.
Poi, senza soluzione di continuità, Lacan prosegue:
13. Ibidem.
14. Ibidem.
134 | attualità lacaniana n. 12/2010
che c’è è il malinteso, ed è il malinteso che fa sì che gli uni e gli altri
continuino ancora a parlare, insieme, ma separati nel loro dire.
E l’amore che ruolo ha in tutto ciò? È fondamentale, l’amore è proprio
ciò che può fare in modo che tutto questo sia sopportabile.
* Raffaele Calabria è iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine degli Psicologi della
Regione Emilia Romagna; è Membro della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freu-
diano per la clinica, la terapia e la scienza.
1. J. Cazotte , Il diavolo innamorato, Donzelli Editore, Roma 2005.
… tanto ti frego.
Già, lo guardavo a vista, lo tenevo sotto mira ben attento a fregarlo ad ogni
occasione propizia. Non poteva sgarrare, non doveva cedere sulla decisione
iniziale; tutto doveva procedere con una perfezione irreprensibile.
Raffaele Calabria | Il “che vuoi?” nella mia analisi | 137
Da dove proveniva la mia certezza su ciò che lui voleva? Credo di non
sbagliare se faccio risalire il tutto alla mia credenza di certezza sul desi-
derio di mia madre. Questa me lo aveva fatto intendere in tutti i modi
che io, il secondo di tre figli, ero quello prediletto, il suo bambino, il suo
amore da mangiare, il predestinato alla fama e alla gloria della famiglia.
Eppure, l’avevo tradita per ben due volte: dapprima non seguendo le
orme di mio zio arcivescovo (di cui porto scolpite le insegne di nomina-
zione), poi non diventando quel medico che tanto l’avrebbe inorgoglita.
Dunque, l’affidarmi al mio analista nascondeva una feroce trappola,
l’avrei tradito al primo passo falso, rivelando così a me stesso il para-
dosso della mia domanda isterica: so che voglio guarire, ma quello che
tu (analista) non sai è che incomprensibilmente e colpevolmente non
voglio guarire. In questo modo avrei reso vano ogni desiderio su di me,
mantenendo intatta la mia condizione nevrotica: trastullo per l’Altro,
reso però insoddisfatto attraverso i miei inganni seduttivi e tradimenti.
Era questo il nocciolo della mia certezza, rendere vano ogni tentativo
dell’Altro, tentativo che io stesso avevo alimentato.
che vuoi?
di più intenso e profondo io abbia mai provato. Negli anni ero diven-
tato persino uguale in tutto e per tutto a lui. Ricordo che mia sorella,
tempo fa, rimase inorridita e spaventata da quanto avessi fatto proprie le
sembianze di nostro padre!
Durante il lento e faticoso scardinamento di questa impalcatura identi-
ficatoria scopro finalmente la mia posizione nei suoi confronti e il lega-
me amoroso che tanto mi aveva tenuto stretto a lui. Ed è in coincidenza
di questa scoperta che diabolicamente mi si affaccia, come un lampo
a ciel sereno e in una formulazione e tonalità tutta nuova, il Che vuoi?
così tanto segretamente agognato in analisi.
che voglio?
Viene avanzata l’ ipotesi che si possa andare oltre l’affermazione di Freud secondo
la quale della tecnica di una cura possiamo dire solo le mosse di partenza e di
conclusione, come per una partita di scacchi. L’ introduzione della categoria del
Reale da parte di Lacan ci permette di isolare oltre all’ inizio e alla fine, delle
scansioni interne al processo della cura. Queste scansioni si possono sintetizzare
in quello che Lacan definisce atto analitico. Esso è l’evento di un cambiamento
soggettivo, legato al prodursi di una sincronia che taglia la durata della cura
come effetto di reale. Il taglio sincronico trasforma il tempo-durata in uno spazio
topologico che permette di scrivere degli eventi della cura: interruzioni, scansioni
del discorso, cicli. Questi eventi toccano la forma del godimento e quindi della
vita come rapporto con il corpo.
cioè quello di un reale che ne può causare l’arresto. Per questo egli fece
l’ipotesi che vi fosse una simmetria con il momento di avvio.
Egli, quindi, considerò le cure freudiane prendendole nel loro versante
“indifferenziato”, senza però adottare un metodo sociologico, nello
stile, ad esempio, di una ricerca fatta da C. Viviani nel 1975 sul “vis-
suto” e sui “perché” di ventotto interruzioni di analisi 2, ma secondo i
modi di una corretta ricerca clinica, che va al di là delle idee ricevute 3.
Per questo egli scelse di accostare le scansioni temporali, inizio e arre-
sto, a quella della “congiuntura di scatenamento” della psicosi.
Analizzando la struttura della psicosi nel seminario terzo, Lacan intro-
dusse nella clinica psicoanalitica la dimensione logica del tempo, sov-
vertendo la logica nosografica dello “sguardo clinico”. Si tratta di un
punto cruciale della ricerca di quella “causalità psichica”, che guida il
ritorno a Freud di J. Lacan, perché a questo punto lo psichico si libera
da ogni riferimento fenomenologico alla comprensione, per accogliere
l’indeterminismo che connota la causalità soggettiva.
Nell’incontro precedente del nostro Seminario, E. Laurent ha svilup-
pata in modo dettagliato questa congiuntura, attraverso il quadrato 4
che mostra l’articolazione tra simbolico e immaginario, la dialettica
in
io
co
laz
ns
re
cio
(io) ltro
Carlo Viganò | Il tempo nella cura | 145
5. J. Lacan, Il Seminario, Libro X, L’angoscia, 1962-1963, Einaudi, Torino 2007, p. 284.
146 | attualità lacaniana n. 12/2010
6. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti, Einaudi, Torino 1974,
p. 585.
7. Questo era il programma scientifico che Lacan propose nella conferenza “Il Simbolico, l’im-
maginario e il reale” tenuta nel 1953, quando uscì con molti altri dalla Societé Psychanalitique
de Paris.
8. L’indistinzione tra politica e strategia ha permesso di pensare a politiche, del tutto imma-
ginarie, per trattare il sintomo attraverso una sua delimitazione “focale”, dette “analisi breve”.
Mi sembra più chiara la logica di chi afferma di limitarsi alla strategia per definire il limite
temporale di una cura e rinuncia alla politica analitica del sintomo, come fa Nardone con la sua
“psicoterapia strategica breve”.
Carlo Viganò | Il tempo nella cura | 147
il rovesciamento
R S
9. Così J.-A. Miller intitola la seconda parte del seminario diciassettesimo dove Lacan formula
il discorso dell’analista come il punto di ancoraggio al reale del soggetto che potrebbe sganciare il
discorso dal primato del simbolico. Introduce cioè il soggetto dell’inconscio in una logica intui-
zionista che colloca il soggetto della scienza (discorso del padrone) come il suo rovescio.
148 | attualità lacaniana n. 12/2010
→ ▲
rovescio di → ▲
ce que l’inconscient
produit, plus de jouir
parlêtre
un caso
Illustrerò questo passaggio con uno stralcio di caso clinico. Una donna
quarantenne, scrittrice e docente universitaria, che ha fatto 10 anni
di analisi junghiana per la depressione, poi 4 di analisi lacaniana per
disturbi alimentari, viene da me perché ormai dipendente dalle “canne”.
Non intende tornare dal secondo analista perché questi le dice che lei
ora ha la scrittura che la sostiene e che prima o poi si stuferà di fumare
hashish. La ascolto e la invito ad andare anche al CAD per un supporto
medico. Smette subito di fumare la “sostanza”, ma, per poter arrivare
a scrivere, riprende con le sigarette, intanto racconta di una vita spesa
a ricercare la verità maschile 13 e a sfuggire la seduzione paterna. Una
volta, è passato poco più di un mese, faccio la “voce grossa” perché,
12. J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, 1972-1973, Einaudi, Torino 1983, p. 48.
13. Il titolo del suo primo romanzo, che ha già avuto due ristampe, suona: “Non è come lui dice”.
152 | attualità lacaniana n. 12/2010
per rifiutare il farmaco che gli propone il medico del CAD, gli dice
che sono io ad essere contrario. Reagisco quindi all’uso del mio nome,
che mi rivela come lei collochi il luogo della mia enunciazione secondo
una sua costruzione narrativa dell’Altro (lo psicoanalista che è contrario
all’uso del farmaco), che le serve per rifiutare l’Altro. La volta successiva
mi comunica che il mio rimprovero ha fatto crollare l’immagine che
aveva di me e che vuole arrestare l’analisi: “sono già 15 anni che faccio
analisi…”. Le propongo di prendersi una pausa e che intanto io aspetto
che mi richiami, dal momento che sono certo che lei possa stare meglio
e che quindi desidero che arrivi a fare un’analisi.
Mi richiamerà una settimana dopo per dirmi che la sua stima nei miei
confronti non è mutata. Sta male, è angosciata, si è accorta che a volte
fa la voce della bambina, come io avevo osservato. Nella cura il posto
dell’Altro che l’accudiva si è trasformato nell’Uno angosciante, però lei
ha potuto relazionarsi di nuovo con me grazie alla stima, forse potrà
avere accesso all’essere per la via dell’amore (stima). L’arresto ha avuto
una funzione di tempo logico che ha scatenato un momento di cambia-
mento nel discorso: si stupisce di parlare per la prima volta della madre
non come vittima di suo padre o comunque come quella che “non
parla”, ma della propria esperienza di ravage nel rapporto con la madre
(che, già dai tempi del telefono fisso, non è mai riuscita a stare più di
due ore senza verificare dove lei si trovasse). Mi aspetto di poter lavorare
su questo oggetto primario della sua dipendenza.
In conclusione possiamo dire che l’analisi è un processo e come tale si
può arrestare, ma il suo procedere non è lineare. Essa è il processo del
cambiamento. Di che cosa? Non dei sembianti che il godimento prende
per il soggetto, ma della scelta che quest’ultimo può fare di un discorso
che non sarebbe del sembiante. Perciò è sufficiente, ma non necessario,
che l’uscita sia simmetrica all’entrata. L’uscita non è che l’après-coup
dell’entrata e per questo non può obbedire ad un giudizio sintetico a
priori (la diagnosi). Essa può solo essere l’oggetto di una costruzione.
Entrata ed uscita non implicano uno spazio chiuso, definito da un
Carlo Viganò | Il tempo nella cura | 153
14. Neologismo creato da Lacan, che usa l’ “Un” nella funzione di negazione che esso assume
quando viene usato come suffisso in tedesco.
155
Parole chiave: non c’ è rapporto sessuale, nome e fallo, uccisione del padre
Come ben sappiamo, i discorsi isolati da Lacan sono quattro: Discorso del
Padrone, Discorso dell’Isterico, Discorso dell’Analista, Discorso dell’Uni-
versità. L’ordine in cui si susseguono, che è poi quello in cui li abbiamo
elencati, ha soltanto una giustificazione storica – precisa Lacan – quella
riconducibile in ultima analisi alla cronologia della loro comparsa.
Hanno in comune una proprietà: il posto che organizza ciascuno di
essi – detto posto dell’agente o posto del padrone – è anche quello che
potrebbe essere chiamato posto del sembiante. Sottolineiamo che si
* Carmelo Licitra è iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine dei Medici di Roma; è
Membro della SLP, Membro dell’AMP e Docente dell’Istituto Freudiano per la clinica, la terapia
e la scienza.
1. Cfr J. Lacan, Il Seminario, Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, Einaudi,
Torino 2010, p. 153.
Carmelo Licitra Rosa | Esiste un discorso che non sarebbe del sembiante? | 157
non sarebbe e che non è nel sembiante. Questo discorso è, come egli
espressamente asserisce, il discorso del nevrotico. Tale discorso sarebbe
capace di dire una verità. Lacan afferma alla pagina 154 che bisogna
essere grati ai nevrotici, isterici o ossessivi che siano, proprio per la spe-
ciale occasione che essi ci offrono – sì, proprio loro, i malati, gli infer-
mi, rigettati spesso ai margini della vita sociale – di attingere ad una
verità così importante. Con questa verità, che i nevrotici rivelano, siamo
nel solco di quella verità che costituisce il nerbo dell’enunciazione freu-
diana, ma che appartiene anche al retaggio più genuino della tradizione
religiosa giudaico-cristiana.
tra la verità e il reale che essa ricopre, spiega come mai la denuncia di
tale verità non sia sufficiente per abbattere, a sradicare il discorso capi-
talistico; come mai tale discorso prosperi, anzi quasi si consolidi, grazie
alla denuncia marxiana, che piuttosto sembrerebbe assicurarlo nei suoi
fondamenti; e come mai il cosiddetto proletario, in quanto anch’esso
verità situata a ricoprire questo nocciolo duro di reale, appaia come un
misero residuo di entificazione umanistica.
