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1. Processo diagnostico
Definizione e caratteristiche
Alcuni autori sottolineano come la terminologia “processo psicodiagnostico” sia maggiormente
funzionale rispetto alla dizione “diagnosi”, intendendo il processo per mezzo del quale si cerca di
conoscere il funzionamento psichico di un dato soggetto (problematiche, punti di forza o debolezza,
struttura difensiva, modalità relazionali) e di fornirgli una denominazione basata su una terminologia
condivisa dalla comunità scientifica.
È interpretabile come un iter che va dalla diagnosi alla formulazione del caso, utile per la
strutturazione del trattamento.
Deve condurre ad una descrizione sistematica che risponda a requisiti
- Di specificità (che cosa caratterizza quel dato individuo?)
- Di generalizzabilità (che cosa ha in comune quell’individuo con altri che presentano caratteristiche
simili?)
Non può essere reale ma deve essere corretta: non potrà mai corrispondere del tutto alle
caratteristiche e al funzionamento reale della persona, ma potrà aiutare a descriverla meglio.
Gli obiettivi sono:
- Rilevare l’ampiezza dei disturbi
- Attribuire loro un significato
- Individuare le possibili strategie di intervento
In psicologia, in un modello non medico, implica:
- L’utilizzo di modelli diagnostici nosografico-descrittivi e interpretativo-esplicativi
- L’impiego di strumenti che permettano misurazioni nomotetiche ed idiografiche
- Una metodologia: ragionamento clinico che conduce alla formulazione di ipotesi, possibilità di
avvalersi di dati quantitativi e qualitativi, utilizzo di tecniche e strumenti diversi (multimethod
assessment) che possono essere idealmente distribuiti lungo un continuum che va dal minor al
maggior grado di formalizzazione (osservazione; colloquio; intervista strutturata; test)
È concepibile come un comportamento strategico che permette di affrontare il problema clinico in
maniera più economica, sia per il paziente, sia per il clinico.
Funzioni
Nella storia della teoria e della tecnica psicoanalitiche il termine “diagnosi” è stato trascurato se non
addirittura rifiutato, poiché si pensava che fosse un ostacolo alla comprensione del paziente da parte
del terapeuta.
- Gli psicologi del sé si sono dimostrati molto sensibili rispetto al potenziale abuso delle etichette
diagnostiche e alla possibilità che potessero diminuire l’empatia del terapeuta;
- Altri psicoanalisti hanno sostenuto che l’unico modo per ottenere una lettura affidabile dei
problemi di una persona fosse lo stabilire una relazione terapeutica ed osservare cosa sarebbe
accaduto nel tempo.
In realtà, un qualche tipo di diagnosi è inevitabile anche in assenza di esplicitazione; questo avviene
anche nei rapporti interpersonali, quando elaboriamo delle ipotesi sul modo di funzionamento
dell’Altro all’interno della relazione.
Oggi si è giunti ad un nuovo concetto di diagnosi, più ricco e complesso rispetto a quello meramente
classificatorio. Una buona diagnosi dovrebbe
- Essere sia descrittiva (basata sui criteri del DSM, serve per fornire l’etichetta giusta) sia
psicodinamica (basata sulla comprensione del paziente e della malattia, va ben al di là
dell’etichetta);
- Integrare la ricerca empirica con la competenza clinica (soggettività clinico-paziente).
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- Conciliare la conoscenza idiografica (relativa al singolo ed irripetibile individuo) e nomotetica
(relativa a ricorrenze, o leggi applicabili a più persone);
- Evolvere nel tempo, seppur lentamente, a causa delle modificazioni connesse alle esperienze di
vita, ai processi di maturazione del soggetto; le ipotesi dovrebbero essere flessibili ed aperte al
cambiamento;
- Essere un’entità complessa, multidimensionale e multistrumentale; il processo diagnostico si basa
su una molteplicità di dimensioni psichiche sia consce sia inconsce, sia sane sia patologiche,
provenienti da fonti diverse.
- Essere connessa al senso soggettivo attribuito dal paziente al proprio sé e alle proprie esperienze.
La diagnosi è utile:
- Per pianificare gli interventi e per definire gli obiettivi terapeutici;
- Per fornire implicazioni prognostiche a medio e a lungo termine;
- Per aiutare il terapeuta a comunicare empatia;
- Per ridurre la possibilità che il trattamento venga abbandonato soprattutto per certi tipologie di
pazienti;
- Per aiutare i clinici a comunicare tra loro, e a comunicare con i pazienti;
- Per la ricerca, con riflessi sulla clinica.
Va contestualizzata all’interno di una relazione (alleanza diagnostica); il processo diagnostico è infatti
possibile solo in presenza di una buona alleanza diagnostica.
2. Alleanza diagnostica
È un’estensione del costrutto di alleanza terapeutica, anche se essi risultano due costrutti separati ed
indipendenti:
- Nell’alleanza diagnostica l’obiettivo è circoscritto e temporalmente definito, dunque rappresenta il
punto di partenza per realizzare l’alleanza terapeutica
- L’alleanza terapeutica può essere concepita come il processo di accordo sugli obiettivi del
trattamento terapeutico, finalizzato alla costruzione di un rapporto stabile e positivo tra
terapeuta e paziente, che offre a quest’ultimo la possibilità di impegnarsi produttivamente nel
lavoro della terapia.
L’alleanza diagnostica può essere concepita come una posizione emotiva
- Del paziente: caratterizzata dalla capacità di strutturare un rapporto di fiducia con il clinico,
seppur limitato ad uno specifico obiettivo e circoscritto nel tempo;
- Del clinico: caratterizzata da una propria processualità e dalla sospensione di giudizio e decisione
nei confronti del paziente.
La capacità di alleanza è strettamente connessa con la struttura di personalità e con la patologia del
paziente.
Differenziale
Non è una specifica modalità diagnostica poiché trasversale ai vari livelli del procedimento diagnostico.
La differenziazione può essere attuata
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- Tra aspetti organici e psicologici di un dato fenomeno clinico (divenendo eziologica).
- A livello descrittivo: riguarda la differenziazione fra differenti sindromi psicologiche e fra differenti
funzioni sottostanti il fenomeno clinico in questione.
Il processo che conduce a una diagnosi differenziale è strettamente legato al modello teorico di
riferimento.
Strutturale
È basata su rappresentazioni e processi impliciti e diventa pertanto necessario un modello teorico di
riferimento.
Secondo il modello di Kernberg, la diagnosi strutturale si basa su 3 criteri: diffusione vs integrazione
dell'identità; meccanismi di difesa prevalenti; integrità vs compromissione dell'esame di realtà.
Questi aspetti, che non possono essere né osservati direttamente né autoriferiti dalle persone
interessate, vengono rilevati dal clinico in base al comportamento, alle modalità comunicative e alle
reazioni emotive del paziente.
La maggiore inferenzialità della diagnosi strutturale e quindi la sua potenzialmente maggior
arbitrarietà si accompagnano però alla sua sinteticità e alle maggiori potenzialità esplicative. Ad es. il
solo criterio della diffusione vs integrazione dell’identità consente di rendere conto
- Della presenza di oscillazioni marcate nelle emozioni sperimentate nei confronti di sé e degli altri
- Della difficoltà nella comprensione del comportamento proprio ed altrui
- Della difficoltà nel fornire rappresentazioni tridimensionali degli altri
- Della presenza di emozioni violente, di una certa quota di vuoto interiore e di insicurezza.
Si tratta di caratteristiche connesse a rappresentazioni tutte buone o tutte cattive di sé e degli altri
significativi, accompagnate da affetti ugualmente polarizzati. Conoscere lo stato dell’identità
dell’individuo fornisce indicazioni terapeutiche specifiche, per quanto vincolate ad un preciso modello
teorico.
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- È importante valutarne l’obiettività ma anche la tipologia di relazione che sussiste fra informatore
e pz (molto spesso le patologie si realizzano nell’ambito di una cornice relazionale nella quale non è
coinvolto esclusivamente il pz ma anche il familiare, ad es. nel caso genitore-figlio)
- Vanno utilizzati entro una diagnosi più completa.
Clinician-report: gli strumenti sono compilati da parte del clinico che conduce la valutazione.
- Sono funzionali per una diagnosi strutturale
- Vantaggi: si può contare sull’esperienza e competenza del clinico, in grado di valutare dimensioni sia
consce sia inconsce; non vi sono bias difensivi del pz, in particolar modo evidenti qualora gli venga
chiesto di descrivere comportamenti socialmente indesiderabili e/o imbarazzanti.
- Svantaggi: sono comunque presenti bias del clinico
Raccolta dei dati: le principali tecniche di raccolta dei dati, che possono essere idealmente distribuite lungo
un continuum che va dal minor al maggior grado di formalizzazione, sono: osservazione; colloquio libero;
intervista; test
L’osservazione: non prevede un’interazione diretta fra clinico e pz
Il colloquio libero: viene utilizzato in associazione con altri strumenti, spesso self-report e test. Lascia
un’ampia liberta alle peculiarità della diade clinica. In genere viene suddiviso in tre fasi:
- Fase di apertura: inizia con una domanda che intende indagare il motivo per il quale il pz si è
sottoposto a valutazione psicodiagnostica (“Qual è il motivo che l’ha portata qui?”); questa
domanda consente di raccogliere informazioni sulla sintomatologia, approccio interpersonale,
capacità del pz di osservare il proprio funzionamento psichico, motivazioni consapevoli per cui
cerca una valutazione.
- Fase centrale: per la raccolta e l’approfondimento delle informazioni rilevanti al fine
dell’elaborazione complessiva del caso in esame (modo di essere, storia di vita, valutazione di prova
di come il pz risponda al trattamento e quali tra questi sembrino metterlo maggiormente a proprio
agio).
- Fase finale: per fornire una breve restituzione ed eventualmente alcune indicazioni sul tipo di
percorso più utile per il pz in termini di cambiamento (“C’è qualcosa di importante su di sé che
vorrebbe dirmi e che io non le ho chiesto?”) Si può chiedere al pz come abbia vissuto i colloqui di
valutazione, rivolte in maniera specifica alla relazione creata fra terapeuta e pz.
L’intervista
Semistrutturata: stabilisce una serie di ambiti rispetto ai quali si devono chiedere informazioni (vita
sessuale, lavorativa, extralavorativa, storia scolastica, anamnesi patologica, tono dell’umore
prevalente) anche se l’ordine in cui chiedere tali informazioni è libero; consente di osservare la
relazione fra pz e clinico, anche se in modo meno standardizzato rispetto all’intervista strutturata.
Strutturata: stabilisce gli ambiti da indagare, le specifiche domande, l’ordine in cui vanno
formulate. La standardizzazione dell’intervista strutturata può garantire maggiore oggettività.
I test: si avvalgono di una strumentazione specifica per la quale è necessaria una formazione per la
somministrazione e l’interpretazione dei risultati.
Differenza fra colloquio ed intervista:
Nel colloquio ci si focalizza sulla dinamica psicologo-pz e prevale una motivazione di tipo conoscitivo
basata sulla presenza di un interesse reciproco all’incontro; nell’intervista predomina un’accentuazione
unilaterale dell’interesse dello psicologo alla raccolta delle informazioni
Il colloquio può essere definito come una tecnica non strutturata basata sull’interazione in cui si usano
prevalentemente domande aperte; l’intervista, con diversi gradi di strutturazione, è una tecnica
organizzata con domande maggiormente chiuse ed orientate.
La distanza tra colloquio ed intervista è stata accentuata in passato fino a caratterizzare due metodi
esclusivi di orientamenti fra loro molto distanti, ad es. dimensione clinica e sociale.
La tendenza attuale va verso l’integrazione: non è auspicabile pensare al colloquio come ad una tecnica
completamente libera, priva di riferimenti, così come non lo è pensare all’intervista come ad una
tecnica eccessivamente chiusa.
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5. La formulazione del caso
È il resoconto narrativo delle informazioni raccolte nel corso dei colloqui di valutazione diagnostica.
Coniuga l’approccio idiografico con quello nomotetico: rappresenta una modalità di esposizione
idiografica di quanto sintetizzato in forma nomotetica dall’etichetta diagnostica.
È l’ultima tappa del processo clinico-diagnostico.
Nella sua stesura, è un modo di ripensare il paziente.
Il suo obiettivo è la comunicazione chiara e pertinente di quanto emerso nel corso della valutazione.
Lingiardi, basandosi sui modelli offerti dalla SWAP, dal PDM e da Nancy McWilliams, ha proposto un
modello di formulazione del caso capace di integrare
L’oggettività della diagnosi psichiatrica
L’attenzione alla complessità della psicologia clinica
Il rigore metodologico della psicologia accademica
Secondo l’autore, una buona formulazione del caso dovrebbe fornire informazioni su:
1. Modo di presentarsi del paziente: aspetto, modo di vestirsi, di muoversi, comportamento verbale
e non verbale.
2. Lavoro (da quanto lo svolge, il rendimento) o rendimento scolastico a seconda dell’età del
soggetto, hobby, tempo libero.
3. Motivazione al trattamento ed aspettative.
4. Sintomatologia: età di insorgenza, persistenza, eventuali cause scatenanti dei diversi sintomi e il
senso soggettivo che i sintomi sembrano assumere nel contesto della personalità e della vita
cognitiva, affettiva e relazionale della persona, eventuali farmaci assunti.
5. Rappresentazioni che il soggetto ha di se stesso incluse le credenze patogene relative a se stesso,
ad es. nella personalità narcisistica bisogno di essere perfetto per sentirsi bene.
6. Rappresentazioni degli altri significativi (capacità di prendere in considerazione i punti di vista
altrui, di attribuire agli altri una vita affettiva differenziata e realistica, differenze di qualità ed
intensità delle relazioni) incluse le credenze patogene relative agli altri, ad es. nella personalità
narcisistica credere che gli altri apprezzino bellezza e potere, e perseguire bellezza e potere.
7. Modi relativamente stabili con cui la persona vive in relazione con se stessa, con le altre persone
e con il mondo in generale (pattern relazionali).
8. Motivazioni, bisogni, desideri nella vita relazionale, lavorativa e sociale ed eventuale assenza di
essi.
9. Affetti prevalenti (ansia, tristezza, paura, preoccupazione, malinconia, depressione, senso di vuoto)
livelli di intensità e flessibilità, capacità della persona di provare un range di affetti ampio e
differenziato, meccanismi di difesa.
10. Standard ideali, valori morali cui la persona tende e livelli di maturità nella relazione fra questi ed
il soggetto, livello di realismo, accettazione dell’inevitabile imperfezione umana, esperienze
mediante le quali il soggetto ha maturato i propri standard.
11. Risorse della persona, esame di realtà, capacità di tollerale frustrazioni e sentimenti dolorosi.
12. Resoconto dei principali eventi della storia della persona.
6. L’errore diagnostico
In psicologia clinica, ha luogo quando si ritiene che il paziente funzioni in un modo, ed invece funziona
in un altro. La valutazione può essere:
- Totalmente scorretta: permea il giudizio in tutti i suoi aspetti. Avviene quando il clinico non
comprende il funzionamento nucleare del paziente (dinamica del rapporto del pz con se stesso e
con gli altri, spesso nascosta da sintomi più evidenti)
- Parzialmente scorretta: influenza il giudizio in alcuni aspetti. Ciò può avvenire quando la diagnosi è
basata sui sintomi (come nel DSM) oppure se si limita a prendere in considerazione solamente gli
aspetti cognitivi, affettivi, relazionali. Avviene quando il clinico non coglie tutti i livelli di
funzionamento del paziente
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Privilegiando gli aspetti più evoluti e negando quelli più primitivi, dando luogo a diagnosi
“ottimistiche”, oppure al contrario privilegiando gli aspetti più primitivi dando luogo a
diagnosi “pessimistiche”.
Trascurando la capacità di alleanza terapeutica del pz, spesso a causa della comorbilità
(disturbo di asse I assieme a disturbo di asse II)
Gli errori possono derivare
- Dal clinico: causati da due ordini di fattori spesso compresenti
Caratteristiche del funzionamento cognitivo del clinico (fattori freddi): incluse le variabili
relative alla formazione, all'esperienza pregressa, alla capacità di utilizzare "pareri terzi”;
Interferenze di variabili emotive e affettive, spesso inconsapevoli (aspetti caldi).
- Dal paziente: che fornisce (più o meno consapevolmente) informazioni incomplete, distorte,
addirittura false. Il clinico dev’essere in grado di comprendere perché il pz menta, anche perché
può essere un aspetto della patologia (soprattutto in alcuni disturbi di personalità). A tal proposito
è molto pregnante l’alleanza diagnostica.
Gli errori possono essere
- Accidentali: non sono necessariamente meno gravi, sono meno prevenibili
- Sistematici (bias): per la loro perseveranza richiedono una riflessione approfondita e la messa
appunto di misure atte a contrastarli, sono più prevenibili
Con l’esperienza ed il lavoro su di sé alcuni errori sistematici possono divenire accidentali, tuttavia
può accadere anche il contrario e con il trascorrere del tempo alcune distorsioni accidentali
possono stabilizzarsi divenendo sistematiche.
I rischi di una cattiva diagnosi riguardano
- L'indicazione e la conduzione del trattamento terapeutico, che possono essere completamente o
parzialmente errati in funzione di quanto è stato scorretto il giudizio diagnostico.
- Decisioni errate (ambito forense).
Una diagnosi corretta aiuta a
- Considerare le risorse del paziente e dunque scegliere il tipo di intervento più adatto
Una diagnosi errata poiché ottimistica può condurre ad aspettative irrealistiche circa l’esito
della terapia;
Una diagnosi errata poiché pessimistica può portare a strutturare un intervento supportivo, di
sostegno, in pz che invece avrebbero la capacità di affrontare i propri disturbi più a fondo, in
una terapia espressiva e maggiormente orientata al cambiamento.
- Scegliere il livello dell’intervento terapeutico (più evoluto o più primitivo): chiama in causa la via
d’accesso che si è compreso essere preferenziale per l’accesso all’interiorità del pz.
- Valutare l’utilità dell’impiego di più strumenti di intervento: si può prevedere l’utilità di un
affiancamento farmacologico, oppure un sostegno ai familiari.
Per ridurre al minimo il rischio di una cattiva diagnosi è necessario:
- Utilizzare dati che provengano da fonti diverse: per una valutazione che spazi dal funzionamento
cognitivo, a quello emotivo, a quello interpersonale.
- Effettuare continue verifiche: perché la diagnosi non è formulata una volta per tutte
- Supervisione e discussione di casi (confronto con i colleghi sia al momento della diagnosi iniziale,
sia in corso di trattamento)
- Psicoterapia dello psicodiagnosta: rappresenta l’unico mezzo reale per contrastare l’errore
diagnostico sistematico; è ciò che consente allo psicodiagnosta di prendere in considerazione (e
modificare almeno un poco) la sua risposta emotiva difensiva.
