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Psicologia clinica

Lo psicologo clinico ha come obbiettivo quello di aiutare le persone in molteplici condizioni di


sofferenza e malattia attraverso le proprie conoscenze e le proprie tecniche che derivano dalle
varie branche della psicologia (psicologia dello sviluppo, psicologia generale ecc)
Lo psicologo clinico focalizza la propria attenzione sul particolare, sull’approfondimento del
singolo caso e delle sue specificità.
Negli anni 50 in America si cerca di costruire una definizione della psicologia clinica, sottolineando
l’interazione tra teoria e pratica con diverse finalità: la comprensione della situazione, quali
elementi ci possono informare su cosa succederà, e il trattamento dunque rimuovendo il disagio la
disabilità favorendo il benessere. La psicologia clinica si concentra sugli aspetti intellettivi, emotivi,
biologici, psicologici, sociali e comportamentali del funzionamento umano lungo tutto l’arco di
vita, nelle varie culture e a tutti i livelli socioeconomici.
Nella definizione italiana si definisce la finalità della psicologia clinica come promozione delle
condizioni di benessere.

Classificazione dei disturbi mentali


Processo diagnostico:
La diagnosi è un processo decisionale complesso, un processo di verifica delle ipotesi che è legato
al funzionamento mentale di chi la effettua.
Il valutatore può compiere degli errori che sono:
• propensione ad ancorare l’intero processo valutativo a specifiche informazioni
(anchoring bias)
• tendenza a cercare conferme per l’ipotesi formulata, piuttosto che a vedere se essa
può essere disconfermata, per cui le prime tesi sono soggette raramente al cambiamento
(confirmation bias)
• tendenza a farsi influenzare da fattori contestuali, ad esempio se si lavora in istituti
penitenziari si tende a pensare che siano tutti cattivi (diagnosis momentum)
• eccessivo uso delle informazioni raccolte per prime (order effect)
• eccessiva sicurezza (overconfidence bias),
• la decisione prematura di considerare acquisiti gli elementi necessari per la diagnosi
(premature closure)

Nel 1952, la comunità psichiatrica statunitense formulò la prima versione del Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Diseases (DSM)
La revisione attuale è nota come DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Diseases-5).
L’Organizzazione mondiale della sanità utilizza però un’altra classificazione, l’International
Classification of Diseases (ICD), giunta alla sua undicesima revisione (ICD-11).

Nel tempo i due processi di classificazione non hanno più grandissime differenze per cui entrambi
suddividono i disturbi mentali sulla base di caratteristiche descrittive, però non spiegano come il
disturbo si sia manifestato in quel modo e in quel momento.

Oggi tra DSM-5 e ICD-11 esistono differenze di dettaglio e l’uno rimanda all’altro.
- Il DSM è molto più accurato ed è il riferimento principale nella ricerca scientifica
- L’ICD contiene più disturbi ma è molto meno specifico ed è quello usato nel sistema sanitario
nazionale.
Esame psicodiagnostico:

Può essere:
-Il primo passo al sostegno psicologico, perché c’è la presa in carico del paziente.
-Valutazione dell’opportunità o meno di un trattamento psicoterapeutico.
-Non è necessariamente il primo passo verso un sostegno quando la valutazione viene richiesta ad
esempio in ambito peritale, per chiarire le componenti psicologiche di una condotta criminosa.
Poiché qui è il giudice che chiede la valutazione. Un altro esempio può essere quando la madre e il
padre portano il figlio dallo psicologo perché non sta mai fermo.

E’ un processo di raccolta, analisi, elaborazione di informazioni, di problem-solving e decision-


making.

Test psicodiagnostici: es. Sono test che si trovano ovunque (sei una persona libera o + dipendente?)
Riguardano delle caratteristiche che possiamo avere e che possiamo misurare attraverso i test.

-Il suo Obiettivo non è la collocazione del soggetto all’interno di un


gruppo diagnostico.
-un approfondimento di alcune delle tante dimensioni psicologicamente rilevanti di un soggetto.
-Devono essere integrati con un colloquio clinico.
-Hanno a che fare con l’immagine che il soggetto ha di se.

Ci sono diversi tipi di test:

1 test proiettivi

Ha una componente interpretativa e da risalto al significato simbolico di una certa condotta. Si


svolge così: ti mostro un’immagine ambigua che non ha un significato evidente e in base al
significato che tu gli dai proietti delle tue caratteristiche personali. Es Test di Rorschach ; Thematic
Apperception Test [TAT].