Dunque, riprendendo il filo del nostro discorso, il nevrotico sarebbe
dentro ad un discorso, sarebbe portatore di un discorso specialmente
idoneo a svelare la verità nascosta dietro il sembiante. In tal modo il
nevrotico si troverebbe ipso facto ad animare una certa dialettica tra
sembiante e verità, dialettica che si situa allo stesso livello del cosiddet-
to rapporto sessuale. In altri termini, è la tensione singolare di questo
discorso del nevrotico, in grado di divaricare verità e sembiante, che
situa il nevrotico stesso in una zona estremamente contigua, limitrofa a
quella del rapporto sessuale. In questo modo, seguendo Lacan alla pagi-
na 156, si potrebbe parlare di “discorso del nevrotico”, con ciò volendo
indicare un certo sapere in grado di enunciare la seguente verità: “non
c’è rapporto sessuale”.
Ebbene, questo discorso del nevrotico sarebbe esattamente quell’unico
discorso a non essere dell’ordine del sembiante: esso appare come una
sorta di limite verso cui è proiettato il discorso, ogni discorso, allorché
esso è chiamato a confrontarsi con la spinosa questione del rapporto
sessuale. In altre parole, questo quinto discorso – discorso del nevrotico
– sarebbe il discorso limite sotteso a tutti e quattro i discorsi strutturati;
e proprio in questo farebbe eccezione, in questo si potrebbe dire che
non è dell’ordine del sembiante.
Questo limite si ritaglia, si delinea, diventa riconoscibile in uno scacco
della logica, della logica che governa ciascuno dei quattro discorsi. E
poiché ogni logica si regge sulla scrittura, questo scacco della logica
dovremo poterlo reperire in qualche modo a livello di uno scacco della
scrittura. È esattamente quello che verifichiamo. Lo scacco della scrit-
Carmelo Licitra Rosa | Esiste un discorso che non sarebbe del sembiante? | 159
Lacan costruisce ora una coppia in cui abbina da una parte il discorso
del nevrotico (dentro cui comprendiamo tutti gli elementi finora arti-
colati: non del sembiante, limite del non c’è rapporto sessuale, scacco
della logica, paradossi della scrittura) e dall’altra il discorso freudiano,
prima forma del discorso dello psicoanalista, con i suoi miti, apposita-
mente forgiati – soggiunge Lacan – in risposta all’ascolto del discorso
del nevrotico. In effetti, all’origine della psicoanalisi c’è il dispiega-
4. tre livelli
Per entrare nel merito dello schema che Lacan ci propone nel capitolo
X – il capitolo conclusivo del seminario diciottesimo – potrebbe essere
agevole costruire tre livelli successivi. Questi tre livelli non sono repe-
ribili direttamente nel seminario: costituiscono il mio contributo alla
delucidazione del testo.
Il primo livello, basale, sarebbe quello in cui il non rapporto sessuale
è in qualche modo sopportabile, sostenibile ed emendabile grazie alla
funzione operativa della castrazione. Ci spieghiamo meglio. Forse
l’eccessiva insistenza sull’espressione non rapporto sessuale ci ha fatto
perdere di vista che per Lacan c’è un reale residuale di questo rapporto
sessuale. Ciò è del resto estremamente congruente con un punto classi-
co della dottrina lacaniana: l’impossibile circoscrive un reale. In questo
caso l’impossibile del rapporto sessuale circoscrive il reale del rapporto
sessuale: ciò che è impossibile è l’articolazione a livello del discorso, ma
da questo impossibile risulta un reale. Se non si può parlare di rapporto
sessuale – aveva detto prima Lacan alla pagina 121 – si potrà quanto
meno parlare, proprio in considerazione di questo reale del rapporto
coniugato con l’impossibile del rapporto, di rapporto “sessuato”. Sem-
pre sulla stessa linea, richiamo un passaggio di pagina 139 in cui Lacan
Carmelo Licitra Rosa | Esiste un discorso che non sarebbe del sembiante? | 161
luna, differenzia due modi di rapportarsi alla luna. Uno, il modo tra-
dizionale, prescientifico, consiste nella contemplazione della luna, che
sempre ha ispirato poeti e artisti: possiamo dire che questa posizione è
quella riconducibile all’uso del simbolo fallico nel rapportarsi al godi-
mento. Lacan, ricordando di aver visto in un museo giapponese un
uomo imbalsamato e con lo sguardo trasognato rivolto alla luna, ne fa il
prototipo di questa modalità fallica.
L’altro modo è quello che solo la scienza permette: non più contemplarla,
ma addirittura osare mettere il piede sulla luna, arrivare a lasciare un’im-
pronta sul suo suolo. Certo, per poterlo fare, bisogna munirsi di scafan-
dri, di un qualche mezzo (cioè non lo si può fare in maniera diretta), ma
rimane che la traccia del piede sulla luna è la realizzazione del significan-
te S(). La lettera dunque. A margine, Lacan ricorda che l’astronomia
equatoriale è stata per i cinesi un ostacolo all’avvento del discorso scien-
tifico, e dunque un ostacolo a spostarsi dal fallo alla lettera.
Su questo sfondo, che è per Lacan il modo ordinario di far fronte al non
rapporto sessuale (la castrazione come unico rimedio al non rapporto
sessuale), vediamo profilarsi il dramma del nevrotico, dramma che è al
tempo stesso una tensione, una forzatura, che proietta il discorso da lui
tenuto all’orizzonte limite dei quattro discorsi e ne fa un’eccezione, per
l’appunto un discorso non dell’ordine del sembiante. La parola chiave
per accedere a questo secondo livello si trova sempre a pagina 156 del
seminario ed è: “timore”, “evitamento”. Precisamente il nevrotico è
qualcuno che cerca in tutti i modi di evitare, di schivare la castrazione;
Lacan aggiunge che ciò dipende dal fatto che il soggetto della nevrosi si
presume in qualche modo inadatto alla castrazione. Il contrappeso fata-
le di tale evitamento è una sorta di insistente intrusione di questa stessa
castrazione schivata, come per rimbalzo. E così la castrazione evitata si
tramuta in qualche modo nel fantasma di una castrazione che incom-
be dappertutto. È per questo che il nevrotico, che da un lato sfugge
alla castrazione, è anche colui che dall’altro si presta elettivamente a
rivelarla, in quanto ne è per così dire assediato, ingombrato. Come
Carmelo Licitra Rosa | Esiste un discorso che non sarebbe del sembiante? | 163
4. Poco sopra Lacan aveva detto che non si poteva concludere se questa beanza del rapporto ses-
suale era la conseguenza del fatto che l’essere umano è parlante, oppure la conseguenza del fatto
che tale rapporto non è parlabile.
Carmelo Licitra Rosa | Esiste un discorso che non sarebbe del sembiante? | 165
5. la soluzione isterica
scacco di non poter dire la parola ultima che questa funzione richiede-
rebbe per essere davvero tale. dunque, per quanto significante specia-
le, fallisce nella sua funzione di designatore ultimo del godimento, ed
è in questo che l’isterica arriva a disgiungere e , suggerendoci così
le formule della sessuazione. Ma questo scacco è anche lo scacco del
partner posto sotto , partner sul quale l’isterica ha deviato la castra-
zione che ella ha voluto a tutti i costi scansare: si tratta in definitiva in
questa castrazione dell’impossibilità a designare il godimento ultimo.
Si annodano così: 1) evitamento della castrazione che viene ribaltato
sul partner, 2) denuncia del non rapporto sessuale attraverso ≠ e
3) sintomo isterico, che abbraccia nel complesso tutta questa manovra.
Inoltre deve essere chiaro che tutto questo artificio è dovuto al fatto
che il nevrotico, l’isterico in tal caso, è qualcuno che non rinuncia alla
verità, come Lacan dice alla pagina 142, qualcuno che non rinuncia
alla verità nemmeno a proposito del non rapporto sessuale, che come
tale esorbita dal campo della verità 6. Pertanto l’isterico è qualcuno che
riprende forzatamente sul piano della verità una questione che di per sé
non può entrare nel campo della verità, non può cioè essere impostata
secondo le coordinate della verità, perché il campo della verità è ad essa
eterogeneo; d’altronde, farla entrare nel campo della verità vuol dire
anche sottometterla al dominio della parola, dato che la parola ha rap-
porto con la verità: la verità parla … 7
Lacan non articola tutto ciò in modo esplicito. Bisogna estrarlo attra-
verso una paziente ricostruzione che passa attraverso la coppia Conno-
tazione/Denotazione, la coppia Sinn/Bedeutung di Frege – al cui riguar-
da Lacan sottolinea il superamento che questi ha fatto di Leibniz – e
infine il nominatum di Carnap. Si tratta per Lacan di dimostrare che
la Bedeutung di Frege, il designatore ultimo a cui è riducibile, non è
8. Gli assiomi di Peano sono un gruppo di assiomi ideati dal matematico Giuseppe Peano al fine
di definire assiomaticamente l’insieme dei numeri naturali. Essi sono: 1. Esiste un numero natu-
rale, 0; 2. Ogni numero naturale ha un numero naturale successore immediato; 3. Numeri diversi
hanno successori immediati diversi; 4. 0 non è il successore immediato di alcun numero naturale;
5. Ogni insieme di numeri naturali che contenga lo 0 e il successore immediato di ogni proprio
elemento coincide con l’intero insieme dei numeri naturali (assioma dell’ induzione matematica).
Carmelo Licitra Rosa | Esiste un discorso che non sarebbe del sembiante? | 169
zione, cioè con il campo degli eletti, di coloro che sono esentati, che
sono immuni dalla castrazione. È anche per questo che il monoteismo
appare a Lacan come il tentativo di forgiare un padre a misura di questa
logica del papludun 9.
Vale la pena di sottolineare che questa funzione del ha a che fare
col godimento e che va differenziata da un’altra funzione che esso gioca
parimenti in rapporto col desiderio. Quanto al godimento, il problema
femminile non è né il touthomme, che essa alla stregua di un maschio
è in grado di immaginarizzare (dunque il problema non è l’identifica-
zione maschile di cui si sa che l’isterica è perfettamente capace), e nem-
meno il problema è costituito dal fallo di cui ella si considera castrata,
poiché il godimento fallico ella lo ha dalla sua parte. Il problema per la
donna sorge nel momento in cui essa si dovesse interessare al rapporto
sessuale. È allora che ella deve interessarsi al fallo come elemento terzo;
e non può interessarvisi se non in rapporto all’uomo, di cui però non è
affatto sicuro che ve ne sia almeno uno. Ecco perché tutta la sua politica
sarà volta verso questo almeno uno, di cui si tratterà di verificare e di
assicurare l’esistenza.
Tutto ciò ha ripercussioni inevitabili per quanto riguarda il versante
della verità. Come si legge alla pagina 143, l’isterica, paladina della
verità, custodisce un sapere ferreo sulla verità del suo godimento, sapere
che è il seguente: l’Altro idoneo a causare questo godimento è il fallo,
cioè un sembiante. Da qui non solo il rivendicarlo, il reclamarlo, ovve-
ro la sua spasmodica ricerca dell’almeno uno; non solo lo scacco che
riserva al padrone, rigettandolo nel sapere (si vedano tutte le gustose
considerazioni di Lacan sul teatro, sulla festa di carità, sulla clinica
lussureggiante, associate all’amore della verità proprio dell’isteria); ma
9. E del resto ci sono delle tracce che conservano questo marchio di fabbricazione squisitamente
femminile del monoteismo, reperibili nel fatto che Akhenaton, che è il prototipo di monoteismo,
è anche una divinità profondamente effeminata, e in più coronata da tutta una serie di raggi
provvisti di piccole mani in procinto di solleticare numerosi bambini, tutti rassomiglianti tra di
loro come dei fratelli, o forse ancor più come delle sorelle – precisa Lacan.
170 | attualità lacaniana n. 12/2010
anche gli sviluppi logici e le loro ripercussioni sul piano del desiderio. A
tal riguardo, metteremo in evidenza che nelle formule della sessuazione
compare due volte la , pur non trattandosi della stessa . La prima,
quella associata al quantificatore è un’incognita, la seconda, quella
associata alla funzione fallica, è una variabile. L’isterica, facendo del suo
essere un papludun, si situa nel posto dell’incognita, che è invariabile,
rispetto alla quale articolare tutte le possibili variabili, ovvero tutte le
possibili variazioni situazionali. Il tutto allo scopo di poter dire: non
è di ogni donna che si può dire che ella sia funzione del fallo. Il suo
auspicio è sicuramente che questo si potesse arrivare a dire di ogni
donna, ma non ci si arriva. In altre parole, il suo desiderio di isterica è
che tale funzione si potesse enunciare di ogni donna, ma appunto que-
sto desiderio rimane insoddisfatto perché non si può dire di ogni donna
che ella sia funzione del fallo. Non si può dire di ogni donna, cosicché
alla fine una donna ne risulta, che tuttavia non è l’isterica in persona.