7. La restituzione
Si riferisce alla possibilità di condividere i risultati della valutazione testologica con il soggetto
esaminato; oltre ai benefici per il pz, sembra che la comunicazione della diagnosi faciliti il
riconoscimento delle competenze specifiche del clinico.
Per molto tempo è stata considerata inutile se non dannosa; oggi invece se ne riconosce l’importanza e
non si parla più di valutazione del soggetto ma per il soggetto.
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Questo cambiamento di prospettiva si è sviluppato a partire dagli anni ’70 grazie al contributo della
Fischer che ha proposto il costrutto di Collaborative assessment, un modello di valutazione basato
sulla collaborazione tra soggetto e clinico.
Finn, più recentemente, ha proposto un modello valutazione/restituzione definito Therapeutic
Assessment
- Il momento della restituzione (feedback) non è più visto come una comunicazione unidirezionale
dei risultati dell'assessment ma come un processo interattivo in cui il soggetto partecipa, esprime
la propria opinione sui risultati, sugli aspetti su cui concorda e su quelli con cui è in disaccordo.
- Ciò ha messo in evidenza che i soggetti che ricevono un feedback, rispetto a quelli che non lo
ricevono, riferiscono una soddisfazione maggiore, una significativa attenuazione del malessere, un
incremento dell'autostima ed una maggiore fiducia nella possibilità di risolvere i loro problemi
Finn e Tonsanger hanno definito un Modello Terapeutico di Valutazione (Therapeutic Model of
Assessment)
- Esso è inteso come modalità di valutazione ideata per fornire al soggetto una visione di sé
trasformativa, dunque terapeutica.
- Lo psicodiagnosta è considerato un osservatore partecipe con un ruolo attivo che influenza la
modalità del processo di assessment.
- La sua personalità, il suo aspetto, l'esperienza, la cornice teorica di riferimento sono considerati
fattori che possono facilitare, o ostacolare, l'intero processo di valutazione.
- La valutazione terapeutica non serve esclusivamente a raccogliere informazioni sul pz, è un
intervento terapeutico in potenza.
- La combinazione di feedback verbale e scritto è quella ideale.
Il modello collaborativo, e con esso il feedback, si rivela particolarmente utile in età evolutiva, dato che
consente
- Di stabilire più rapidamente un rapporto con il pz: il bambino/adolescente concepisce la
valutazione in un’ottica maggiormente ludica, come se fosse una sorta di gioco;
- Di condividere i problemi con il soggetto più rapidamente: ciò consente di passare
immediatamente al trattamento del bambino dopo l'iniziale seduta di assessment
- Di seguire i progressi del soggetto, se usato periodicamente
- Di fornire importanti informazioni ai genitori che, sviluppando una nuova comprensione dei
problemi del figlio, possono cominciare a concepire la situazione da una nuova prospettiva.
Graham propone alcune indicazioni da seguire nell’incontro di restituzione:
1. Comunicare in un modo facilmente comprensibile dal soggetto: sulla base di fattori come età,
livello culturale, tipologia di disturbo, alcuni pz sono in grado di comprendere spiegazioni
complesse, altri richiedono spiegazioni più semplificate
2. Usare un vocabolario che il soggetto possa comprendere: evitare il gergo psicologico o, laddove
sia necessario usare un termine tecnico, è necessario chiarirne il significato.
3. Presentare sia gli aspetti positivi sia quelli negativi del funzionamento del soggetto: bisogna
focalizzare l’attenzione sulle risorse e sui punti di forza, ma sia per onestà intellettuale sia per
esigenze deontologiche è necessario comunicare anche gli aspetti negativi.
4. Evitare termini come “anormale”, “deviante”, “patologico” (questo termine può essere utilizzato
in altri contesti, ma mai con il pz): laddove si debbano evidenziare aspetti negativi bisogna spiegare
che la maggior parte dei sintomi è condivisa dalla maggior parte delle persone, anche se in misura
diversa. L’obiettivo è che il pz non si senta “malato”
5. Non confondere il soggetto con una lista di aggettivi: al contrario, si dovrebbe limitare la
comunicazione agli aspetti più importanti
6. Incoraggiare domande e commenti su quanto emerso: non solo al termine ma anche nel corso
dell’incontro di restituzione, a maggior ragione se appare interdetto. L’obiettivo è far sì che il pz si
senta partecipe, parte integrante della valutazione
7. Non intavolare discussioni con il soggetto per convincerlo che le interpretazioni sono corrette,
qualora mostrasse diffidenza: ciò ne provocherebbe le reazioni difensive. È necessario
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tranquillizzarlo, non confonderlo ulteriormente. Bisognerebbe proprio evitare di scatenare la
diffidenza del pz, significherebbe che lo psicologo è andato oltre a quanto egli possa accettare.
8. Nella fase conclusiva chiedere al soggetto di riassumere i punti di maggior interesse che sono
stati trattati: ciò aumenterà la possibilità che il pz ricordi ciò che è stato discusso, ed offrirà allo
psicologo la possibilità di chiarire i dubbi del pz.
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Il soggetto ha diritto a conoscere i risultati ottenuti al test, che gli dovranno essere spiegati con un
linguaggio semplice e non tecnico. Se si lavora con i minorenni, anche i genitori hanno diritto a
sapere i risultati della performance.
- Art. 23, 24 e 25: regolamentano una comunicazione chiara dell’iter e dei risultati dell’intervento
- Art. 21: lo psicologo non fa mai un uso improprio dei test e non può insegnare l’uso di tali
strumenti a persone estranee alla professione (fa eccezione il caso di tirocinanti, specializzandi o
studenti di psicologia). La vendita degli strumenti psicologici è destinata esclusivamente a chi ha
una qualifica professionale. Tali regole servono sia per la sicurezza del materiale testistico, sia per
prevenirne gli abusi.
Un altro art. importante è il 28, il quale asserisce che lo psicologo deve evitare commistioni fra la vita
professionale e quella privata, in particolare non può effettuare interventi con soggetti con i quali
intrattiene relazioni significative sentimentali e/o sessuali.
1.I test
Definizioni
I test psicologici sono strumenti volti alla misurazione
- Delle differenze tra individui
- Delle differenze fra le reazioni di uno stesso individuo ad uno stimolo in condizioni diverse.
Secondo Anastasi, il test psicologico rappresenta una “misura obiettiva e standardizzata di un campione
di comportamento”. Vi sono 4 caratteristiche in questa definizione
- La “misura” è il prodotto dell’applicazione di regole per classificare o assegnare dei numeri agli
oggetti, in modo che tali numeri rappresentino la quantità degli attributi o il grado in cui una qualità
è presente.
- L’ “obiettività” fa riferimento al fatto che la maggioranza degli aspetti legati all’attribuzione di un
punteggio al test (scoring) e alla sua interpretazione sono basati su criteri oggettivi, non influenzati
dalla soggettività dello sperimentatore; ciò consente la replicabilità della misura.
- La “standardizzazione” si riferisce al fatto che i risultati sono concordanti e confrontabili grazie
all’uniformità delle procedure nella somministrazione, attribuzione di punteggi e valutazione;
l’unico elemento variabile è l’insieme delle condizioni/reazioni individuali. Se questo non avviene,
non si può essere sicuri che la risposta del soggetto dipenda da alcune caratteristiche individuali,
poiché la si può imputare ad una qualsiasi variazione processuale; in più, diventa impossibile
confrontarla il campione di riferimento per cui diviene attuabile una valutazione esclusivamente
qualitativa e non quantitativa.
- Il “campione di comportamento” fa riferimento al fatto che nessuno strumento può prendere in
considerazione tutte le manifestazioni comportamentali di un individuo, per cui il test farà
riferimento ad un campione, maggiormente ristretto, dei possibili comportamenti che questi può
manifestare.
Il test è una procedura sistematica di osservazione dell’individuo, composta da un insieme di stimoli, in
grado di elicitare risposte particolari nel soggetto; questi comportamenti possono essere valutati sulla
base di criteri standardizzati, ed utilizzati per prevedere determinati comportamenti futuri.
I test non forniscono misure assolute, bensì indicano quanto il soggetto si discosti dalla media del
campione di riferimento per il possesso di una specifica caratteristica misurata (ad es. intelligenza).
In ogni test psicologico è rintracciabile una matrice teorica che rende lo strumento significativo per la
comprensione delle situazioni esaminate.
La diagnosi testologica rappresenta un momento della diagnosi psicologica: il professionista che
somministra i test può essere la stessa persona che ha svolto i colloqui o un’altra. Rispetto alla
comunicazione delle informazioni dall’inviante al testista possono verificarsi due situazioni: in cieco (più
utile, senza la trasmissione di informazioni in grado di produrre un bias diagnostico) o con informazioni.
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Pro e contro dell’utilizzo dei test: i test possono presentare motivi di utilità, sia per il somministratore sia
per il pz, ma anche alcune controindicazioni
Utilità per il somministratore: il clinico richiede una diagnosi testologica quando
- Ha bisogno di ulteriori dati
- Considera utile un approfondimento specifico e mirato su una determinata funzione (memoria,
attenzione)
- Ha un dubbio diagnostico (necessita di una diagnosi di personalità, di struttura, sintomatica).
Soprattutto in condizione di incertezza diagnostica, i test
o Rilevano ostacoli non percepiti nei primi colloqui che potrebbero manifestarsi successivamente
nel trattamento, conducendo ad esiti negativi;
o Valutano le risorse e gli aspetti di personalità del paziente, così come gli aspetti deficitari, in
modo da evitare sforzi terapeutici inutili o dannosi
o Consentono il confronto con dati normativi
o Forniscono elementi utilizzabili con il paziente, relativi alla natura e all’ampiezza dei suoi
problemi.
Utilità per il pz
- Gli consentono, sia nel corso della somministrazione sia della restituzione, di riconoscere alcune
modalità di funzionamento (strategie, difese, motivazioni) in modo più concreto e definito
- Lo aiutano a comprendere la natura delle difficoltà incontrate nella vita quotidiana mediante un
processo di generalizzazione
- Lo tutelano dai trattamenti per lui non idonei.
Controindicazioni: i test risultano controindicati laddove
- Inducano il professionista a basarsi eccessivamente sui risultati del reattivo senza utilizzare il
ragionamento clinico; da ausilio al processo diagnostico, i reattivi divengono un ostacolo al
processo diagnostico
- Il pz necessiti di una presa in carico immediata o sia in una situazione di emergenza
- Il materiale emerga dai colloqui e la diagnosi sia chiara
- Siano presenti alcune caratteristiche cliniche del professionista che richiede i test: se non è in grado
di collaborare, se non è capace di utilizzare materiale che non ha raccolto direttamente, se tende a
tradurre le eventuali discrepanze in termini di conflitto di potere ed interpretarle come segno della
propria incapacità clinica, se le sue aspettative complicano la lettura dei dati.
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- Effettuare screening in studi di tipo epidemiologico: lo screening implica la possibilità di
individuare deficit mediante l’utilizzo dei test, identificando le persone che stanno bene ma sono
potenzialmente a forte rischio di patologia
- Valutare l’andamento di un trattamento ed il suo esito: la misurazione dell’outcome pone due
problemi correlati alla scelta dei test da utilizzare, ovvero il numero di tratti misurati dallo
strumento (uno vs molteplici) e il grado in cui l’utilizzo di misure di cambiamento individualizzate
possa valutare adeguatamente la multiformità dell’esito del trattamento.
o Gli strumenti che misurano un singolo tratto (MMPI-2) permettono di valutare un’ampia
gamma di sintomi evidenziando elementi di psicopatologia che potrebbero non essere evidenti;
tuttavia alcuni elementi li rendono poco significativi ai fini di un’analisi statistica. Al contrario,
gli strumenti che misurano un singolo tratto (Beck Depression Inventory) possono essere
ripetutamente somministrati; tuttavia presentano limiti connessi alla validità, non hanno
capacità discriminanti oppure il costrutto misurato non è così ben distinto e le scale sono
altamente correlate con strumenti che misurano costrutti diversi.
o Benché si sostenga che pz che rientrano nella stessa categoria diagnostica appartengano ad un
gruppo omogeneo, in realtà ogni pz è unico e porta nel trattamento problemi specifici.
Lo scopo prioritario è quello diagnostico (diagnosticare la natura del disturbo del pz, il trattamento più
indicato, gli esiti di un trattamento)
Capacità richieste al professionista che somministra i test (il quale può essere la stessa persona che ha
svolto i colloqui o un’altra)
- Deve avere una preparazione specifica in questo ambito.
- Deve avere una posizione emotivo-cognitiva diversa da quella assunta nel corso del colloquio e del
trattamento; questa cambia a seconda dello strumento utilizzato (test di abilità, test proiettivi,
rating scales, strumenti self-report, ecc.) e rappresenta un punto di osservazione del paziente
assolutamente unico poiché consente di verificare se di fronte a stimoli diversi (il materiale
testistico), il comportamento si modifichi e in quale misura.
Test di Personalità
A differenza dei test cognitivi, l’interpretazione dei dati avviene mediante un’interpretazione non solo
quantitativa ma anche qualitativa.
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Si distinguono due grandi categorie:
- I test obiettivi:
o Sono costruiti su principi omologhi ai test di rendimento, quindi con prove o domande le cui
risposte vengono dapprima quantitativamente conteggiate e poi qualitativamente valutate.
o Per la costruzione degli invarianti di personalità:
Metodo della costruzione empirica: si serve delle risposte di gruppi di riferimento costituiti
da individui che presentano le caratteristiche che si intendono valutare (ad es. MMPI).
Analisi fattoriale: ad es. il questionario Cattel 16 PF
Utilizzando un modello teorico con validazione sperimentale: ad es. EPI (Eysenck
Personality Inventory) che si basa sulla teoria della personalità di Eysenck
Rating scales: per identificare una sintomatologia clinica e le sue possibili variazioni nel
tempo
- I test proiettivi
o Pongono il soggetto di fronte ad una situazione ambigua a cui egli risponderà attribuendovi un
proprio significato
o Sono idonei all’indagine dei processi inconsci.
o Il concetto di proiezione è stato introdotto da Freud come meccanismo di difesa ed evolse in
seguito come meccanismo non difensivo, secondo un’accezione più ampia il cui significato è
strettamente dipendente dal contesto nel quale la si utilizza. I test proiettivi, essendo
materiale non strutturato che il soggetto è chiamato a strutturare, consentono di evidenziare i
principi strutturanti del soggetto.
o Le caratteristiche principali di questo tipo di test sono: l’ambiguità dello stimolo fornito; la
molteplicità delle risposte possibili, non sottoposte al giudizio vero/falso, giusto/sbagliato;
l’interpretazione della prova che, a differenza delle tecniche psicometriche, non esclude un
rapporto interpersonale con l’esaminatore.
o Rientrano in questo gruppo:
Il test di Rorschach
Il TAT (Thematic Apperception Test) di Murray
Il CAT (Children Apperception Test) di Bellak
L’ORT (Object Relations Technique) di Philipson
Il Blacky Pictures test di Blum
Il metodo delle favole di Düss
Esistono numerosi altri reattivi proiettivi, classificabili a partire dalle tecniche impiegate per
la loro strutturazione:
Produttive: prevedono sia la produzione libera del disegno, sia il disegno della figura umana
e della famiglia, sia il completamento di disegni come schermi su cui proiettare il proprio
vissuto;
Ludiche: non utilizzate per il trattamento terapeutico del bambino, riguardano il
trattamento attraverso il gioco;
Rifrattive: basate sull’impiego di un mezzo convenzionale di comunicazione (ad es. la
scrittura) per rivelare la personalità del soggetto analizzando le distorsioni che quest’ultimo
provoca sull’attività di comunicazione stessa;
Costruttive: il materiale è già definito per forma e grandezza, spetta al soggetto costruire
scenari più ampi (ad es. il test del mosaico di Lowenfeld e il test del villaggio di Arthus);
Costitutive: in cui partendo da elementi non strutturati il soggetto stesso definisce la
struttura.
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- Sulla realtà clinica del paziente: ad es. se il pz è confuso non sono indicati i test poco strutturati
- Sull'adeguatezza della standardizzazione, della validità e dell'attendibilità del test, così come sulla
conoscenza della matrice teorica sottostante e delle caratteristiche pratiche.
Indicazioni per la costruzione di una batteria:
- L’approccio ormai accettato da tutti gli psicologi è quello di impiegare sinergicamente un insieme
di test facendone un singolo strumento diagnostico;
- L'obiettivo di una batteria standard è quello di esaminare ambiti diversi del funzionamento con
test diversi;
- Una batteria esaustiva dovrebbe contenere, fra gli altri, un questionario self-report (ad es. MMPI-
2) ed una misura performance-based (ad es. Rorschach) a cui si possono aggiungere, a seconda del
quesito, un test di livello (ad es. scale Wechsler) un test tematico (ad es. TAT, ORT) e dei test
grafici (ad es. Bender).
o L'uso congiunto di MMPI-2 e Rorschach ha trovato un ampio consenso nel corso degli ultimi
anni: entrambi misurano le caratteristiche della personalità, in modo diverso seppur
complementare. Il MMPI-2, in quanto self-report, è maggiormente in grado di evidenziare gli
aspetti di stato (quello che il soggetto vuole che il clinico sappia) mentre il Rorschach, in
quanto performance-based, è maggiormente in grado di evidenziare quelli di tratto e consente
di rilevare tendenze e motivazioni implicite di cui spesso il soggetto non è pienamente
consapevole. Eventuali conclusioni divergenti ottenute con i due test non sono
necessariamente contraddittorie. Se il protocollo Rorschach suggerisce una psicopatologia
mentre il MMPI-2 non riporta un quadro particolarmente disturbato è verosimile che il pz si
muova meglio in situazioni strutturate e che tenda a disorganizzarsi in contesti più liberi
o Le posizioni sul Rorschach oscillano fra due poli: alcuni studiosi sostengono che lo strumento
non consenta esclusivamente un’analisi percettiva, come sostenuto inizialmente da
Rorschach, ma che l’analisi contenutistica del materiale verbale consenta di entrare nel mondo
idiografico del pz; il Rorschach non è uno strumento psicometrico e non andrebbe valutato
psicometricamente (ogni protocollo è talmente peculiare da non rendere possibile alcun
confronto). Al polo opposto vi sono autori che suggeriscono di rinominare il Rorschach con
l’acronimo RIM (Rorschach Inkblot Method) in quanto si configura come un metodo in grado di
generare dati interpretabili a partire da diverse prospettive teoriche e come misura di
tematiche immaginative che implicano un processo di associazione, attribuzione e
simbolizzazione. La letteratura internazionale privilegia il sistema comprensivo per la
somministrazione e l’analisi del Rorschach.
4. Caratteristiche psicometriche dei test: secondo Anastasi, il test psicologico rappresenta una “misura
obiettiva e standardizzata di un campione di comportamento”. Le caratteristiche del test sono dunque:
Obiettività
Standardizzazione
Sensibilità: capacità del test di discriminare fra individuo e individuo (occorre una gamma estesa di
valutazioni all’interno della quale distribuire la popolazione da esaminare) e fra i diversi livelli evolutivi
e di apprendimento dello stesso individuo (occorre che gli item siano costruiti in modo tale da
abbracciare l’intero tratto evolutivo dell’attitudine che si vuole valutare).