2 Test di personalità

I primi test di personalità utilizzano dei criteri empirici, cioè, si prende un grande gruppo di
persone gli si fa la stessa domanda e la risposta più frequente viene considerata come quella che
descrive meglio quel costrutto, indipendentemente da considerazioni teoriche generali.
L’american psychological association introduce poi il concetto di “validità del costrutto” ovvero è
necessario fare riferimento alla dimensione psicologica (costrutto), che determina la prestazione
dei soggetti al test.
Es. 16 Personality Factors ; Big Five Questionnaire

Critiche mosse a questo test:


-Quadri troppo generici
-Domande troppo ambigue
-Misurazione di aspetti poco connessi al comportamento
-Per prevedere il comportamento è molto più utile conoscere le variabili situazionali
-L’appartenenza ad un particolare gruppo diagnostico dava minime informazioni sul
comportamento dei pazienti
Ciò che si è cercato di fare dal risultato di questo test è stato elaborare misure più specifiche e più
valide dal punto di vista psicometrico: Beck Depression Inventory ; State-Trait Anxiety Inventory.

Nella somministrazione di un questionario si fanno implicitamente delle deduzioni:


-La persona è consapevole del proprio stato e delle proprie emozioni.
-Il significato delle parole è lo stesso per gli autori del test e per chi lo compila.
-La persona vuole collaborare.

Ciò che preoccupa i ricercatori è che le persone hanno la tendenza a rilevare principalmente le
proprie caratteristiche positive mentendo di proposito oppure in maniera automatica e
inconsapevole. Le risposte non sono dunque obbiettive ma ci danno delle informazioni su ciò che
le persone pensano di dover dire.

Relazione tra test e diagnosi: Una diagnosi non può essere basata solo sui risultati del test poiché
questi non ci danno nessuna informazione sulla genesi di un disturbo o che ce lo spieghi ma
abbiamo un quadro descrittivo e sintetico dell’individuo, da questo poi si possono vedere aree in
cui sarebbe utile fare un approfondimento.

Colloquio psicologico

E’ un processo di raccolta di dati specialmente nei primi colloqui, questa raccolta comprende:
-l’aspetto ovvero come una persona parla, se è pulito, come è vestito;
-la sua storia personale ovvero la storia del sintomo di cui si parla, racconto di eventi critici e le sue
tappe di sviluppo (età dello sviluppo, pubertà, invecchiare) o eventi stressanti legati a determinate
situazioni. Bisogna così individuare le cause scatenanti e poi contestualizzarle a livello storico e
tratte così dalle esperienze passate dati utili per l’indicazione del trattamento;
-la storia familiare poiché l’ambiente favorisce l’emergere o il mantenere alcuni atteggiamenti.
Chiarendo il contesto del disturbo si possono valutare le dinamiche familiare per poi avere dei dati
che permettono di capire l’origine del disturbo. Bisogna avere informazioni su genitori, fratelli,
contesto culturale e sociale di appartenenza, clima emotivo.

Ci sono fattori che possono influenzare l’andamento del colloquio che possono essere dovuti al
paziente o al terapeuta. Nel caso del terapeuta può capitare che la storia che il paziente racconta
possa essere compatibile a una del terapeuta; pregiudizi da parte del terapeuta verso il paziente;
non prestare attenzione al problema del paziente poiché annoiati.
Nel caso del paziente vi è la teoria della mente: (attribuire stati mentali come emozioni o credenze
a se stessi e agli altri) e la teoria della malattia: (la motivazione a proteggersi dalla malattia è il
prodotto di come si percepisce la gravità di quella malattia), influisce anche quanto il paziente sia
motivato a fare il colloquio e soprattutto quali sono le sue aspettative riguardo ai tempi e ai modi
in cui avverrà il colloquio.

Psicologia della relatività


Come costruiamo il significato degli eventi esterni e interni.

Immaginiamo di essere il passeggero di un treno fermo in stazione e di osservare dal finestrino un


altro convoglio che attende di partire sul binario vicino. A un tratto avvertiamo un movimento.
Per sapere quale dei due treni si stia muovendo, cerchiamo un riferimento che sappiamo essere
immobile, per esempio il marciapiede della stazione o un cartello segnaletico. Ma se fosse notte e
fosse visibile solo l’altro convoglio e non la stazione? In quel caso non sarebbe affatto facile
stabilire quale dei due treni sia partito.