Questi brevi cenni basteranno ad evocare la potenza logica implicata
nella manovra isterica.
parte quarta
testimonianze di passe
173
l’uomo retto
di Sergio Caretto *1
Parole chiave: Padre Ideale, oggetto anale, fantasma, voce, amore, aggressività,
corpo, sintomo, inibizione, vestito, super io
Aveva 21 anni quando varcò per la prima volta la soglia dello studio di
colei che, di li a poco, sarebbe diventata la sua analista per i successivi
22 anni. Due tratti, a lui non estranei, contribuirono ad orientare la
scelta dell’analista: il rigore e la passione con cui ella affrontava la let-
tura dei testi freudiani all’interno di un seminario di psicoanalisi e il
tono della voce acuto. In occasione dell’incontro, il giovane, nel timore
* Sergio Caretto, A.E., iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine degli Psicologi della
Regione Piemonte; è Membro della SLP e Membro dell’AMP; Docente dell’Istituto Freudiano
per la clinica, la terapia e la scienza, insegna all’Università di Torino.
la domanda
mento di una pratica così come l’impotenza provata nella pratica rimet-
teva in discussione la teoria che avrebbe dovuto illuminarla.
l’uomo Retto
“Tu sei come il nonno!” diceva ad Ergi la madre indicandogli una foto
sul comodino che lo ritraeva, all’età di un anno, in braccio al nonno
che, di li a qualche mese, sarebbe morto improvvisamente di ictus
mentre era intento a mangiare una ciliegia rimasta serrata nella bocca
come una perla nella conchiglia. Gran lavoratore ammirato dalla figlia
ed esempio per il nipote che ne portava il nome, il nonno era colui
che non tratteneva niente di ciò che guadagnava in quanto era dedito
aiutare gli amici più in difficoltà. Il nonno e il padre di Ergi facevano
dunque parte di coloro che, come ricordava la madre in un proverbio,
“Lanciano denaro in cielo e vedono ricadere merda” a differenza di
quanti invece “Lanciano la merda e si trovano pieni di denaro”. Sulla
scia di non fare mancare niente all’Altro Ergi, fin dalla più tenera età,
era solito recarsi in un orfanotrofio con la madre per lasciare ai bam-
bini meno fortunati i suoi giocattoli e i risparmi che aveva accumulato
facendo delle buone azioni. “L’uomo Retto” diveniva pertanto l’ideale
che Ergi prelevava sul padre e sul nonno materno, figure che indirizza-
vano l’amore e le lamentele della madre e che si alimentava del discorso
religioso che orientava la sua formazione primaria svolta in un convento
gestito da suore dove, sulla porta d’entrata, era scritto l’adagio “Gli ulti-
mi saranno i primi”. Occorreva dunque farsi ultimo prestandosi a non
fare mancare niente all’Altro al fine di divenire primo nella mancanza e
brillare così agli occhi della madre. Retto, era anche ciò che era inscrit-
to nel suo cognome Ca-retto dove ca, nel dialetto piemontese, vuole
dire casa; dunque la casa del retto. Lungo questo ideale di rettitudine
Ergi traeva le identificazioni falliche che lo sostenevano nella relazione
con l’altro, col quale non mancava di ingaggiare una rivalità senza pari
ogni qualvolta la mancanza, la macchia, faceva, suo malgrado, capolino
sulla scena. Confrontato al desiderio dell’Altro, l’altro veniva ad assu-
mere le sembianze di padre cattivo e ingrato, riducibile a sguardo che
giudica e rifiuta, e dal quale occorreva pertanto prendere le distanze.
Ben presto lo stesso campo analitico divenne luogo in cui esercitare
questa competizione con l’analista. Un sogno: Ergi in un grande anfi-
Sergio Caretto | L’uomo retto | 177
l’uomo retto
to del padre”. Dal lavoro analitico Ergi estraeva infatti un ricordo in cui
la cacca fatta per la madre veniva successivamente messa sotto lo sguar-
do attento del padre che, con una grossa lente d’ingrandimento da lui
gelosamente custodita, ne verificava la purezza e l’assenza di vermicelli.
Questa pratica si intensificò all’età di sei anni, momento in cui il fratel-
lo minore venne ricoverato in fin di vita per meningite; nell’attesa del
medico la madre aveva fatto un enorme clistere al figlio, atto a suo dire
miracoloso grazie al fatto di averne liberato l’intestino retto dove avreb-
be potuto risiedere la causa della malattia. Al di là di un vetrata che lo
separava dal fratello posto in isolamento per il rischio di contagio, Ergi
fece il suo voto a Dio: “Se mio fratello si salva gli do tutto quello che
ho, compresa la bicicletta, e mi dedicherò ai bambini malati”. Il fratel-
lo uscì dall’ospedale e Ergi iniziò ad entrarci per importanti problemi
d’asma che lo conducevano fin sull’orlo dell’asfissia e che si protrassero
fino all’adolescenza. Inoltre, per un certo tempo nella vita del piccolo,
trovarono posto rituali ossessivi legati al lavaggio e alla preghiera per
arginare la paura del contagio. Di quella paura, da adulto, rimase una
certa reticenza ad avere contatti troppo fisici con l’altro nonché una
certa insofferenza per le situazioni gruppali.
Che il padre avesse un approccio scientifico a quell’oggetto che Ergi
andava via via isolando nella sua analisi, lo testimonia un altro ricordo
che l’analisi portava alla luce in cui il figlio, incuriosito, vede il padre
con una potente pistola ad aria calda passare ore ed ore nel tentativo di
ridurre e estinguere la cacca lasciata dal cane nel cortile. La conclusione
del bizzarro esperimento era che sarebbe stata solamente questione di
tempo ma che, idealmente, Il resto si sarebbe potuto riassorbire comple-
tamente, scomparendo. Analogamente, Ergi e alcuni amici si erano un
giorno divertiti a fare scoppiare una merda per strada con un petardo,
un po’come vengono fatte brillare le mine nelle cave. Ciò che rende-
va divertente il tutto era che si vedeva saltare la merda per aria e, per
evitare di sporcarsi il vestito, occorreva allontanarsi correndo il più in
fretta possibile. Aimè, il proverbio materno si dimostrava essere fallace
Sergio Caretto | L’uomo retto | 179
gustosa zuppa che era intenta a mangiare. Costei tuttavia gli fa inten-
dere che non avrebbe potuto mangiare la stessa minestra, indicando
all’ospite una grossa pentola fumante contenente dei resti che ancora
occorreva cucinare. Il soggetto prende pertanto il mestolo e si mette a
girare quegli scarti che galleggiavano in superficie. Le associazioni del
sogno condussero ad un piatto piemontese molto rinomato e amato dal
padre, la finanziera, fatto di tutte le interiora di animali cotte a fuoco
lento. “Finanziera” richiamava al contempo le finanze, precisando
ulteriormente il nesso tra lo scarto e il denaro. Terminata la seduta, al
momento di congedarsi, Ergi fa per dare la mano all’analista e questi si
accartoccia al suolo come un abito dismesso. “Oh my goodness!” esclamò
col cuore in gola il soggetto. My goodness! era un’esclamazione della
madre corrispondente all’esclamazione italiana Madonna! o Mio Dio!
Cadeva così, d’un sol colpo, l’identificazione all’ideale paterno di cui
Ergi aveva rivestito l’analista, lasciando emergere un appello al materno
e l’apertura ad una nuova e silenziosa partita in cui all’analizzante non
rimaneva altra scelta che cucinare quel resto di corpo. Che sorpresa
inspiegabile e insopportabile: abbonato fino a quel momento all’oggetto
anale, sogni e associazioni conducevano ora all’oralità.
Nello stesso periodo cadde il vestito dell’amore ideale: la moglie, dopo
tre anni di matrimonio, congedò Ergi perché insoddisfatta del loro
rapporto di coppia. Disperazione, vuoto di senso, vertigine e angoscia.
Eppure Ergi aveva seguito anche qui le orme del padre sposandosi alla
sua stessa età e con gli studi ancora in corso e portando all’altare la
donna che era stata la sua animatrice in parrocchia e con la quale aveva
consumato le sue prime esperienze amorose. Fare l’uomo Retto condu-
ceva il soggetto, ancora una volta, all’espulsione. Gli ci volle tempo per
cogliere come un amore concepito sull’ideale non poteva che svuotarsi
in breve tempo del desiderio, rendendolo un legame ripetitivo e privo di
vita. Sorprendenti furono le associazioni che, a partire dal colore di un
abito, contribuirono a fare cogliere le contingenze della scelta amorosa.
L’aveva rivista di ritorno da un viaggio nell’Europa dell’est vestita di un
Sergio Caretto | L’uomo retto | 181
abito viola. Anche il padre, quando Ergi era piccolo, si recava con fre-
quenza in quel paese portando ogni volta dei doni alla moglie e ai figli.
Un giorno aveva regalato alla moglie una preziosa matrioska viola, il cui
uso era stato interdetto ai figli per il pericolo che ne ingerissero parte
del contenuto. Il piccolo riuscì un giorno ad appropriarsi della desi-
derabile matrioska viola perdendo però la più piccola delle bamboline
contenute all’interno e andando così incontro ai severi rimproveri del
padre. Peraltro la madre, per compiacere il marito che amava il viola,
indossava sovente abiti di quel colore, non senza tuttavia lamentare il
fatto che quello stesso colore era anche quello dei paramenti sacri indos-
sati a lutto. È da notare che la donna che Ergi ritrovava e che avrebbe
successivamente sposato era segnata dal lutto di un fratello morto in un
incidente stradale, incidente analogo a quello capitato alla sorella del
padre di Ergi. Il viola pertanto condensava amore e morte, divenendo
per Ergi scintilla dell’incontro.
ergi!
lavarsi seduto sul bordo di una vasca con al suo fianco l’analista che non
dice una parola ma accompagna con uno sguardo discreto quel rituale.
Nonostante la vergogna il soggetto accoglie quella presenza familiare ma
al tempo stesso estranea che attende la sua uscita. – Non era più ora lo
sguardo paterno giudicante bensì quello della madre che Ergi ritrovava
nel ricordo di quando, all’età di 10 anni, l’aveva sostenuto in un medesi-
mo rituale per un’improvvisa evacuazione di cui si era molto vergognato.
Occorreva pertanto staccare dal corpo quel vestito di merda che il sog-
getto si era fabbricato per rispondere all’enigma del desiderio dell’Altro.
Ergi, soprannome che era risultato della caduta della prima e ultima
lettera del suo nome inscritto su una maglietta regalatagli dalla madre al
suo ritorno da un viaggio in America, si rivaleva al contempo l’impera-
tivo superegoico ERGI! al quale il soggetto si sottometteva per sostenere
la figura di un Altro non toccato dalla mancanza. ERGI! l’uomo Retto!
Non sapere più cosa cercare, non vedere più un termine alla propria
analisi, non riuscire più a dominare quegli eventi di corpo che faceva-
no la loro inattesa comparsa come quando il soggetto venne ricoverato
per un accesso d’asma in occasione della nascita della sua prima figlia.