Universalità (estensibilità): possibilità di applicare il test a culture differenti.
Praticità ed economia: comodità di impiego, semplicità di correzione e di conteggio dei punteggi;
costi, tempi di applicazione ed analisi contenuti.
Attendibilità (fedeltà): coerenza dei punteggi ottenuti dagli stessi individui se sottoposti nuovamente
allo stesso test o ad una forma equivalente. Può essere interpretata in base a più significati
- Come stabilità nel tempo (2 somministrazioni)
o Test-retest: consiste nella somministrazione dello strumento in due tempi diversi allo stesso
campione. Si calcola la correlazione fra i punteggi delle due somministrazioni e più il
coefficiente test-retest è alto (avvicinandosi a 1), più lo strumento è considerato attendibile.
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o Forme parallele/equivalenti: si somministrano due versioni parallele del test allo stesso
campione. Le due somministrazioni possono avvenire anche a distanza molto ravvicinata (nella
stessa giornata). Si calcola la correlazione delle due somministrazioni con il coefficiente di
equivalenza. Per essere equivalenti, i test devono essere uguali per quanto concerne: il numero
degli item; il contenuto degli item (l’uno dev’essere una perifrasi dell’altro); la difficoltà degli
item; l’ordine degli item; la media, la varianza e le intercorrelazioni.
- Come coerenza interna (1 somministrazione)
o Split-half: Si suddivide il test in due metà equivalenti seguendo le stesse indicazioni usate per le
forme parallele, si calcola la correlazione (r di Pearson) tra i punteggi ottenuti alle due metà
(come avviene per le forme parallele) e si aggiusta l’attendibilità della metà del test secondo la
formula profetica di Spearman-Brown. La coerenza interna risulta bassa quando una parte del
test sta misurando un costrutto e l’altra ne sta misurando un altro, ed alta quando tutte le parti
del test misurano lo stesso costrutto.
o Alfa di Cronbach: viene definita come la media delle intercorrelazioni tra tutte le possibili
divisioni a metà del test. A differenza del KR20 E KR21 (che vengono utilizzati solo con gli item
dicotomici), l’alfa di Cronbach è una misura generale
- Come accordo tra siglatori (oggettività): aspetto fondamentale soprattutto per i test con risposta
aperta, viene misurato applicando l’analisi della varianza e i coefficienti di correlazione.
Attendibilità secondo la teoria classica dei test
La media degli errori casuali deve essere nulla (uguale a 0). Se fosse maggiore o superiore di 0
esisterebbe un errore sistematico e non un errore casuale che distribuendosi in modo gaussiano ha
media = 0.
La correlazione tra il punteggio vero V e l’errore casuale E deve essere nulla. L'entità dell'errore di
misura che si commette deve essere indipendente, cioè non deve avere una relazione con l'entità
delle caratteristiche che stiamo misurando. Dobbiamo supporre la stessa probabilità di commettere
errori sia che la quantità del costrutto che stiamo misurando sia grande, sia che sia piccola. In caso
contrario, se a quantità grandi corrispondessero errori grandi e a quantità piccole corrispondessero
errori piccoli, o viceversa, se quindi ci fosse una regola, l'errore non sarebbe più casuale ma
sistematico.
La correlazione fra due errori qualsiasi deve essere nulla. Non è concepibile che un errore, se
davvero è casuale, possa in qualche modo essere legato all’errore commesso nella misurazione
precedente, successiva o in qualsiasi altra misurazione.
Validità: grado di precisione ed accuratezza mediante il quale il test misura effettivamente ciò che
intende misurare, quindi la sua capacità di discriminare fra ciò che deve essere misurato e ciò che non
interessa. Si hanno le seguenti forme di validità
- Validità della ricerca
o Interna: indica la possibilità di stabilire una relazione causale fra le variabili, di modo che una
modifica applicata alla V.I. causi una modifica nella V.D.
o Esterna: indica la possibilità di generalizzare la relazione riscontrata fra le variabili di una certa
ricerca anche ad individui e contesti diversi.
o Di costrutto: si tratta della corrispondenza tra il piano della ricerca e la teoria di riferimento.
o Statistica: è collegata alla v. interna. Controlla, attraverso l'applicazione di specifiche tecniche
statistiche, che i risultati della ricerca non siano dovuti al caso ma ad un'effettiva relazione
causale tra le variabili, e quindi alla diretta manipolazione della V.I.
o Ecologica: riguarda la percezione del soggetto sperimentale sia verso il compito sia verso
l’ambiente durante lo svolgimento della sperimentazione e la possibilità di generalizzare i
risultati alla vita quotidiana.
- Validità della misurazione (o dello strumento):
o Di facciata: riguarda le qualità superficiali ed esteriori, il fatto che il test "sembri valido" agli
esaminandi che lo compilano, al personale amministrativo che ne decide l'impiego, e ad altri
osservatori non tecnicamente formati. Ad es. il fatto che tutte le risposte siano su scala Likert a
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5 passi (e che non ve ne siano alcune su scala a 6 passi). Non richiede analisi statistiche vere e
proprie per essere verificata.
o Di contenuto: grado in cui gli item sono un campione rappresentativo dell’universo del
costrutto misurato. La sua verifica deve essere effettuata al momento della costruzione dello
strumento di misura, quindi prima della raccolta dati e dell’analisi statistica. Ad es. una verifica
di matematica composta solo da quesiti riguardanti le potenze non ha validità di contenuto
rispetto ai polinomi.
o Di costrutto: rappresenta quanto il test sia connesso al costrutto che intende misurare, la
conformità tra i risultati della ricerca e le teorie che sono alla base della ricerca stessa. Ad es.,
se lo strumento vuole misurare l’intolleranza verso i migranti e l’ipotesi asserisce che sussiste
una relazione fra autostima ed intolleranza, allora avrà buona validità di costrutto se risulterà
essere inversamente correlato con l’autostima. È ulteriormente specificata in convergente/di
criterio e divergente/discriminante:
Convergente/di criterio: indica la presenza di una relazione statisticamente significativa fra
la misura del costrutto tramite lo strumento in esame e misure relative ad altri costrutti,
teoricamente connessi al primo. Ad es. se il test misura il costrutto dell’amicalità ha una
buona validità convergente quando i punteggi correlano positivamente con quelli di un
altro test che misura ad es. l’apertura mentale
Divergente/discriminante: corrisponde inversamente alla validità convergente e dunque
indica una correlazione negativa alta (verso -1) fra la misura del costrutto tramite lo
strumento da validare e le misure relative ad altri costrutti, teoricamente non connessi al
primo. Si effettua una correlazione: ad alti punteggi del costrutto in esame (amicalità)
devono corrispondere bassi punteggi di costrutti teoricamente ad esso non correlati
(ansia).
o Predittiva: indica il grado di associazione (correlazione) fra il risultato del test ed un criterio esterno
rilevante che il soggetto ottiene in un momento successivo rispetto alla somministrazione del test.
Ad es. il test di ingresso all’università dovrebbe fornire indicazioni sul comportamento futuro del
soggetto in relazione alle performance accademiche
o Concorrente: indica il grado di associazione (correlazione) fra il risultato del test ed un criterio
esterno rilevante con la differenza, rispetto alla validità predittiva, che in questo caso la misura
viene eseguita insieme al criterio. Ad es. all’esame di guida per l’automobile vi è una parte con
carta e matita ed una pratica. Il test carta e matita ha un’alta validità concorrente se molti soggetti
che passano la prova scritta passano anche quella pratica (se la correlazione fra questi due test è
alta).
In maniera più pratica, la validità di un test può essere interpretata come distanza tra il punteggio
ottenuto da un soggetto e il punteggio vero, puramente teorico. In un test perfettamente valido questi
punteggi si equivalgono. Se così non avviene, la differenza può essere imputata
A fluttuazioni casuali (umore, stanchezza ecc.): vengono controllate nell’ambito dell’esame
dell’attendibilità
A distorsioni sistematiche (quesito scritto male): vengono controllate nell’ambito dell’esame della
validità.
Un test è valido nella misura in cui:
È nota la variabile psicologica misurata
È sensibile alla variabile misurata, cogliendone tutte le modalità e le gradazioni di intensità
Non è sensibile a nessun altra variabile se non quella che intende misurare.
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ICF
Rappresenta una revisione della classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli
handicap (ICIDH) pubblicata dall’OMS nel 1980 a scopo di ricerca.
Ne esiste anche una versione per Bambini e Adolescenti (ICF-CY)
L’ICF descrive e misura la salute e la disabilità della popolazione; non riguarda più solo le persone
affette da una malattia, bensì ha un’applicazione universale.
Gli obiettivi sono:
- Fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute;
- Stabilire un linguaggio comune allo scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utilizzatori (gli
operatori sanitari, i ricercatori, gli esponenti politici, la popolazione, le persone con disabilità);
- Rendere possibile il confronto fra dati raccolti in Paesi, discipline sanitarie, servizi e in periodi
diversi;
- Fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari
L’OMS raccomanda l’uso congiunto di ICD-10 (che fornisce una “diagnosi” delle malattie) ed ICF (che
descrive il funzionamento).
DSM-5
Attualmente giunto alla sua 5 edizione, è uno strumento di diagnosi dei disturbi mentali che utilizza una
classificazione di tipo categoriale (suddividendo i disturbi in classi distinte) e descrittiva utilizzando
criteri politetici: nessun item è necessario né sufficiente e solo un certo numero di essi deve essere
soddisfatto per la diagnosi.
- Le conseguenze dell’approccio politetico sono: la molteplicità di modi con cui si manifesta ogni
diagnosi; l’eterogeneità dei membri di ogni categoria diagnostica; la scelta dei cut-off (punteggi
soglia che determinano l’appartenenza del soggetto ad una determinata categoria).
Le sue caratteristiche sono: è nosografico (i quadri sintomatologici sono descritti a prescindere dal
vissuto del singolo, e sono valutati in base a casistiche frequenziali); ateorico (non si basa su nessun tipo
di approccio teorico) su basi statistiche (il sintomo acquista valore come dato frequenziale).
Si differenzia rispetto alle precedenti versioni in quanto:
- Ha abolito il sistema multiassiale ed il sistema GAF (Global Assessment Functioning)
- Viene trattato come un “living” document che prevede continue revisioni
- La successione dei capitoli segue l’andamento del ciclo di vita
- L’approccio dimensionale si associale a quello categoriale per comprendere meglio il disturbo nella
sua complessità
- Prevede la numerazione araba anziché romana
- Tra i nuovi criteri diagnostici si osserva:
L’introduzione di nuove categorie per i disturbi di apprendimento; l’etichetta “ritardo
mentale” viene mutata in “disabilità intellettiva”
Una categoria diagnostica unica per i disturbi dello spettro autistico
Il riconoscimento del BED (Binge Eating Disorder) e criteri più adeguati per la diagnosi di
Anoressia nervosa e di Bulimia nervosa.
L’introduzione di una categoria diagnostica per le dipendenze comportamentali (in cui è
inserito il gambling).
Il DSM, come ogni altra classificazione, non è “la Bibbia”, non va utilizzato come una checklist;
presuppone un’adeguata conoscenza della psicopatologia e dovrebbe essere utilizzato semplicemente
come un complemento alle proprie competenze.
- Vantaggi: prevede un linguaggio diagnostico chiaro e condiviso che consente la comunicazione fra
medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo.
- Svantaggi:
o L’applicazione del DSM alla clinica si è rivelata problematica, con il risultato che spesso sulle
cartelle cliniche vengono indicate le diagnosi senza che siano state elaborate con gli strumenti
appositamente costruiti a questo fine.
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o Critiche connesse ai cut-off: si diagnostica un disturbo mentale ad una persona con 3 delle
caratteristiche richieste (al pari di chi le presenta tutte e 7) e “a scapito” di chi ne possiede solo
2.
o Non è possibile inquadrare la mente ed il comportamento umano in numeri, sezioni e categorie.
Il malato non è assimilabile alla categoria diagnostica, è necessario il giudizio clinico.
La SCID-5
È utilizzata in ambito clinico, forense e di ricerca (per ricavare dati inerenti all’epidemiologia di alcuni
disturbi psichiatrici).
È organizzata in varie sezioni:
- Prevede una rassegna anamnestica che permette l’inquadramento e lo sviluppo delle informazioni
utili per ottenere notizie cliniche rilevanti al fine di individuare il sintomo e la storia clinica del pz
(dati anagrafici, sociodemografici, precedenti psicopatologici, condizione medica generale,
eventuale uso di sostanze, adeguatezza del funzionamento globale);
- In seguito vi sono delle domande centrate sui criteri diagnostici, per effettuare diagnosi.
È costruita
- In maniera modulare, allo scopo di escludere ciò che non è importante ai fini diagnostici. Ogni
modulo corrisponde ad uno specifico raggruppamento diagnostico suddiviso per i diversi disturbi.
- Con una struttura ad alberi decisionali, che permette di approfondire il disturbo presentato o di
passare direttamente a quello successivo in caso questo non sia presente.
Struttura
Il Manuale è diviso in tre parti: classificazione dei disturbi mentali degli adulti; classificazione dei disturbi
mentali di bambini ed adolescenti; basi concettuali ed empiriche per una classificazione dei disturbi mentali.
Classificazione dei disturbi mentali degli adulti: vengono distinti 3 assi (P, M, S)
Asse P (Pattern e disturbi della personalità)
Valuta: la condizione generale della persona lungo un continuum di funzionamento (da sano a
disturbato); le modalità caratteristiche mediante le quali l’individuo organizza il proprio
funzionamento mentale e si relaziona con l’ambiente esterno.
Seguendo il modello di Kernberg, il funzionamento della personalità viene articolato su tre livelli: sano,
nevrotico e borderline (di livello alto, più vicino al registro nevrotico e di livello basso, più vicino al
registro psicotico).
Vengono indagate 7 funzioni fondamentali: identità; relazioni oggettuali; tolleranza degli affetti;
regolazione degli impulsi e degli affetti; integrazione di super‐Io, ideale dell’Io e Io ideale; esame di
realtà e forza dell’Io; resilienza.
I disturbi elencati in quest’asse sono: schizoidi, paranoidi, psicopatici (antisociali; passivi vs aggressivi),
narcisistici (arroganti/che credono di avere tutti i diritti vs depressi/svuotati), sadici e sadomasochistici,
somatizzanti, dipendenti (passivi-aggressivi; controdipendenti), fobici (evitanti; controfobici), ansiosi,
ossessivo-compulsivi (ossessivi vs compulsivi), isterici (istrionici; inibiti vs espansivi/esuberanti),
dissociativi, misti. Di ogni disturbo vengono descritti
- I pattern costituzionali-maturativi (ad es. per i disturbi depressivi di personalità, la possibile
predisposizione genetica)
- La tensione/preoccupazione principale (la polarità bontà/cattiveria e solitudine/relazionalità)
- Gli affetti principali (tensione, senso di colpa, vergogna)
- Le credenze patogene caratteristiche relative a se stessi (c’è qualcosa di intrinsecamente cattivo o
inadeguato in me) e agli altri (le persone che mi conosceranno davvero mi rifiuteranno)
- I modi principali di difendersi (introiezione, capovolgimento, idealizzazione degli altri, svalutazione
di sé)
- Gli eventuali sottotipi (introiettivo, anaclitico)
Asse S (Sintomi)
Riprende le categorie diagnostiche del DSM-IV-TR descrivendo però l’esperienza interna dei sintomi
così come esperiti dal pz, nel contesto della struttura generale di personalità e del funzionamento della
persona; tali sintomi non sono considerati disturbi a se stanti ma espressione dei modi mediante i quali
i soggetti affrontano le esperienze.
Essi sono: disturbi dell’adattamento; d’ansia (traumi psichici, disturbi post-traumatici da stress, fobie e
doc); dissociativi; dell’umore (depressivi e bipolari); somatoformi (di somatizzazione);
dell’alimentazione; psicogeni del sonno; sessuali e dell’identità di genere (disturbi sessuali, dell’identità
di genere e parafilie); fittizi; da controllo degli impulsi; da uso/dipendenza di sostanze; psicotici; mentali
basati su una condizione medica generale
Rispetto al sintomo, si valutano:
- I vissuti affettivi: ad es. per i disturbi d’ansia, spesso sono connessi a 4 situazioni di pericolo di base:
perdita di un altro significativo, da cui derivano sentimenti di abbandono; perdita dell’amore,
sentita come rifiuto; perdita dell’integrità corporea, spesso associata a paure di mutilazione e
danno agli organi genitali; perdita della conferma della propria coscienza morale, accompagnata da
ansia, sensi di colpa e vergogna.
- I pattern cognitivi: distrazione, confusione, difficoltà di pensiero. La paura di avere paura conduce
all’evitamento di numerose situazioni.
- Gli stati somatici: tensione, mani sudate, battito cardiaco accelerato, urgenza di mingere o
defecare, difficoltà respiratorie o sensazione di essere disconnessi dal proprio corpo.
- I pattern relazionali: espressioni della paura di essere rifiutati e del senso di colpa, conflitti relativi
alla dipendenza.
Vantaggi e svantaggi
Vantaggi
Capacità di coniugare clinica e ricerca.
Struttura politetica e multiassiale che consente di valutare in modo composito il funzionamento
psichico del pz.
Valorizza la soggettività del pz.
Attenzione ai pattern controtransferali per valorizzare il ruolo del clinico.
Individua le risorse dei pazienti, a differenza del DSM ed in linea con la SWAP.
Attenzione alla dimensione evolutiva: il PDM dedica un’intera sezione alla valutazione dei pz fra gli 0 e i
18 anni.
Svantaggi
L’Asse P (ed anche PCA) necessita di ulteriori ricerche.
Necessità di protocolli di colloquio e di strumenti di valutazione pragmaticamente connessi al Manuale.
Gli Assi S e SCA sono troppo legati al DSM, ed il PDM sembra sottovalutare alcuni aspetti
psicopatologici diffusi come l’ipocondria e il panico.
Maggiore articolazione nella trattazione delle problematiche psicotiche e dissociative e quelle connesse
ai sintomi psicosomatici e ai disturbi alimentari.
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- Forniscono un quadro sintetico e quantificato della situazione del paziente e permettono di valutare
in vari momenti il decorso della malattia e della cura.
Tra le rating scales più importanti vi sono: le scale per la valutazione della depressione; dell’ansia; del
funzionamento globale; della psicopatologia generale; delle psicosi.
3.1. Scale di valutazione per la depressione: Hamilton Depression Rating Scale (HDRS o HAM-D);
Questionario D del Cognitive Behavioural Assessment 2.0 (CBA 2.0); Beck Depression Inventory-II (BDI-II)
Clinical Depression Questionnaire (CDQ), anche denominato IPAT Depressione scale.
