Sei sulla pagina 1di 33

LA COMPRENSIONE CLINICO-DINAMICA DEL COLLOQUIO:

PROBLEMI DI FORMAZIONE DEGLI PSICOLOGI CLINICI: La figura professionale dello


psicologo clinico non è chiaramente definita. Psicologo clinico e psicoterapeuta non
coincidono; l’università il luogo di formazione degli psicologi clinici risente della
diatriba tra clinici e accademici e forma persone prive di autonomia professionale.
E’ molto importante per le persone in formazione rendersi conto di come la teoria si
declini nella pratica, ma ciò è difficile per via della mancanza di esperienze sul
campo. Chi fa formazione deve assimilare continuamente nuove info in modo da
non trasmettere teorie e modelli obsoleti.

UN CLINICO DEVE:
 Avere le conoscenze necessarie per riconoscere il problema che ha di fronte
 Saper ragionare in modo da formulare ipotesi e apprendere dagli errori
 Prendere decisioni adeguate
 Comunicare le decisioni ai colleghi, al paziente e ai familiari

Un primo problema è la scelta di cosa insegnare, le info che si trovano sui libri
rappresentano un prototipo, che nella realtà clinica estremamente sfaccettata non
esiste.
Lo psicologo clinico deve conoscere modelli nosografico-descrittivi e interpretativo-
esplicativo diversi, usare strumenti diagnostici differenti, stendere relazioni
psicodiagnostiche, usare le principali tecniche di intervento. L’acquisizione delle
conoscenze universitarie permette solo l’acquisizione teorica e non pratica.
La conoscenza dei contenuti, ovvero le info è un 1° livello indispensabile nell’agire
clinico, ma se il clinico uscito dall’università possiede solo la conoscenza dei
contenuti, ignorando il come fare, ovvero le procedure e il proprio funzionamento
avrà molte difficoltà.
Occorre integrare conoscenze appres , conoscenze procedurali e di sé.
La situazione attuale privilegia, attraverso l’ascolto delle lezioni e lo studio,
l’acquisizione di un gran numero di info rispetto a un “oggetto”, il paziente, di cui
non si ha un esperienza diretta. L’apprendimento spesso è artificiale o passivo,
l’informazione è memorizzata, ma manca un’integrazione attiva con il contenuto.
Occorre far fare agli studenti un salto di livello, passando dall’apprendimento
superficiale a quello profondo, in cui gli schemi persistenti vengono attivamente e
profondamente modificati da nuovi dati. Al contrario la persona incapace di
selezionare le info, categorizzarle e gerarchizzarle si comporterà nello stesso modo
con il paziente, perché utilizzerà la stessa strategia nonostante si trovi difronte a
“oggetti diversi”. Fondamentale è la capacità di cambiare strategia di problem
solving in rapporto all’oggetto.

1
L’acquisizione di conoscenze procedurali e personali pone diversi problemi. Per
alcuni docenti non è importante. Di solito si tende a approfondire ciò che già si
conosce o a rimanere aderenti a un unico modello teorico—restringimento delle
conoscenze procedurali, devono essere chiari il ruolo e le funzioni dello psicologo
clinico.
Si può arrivare a una definizione del ruolo e delle funzioni dello psicologo clinico solo
se si è convinti che il passaggio dalla teoria alla pratica clinica sia compito
dell’università. Attualmente invece, il luogo della teoria è l’università, mentre quello
della clinica solo le strutture e il territorio.
L’università ha sviluppato metodologie specifiche per l’acquisizione di info, ma non
ha sviluppato metodologie altrettanto sofisticate per l’individuazione di quella con il
maggior potere esplicativo per il caso specifico.
L’integrazione tra aspetti accademici e clinici avviene lavorando su materiale clinico
e permette di conciliare l’evoluzione della teoria con l’evoluzione della
psicopatologia.
Lavorare su materiale clinico in università permette agli studenti di :
 Comprendere che la tendenza a utilizzare dei “copioni” impedisce di cogliere
nuovi indicatori
 Centrare l’attenzione sulla covariazione tra comportamenti, eventi ambientali
e tratti di personalità e sui nessi causali
 Verificare che gli stessi dati possono avere interpretazioni diverse, non sono
oggettivi
 Rilevare che non esiste osservazione che sia indipendente dalla teoria
 Abituare il clinico a osservare la stessa realtà attraverso modelli differenti
 Identificare gli elementi rilevanti per il casi
 L’attendibilità delle conclusioni non può essere maggiore del livello di
attendibilità che hanno le premesse
 Bisogna non solo conoscere, ma anche sapere come e quando applicare le
strategie e renderle automatiche
 Importante essere focalizzati più sul processo (come posso fare) che sul
risultato (sarò capace?)
Alcune tendenze negative sono quelle di trattare indizi irrilevanti come se fossero
rilevanti, validare ipotesi con maggior numero di indizi positivi o ricorrendo a
credenze/ opinioni personali.
I ragionamenti clinici sono influenzati dalle strategie cognitive del clinico e dai
fattori emotivi.
L’addestramento al ragionamento clinico dell’università permette di modificare il
vissuto dell’errore da segno di incompetenza a occasione di apprendimento.
L’errore clinico è spesso un errore conoscitivo o un errore a livello della diagnosi,
si fanno errori di attribuzione, false rappresentazioni della realtà. Il clinico può
sbagliare per via delle sue convinzioni sull’origine di determinati comportamenti.
2
ANAMNESI E SINTOMATOLOGIA:
La raccolta dei dati anamnestici avviene con uno stile non direttivo e aperto. E’ bene
annotare le info che possono essere approfondite successivamente. Esistono scale
di valutazione che possono essere specifiche o più generali.
Esistono inoltre interviste diagnostiche standardizzate basate su criteri che
rimandano ad un preciso sistema diagnostico, come il DSM o L’ICD. L’obiettivo
dell’anamnesi è ottenere informazioni su vaste aree psicosociali.
Gli ambiti sono quelli delle caratteristiche individuali, microambiente, macro-sociali
e culturali.
Le caratteristiche individuali comprendono:
 Dati anagrafici e aspetti evolutivi
 Condizione socio-lavorativa
 Capacità adattive
Il micro ambiente comprende:
 Relazioni interpersonali
 Aspetti protettivi
 Famiglia d’origine
Il macroambiente comprende:
 Variabili socioeconomiche
 Aspettative sociali del paziente

Particolare attenzione va data ai life events. L a sintomatologia riceve delle info


anamnestiche, una sorta di cornice. Le info anamnestiche possono essere
organizzate anche in termini di fattori di protezione e di rischio. Per sintomatologia
si intendono sia i sintomi in senso ristretto sia quelli di area relazionale, mentre per
anamnesi si intendono informazioni a largo spettro, che includono info biografiche
puntuali e narrazioni più estese.

Le aree principali nella lettura dei colloqui sono:


 Sintomatologia
 Diagnosi descrittiva
 Anamnesi: -dati bio-psicosociali – fattori di rischio e protezione – agenti
stressanti causali
 Caratteristiche dell’io
 Relazioni oggettuali
 Area del sé

SINTOMATOLOGIA:

3
Il termine diagnosi descrittiva rimanda alla classificazione dei disturbi mentali del
DSM per cui:
 Ogni quadro è diagnosticabile in base a criteri osservabili e condivisibili
 I criteri devono essere oggetto di ricerca approfondita
 L’associazione tra i vari sintomi produce la diagnosi
 Ogni riferimento a teorie eziopatogeniche deve essere fatto con cautela, il
DSM è infatti ateoretico
 Non si pone il problema del perché, ma del come

Vantaggi della diagnosi descrittiva:


 Facilmente comunicabile anche tra clinici di orientamento diverso
 Si possono seguire nel tempo pazienti simili
 Utilizzata in ricerche di tipo epidemiologico

Svantaggi della diagnosi descrittiva:


 Tende a non dare importanza al contesto soggettivo e alle risorse individuali
 Corre il rischio di etichettare i pazienti
 Privilegia un modello medico non giustificato
 Non tiene conto di resistenze e transfert
DSM:
DISTURBO CORRELATI A SOSTANZE: è bene annotare riferimenti anche minimi
all’uso di sostanze diffuse, tenendo presente il frequente uso del diniego
SCHIZOFRENIA E ALTRI SISTURBI PSICOTICI: Il DSM richiede la presenza di sintomi
caratteristici e una disfunzione sociale/ lavorativa marcata. La durata deve essere di
almeno 6 mesi
DISTURBI DELL’UMORE: vi sono episodi di alterazione dell’umore alla base dei veri e
propri disturbi dell’umore
 EPISODIO DEPRESSIVO MAGGIORE: richiede 5 o più dei seguenti sintomi per
almeno 2 settimane
-umore depresso per la maggior parte del giorno
-diminuzione dell’interesse per tutte le attività
-perdita o aumento di peso significativi
-insonnia o ipersonnia
-agitazione o rallentamento psicomotorio
-affaticabilità o mancanza di energia
-autosvalutazione e senso di colpa eccessivi
-ridotta capacità di pensare o concentrarsi
-pensieri ricorrenti di morte
 EPISODIO MANIACALE: richiede almeno 3 dei seguenti sintomi:
-autostima ipertrofica o grandiosità

4
-diminuito bisogno di sonno
-maggiore loquacità
-fuga dalle idee
-distraibilità
-aumento dell’attività finalizzata
-eccessivo coinvolgimento in attività ludiche

Nel DSM sono inoltre presenti le definizioni di episodio misto e ipomaniacale.


Disturbi d’ansia:
 ATTACCO DI PANICO: richiede 4 dei seguenti sintomi nel giro di 10 minuti:
 Palpitazioni, tachicardia
 Sudorazione
 Tremori
 Dispnea o soffocamento
 Sensazione di asfissia
 Dolore al petto
 Nausea
 Svenimento
 Paura di perdere il controllo
 Paura di morire
 Parestesie
 Brividi o vampate di calore
AGORAFOBIA: ansia relativa all’essere in luoghi o situa dai quali sarebbe difficile
allontanarsi.

DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO:


 Ansia e preoccupazione eccessive
 Difficoltà nel controllare la preoccupazione
 Irrequietezza
 Affaticabilità
 Vuoti di memoria
 Tensione muscolare
 Alterazione del sonno
ASSE//
DISTURBI DI PERSONALITA’ prevedono criteri generali e criteri specifici per ogni
disturbo, i criteri generali sono:
 Devia alle aspettative culturali dell’individuo
 È pervasivo e inflessibile
 È stabile nel tempo
 Esordisce nell’adolescenza
5
 Non dipende dalla condizione medica generale
I singoli disturbi sono raggruppati in 3 cluster: 1)eccentrico 2)drammatico 3)ansioso

CLUSTER A: ECCENTRICO
 Paranoide
 Schizoide
 Schizotipico
CLUSTER B: DRAMMATICO
 Antisociale
 Borderline
 Istrionico
 Narcisistico
CLUSTER C: ANSIOSO
 Evitante
 Dipendente
 Ossessivo compulsivo

SINTOMATOLOGIA E COLLOQUI: i colloqui liberi favoriscono risposte aperte, vi è una


grande differenza con l’approccio medico descrittivo. Nel colloquio 1 la paziente
descrive alcune sue caratteristiche che richiamano problemi di gestione
dell’aggressività, che non si manifestano come sintomi, ma potrebbero essere
rimandati all’area relazionale con ipotesi di disturbo della personalità.

ANAMNESI:
Una buona anamnesi dovrebbe lasciare al clinico la sensazione di una storia, di una
narrazione. Dati bio-psico-sociali. Engel denominò il modello bio-psico-sociale
riferendosi agli effetti cumulativi di fattori multipli che portano alla psicopatologia.
I dati biologici riguardano:
 Malattie organiche
 Farmaci
 Altre sostanze
 Malattie organiche ereditarie
 Disturbi della condotta
 Patologie familiari
I dati psicologici riguardano:
 Qualità dell’ambiente evolutivo
 Relazione con i genitori
 Rivalità fraterna
 Stile difensivo
 Stile di attaccamento
6
 Esperienze traumatiche
 Psicopatologia genitoriale
 Iter scolare
I dati sociali:
 Classe socio-economica
 Aspetti trans-culturali
 Rete sociale
 Appartenenza a gruppi allargati

Il DSM-IV nell’asse IV riporta problemi psicosociali e ambientali presenti durante


l’anno precedente la valutazione e che possono influenzare la diagnosi.
Fattori di rischio e di protezione: si tratta di fattori di rilievo sia nel senso di
aumentare sia nel senso di diminuire il rischio di sviluppare un certo problema.

Sono considerati fattori di rischio:


 Ambiente famigliare ostile e discordante
 Abuso sessuale e fisico infantile e adolescenziale
 Unica figura genitoriale
 Rete comunicativa allargata in preadolescenza
 Gruppi di pari adolescenziale
 Istituzionalizzazioni precoci
 Esperienze croniche di umiliazione
 Separazione genitoriale
 Psicopatologia genitoriale
Sono considerati fattori di protezione:
 Tratti adattivi di personalità
 Ambiente famigliare supportivo
 Strutture sociali con norme chiare
 Disponibilità di sostegno per i membri della famiglia
 Relazioni interpersonali “vicarianti”
Gli agenti stressanti correlati-causali sono eventi scatenanti legati al disagio in
esame. Possono essere diretti o indiretti. Gli eventi hanno un livello diverso di
potenziale stressante. Per esempio un disturbo da stress post-traumatico prevede la
presenza di un evento specifico, come un terremoto.

CONFLITTI:
Evoluzione del costrutto. Il conflitto è un concetto che riguarda qualità delle
motivazioni e degli affetti implicati nella psicopatologia e l’intensità della sofferenza,
nonché le modalità preferenziali con cui la persona elabora e risolve il conflitto

7
scegliendo strategie di adattamento. Freud definisce il conflitto tra un affetto
associato ad un evento traumatico e al suo ricordo e una difesa ovvero la rimozione.
L’intensità del conflitto dipende dalla quantità di energia psichica impegnata,
l’energia è primariamente di origine pulsionale, ma successivamente viene
trasformata in forme vincolate e neutralizzate grazie alle funzioni difensive dell’IO.
Dal punto di vista esperienziale, il conflitto è per sua natura universale: consiste nel
fatto che le tensioni, alla ricerca di soddisfazione pulsionale, portano alla comparsa
di sentimenti spiacevoli.
Il conflitto porta a tentativi continui di risolvere la tensione e tenere sotto controllo il
contenuto affettivo dell’esperienza. Successivamente, la migliore soluzione trovata
in termini di economia tende a stabilizzarsi nel tempo.
La differenza tra soluzioni normali e patologiche sta nel fatto che queste ultime
tendono ad utilizzare soluzioni primitive e possono produrre dei sintomi. Passando
dal paradigma pulsionale a quello relazionale il concetto di conflitto assume il
significato di una situa emotiva interna, stabile nel tempo, determinata da relazioni
interpersonali significative e conflittuali reali o esterne.
Il conflitto è il risultato di esperienza di regolazione interattiva non adeguata nella
relazione con le figure di accudimento della prima infanzia o con altre figure
significative nello sviluppo successivo.

STEPHEN MITCHELL: introduce il concetto di conflitto relazionale, per cui i disturbi


nelle relazioni precoci del bambino con gli adulti che se ne prendono cura limitano la
possibilità di espansione della matrice relazionale così il conflitto relazionale
sperimentato nell’infanzia sarà perpetuato e riprodotto dall’adulto nel tentativo di
attribuire un senso di familiarità e sicurezza al mondo che lo circonda. Questi
conflitti tendono a rimanere costanti nel tempo e ad agire a livello inconscio,
riattivando modelli relazionali disfunzionali e patologici. Secondo questa prospettiva
i conflitti che hanno origine nel passato regolerebbero le relazioni nel presente.
L’intensità del conflitto si misura in questo caso come ridondanza dell’esperienza
conflittuale: quanto più il conflitto è pervasivo nella vita di una persona, tanto più la
matrice relazionale risulta limitata. Attraverso la valutazione dei conflitti nella vita di
una persona è possibile fare inferenze sulle eventuali disfunzioni nella regolazione
interattiva dei sistemi motivazionali.

LESTER LUBORSKY:
Ha messo a punto un metodo per rilevare il tema relazionale conflittuale centrale
(CCRT) di un paziente, ovvero il suo nucleo conflittuale più importante e spesso
patologico, attraverso l’analisi degli episodi relazionali raccontati dal paziente
attraverso le associazioni verbali. Il modello è composto da una rappresentazione di
sé in termini motivazionali ( ciò che desidero), da una rappresentazione dell’altro in
rapporto alle motivazioni del sé (come gli altri rispondono ai miei desideri) e da una
8
rappresentazione della relazione abituale del sé alle interazioni con l’altro (come io
mi sento/comporto in conseguenza alla risposta degli altri).

Negli anni ’90 un gruppo di ricercatori clinici tedeschi (GRUPPO OPD) ha stilato una
lista e una descrizione dei conflitti intrapsichici e interpersonali del paziente:
 Conflitto tra dipendenza e autonomia nelle relazioni con gli altri
 Conflitto tra sottomissione e controllo sugli altri
 Conflitto tra il bisogno di accudimento e i desideri di autosufficienza
 Conflitti relativi all’autostima
 Conflitti di colpa
 Conflitti sessuali o edipici
 Conflitti relativi all’identità
La valutazione clinica dei conflitti individua una situazione di insoddisfazione
soggettiva e di disfunzionalità sociale delle strategie di regolazione. Ciascuno dei
conflitti può essere collocato in un’epoca dello sviluppo, dal momento che
rappresenta un’insoddisfacente realizzazione degli obiettivi relazionali specifici di
quell’età.

-Conflitto tra dipendenza e autonomia nelle relazioni con gli altri: è il conflitto più
frequente nei pazienti nevrotici o con disturbi lievi di personalità e si può riferire sia
alle dinamiche relazionali di separazione-avvicinamento sia ai concetti di dipendenza
e autonomia tipici dell’adolescenza.
L’affetto principale è l’angoscia dovuta a un eccesso di vicinanza o dalla paura di
perdere il legame. Il soggetto oscilla tra un atteggiamento di ricerca e autonomia e
un atteggiamento di desiderio di dipendenza da altri per evitare la responsabilità.

-conflitto tra sottomissione e controllo sugli altri: si tratta di un conflitto diffuso nella
popolazione normale e nevrotica, ovvero il bisogno di esercitare un controllo sulla
propria impulsività e sulle imprevedibili reazioni dell’altro, che talvolta assume
forme patologiche. Si rileva nelle narrative di pazienti che parlano spesso di
obbedienza e controllo nelle interazioni con gli altri. La soluzione passiva al conflitto
è caratterizzata da autocontrollo e le resistenze alle relazioni si manifestano sotto
forma di ritardi, dimenticanze, atti mancati ecc.
Mentre la soluzione attiva del conflitto è caratterizzata da ribellione aperta verso
obblighi e impegni oppure un controllo attivo delle azioni altrui.

-conflitto tra bisogno di accudimento e desideri di autosufficienza: Sembra tipico


nella costruzione dei legami di attaccamento, in cui vi è un oscillare tra un desiderio
di dipendere tot dall’altro e un desiderio di solipsismo autistico oppure nella scelta
di prendersi cura degli altri rovesciando i ruoli. L’affetto dominante è l’umore
depresso accompagnato dal lutto per la paura di perdere l’oggetto che fornisce
9
sicurezza. Si rileva nelle narrazioni di perdite mai superate, di desideri continui di
accudimento e contatto che possono manifestarsi attraverso una richiesta
ricattatoria verso gli altri oppure si può rifiutare l’altro anche in condizioni di
malattia o di reale necessità. La modalità passiva di risoluzione del conflitto si ha
quando il paziente è particolarmente bisognoso di protezione e angosciato dalla
possibile perdita, mentre quando il paziente pretende di non avere bisogni oppure si
presenta come altruista si parla di risoluzione attiva del conflitto.