Anche il movimento è un concetto relativo e non valido in assoluto, per cui sono relativi anche
spazio e tempo.

Nella stessa situazione, diversi osservatori possono avere esperienze diverse a seconda della
propria posizione, da cui dipende ciò che è accessibile al proprio campo percettivo e visivo. Diversi
osservatori possono avere differenti percezioni del tempo, delle altre persone e anche degli
oggetti.
Significato personale: la percezione che si ha della mascherina, ognuno può pensare una cosa
diversa: Mi sento in pericolo; Mi sento più al sicuro; Mi vergogno; È tutto inutile.

Queste differenze dipendono da vari fattori:


1-Dalla percezione: Un aspetto importante è quello visivo perché ci da un’esperienza diretta del
mondo esterno che però non è una rappresentazione completa e oggettiva del mondo fisico. Noi
abbiamo un’idea ingenua (realismo ingenuo) per cui abbiamo la sensazione che non ci siano
differenze tra il mondo fisico e quello percepito. Però ci sono molte differenze (realismo critico)
rispetto a mondo percepito (come lo percepiamo noi e gli altri), informazione ottica (come sono
fatti gli oggetti) e mondo fisico. Wertheimer è stato il primo a studiare i processi di formazione
delle unità percettive, formulando diverse ipotesi su quali siano i criteri su cui i sistemi percettivi si
basano per costituire queste ipotesi.

2-dall’attenzione: E’ l’unica parte mobile dei nostri sistemi cognitivi poiché posso concentrarmi o
meno su uno stimolo spostando la mia attenzione, per cui si possono concentrare le nostre risorse
mentali su alcune informazioni più tosto che su altre, nonostante ciò però non siamo coscienti solo
delle cose su cui siamo concentrati. Per attenzione intendiamo quel momento in cui Il cervello
seleziona degli stimoli che arrivano dal mondo esterno attraverso gli organi di senso. L’attenzione
nello spazio si può spostare a prescindere dallo sguardo attraverso magari la coda dell’occhio
(attenzione visuo-spaziale). E’ possibile variare le dimensioni del focus attentivo concentrando le
risorse su un’area più o meno piccola dello spazio e l’accuratezza dell’analisi è inversamente
proporzionale all’ampiezza del focus (mi concentro su una determinata cosa e non su tante e
quindi l’analisi è più accurata). Si ha un’orientamento automatico quando degli elementi attirano
la nostra attenzione mentre cerchiamo volontariamente qualcos’altro, per cui fattori volontari e
automatici competono. L’orientamento automatico serve a rispondere agli imprevisti ambientali e
al pericolo. Vi sono dei limiti nel sistema attentivo: Attentionalblink che consiste nell’impossibilità
di essere accurati nel discriminare ciò che succede nell’ambiente quando siamo concentrati su
altro. Cecità al cambiamento che consiste nella difficoltà a notare consapevolmente cambiamenti
rilevanti quando ci sono altri elementi di disturbo.
Primi giorni: Facilitazione prodotta da uno stimolo (prime) su uno stimolo successivo (target). I
Soggetti categorizzano più rapidamente uno stimolo se preceduto da un altro che sia irrilevante
per il compito, ma appartenente alla stessa categoria.
Questi effetti si hanno anche se il prime viene mascherato e Funziona anche nei soggetti con
neglect unilaterale ovvero in cui sono interrotti i collegamenti orizzontali tra i due emisferi per cui
non funziona un emicampo.
I sistemi attentivi comprendono- Attenzione selettiva: capacità di spostare il focus attentivo in
modo da ridurre l’importanza di stimoli non importanti. -Attenzione divisa: controllare risorse
attenti e tra più compiti contemporaneamente. -Attenzione sostenuta capacità di mantenere per
molto tempo l’attenzione su uno stimolo.