Sono, assieme a quelle dell’ansia, le più famose e numerose e sono sia eterovalutative che
autovalutative (caratterizzate da difficoltà di somministrazione: un depresso grave può non essere in
grado di compilarle autonomamente).
In queste scale si ha la massima evidenza della correlazione con la teoria dell’autore che l’ha elaborata,
per cui ognuna misura dimensioni diverse.
Tra le più famose si ricordano:
1. Hamilton Depression Rating Scale (HDRS o HAM-D)
- È una scala che valuta lo stato depressivo del pz; è stata introdotta nel 1960 da Hamilton ed
inizialmente aveva 17 items, in seguito portati a 21. È una tra le scale più conosciute ed utilizzate al
mondo per qualsiasi studio sulla depressione, anche se non è una scala specifica per il disturbo
depressivo.
- Ogni area indagata rappresenta un singolo item della scala; esse sono: umore depresso; senso di
colpa; idee di suicidio; insonnia iniziale, intermedia e prolungata; lavoro e interessi; rallentamento di
pensiero e parole; agitazione; ansia di origine psichica e somatica; sintomi somatici
gastrointestinali, generali e genitali; ipocondria; introspezione; perdita di peso; variazione diurna
della sintomatologia; depersonalizzazione; sintomatologia paranoide ed ossessiva.
- L’esaminatore attribuisce ad ogni item un punteggio. Dato che i primi 17 items sono considerati
quelli nucleari della depressione, vi si stabiliscono i cut-off di gravità. Un punteggio ≥ 25 indica una
depressione grave.
- Questa scala esplora la sintomatologia depressiva indipendentemente dal contesto
psicopatologico-clinico in cui essa si colloca, posto che tale componente depressiva può essere
riscontrata in qualsiasi ambito diagnostico.
- Il punteggio totale non può essere considerato espressione della gravità della depressione ma
piuttosto della sua pervasività. A tal proposito sono state introdotte diverse fattorializzazioni, una
delle più utilizzate è quella di Cleary e Guy che hanno isolato 6 fattori: ansia/somatizzazione; peso;
disturbi cognitivi; variazioni diurne; rallentamento; disturbi del sonno.
- Secondo l’autore, l’HAM-D non è uno strumento diagnostico e non deve essere usato per questo
scopo.
- L’affidabilità della scala, in termini di consistenza interna ed inter-reliability, è risultata abbastanza
buona. La valutazione della validità è problematica poiché, essendo la HAM-D uno standard,
quando la scala di confronto non è in accordo con essa è difficile stabilire quale sia la scala “giusta”.
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punteggi del questionario sono stati confrontati con quelli del Beck Depression Inventory (BDI) e la
correlazione è risultata abbastanza forte da considerare il costrutto valido.
- Vantaggi: campione normativo italiano ampio, scoring computerizzato, norme specifiche d’ausilio
alla somministrazione della batteria in ambito ospedaliero. Limiti: l’uso del questionario rientra
all’interno della batteria completa che richiede tempi di somministrazione lunghi.
3.2. Scale di valutazione dell’ansia: Hamilton Anxiety Scale (HAS o HAM-A); Beck Anxiety Inventory (BAI);
Anxiety Scale Questionnaire (ASQ); State-Trait Anxiety Inventory (STAI-Y).
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4. State-Trait Anxiety Inventory (STAI-Y)
- Ideato da Spielberg nel 1964, valuta sia l’ansia di stato (intesa come situazione transitoria
episodica, mediante la scala Y1, costituita da domande riferite a come il pz si sente in quel
momento) sia l’ansia di tratto (intesa come modalità tipica della personalità mediante la scala Y2,
costituita da domande che indagano come il soggetto si sente abitualmente).
- È un questionario di autovalutazione su scala Likert a 4 passi. È composto da 40 items, 20
riguardanti l’ansia di stato (Y1) e 20 riguardanti l’ansia di tratto (Y2).
3.3. Scale per la valutazione del funzionamento globale: Visual Analogue Scale (VAS) e Clinical Global
Impressions (CGI)
Valutano la gravità complessiva del disturbo in base ad un criterio/combinazione di criteri cui fare
riferimento (invalidazione sociale, grado di autonomia del pz).
Vengono compilati da un osservatore.
3.4. Scale per la valutazione della psicopatologia generale: Symptom Checklist-90-revised (SCL-90-R) e Brief
Psychiatric Rating Scale (BPRS)
Sono costituite da elenchi abbastanza lunghi di sintomi o di comportamenti di cui si deve valutare la
presenza/ assenza o, più spesso, la gravità.
Spesso sono dei veri e propri esami psichici più o meno rigidamente guidati e possono portare ad una
valutazione diagnostica automatica grazie all’impiego di specifici programmi computerizzati
Criticità: entrambe le scale sono carenti nei riferimenti ai punteggi, richiedono una buona competenza
clinica da parte del somministratore e non forniscono indicazioni sulla patologia generale del pz
schizofrenico.
2. La psicologia giuridica è una disciplina sia applicativa che di ricerca nell'ambito delle conoscenze
psicologiche riferite ai sistemi di giustizia penali e civili. Si distingue in:
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Criminale: studio dell’uomo nel contesto del reato (autore, vittima);
Giudiziaria: studio dell’uomo nel contesto del giudizio (imputato, testimone);
Legale: applicazione delle norme mediante conoscenze psicologiche;
Forense: studio dei fattori psicologi rilevanti ai fini della valutazione giudiziaria;
Rieducativa: studio della pena e delle misure alternative;
Legislativa: contribuisce alla costruzione e al miglioramento delle norme
Ambito penale
La psicologia penale si distingue in
- Psicologia giudiziaria ordinaria: lo psicologo è chiamato a svolgere perizie e consulenze di parte,
ad es. indagine di personalità, valutazione della capacità di intendere e di volere del soggetto, della
pericolosità sociale, della capacità di stare in giudizio, della capacità a testimoniare, del danno
psicologico conseguente al reato nella vittima
- Psicologia giudiziaria minorile: lo psicologo è chiamato a svolgere perizie e consulenze di parte
oppure assistenza all'imputato. I contesti di valutazione sono gli stessi dell’adulto.
- Psicologia rieducativa: lo psicologo è chiamato a partecipare in qualità di esperto ai collegi dei
tribunali di sorveglianza e dei tribunali minorili, a svolgere perizie e consulenze e a collaborare con
l'amministrazione penitenziaria. Ciò può avvenire nel contesto di istituti di custodia cautelare, di
pena, per l’esecuzione delle misure di sicurezza, nella formazione del personale; per quanto attiene
ai minori: nei centri per la giustizia minorile, negli uffici di servizio civile per i minorenni, nelle
comunità, nelle scuole.
Lo psicologo è chiamato a rispondere a quesiti riguardanti la vittima, il testimone e l’autore di reato
- Vittima
o Le condizioni di inferiorità psichica nel caso di vittime di reati sessuali;
o L’eventuale presenza di danni psichici sopravvenuti nelle vittime di reati sessuali;
o Le condizioni psichiche delle vittime di circonvenzione (circuizione di incapace)
- Testimone: nel caso di testimonianza da parte di un minore il codice di procedura penale prevede
che il magistrato possa avvalersi della collaborazione di un esperto di psicologia infantile
- Autore del reato
o L’eventuale esistenza di un vizio totale o parziale di mente
Il vizio di mente deve essere accertato al momento del fatto (c’è il convincimento che la
malattia mentale non sia una condizione statica, bensì sia in continua evoluzione). L’essere
riconosciuti privi di vizio di mente comporta l’imputabilità dell’autore di reato.
Il processo di indagine non può in alcun modo esaurirsi con l’attribuzione di una diagnosi
nosografica tradizionale (DSM, ICD); la formulazione diagnostica deve essere multiassiale
ed accanto alla diagnosi psichiatrica è necessaria
La descrizione dei disturbi psicopatologici, in termini qualitativi e quantitativi
La descrizione della compromissione delle funzioni psichiche, in termini qualitativi e
quantitativi
La descrizione della compromissione in relazione alla costellazione patologica e alla
fase di malattia (acuta, subacuta, cronica, in remissione)
L’esame del legame tra il reato commesso e i disturbi riscontrati
Le linee guida da seguire sono
Quanto più appaiono compromessi il pensiero, l’esame di realtà e la capacità di
controllo degli impulsi, tanto più è probabile che lo fossero anche al momento del
reato;
Quanto più appare stabile e cronico il disturbo, tanto più è probabile che il soggetto ne
fosse affetto anche in passato.
Quanto più erano stressogene le condizioni al momento del reato e quanto meno sono
stabili le capacità di coping, tanto più probabile appare uno scompenso del soggetto
con conseguente perdita o forte riduzione delle capacità cognitive e di controllo sul
comportamento.
30
o La maturità o meno del minore e l’eventuale presenza di un vizio mentale: da un punto di vista
psicologico il significato di “maturità” è abbastanza difforme dal significato che ne da il codice
penale, ma può essere concettualizzato come capacità di intendere e di volere.
o Le condizioni mentali dell’autore di reato durante le indagini e il dibattimento:
Prima della carcerazione, i quesiti possono riguardare la competenza dell’imputato a stare
in giudizio, il grado di responsabilità nei confronti del reato attuato. Dopo la carcerazione, i
quesiti possono riguardare i fattori influenzanti la decisione del giudice riguardo al destino
penale del soggetto (carcerazione, sospensione della pena, fruizione dei benefici, rilascio
anticipato)
La valutazione della competenza a stare in giudizio richiede allo psicologo di valutare la
capacità del soggetto di comprendere razionalmente ed efficacemente gli elementi del
procedimento legale cui sta per essere sottoposto (di cosa viene accusato; l’entità della
pena; ruolo delle persone chiave; testimoniare a propria difesa; comunicare al proprio legale
gli elementi funzionali alla propria difesa; mostrare un comportamento adeguato di fronte
alla corte).
o La pericolosità sociale
Il concetto di pericolosità non è legato, come si tende a pensare nell’immaginario collettivo,
all’efferatezza del delitto che potrebbe essere reiterato, quanto alla possibile reiterazione
di qualsiasi reato, anche di quelli considerati come “meno pericolosi” (furto o taccheggio).
Per valutarla, vanno considerati aspetti individuali (persistenza della sintomatologia
psicotica o gravemente compromettenti le facoltà del soggetto; grado di consapevolezza del
processo psicopatologico e compliance terapeutica; deterioramento progressivo della
personalità) ed ambientali (caratteristiche del contesto di provenienza; presenza ed
adeguatezza di agenzie di cura fruibili; accettabilità del rientro nel contesto; possibilità
alternative una volta rientrato nel contesto)la valutazione degli aspetti ambientali è
imprescindibile: la pericolosità sociale NON può essere stimata considerando
esclusivamente aspetti personali ed intrapsichici, sebbene si possa ragionevolmente
pensare che alcune caratteristiche di personalità (egoismo, personalità autocentrata,
disinteresse per i diritti e sentimenti altrui, essere psicologicamente distanti e sospettosi,
impulsività, rabbia ed aggressività, scarsa tolleranza alla frustrazione) possano aumentare
il rischio di reiterazione del reato in soggetti che ne hanno già compiuti.
Ambito civile: prevede che le consulenze dello psicologo possano essere richieste nel
Tribunale ordinario
- Conflitti familiari
- Affidamento di minori
- Risarcimento dei danni psichici e comportamentali
- Pratiche di interdizione e inabilitazione
- Accertamento dell'incapacità naturale
- Identità psicosessuale e cambiamento di genere
Tribunale per i minorenni
- Limitazione della potestà genitoriale
- Accertamento dello stato di abbandono e dell'adottabilità
- Accertamento dell'idoneità genitoriale delle coppie adottive
- Autorizzazione a contrarre matrimonio per i minori
Ambito minorile ma in connessione con la figura del giudice tutelare
- Interruzione di gravidanza di minori
- Affidamento eterofamiliare
3. Ambiti nei quali opera lo psicologo: danno alla persona, abuso, affidamento ed adozione, separazione e
divorzio
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Danno alla persona
Può essere
Danno patrimoniale: diminuzione dei beni di cui il danneggiato godeva prima del fatto illecito e
mancato guadagno, che il soggetto avrebbe potuto produrre, nel caso in cui il fatto illecito non fosse
avvenuto (danno da lucro cessante).
Danno non patrimoniale
- Psichico: infermità mentale che impedisce, temporaneamente o permanentemente, alcuni o molti
degli aspetti della vita quotidiana
- Esistenziale: nasce dalla lesione dei diritti e si costituisce come un’alterazione in senso peggiorativo
del modo di essere di una persona nei suoi aspetti sia individuali che sociali
- Morale: sofferenza psichica, tristezza e frustrazione che affligge e disturba per un breve lasso di
tempo la vita quotidiana, rendendola un peso da sostenere con difficoltà
Nella valutazione del danno devono essere considerati gli elementi oggettivi che conseguono all’atto
illecito e le menomazioni soggettive da essi conseguenti. Il clinico ha il compito di valutare l’impatto
dell’evento sullo specifico soggetto con le sue peculiarità.
Il clinico deve accertare il nesso di causalità fra il comportamento dell’autore di reato e il danno
subito, ottenere i dati provenienti dai precedenti assessment relativi ad informazioni anamnestiche sul
funzionamento individuale, acquisire informazioni provenienti da terzi professionalmente coinvolti
nella valutazione del soggetto. L’eventuale preesistenze di aspetti morbosi non costituisce una
condizione sufficiente per escludere a priori il danno psichico.
Adozione ed affidamento
Il giudice in ambito civile può richiedere una C.T.U.:
- Per l'affidamento extrafamiliare di minori provenienti da famiglie inadeguate
- Per accertare l’idoneità, ovvero la presenza dei requisiti psicologici, nei coniugi che richiedono in
adozione il minore
32
La legge 149/2001 sancisce il diritto dei minori a una famiglia. Per quanto concerne la “tipologia” di
famiglia si può decidere fra:
- La famiglia naturale del minore, qualora sia possibile e non contrasti con i bisogni e i diritti del
minore stesso. Il supporto alla famiglia naturale, primariamente auspicato dalla legge 149/2001, è
tuttavia il meno concretamente attuabile
- Una famiglia affidataria che collabori con quella naturale per sostenerla nel suo ruolo
- Una famiglia adottiva, se le altre due soluzioni risultano inattuabili
L’affidamento è
È un provvedimento temporaneo, volto a tutelare minori la cui famiglia sta attraversando un momento
particolarmente difficile
È un processo dinamico in rapporto all’evoluzione della situazione della famiglia d’origine
Richiede un’attenta valutazione che permetta di sondare:
- Le potenzialità affettive ed educative della famiglia del minore, compresa la rete parentale che
può facilitare il recupero delle competenze familiari
- La qualità dell’attaccamento tra genitori e figlio
- Le risorse del minore, le sue problematicità e la sua idoneità per affrontare l’esperienza dell’affido
nella sua complessità
- La motivazione e le capacità genitoriali della famiglia candidata all’affido
È disposto dal servizio sociale locale, previo consenso dei genitori o dal genitore esercente la potestà
(tutore). Ove tale assenso manchi, provvede il Tribunale per i minorenni. Il giudice tutelare del luogo
ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto.
Può essere:
- Consensuale
- Giudiziale
- A tempo pieno
- A tempo parziale
- Parentale o intrafamiliare
Il suo obiettivo è quello di agevolare i rapporti tra il minore e i genitori favorendo il reinserimento
nella famiglia di origine. A tal fine, secondo la legge:
- Deve essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento, che deve essere
rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine
- Tale periodo non può superare la durata di 2 anni ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni,
qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore.
Al fine di delineare un profilo familiare che evidenzi i punti di forza e di criticità dello stesso nucleo, si
deve effettuare un percorso di valutazione di chi si rende disponibile all’affidamento
- Tale percorso dovrebbe prevedere:
o Un colloquio individuale dello psicologo con ognuno dei membri della coppia, nel quale
somministrare l’Adult Attachment Interview (AAI) per evidenziare alcuni indicatori
fondamentali quali:
Le connessioni tra lo stile di attaccamento e il desiderio di avere un bambino in affido
Il ruolo assegnato al bambino nell’ambito della propria storia personale e del ciclo di vita
familiare
Il far emergere alcuni aspetti del proprio Sé bambino
La natura dei modelli operativi interni di ciascun genitore rispetto all’attaccamento
o Un colloquio di coppia: per valutarne l’idoneità e la presenza di risorse affettive in grado di
sostenere lo sviluppo psico-fisico del bambino, individuabili nella capacità di e disponibilità a
Prendersi cura materialmente e psicologicamente del bambino
Riconoscerlo portatore di una propria soggettività
Sostenerlo nei periodi critici della sua crescita
o Somministrazione di test proiettivi e di personalità
33
- Il processo di valutazione può essere considerato come l'analisi delle capacità dei futuri genitori di
fornire una base sicura al bambino
Attaccamento
Per essere sicuri che le persone che adottano
- Possano fornire un accudimento fisico di qualità elevata
- Possiedano capacità adeguate di proporsi nel ruolo genitoriale, soprattutto in alcuni casi di affido e
di adozione in cui è necessario anche un "accudimento terapeutico"
Si deve valutare lo stato mentale del loro attaccamento.
Viste le difficoltà che i genitori adottivi si trovano ad affrontare, la sicurezza dei loro Modelli Operativi
Interni (MOI) sembra essere un fattore protettivo e di garanzia rispetto alla tenuta emotiva in
situazioni stressanti e problematiche.
Nell’ambito della teoria dell’attaccamento, originariamente sviluppata da Bowlby, la tematica della
trasmissione intergenerazionale dei MOI ha costituito uno degli argomenti più dibattuti negli studi
riguardanti la genitorialità biologica.
Tuttavia, l'aumento progressivo di forme di genitorialità "altre" e l’integrazione di bambini con radici
etnico-culturali diverse da quelle dei genitori adottivi/affidatari, ha reso la questione maggiormente
complessa.
Una meta-analisi del 2005, finalizzata a mostrare gli effetti dell’adozione internazionale sulle
problematiche comportamentali e sulle segnalazioni ai servizi della salute mentale, indica un
complessivo buon livello di adattamento nella maggior parte dei bambini adottati
internazionalmente; ciononostante, essi appaiono maggiormente a rischio, se confrontati con la
popolazione, di sviluppare difficoltà relazionali, più o meno gravi, rispetto alle figure genitoriali
adottive.
Molti studi hanno indicato che la costruzione di relazioni di filiazione adeguate debba fare i conti, nella
maggioranza dei casi, con eventi precoci di deprivazione anche gravi: questi bambini hanno
- Sperimentato una rottura traumatica delle relazioni primarie; ancor più frequentemente, hanno
subito separazioni multiple, considerando i successivi possibili collocamenti in ambiti familiari e/o
istituzionali.