Odiava l’analista per averlo condotto in quelle sabbie mobili che ne
risucchiavano il corpo, ma allo stesso tempo non riusciva a pensare
ad una separazione dallo stesso, se non del tipo “finché morte non ci
separi!”. Ovviamente, essendo lei più vecchia, sarebbe toccato prima a
lei. Puntuale era giunto l’intervento dell’analista: “Non crederà mica
di accomodarsi nell’attesa!”. Il significate attesa richiamava peraltro
un fantasma di gravidanza che l’analisi aveva portato alla luce in cui il
soggetto, identificato alla madre ricoverata in ospedale per la nascita del
fratellino, aveva temuto di essere rimasto lui stesso incinta in seguito
ad un gioco fatto col cuginetto. Questo incedere faticoso di fatto si
Sergio Caretto | L’uomo retto | 183
sputare l’oggetto
Due sogni lo condurranno alla conclusione della sua analisi. –Il sog-
getto, in una giungla, deve superare una serie di prove. Si accorge di
essere solo, non ci sono altri concorrenti. Superati una serie di ostacoli
giunge di fronte ad una spessa tavola di legno scuro dove sono presenti
tre buchi con altrettanti oggetti che li tappano. Lo sguardo del soggetto
si concentra sul buco centrale otturato da un oggetto vivo, che ha le
sembianze di una scimmietta di peluche e al contempo di un bimbo
piccolo che lo guarda. Ad un tratto l’oggetto cade al di là dell’asse di
legno che lo supportava, lasciando lo sguardo del soggetto di fronte ad
un buco. Un’angoscia invade il sognatore che tuttavia trova la forza di
oltrepassare l’asse per andare al di là. Con sua sorpresa, vede il pupazzo
allontanarsi e si accorge che stavano girando un film, che tutto quel
percorso era stata una finzione. Pur accorgendosi che la gente che stava
lavorando non era lì ad ascoltarlo dice sgomento: “Potevate anche dir-
melo che era tutta una finta!”. La scena cambia: il soggetto è ora su una
sedia con la bocca aperta. Una mano che non sa dire se è la propria o
quella dell’Altro, si infila nella bocca e fa per estrarre qualcosa. Il sog-
getto piange, si dimena, resiste fino allo sfinimento, fin quando sputa
con forza in quella mano estranea una perla di cacca. L’angoscia e le
lacrime lo svegliano violentemente. –
Corre dall’analista ma, al momento di raccontare il secondo frammento
del sogno, il soggetto sperimenta la medesima resistenza provata quella
notte: piange e si dimena sul lettino non riuscendo, fino all’ultimo, a
fare fuoriuscire la voce. Il soggetto è come sparito. Riuscito in questa
184 | attualità lacaniana n. 12/2010
il timone e il femminile *1
di Gil Caroz **
partire dal suo aggancio all’ e al fallo. Egli ci crede, si crede lì e appli-
ca al suo modo di stare al timone il metro della regola fallica: una sola
legge per tutti, salvo eccezioni.
In un mondo in cui il padre si è fatto timido, governare solo a partire
dalla logica maschile equivale a condannarsi allo scacco. Il padrone
contemporaneo non gode del rispetto che un tempo si nutriva nei con-
fronti di colui che era pronto a mettere in gioco la propria vita. L’ che
dava un peso alla sua parola ha perso forza. Anzi, il dovere del padrone
contemporaneo converge piuttosto con quello dello schiavo. Deve sot-
tomettersi alla volontà del popolo e ai suoi giudizi. Il godimento fallico
non incoraggia questo genere di dialettica. Il fallo, dice Lacan, è una
obiezione di coscienza al servizio da rendere all’altro 1. È autoerotico,
implica cioè l’esigenza che le cose si facciano “a modo mio e solo a
modo mio” per poter concludere il prima possibile perché bisogna che
continui a circolare.
Poiché una donna ha un legame con il fallo e con la trama significante,
il suo rapporto con l’inconscio non è estraneo all’uomo. L’uomo vi si
riconosce in quanto è una posizione che si regola su di lui. “È da dove
la vede l’uomo, e nient’altro che da lì, dice Lacan, che la cara donna
può avere un inconscio” 2. Nonostante abbia un rapporto con il fallo,
una donna non agisce in modo simmetrico all’uomo. Locatrice, più che
proprietaria, del fallo, essa non ha niente da perdere ed è dunque meno
incline all’esitazione. Gli esempi si moltiplicano da qualche decennio a
questa parte. “Più uomo di così, si diceva di Golda Meïr, non si può”.
Eppure questa sua posizione maschile lasciava trasparire altre cose: un
rapporto piuttosto blando con il sembiante fallico e una facilità a sepa-
rarsene a favore dell’atto per ciò che questo ha di più autentico.
Lo si nota anche nel rapporto del femminile con la legge in quanto uni-
versale. Jacques-Alain Miller ha già sottolineato la tendenza femminile a
1. J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, 1972-1973, Einaudi, Torino, 1975, p. 8.
2. Ibidem, p. 98.
Gil Caroz | Il timone e il femminile | 191
umanizzare la legge 3. Di fronte a ciò che non va, una donna preferisce
rivolgersi al giudice, soggetto supposto saper interpretare la legge per adat-
tarla al caso particolare, piuttosto che alla legge ordinaria e senza pietà.
Se l’azione di governare si misura a partire dall’abilità ad affrontare un
reale senza legge che Machiavelli definiva “fortuna”, la logica femminile
del trattamento del godimento a partire dal caso per caso è senza dubbio
molto più appropriata del principio di una legge per tutti. Nessuna legge
prestabilita può essere applicabile a tutti gli eventi del reale.
Ma il rapporto di una donna con il significante della mancanza nell’Al-
tro ci conduce in un altro terreno. In questa zona inaccessibile al signi-
ficante, una donna non ha rapporto con l’inconscio in quanto struttu-
rato come un linguaggio ma con il buco nel simbolico di cui l’ombelico
del sogno è un esempio parlante.
Qui non si tratta più semplicemente di una umanizzazione della legge
o di un rapporto più blando con il sembiante. In questo caso la logica
femminile è motivata da un punto senza legge, o meglio, in altre parole,
dalla legge del capriccio. I miti ci sono d’aiuto per parlare degli orrori
che questo punto può implicare. Evocherò quello della regina Ester,
moglie ebrea del re Assuero ai tempi dell’esilio da Babilonia. Ester riesce
a smascherare il complotto del ministro Haman che voleva massacrare
gli ebrei del regno. Il re cede sull’ infatti affida il suo anello regale a
Ester e allo zio Mardocheo affinché redigano, a loro piacimento, un
decreto a nome del re e lo firmino con il suo sigillo. Come conseguen-
za, Haman, i suoi dieci figli e qualche migliaia di nemici degli ebrei nel
regno, vengono uccisi. Dopo che tale vendetta ha avuto luogo, per Ester
i conti non sono ancora chiusi. Quando il re le rivolge un “che cosa
vuoi ancora?”, lei risponde : “Beh, riprendiamo domani”. Affascinato da
Ester, Assuero non ha nulla da obiettare alla sua richiesta. Egli cede sul
limite fallico aprendo così la strada ad una vendetta senza limite. Que-
sta in ogni caso è l’interpretazione del regista israeliano Amos Gitaï, in
3. J.-A., Miller, “Teoria di Torino sul soggetto della Scuola”, in Appunti, n. 78, novembre 2000.
192 | attualità lacaniana n. 12/2010
un film dedicato ad Ester. I saggi del talmud discutono senza fine ten-
tando di capire se Assuero era un imbecille o un furbo 4. Comunque sia,
il racconto biblico del suo legame con Vashti, la prima moglie, mostra
chiaramente la sua difficoltà con le donne.
Oggi il silenzio del padre è diventato un fenomeno generalizzato, ma
non per cedere il mondo al principio femminile quanto piuttosto per
cederlo alla scienza e allo scientismo che l’accompagna. Da qualche
anno a questa parte, ci inquieta vedere il riassorbimento del politico
nell’amministrativo, la gestione che viene a sostituire la governance.
Questa mutazione dell’Altro, accompagnata dalla contemplazione delle
cifre, non ammette la differenza nemmeno tra uomo e donna. Essendo
negata l’assenza di significante nell’inconscio per dire la donna, ognuno
conta per Uno. Di conseguenza, se le due logiche per dirigere il timone
si regolano sul rapporto dell’uomo e di una donna con l’inconscio, la
gestione basata solo sulle cifre si sostiene sulla forclusione dell’inconscio.
Parafrasando Lacan, propongo che il ruolo della psicoanalisi oggi possa
essere quello di “reintrodurre la logica femminile nelle considerazio-
ni scientifiche”. Questo implica una certa tolleranza al capriccio. La
psicoanalisi qui è machiavellica nell’accezione positiva del termine.
Un principe che non modifica la sua azione per adattarla alle novità e
alle sorprese che la “fortuna” gli riserva, è condannato a fallire. Tutto
sommato, per far fronte alla fortuna, è meglio essere, quando occorre,
imprevedibile quanto il reale.
Basandosi su una logica maschile un tale modo di governare sembra
capriccioso. Una visione politica fissa e stabile, sempre la stessa, non
è che un fantasma maschile. Il principio maschile insorge quando i
dirigenti politici danno prova di una qualche inconsistenza. Il maschile
cerca la buona soluzione, il buon orientamento valido una volta per
tutte. Ci crede. Il principio femminile, al contrario, è tollerante all’in-
consistenza perché, rispetto al significante, è l’inconsistenza stessa.
5. N. Machiavelli, Il Principe, Einaudi, Torino, 1995, cap. VI.18, p. 35. (Colui che l’ introduce
ha come nemici tutti coloro che traggono vantaggio dal vecchio ordine e come tiepidi difensori tutti
coloro che potrebbero trarre vantaggio dal nuovo).
194 | attualità lacaniana n. 12/2010
6. S. Freud, Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi (1925), in Opere,
Bollati Boringhieri, 1989, vol. X, p. 216.
7. N. Machiavelli, Il Principe, cit., cap. XXV, p. 167.
195
Da un lato il discorso del femminismo oggi non ha più alcuna presa, dall’altro il
discorso moralista fa scomparire la donna a favore della Madre. La civiltà contem-
poranea inoltre, spingerebbe la donna a un’ identificazione isterica all’uomo. Risal-
ta così ancor più l’originalità della psicoanalisi lacaniana che riconosce alla posi-
zione femminile un ruolo creativo e sovversivo in contrasto con la spinta all’unisex
e la negazione delle differenze. Posizione che necessariamente deve essere declinata
una per una, facendo così del non-tutto la possibilità per ognuna di dirne qualcosa.
Se per Freud quello che vuole la donna è una questione, per Lacan è
il godimento femminile che deve essere interrogato, non tanto ciò che
una donna vuole ma ciò di cui essa gode nel supplemento al godimento
del fallo. Tuttavia, come sappiamo, la risposta giunge alle soglie del
semi-dire solo una per una, perché della sostanza godente reale non si
può dire niente direttamente, la si può solo approcciare per mezzo dei
sembianti, degli eventi di corpo e della messa in funzione dell’inconscio
autorizzata dall’analisi.
* Relazione introduttiva al Convegno della NLS, “Figlia, madre e donna nel XXI secolo”, Gine-
vra 2010.
** Pierre-Gilles Gueguen è psicoanalista e esercita la sua attività a Parigi e a Rennes.
È analista Membro dell’École de la Cause Freudienne, Membro della New Lacanian School,
già Presidente della New Lacanian School. È Maître de Conférences presso il Dipartimento di
Psicoanalisi dell’Università Parigi VIII.
Tra i sembianti lacaniani c’è La Donna con la barra sul La: vuol dire
che nessuna donna può incarnare quel tutto che sarebbe La Donna.
Vuole dire anche che ognuna detiene una verità parziale su che cos’è
una donna. E allora come si fa a tenere un Congresso sul tema “Figlia,
madre e donna” senza, cosa che Lacan dà per certa quando si parla di
loro, diffamarle? Ma qui si tratta proprio di un esame caso per caso, ne
parleremo solo una per una.
Diciamo subito che i tre termini del titolo di questo Congresso sono già
tre facce della femminilità, tre facce che dividono profondamente l’essere
femminile. Freud l’aveva già ben delineato nella sua Lezione 33 sulla
femminilità facendo notare che la bambina, al contrario del bambino,
deve distaccarsi dalla madre fin dall’infanzia. Secondo Freud, questo
doloroso cambiamento d’oggetto è all’origine di molti sintomi successivi
e dell’angoscia nella bambina, più dell’angoscia di castrazione che concer-
ne piuttosto il bambino. È certamente anche il motivo per cui Simone de
Beauvoir, a dispetto del suo femminismo, diceva che donna non si nasce.
Se dunque il XX è stato il secolo del femminismo e delle sue istanze, il
XXI è forse il secolo in cui le istanze del femminismo non suscitano più
entusiasmo, il secolo in cui, con riferimento al titolo di un’opera ame-
ricana del 1991 della giornalista premio Pulitzer Susan Faludi, domina
il Backlash, l’onda reazionaria contro le conquiste del femminismo.
Un recente saggio di Elisabeth Badinter che elenca alla rinfusa tutte le
minacce alle conquiste delle femministe in particolare “post ‘68” è sulla
stessa linea.
È vero, certamente. Scommetterei però che il successo di vendite di
questo saggio è dovuto più al suo titolo che non al suo contenuto:
Madre e Donna, il conflitto.
Si tratta in effetti del conflitto che la psicoanalisi antecedente a Lacan
non è stata in grado di ridurre, Freud l’ha interpretato puntando tutto
sul diventare madre (che già in sé è una divisione) e sulla sparizione della
donna desiderante. I filosofi, i sociologi e i saggisti del XXI secolo sanno
interpretarlo solo in termini di lotta di potere neo-hegeliana tra i sessi.