-conflitti relativi all’autostima: Riguardano le incertezze sul valore di sé stessi. La


polarità conflittuale avviene tra l’esperienza di attribuire un grande valore a sé stessi
e l’esperienza di sentirsi privi di valore a fronte di una grande valorizzazione degli
altri. L’affetto dominante è l’angoscia di perdere valore e senso di coesione interna,
espressa attraverso la vergona, rabbia verso gli altri. Quando il paziente enfatizza
una esagerata autostima che evidenza sottostante insicurezza si parla di
elaborazione attiva del conflitto mentre quando prevalgono i sentimenti di
frustrazione e vergogna rispetto a una rappresentazione di sé deficitaria la
risoluzione del conflitto è passiva.

-conflitti di colpa (tendenze egoistiche vs pro-sociali): sembrano conflitti legati ai


compiti adattivi della 2° infanzia e della 1° adolescenza, quando il soggetto deve
trovare un equilibrio tra la tendenza alla competizione per l’espressione delle
proprie caratteristiche e il timore di ferire gli altri contravvenendo alle norme del
super io, fino a fantasticare di distruggere un altro che può togliere il proprio amore
oppure diventare persecutorio. L’affetto dominante consiste nei sentimenti di colpa,
manifestati attraverso accuse rivolte verso gli altri. Nel caso della risoluzione passiva
ci è un intenso sentimento di colpa o responsabilità rispetto ciò che è accaduto agli
altri, fino ad arrivare ad autoaccuse quasi deliranti, mentre nel caso della risoluzione
attiva la persona si descrive come priva di responsabilità, attribuendo ad altri la
colpa, fino ad accusare e colpevolizzare continuamente gli altri.

-conflitti sessuali o edipici: il conflitto sessuale si muove tra la ricerca del piacere
erotico e le inibizioni prodotte da diverse strategie di adattamento. Gli affetti
prevalenti sono il piacere sensuale o l’eccitazione sessuale, ma anche il sentimento
di tenerezza e l’emozione della scoperta dell’altro sesso. Sono indicatori di questo
conflitto una eccessiva erotizzazione del proprio mondo. L’elaborazione passiva del
conflitto si ha quando le relazioni affettive, familiari e sociali sono caratterizzate solo
da protezione e innocenza sessuale, mentre l’elaborazione attiva del conflitto si ha
quando vi è una sessualizzazione continua di diverse aree della vita. Ad esempio nel
colloquio 2 la paziente rivela una conflittualità della sfera sessuale, descrivendo le
sue relazioni affettive come un fallimento, con elaborazione sul versante passivo.

10
-Conflitti relativi all’identità: Minacciano l’integrità della rappresentazione di sé
stessi e il senso di benessere legato alla comunità del sé. Le alternative possono
riguardare l’identità corporea (genere, età) o l’identità di ruolo familiare e sociale
(genitore, figlio, identità etnica). I conflitti generati da esperienze traumatiche e
disorganizzanti non sono considerati in questa categoria, poiché hanno origine da
contraddizioni reali del contesto sociale. Si possono distinguere persone che
rivelano un vissuto generalizzato di mancanza di identità attraverso racconti banali e
razionalizzanti, da cui traspaiono angoscia e paura di perdere la propria identità
(modalità passiva) e persone che esprimono una compensazione per la loro
insicurezza attraverso, romanzi familiari, racconti fantasiosi sulle proprie origini
(modalità attiva)

-conflitti e colloquio: Per una valutazione clinica dei conflitti attraverso il colloquio è
opportuno indagare la presenza e pervasività dei conflitti intrapsichici strutturati nel
tempo e l’eventuale presenza di situazioni conflittuali esterne che siano state
prodotte da eventi particolari nella vita della persona. Nella modalità attiva di
elaborazione, questi conflitti si presentano come strategie di tipo contro- fobico,
mirate a reagire in modo ipercontrollante sulla situazione, mentre nella modalità
passiva si manifestano attraverso una rassegnazione e ripiegamento del soggetto su
se stesso.

EMOZIONI E AFFETTIVITA’:
Evoluzione del costrutto: è possibile utilizzare un modello nosografico-descrittivo,
ovvero sistemi di classificazione che si propongono di descrivere i quadri
psicopatologici in base a specifici criteri diagnostici senza considerare l’eziologia;
esempi sono il DSM-5 o L’ICD-10, oppure un modello interpretativo-esplicativo I-E,
sistemi in cui viene presa in considerazione la genesi di un fenomeno patologico in
quanto elemento necessario per definire il fenomeno stesso; esempi sono le teorie
psicoanalitiche, cognitive e comportamentiste.
Il modello nosografico-descrittivo N-D distingue l’umore dall’affetto, privilegiando
l’umore quale costrutto che permette di distinguere quadri psicopatologici
differenti.
Il modello interpretativo-esplicativo I-E privilegia invece i costrutti delle emozioni e
degli affetti, la cui definizione è cambiata in conseguenza dei cambiamenti nei
modelli della mente.
Parametri descrittivi: i modelli N-D distinguono nettamente affetto e umore,
definendo l’affetto come una modalità di comportamento rilevabile all’osservazione,
che è espressione di una emozione. A differenza dell’umore, che si riferisce a uno
stato emotivo generalizzato e persistente, l’affetto si riferisce a una variabilità più
fluttuante del clima emotivo.

11
La gamma delle espressioni varia, sia all’interno delle differenti culture, sia da una
cultura all’altra.
L’umore invece rappresenta uno stato emotivo generalizzato e persistente,
soggettivamente vissuto. Esempi di umore sono la depressione, esaltazione, rabbia e
irritazione.
Esistono dei parametri in base ai quali il clinico codifica l’umore e l’affetto del
paziente ovvero:
 I tipi d’umore: che può essere disforico, (umore spiacevole, con tristezza,
ansia o irritabilità), esaltato (sentimento generale di benessere, euforia,
esaltazione), espansivo (mancanza di inibizione nell’esprimere i sentimenti,
spesso accompagnata da sopravvalutazione della propria importanza).
 Le alterazioni dell’affettività: ovvero: restringimento o appiattimento (assenza
o quasi assenza di segni di espansione affettiva), coartazione (lieve riduzione
della gamma e dell’intensità dell’espressione emotiva), inadeguatezza
(discordanza tra l’espressione affettiva e il contenuto o l’ideazione dei
discorsi), labilità (anomala variabilità degli affetti, con cambiamenti rapidi,
ripetuti e improvvisi dell’espressione affettiva)
 La gamma affettiva: (i diversi tipi di affetto che il paziente può esprimere nel
colloquio), l’intensità (forza dell’espressione dell’affetto nel colloquio), la
mobilità e la durata( capacità di cambiare l’affetto e mantenere il
cambiamento), la reattività (rapidità con cui avviene il cambiamento
dell’affetto in risposta allo stimolo esterno) e l’adeguatezza (congruenza
dell’affetto rispetto al contesto) degli affetti
Queste categorie che appartengono ai modelli N-D aiutano a descrivere l’umore del
paziente.

Parametri clinici. Nei modelli I-E si tende a non differenziare nettamente emozione,
affetto e umore, poiché questa distinzione nella clinica non sembra essere così
fondamentale, e si tende a privilegiare una sorta di continuum emotivo, che parte
dalla sensazione-sentimento per arrivare all’umore. Quando il paziente comunica
come si sente, descrive la consapevolezza a livello conscio che ha della propria
emozione.
L’emozione è denominata affetto quando ci si riferisce a una sensazione di piacere o
dispiacere, o entrambe, più idee, sia consce che inconsce, associate a quella
sensazione, quando si vuole indicare il modo in cui uno stato emotivo interno si
rivela all’esterno.
Nei colloqui si troveranno dunque delle espressioni di affetti, oppure scene che
rappresentano l’espressione di un affetto. Nel colloquio 2 la paziente descrive prima
l’ansia e quello che si ritrova a fare a causa dell’ansia.

12
L’umore si riferisce invece al tono generale delle emozioni nel tempo che influenza i
processi percettivi e il modo di pensare, di riflettere su sé stessi o di ricordare. Il
tono emotivo generale può auto rinforzarsi.
Le emozioni possono essere definite come un insieme complesso di interazioni tra
fattori soggettivi e oggettivi, mediate da sistemi neurali/ ormonali, che possono:
 Dare origine sensazioni di attivazione e di piacere/dispiacere
 Generare processi cognitivi come affetti percettivi emotivamente rilevanti,
valutazioni, processi di etichettamento
 Attivare aggiustamenti fisiologici
 Portare a un comportamento espressivo, finalizzato e adattivo
Le emozioni sono quindi dei processi organizzativi e integrativi che hanno un ruolo
fondamentale nel coordinare l’attività della mente. Dopo che si è rilevata la
presenza di un’emozione occorre codificare meglio quanto individuato. Aree diverse
possono essere coinvolte dall’emozione e dall’evento-stimolo come:
 Il corpo del paziente
 Le attività cognitive
 Le rappresentazioni di sé
 Le rappresentazioni degli altri

Emozione, affettività e colloquio. Nel corso del colloquio clinico, nel considerare gli
affetti e le emozioni del paziente che ha di fronte, deve considerare diversi indicatori
quali:
 INDICATORI NON VERBALI: i dati osservabili direttamente dal clinico ovvero le
risposte involontarie, postura, mimica, movimenti reattivi, movimenti di
grooming relativi alla cura di sé. In questa categoria rientrano l’ansia
osservabile e la depressione osservabile
 INDICATORI VERBALI DIRETTI: ovvero la descrizione diretta da parte del
paziente del suo stato d’animo o affettività. Affetti e umore tengono a
sovrapporsi, mentre si può rilevare l’emozione e l’evento che la scatena.
 INDICATORI OGGETTIVI: ovvero i dati ricavati dall’impiego di strumenti
testistici. Affetto, umore ed emozioni possono essere compresenti e non
vengono differenziate dal paziente, compito che spetta al clinico.