- Alle spalle vicende familiari all’insegna della trascuratezza, dell’abuso, dell’ instabilità familiare e
di patologie genitoriali spesso associate all’uso di sostanze
- Un mondo rappresentazionale basato su modelli di attaccamento caratterizzati da insicurezza e
disorganizzazione
Gli effetti della deprivazione legata all'istituzionalizzazione precoce sono stati un ambito privilegiato
degli studi sulle adozioni internazionali. A tal riguardo si ricordano:
- Gli studi sui gravi ritardi cognitivi, fisici e comportamentali dei bambini rumeni adottati
provenienti dagli istituti e sottoposti a gravi carenze sensoriali, relazionali e di stimolazione
- Gli studi in cui veniva sottolineata la correlazione positiva tra la durata dell’istituzionalizzazione e
la frequenza e la gravità delle problematiche successivamente presentate da questi bambini: in
particolare la mancanza di cure individualizzate risultava associata a difficoltà di attenzione ed
iperattività
- La meta-analisi realizzata nel 2005 che ha evidenziato quanto la deprivazione caratterizzante la
situazione di vita preadottiva incidesse sulla frequenza successiva di problemi di tipo
internalizzato (forte ansia, abuso di sostanze)
Una delle variabili fondamentali nelle indagini sui legami adottivi è l’età all’adozione, intesa come
ambito privilegiato per studiare i limiti flessibili nel sistema di attaccamento:
- È stato riscontrato il rischio di disorganizzazione nel sistema di attaccamento per le adozioni
realizzate oltre i primi sei mesi di vita
- Gli effetti di un ritardato sviluppo del legame di attaccamento riguardano anche le competenze
cognitivo-linguistiche
- I 24 mesi di età sono considerati il cut-off per il rischio adottivo: l’adozione in età successive è
ritenuta un fattore di rischio più rilevante rispetto al peso giocato dalla storia istituzionale
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precedente ed è risultata correlata positivamente con problemi comportamentali, di tipo sia
internalizzato sia esternalizzato
Dunque, nella costruzione del legame di attaccamento ed ai fini della considerazione della possibile
trasmissione intergenerazionale, il ruolo svolto dalle figure genitoriali appare fondamentale.
Alcune importanti esperienze con “altri significativi” modellano e promuovono una discontinuità delle
rappresentazioni di attaccamento: per i bambini adottati, che sono stati a contatto con esperienze di
cure sfavorevoli e negative, l’esperienza adottiva potrebbe essere considerata come una seconda
possibilità per superare le esperienze avverse. Ciò è vero in particolare per i bambini late-placed (o
late-adopted), che hanno subito almeno una rottura relazionale rispetto ad una figura di attaccamento
e la cui esperienza preadottiva è con maggiore probabilità caratterizzata da “traumi cumulativi”.
L’adozione, dunque, potrebbe permettere al bambino di esperire una “base sicura” che gli permetterà
di modificare i primi MOI che si sono formati a partire dalle prime esperienze negative trasformandoli
possibilmente in modelli sicuri. Le rappresentazioni materne dell’attaccamento possono essere
considerate il fattore critico che influenza la formazione dei legami di attaccamento con il figlio
adottivo, indipendentemente dall’età in cui è stato adottato. In particolare, le madri “sicure” hanno,,
con maggiore probabilità, bambini che mostrano un aumento della coerenza con rappresentazioni
positive di sé, degli altri e delle relazioni.
Test performance-based
ORT e TAT (test tematici) e BVMGT
Caratteristiche
A chi è destinato
Può essere utilizzato con pazienti adolescenti (dai 14 anni) e adulti
Struttura
L'ORT è composto da 13 tavole, suddivise in 3 serie di 4, più una tavola bianca.
Ogni serie presenta un'ampia gamma di tipologie relazionali che rispecchiano le modalità
dell'individuo di entrare in relazione con il mondo ed esse sono organizzate secondo un continuum
progressivo (dalla serie A alla B e alla C) in base a quantità variabili di elementi ambientali (nella serie
A la diffusione chiaroscurale elicita l’emergere di ansia e dipendenza; nella serie B il chiaroscuro elicita
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l’emergere di sentimenti di perdita, privazione ed ostilità; l’introduzione del colore nella serie C
sollecita l’emergere dell’affettività).
La tavola bianca, per l'assenza di contenuto di realtà, favorisce una visione più chiara del mondo
interno del soggetto.
Somministrazione (consegna, inchiesta e metodo di interpretazione): gli autori che si sono occupati dell’ORT
hanno previsto profili diversi
2. TAT
Presupposti teorici
Il Test di Appercezione Tematica è una tecnica proiettiva tematica originariamente introdotta da
Morgan e Murray, il cui modello di riferimento è quello psicoanalitico.
È utilizzato per la valutazione della personalità e richiede l’interpretazione di storie raccontate in
risposta a tavole che rappresentano situazioni socialiè particolarmente adeguato per valutare le
relazioni oggettuali poiché i suoi stimoli sono sociali ed in grado di favorire la manifestazione di
pattern cognitivi, affettivi e motivazionali connessi alle funzioni interpersonali.
Murray, nella sua teoria della personalità, assegna una grande importanza all'esperienza passata
dell'individuo, alla motivazione e al bisogno (tensione dominante che deriva dalla percezione conscia o
inconscia di uno specifico stato interno o di specifici eventi esternile condizioni ambientali hanno un
ruolo fondamentale nell’orientare i comportamenti).
A tal proposito viene introdotto il termine “tema”. Il tema è una piccola unità di comportamento
formata da uno specifico intreccio di bisogni individuali e di pressioni ambientali. L’unità tematica
individuale è quella particolare combinazione di bisogni e di pressioni che spiega la maggior parte del
comportamento dell'individuo.
Caratteristiche
A chi è destinato
Può essere somministrato sia a soggetti di genere maschile sia a soggetti di genere femminile
prevedendo alcune figure uguali per tutti ed altre distinte a seconda del sesso e dell’età.
Struttura
Le risposte del soggetto dovrebbero essere trascritte per intero o registrate, insieme ad alcune note
sul comportamento tenuto dallo stesso durante la somministrazione (esclamazioni, pause, grado di
coinvolgimento). Lo scopo non è solo quello di riprodurre i contenuti verbali delle storie, ma quello di
valutare le reazioni del soggetto alle tavole.
Il setting dev’essere il più accogliente ed amichevole possibile, con una posizione soggetto-clinico vis-
à-vis.
Il materiale include 31 tavole (30 in bianco e nero più 1 tavola bianca), riproduzioni di dipinti,
fotografie ed opere d’arte. Le tavole sono numerate e al soggetto ne vengono somministrate 20.
I dettagli delle opere originarie sono stati sfumati in modo da renderli meno visibili: il presupposto
teorico del TAT consiste infatti nel ritenere che la produzione delle storie debba essere orientata più
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che determinata da ciò che è raffigurato nelle tavole, così che i soggetti possano colmare il divario fra
la percezione delle tavole e la produzione delle storie contenenti sogni, aspettative e desideri.
Consegna
Anche se i vari autori che si sono occupati del TAT hanno spesso modificato la consegna originale del
test, è fondamentale che le storie siano caratterizzate dalla descrizione: di ciò che sta avvenendo nella
figura; di ciò che ha condotto a quella situazione; di cosa pensano e cosa sentono i personaggi; del
finale.
Metodi di interpretazione
1. Metodo di Murray: consiste nell'individuare in ciascun avvenimento delle forze provenienti dal
protagonista (bisogni) e dall'ambiente (pressioni). Il primo passo consiste nell’identificare il
personaggio principale, chiamato eroe, con il quale il pz si identifica; il secondo passo consiste
nell’analizzare tutto ciò che ogni personaggio sente e fa. Nel descrivere le reazioni degli eroi, Murray
utilizza il “metodo pratico”, impiegando una lista di 28 bisogni. Dopo aver analizzato i bisogni
(corrispondenti ai bisogni del soggetto) si analizzano le forze ambientali (pressioni). Identificando le
combinazioni di bisogni e pressioni ricorrenti nelle storie, l'esaminatore perviene all'identificazione del
tema semplice.
2. Contributi che pongono attenzione alla manifestazione delle tendenze inconsce nel contenuto delle
storie.
3. Contributi che pongono attenzione all'aspetto cognitivo.
4. Compromesso tra pulsioni inconsce e funzioni dell'Io (Schentoub)
5. Dimensioni specifiche del funzionamento psicologico (Cramer, Westen)
6. Il Modulo Bellak del TAT e il Foglio di analisi rappresentano un sistema di scoring semplice e
standardizzato, fondato sull'analisi del contenuto delle storie, concentrandosi in misura minore sulle
caratteristiche formali. I soggetti reagiscono a situazioni che considerano "come se" fossero reali, per
questo possono esprimersi con maggiore libertà senza aderire alle norme di comportamento abituali (le
loro risposte saranno maggiormente autentiche rispetto a quelle agite nelle situazioni reali). Il TAT
permette dunque di comprendere i modelli attuali del comportamento sociale e di ricostruire la loro
genesi, valutando le funzioni dell’Io.
7. La SCORS (Social Cognition and Object Relations Scale)
Ideata da Westen, rappresenta un sistema di scoring per la valutazione multidimensionale delle social
cognitions e delle relazioni oggettuali attraverso l’analisi qualitativa e quantitativa delle produzioni del
TAT.
È composta da 4 scale; per ciascuna di queste dimensioni (ad eccezione del Tono affettivo dei
paradigmi relazionali) si può valutare lo sviluppo su una scala a 5 punti: dal livello 1 (relativamente
primitivo) al livello 5 (relativamente maturo).
- Complessità delle rappresentazioni degli altri: capacità di rappresentare gli altri in modo ricco ed
elaborato distinguendo chiaramente le loro esperienze ed i loro punti di vista soggettivi dai propri.
o Al livello 1 il soggetto non percepisce gli altri come chiaramente differenziati
o Per illustrare il livello 5 si può utilizzare un esempio ripreso dal manuale: “Il marito della donna
è morto un paio di giorni prima. Il figlio, che vive in città al contrario dei suoi genitori che vivono
in campagna, ha impiegato del tempo per arrivare dalla madre ed è dispiaciuto perché non è
stato presente al momento della morte del padre. Il figlio, così come la madre, è preoccupato
del destino della fattoria adesso che il padre è morto, ma non se la sente di lasciare la città
perché ha un buon lavoro e, dal momento che i suoi genitori gli hanno pagato gli studi, sente la
necessità di utilizzare quello che ha imparato. Alla fine la madre, in accordo con il figlio, decide
di vendere la fattoria andando a vivere in città dove il figlio fa l’avvocato”.
Il protagonista esperisce allo stesso tempo sentimenti ambivalenti, è presente
un’elaborazione dei conflitti psicologici e vengono compiute inferenze riguardanti gli stati
mentali, le motivazioni, i punti di vista altrui; egli dunque percepisce le persone in modo
complesso
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- Tono affettivo dei paradigmi relazionali: qualità affettiva del mondo oggettuale e delle aspettative
interpersonali, misurabile lungo un continuum che va da malevolo a benevolo.
o Al livello 1, il soggetto vede il mondo sociale come tremendamente pauroso
o Per illustrare il livello 5 si può utilizzare un esempio ripreso dal manuale: “il ragazzo è tornato a
casa per le vacanze dal college. Assieme alla sua famiglia vive suo nonno, che gli racconta dei
momenti duri della vita. Il giovane, cui mancano ancora due anni di college, gli dice che non sa
riuscirà ad affrontarli. Il nonno sa che il giovane può farcela, ma che deve lavorare per ottenere
ciò che vuole; dice che lo sosterrà economicamente quanto più possibile e, nel mentre, il giovane
fa piccoli lavori occasionali e si organizza per lavorare anche durante il college. Quando si sarà
laureato, ringrazierà suo nonno per l’incoraggiamento ed insisterà per restituirgli i soldi, anche
se si tratta di una somma misera.”
Le relazioni con gli altri sono viste positivamente, c’è reciproca preoccupazione per il
benessere dell’altro.
- Capacità di investimento emotivo nelle relazioni e negli standard morali: tendenza alla
gratificazione dei propri bisogni vs investimento in valori, ideali e relazioni reciproche. Valuta la
misura in cui gli altri sono trattati come fini piuttosto che come mezzi.
o Al livello 1, la persona è interessata alla gratificazione del propri bisogni
o Per illustrare il livello 4 si può utilizzare un esempio ripreso dal manuale: “Un uomo ogni giorno,
tornando da lavoro, passa accanto ad un cimitero. Una sera, incuriosito, entra ed inizia a
leggere gli epitaffi immaginandosi che tipo di vita conducesse la persona defunta. Inizia a
riflettere sui suoi valori, il suo passato, non avvertendo il tempo che passa; dopo quasi 8 ore
decide di ritornare a casa.”
C’è un chiaro accenno alla morale (presenza di conflitti riguardanti i problemi e i valori
esistenziali) unito ad un supposto interesse per le relazioni con gli altri che tuttavia non è
molto chiaro: il protagonista sembra interessato a conoscere la vita delle altre persone (ciò
presuppone la capacità di mettersi nei panni degli altri) tuttavia non abbiamo informazioni circa
la sua modalità di vivere le relazioni.
o A livello 5 la persona tratta se stesso e gli altri come fini piuttosto che come mezzi.
- Comprensione della causalità sociale: capacità di attribuire le cause dei comportamenti, dei
pensieri e delle emozioni in modo complesso, logico ed accurato.
o Al livello 1, il soggetto non comprende il concetto di causalità nel mondo sociale
o Per illustrare il livello 5 si può utilizzare un esempio ripreso dal manuale: “Questa donna è
molto stanca e stressata, ultimamente anche in ambito lavorativo ha avuto ulteriori
responsabilità che non sa se riuscirà a gestire. Farà dei progetti su come affrontare la situazione
ed inizierà a lavorare su questi progetti. In questo modo, sente di non star evitando la situazione
e di star facendo qualcosa per se stessa.”
appare la consapevolezza che sentimenti e comportamenti sono causati da processi
psicologici, elicitati o meno da stimoli ambientali. Vi sono motivazioni complesse in una tavola
nella quale, fra l’altro, è rappresentato un unico personaggio.
Analisi delle scale:
- Si possono calcolare i punteggi medi di ogni scala: per ottenere una misura del funzionamento del
soggetto per ogni dimensione;
- Si può calcolare la frequenza totale dei punteggi di livello 1 per ogni singola scala: per evidenziare
le dimensioni in cui il funzionamento del soggetto sembra più patologico;
- Si può adottare un approccio qualitativo: per evidenziare le specifiche condizioni attivanti capaci di
generare risposte patologiche.
Secondo Westen, prima di procedere alla valutazione del materiale il valutatore deve: familiarizzare
con il background teorico della scala; leggere più volte le leggi di scoring riportate nel manuale, per poi
procedere alla lettura delle storie; incontrarsi e confrontarsi con un altro valutatore che ha ottenuto
autonomamente il proprio scoring.
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Qualità psicometriche: la SCORS dimostra una maggior validità di costrutto rispetto agli altri sistemi di
scoring del TAT, un’ottima validità convergente e discriminante. Mostra anche un’ottima inter-rater
reliability. Non vi sono informazioni sull’attendibilità test-retest.
3. Il BVMGT
Presupposti teorici
Il background teorico del Bender Visual Motor Gestalt Test (BVMGT), ideato dalla Bender, è quello della
psicologia della Gestalt o della forma.
Prende in considerazione la relazione che si stabilisce fra il soggetto e il proprio ambiente, come un
fenomeno che si produce in un campo di forze nel quale uno dei poli è costituito dal soggetto e l’altro
dagli stimoli ambientali.
Caratteristiche
A chi è destinato
Il test è utilizzato in diversi ambiti della psicologia dello sviluppo e clinica e valuta
- La funzione visuo-motoria, che può essere utilizzata sia come indice di sviluppo, sia come indice di
regressione/deviazione in differenti quadri clinici, in età evolutiva e in età adulta
- La componente affettiva
Viene utilizzato per lo screening di danni cerebrali oppure come tecnica proiettiva per l’esame della
personalità.
Struttura
È costituito da 9 figure (quelle utilizzate da Wertheimer per descrivere i principi della Gestalt)
presentate separatamente su 9 diversi cartoncini.
La Bender tuttavia introduce una connotazione dinamica accanto a quella gestaltica, sottolineando
l’evoluzione nel corso dello sviluppo dei fattori di strutturazione percettiva, in modo che la
componente percettiva e quella espressivo-motoria si integrino.
Somministrazione
Le figure vengono presentate una alla volta, e al soggetto è richiesto di copiarle su un foglio A4 nel
modo più accurato possibile.
La prova viene somministrata individualmente ed il tempo richiesto è di 5/10 minuti.
In età evolutiva
Metodo Koppiz: è quello che ha avuto maggior successo a livello internazionale e fornisce due
punteggi: uno relativo allo sviluppo percettivo motorio, uno relativo agli aspetti emotivi. È valido per
bambini fino a 10-11 anni. È stato aggiunto un indice relativo al comportamento del bambino durante
il compito.
Metodo Santucci-Pêcheux: sono utilizzate solo 5 figure per rendere lo strumento più maneggevole.
Partendo dall’analisi statistica delle riproduzioni di quasi 600 bambini, gli autori hanno elaborato delle
categorie valutative allo scopo di determinare una facile discriminazione dell’età dei soggetti,
mediante l’individuazione di errori caratteristici per quella stessa età.
Metodo Lis: è basato sulla teoria piagetiana.
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In età adulta: il BVMGT viene utilizzato sia per indagare la personalità, sia per effettuare indagini
neuropsicologiche
Metodo di Pascal e Suttel:
- Concepisce il BVMGT come un test di personalità per discriminare fra soggetti normali e
psichiatricila risposta al test non è determinata solo dallo stimolo, ma anche dallo stato
integrativo dell’individuo e dal suo atteggiamento nei confronti della realtà (forza dell’Io).
- Lo scoring si basa sulla rilevazione di 105 errori possibili. Ogni immagine è codificata sulla base di
criteri specifici (in modo analitico-molecolare) e l’intero protocollo è valutato in base a criteri
globali (in modo globale-complessivo).
Metodo di Hutt:
- Propone figure leggermente diverse da quelle della versione originale, in quanto intende utilizzare
stimoli che rispecchino il più possibile i principi di Wertheimer.
- Si basa sulla rilevazione di diversi tipi di errori ed è stato elaborato per soggetti adulti, psichiatrici
e normali
- La somministrazione si effettua in due fasi: copiatura (al soggetto è richiesto di modificare i disegni
affinché vengano resi più piacevoli) ed associazione (il pz deve dire cosa gli ricordano le versioni
originali dei disegni e quelle da lui modificate)
- La scala ideata da Hutt in fase di copiatura è considerata una scala per la valutazione della
psicopatologia e risulta in grado di distinguere i differenti gruppi clinici dal gruppo di controllo, e i
diversi livelli di psicopatologia.
Metodo di Raphael e Golden: l’API (Advanced Psychodiagnostic Interpretation) è un sistema di scoring
che identifica 207 possibili distorsioni rilevabili in un protocollo. È utile nell’assessment della
personalità. Ha un’alta inter-rater reliability.