Pierre-Gilles Gueguen | Figlia, madre e donna nel XXI secolo | 197
offre la speranza a ogni donna, una per una, di disfarsi di questo peso
e di poter dare al suo essere di donna uno spazio in cui si coniughi il
rapporto del suo godimento con il sembiante fallico grazie a un lega-
me d’amore con un uomo e a un accesso più moderato al godimento
supplementare, pacificato dalla parola d’amore. C’è – diceva tempo fa
Jacques-Alain Miller – un modo giusto e uno sbagliato di capire quello
che Lacan ha chiamato il “non-tutto” femminile: “ci si immagina –
diceva – che il non-tutto… si definisca rispetto alla ‘logica del tutto’
che introdurrebbe il ‘questo manca’… Mentre il non-tutto vuol dire che
c’è una dimensione in cui è in gioco qualcos’altro che non la mancanza
e ciò che la tappa” 1.
Con il nostro convegno verificheremo i presupposti di questa introdu-
zione. Auguro a tutti buon lavoro.
1. J.-A. Miller, “La natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 13, 1993.
parte sesta
emergenze l ac aniane
203
* Questo testo è stato originariamente pensato per uno degli incontri organizzati a Padova dai
dottori Alberto Turolla, Nicola Purgato ed Erminia Macola, che ringrazio insieme agli altri
partecipanti alle discussioni.
** Stefania Ferrando è dottoranda di filosofia all’Università di Padova e all’École des Hautes
Études en Sciences Sociales di Parigi.
alla luce così prossimo a noi. “Ma perché prima certe cose non sono
state viste? Perché ora?”: questa è la domanda che affiora. Per qualcuno
che, come me, si dedica alla filosofia vi è, in un tale contrasto, qualcosa
di sorprendente: la filosofia non si accompagna facilmente all’idea di
una nascita, di una pratica che a un certo punto compare e che resta
segnata in sé dai modi in cui è praticata e dalle esigenze e contingenze
che l’hanno portata ad essere quello che è. E quanto più la filosofia
vive l’illusione di potersi esaurire nei propri contenuti, tanto più manca
la possibilità di interrogare il suo rapporto con la circostanza in cui è
emersa, e in cui di volta in volta viene riattivata.
Per questo, ancora di più, lo stupore nei confronti della posizione tutta
diversa della psicanalisi si ravviva. A questo stupore può essere data una
forma più strutturata disciplinarmente, quella della domanda che la
tradizione classica della sociologia francese (penso al filo che lega Dur-
kheim, Mauss e Dumont soprattutto) porrebbe: perché una certa prati-
ca emerge in una certa società? Quali valori e disequilibri di quest’ulti-
ma intercetta? Quali giochi consente di tenere aperti, quali, invece, di
scompigliare rinnovandoli? Cioè, quale dinamismo, quale movimento,
specifico è capace di produrre nella società in cui è nata?
Si tratta di domande che fanno un altro giro attorno alla psicoanalisi,
che non è immediatamente quello della domanda singolare che, uno
per uno, le si può rivolgere quando si intraprende un’analisi. Ma queste
diverse questioni, quelle che uno sguardo sociologico può porre, non
sembrano tuttavia estranee: se da un lato è vero che la psicanalisi “non
prende l’uomo in massa – come osserva Miller – ma uno per uno, lo
ritira dalla scena pubblica, lo sottomette a un’esperienza singolare” 1,
dall’altro lato un tale lavoro – che polemicamente e ironicamente Mil-
ler descrive nell’intervista appena citata come un immenso lavoro di
“educazione privata” – si raccorda a un “progetto” che investe i modi di
1. Jacques-Alain Miller, “Lacan et la politique”, in Cités, Psychanalyse et politique, n. 16, 2003,
p. 106, (traduzione nostra).
Stefania Ferrando | Che ci fa qui la psicoanalisi? Povertà, miseria, maniere | 205
Ci sono due specie di povertà. C’è una povertà esteriore che è buona ed
è altamente apprezzabile nell’uomo che la esercita volontariamente per
amore di Nostro Signore Gesù Cristo, poiché egli stesso l’ha esercitata
sulla terra. Di questa povertà non voglio ora dire di più. Ma c’è un’altra
povertà, una povertà interiore, quella che ci fanno capire le parole di
Nostro Signore quando dice: “Beati sono i poveri in spirito” 2.
2. Maestro Eckhart, “Beati pauperes spiritu quoniam ipsorum est regnum caelorum”, in Tratta-
ti e Prediche, a cura di G. Faggin, Rusconi, Milano 1982, p. 365.
Stefania Ferrando | Che ci fa qui la psicoanalisi? Povertà, miseria, maniere | 207
III. È per avere a che fare con questa povertà che la distinzione tra
povertà interiore ed esteriore, e quella, che la incrocia, tra povertà e
miseria, diventa, per noi, urgente, e sensata. Per provare a chiarire in
quale direzione ci si muova facendo riferimento a una povertà interiore,
bisogna prima dire qualcosa su quella tra povertà e miseria.
A questo proposito, faccio riferimento a un testo del 2003, dell’iraniano
Majiad Rahnema, Quando la povertà diventa miseria 3. La tesi del testo è
che questo movimento, dalla povertà alla miseria, non è categorizzabile
come un passaggio da uno stato di indigenza in cui l’essenziale è comun-
que garantito a uno nel quale anche il necessario vitale manca – come
invece si tende a fare quando si auspica un incremento della produzio-
ne per far fronte alla mancanza del minimo vitale nei paesi africani o
dell’est asiatico. Poiché la prospettiva di un incremento produttivo non è
considerata dall’autore risolutiva nemmeno degli stati di povertà totale,
egli cerca di articolare diversamente la differenza tra miseria e povertà,
peraltro a suo dire presente nella maggior parte delle lingue 4: la povertà
diventa miseria quando non è più capace di avere un’economia sua pro-
pria, cioè di avere un suo proprio ordine e movimento con cui riesce ad
avere a che fare con ciò che manca. La povertà ha una sua economia, un
suo ordine simbolico, che dà un posto alla mancanza, a ciò di cui si è
poveri. La miseria no. Per questo è scavata dal desiderio di avere, e per
questo è imbruttente 5. Come scrive Illich, citato da Rahnema,
3. Majiad Rahnema, Quando la povertà diventa miseria (Quand la misère chasse la pauvreté –
2003), trad .it. di C. Testi, Einaudi, Torino 2005.
4. Majiad Rahnema, Quando la povertà diventa miseria, cit., p. 242.
5. Anche in questo caso, mentre il testo può permettersi, per la posizione e la storia di chi lo
scrive, di tenere un tale discorso anche riguardo a condizioni di povertà estreme, io, invece, qui,
lo farò solo giocare rispetto alla questione della povertà – del ritorno e dello spettro della povertà
dopo la crisi – che ci tocca qui, in Occidente, o forse qui in Europa, o in una parte di essa.
208 | attualità lacaniana n. 12/2010
ti, ma vittime dei bisogni loro attribuiti da certi “mezzani della povertà”.
Sono scivolati giù oltre la linea della povertà e ogni anno che passa dimi-
nuiscono le loro possibilità di risalire nuovamente sopra la linea e soddisfa-
re i bisogni che ora loro stessi si attribuiscono 6.
Oltre la linea della povertà c’è la miseria, dove nessuna brandina cul-
turale consente un appoggio. E allora resta solo la corsa per rimontare
la china e recuperare quel che manca. E quel che manca ci si presenta
come quel che manca perché lo si è perso, per una nostra mancanza e
responsabilità, perché non si è lavorato abbastanza, perché non si sono
sfruttate abbastanza le risorse, le capacità e le possibilità disponibili.
E così i mendicanti non hanno più posto. Foucault lo mostra in Sor-
vegliare e punire 7: nei piccoli ma profondi movimenti che attraversano
il XVIII secolo, il mendicante, o il vagabondo, non è più chi forma
la propria vita su una povertà e una mancanza che hanno ancora un
valore simbolico, ma diventa un pericolo per la tenuta della società, una
minaccia per la proprietà. E, in prigione, trova giustamente il discipli-
namento che lo rende compatibile con la società, che incanala le sue
energie e lo mette al lavoro. È tutto un capovolgimento di prospettiva
che si gioca attorno alla figura di chi porta in giro la sua povertà. Come
osserva Miller in “Segno dell’amore” prima di intrecciare le figure del
mendicante e dell’analista, oggi “questi mendicanti sono dei disoccupa-
ti. È piuttosto difficile ritrovare l’eminente valore che il mendicante ha
avuto nella storia, prima che il lavoro diventasse un valore essenziale e
entrasse nel Super-Io” e prosegue poi chiarendo:
6. Ivan Illich, “Bisogni”, in W. Sachs (a cura di), Il dizionario dello sviluppo, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1998, p. 76, citato in Majiad Rahnema, Quando la povertà diventa miseria, cit., p. 235.
7. Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (Surveiller et Punir. Naissance de
la prison – 1975), trad. it. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 1976, 1993.
Stefania Ferrando | Che ci fa qui la psicoanalisi? Povertà, miseria, maniere | 209
8. J.-A. Miller, “Il segno dell’amore”, in La Psicoanalisi, n. 24, 1998, pp. 29-30.
9. Cfr. ibidem, p. 29.
10. Seminario di Diotima 2010, “Il disorientamento è la nostra prova”, incontro dell’8 ottobre
con Annarosa Buttarelli e Federica Giardini, “Appunti per un’economia del soprammercato”.
210 | attualità lacaniana n. 12/2010
11. Cfr. Michel Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979)
(Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979 – 2004, édition établie sous la
dir. de F. Ewald e A. Fontana par M. Senellart, Seuil-Gallimard, Paris), trad. it., di M. Bertani e
V. Zini, Feltrinelli, Milano 2005.
12. Majiad Rahnema, Quando la povertà diventa miseria, cit., pp. XI-XII.
Stefania Ferrando | Che ci fa qui la psicoanalisi? Povertà, miseria, maniere | 211
ci mostra scoperti? Non più dai rapporti sociali, non più dall’Altro. E così
tanto nella gestione dei figli o degli anziani, quanto nel rapporto al sapere: a
chi chiedo quel che non so e da quale autorità mi aspetto qualcosa per quel
che non ho? È la questione che Google fa emergere e che Hebe Tizio sottoli-
neava così lucidamente in una conferenza a Padova di alcuni anni fa 13.
VI. Dunque, ritornando alla questione da cui sono partita, che cosa ci
fa qui – qui tra la povertà e la miseria, qui nella ricerca di un niente che
venga in aggiunta, qui rispetto alla posizione mistica che indica la pos-
sibilità di una perdita dell’io e delle sue preoccupazioni, per poter avere
a che fare con ciò che manca e guadagnare quel che si produce attorno
a una tale mancanza – che ci fa dunque qui la psicoanalisi?
In un articolo apparso su Via Dogana (n. 34/35, dicembre 2007) Ermi-
nia Macola e Adone Brandalise, suggeriscono un curioso inquadramen-
to della psicoanalisi: la psicoanalisi come scienza della miseria in quanto
16. Ad esempio Luigi Meneghello, Libera nos a malo, Rizzoli, Milano 2006.
Stefania Ferrando | Che ci fa qui la psicoanalisi? Povertà, miseria, maniere | 213
una delle cose che mi hanno più colpito come differenza era di tendere la
mano, di tendere la mano perché ci mettessero dei soldi. Dopo non ce ne
accorgiamo addirittura nemmeno più. Ma conservo il ricordo dell’emer-
genza di questa piccola conca, così, dove, finalmente, si deposita un’offerta
al mendicante, al fannullone. Vi sono, a volte, dei praticanti che, per molto
17. E. Macola e A. Brandalise, “Le difficoltà del nascere”, in Via Dogana. Rivista di pratica poli-
tica, n. 34/35, dicembre 2007, p. 7.
18. Jacques-Alain Miller, “Il segno dell’amore”, cit., p. 30.
214 | attualità lacaniana n. 12/2010
tempo, mantengono una sorta di senso di colpa nell’essere pagati per non
fare niente. Non è il caso mio 19.
non vi sono buone maniere – chiosa Miller – che quelle che contornano il
buco, una mancanza, un non c’è. Le buone maniere sono il sembiante che
Parole chiave: politica della psicoanalisi, topica dei discorsi, reale, disagio,
godimento
2. Questo interrogativo si presenta come un’ulteriore determinazione della questione che sostie-
ne lo scritto di A. Badiou e S. Lazarus, È pensabile la politica?, Franco Angeli, Milano 1987, al
cui fondo si dovrebbero rintracciare con precisione alcuni concetti lacaniani.