In un colloquio il clinico valuta contemporaneamente elementi che provengono da


fonti diverse:
 Contenuto del discorso del paziente
 Modo in cui il contenuto è espresso dal paziente
 Il grado di concordanza o discordanza tra contenuto e modalità di espressione
 Indizi non verbali

13
In un colloquio, rileviamo la presenza di una emozione quando il paziente riferisce di
essersi molto arrabbiato, quando racconta di avere un’ansia estrema, oppure
quando racconta di avere disturbi di natura non ben precisata, questi fenomeni
differenti sono l’esito della presenza di un’emozione. Una volta rilevata la presenza
dell’emozione, questa va codificata considerando diverse variabili:
 Emozione attuale
 Emozione riferita
 Emozione ed evento-stimolo
 Presenza/assenza di emozioni situazione-specifiche
 Presenza/assenza di emozioni riattivate
 Presenza/assenza di discrepanze
Un diagramma di flusso ideale:
-il paziente riferisce un’emozione,
 Questa emozione può essere attuale o riferita, ovvero non attuale ma che è
rimasta nella memoria del paziente poiché ha un significato per lui;
 Il significato può essere dato da 2 elementi:
1. Analogia ad altre emozioni provate in altri contesti
2. Differenza da altre emozioni provate in contesti simili
1. Il clinico cerca di individuare l’evento-stimolo che ha provocato l’emozione,
 Per fare questo deve analizzare elementi che vengono da ambiti diversi:
1. Il clinico verifica se la risposta del paziente si discosta dalla risposta attesa in
un certo ambiente sociale e culturale
2. Il clinico verifica se il paziente attribuisce l’evento-stimolo a un significato
consensuale o idiosincratico
3. Il clinico valuta se quel pattern evento. stimolo/emozione è un pattern
abituale o insolito
-Il clinico deve ricercare possibili discrepanze che possono essere un indizio di
conflitto e o sofferenza:
1. Il paziente può attribuire all’evento raccontato un certo tono affettivo-
emotivo a livello verbale, e un altro a livello non verbale
2. La coerenza narrativa del racconto può essere discrepante con il contenuto

L’individuazione della discrepanza è di importanza fondamentale perché permette di


rilevare dove sia fallito il processo di integrazione del paziente. Una volta ottenute le
info necessarie il clinico può:
 Considerare il tono affettivo-emotivo del paziente
 Individuare se nella storia del paziente c’è stata o manca una persona con
il ruolo di “regolatore” dell’affetto, sintonizzazione affettiva
 Rilevare possibili nessi tra emozioni e risposte somatiche

14
 Valutare la capacità del paziente di percepire lo stato mentale dell’altro,
segno della capacità di autoregolazione del paziente.
Esistono emozioni che sono situazione-specifiche all’interno del contesto del
colloquio. Esistono emozioni che durano nel tempo e che possono venire riattivate
nel momento del racconto.
Quando si rileva la presenza di un sintomo emotivo va indagata la presenza/assenza
di un funzionamento disfunzionale nella disregolazione emotiva.
Le emozioni attaccano il corpo quando producono una risposta somatica come una
variazione della tensione muscolare, della frequenza cardiaca.
Le emozioni inferiscono con le attività cognitive e viene riferito dal paziente
attraverso i marker non verbali e verbali. In alcuni casi può riferire spontaneamente
le difficoltà, in altri casi il clinico farà un’inferenza. I pazienti inoltre segnalano lo
stato di ansia riportando sintomi che possono essere confusi con disturbi di tipo
cognitivo.
Le emozioni hanno una funzione adattiva, definita come capacità di
autoregolazione. La disregolazione emotiva e i pattern disfunzionali di
autoregolazione sono la conseguenza dell’incapacità di rispondere adeguatamente
al mondo interno ed esterno.
Le emozioni connotano le rappresentazioni di sé e dell’altro e possono interferire
con la capacità della persona di avere relazioni interpersonali.
Le caratteristiche delle rappresentazioni sono state descritte da Westen:
 Le rappresentazioni di sé sono multidimensionali
 Le rappresentazioni di sé sono affettivamente cariche
 Le rappresentazioni di sé sono considerate come componenti integrali di unità
rappresentazionali che includono il sé in relazione all’altro
 Le rappresentazioni hanno componenti inconsce e consce
 Le rappresentazioni sono intese/ comprese in relazione alle tre
rappresentazioni, ai desideri e alle paure
Le rappresentazioni interne contengono elementi sia affettivi che cognitivi e
vengono impiegate per generare delle strategie di coping nella regolazione degli
effetti. Sono rappresentazioni mentali.
Nel corso del colloquio è possibile registrare la modalità utilizzata dal paziente per
descrivere le interazioni tra sé e l’altra persona.
Quando attraverso la descrizione del paziente, si vuole rilevare la rappresentazione
mentale affettivo-cognitiva che il paziente ha di sé e dell’altro occorre procedere
per step successivi:
 Rilevare le diverse rappresentazioni mentali che il paziente ha di sé o delle
persone con cui entra in contatto
 Individuare la presenza/ assenza di invarianti fattori che sono costanti e
trasversali alle diverse situazioni descritte

15
FUNZIONE RIFLESSIVA:
Evoluzione del costrutto: si riferisce ai processi psicologici sottostanti la capacità di
mentalizzare, ovvero la capacità di immaginare gli stati mentali conosci e inconsci in
sé stessi e negli altri, acquista fin dalle prime relazioni oggettuali. L’autoriflessione, il
cosiddetto insight è solo una componente del funzionamento riflessivo. Si può
utilizzare il termine metacognizione come sinonimo di funzione riflessiva, intesa
come metacognizione interpersonale, che si sviluppa e si esprime nelle relazioni
interpersonali. La funzione riflessiva è un indicatore dello sviluppo di una teoria della
mente, propria e dell’altro, formata dall’insieme delle determinanti psicologiche atte
a spiegare il comportamento proprio e altrui. Lo sviluppo della funzione riflessiva
dipende dalle capacità del caregiver di percepire l’intenzionalità del bambino. La
funzione riflessiva dipende dalle azioni della persona, le situazioni e i contesti dove
avvengono. Dunque la capacità riflessiva non è un abilità generica, ma altamente
specifica. Nel contesto della teoria dell’attaccamento il sé è organizzato in modo tale
che alcuni modelli operativi interni possiedono delle componenti riflessive, mentre
altri no. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’uso del gergo psicologico da parte di
alcune persone poiché si rischia di confondere il funzionamento riflessivo con l’uso
di psicologismi che non hanno niente a che fare con un’autentica capacità riflessiva.

1. Fonagy ha creato un manuale (adult reflective function scale) per effettuare


delle misurazioni abbastanza rappresentative del funzionamento riflessivo,
considerando sempre le possibili variazioni dovute a differenze di contesti e
relazioni. All’interno del manuale vi sono 4 dimensioni attraverso cui
individuare nelle verbalizzazioni di una persona la presenza di funzione
riflessiva, e cioè quando:
1. Consapevolezza della natura degli stati mentali
2. Tentativo di dedurre gli stati mentali che motivano il comportamento
3. Riconoscere la componente evolutiva degli stati mentali
4. Gli stati mentali in relazione all’intervistatore, l’impatto che gli stati mentali
possono avere sull’altro, compreso il terapeuta

Funzione riflessiva e colloquio; viene proposta una differenziazione su 4 livelli:


1. Funzione riflessiva assente ( colloquio 1)
2. Funzione riflessiva dubbia o bassa ( colloquio 1)
3. Funzione riflessiva presente (colloquio 4)
4. Funzione riflessiva elevata

IDENTIFICAZIONE:
Evoluzione del costrutto. Il costrutto di identificazione deriva dalla psicoanalisi e
dall’uso che ne faceva Freud, traendolo dalla filosofia europea e tedesca della
16
seconda metà dell’800, in cui era utilizzato per descrivere e analizzare i fondamenti
della relazione del soggetto con altri soggetti.
Il costrutto dell’identificazione non è facilmente definibile in modo univoco ma va
distinto dal concetto di immedesimazione, che rappresenta a capacità di mettersi
nei panni dell’altro, che può essere influenzata dalle esperienze di identificazione
primaria e secondaria vissute dal bambino nel corso dell’infanzia.
Freud in “ Psicologia delle masse e analisi dell’io” individua un percorso che va
dall’identificazione alla vera e propria immedesimazione, al fine di una tot, reciproca
comprensione cognitivo-emotiva tra le persone.
Freud distingue tra l’identificazione e l’imitazione, anche se l’una non esclude l’altra,
e spesso l’identificazione utilizza il processo dell’imitazione.
L’imitazione è il processo attraverso cui nell’infanzia avviene l’apprendimento del
comportamento e delle funzioni primarie: il bambino riproduce gli atteggiamenti, i
comportamenti , gli assetti e le produzioni psichiche dei caregiver. Si produce così
quel sistema di adattamenti e assimilazioni dell’ambiente di cui parla Piaget:
l’imitazione è il motore attraverso cui il bambino lascia il livello senso-motorio per
passare al livello delle operazioni concrete, più complesse.
Per Freud invece esistono fenomeni di interiorizzazione in base ai quali il bambino
assume dentro di sé aspetti o tratti dell’oggetto. Tale interiorizzazione avviene in
forma completamente inconscia. L’identificazione che inizialmente si presenta con
le modalità dell’incorporazione e dell’introiezione è una comunicazione tra inconscio
e inconscio; queta caratteristica la distingue dall’imitazione, in quanto presuppone
uno scambio attivo all’interno di una relazione tra persone, mentre nell’imitazione
colui che imita è in uno stato di passività. Il fatto che vi sia una relazione personale
tra madre e bambino fin dalla primissima infanzia, con uno scambio di
identificazione reciproche, è stato messo in rilevo dalle relazioni oggettuali. Il
percorso di identificazione/ proiezione tra i due poli della relazione è fondamentale
per la formazione dell’io infantile.

IDENTIFICAZIONE PRIMARIA: è il legame primitivo che, nella prima infanzia, si crea


tra il bambino e i suoi soggetti d’amore (figure genitoriali) che entrano a far parte
del suo mondo interno e delle fantasie inconsce che costituiscono la cosiddetta
scena fantasmatica.
Un’identificazione molto potente con l’oggetto primario porta a forme di
idealizzazione eccessiva.

IDENTIFICAZIONE SECONDARIA: riguarda il manifestarsi del meccanismo


dell’identificazione oltre i limiti della prima infanzia; le identificazioni secondarie si
attiveranno per analogia con i tratti personali raccolti inconsciamente dagli oggetti
primari e dalla relazione con essi, nelle prime fasi delle identificazioni infantili.