3-dalla memoria: Capacità di acquisire, immagazzinare e rievocare le informazioni. I processi di


memoria sono- processo di codifica: l’informazione nuova deve essere inserita in una rete di
informazioni che esistono già e può avvenire attraverso diversi canali sensoriali o attraverso un
codice semantico, rispetto al significato che quella cosa ha per noi. La forza della traccia mnestica
(qualità del ricordo) dipende dalla profondità di codifica. -processo di ritenzione: l’informazione
viene immagazzinata e mantenuta e anche questo processo è influenzato dal livello di profondità
di codifica. -Processo di recupero: rievocazione dell’info memorizzata. Una volta si pensava che più
si ripete più si ricorda ma in realtà da molto tempo si è capito che si ricorda in base a quanto
l’informazione che facilita il recupero è stata elaborata qualitativamente. Sono importanti anche
gli elementi del contesto.
La memoria a breve termine è limitata per cui non possiamo memorizzare più di 7+- 2 elementi
alla volta. Il tipo di materiale influenza la prestazione dei soggetti nei compiti di memoria a breve
termine e lungo termine. Attreaverso degli studi siamo a conoscenza di diversi magazzini di
memoria che hanno compiti distinti.
Ci sono 3 livelli di elaborazione: strutturale (colore, numero di lettere) fonemico (rima, lettera
iniziale) semantico (significato che quell’info ha per noi e viene immaganizzato in modo più
stabile).
Memoria di lavoro: vengono mantenute informazioni temporaneamente mentre si svolgono altri
compiti, costituito da: -esecutivo centrale: funzione di supervisione. – processo articolato:
gestione del materiale verbale. – magazzino visto spaziale: gestione del materiale visivo.
Memoria dichiarativa: -memoria episodica (esperienze di vita si ha un maggiore coinvolgimento
dell’emisfero destro) -memoria semantica: (le nostre conoscenze del mondo e maggiore
coinvolgimento emisfero sinistro).
Memoria procedurale: contiene le conoscenze rispetto allo svolgimento di una particolare attività,
non solo motorie ma anche cognitive.
Esistono tantissimi sistemi di memoria e nel caso in cui uno dovesse essere compromesso non crea
nessun danno agli altri.
Processi di categorizzazione -Le categorie sono importanti dal punto di vista di organizzazione del
sistema di rappresentazione, sia come chiave di recupero delle informazioni.
Es: Canarino: è un uccello, canta ed è giallo.
C’è una struttura nelle categorie per cui il livello di astrazione aumenta quando si passa dai livelli
bassi ai livelli alti della categoria.

Quando un nodo concettuale viene attivato non si attiva solo quel determinato nodo ma anche
altri in base al tempo e alla vicinanza semantica (es. topo preattiva anche gatto e non cane).
4-dall’apprendimento: Una o una serie di modificazioni comportamentali che derivano da ciò che
ci succede con l’interazione con l’ambiente. Alcuni cambiamenti non sono legati a ciò che succede
nell’ambiente ma da fattori fisiologici (pubertà, una malattia). Questi cambiamenti possono essere
legati a processi come -l’assuefazione (diminuzione della forza di una risposta dopo che uno
stimolo si è presentato tante volte) -Sensibilizzazione (aumento della reattività dopo uno stimolo).
Ogni azione che ha un effetto sull’ambiente ha anche un effetto retroattivo sull’organismo. Alcune
risposte possono essere il prodotto di un condizionamento, ad esempio, la paura è una risposta
innata e ciò che si apprende è il livello di pericolosità che attribuiamo a stimoli diversi. Le fobie
sono le risposte di paura a stimoli non pericolosi e che possono essere il risultato di
condizionamenti casuali.
Watson decise di fare un esperimento in cui a un bambino di 11 mesi era stata condizionata una
risposta di paura nei confronti di un topo bianco associandovi un forte rumore improvviso, dopo
un po' si era condizionata la risposta anche al rumore senza topo.
Il condizionamento classico non è solo un processo meccanico ma riflette le relazioni tra eventi e
situazioni in determinati contesti della nostra vita.
Prima si pensava apprendessimo solo per tentativi ed errori e Thorndike attraverso un suo
esperimento cercò di dimostrarlo: un gatto avrebbe dovuto azionare un chiavistello per poter
uscire dalla sua gabbia. Nel corso delle prove tendevano a scomparire tutte le azioni inutili e
aumentava la rapidità e precisione della risposta legata alla soluzione del problema.
Skinner e il paradigma del condizionamento operante, scoprì che si poteva influenzare il modo e la
forza con cui si costruiscono le associazioni attraverso dei rinforzi (positivi o negativi e devono
essere dati in funzione del contesto).
Alcuni rinforzi per noi umani possono essere simbolici (denaro) o sociali generalizzati (affetto,
approvazione) dinamici (che derivano dai nostri comportamenti es. metti in ordine. E puoi
guardare la tv).
Il rinforzo negativo non è una punizione perché la punizione produce sensazioni spiacevoli e non
estingue il comportamento.
Processo di estinzione: quando quel comportamento non produce più conseguenze rilevanti quella
riposta si estingua.
Noi esseri umani possiamo imparare anche attraverso esperienze che succedono agli altri.