3. Per un’esposizione chiara e completa dei quattro discorsi si veda M. Recalcati, Per Lacan,
Borla, Roma 2005, pp. 80-114. Silvia Cimarelli, “Una lettura introduttiva ai quattro discorsi di
Lacan”, in Attualità Lacaniana, n. 11, 2010, pp. 147-186.
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 219
4. A. Di Ciaccia e M. Recalcati, Jacques Lacan. Un insegnamento sul sapere dell’ inconscio, Mon-
dadori, Milano 2000.
5. Si veda S. Givone, “Mantenersi all’esterno”, in La Psicoanalisi, 11, 1992.
6. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XIV, La logique du fantasme, 1966-1967, (inedito). Visto che il
seminario è inedito si cita dalla trad. it. di J. -A. Miller, “Intervento al convegno La Primavera
della psicoanalisi”, in La Psicoanalisi, 33, 2003, pp. 134-148, qui p. 134.
220 | attualità lacaniana n. 12/2010
si profila come conseguenza della mossa con cui egli riconosce nella
materialità del significante il fattore determinante per la costituzione
soggettiva. Il linguaggio, descrivendo nel duplice scorrimento delle serie
lacaniane il ruolo del significante padrone (), contiene già la matrice
politica dell’inconscio 7. Lacan torna più volte su questo tassello del
suo ragionamento, spingendoci a comprendere che “se non esistesse il
linguaggio, non esisterebbe il padrone, che il padrone non si dà mai
per forza o, semplicemente, perché comanda, e che poiché il linguaggio
esiste, voi ubbidite […]” 8.
Qui la teoria della Vorstellungsrepräsentanz (facente-funzione della
rappresentazione) si esplica nel rapporto tra il significante padrone e la
batteria dei significanti (). Si tratta di un meccanismo che inscrive il
soggetto nel sociale: il soggetto sorge dal movimento seriale per cui un
significante lo rappresenta presso un altro significante in uno scorri-
mento che non ne fornisce la Vorstellung (rappresentazione; non si tratta
infatti di un’immagine ma del facente-funzione della rappresentazione
di cui parla Freud 9) ma l’alienazione. Il soggetto è colto dal discorso
dell’Altro, è rappresentato presso l’Altro, cioè è estroflesso dalla propria
chiusura individuale e innestato nella dimensione sociale, culturale:
questa socialità lacaniana, se la si può chiamare così, è senza dubbio
profondamente polemologica.
La teoria “linguistica” su cui Lacan innesta il suo “ritorno a Freud”
costituisce già una logica intrinsecamente politica. Proprio per questo
l’analisi dei dispositivi discorsivi che attraversano il piano socio-politico
del moderno e del contemporaneo appare a Lacan come lo strumento
più idoneo: ci sono quattro discorsi (del padrone, dell’isterica, dell’uni-
versità, dell’analista), quattro posti sempre identici (agente, Altro,
7. Sul rapporto tra potere e linguaggio e in particolare tra potere e parola in psicoanalisi si è
soffermato M. Focchi, Il cambiamento in psicoanalisi, Boringhieri, Torino 2001, cap. XIII, pp.
187-196.
8. J. Lacan, Lacan in Italia, La Salamandra, Milano 1978, p. 47.
9. Si veda J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi 1959-1960, Einaudi, Torino
1994, pp. 75-77.
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 221
Per Lacan, come per Foucault 11, ciò che è in gioco nel discorso è il
potere nelle sue relazioni con i termini con cui si trova strutturalmente
connesso, come la verità, il soggetto e il desiderio. Questa precisazione
che connette l’insegnamento lacaniano ai moduli della scienza politica
moderna, innesca allo stesso tempo una precisa pratica testuale e con-
cettuale rivolta ai classici del discorso filosofico. La filosofia, secondo
Lacan, è rea di aver offerto la spalla al padrone, rigorizzandone le prete-
se: la filosofia è scienza del padrone in quanto fonda il furto del sapere
su cui si regge (non senza qualche nitido richiamo a Marx) la padro-
nanza 12. Di fronte a questa critica radicale della filosofia, la psicoanalisi
s’impegna in un lavoro anti-filosofico che non intende identificarsi con
il discorso del padrone: un lavoro che non significa in alcun modo un
abbandono della filosofia ma un continuo attraversare ed interrogare
quest’ultima per riportare alla luce la rete concettuale che essa non ha
pensato fino in fondo, come è il caso del concetto di desiderio. La stessa
13. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Tori-
no, Einaudi 2003.
14. Si veda M. Recalcati, “Posizione del soggetto nel legame sociale. Disagio, desiderio, godi-
mento”, in La Psicoanalisi, n. 12, 1992, pp. 77-86.
15. Rispettivamente in S. Freud, Opere, Boringhieri, Torino 2005, vol. VII, pp. 1-164; Opere
IX, 2006, pp. 257-330; in Opere, 2006, vol. X, pp. 553-630.
16. G W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 2010.
17. Sulla questione della coincidenza tra reale e razionale si veda J. Lacan, “Conferenze sull’etica
della psicoanalisi” (1960), in La Psicoanalisi, n. 16, 1994.
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 223
18. L’intenso ragionamento lacaniano sulla denegazione, che qui abbiamo solo richiamato, si
sviluppa intorno all’intervento sul tema di Hyppolite nel corso del primo seminario di Lacan.
Ciò che emerge è come il rimosso non possa essere completamente tolto anche quando l’accet-
tazione intellettuale sembrerebbe produrne una prima negazione. La ripetizione di un nucleo
rimosso non toglibile (non soggetto ad Aufhebung) rappresenta il punto di stacco tra la dialettica
hegeliana e la sua rilettura in Lacan. Su questo tema si veda S. Freud, La negazione, in Opere,
Boringhieri, Torino 2006, vol. X, pp. 193-221. L’intervento di Hyppolite si trova in J. Lacan,
Scritti, cit., pp. 885-893. Si veda anche E. Macola e A.Brandalise, “La negazione e il soggetto
dell’inconscio. A proposito del Seminario IX ”, in La Psicoanalisi, n. 26, 1999, pp. 135-144. Per
la lettura di Lacan si veda Ibidem, pp. 361-372 e 373-390. Su tali questioni anche W. Ver Eecke,
Denial, Negation and the Forces of Negative. Freud, Hegel, Lacan, Spitz and Sophocles, Suny Press,
New York 2005.
19. Si veda in particolare J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi 1959-1960,
cit., pp. 32-37.
224 | attualità lacaniana n. 12/2010
20. E. Macola, Introduzione a J. Alemàn, L’antifilosofia di Jacques Lacan, Franco Angeli, Milano
2003, p. 14.
21. Si veda il brillante saggio di M. Focchi, “Gli attacchi di panico”, in E. Macola - A. Turolla,
Scenari dell’Angoscia, Borla, Roma 2008, pp. 172-195, dove tra gli altri temi si mette in risalto la
forte connessione fra panico e disgregazione della vita contemporanea, quindi fra psicoanalisi e
campo socio-politico (p. 187).
22. Ora bisognerebbe capire se il target colpito da Lacan sia il vero Hegel o, come ci pare più
probabile, l’Hegel di Kojève, della fine della storia, del compimento della dialettica: ciò non
toglierebbe nulla alla forza del discorso lacaniano ed anzi permetterebbe di comprendere come
la filosofia hegeliana mostri una spiccata affinità teoretica con quest’ultimo.
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 225
23. Si veda in particolare J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, 1972-1973, Einaudi,
Torino 1983. Su tale posizione lacaniana si innesta e trae spunto l’incisiva ed autonoma ana-
lisi di J.L. Nancy, Il “c’ è” del rapporto sessuale, Sé, Milano 2002. Su questi punti si veda anche
A. Badiou e B. Cassin, Il n’y a pas de rapport sexuel. Deux leçons sur “L’Étourdit” de Lacan,
Fayard, Paris 2010.
24. J. Lacan, Il Seminario, Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi, 1969-1970, cit., p. 61.
226 | attualità lacaniana n. 12/2010
La dimensione politica del discorso del padrone non sta tanto in ciò
che è inquadrato dal suo occhio di bue (le istituzioni, lo Stato, i suoi
problemi socio-economici) quanto invece nell’indice di totalizza-
zione, nell’istanza di chiudere il circolo della sovranità, della legge
e della sicurezza. Tale indice combacia in modo imbarazzante con
il fondamento umanistico delle scienze, la filosofia e la psicologia
cognitiva su tutte, ovvero l’io (moi). Il discorso del padrone è, come
dice Lacan, una io-crazia 26, e cioè un’istanza e un’azione rivolte
all’omologazione, al divieto: ciò che il padrone chiede è di rinunciare
al desiderio 27. In questo modo, perpetuando il disagio della civiltà,
esso promuove l’applicazione della regola senza alcuna eccezione.
Questa funzione unificante che si trova al posto dell’agente è proprio
quella dell’io che annulla la presa di consapevolezza del disagio della
barratura della S. Il discorso di Lacan (politica della psicoanalisi) non
si configura mai come progetto freudo-marxista (psicoanalisi della
politica). Quest’ultima posizione teorico-pratica tende, infatti, a con-
formare la realtà al desiderio, nella convinzione che sia possibile indi-
viduare sul piano sociale i referenti del potere e che la loro elimina-
zione ci libererà dalla padronanza e dal disagio. Lacan insegna invece
agli studenti di Vincennes, che la sovversione come eliminazione del
disagio e del referente del padrone non portano che alla creazione di
un nuovo padrone. La via lacaniana, negandosi come pratica sempli-
cistica di annullamento del disagio, s’impegna nella rielaborazione
e nella lavorazione dei termini e dei concetti che costituiscono il
dispositivo discorsivo della padronanza: è questo il primo compito
“politico” del discorso dell’analisi.
A tal proposito può essere significativo richiamare la netta opzione
con la quale J. A. Miller bipartisce il pensiero politico contemporaneo
e frustra le illusioni democratiche di certi ambienti psicoanalitici: Kel-
sen vs Schmitt. 28 Miller si rivela piuttosto critico nei confronti di Kel-
sen, e della politica dell’uomo di sinistra, il fool (il semplice, lo sciocco
ma insieme anche il buffone) di Lacan 29, che tenta di rattoppare
l’astrazione pseudo-umanistica del “tutti uguali”. La considerazione
di Miller tocca il punto in questione quando dice che la formulazione
attribuibile a Kelsen, quella di uno Stato che amministra senza gover-
nare, è il vero sogno della democrazia, ed in quanto tale va analizzato
sul doppio piano di ciò che manifesta e di ciò che cela, dato che esso
ha già proceduto al suo spostamento e alla sua condensazione.
Il concetto di democrazia racchiude, infatti, il nocciolo politico intor-
no a cui gira la proliferazione degli usi della parola “democrazia” e il
nostro appellarci ad essa. Ed è proprio perché quel nocciolo concettuale
viene puntualmente mancato che noi possiamo credere che sarà la
democrazia, con i suoi strumenti (il potere costituente, la rappresentan-
za), a sopprimere i vincoli che costringono la nostra libertà, a rimuovere
alla fine la stessa peculiarità della politica, la sua natura conflittuale.
L’ingenuo atteggiamento di chi si appella alla democrazia per vincere la
stretta del potere rivela impietosamente come la libertà e il potere stes-
so non siano altro che il nucleo ossimorico, ma non per questo meno
28. Si veda J.-A. Miller, “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, nn. 11-18, 1992-1995,
qui pp. 183-191.
29. J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi 1959-1960, cit., pp. 230-233. Si
veda S. Žižek, “Lacan ovvero l’ontologia del godimento”, in Aut Aut, n. 315, 2003, pp. 29-41.
228 | attualità lacaniana n. 12/2010
30. Si veda S. Chignola e G. Duso (a cura di), Sui Concetti politici e giuridici dell’Europa, Franco
Angeli, Milano 2005, pp. 65-100 e 159-193; G. Duso, La logica del potere. Storia concettuale come
filosofia politica, Laterza, Roma-Bari 1999.
31. A. Brandalise, “Democrazia e decostituzionalizzazione”, in Filosofia Politica, n. 3, dicembre
2006, pp. 403-414, qui p. 403.
32. Si veda G. Rametta, “Le ‘difficoltà’ del potere costituente”, in Filosofia Politica, n. 3, dicem-
bre 2006, pp. 391-401.
33. Si veda A. Brandalise, “Democrazia e decostituzionalizzazione”, cit., p. 411.
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 229
34. Per un originale approfondimento della specificità della clinica psicoanalitica si veda M.
Recalcati, “L’ideale della salute e il reale del sintomo? Sulla singolarità nella pratica della psicoa-
nalisi”, in Aut Aut, n. 340, 2009, pp. 134-152.