17
Nell’infanzia si hanno processi di identificazione con gli oggetti primari (genitori),
con parti di essi (seno), in seguito tali contenuti interiorizzati faranno attivare altri
processi identificatori con altre persone (insegnanti, dottori) sulla base di analogie
inconsce. Ad esempio nel colloquio 5 si ha un’identificazione con i fratelli articolata
su quella con i genitori. Questo è il motivo per cui nelle relazioni affettive e
amorose certi tratti delle figure parentali vengono inconsciamente ricercati nel
partner.
Il ricorso all’identificazione, come processo esclusivamente inconsapevole e negato
dal soggetto è sempre collegato a qualche forma di regressione e disorganizzazione
dell’io. Per questo l’identificazione rientra tra i meccanismi di difesa, interviene
anche nella formazione dei sintomi, quando per analogia inconscia con un aspetto
patologico di un’altra persona, questo aspetto viene assunto nella personalità del
soggetto stesso, contagio psicopatologico.

Nel colloquio clinico i processi di identificazione possono essere riconosciuti e


dedotti dal modo in cui vengono descritti i rapporti con le figure più importanti per
la vita del paziente. È importante cogliere il momento e le modalità con cui il
paziente ha percepito il proprio legame di identificazione con un oggetto di
investimento affettivo.
Si tratta di non confondere il processo di identificazione con i suoi esiti, ovvero la
strutturazione degli oggetti interni fantastici, che continuano nel tempo a
influenzare indirettamente i processi psichici inconsci e preconsci del soggetto. Altre
variabili da considerare sono la capacità del soggetto di utilizzare le proprie
identificazioni con le figure del passato come modelli positivi, capaci di mobilitare
l’attitudine a relazionarsi con le figure affettive del presente vs la tendenza del
soggetto a rimanere fissato sulle sue identificazioni primarie. He tendono a
riprodursi sempre uguali senza stabilità.

IDENTITA’:
Evoluzione del costrutto, è l’esperienza del sé, durevole ma non necessariamente
stabile nel corso del tempo. Il senso di identità si forma nel bambino a mano a mano
che prende forma l’immagine corporea, insieme ai processi di separazione-
individuazione. Il processo però si protrae fino e oltre l’adolescenza e vi
contribuiscono le identificazioni con i genitori. Lo sviluppo delle funzioni dell’io, tra
cui la funzione riflessiva, permettono di creare un rapporto stabile tra l’io e il sé e di
diventare un individuo autonomo e separato dagli altri, ma al tempo stesso capace
di condividere esperienze con altre persone.
Erikson collega lo sviluppo individuale/personale con l’aspetto psicosociale, con le
richieste di adattamento dell’ambiente.
Questi 2 modelli, delle strutture individuali di personalità e delle richieste di
adattamento, non sono rigidi, ma si evolvono per via di numerosi fattori, tra cui le
18
tensioni storiche. Nel suo modello in ogni fase della vita, 8 in totale il soggetto deve
portare al termine dei compiti. Ogni stadio influenza i successivi e corrisponde a un
conflitto tra due polarità intra-psichiche e interpersonali. Il modello eriksoniano e
quelli che vi si collegano sono stati ispirati dall’organizzazione della società
industrializzata occidentale, e vanno quindi rivalutati in base ai cambiamenti
socioculturali che si verificano in tali contesti.
Da Erikson si è ereditato il termine diffusione d’identità, poi modificato dall’autore
in confusione di identità, ovvero il fallimento , avvenuto durante l’adolescenza,
nell’integrare identificazioni precoci in una identità psico-sociale armonica. La
sindrome da diffusione di identità può essere considerata da 3 punti di vista:
1. Evolutivo: è la conseguenza di un blocco della fase di separazione-
individuazione
2. Dinamico: è la conseguenza di identificazioni magiche e contradditorie,
predomina la scissione rispetto alla rimozione
3. Descrittivo: implica segni e sintomi clinici
Secondo Akhtar gli indici di un possibile disturbo di diffusione dell’identità sono.
1. Tratti di carattere contradditori
2. Discontinuità temporale del sé
3. Mancanza di autenticità
4. Disturbi dell’immagine corporea
5. Sentimenti di vuoto
6. Gender dysphoria, ovvero difficoltà nell’assunzione dell’identità di genere
7. Relativismo etico e morale
Identità e colloquio. Per la valutazione del senso di identità, esso va correlato con
altri parametri, osservabili nella storia narrativa che il paziente costruisce di sé,
occorre valutare:
1. La costanza delle identificazioni
2. Capacità di mettere in relazione bisogni e motivazioni con quelle degli altri
3. Esistenza di gruppi di riferimento nell’ambiente sociale e di modelli
comportamentali/ affettivi
4. Tendenza a elaborare i propri sistemi di valutazione morale e psicologica
5. Descrizione di sé stesso come soggetto attivo delle proprie azioni
Nel colloqui 1 si nota come la base pulsionale ha un ruolo nel sostenere la
formazione dell’identità, così come il contatto corporeo. Nel colloquio 2 si nota un
fattore comune di rinforzo di un senso di identità non troppo solido, ovvero il ruolo
degli altri nella costruzione dell’identità. Nel colloquio 5 vi è un tentativo di
intervenire nel presente al fine di elaborare positivamente e rinformare il proprio
senso di identità.
Si può osservare la tendenza a costruire miti su di sé o su eventi/circostanze
particolari della propria storia, attraverso cui il paziente crede di poter ricostruire a
posteriori certi fatti o fasi significative della sua vita. Tali miti hanno origine
19
nell’ambito famigliare e sono costruiti inconsapevolmente per gestire i sensi di colpa
e i conflitti.

MECCANISMI DI DIFESA:
Definizione generale di meccanismo di difesa:
 Operazione mentale o cognitiva che funziona tendenzialmente fuori dalla
consapevolezza, è inconscio o parzialmente consapevole
 Opera per mantenere pensieri, impulsi e desideri inaccettabili fuori dalla
consapevolezza, è attivato da una minaccia psichica
 Protegge la persona dallo sperimentare ansia eccessiva, l’affetto spiacevole è
ridotto o evitato
 Fa parte del funzionamento normale, è durevole e stabile e attivato da
situazioni-stimolo, le difese però possono cambiare nel tempo
 Il tipo di difesa, l’intensità, il contesto e l’età sono parametri per valutare
l’adattamento-disadattamento delle difese stesse
 Ogni difesa è distinguibile dalle altre
Questi parametri sono rivisitazioni dell’opera di Freud, il quale introduce il concetto
di difesa, in particolare di rimozione. Descrive poi alcune difese in maniera più
dettagliata: rimozione, sublimazione, spostamento e formazione reattiva.
Ipotizza delle associazioni tra sindromi psicopatologiche e determinate difese.

ANNA FREUD approfondisce i meccanismi di difesa, li classifica lungo un continuum


maturativo cronologico. Sottolinea maggiormente l’aspetto adattivo delle difese e la
reazioni con situazioni esterne, non solo interne. 30 anni di lavoro clinico e teorico
sulle difese danno origine al codice Hampstead (1965)il primo tentativo di
standardizzare il materiale clinico relativo alle difese.

W. REICH: conia il termine corazza caratteriale, per indicare le difese costruite


durante l’infanzia. Tanto più le difese sono rigide tanto più la corazza sarà poco
adattiva.

MELANIE KLEIN: propone una concettualizzazione teorica dei meccanismi di difesa


radicalmente diversa, ma non per questo inconciliabile, focalizzando la sua
attenzione sui meccanismi di difesa psicotici, considerati delle operazioni mentali
primitive che caratterizzano le fasi più precoci dello sviluppo psichico e che agiscono
alterando la percezione del sé e della realtà esterna, separando nella mente ciò che
lo protegge da ciò che lo minaccia. Secondo la Klein le difese sono impiegate contro
le angosce derivanti dall’istinto di morte e regolano lo sviluppo dell’io del bambino.
Alcune che caratterizzano le posizioni psicotiche sono il diniego, la scissione, le
forme più estreme di introiezione e proiezione, l’identificazione proiettiva ,
l’idealizzazione e le difese maniacali (trionfo-controllo-disprezzo).
20
Il maggior contributo fornito dalla Klein alla conoscenza dei MD è la sua
interpretazione dell’identificazione proiettiva come processo fantastico tipico della
relazione oggettuale primitiva, un modo di difendersi dall’aggressività, mettendo
nell’altro delle parti sgradevoli di sé.
WINNICOT: distingueva tra difese contro l’esperienza istintuale (che riguardano
prevalentemente il soggetto, come la rimozione) e difese contro i fallimenti
ambientali traumatici (che riguardano il mondo esterno, come l’identificazione
proiettiva). Quando la figura di accudimento non è in grado di rispondere in modo
adeguato alle esigenze del bambino, il bambino sperimenta frustrazioni che possono
favorire l’emergere di un falso sé. Nel saggio la paura del crollo Winnicott focalizza
l’attenzione sulle difese psicotiche messe in atto per rispondere ad agonie primitive
impensabili, esperite soprattutto dai pazienti psicotici e borderline e derivate dal
fallimento della funzione di contenimento del caregiver.
Dunque, esistono diverse difese con finalità diverse che si pongono lungo un
continuum normale-patologico e sono riconducibili a specifiche fasi evolutive.

KERNBERG: considera i meccanismi di difesa non soltanto come operazioni volte alla
gestione degli aspetti pulsionali conflittuali del mondo intrapsichico, ma anche come
elementi fondamentali per lo sviluppo del sé e dell’immagine del sé, per la
rappresentazione degli oggetti e per la regolazione delle relazioni oggettuali. Sia
nell’organizzazione psicotica sia in quella borderline vi è un uso massiccio di difese
primitive. Nell’organizzazione borderline è preservato l’esame di realtà. La difesa
nevrotica per eccellenza, la rimozione, così come isolamento affettivo, formazione
reattiva, spostamento , e annullamento retroattivo, servono a proteggere il soggetto
dai conflitti intrapsichici.
I meccanismi di difesa sono intesi da Kohut come processi necessari a proteggere il
sé fragile dalla minaccia di disintegrazione psichica.
Nel paziente narcisista o schizoide le difese:
 Per Kernberg vanno identificate, chiarite e interpretate al soggetto, per
renderlo consapevole delle dinamiche transferali inconsce
 Per Kohut alcune difese, essendo funzionali all’evitamento della paura di
frammentazione del sé, possono essere affrontate solo dopo che si sia
stabilito un clima empatico di fiducia e comprensione.