Metodo di Lacks:
- È il più utilizzato nella valutazione del danno neurologicolo scopo principale del BVMGT diventa
lo screening di disfunzioni organiche e non la comprensione delle dinamiche di personalità.
- L’esame consiste nel rilevare la presenza/assenza di 12 errori che il soggetto può commettere; la
presenza di 5 o più errori è considerata indicativa del danno d’organo.
- Attualmente, il test è utilizzato con soggetti anziani, allo scopo di effettuare uno screening in
relazione alle demenze senili.
- Vengono valutati aspetti qualitativi: comportamento del pz durante il test, facile affaticabilità,
eccessiva/insufficiente attenzione nei confronti di alcune figure, rotazione delle figure
BVMG-II
È stato ideato da Brannigan e Brunner ed è caratterizzato da: una versione modificata degli stimoli; un
metodo di scoring qualitativo
Struttura: è composto da 16 disegni (tra cui quelli originali della Bender) suddivisi in due test separati a
seconda dell’età; viene proposto in due fasi: copia e memoria
Al manuale è allegata la griglia osservativa per annotare il comportamento del soggetto ed evidenziare
se alcune azioni motorie o sensoriali possano influenzare la performance del test.
Si basa su un ampio campione normativo stratificato per età, livello di sviluppo e situazione socio-
economica; si è rivolto a soggetti con DSA, ADHD, disturbo dello spettro autistico, Alzheimer.
Scoring: si valuta la qualità globale di ogni disegno su una scala a 5 punti. Si ottengono due punteggi
globali (copia e di memoria)
1. Il test Rorschach
A partire dal 1911 il medico svizzero Hermann Rorschach iniziò ad eseguire i primi esperimenti con la
plexografia, un gioco consistente nel comporre figure piegando a metà un foglio su cui era stato steso
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dell’inchiostro di diversi colori, con lo scopo di differenziare soggetti più o meno dotati di
immaginazione, intelligenza e creatività.
Le 10 tavole costituenti gli stimoli del test vennero pubblicate nel 1921 nella sua monografia
“Psicodiagnostica”.
In seguito alla somministrazione di una quarantina di macchie a più di 400 soggetti, Rorschach
evidenziò come gli schizofrenici rispondessero in modo diverso rispetto al gruppo di
controllodivenne quindi consapevole di aver ideato uno strumento finalizzato alla diagnosi della
personalità: la modalità di interpretazione della macchia (come il soggetto la interpreta) poteva fornire
indicazioni sulla sua struttura di personalità.
Alcuni aspetti del lavoro di Rorschach che devono essere sottolineati sono:
- Le macchie sono soltanto macchie, non hanno un significato specifico, sono state selezionate in
quanto ricerche condotte con soggetti patologici e non ne hanno confermato la validità.
- In questa prova diagnostica si manifestano processi di tipo percettivo‐associativo mediati dagli stili
di personalità del soggetto stesso: di fronte all’immagine, questi associa sensazioni attuali
generate dalla macchia con sensazioni acquisite precedentemente, in un processo solo in parte
consapevole.
- Per giungere ad una valutazione della personalità non ci si può limitare al contenuto delle
risposte, è necessario individuare una serie di codifiche collegate alla percezione e alla struttura
della macchia. Lo scoring, infatti, comprende categorie come il numero delle risposte, la
localizzazione (in quale parte della macchia il soggetto vede l’immagine) e la determinante
(aspetto della macchia che determina la risposta: dimensione, forma o colore”Vedo un
pipistrello” “Perché?” “Perché è nero”)
- La prova, che ha finalità sia cliniche sia di ricerca, è basata su un lavoro empirico di raccolta dei
dati.
2. L’eredità di Rorschach
La morte prematura di Rorschach lasciò ad altri il compito di sviluppare il modello; negli USA si
svilupparono 5 classificazioni, proposte da
Beck: non aggiunse nulla di nuovo alla versione originaria, effettuando tuttavia ricerche
sull’applicazione del test in età evolutiva.
Hertz: allieva di Beck, inizialmente ebbe un approccio piuttosto conservativo, per giungere in un
secondo momento alla creazione di una nuova corrente di pensiero.
Klopfer: elaborò un nuovo approccio all’uso del test rivedendo le siglature delle macchie, cosa che
causò una rottura radicale con Beck.
Piotrowski: partecipò ad un seminario di Klopfer. Era particolarmente interessato ai soggetti con deficit
neurologici che, nella sua concezione, se posti di fronte a stimoli ambigui avrebbero potuto fornire
importanti informazioni sul loro stato di salute.
Rapaport: si avvicinò alle concezioni di Rorschach basando però il test sulla teoria psicoanalitica
3 Il Sistema Comprensivo
Il Sistema Comprensivo, pubblicato per la prima volta nel 1974, nacque e si sviluppò a partire dalle 5
sistematizzazioni di Beck, Hertz, Klopfer, Piotrowski e Rapaport; Exner giunse alla conclusioni che
erano state create 5 diverse versioni del Rorschach, fra loro somiglianti solo perché erano state
impiegate le stesse figure stimolo.
Venne creata una banca dati computerizzata che permise un confronto diretto tra i cinque sistemi, la
quale consentì di rilevare:
- Le differenze significative tra i protocolli dei 5 sistemi
- L’assenza di un supporto empirico della siglatura, elemento in realtà auspicato sin dall’inizio da
Rorschach che la morte prematura non gli aveva consentito di approfondire
- Il fatto che in ognuno dei 5 sistemi vi fossero elementi non validi
Una volta acquisita una propria identità, il Sistema Comprensivo si occupò di aumentare il livello
psicometrico della prova
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- Consentendo la sistematizzazione di una serie di scoring
- Standardizzando la somministrazione e l’attribuzione dei punteggi
- Presentando dati normativi e lavori di validità discriminante su campioni vasti e strutturati
Caratteristiche
Il Rorschach può essere considerato un test performance based, piuttosto che un test proiettivo, in
quanto:
- Le risposte possono essere comprese in termini di comportamenti espressi dal soggetto ed
osservabili dal clinico le categorie di siglatura sono state pensate per cogliere sia i
comportamenti dei soggetti sia le differenze e le sfumature di queste differenze comportamentali
- L’inchiesta ha proprio l'obiettivo di comprendere dove il soggetto localizza le risposte, cosa vede
nelle macchie
- A differenza di altri sistemi che prevedono che passi una certa quantità di tempo, il Rorschach può
essere somministrato senza limiti proprio perché misura una prestazione.
Rorschach aveva individuato due aspetti tipici del funzionamento della personalità, coesistenti in
misura differente nelle diverse persone: introversione (collegato alle risposte movimento umano,
ovvero il soggetto, posto di fronte all’immagine, vede un’immagine in movimento) ed extratensione
(collegato alle risposte colore)
Sulla base di queste due funzioni, aveva identificato una dimensione fondamentale della personalità
denominata Erlebnis Typus (EB) traducibile con “tipo di risonanza intima”, che indicava il rapporto fra
le due funzioni e dunque fra le risposte movimento e colore fornite dai soggetti alle macchie.
Alcuni aspetti di questa teorizzazione rimangono validi
- Le risposte movimento continuano ad essere connesse ad elementi di ideazione, mentre le
risposte colore continuano ad essere connesse all’emotività e all’affettività
- L’Erlebnis Typus costituisce uno dei fattori di base dell’interpretazione della personalità,
rappresenta il modo in cui l’individuo si relaziona con il mondo, e si calcola ancora così come
Rorschach lo aveva individuato al fine di identificare i seguenti stili, già ideati da Rorschach:
o Soggetti introversivi (prevalenza risposte movimento): privilegiano il ricorso al pensiero, al
ragionamento, alla logica, mantenendo gli affetti ad un livello periferico nel momento in cui
sono chiamati a prendere una decisione o a risolvere un problema.
o Soggetti extratensivi (prevalenza risposte colore): privilegiano il canale affettivo, pertanto i loro
giudizi sono influenzati dai feedback esterni e per la risoluzione dei problemi sono portati ad
utilizzare un approccio per prove ed errori.
o Soggetti ambitendenti (circa uguale misura di risposte colore e movimento): gli aspetti
connessi all’ideazione e al ragionamento sono importanti tanto quanto quelli relativi agli affetti
e al feedback esterno nella risoluzione dei problemi. Ciò può portare ad una maggior flessibilità
ed adattabilità ma allo stesso tempo manca uno stile stabile che può rendere al soggetto
difficile la formazione di opinioni salde nei confronti del mondo e degli altri.
Exner ha individuato 7 gruppi di variabili fra loro interrelate (cluster)
- Capacità di controllo e tolleranza allo stress: fornisce indicazioni sulle risorse e/o labilità
psicologiche di cui l’individuo dispone per poter rispondere alle richieste derivanti sia dal mondo
interno sia dalla realtà esterna e per gestire il disagio e lo stress. È una caratteristica piuttosto
stabile. Risorse sufficienti consentono al soggetto di mantenere uno stile di coping consistente
promuovendo il benessere psicologico e l’adattamento.
- Stress legato alla situazione: collegato al cluster relativo al controllo, consente di evidenziare la
natura degli elementi situazionali che stanno pesando sul funzionamento psicologico del soggetto
e il modo in cui questi vi fa fronte. È una caratteristica dinamica in quanto maggiormente relativa
al qui ed ora.
- Percezione interpersonale: fornisce informazioni su come l’individuo percepisce gli altri e si
relaziona con essi (atteggiamento verso gli altri, grado di interazione).
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- Percezione di sé: fornisce informazioni sul modo in cui la persona si vede (livello di autostima,
autoconsapevolezza ed immagine di sé, autofocalizzazione ovvero quantità di attenzione rivolta
verso di sé).
- Affetti: fornisce informazioni sul modo con cui un individuo affronta le situazioni emotive,
esperisce ed esprime i propri sentimenti.
- Triade cognitiva:
o Processamento dell’informazione: si riferisce alla modalità cognitiva della persona di
scannerizzare la macchia e di organizzarne le varie parti. Valuta in che modo l’individuo presti
attenzione al mondo, se è capace o meno di focalizzare la propria attenzione sugli eventi della
propria vita e in che modo organizzi consapevolmente le proprie percezioni.
o Mediazione (esame di realtà): costituisce il processo di traduzione dello stimolo da una
modalità visiva ad una modalità di pensiero. Rappresenta la capacità dell’individuo di
percepire se stesso e il mondo circostante in maniera realistica, quindi la capacità di percepire
il mondo così come lo percepisce la maggior parte delle persone.
o Ideazione: descrive la capacità (o capacità ridotta) di pensare e di riflettere sulle proprie
esperienze ed impressioni in un modo logico, coerente, flessibile e costruttivo.
Somministrazione ed inchiesta
Indipendentemente dall’ambito di somministrazione (clinico o di ricerca) è necessario che il soggetto
venga preparato e che sia stata con lui stabilita un’alleanza, al fine di raccogliere le informazioni.
Il tempo necessario per la somministrazione è, orientativamente, 40/60 minuti per gli adulti e 30/45
minuti per i bambini sotto ai 10 anniquando si ha a che fare con i bambini e/o con soggetti
problematici è necessario modificare leggermente le procedure di somministrazione. Ovviamente il
test deve essere presentato come una sorta di gioco
- Al di sotto dei 5 anni: la somministrazione del test è molto differente da quello degli adulti
- A partire dai 5 anni: la somministrazione del test è molto simile a quello degli adulti
- Dagli 8 anni: si può procedere con la modalità di somministrazione standard del test
La somministrazione comprende:
- L’introduzione al test
- La collocazione reciproca tra paziente e psicologo: non dovrebbe essere vis-à-vis ma fianco a
fianco, in modo che lo psicologo possa avere un punto di vista quasi identico a quello del soggetto e
che ne influenzi il meno possibile la prestazione, ad es. fornendo suggerimenti
- La modalità e l’ordine di presentazione delle tavole
- La consegna e la registrazione delle risposte: la consegna è concisa, chiara e non può essere
sostituita da variazioni: “cosa potrebbe essere?” nel mentre, si porge la prima tavola al soggetto
annotando le risposte che questo fornisce. Il soggetto dovrebbe tenere la tavola in mano mentre la
osserva.
Inchiesta
- Ha lo scopo di comprendere come e perché il pz ha fornito un certo tipo di risposta.
- Nella consegna, il clinico dice al pz che vedranno una seconda volta le tavole, lui leggerà ciò che il
pz ha detto in modo che questi gli mostri dove ha visto un determinato oggetto (localizzazione: in
tutta la macchia, in una parte di essa) che cosa lo fa sembrare così (determinante: colore, forma
movimento ad es. “ha le ali spiegate come se stesse volando”), che cosa è e come è l’oggetto
(contenuto ad es. essere umano, animale).
- Un aspetto importante riguarda l’uso delle parole chiave, qualsiasi espressione utilizzata dal
soggetto per abbellire o personalizzare la risposta fornita; vanno sempre indagate. Ad es., il
soggetto dice che “vede una farfalla molto bella”; si deve indagare perché ha utilizzato il termine
“bella”, lo si può fare riprendendo la stessa parola in forma interrogativa. Si ridice al pz “bella?” e
magari questi risponde “sì, perché è tutta colorata”.
- Nel caso in cui il pz mostri una resistenza all’inchiesta (difesa percettiva) si possono utilizzare frasi
come “Su, forza, prenda tempo per poterla ritrovare” oppure “A volte le cose, rivedendole, possono
sembrare diverse, ma se fa attenzione vedrà che le ritrova”.
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- Se il soggetto, nel momento in cui gli vengono riproposte le tavole, identifica altre figure, queste
vanno annotate ma non saranno inserite nel conteggio degli indici del sommario strutturale
Sommario strutturale
È la rielaborazione qualitativo-quantitativa della codifica delle risposte al CS rispetto ad una
complessa e composita serie di “punteggi” derivata dalla codifica stessa e rappresenta la base per
l’interpretazione del protocollo
Questo processo è reso possibile dall’utilizzo di un programma, in genere il RIAP-5.
Il sommario è composto da 3 pagine
- La prima pagina include
o La sequenza dei punteggi: riporta la codifica di tutte le risposte ordinate rispetto al numero
della tavola, al numero progressivo della risposta, alla determinante, al contenuto, alla
localizzazione, alle risposte pari (le macchie sono speculari e il soggetto vede 2 oggetti invece
che 1 solo), alle risposte popolari (per ogni tavola, le risposte più diffuse nella popolazione, ad
es. per la tavola 5 il pipistrello), ai punti Z (relativa alla capacità del soggetto di organizzare le
parti della macchia per formare la figura), ai punti speciali (caratteristici dell’attività ideativa, ad
es. il soggetto argomenta in modo più o meno bizzarro una certa risposta).
o L’approccio: collocato nel riquadro inferiore dopo la sequenza dei punteggi, riporta la
successione delle varie tipologie di localizzazioni utilizzate dal soggetto tavola per tavola. Ad es.
nella tavola 1 il soggetto fornisce 2 risposte di dettaglio.
- La seconda pagina include una parte superiore ed una inferiore
o Parte superiore: include le caratteristiche di localizzazione, la qualità evolutiva, la qualità
formale, le determinanti, i contenuti, la costellazione suicidaria e i punteggi speciali.
o Parte inferiore: include il nucleo della personalità (capacità di controllo e stress), percezione di
sé, percezione interpersonale, affetti, processamento dell’informazione, mediazione ed
ideazione.
- La terza pagina include una serie di altri indici costituiti da raggruppamenti di variabili definite
costellazioni, individuate attraverso analisi statistiche specifiche. Esse sono:
o Costellazione suicidaria (S-CON Suicidal Constellation): si è rilevata utile nell’identificare
individui che hanno commesso suicidio (punteggio 7 o maggiore). Nei soggetti a partire dai 14
anni una costellazione suicidaria con valori superiori a 7 o 8 rappresenta un campanello di
allarme rispetto ad un possibile suicidio e necessita quindi ulteriori approfondimenti.
o Perceptual Thinking Index (PTI): non è un indice psicopatologico vero e proprio ma è importante
per discriminare eventuali segnali di distorsione della realtà, stati allucinatori, vissuti di
alienazione, pensieri e comportamenti atipici.
o Depression Index (DEPI): consente di identificare quei protocolli per i quali i disturbi affettivi e
del tono dell’umore rappresentano il problema principale. V’è una relazione con l’indice CDI:
nel caso in cui entrambi siano elevati, si può immaginare una problematica affettiva su base
relazionale.
o Coping Deficit Index (CDI): consente di rilevare la presenza/assenza delle capacità di
coping/adattamento del soggetto. Questo indice appare spesso in concomitanza con un indice
DEPI positivo.
o Hypervigilance Index (HVI): non indica necessariamente una caratteristica psicopatologica ma
individua soggetti costantemente sulla difensiva.
o Obsessive Style Index (OBS): non indica necessariamente una caratteristica psicopatologica ma
individua soggetti caratterizzati da ricerca di perfezionismo.
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o EB extratensivo si parte dagli affetti
o p > a+1 indice del movimento passivo è maggiore al movimento attivo + 1. Questi soggetti
hanno uno stile passivo e deferente nelle situazioni sociali. Si parte dalla triade cognitiva
o HVI positivo si parte dalla triade cognitiva
Caratteristiche psicometriche
La recente letteratura sul test di Rorschach ha riaffermato la validità e l’attendibilità di questo metodo
di assessment.
Nonostante i progressi compiuti rimane l’esigenza di documentare le siglature e di quantificare i
costrutti latenti.
MODULO 6 – MMPI2
2. A chi è destinato
Può essere somministrato a partire dai 18 anni di età, il soggetto deve essere in grado di leggere ed
interpretare quanto letto.
3. Come si utilizza
3.1. Somministrazione
Inizialmente il clinico deve stabilire un rapporto di fiducia con il soggetto
- Spiegando i motivi per cui il test sta per essere somministrato, in che modo saranno utilizzati i
risultati e che il test è concepito per individuare la tendenza ad auto-rappresentarsi in modo
irrealisticamente positivo o negativo.
- Valutandone preventivamente le condizioni cliniche; ad es., un soggetto fortemente depresso
potrebbe riportare difficoltà nel completamento della prova. In tal caso si può valutare l’eventualità
di più somministrazioni.
In considerazione dell’elevato numero di item sono state costruite delle forme “ridotte” del test che
comunque non sono risultate sufficientemente attendibili e valide. L’unica eccezione è costituita dal
somministrare i primi 370 item (con le scale di validità L, F e K e le 10 scale cliniche standard) ma
sembra che i soggetti in grado di rispondervi siano anche in grado di rispondere alla versione completa.
Il tempo medio di completamento fornisce importanti indicazioni ed andrebbe sempre annotato. Per i
soggetti con QI nella media è di 1 ora e mezza. Per i soggetti con QI più basso, difficoltà di lettura,
disturbi psicopatologici gravi (grave depressione, psicosi, indecisione ossessiva) il tempo richiesto può
superare le 2 ore. Nel caso in cui il soggetto completi il test troppo velocemente ciò potrebbe essere
connesso ad impulsività o a risposte fornite in modo casuale.