230 | attualità lacaniana n. 12/2010
35. Contro l’ideologia del “tutti uguali” si muove nella sua complessa tattica “nomade” anche il
pensiero di Nietzsche (si veda per la sua chiara sinteticità F. W. Nietzsche, Ecce Homo, Adelphi,
Milano 2007).
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 231
36. Si veda J. Lacan, Il Seminario, Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi, 1969-1970, cit., p. 131.
37. Sui rapporti tra Lacan e Marx rimandiamo a J. Alemàn, L’antifilosofia di Jacques Lacan, cit.,
pp. 91-104.
38. A questo proposito si veda la chiara spiegazione di M. Recalcati, “Posizione del soggetto nel
legame sociale. Disagio, desiderio, godimento”, cit., p. 86.
232 | attualità lacaniana n. 12/2010
39. Y. Stavrakakis, Lacan and Political, Routledge, London/New York 1999, p. 86. “la priorità
di un reale che, per quanto non sia rappresentabile, può ciò nonostante essere incontrato nell’in-
successo di ogni costruzione” (traduzione nostra).
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 233
40. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, cit.,
p. 53.
41. Su questo “vuoto non rappresentabile” si veda E. Macola e A. Brandalise, Bestiario lacania-
no, Milano, Mondadori 2007, pp. 7-11.
234 | attualità lacaniana n. 12/2010
con cui far interagire il politico, conduce alla sostituzione della giu-
stizia con la sicurezza, della plurivocità delle relazioni politiche con la
monocromaticità del “tutti uguale”. Le trame del discorso del padrone,
l’estensione di quello burocratico, la tenacia di quello capitalistico, nel
proclamare la necessità di un potere in grado di realizzare la sua tota-
lità, di un godimento senza perdita, finiscono per essere degli schermi
che ci mantengono al riparo dalla tyche, intesa come quella causalità che
è sempre in grado di creare le condizioni per una riapertura del circolo
della realtà socio-politica e dei quadri categoriali delle discipline che la
eleggono a loro oggetto preferenziale.
Di fronte alla capacità discorsiva con cui il capitalismo sembra mostrarci
la nudità della realtà politica ed economica, la sua autentica bontà (i pro-
dotti sono sempre diretti ai nostri bisogni, i nostri rappresentanti garan-
tiscono le nostre esigenze presso qualcun altro che poi le rappresenterà a
sua volta, i padroni formalmente spariscono), la reazione, se di reazione
si tratta, non può essere quella del discorso dell’isterica. Qui si gioca
molta della forza (o della debolezza) delle logiche politico-partitiche alle
quali ci richiamiamo. Se le pagine del seminario settimo in cui Lacan
parla del fool e dello knave (il furfante, il briccone, la canaglia) riman-
gono giustamente celebri, è proprio perché raddoppiano l’amara consta-
tazione delle parti che esauriscono il copione del teatro politico: da una
parte l’isterico, con la sua trasgressione “localizzata” o “localizzabile”
tramite cui crede di essersi ripreso parte della jouissance che l’Altro gli
avrebbe sottratto, dall’altra l’ossessivo che si spende per la proliferazione
degli slogan e delle campagne di partito, dietro alle quali riposa la ripe-
tizione della stessa storia e della sua stessa narrazione. Solo l’intellettuale
di sinistra (il fool) e quello di destra (lo knave) abitano questo teatro.
La psicoanalisi individua nel discorso della Civiltà e in quello del
capitale un meccanismo atto a chiudere il “posto vuoto” dell’incontro
con il reale, saturare e risolvere il punto non-rappresentabile che sta al
“centro” della fondazione tanto del soggetto quanto della costruzione
sociale. In questo suo sguardo la psicoanalisi agisce come il rovescio del
Nicolò Fazioni | Politica del reale, politica della tyche. Appunti su psicoanalisi e politica | 235
42. J.-A. Miller, Pezzi staccati. Introduzione al Seminario XXIII, “Il sinthomo”, Astrolabio,
Roma 2006, p. 107.
43. J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti, Einaudi, Torino
2002, pp. 580-642, qui p. 633.
44. J. A. Miller, Pezzi staccati, cit., p. 104.
45. J. Lacan, Lacan in Italia, cit., p. 45.
236 | attualità lacaniana n. 12/2010
complessità e psicoterapia.
esplorazione e fondazione
delle condizioni di possibilità
della prassi di cura
di Giuseppe Rociola *1
* Giuseppe Rociola è psicologo e psicoanalista, già membro ordinario della SIPRe (Società
Italiana di Psicoanalisi della Relazione) e dell’IFPS (International Federation of Psychoanalytic
Societies). Insegna “Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione” e “Scienze e Tecniche della
Riabilitazione Psichiatrica” presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi
di Roma Tor Vergata; è strutturato presso l’Unità Operativa di Psichiatria del Policlinico dello
stesso Ateneo. Si occupa dei temi della coscienza, della complessità e dei processi neurofisiologici
affettivo-cognitivi in soggetti psicotici.
introduzione
1. S. Freud e J. Breuer, Studi sull’Isteria, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1989, vol. I, pp.
437-8.
2. Convenzionalmente si può attribuire una prima formalizzazione di questo paradigma ad E.
Morin, Introduction à la pensée complexe, Seuil, Parigi 1990; trad. it., Introduzione al pensiero
complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993 ed a I. Prigogine e I. Stengers, La Nouvelle Allian-
ce, Gallimard, Parigi 1979; trad. it. La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi,
Torino 1981. Una buona e recente panoramica si può reperire nel testo di Réda Benkirane,
La Complexité, vertice ou promesses: 18 histoire de sciences, Le Pommier, Parigi 2002; trad. it.
La teoria della complessità, Bollati Boringhieri, Torino 2007. Da circa un decennio questo
paradigma è stato, diciamo così, ufficializzato come paradigma concorrente attraverso la pub-
blicazione di due dossier speciali degli autotri R. Gallagher, R. Appenzeller, “Beyond Reduc-
tionism”, in Science e Nature, Science, vol. 248, n. 5411, 1999; K. Ziemelis, Complex Systems,
Nature, vol. 410, n. 6825, 2001.
3. O. Nicrosini, Aspetti teorici generali: la complessità. Intervento al convegno “Scienze, super-
computing e grid computing”, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Roma 2004,
testo disponibile al sito: http://www1.unipv.it/complexity/press/complexity_Nicrosini.pdf.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 239
relazione
complessità
5. Treccani, Vocabolario della lingua italiana, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1997.
6. R. Rosen, Essays on Life Itself, Columbia University Press 2000.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 241
il sistema complesso
10. Il termine indica sia la capacità di resistere a forze di rottura che l’attitudine a riprendere,
dopo una deformazione, l’aspetto originale.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 243
Figura 2
emergenza
Le proprietà che emergono nel sistema complesso – come nel caso del
nostro formicaio – non sono predicibili in quanto rappresentano un
nuovo livello di evoluzione. Ciò è dovuto al fatto che i comportamenti
sistemici non sono proprietà dei singoli agenti.
Una delle ragioni per cui si verifica un’emergenza è che il numero di
interazioni non-lineari tra le componenti di un sistema aumenta com-
binatoriamente con il numero delle componenti stesse. Alcuni esempi
di sistemi complessi sono gli ecosistemi, i grandi sistemi sociali, quelli
economici e gli organismi viventi.
Questo è l’ambito concettuale in cui ci muoveremo per affrontare la
244 | attualità lacaniana n. 12/2010
nostra pertinenza, che non sarà l’uomo dal punto di vista della medi-
cina o della chimica o della sociologia. Non sarà il cervello che sicu-
ramente è un sistema complesso bio-chimico-elettrico 11. Non sarà la
società umana, sistema complesso, frutto del comportamento statistico
– e a questo livello “cieco” – di migliaia e milioni di individui.
Noi ci occuperemo di quel fenomeno che emerge dall’interazione fra
l’embodied brain 12 ed il mondo: la mente, dispositivo degli organismi
viventi deputato alla gestione della relazione con l’ambiente e, al con-
tempo, frutto di quella stessa interazione 13.
11. G.M. Edelman e G. Tononi, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazio-
ne, Einaudi, Torino 2000.
12. A. Damasio, Emozione e coscienza. Adelphi, Milano 2000.
13. D. J. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, R. Cortina,
Milano 2001.
14. J. LeDoux, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo, Raffaello
Cortina, Milano 2002; Damasio, Emozione e coscienza, cit..
15. P.L. Assoun, Introduzione all’epistemologia freudiana. Theoria, Roma-Napoli 1988.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 245
the therapeutic alliance in psychotherapy and pharmacotherapy outcome: findings, in The National
Institute of Mental Health Treatment of Depression Collaborative Research Program, J. Consul.
Clin. Psychol. 64:532-539, 1996.
20. H. H. Strupp e S. W. Hadley, Specific vs. nonspecific factors in psychotherapy: a controlled
study of outcome, Arch.. Gen Psychiatry 36:1125-1136, 1979.
21. G. Tononi, Galileo e il fotodiodo. Cervello, complessità e coscienza, Laterza, Bari 2003; R.
Nobili, Basi fisiche della complessità biologica e genesi della coscienza, 2001. Testo disponibile al
sito: http://www.psychiatryonline.it/ital/nobili.htm.
22. R. Rosen, Essays on Life Itself, cit..
248 | attualità lacaniana n. 12/2010
23. E. Morin, “Computo, ergo sum”, in Ricerca Psicoanalitica, XVIII, 3:263-282, 2007.
24. H. H. Pattee, “The physics of symbols: bridging the epistemic cut”, in Biosystems. 60:1-3,
pp. 5-21, May 2001.
25. J. L. Le Moigne, “I tre tempi della modellizzazione dei sistemi: entropico, antropico, teleolo-
gico”, in Ricerca Psicoanalitica, XVIII, 3: 283-298, 2007.
26. E. Tronik, “Dyadically expanded states of consciousness and the process of therapeutic
change” in Infant Mental Health Journal, XIX, 3:290-99, 1998.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 249
tare una terra straniera dove tutto per lui è allegoria e corrispondenza
arbitraria: la terra del linguaggio simbolico delle società umane.
In questo senso, per comprendere il mentale umano dobbiamo fare un
passo ulteriore rispetto al fenomeno emergenziale della mente – vedi
la “Teoria del complesso cosciente” di Tononi 27 – e definire il mentale
umano come quel complesso cosciente linguistico. Sosteniamo che sia
proprio il linguaggio il fattore che determina l’emergenza di un domi-
nio specifico il quale, rispetto alle altre forme mentali, va molto al di
là dei processi di regolazione automatica e procedurale, mettendo in
secondo piano (non certo escludendo) gli aspetti strutturali e funzionali
dei processi psicofisiologici sottostanti.
L’eccezionalità del linguaggio dell’essere umano, che ciascuno coglie
con l’intuito, consiste nel fatto che “pur avendo altre specie di animali
un linguaggio, si tratta sempre di forme rudimentali non paragonabili
né qualitativamente né quantitativamente al linguaggio umano” 28. E
sono proprio “quantità” e “qualità” (caratteristiche chiave nel PdC) del
linguaggio simbolico del Sapiens a produrre le condizioni di possibilità
della complessità e quindi l’ulteriore emergenza del mentale umano che
chiamiamo “psiche”.
Non siamo soli nella contemplazione di questa straordinarietà che si fa
peculiarità: Edelman (ibidem) sostiene che “la riflessività autocosciente
dell’uomo s’inscrive nell’orbita del linguaggio e sorge in concomitanza
ad esso”. Maturana afferma che “noi esseri umani siamo sistemi viventi
che esistono nel linguaggio” e chiama l’essere umano il linguaggiante 29
– espressione che ricorda il precedente parlessere di Lacan. Varela consi-
dera la sua eccentrica coscienza inseparabile “dalla vita del linguaggio,
dall’intero ciclo dell’interazione empatica socialmente mediato” 30.
il linguaggio
33. “Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce attraverso tutti i pori”,
S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’ inconscio, in Opere, cit..
34. S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, in Opere, cit., vol. IV.
35. G. A. Miller, Linguaggio e parola, Il Mulino, Bologna 1983.
36. J. L. Austin, Come fare cose con le parole. Trad. it. Marietti, Genova 1987.
37. E. M. Macphail, The Evolution of Consciousness, Oxford University Press, Oxford-New York.
252 | attualità lacaniana n. 12/2010
38. H. Prior, A. Schwarz, O. Güntürkün, Mirror-Induced Behavior in the Magpie (Pica pica):
Evidence of Self-Recognition, PLoS Biol. August, 6(8): e 202, 2008.