G. VAILLANT: ha proposto una nuova classificazione di tipo evolutivo -


psicopatologico che prevede 4 livelli:
1. Difese narcisistiche-psicotiche
2. Difese immature
3. Difese intermedie-nevrotiche
4. Difese mature

21
J.C PERRY: ha costruito la Defense mechanism rating scale, dove le difese sono divise
in 7 livelli disposti gerarchicamente in base ai criteri di maturità e adattività:
1. CATTIVA O MANCATA REGOLAZIONE DIFENSIVA, NEL CONTENERE GLI AGENTI
STRESSANTI:
-diniego psicotico
-distorsione psicotica
-proiezione delirante

2. ACTING, LE FONTI DI STRESS VENGONO AFFRONTATE ATTRAVERSO L’AZIONE


O IL RITIRO, SENZA CONSIDERARE LE CONSEGUENZE:
-acting out: espressione dei vissuti conflittuali mediante il comportamento,
piuttosto che attraverso la comunicazione
-aggressione passiva: espressione dell’aggressività verso gli altri in modo
indiretto e passivo
-ipocondriasi: lamentarsi ma rifiutare l’aiuto offerto
-ritiro nell’apatia

3. DISTORSIONE MAGGIORE DELL’IMMAGINE (DIFESE BORDERLINE), ERRATA


IMMAGINE DI Sé O DEGLI ALTRI, AL FINE DI MANTENERE UN SENSO
COERENTE DEL Sé E EVITARE LA FRAMMENTAZIONE:
-Identificazione proiettiva: proiettare su altri un affetto o impulso inaccettabile, a
differenza della proiezione non si disconosce ciò che è stato proiettato
- scissione dell’immagine di sé o degli altri: considerare sé stesso o gli altri come
completamenti buoni o completamente cattivi
4. DINIEGO (DIFESE DEL DISCONOSCIMENTO), ESCLUSIONE DALLA COSCIENZA DI
AGENTI STRESSANTI:
-diniego/negazione: mancato riconoscimento di qualche aspetto della realtà
esterna o interna evidente per altri
-proiezione: attribuzione dei propri pensieri, sentimenti inaccettabili per gli altri
-razionalizzazione: spiegazioni rassicuranti o funzionali a sé stessi, ma inesatte
-fantasia schizoide: affrontare il conflitto attraverso il sognare a occhi aperti non
affrontando le situazioni e le persone in modo efficace

5. DISTORSIONE MINORE DELL’IMMAGINE (DIFESE NARCISISTICHE),


DISTORSIONE DELL’IMMAGINE DI Sé O DEGLI ALTRI AL FINE DI REGOLARE
L’AUTOSTIMA:
-idealizzazione di sé o degli altri: attribuzione di caratteristiche esageratamente
positive a sé stessi o agli altri
-onnipotenza: attribuzione di caratteristiche esageratamente positive a sé stessi
o ad altri
-svalutazione: inversa all’idealizzazione
22
6. INIBIZIONE MENTALE( ALTRE DIFESE NEVROTICHE), ESCLUDE I CONFLITTI ED
EVENTI STRESSANTI DALLA CONSAPEVOLEZZA:
-dissociazione: alterazione temporanea delle funzioni della coscienza , della
memoria ,dell’identità
-formazione reattiva: sostituzione di pensieri e sentimenti inaccettabili con altri
diametralmente opposti
-rimozione: incapacità di ricordare o di essere consapevoli di desideri, sentimenti
e pensieri disturbanti
-spostamento: generalizzare o dirottare su un oggetto meno minaccioso

7. INIBIZIONE MENTALE: (DIFESE OSSESIVE), LASCIA INTATTA L’IDEA E INCIDE


SULL’AFFETTO AD ESSA ASSOCIATO:
-annullamento: retroattivo :comportamenti finalizzati a riparare e regolare
pensieri precedenti inaccettabili per il soggetto
-intellettualizzazione: affrontare i conflitti con un eccessivo uso di pensieri
astratto, per evitare di provare sentimenti disturbanti
-isolamento affettivo: incapacità di provare contemporaneamente le componenti
affettive e cognitive di un’esperienza

8. DIFESE MATURE: CONSENTE CAPACITA’ DI ADATTAMENTO OTTIMALI NELLA


GESTIONE DI AGENTI STRESSANTI:
-affiliazione: capacità di chiedere aiuto per gli altri per poter ricevere aiuto
-altruismo: affrontare un conflitto aiutando gli altri
-anticipazione: affrontare un conflitto prendendo in considerazione soluzioni
realistiche alternative
-autoaffermazione: espressione dei propri pensieri e sentimenti in situazioni
stressanti
-autosservazioni: saper riflettere sui propri sentimenti, pensieri e comportamenti
-repressione: evitamento attivo di pensieri, problemi disturbanti
-sublimazione: affrontare conflitti incanalando sentimenti e pensieri disadattivi in
comportamento socialmente accettabili
-umorismo: saper cogliere con ironia gli aspetti divertenti delle situazioni
conflittuali/stressanti.

Per valutare il potenziale disadattico di una difesa, oltre a tenere conto della
posizione occupata nella gerarchia dei meccanismi di difesa, è necessario
considerare:
 Se il suo impiego è esclusivo o ripetitivo
 Con il quale l’intensità viene impiegata
 L’età del soggetto
23
 Il contesto in cui si manifesta
Nella valutazione delle difese è importante scegliere una metodologia appropriata
allo scopo, al livello di analisi che si vuole raggiungere, alle caratteristiche dei dati su
cui verranno effettuate le valutazioni:
 Self-report: il soggetto deve rispondere a una serie di domande sul suo stile
difensivo. La facilità di somministrazione e l’assenza di un training specifico
fanno si che questi strumenti siano tra i più utilizzati negli studi su vasto
campione. Sono difficili da utilizzare con pazienti con capacità introspettiva
compromessa, risentono della desiderabilità sociale.
-defense style questionnaire
-response evaluation measure
-defense mechanisms inventory
 Basati su materiale proiettivo: utilizzano dati ricavati dalle risposte ai test
proiettivi. Il vantaggio è quello di avere un contesto di somministrazione
controllato. Il problema sono i sistemi di codifica. Il registratore può essere un
elemento di disturbo, i costi nella raccolta di analisi e dati sono elevati,
richiede training lunghi e i campioni sono ridotti.
-vaillant Q-sort
 Observer-rated: utilizzano i trascritti di colloqui clinici e sedute di psicoterapia
per valutare lo stile difensivo attraverso l’analisi del materiale clinico. Si
sottolinea la necessità di training, possono essere usati solo dopo la
somministrazione di un test proiettivo, si concentrano sull’aspetto diagnostico
e non sul funzionamento globale dell’individuo, limitata applicazione agli studi
longitudinali.
-defense mechanism ratin scale

Conoscere la struttura difensiva di un paziente fornisce informazioni importanti


sulla personalità e la psicopatologia di un individuo, indicazioni utili per la
pianificazione del trattamento e la sua conduzione.

MODELLO DEL SE’ (MDS)


MODELLO DELL’ALTRO(MDA)

Evoluzione del costrutto, è strettamente connesso con il “sense of agency” e la


funzione riflessiva, questi 3 insieme fanno riferimento al concetto di sé, struttura
psichica sovraordinata all’apparato mentale, il sé inteso come la totalità della
psiche. Il sé non è una rappresentazione, un prodotto dell’attività dell’io, ma è
esso stesso un agente attivo. Kohut insiste sulla centralità del sé rispetto a
Jacobson, come aveva fatto del resto Winnicott stesso. Entrambi gli autori
concordano sul fatto che non c’è una definizione univoca di sé.

24
Secondo Winnicot il sé è la persona che sono io stesso, che è soltanto me, ma al
tempo stesso ha delle parti di cui è costituito, che si aggregano nel corso del
processo maturativo aiutato dall’ambiente umano.
Il sé si trova collocato nel corpo, negli occhi della madre, nel suo volto e nella sua
espressione.
Con Daniel Stern il sé ha il ruolo di principio organizzatore cardine del processo di
sviluppo, le esperienze relazioni con persone significative portano il soggetto a
sviluppare dei modelli operativi interni, secondo john Bowlby l’insieme della
caratteristiche che un individuo attribuisce al mondo, cioè agli altri e a sé stesso
in quanto agente nel mondo sterno. Si tratta di una sorta di manuale di istruzioni
interpersonali che organizza il vivere socialmente, il fare previsioni e
programmare. L’oggetto buono diviene un modello operativo interno di una
figura di attaccamento disponibile, fidata, mentre l’oggetto cattivo diviene un
modello operativo interno di una figura di attaccamento disponibile, fidata,
mentre l’oggetto cattivo diviene un modello operativo interno di una figura di
attaccamento non disponibile, riluttante nel dare aiuto. Le persone costruiscono
un modello operativo del sé ( che comprende immagine del sé, autostima, etc..)
verso cui gli altri reagiscono in modo imprevedibile.

Secondo John Bowlby gli individui sviluppano un attaccamento verso + di una


figura e a questo proposito Jude Cassidy parla di una gerarchia di attaccamenti.

L’importante è capire se in caso di esperienze di qualità diversa il modello del sé


e dell’altro saranno il risultato di un’integrazione di esperienze discordanti, o se
resteranno separati ma si attiveranno in alcuni contesti piuttosto che in altri.
All’interno del contesto della teoria dell’attaccamento sono stati elaborati diversi
modelli di classificazione, come Main e Goldwyn e Hazan e Shaver. Secondo
Bowlby i modelli operativi del sé e dell’altro possono essere considerati
separatamente, nonostante la loro complementarietà, in quanto le
caratteristiche della figura di attaccamento e dell’io sono indipendenti dal punto
di vista logico. Di conseguenza esistono due modelli, uno del sé e uno dell’altro, e
ciascuno dei due può essere sia positivo che negativo, dunque è possibile avere
teoricamente 4 diversi stili di attaccamento e di rappresentazione di sé
(meritevole/non meritevole di amore) e degli altri (fidati e disponibili/
inattendibili e rifiutanti).