5-credenze e significati:
6-emozioni:
7-le relazioni:

Esperienza emotiva

Tutti noi viviamo le nostre emozioni in modo diverso, alcuni vivono questi stati come molto
differenziati mentre altri lo vivono come sfumature della stessa cognizione e altri ancora in modo
più indifferenziato (bene/male-piacevole/spiacevole). Questa variabilità è stata descritta come
differenziazione emozional.
Alcune categorie emotive esistono solo in alcuni contesti culturali e non in altri (ligit in alcune tribù
significa euforia e aggressività durante la caccia). La rabbia e la tristezza sono emozioni distinte
negli Stati Uniti mentre in Turchia sono nella stessa categoria emotiva.

Principali modelli teorici


Appraisal: Le emozioni non sono solo innescate da eventi ma intenzionali e che nascono da
interpretazioni che noi diamo allo stimolo che innesca lo stato fisiologico e sia allo stato fisiologico.

Emozioni di base: Emozioni biologicamente determinate e innescate in modo automatico, a


ciascuna corrisponde un correlato neurale e specifiche espressioni facciali, emozioni innate che
sono uguali per tutti come ad esempio (rabbia e paura).

Approccio costruzionista: Le emozioni sono categorie di senso comune che derivano più nostra, e
degli altri, interazione con le espressioni, attivazione neuro-fisiologica ecc…
Le categorie emotive che conosciamo non esistono come categorie naturali innate.
I modelli di costruzionismo consentono di prendere dagli approcci delle emozioni di base gli
aspetti evoluzionistici come fattori basilari per la nascita dell’esperienza emotiva e dagli approcci
dell’appraisal l’attribuzione di significato attribuendola al soggetto.

Modello + giusto: conceptual act model


Prevede un sistema innato che può rappresentare gli stati fisiologici e fisici come
piacevoli/spiacevoli e più o meno intensi. Dev’esse un sistema concettuale per le emozioni legato
alla memoria (conoscenze che una persona ha delle emozioni). Non sono sistemi separati ma
elementi che lavorano insieme.

Strategie di regolazione emotiva

Non è l’evento in se a suscitare un certo stato emotivo ma il significato che il soggetto costruisce in
base al proprio stato. Le teorie classiche non chiariscono cosa succede tra percezione di uno
stimolo e la risposta emotiva.
Linea temporale su come intervenire per cambiare il nostro stato emotivo:
1) situazione: gestendo il contenuto scegliamo le azioni che massimizzano o minimizzano la
possibilità di trovarci in una situazione che ci aspettiamo porterà una certa emozione (vado
dal dentista prima così passa prima l’ansia/ non vado dal dentista altrimenti provo ansia).
Ciò può avvenire con il controllo diretto per cui affronto una situazione indipendentemente
dal fatto che produca sensazioni negative, si utilizza soprattutto se può produrre effetti
positivi. Oppure può avvenire con la procrastinazione per cui si evita la situazione in modo
da non provare l’ansia che ne provoca, si è studiato però che a breve termine riduce lo
stress ma lo aumenta nel lungo termine. E infine l’evitamento che è una strategia per cui ci
si sottrae del tutto alla situazione, se questa situazione porta più svantaggi è la strategia
migliore ma in tutti gli altri casi non è per niente funzionale. Ci sono poi strategie che
consistono nella modifica della situazione, ci si sforza molto per modificare la situazione
per poter stare meglio, questo si può fare in maniera diretta o indiretta (con l’aiuto di
terzi).
2) Attenzione: dopo essere intervenuti sulla situazione si passa al focalizzarsi su determinati
aspetti della situazione, sia in modo volontario che involontario, ad esempio può avvenire
con la distrazione per cui sposto la mia attenzione su altro che può essere interno come
rievocare dei ricordi oppure esterno come ad esempio ascoltare la musica. Oppure
attraverso la rimuginazione per cui si pensa continuamente alla situazione focalizzandosi di
solito sui suoi aspetti negativi.
3) Appraisal: Dopo essere intervenuti sulla situazione e aver focalizzato la nostra attenzione
su alcuni particolari dobbiamo darle un senso per cui diamo un significato personale alla
situazione ed è molto importante perché da qui viene determinata quale risposta verrà
generata. Si può avere il re appraisal ovvero la rivalutazione rispetto ai significati che prima
avevamo costruito, si può avere poi l’accettazione per cui si prende atto che siamo incapaci
di affrontare la situazione, ed infine l’accusa dell’altro ovvero in cui si da la colpa agli altri
delle proprie responsabilità così da sentirsi più alleggeriti. (Non ho passato l’esame è colpa
del prof che ha fatto una domanda troppo semplice)
4) Risposta: nel caso in cui non siamo riusciti a cambiare nessuno degli stati precedenti non
mi resta che cambiare la risposta, in cui cerco di modificare l’attivazione fisiologica nel
momento in cui la sto provando. Un modo per gestire la risposta emotiva può essere ad
esempio il rilassamento come tecniche di respirazione e movimento (yoga), oppure la
soppressione dell’espressione emotiva mascherando le proprie risposte (espressione
facciale) legata a quella determinata emozione, vi è l’uso di sostanze (può comprendere
anche il cibo) per cui dopo l’assunzione si avrà una distorsione percettiva della situazione e
di conseguenza del proprio stato emotivo, ed infine l’aggressione fisica o verbale.