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Le cancellature devono essere tenute in considerazione in quanto, se un numero contenuto di questi
segni può indicare che il soggetto ha preso sul serio il test, un elevato numero di cancellazioni può
riflettere tendenze ossessivo-compulsive.
Viene sconsigliata la compilazione del test in modo autonomo direttamente a casa del soggetto per
molteplici motivi (il pz potrebbe confrontarsi con altri, potrebbe far svolgere il test ad altri, manca la
parte iniziale dedicata alla strutturazione di un rapporto di fiducia fra pz e clinico).
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- Scala FB (Back F): comprende item dal contenuto analogo a quelli della scala F, distribuiti però,
nella seconda parte del questionario (dopo l’item 370).
o Scoring punteggi elevati possono indicare che il soggetto esaminato ha risposto agli item
della seconda parte del test in modo non valido
- Scala FP (Infrequency Psychopathology): come la scala F, mette in evidenza la simulazione di
sintomi psicologici ma nello specifico di un contesto clinico.
- Scala K (Correction): fa parte delle scale originali. Misura l’atteggiamento difensivo nei confronti
del test ed indica la tendenza a presentare un’immagine di sé eccessivamente positiva, ma gli item
che la costituiscono presentano un contenuto meno evidente rispetto a quelli della scala L, ad es.
“Le critiche e i rimproveri mi feriscono moltissimo” con risposta F.
o Scoring punteggi alti indicano che il soggetto ha compilato il test con un atteggiamento
difensivo. Punteggi medi rivelano che il soggetto ha presentato un’immagine di sé piuttosto
equilibrata. Punteggi molto bassi possono indicare la presenza di un tentativo deliberato di
presentare un’immagine di sé non favorevole.
- Scala S (Superlative Self-Presentation): valuta la tendenza del soggetto a riconoscersi attributi
positivi, alti valori morali, alta responsabilità e a negare problemi riguardanti l’adattamento.
Scale cliniche
Sono state costruite empiricamente, utilizzando il metodo dei gruppi di contrasto basato su un
confronto, per ogni scala, tra soggetti psicopatologici e soggetti di controllo.
I pazienti che ottengono punteggi molto elevati sulle scale cliniche presentano generalmente sintomi e
problemi più gravi rispetto ai soggetti che sulle stesse scale ottengono punteggi moderati.
Esse sono 10: Ipocondria (Hs), Depressione (D), Isteria (Hy), Deviazione Psicopatica (Pd),
Mascolinità/femminilità (Mf), Paranoia (Pa), Psicoastenia (Pt), Schizofrenia (Sc), Ipomania (Ma),
Introversione Sociale (Si)
- Ipocondria: gli item descrivono disturbi fisici e sintomi somatici vaghi e aspecifici (difficoltà nella
respirazione, disturbi del sonno)
o Scoring Punteggi elevati indicano eccessiva preoccupazione per il proprio corpo e in generale
per il proprio stato di salute. Punteggi estremamente elevati indicano preoccupazioni
somatiche bizzarre.
- Depressione: gli item valutano la presenza di uno stato psichico globale negativo e di
caratteristiche di personalità depressiva come eccessivo senso di colpa, tendenza all’intrapunitività.
o Scoring Punteggi alti sono spesso correlati con i sintomi depressivi.
- Isteria: gli item si riferiscono sia alla facilità nei rapporti sociali e alla negazione di problemi, sia a
problemi fisici e sintomi di conversione somatica dell’ansia.
o Scoring Punteggi elevati, ottenuti con risposte positive in entrambi i gruppi, indicano un
soggetto sopraffatto dai sentimenti, particolarmente reattivo allo stress e che evita le
responsabilità sviluppando sintomi fisici.
- Deviazione psicopatica: valuta la presenza di caratteristiche come disadattamento sociale,
problemi con l’autorità, disprezzo per le norme sociali e morali e contrasti familiari.
o Scoring punteggi elevati tendono ad essere associati con la difficoltà del soggetto di
interiorizzare i valori e gli standard della società.
- Mascolinità/femminilità: originariamente costruita per valutare le caratteristiche di personalità
nelle problematiche di identificazione sessuale, è la scala più controversa per la natura del costrutto
studiato ma anche per l’esiguità del gruppo di soggetti di studio (13 omosessuali maschi). La
maggior parte degli item fa riferimenti a interessi, scelte di vita o professioni che lo stereotipo
sociale definisce come tipicamente maschili o femminili.
o Scoring punteggi molto alti sono infrequenti fra le donne, mentre per gli uomini indicano
interessi estetici ed artistici, nella partecipazione della gestione della casa e nella cura dei figli in
misura maggiore rispetto agli altri uomini.
- Paranoia: valuta la presenza di tendenze alla sospettosità, rigidità, sensibilità interpersonale e idee
di riferimento.
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o ScoringPunteggi alti indicano individui ipersensibili alle opinioni degli altri, sospettosi, ostili e
polemici. Punteggi molto alti indicano manifestazioni paranoidi con disturbi del pensiero a
carattere persecutorio.
- Psicoastenia: scala inizialmente sviluppata sulla base della diagnosi di psicoastenia, sindrome
nevrotica caratterizzata da un’ansia eccessiva ed invalidante, da paure e preoccupazioni, da rituali
ossessivi e compulsivi.
o ScoringPunteggi alti indicano persone agitate, tese, dubbiose e con una ridotta fiducia nelle
proprie possibilità.
- Schizofrenia: valuta tutti i possibili spettri della sindrome schizofrenica.
o Scoring punteggi moderati indicano tendenze all’isolamento sociale con comportamenti
bizzarri e convinzioni inconsuete; punteggi alti indicano uno stile di vita schizoide e tendente
all’alienazione sociale; punteggi molto elevati indicano disturbi del pensiero ed alterato
contatto con la realtà.
- Ipomania: può essere considerata una misura del livello di energia fisica e mentale; misura
iperattività, irritabilità e ricerca di sensazioni, grado di eccitazione, egocentrismo e mancanza di
inibizione.
o Scoring punteggi elevati descrivono persone socievoli ma superficiali e manipolative nei
rapporti interpersonali.
- Introversione sociale: misura la partecipazione ad attività sociali, disagio generale soggettivo ed
affetti negativi.
o Scoring punteggi elevati corrispondono ad introversione sociale, estrema timidezza, reticenza
nelle situazioni sociali, scarsa fiducia in sé in relazione alle proprie capacità e al proprio aspetto,
disagio che aumenta in presenza di individui di sesso opposto; punteggi bassi indicano una
configurazione estroversiva caratterizzata da socievolezza, orientamento verso l’ambiente,
conformismo e facilità di eloquio.
Scale di contenuto
Le 10 scale riguardano prevalentemente l’interpretazione del contenuto e tentano di individuare gli
item con un significato rilevante nell’interpretazione del profilo dell’MMPI-2.
Misurando singole dimensioni, aiutano a comprendere meglio le scale cliniche. Ad es. se il pz riporta
punteggi elevati sulla scala clinica Deviazione psicopatica i clinici potrebbero rilevare punteggi
altrettanto elevati nelle scale di contenuto Disagio sociale e Problemi familiari.
Possono essere suddivise in gruppi differenti a seconda delle qualità che valutano:
- Comportamenti sintomatici interni: ansia, paure, depressione, ossessività, preoccupazioni per la
salute, ideazione bizzarra.
- Tendenze aggressive rivolte all’esterno: rabbia, cinismo, comportamenti antisociali, personalità di
tipo A (eccessiva dedizione al lavoro, realizzazione personale, poco tempo disponibile, si annoiano
facilmente).
- Autopercezione negativa: bassa autostima.
- Problemi generali: disagio sociale, problemi familiari, difficoltà sul lavoro (inteso come tratti di
personalità che potrebbero interferire sul lavoro), indicatori di difficoltà di trattamento (intesi come
tratti di personalità che potrebbero interferire con il trattamento).
Poiché gli item delle scale sono assolutamente espliciti rispetto al loro contenuto, i punteggi potrebbero
risentire di distorsioni dovute proprio all’atteggiamento del soggetto esaminato, ad es. i soggetti che
affrontano il test esagerando i propri problemi otterranno con più probabilità punteggi alti alla maggior
parte delle scale.
Sottoscale di Harris-Lingoes:
Gli autori hanno costruito le sottoscale per le 6 scale cliniche che apparivano maggiormente
eterogenee, ritenendo che ciò potesse aggiungere informazioni significative per l’interpretazione del
protocollo. Non devono in realtà essere interpretate, a meno che le loro parent scales non siano
significativamente elevate.
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Ad es. per la scala clinica Depressione alcune delle sottoscale sono Rallentamento psicomotorio,
Ruminazione, Disfunzioni fisiche.
4. Dati normativi: i dati ottenuti dal processo di standardizzazione del MMPI-2 hanno rilevato che i soggetti
del campione normativo attuale tendono a rispondere in modo più patologico rispetto al campione
precedente (dell’MMPI) abbassando la soglia per fare diagnosi.
5. Scoring ed interpretazione
I punteggi grezzi sono ricavati manualmente, con l’uso di griglie trasparenti o tramite un programma di
scoring automatizzato.
Tali punteggi sono poi riportati su tre fogli: scale cliniche, di contenuto e supplementari
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MODULO 7 – MCMI-III e SWAP
2. A chi è destinato: per la somministrazione, il test richiede almeno 18 anni ed almeno 8 anni di scolarità.
3. Come si utilizza
È un questionario self report breve, composto da 175 domande, che richiede circa 20-30 minuti per la
compilazione.
Le scale sono state standardizzate con un punteggio Base Rate (BR) che rappresenta la prevalenza dei
vari stili di personalità e delle sindromi cliniche nel campione normativo. Un punteggio BR > 84 indica la
presenza di un disturbo.
Non è uno strumento per valutare la personalità non patologica, sebbene Millon sostiene che possa
essere utilizzato anche con le persone “normali”.
Il test è costituito da: 4 scale di validità, 11 scale di disturbi della personalità, 3 scale di disturbi della
personalità gravi, 7 scale di sindromi cliniche e 3 scale di sindromi cliniche gravi.
L’interpretazione del test prevede tre passaggi: 1) la valutazione della validità del protocollo; 2) la
formulazione di decisioni diagnostiche relative ad ogni scala; 3) la formulazione del funzionamento
clinico complessivo
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1. Disturbi del pensiero: questa scala è un indice di psicosi e rileva il livello di confusione,
disorganizzazione, frammentazione e bizzaria del pensiero e l’inadeguatezza affettiva.
2. Depressione maggiore: la scala è stata appositamente costruita per valutare la depressione
maggiore secondo il DSM-IV.
3. Disturbo paranoide: la scala è una misura di ipervigilanza, sospettosità, persecutorietà e
referenzialità.
4. Considerazioni conclusive: nonostante il Millon sia il secondo questionario di personalità più diffuso dopo
l’MMPI-II, presenta delle lacune che suggeriscono di adottarlo con cautela.
Esiste poca ricerca sulla sua capacità di discriminare protocolli simulati, quindi è necessario porre
attenzione alla sovra-rappresentazione sintomatica e, in generale, all’utilizzo del test in ambito forense.
La struttura del Millon combacia con il DSM-IV-TR solo per un certo numero di variabili
Millon faceva parte della task force che si è occupata del DSM ed è sempre stato convinto della
necessità di distinguere tra disturbi (di personalità e clinici) gravi e meno gravi.
Presenta una moderata validità convergente con altri strumenti self-report e scarsa validità
convergente con le scale psichiatriche strutturate (soprattutto scala paranoide).
Secondo alcuni autori manca di una sufficiente validità diagnostica non raggiungendo criteri minimi di
validità scientifica. La validità di costrutto in particolare sembra inadeguata.
SWAP
1. Teoria di riferimento e perché viene utilizzato
La SWAP (Schedler-Westen Assessment Procedure) è un metodo di indagine clinician-report elaborato
da Westen e Shedler per scopi clinici e di ricerca. Gli autori volevano compensare i limiti degli strumenti
self-report, che consentono l’accesso esclusivamente alle conoscenze esplicite che i pz hanno di se
stessi, non permettendo di ottenere informazioni sui processi inconsci.
Applica alla diagnosi di personalità una logica dimensionale, ma stabilisce dei punteggi-soglia per le
diverse dimensioni oltre i quali è possibile elaborare diagnosi categoriali di disturbo di personalità.
Valuta quanto il funzionamento del soggetto si avvicini ad una serie di stili o disturbi prototipici
(approccio matching-protype)secondo quest’ottica, tutti gli individui possiedono caratteristiche
riconducibili ad ognuno degli stili/disturbi di personalità e ciò che differenzia gli uni dagli altri sono
l’intensità e le combinazioni delle diverse caratteristiche.
Una diagnosi di personalità valida, che consideri sia i tratti patologici sia le risorse, deve fornire
informazioni su 4 domini:
- Le motivazioni, gli standard ideali, i valori morali, le paure ed i conflitti.
- Gli stili cognitivi, le strategie e le capacità di regolazione delle emozioni.
- Le rappresentazioni di sé, degli altri e delle relazioni tra sé e gli altri.
- Il modo in cui questi domini si sono sviluppati nel corso della vita.
Una diagnosi funzionale di questo tipo, associata ad una concezione condizionale dei tratti di
personalità (tratti come tendenze a reagire in modo stabile e specifico alle situazioni interpersonali ed
intrapersonali vissute in modo analogo) sembra rappresentare un trai d’union tra diagnosi intesa come
mera etichetta e formulazione del caso.
Il suo obiettivo è quello di sanare il divario fra clinica e ricerca.
2. A chi è destinato: esiste una versione per adulti (SWAP) ed una per adolescenti (SWAP-A).
3. Come si utilizza
La SWAP è l’implementazione di una procedura Q-sort nella valutazione della personalità. Un Q-sort è
un insieme di affermazioni descrittive che il valutatore deve distribuire gerarchicamente in base a
quello che ritiene essere il loro grado di descrittività.
La logica del Q-sort è del tipo ipsativo, dunque il soggetto viene confrontato con se stesso ed il clinico o
il ricercatore che usa la SWAP deve valutare quanto ciascuno dei 200 item che la compongono descriva
il paziente su una scala da 0 a 7 (dove 0 implica che non lo descrive affatto e 7 che lo descrive
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totalmente). Ad es. “Tende a vedere i suoi sentimenti ed impulsi inaccettabili negli altri e non in se
stesso” (componente proiettiva). Inoltre il clinico è vincolato ad una distribuzione fissa: deve attribuire
un numero specifico di item, in modo da ovviare ai bias derivanti dalla tendenza a dare valutazioni
sempre estreme o sempre intermedie, a prescindere dalla loro effettiva rappresentatività.
Per quanto concerne le caratteristiche psicometriche, ha un buon grado di affidabilità inter-rater.
Negli adolescenti, l’applicazione della Q-factor analysis della SWAP-A ha evidenziato l’esistenza di
2 stili: indice di funzionamento sano ed inibito/autocritico
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5 disturbi della personalità: disturbo antisociale psicopatico, da disregolazione emotiva,
evitante/coartato, narcisistico ed istrionico.
L’applicazione dell’analisi fattoriale a questi dati ha messo in rilievo 11 tratti per descrivere le diverse
personalità patologiche: psicopatia/narcisismo maligno, disforia/inibizione, salute psicologica,
sessualizzazione istrionica, schizotipia, disregolazione emotiva, ossessività ansiosa, comportamento
delinquenziale, conflitti sessuali, disregolazione dell’attenzione e rifiuto dei pari.
4. La formulazione del caso: si uniscono in un resoconto coerente i 30 item più descrittivi di ogni paziente,
integrandoli con informazioni relative agli aspetti anamnestici ed evolutivi.
1. John Bowlby
Gli studi sull’attaccamento iniziarono a delinearsi in modo compiuto grazie al contributo di John Bowlby
che, sostenuto anche dalle osservazioni etologiche di Lorenz, rivoluzionò la concezione delle origini dei
legami affettivi riconoscendo che il bambino entra nel mondo essendo già predisposto all’interazione
sociale.
Egli ha posto l’accento sul bisogno del bambino di un attaccamento precoce sicuro alla madre; il
termine “attaccamento” indica infatti una relazione di tipo asimmetrico e complementare che si
instaura tra bambino e caregiver, connessa alla regolazione della sicurezza.
Riteneva che il bambino, se privato di un simile legame, mostrasse segni di deprivazione parziale
(eccessivo bisogno d’amore, grossolano senso di colpa o depressione) o totale (abulia, ritardo nello
sviluppo).
La teoria dell’attaccamento ha un focus biologico:
- L’attaccamento ha un valore di sopravvivenza: accresce la sicurezza mediante la prossimità al
caregiver
- I comportamenti di attaccamento fanno parte di un sistema comportamentale, che implica una
motivazione intrinseca e non può essere ridotto ad un’altra pulsionegli studi di Harlow sulle
scimmie avevano dimostrato che la necessità di contatto fisico è un bisogno primario ed
indipendente da quello relativo al soddisfacimento dei bisogni fisiologici. Ciò spiega anche perché
l’attaccamento possa verificarsi anche nei confronti di una figura abusante.
I tre sistemi comportamentali di attaccamento, esplorazione e paura regolano l’adattamento
evolutivo del bambino: la figura di attaccamento fornisce la base sicura fondamentale per
l’esplorazione, consentendo lo sviluppo di capacità cognitive e sociali. Il sistema della paura, attivato da
indizi “naturali” di pericolo (rumore improvviso, mancanza di familiarità di una situazione) attiva il
sistema di attaccamento spingendo il bambino a ricercare la base sicura. L’ansia è la situazione nella
quale è attivato il sistema della paura ma in assenza della figura di attaccamento.
Il comportamento di attaccamento non scompare in età adulta, subisce solo dei cambiamenti (si
diversificano i mezzi per raggiungerlo) ed è una continuazione di quello dell’infanzia.
I MOI
Lo scopo del sistema di attaccamento è l’accessibilità e responsività del caregiver, aspetti che rientrano
nel più ampio concetto di “disponibilità” (aspettativa fiduciosa, ricavata da una rappresentazione
abbastanza accurata dell’esperienza nel corso di un significativo periodo di tempo, che la figura di
attaccamento sarà disponibile). Il sistema di attaccamento è infatti sostenuto da una serie di
meccanismi cognitivi in seguito definiti come modelli operativi interni (MOI).
Bowlby, influenzato dalla psicologia cognitiva e in particolare dal modello dell’information processing,
pensava che differenti pattern di attaccamento riflettessero differenze individuali rispetto all’accesso
a certi tipi di pensieri, sentimenti e ricordi.