MODELLO DEL SE’: è la rappresentazione, l’immagine che una persona ha del


proprio sé, il modo in cui una persona pensa a sé stessa in termini di qualità,
difetti, stabilità, coerenza, continuità e in termini di immagini di sé più o meno
positive.

25
Può dare indicazioni sulla stima di sé, che può essere molto bassa o molto alta, e
sull’identità che può essere coerente o diffusa a seconda degli stati emotivi o dei
contesti.
Nel colloquio gli indicatori della rappresentazione di sé sono:
 Episodi o descrizioni da cui emerge immagine che la persona ha di sé
 Racconti di situazioni interpersonali da cui emerge il ruolo assunto dal
soggetto.
Modello dell’altro.; è la rappresentazione, l’immagine che una persona ha
dell’altro, il modo in cui una persona pensa agli altri in termini di qualità, difetti,
stabilità, coerenza, continuità e in termini di immagini dell’altro più o meno
positive. Vi possono essere ,anche all’interno dello stesso colloquio,
rappresentazioni discordanti del sé e dell’altro, cioè positive o negative a
seconda del contesto o altre variabili. Utile è individuare pattern di
rappresentazioni del sé e dell’altro nel passato nel paziente, che possono
riattualizzarsi in pattern del presente.

Nel colloquio gli indicatori di rappresentazione dell’altro sono:


 Episodi o descrizioni da cui emerge l’immagine che la persona ha degli altri
 Descrizioni dell’altro che non necessariamente coinvolgono altri descritti
compiutamente, ma dove la rappresentazione dell’altro è comunque
presente.

OGGETTI E RELAZIONI OGGETTUALI:


Evoluzione del costrutto, il termine oggetto si incontra raramente nella letteratura
psicodinamica, al contrario di relazioni oggettuali. Il termine oggetto in
psicodinamica non designa quasi mai gli oggetti del mondo esterno, le cose
materiali. Il termine oggetto viene usato dapprima dalla teoria freudiana delle
pulsioni. L’oggetto è sempre qualcosa o qualcuno per mezzo del quale la pulsione
viene soddisfatta. La pulsione può raggiungere il su scopo attraverso oggetti diversi.
La pulsione è sempre sul versante psichico interno, dunque si manifesta come una
rappresentazione al confine tra la coscienza e l’inconscio. L’oggetto cambia col
tempo la sua natura, da oggetto di puro appagamento si trasforma in oggetto di
esperienze emotive-affettive, percorso del bambino nello sviluppo. La madre,
oggetto primario, si presenta come insieme di oggetti parziali ad esempio il seno,
per poi essere costruita come oggetto intero e permanente, con cui avvia la
relazione oggettuale primaria, alla base di tutte le altre.

Il modello delle relazioni oggettuali: tutti i modelli, seppur diversi tra loro, mettono
in rilievo l’esistenza fin dal primo istante di vita della vita psichica inconscia del
bambino, che non può essere definito come un organismo fisico immerso solo ed
esclusivamente nell’Es. Fin dall’inizio il bambino ha una rudimentale organizzazione
26
del sé. Il bambino è parte attiva nelle relazioni con la madre, che si depositeranno in
una memoria inconscia in base alla quale si organizzeranno le capacità relazionali e
la struttura della personalità, evoluzione individuale nel modello delle relazioni
oggettuali. Questo modello sottolinea come le esperienze infantili primitive sono
sempre rievocabili nella vita psichica dell’adulto, che avrà a che fare con le proprie
rappresentazioni inconsce degli oggetti, che modificano e influenzano le esperienze
emotivo-affettive del presente.
Questi sono gli oggetti interni, ovvero stratificazioni complesse e inconscedelle
esperienze emotive più importanti della prima infanzia, fino alla fase edipica
compresa.
Nell’infanzia, secondo Bollas, si forma un conosciuto non pensato, una sorta di
memoria procedurale inaccessibile ma operante per tutto il resto della vita del
soggetto. In conclusione queste formazioni hanno degli effetti psicodinamici, cioè
condizionano attivamente la vita psichica, ma non sono riconoscibili direttamente
nell’esperienza attuale, ma vanno decifrate attraverso indizi, segni e sintomi.
Oggetto e identificazione, per comprendere il formarsi degli oggetti interni occorre
parlare del ruolo dell’identificazione, meccanismo presente fin dalle origini della vita
psichica. In base ai vari orientamenti teorici si può dare maggiore rilievo allo sfondo
inconscio, la scena fantasmatica, o agli elementi più vicini all’area preconscia e
conscia, in questo caso si parla di rappresentazioni dell’oggetto. Queste
formazioni verranno trasformate inconsciamente in strutture più o meno stabili
nella fase di sviluppo edipica, caratterizzata da confronto con i genitori.
A volte la presenza degli oggetti idealizzati rievoca la dinamica edipica, un insieme di
conflitti che caratterizza il periodo infantile e adolescenziale di formazione
dell’identità.
Le scelte che il soggetto compie nella sua vita di relazione sono sempre influenzate
dalla relazione che si instaura tra il sé e gli oggetti interni, che possono essere
caricati di affetti positivi o diventare aggressivi e fonte di sofferenza. inoltre gli
oggetti interni possono essere investiti da un processo di idealizzazione, che ha la
funzione di difendere l’io dalle angosce. L’idealizzazione consiste nel togliere agli
oggetti le caratteristiche umane di fragilità/ vulnerabilità e la coesistenza di aspetti
buoni e cattivi. L’idealizzazione è un potente tentativo di non separarsi dall’oggetto e
di non sentirsene abbandonati, risolvendo anche le ambivalenze.
La figura materna e paterna idealizzata nella fase edipica sono dei prototipi
psicologici con cui il sé si confronta, dando origine al Super-io.
La stabilità degli oggetti interni permette di ricollegare le esperienze relazionali
attuali alla vita psichica passata, rendendo possibile il senso di continuità di sé.
Una delle dinamiche più frequenti riguardanti gli oggetti interni è l’ambivalenza,
l’alternarsi di sentimenti ed emozioni contraddittorie nei confronti della stessa figura
fantasmatica.

27
Oggetti, relazioni oggettuali e colloquio. Il clinico non può riconoscere
immediatamente e/o direttamente l’influsso degli oggetti interni sulle relazioni
vissute dal paziente. Esiste un interscambio continuo tra il mondo interno e la realtà
esterna. Ciò che interessa il clinico è la loro dinamica nel tempo, cioè la tendenza
alla ripetizione e alla riproduzione di alcuni schemi relazionali sempre simili. Il clinico
può ricostruire la struttura e la funzione degli oggetti interni esaminando:
 Il modo in cui il paziente descrive le sue relazioni attuali
 Come le riferisce ad analoghe esperienze del passato
 Come imposta la narrazione dei suoi rapport con i genitori, fratelli/sorelle e
famigliari
Gli oggetti interni fantasmatici sono la matrice delle rappresentazioni psichiche che il
soggetto produce quando impara a distinguere tra sé e altro. Una caratteristica degli
oggetti interni e la loro struttura binaria (buono-cattivo, totale-parziale, protettivo-
persecutorio) Quando nel discorso si hanno contrapposizioni semplificate ed
elementari come sé/altri, io/mondo, intra-famigliare/extrafamiliare, è possibile che
vi sia un’influenza della struttura binaria primitiva degli oggetti.
Le relazioni oggettuali si possono leggere su 2 versanti:
 Come relazioni tra ogg esterno e Io del soggetto
 Come relazioni tra il sé e gli oggetti interni
L’aspetto più difficile nel riconoscimento dell’oggetto è cogliere e definire la sua
struttura.

PULSIONI:
Evoluzione del costrutto: il termine pulsioni oggi è meno utilizzato rispetto al
passato nella letteratura psicoanalitica e psicodinamica per diversi motivi:
 Per il suo riferirsi a un modello mono-personale e isolato del soggetto
 Per l’affermarsi di modelli motivazionali più articolati e meglio utilizzabili nelle
prospettive relazionali
Si è tradotto con pulsione il termine Trieb, usato da Freud per indicare la
manifestazione psichica degli istinti biologicamente determinati, per cui usa il
termine instinkt Freud vuole differenziare il funzionamento degli istinti animali
da quelli umani. Trieb è una spinta continua e costante che viene dal corpo e tende
all’appagamento dei bisogni biologici. Tuttavia a differenza degli istinti animali che
seguono schemi rigidi e predeterminati, le pulsioni si manifestano in varie forme.
Nella pulsione l’oggetto e la meta non necessariamente coincidono. Rappresentano
il livello di funzionamento psichico al limite del corporeo, che attende di essere
trasformato nella dinamica psichica. La pulsione è il punto dove bisogno e desiderio
entrano in relazione. Il bisogno può essere soddisfatto ma il desiderio non smette
mai di fare pressione.
Freud distingueva tra pulsioni di autoconservazione (pulsioni dell’io) e pulsioni
sessuali.
28
Queste traggono la loro forza dallo stesso tipo di energia, la libido. La pulsione
maggiormente rilevata è la pulsione sessuale. Il soggetto deve affrontare la gestione
della pulsione, ovvero la sua modulazione, in modo da consentirne l’appagamento,
ma conservando al tempo stesso l’equilibrio della altre componenti psichiche.
Per quanto riguarda le pulsioni aggressive, anche queste sono importanti in quanto
una equilibrata vita sessuale dipende dalla capacità di combinare le pulsioni sessuali
con quella aggressive.
Pulsioni e colloquio: nei colloqui l’aspetto pulsionale si manifesta soprattutto nella
modalità di controllo dell’impulso. Il clinico ricorre al costrutto di pulsione quando
riscontra nel paziente segni di una distonia o discrepanza tra manifestazioni
corporee e psichiche, per cui gli affetti e il loro corrispettivo corporeo non riescono a
sintonizzarsi e fondersi adeguatamente a causa di conflitti o per un deficit
nell’integrazione delle funzioni dell’io.