ALCUNE RICERCHE

La competenza emotiva favorisce il nostro funzionamento sociale indipendentemente dalla nostra


personalità, per cui la nostra capacità di regolare le emozioni ci facilita. Le strategie di
soppressione richiedendo più risorse influenzano sulla memoria l’attività cardiovascolare e quindi
ha un impatto negativo nel funzionamento sociale.
Mentre il reappraisal quindi la rivalutazione cognitiva si è rivelata più vantaggiosa perché
diminuisce ansia e rabbia.

Sistemi motivazionali interpersonali

Liotti li definì come una serie di regole innate che guidano il nostro comportamento verso una
meta precisa. Sono delle regole che formano un modello che riesce a spiegare le attivazioni
emotive che si innescano durante le interazioni tra persone e sono stati tramandati nel corso
dell’evoluzione poiché favoriscono comportamenti vantaggiosi per la sopravvivenza sia individuale
che non.
Alcuni sistemi motivazionali possiamo distinguerli in biologici ovvero quei comportamenti diretti
orientati da uno scopo che hanno a che fare con la sopravvivenza individuale (alimentazione)
necessitano di tutte le strutture nervose presenti nel cervello rettiliano (dal tronco encefalico ai
nuclei della base). Oppure sistemi motivazionali sociali e servono per le relazioni tra individui e si
tratta del cevello rettiliano, sistema limbico e la neocorteccia.
Ogni sistema motivazionale oltre ai comportamenti diretti allo scopo sono legati a delle specifiche
emozioni che prima servivano per segnalare l’attivazione di uno specifico sistema, perché alcuni
sistemi, soprattutto quelli interpersonali, producono un accoppiamento strutturale per cui i
sistemi di due persone si sincronizzano.
In clinica questo ci aiuta a capire quale sia l’assetto relazionale in cui è il paziente.