39. Una simile facoltà era stata documentata in alcuni primati: M. D. Hauser, J. Kralik, C. Bot-
to-Mahan, M. Garrett, J. Oser, Self-recognition in primates: phylogeny and the salience of species-
typical features, Proc. Natl. Acad. Sci. U S A, nov. 7;92(23):10811-14, 1995. Nei delfini: D. Reiss,
L. Marino L., Mirror self-recognition in the bottlenose dolphin: a case of cognitive convergence, Proc.
Natl. Acad. Sci. U S A, May 8;98(10):5937-42, 2001. Negli elefanti: J. M. Plotnik, F.B.M de
Waal, D. Reiss, “Self-recognition in an Asian elephant”, in Proceedings of the National Academy of
Sciences, vol. 103, n. 45, 2006. Si trattava comunque di mammiferi con grossi cervelli e dotati di
neocorteccia. Ha suscitato molte questioni il fatto che ne sia capace anche un uccello, che ha una
linea evolutiva molto diversa dai mammiferi ed un cervello così “primitivo”. Potremmo ipotizza-
re che la capacità di riconoscere se stessi (la propria immagine) sia l’apice evolutivo del processo
informazionale immaginario. Questa psicologia comparata avvalla l’intuizione lacaniana di un
io di natura sostanzialmente immaginaria.
40. J. M. S. Ellis, T. A. Langen & E. C. Berg, “Signalling for food and sex? Begging by repro-
ductive female white-throated magpie-jays”, in Animal Behaviour, vol:78(3), 615-623, 2009.
41. A. Avarguès-Weber, G. Portelli, J. Benard, A. Dyer, M. Giurfa, Configural processing ena-
bles discrimination and categorization of face-like stimuli in honeybees, J. Exp. Biol. Feb, 213(Pt
4):593-601, 2010.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 253
Ciò vuol dire che se anche è possibile reperire differenze fra un alveare
e l’altro o fra un pod di delfini e l’altro i significati sono pre-fissati. Tale
comunicazione si può attestare più che altro sull’emozione o l’intenzio-
ne di quel preciso momento, in uno stato confusivo, come è l’immagi-
nario del sé e dell’altro; quella umana, simbolica, è non-finita e separata
dal significato: non è l’unità della parola che determina un significato
in maniera inequivocabile, bensì è la catena, la successione, il discorso
che genera un significato. Questa distanza dal significato 42 al contempo
permette di riferirsi anche alla non attualità, oppure alla descrizione
dello stato di un altro individuo percepito come altro da sé 43. Difatti,
è il linguaggio umano che propriamente introduce l’alterità. Una scim-
mia non può riferire di un avvenimento accaduto ad un’altra scimmia
e un’ape non può indicare con la sua danza dove spera di trovare cibo
domani. Un’ape costruirà sempre celle esagonali; gli architetti hanno
progettato un’innumerabile varietà e continueranno a farlo. Il linguag-
gio simbolico umano produce un processamento informazionale radi-
calmente diverso, basato su di un’astrazione fondamentale, originaria,
attraverso cui la corrispondenza con la cosa, Das Ding, è definitivamen-
te perduta. È attraverso questa strada che si accede di diritto o, quanto-
meno, di potenzialità al genere umano.
Tale astrazione non può che nascere all’interno di un’interazione pri-
maria con i caregiver, vere e proprie agenzie di linguaggio. Nell’ontoge-
nesi il linguaggio continua a venire da fuori per ogni infante; inoltre è
“esterno”, “altro” non solo perché lo precede ma anche nel senso che esso
può essere considerato come l’espressione di un processo di progressiva
ritualizzazione del riconoscimento delle relazioni sociali 44. Il linguaggio
è relazione, è interiorizzazione di relazioni, è trascrizione di relazioni.
42. Con la conseguente proprietà ricorsiva del linguaggio umano, cioè che un enunciato possa
essere oggetto di un altro enunciato.
43. Lo aveva già notato Aristotele; vedi Id., Politica, Il Mulino, Bologna 2009.
44. I. Eibl-Eibesfeldt et al., Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento,
Bollati Boringhieri, Torino 1993.
254 | attualità lacaniana n. 12/2010
48. J. Bowlby, Attaccamento e perdita: La separazione dalla madre, Boringhieri, Torino 1975, vol. II.
49. Abbinamento è da intendersi couplage (Varela, ibidem); a-ccordarsi, per via etimologica, ha il
senso di con-venire, in-tendersi attraverso o, meglio, nel couplage; per attuale si intende l’ambien-
te in atto, così com’è; vivere, infine, ha il senso di stare-al-mondo.
50. L. Sander, “The regulation of exchange in the infant-caretaker system and some aspect of
the context-content relationship”, in M. Lewis, L. Rosenblum (a cura di), Interaction, Conversa-
tion, and the Development of Language, Wiley.
51. B. Beebe e F. M. Lachmann, Infant Research e Trattamento degli Adulti. Un modello sistemico
diadico delle interazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003.
256 | attualità lacaniana n. 12/2010
53. C. Albasi, Attaccamenti traumatici. I Modelli Operativi Interni Dissociati, Utet, Torino.
54. R. A. Adcock, C. Dale, M. Fisher, S. Aldebot, A. Genevsky, G. V. Simpson, S. Nagarajan,
S. Vinogradov, When top-down meets bottom-up: auditory training enhances verbal memory in
schizophrenia, Schizophr. Bull. Nov.; 35(6):1132-41.
55. J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1994. Il termine
va qui inteso nel senso “dell’apporto specifico della rivoluzione freudiana riguardo il rapporto
dell’azione con il desiderio che la abita; desiderio che comporta la dimensione dell’Inconscio”.
56. Non a caso altro cavallo di battaglia della scuola dell’implicito.
57. E. Kohler, C. Keysers, M. A. Umiltà, L. Fogassi, V. Gallese, G. Rizzolatti (2002), Hea-
ring sounds, understanding actions: action representation in mirror neurons in Science, Aug. 2;
297(5582):846-8.
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il soggetto sapiens
65. Il dolore inerisce la coscienza sensoriale, in quanto conseguenza di uno stimolo potenzial-
mente nocivo per la sopravvivenza dell’organismo: la sofferenza umana che ogni clinico “psi”
osserva e cura quotidianamente quasi sempre non ha nulla a che fare con una reale minaccia alla
sopravvivenza. Inoltre, se non si ponesse questa distinzione si dovrebbe sostenere che gli altri
animali, compresi i primati superiori, non provano dolore, come fa Macphail (E. M. Macphail,
The Evolution of Consciousness, cit.).
66. J.-A Miller, Logiche della vita amorosa, cit..
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67. S. Freud, Ricordare, ripetere e rielaborare, in Opere, cit., vol. VII, pp. 355-56.
68. U. Neisser, Conoscenza e realtà, Il Mulino, Bologna 1981.
69. L. Luborsky, “Measuring a pervasive psychic structure in psychotherapy: The core conflic-
tual relationship theme”, in Freedman e Grand (a cura di), Communicative structures and psychic
structures,), Plenum Press, New York 1997, pp. 367-95.
70. R. Rosen, Anticipatory Systems: Philosophical, Mathematical and Methodological Foundations,
Pergamon Press, Oxford 1985.
71. D. N. Stern, Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri, Torino 1987.
72. J. D. Lichtenberg, Psicoanalisi e sistemi motivazionali, Cortina Raffaello, Milano 1995.
264 | attualità lacaniana n. 12/2010
mentre assediava la città di Tiro, nel 332 a.C. sognò un satiro che danzava su uno scudo; inter-
rogò un interprete di sogni il quale gli disse che il satiro in realtà stava per sa Tyros che in greco
significa “Tiro è tua”. Dopo alcuni giorni, Alessandro Magno entrò in Tiro. Freud scrive che
fu un’ottima interpretazione. Anche Socrate utilizzò questo particolare tipo di interazione, J.
Lacan, Il Seminario, Libro VIII, Il transfert, Einaudi, Torino 2008.
75. J. L. Deneubourg, “Emergenza e insetti sociali” in Réda Benkirane (a cura di), La teoria
della complessità, cit..
266 | attualità lacaniana n. 12/2010
76. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi,
Torino 2003.
Giuseppe Rociola | Complessità e psicoterapia. Esplorazione e fondazione delle condizioni di possibilità della prassi di cura | 267
77. O. Renik, Psicoanalisi pratica per terapeuti e pazienti, Cortina Raffaello, Milano 2007.
78. Anche in presenza di complessità, si ricorre spesso all’ipotesi di linearità per finalità applica-
tive. In questo modo, si costruiscono modelli lineari approssimati in modo tale che gli effetti di
non-linearità siano trascurabili: tale procedimento si chiama linearizzazione. Per esempio tutti
gli amplificatori audio sono non-lineari ma, entro certi limiti di frequenza, al fine di utilizzare i
più semplici, come i più sofisticati, impianti hi-fi presenti nelle nostre case, con alcuni accorgi-
menti tecnologici, si fa in modo che esso si comporti in modo lineare.
79. S. Seligman, Le Teorie dei Sistemi Complessi come meta-inquadramento della Psicoanalisi.
Ricerca Psicoanalitica, XVIII, 3:309-346, 2007.
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concludendo
80. “Quod est inferius, est sicut quod est superius”, si legge nella Tabula Smaragdina.
81. Da un’intervista di Fabio Pagan sul quotidiano “Il Piccolo” del 3 giugno 2003, consultabile all’in-
dirizzo internet: http://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2003/06/03/NZ_23_PAG1.html.
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82. Ibidem.
83. P.L. Assoun, Introduzione all’epistemologia freudiana, cit..
84. E. Morin, Il complesso, ciò che è tessuto insieme in Réda Benkirane (a cura di), La teoria della
complessità, cit..
parte se t tima
let ture
273
maurizio mazzotti
Prospettive di psicoanalisi lacaniana
Borla, Roma 2009
* Carmelo Licitra Rosa, A.E., medico, psichiatra, membro SLP, docente dell’Istituto Freudiano,
iscritto all’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine dei Medici di Roma.
di Alide Tassinari
viene cercato nel simbolico dove al contrario c’è l’assenza. Per questo
Lacan introduce la femminilità come non-tutta nel simbolico, qualcosa
rimanda a un al di là. La tesi di Paola Francesconi è che una donna nel
suo rapporto con l’enigma della femminilità è una identità senza attri-
buto. Da questa constatazione ogni donna, per dirsi tale, deve trovare
un nome che la possa dire, in una identità senza attributo, sospesa nel
vuoto di significazione. Ma questo vuoto, questo mancare, secondo la
tesi lacaniana porta alla possibilità per una donna di trovare un percorso
ancora più originale e creativo perché le possibili variazioni sono infinite
quante sono le donne che si collocano al lato destro dello schema della
sessuazione elaborato da Lacan e presentato nel suo seminario Ancora.
Anche il contributo di Rossella Ghigi è centrato sul corpo e sulla sua
plasticità conosciuta fin dall’antichità: fin dall’origini dell’umanità il
corpo viene manipolato, abbellito, martoriato, esaltato, disprezzato,
velato, esposto. L’autrice descrive in questo saggio storico-sociologico
le origini della chirurgia plastica oggi divenuta estetica. Ciò che stava
alla base della chirugia palstica era la necessità di un rifacimento di una
parte del corpo proprio teso a nascondere segni (il naso, il taglio degli
occhi, le orecchie a sventola) che con la loro presenza rimandavano a
appartenenze, a gruppi sociali non adeguati socialmente e vissute come
inferiori; oggi non è più così dal corpo plastico si è giunti, grazie alla
chirurgia, al corpo estetico. Oggi è impellente la necessità di dare una
forma estetica a un corpo intero per uniformarlo a un modello di corpo
ritenuto perfetto. Si cerca non più una modificazione per essere inclusi
in una società e essere uguali agli altri ma una richiesta di intervento
che si sostanzia di una sempre più profonda e illusoria padronanza sul
corpo proprio inteso come oggetto, per essere come il modello. Un
narcisismo esasperato utilizzato per contrastare le contraddizioni vissute
dal soggetto in relazione alla società e per evitare di incontrare il limite
di ciò che Freud con la scoperta dell’inconscio decretò essere la non
padronanza assoluta con quel “nessuno è padrone a casa propria.”
Gli ultimi quattro saggi: “Il lavoratore flessibile” di Valerio Romitelli,
282 | attualità lacaniana n. 12/2010
matteo bonazzi
Scrivere la contingenza. Esperienza, linguaggio, scrittura
in Jacques Lacan
Edizioni ETS, Pisa 2009
di Adone Brandalise * 1
* Adone Brandalise, Docente di Teoria della letteratura all’Università di Padova, direttore del
master di studi Interculturali.