SENSE OF AGENCY (SA)


Evoluzione del costrutto. Il termine agency indica la percezione di sé come avente
un ruolo attivo riguardo 5 livelli:
 sé come agente fisico, comprensione del corpo come un’entità autonoma e
dinamica, capace di determinare cambiamenti fisici nell’ambiente
 sé come agente sociale, comprensione di sé come interagente in
comunicazioni e relazioni
 sé come agente teleologico, comprensione del proprio ruolo nel
raggiungimento degli obiettivi
 sé come agente intenzionale, comprensione della presenza di propri stati
mentali
 sé come agente rappresentazionale, stabilizzazione della concezione di sé
autobiografico
Il sense of agency riguarda quanto una persona dimostri effettivamente:
 di sentirsi attiva e responsabile riguardo a motivazioni e impulsi
 di esserci e di sentire di contare nelle proprie relazioni
 di poter influenzare gli eventi della propria vita
Su questo sentire si fonda la percezione di coerenza del sé
Sense of agency e colloquio, bisogna distinguere il SA e iperattività. Il concetto di SA
non è ancora stato operazionalizzato, manca attualmente un manuale che stabilisca
la frequenza di operazioni guidate che si devono effettuare per arrivare alla
quantificazione del SA che si vuole misurare empiricamente. Può essere operata
però una differenziazione tra 4 livelli:
 assenza di SA
 ridotto o carente SA
 SA adeguatamente presente

29
 Notevole SA
Il SA è dipendente dal contesto dunque non è raro riscontrare che una persona
ha ad esempio un SA adeguato in ambito lavorativo, mentre in quello
sentimentale il suo SA è carente.

SISTEMI MOTIVAZIONALI:
Evoluzione del costrutto. Secondo Freud tutti i comportamenti umani, compresi
sintomi e sogni, sono determinati da motivazioni inconsce. Nella valutazione
clinica il concetto di motivazione presenta 2 aspetti:
 Indagine degli obiettivi motivazionali che guidano le azioni di una persona,
richiede di mettere in 1° piano il vissuto soggettivo della persona in termini
di affetti, credenze, aspettative, bisogni e aspirazioni
 La ricerca delle cause di pensieri, emozioni, azioni di una persona richiede
una oggettivazione dei comportamenti e una teoria sulle influenze dei
diversi fattori

Freud parla di una motivazione inconscia che porta alla formazione dei sintomi
isterici fin dagli studi sull’isteria, spiegando il sintomo come una conversione
somatica dell’angoscia inconscia. La pulsione freudiana è caratterizzata da spinta,
fonte, oggetto e meta. Secondo Freud la pulsione sessuale è la radice biologica della
motivazione umana. Nel 1920 le pulsioni sono divise in pulsioni di vita, che spingono
a costruire legami con la realtà esterna e pulsioni di morte, che spingono
all’autoistruzione.
La salute sta nell’integrare la capacità di amare gli altri e di esserne indipendenti.
Con gli sviluppi successivi della psicologia psicoanalitica dell’io alle motivazioni di
natura pulsionali vengono affiancate altre motivazioni, determinate da difese e
controlli, indipendenti dalle pulsioni in quanto usano le energie autonome dell’io.
WHITE introduce una nuova motivazione di base, la spinta alla competenza. Nella
psicoanalisi inglese lo studio della motivazione umana si focalizza sulla costruzione
di rappresentazioni di relazioni significative con gli altri.

BOWLBY introduce il sistema di attaccamento, un insieme di pattern


comportamentali per la regolazione della sicurezza tra il bambino e il suo caregiver
in cui la motivazione biologica è riconducibile all’obiettivo della specie di garantirsi la
continuità attraverso la sopravvivenza dei piccoli.
La motivazione all’attaccamento porta alla sostituzione della vecchia teoria delle
pulsioni con la teoria dei comportamenti istintivi, la motivazione di base è ottenere
una buona regolazione reciproca nelle relazioni con gli altri. Nella valutazione clinica
ciò comporta che le difficoltà di relazione di un paziente adulto possono essere
interpretate come conseguenza di esperienze passate in cui la regolazione
dell’attaccamento non è stata efficace.
30
Il modello motivazionale di LICHTENBERG. Nella sua opera del 1989 Psicoanalisi e
motivazione parla dell’importanza dei primi 3 anni di vita per la costruzione di
programmi operativi che rappresentano negli umani il corrispettivo di quella forma
precoce di apprendimento chiamata imprinting, la base di tutti i comportamenti
motivati. Sulla base dei risultati di osservazioni e di infant research, propone 5
sistemi motivazione, attivi fin dalla nascita e separati tra loro, che interferiscono
reciprocamente nel corso dello sviluppo e mantengono un senso di coesione e
benessere interno:
1) Sistema motivazione di regolazione psichica delle esigenze fisiologiche
2) Sistema motivazionale di attaccamento-affiliazione
3) Sistema motivazionale esplorativo-assertivo
4) Sistema motivazionale avversivo
5) Sistema motivazionale sensuale-sessuale
Lichtenberg definisce il sistema motivazionale-funzionale come un insieme di bisogni
e desideri che condividono caratteristiche funzionali e con una gerarchia di sviluppo.
Ogni sistema ha una base neurobiologica per la sopravvivenza. I 9 assunti alla base
del modello motivazionale sono:
 Ogni comportamento costante del bambino è un comportamento motivato
 I comportamenti tra loro correlati rinviano all’ipotesi di un unico sistema
motivazionale di regolazione tra il bambino e il caregiver
 Ogni sistema motivazionale influenza le motivazioni che derivano da altri
motivazionali
 Nel ciclo della vita i sistemi motivazionali sono influenzati dai cambiamenti
biologici e neurofisiologici, e dalla regolazione reciproca delle relazioni
significative
I 5 sistemi individuano diverse aree di funzionamento interpersonale caratterizzate
da specifici stati emozionali. Nella pratica clinica individuare l’effetto dominante in
un certo momento nella narrativa del paziente può aiutare a focalizzare l’area
funzionale più problematica nella regolazione reciproca delle relazioni con gli altri, e
anche l’area motivazionale dominante in quel momento della relazione terapeutica

Il sistema motivazionale di regolazione psichica delle esigenze fisiologiche e il


colloquio. È quello dominante nelle prime settimane, caratterizzato dall’alternarsi di
stati emotivi e disagio e di sollievo. Quando la mutua regolazione tra bambino e
caregiver funziona in modo ottimale il bambino sperimenta benessere psicologico
globale, definito come il piacere di soddisfacimento delle esigenze fisiologiche. Nella
valutazione dei disturbi psicosomatico è utile fare riferimento a questo sistema
motivazionale per approfondire i modelli di regolazione disfunzionale appresi da un
paziente adulto. Un disturbo di regolazione di questo sistema in età adulto è spesso
correlato con disturbi di autoregolazione del sé.
31
Il sistema motivazionale di attaccamento-affiliazione e il colloquio. Risponde
all’esigenza della sicurezza biologica che si traduce psicologicamente nel bisogno di
vicinanza emotiva, di sintonizzazione del caregiver verso gli stati affettivi del
neonato. Il sistema di attaccamento comprende la scelta di una figura specifica e
insostituibile. La separazione da questa figura provoca angoscia per la paura della
perdita. Questo sistema motivazionale ha come obiettivo il piacere di intimità delle
relazioni diadiche della prima infanzia, molto vicino al piacere di appartenenza al
gruppo famiglia, al gruppo di fratelli e al gruppo dei pari.
Sulla base di alcuni studi condotti attraverso la Adult Attachment interview di Main e
Goldwyn si possono individuare alcune caratteristiche delle narrative di pazienti:
 Sicuri-autonomi: raccontano liberamente i racconti di infanzia, con chiarezza e
coerenza
 Insicuri si dividono in:
-distanzianti: tendono a evitare i ricordi sostituendoli con narrative
generalizzate, povere di emozioni, spesso idealizzanti o sprezzanti nei
confronti dei genitori
-preoccupati/invischiati: troppo coinvolti nei ricordi delle esperienze di
attaccamento passate, narrative incoerenti, troppo lente o troppo veloci, e
comunica passività o rabbia

Il sistema motivazionale esplorativo-assertivo e il colloquio. Raggruppa tutti i bisogni


e desideri relativi all’esplorazione e alla ricerca del senso di efficacia, che portano al
piacere della competenza, questo sistema motivazionale è influenzato dalle
esperienze di successi del bambino nella regolazione degli altri sistemi.
Nella vita dell’adulto le motivazioni esplorativo-assertive dominano generalmente
nell’area del lavoro, delle competenze sociali, delle attività creative, del gioco, della
capacità di godersi il tempo libero.

Il sistema motivazionale-avversivo e il colloquio. Regola i bisogni primari di difesa dai


pericoli della realtà esterna. Questo sistema comprende 2 tipi di risposta opposti: i
comportamenti di ritiro e i comportamenti di antagonismo. L’organizzazione di
questo sistema è centrata sulla regolazione degli affetti negativi, come disagio, noia,
rabbia, colpa, paura e dolore. Nello sviluppo del bambino gli affetti negativi derivano
dall’insuccesso nella regolazione della relazione con il caregiver in tutte le aree
motivazionali, motivo per cui le motivazioni avversive sono trasversali agli altri
sistemi. Dunque le difficoltà nel 1° anno di vita nei vari sistemi motivazionali
possono rendere il sistema motivazionale avversivo come dominante, creando un
circolo vizioso di avversione che si auto rinforza nei vari sistemi, determinando
nell’adulto situazioni interpersonali conflittuali e persistenti.

32
Il sistema motivazionale sensuale-sessuale e il colloquio. Regola le attività rivolte alla
ricerca del piacere sensuale e dell’eccitazione sessuale. Nei primi 3 anni di vita le
difficoltà del principale caregiver nella regolazione della propria sessualità possono
influire nel sistema del piccolo attraverso sentimenti avversi nei confronti di attività
spontanee di ricerca del piacere sensuale-sessuale. Dal punto di vista della
regolazione reciproca delle motivazioni sensuali-sessuali occorre considerare non
solo difficoltà di sintonizzazione nell’esperienza del coito, o di altre attività connesse,
ma anche le difficoltà di regolazione affettiva con il partner delle relazioni sessuali e
sentimentali. I fallimenti empatici nelle relazioni primarie con il caregiver disturbano
la coesione del sé, mentre per quanto riguarda l’adesione al ruolo sessuale e la
scelta del partner, queste sono influenzate dagli stereotipi culturali “maschile e
femminile”

33

Potrebbero piacerti anche