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Riteneva anche che i MOI del Sé e degli altri fornissero i prototipi di tutte le relazioni successive,
organizzando come veri e propri copioni le azioni del soggetto, stabilendo le regole in base alle quali
percepire, prevedere ed agire nel contesto relazionale. In quest’ottica, i MOI tendono a ricreare
attivamente esperienze congruenti alla storia relazionale vissuta dal bambino, e ad escludere in modo
difensivo le informazioni incongruenti con tali rappresentazioni.
Implicazioni cliniche: le teorie di Bowlby hanno messo in discussione l’idea psicoanalitica che il
cambiamento della personalità passasse necessariamente per la trasformazione del materiale rimosso
attraverso l’interpretazione e l’insight; il lavoro interpretativo rappresenta solo un aspetto del lavoro
clinico, e il cambiamento profondo può essere ottenuto solo quando le esperienze reali con il clinico o
con altre figure di riferimento finiscono per contraddire le aspettative negative sulla relazione che sono
codificate a livello di MOI.
2. Strange Situation
È una metodologia osservativa standardizzata sviluppata dalla Ainsworth per l’osservazione dei MOI
del bambino. Dura circa 20 minuti e comprende una serie di episodi di separazione e riunione tra
caregiver e bambino che mettono in evidenza le interrelazioni tra i sistemi comportamentali di
attaccamento, paura ed esplorazione.
Tale procedura con bambini di 1 anno ha consentito l’individuazione di 4 tipologie di attaccamento
- Sicuro: il genitore rappresenta la “base sicura” da cui il bambino può allontanarsi
temporaneamente per esplorare l’ambiente. Egli si dimostra ansioso in presenza dell’anziano e lo
evita. Quando il caregiver ritorna, il bambino le va incontro e la saluta. Se durante la separazione ha
pianto si lascia consolare, si calma subito e riprende ad esplorare l’ambiente.
- Insicuro/evitante: in presenza e in assenza della madre il bambino sembra assorbito
nell’esplorazione. Mostra indifferenza alla separazione e non cerca la vicinanza con il caregiver
quando ritorna. Questi bambini iper-regolano l’affettività ed evitano le situazioni che possono
probabilmente indurre disagio.
- Insicuro/ambivalente o resistente: in presenza della madre il bambino si mantiene stretto ad essa
e non esplora l’ambiente. In sua assenza mostra segni di sconforto, piange e non esplora, o esplora
ma per poco tempo. Quando la madre ritorna le si avvicina per farsi consolare, ma la allontana e la
rifiuta quando lei fa per prenderlo in braccio. Questi bambini ipo-regolano ed intensificano
l’espressione del loro disagio, forse allo scopo di provocare la risposta sperata del caregiver, ed
hanno una bassa soglia per la minaccia.
- Disorganizzato/Disorientato: questa categoria, introdotta successivamente da Main e Solomon,
sembra avere il significato predittivo più consistente per quanto concerne successivi disturbi
psicologici, in particolare disturbi dissociativi. È propria di bambini che hanno subito maltrattamenti
o i cui genitori erano coinvolti in traumi/lutti non risolti. Al momento del rientro del caregiver i
bambini manifestano comportamenti contraddittori simultanei o in sequenza (ad es. evitanti e
resistenti), comportamenti inspiegabili e disorganizzati come stereotipie, posture anomale, rigidità
(ad es. rannicchiamento), freezing con lo sguardo fisso nel vuoto.
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L’analisi dell’intervista non è basata primariamente sul contenuto del racconto ma sulla sua
organizzazione strutturale (semantica e formale)l’intervista è stata elaborata a partire dall’ipotesi
che le regole dei MOI si manifestino nell’organizzazione del pensiero e del linguaggio relativi
all’attaccamento. Per essere un “buon conversatore” è fondamentale che nella comunicazione siano
rispettate le regole identificate dal filosofo del linguaggio Grice:
- Qualità: essere veritieri fornendo prove per quello che si dice. Viene violata laddove il soggetto non
riesce a supportare affermazioni generali con ricordi/esperienze specifiche (ad es. da Ds).
- Quantità: essere sintetici ma esaurienti. Viene violata laddove il soggetto non rispetta i turni
conversazionali e fornisce risposte eccessivamente lunghe (ad es. E) o eccessivamente brevi (ad es.
Ds).
- Relazione: essere coerenti rispetto all’argomento trattato. Viene violata quando il soggetto non
risponde a quanto richiesto perché parla di altro, fornisce dettagli irrilevanti o frasi fatte (ad es. E).
- Modo: essere chiari ed ordinati ed evitare ambiguità espressive. Viene violata quando il soggetto
usa un discorso grammaticalmente contorto, gergo psicologico, termini vaghi, pronomi personali
senza specificare di chi si parla, modi di dire che presuppongono che l’intervistatore sappia di cosa
si parla (sa come funziona no?), passa al tempo presente come se l’evento si stesse ancora
verificando (ad es. E).
Gli individui classificati come “insicuri” violano quasi sempre una o più delle regole di Grice, mentre al
contrario, la capacità di mantenere la coerenza durante la narrazione è indice di attaccamento sicuro.
Struttura: il protocollo prevede di iniziare a sondare il passato, per poi passare al presente ed infine al
futuro.
Inizia quindi con la richiesta di presentare una breve panoramica delle persone con cui l’intervistato ha
vissuto, e di raccontare se abbia vissuto con persone diverse dai genitori.
In seguito, si chiede al soggetto di descrivere la sua relazione con i genitori quando era bambino,
tornando il più indietro possibile con la memoria. Questa fase attiva l’inconscio facendolo tornare
indietro nel tempo.
Si chiede poi di elencare cinque aggettivi, parole o frasi che descrivano nel modo migliore le relazione
con ciascun genitore, e di illustrare ricordi che siano legati all’aggettivo identificato (in questo caso
sono importanti le regole di Grice)
Dopodiché si chiede al soggetto di indicare a quale genitore si sia sentito più vicino e cosa facesse
quando era emotivamente turbato, si faceva male o si ammalava (occasioni in cui ci si aspetta che il
sistema di attaccamento venga attivato in modo particolare) e come reagissero i genitori.
In seguito si chiede al soggetto di raccontare l’esperienza vissuta riguardo alle prime separazioni (ad
es. dormire fuori casa, campo scuola, gita).
Vengono poste domande riguardanti le esperienze traumatiche (lutti, abusi)
Si chiede di parlare degli effetti globali che le esperienze vissute con i genitori hanno avuto sulla
personalità attuale, se qualche esperienza sia stata un ostacolo rispetto allo sviluppo, e perché ritiene
che i genitori si siano comportati così, stimolando quella che Fonagy definisce capacità riflessiva
(capacità di mettersi nei panni del caregiver).
Si chiede se vi sono stati altri adulti cui il soggetto si sentiva vicino in modo particolare.
Si chiede quale sia la relazione attuale con i genitori.
Si chiede come si sentirebbe nel caso in cui dovesse separarsi da un figlio (reale o immaginato) e quali
esperienze derivanti dall’essere stato figlio possano aver influito sulle sue risposte.
Infine, si chiede di esprimere dei desideri per il figlio per i prossimi venti anni.
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- Amorevolezza: valuta il sostegno emotivo e la disponibilità del genitore, soprattutto nei momenti
critici (“Papà era una persona con cui potevo sempre parlare dei miei problemi”)
- Rifiuto: valuta il grado in cui il genitore era rifiutante o evitante rispetto ai segnali di attaccamento
del bambino (“Guarda come sei appiccicoso”)
- Trascuratezza: valuta quel comportamento del genitore che, pur essendo presente fisicamente, è
tuttavia disattento nei confronti del bambino (perché troppo attento ed impegnato
nell’organizzazione della casa, nell’allevamento di altri figli, sul piano sociale, nel suo disagio
psicologico).
- Pressione alla riuscita: valuta il grado in cui il bambino è stato spinto a raggiungere alcuni risultati o
ad assumersi responsabilità da adulto.
- Coinvolgimento/inversione di ruolo: valuta il grado in cui il genitore ha messo se stesso al centro
dell’attenzione del bambino, coinvolgendolo nelle proprie cure fisiche o psicologiche o facendo
dipendere il proprio benessere dalla presenza del bambino e scoraggiando la sua indipendenza.
Scale dello stato della mente: si riferiscono allo stato della mente rispetto all’attaccamento e quindi al
livello semantico. Viene replicata sia per il padre sia per la madre. Esse sono 9:
- Idealizzazione di una figura di attaccamento: scala associata a Dsvaluta la discrepanza fra la
descrizione globale del genitore a livello semantico ed i ricordi a sostegno di questa
rappresentazione (memoria episodica). Ad es. soggetto che descrive sua madre come “eccezionale”
nonostante in altre parti del trascritto abbia raccontato minacce ripetute di essere dato in
affidamento ed un successivo reale collocamento in affidamento.
- Rabbia attuale: scala associata ad Eindica uno stato di preoccupazione ancora attuale nel quale il
soggetto è, per l’appunto, invischiato ed assorbito. Vengono violate le massime di quantità,
rilevanza e modo. Ad es. racconto che il figlio fa del padre alcolista, il quale asserisce che “(…) se
vuole distruggere la sua vita allora lo sta facendo perfettamente.”
- Rifiuto attivo: scala associata a Ds valuta il rifiuto sprezzante delle relazioni o delle esperienze
connesse all’attaccamento. Ad es. adolescente adottata che asserisce che dai 6 anni in poi pensava
solamente che sua madre fosse una stupida e che la odiava.
- Insistenza sulla mancanza di ricordi nell’infanzia: scala associata a Ds valuta l’insistenza del
soggetto sulla propria incapacità di ricordare l’infanzia. Ad es. soggetto che ripete di non ricordare
la relazione con i suoi genitori quando era piccolo.
- Passività o vaghezza del discorso: scala associata ad E fa riferimento all’incapacità apparente del
soggetto di trovare le parole, cogliere un significato o focalizzarsi su uno specifico argomento, in un
contesto nel quale tali manifestazioni non si costituiscono come un deliberato spostamento
dell’attenzione. Ad es. racconto del figlio il quale, invitato a spiegare il motivo per cui aveva
adoperato il termine “stretta” per descrivere la relazione con sua madre, non riesce a formulare
una risposta coerente vagando dal contesto con libere associazioni.
- Paura della perdita: scala associata a Ds riguarda la paura, immotivata, di perdere un bambino.
- Monitoraggio metacognitivo: scala associata a F il soggetto è capace di una riflessione sul
pensiero, può commentare in modo riflessivo le contraddizioni insite nel resoconto della sua storia
ed ammette la possibile fallibilità della memoria. È consapevole della distinzione fra apparenza e
realtà e della diversità rappresentazionale. Ad es. “Almeno è così che la vedo io. Mio padre
potrebbe vedere la nostra relazione in modo completamente diverso.”
- Mancata risoluzione di lutti o traumi
- Coerenza del trascritto: scala associata a F indica la capacità del soggetto di essere, nel
complesso, a proprio agio con l’argomento e le discussioni hanno spesso il carattere della
spontaneità. C’è stata una rielaborazione personale della propria storia.
- Coerenza della mente scala associata a Frisponde alla domanda “il pensiero del soggetto nel
corso di tutta l’intervista è coerente?”
I punteggi ottenuti alle scale, assieme all’analisi del trascritto, contribuiscono all’assegnazione delle
categorie “organizzate”:
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1. Sicuro/autonomo (F - free): individui che apprezzano le relazioni d'attaccamento, rispettano le
massime di Grice, integrano coerentemente i ricordi in una narrativa significativa e li considerano come
formativi. C’è la capacità di mostrare perdono, compassione e accettazione degli errori dei genitori. È
possibile rintracciare esempi di processi metacognitivi durante l’intervista. L’attaccamento sicuro
acquisito (soggetti earned secure) si presenta con narrazioni coerenti ma esperienze traumatiche nel
passato: il genitore ha compreso il senso di tali esperienze attuando un lavoro retrospettivo su se
stesso.
2. Insicuro/distanziante (DS - dismissing): i soggetti non riescono ad integrare la componente semantica
ed episodica, idealizzano e/o svalutano le prime relazioni descrivendo il Sé come forte ed indipendente,
violando le massime di qualità e di quantità; asseriscono una scarsità di ricordi connessi alle esperienze
di attaccamento.
3. Insicuro/preoccupato o invischiato (E- entangled): i soggetti non riescono ad integrare la componente
semantica ed episodica, tendono ad essere arrabbiati o passivi ed ancora coinvolti nella vita passata,
continuando a lamentarsi degli affronti subiti durante l'infanzia, tentando anche di coinvolgere
l’intervistatore nella loro attribuzione di colpe al genitore. Violano le massime di relazione, modo e
quantità.
4. Irrisolto nei confronti del lutto o del trauma (U – unresolved): i soggetti manifestano specifiche
incoerenze, lapsus o alterazioni del discorso durante il racconto di esperienze traumatiche (ad es.
perdita di una figura di attaccamento durante l’infanzia) o esperienze di abusi fisici o sessuali. Non è
tanto la perdita (o il trauma) in sé che consente l’attribuzione del soggetto a questa categoria, bensì la
presenza di processi mentali irrisolti relativi a tali eventi.
5. Cannot Classify (CC): presenza di modelli mentali contraddittori che indicano una rottura globale della
strategia di attaccamento, la quale si manifesta mediante l’oscillazione, nel corso dell’intervista, tra due
stati della mente contrastanti che dovrebbero essere incompatibili (ad es. Ds ed E), oppure attraverso
una generale incapacità di mantenere una posizione organizzata.
Attaccamento e psicopatologia
La relazione tra attaccamento e psicopatologia è piuttosto complessa:
- Gli studi sui campioni a basso rischio non hanno identificato una relazione univoca tra
attaccamento insicuro nell’infanzia e problemi emotivi o comportamentali in età prescolare e
scolare
- Gli studi sui campioni ad alto rischio hanno individuato una relazione tra attaccamento insicuro e
problemi di esternalizzazione.
Molti studi hanno evidenziato che, in età adulta,
- I disturbi psichiatrici sono quasi sempre associati con stati della mente insicuri e con lo stato non
risolto
- L’attaccamento disorganizzato, cannot classify ed una sottocategoria dello stile preoccupato che si
caratterizza per essere sopraffatto dal trauma è presente in misura significativamente maggiore tra
i pazienti psichiatrici.
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sensibile ad alcuni valori, denominati non test factors (interessi, motivazione, capacità di tolleranza
della frustrazione) che aiutano a determinare in che modo si esprimono le abilità del soggetto.
La 4 edizione delle scale Wechsler è stata caratterizzata: dall’assenza della distinzione storica tra
subtest verbali e di performance, da 4 nuovi punteggi compositi per la WISC e la WAIS, dall’influenza
degli studi sulla velocità di elaborazione e sulla memoria di lavoro e dall’influenza del cambiamento
dei modelli teorici. Particolarmente pregnanti a questo proposito furono: la Cattel-Horn Carrol Theory
of Cognitive Abilities (CHC) che considera l’intelligenza come l’insieme di abilità molteplici e che
prevede la distinzione in abilità cognitive ampie (ad es. intelligenza cristallizzata e fluida, MBT,
immagazzinamento a lungo termine e rievocazione) e ristrette; il Boston Process Approach (BPA) che
punta l’attenzione sulla differenza fra processo cognitivo e risultato conseguito.
Le scale Wechsler, nel corso di un processo diagnostico, possono aiutare ad effettuare una diagnosi
differenziale, a valutare il livello di intelligenza premorboso, le aspettative, le strategie di coping e
l’incidenza che gli stressor ambientali hanno sulle capacità cognitive del pz, a dedurre in che modo
questi si rapporti alle situazioni valutative e di fallimento.
Per quanto concerne la classificazione del QI:
- QI>130: nettamente superiore
- 120<QI<129: superiore
- 110<QI<119: medio-superiore
- 90<QI<109: medio
- 80<QI<89: medio-inferiore
- 70<QI<79: al limite della deficitarietà
- QI<69: deficitarietà
Nel DSM-5 la nuova denominazione Disabilità Intellettiva è inclusa nella sezione Disturbi del
neurosviluppo ed i suoi criteri sono: deficit nelle abilità intellettive come ragionamento, problem
solving, pianificazione ecc; deficit nel funzionamento adattivo; esordio del deficit intellettivo ed
adattivo durante il periodo infantile. I livelli di gravità (lieve, moderata, grave, gravissima) vengono
definiti sulla base del funzionamento adattivo e non sui punteggi del QI. I disturbi del neurosviluppo si
presentano spesso insieme, ad es. individui con ADHD presentano spesso anche un DSA.
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È utilizzata per rilevare la disabilità intellettiva, per identificare debolezze e risorse del funzionamento
cognitivo del bambino, per predisporre la pianificazione scolastica, per determinare gli effetti di un
danno cerebrale da trauma sul funzionamento cognitivo e per condurre ricerche cliniche e
neuropsicologiche.
Può essere somministrata ai bambini di età compresa fra i 6 e i 16 anni e fornisce un punteggio totale
di QI, rappresentativo dell’abilità intellettiva generale, e quattro punteggi compositi, che misurano
specifici domini cognitivi.
Essa si compone di 15 subtest (10 fondamentali e 5 supplementari) che indagano 4 dimensioni:
- Comprensione verbale (somiglianze, vocabolario, comprensione, informazione, ragionamento con
le parole): valuta la capacità di astrazione, la generalizzazione, il ragionamento pratico, il recupero
dalla memoria a lungo termine e l’utilizzo del medium linguistico.
- Ragionamento visuo-percettivo (disegno con i cubi, concetti illustrati, ragionamento con le matrici,
completamento di figure): valuta la coordinazione visuo-percettiva, il ragionamento astratto su
immagini e la gerarchizzazione.
- Memoria di lavoro (memoria di cifre, riordinamento di lettere e numeri, ragionamento aritmetico):
valuta le capacità di operare mentalmente, l’utilizzo del pensiero flessibile e reversibile e le
sequenze operative.
- Velocità di elaborazione (cifrario, ricerca di simboli, cancellazione): valuta il buon utilizzo del tempo
a disposizione per operare scelte e l’utilizzo della memoria di lavoro.
La WISC-IV si è evoluta in relazione al cambiamento dei modelli teorici, in particolare con l’avvento di:
- La Cattel-Horn Carrol Theory of Cognitive Abilities (CHC) che considera l’intelligenza come
l’insieme di abilità molteplici e che prevede la distinzione in abilità cognitive ampie (ad es.
intelligenza cristallizzata e fluida, MBT, immagazzinamento a lungo termine e rievocazione) e
ristrette.
- Il modello di Carrol: che prevede una struttura gerarchica delle abilità cognitive, al cui vertice c’è lo
Stratum III (equivalente del fattore g di Spearman), al di sotto lo Stratum II (poche abilità cognitive
ampie), alla base lo Stratum I (numerose abilità cognitive ristrette).
È possibile effettuare sia un confronto normativo (soggetto confrontato con un gruppo di riferimento)
sia ipsativo (soggetto confrontato con se stesso, allo scopo di identificare i punti di forza e di
debolezza).
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