1) Sistema motivazionale dell’attaccamento


E’ finalizzato ad ottenere la vicinanza e la protezione della figura di attaccamento e viene attivato
da sensazioni di difficoltà e pericolo. Si disattiva quando la figura di attaccamento si avvicina al
soggetto e genera emozioni di gioia e sicurezza. Che diventa la figura di attaccamento è una base
sicura, ovvero un momento in cui siamo sicuri della disponibilità ad occuparsi di noi di quella
persona. Questo ci consente anche di allontanarci da quella persona ma di continuare ad avere la
consapevolezza che al momento del nostro ritorno quella persona sarà lì.
Nelle nostre prime fasi di vita la gestione del sistema di attaccamento e delle risposte esterne
contribuisce a costruire i modelli operativi interni. Sono la rappresentazione di come funzionano le
relazioni con le persone significative e che danno dunque un significato alle prime esperienze
interpersonali. Esse servono come base per l’elaborazione delle esperienze future con altri. La sua
funzione è dunque quella di attivare piani e strategie grazie all’esperienza, aiutano poi a formulare
strategie senza dover considerare ogni volta tutta la situazione. Essi hanno anche lo scopo di
ridurre la complessità del mondo rimanendo quasi del tutto invariati fino all’età adulta, poiché
sono aperti anche a nuove esperienze date da nuove relazioni. L’esperimento che ci ha consentito
di discriminare diverse tipologie di attaccamento nei bambini tra i 12 e i 18 mesi composta da 3
fasi ha individuato degli stili di relazione che i bambini mostrano alla separazione e al
ricongiungimento con la figura di attaccamento: sicuro (usa sua madre per esplorare le situazioni e
ne sente la mancanza quando va via, al suo ritorno si ricongiunge e poi continua a esplorare. Ci si
sente degni di ricevere amore e che può tranquillamente esprimere un suo disagio. Questo
modello si forma grazie a delle richieste di attaccamento che hanno avuto risposta positiva ) ;
insicuro evitante (Il bambino esplora ma non mostra comportamenti emotivi e se c’è un
allontanamento da parte della madre non prova disagi, nel momento del ricongiungimento evita il
genitore. Si tratta di bambini che hanno avuto a che fare con madri poco accoglienti alle richieste
fisiche del bambino. Da adulti tendono a essere più autonomi poiché non pensano di avere
risposte dall’ambiente ; insicuro resistente (Non esplora, durante la separazione con il genitore si
agita parecchio e durante il ricongiungimento può avere comportamenti passivi oppure di rabbia.
Questi bambini hanno avuto a che fare con madri incoerenti) ; insicuro disorganizzato (il
comportamento del bambino non ha nessuno scopo e può mostrare comportamenti
contraddittori, di paura e disorientamento).

Il tipo di attaccamento che si instaura tra la figura di attaccamento è specifico di quella relazione,
per cui si può avere un attaccamento sicuro con il padre e uno diverso con la madre.

Il relationship Stlyle questionnaire è un modello bidimensionale di descrizione dell’attaccamento


nella sua fase adulta, dunque considera il grado di dipendenza o evitamento dagli altri.

2) Sistema motivazionale di accudimento


Ha come obbiettivo la protezione del membro più debole del gruppo sociale. Esso si attiva
attraverso segnali di richiesta di aiuto, nel caso in cui ci sia un ostacolo si hanno sentimenti di
compassione e colpa, mentre quando si raggiunge lo scopo si prova gioia e tenerezza.

3) Sistema motivazionale agonistico


Sistema per cui vengono stabiliti i ruoli di ciascun individuo nel gruppo sociale e si attiva dalla
percezione di una competizione per accedere alle risorse biologiche e culturali. Nel caso di non
raggiungimento dello scopo di prova vergogna e invidia mentre in caso contrario gioia e orgoglio.

4) Sistema motivazionale cooperativo-paritetico


Si cerca di raggiungere uno scopo che non si può raggiungere da soli, ne ostacolo nel
raggiungimento può portare a sfiducia e isolamento mentre in caso contrario fiducia e solidarietà.

5) Sistema motivazionale sessuale


Si cerca un partner con lo scopo dell’accoppiamento per conservare la specie, è attivato da segnali
ormonali interni e segnali esterni quali la disponibilità dell’altro per l’accoppiamento. Si prova
umiliazione e paura del rifiuto in caso di mancato raggiungimento me nel caso contrario si prova
piacere erotico.

6) Sistema motivazionale nella pratica clinica


Determina la relazione tra paziente e terapeuta, si cerca insieme un obbiettivo specifico lavorando
insieme per poterlo raggiungere. I sistemi di attaccamento e accudimento possono subentrare in
alcuni momenti della terapia che possono però ostacolare il raggiungimento dell’obbiettivo
terapeutico. Nel paziente può presentarsi anche il sistema motivazionale sessuale perché in modo
più o meno consapevole vuole mantenere l’accettazione da parte del terapeuta attraverso
atteggiamenti seduttivi.

Teoria polivagale

(Sistemare) si chiama sistema polivagale perché anzi che pensare al sistema simpatico e
parasimpatico come antagonisti bisogna vederli come due componenti.
Limiti della teoria dell’arousal
Sono state alcune variabili legate al sistema nervoso autonomo (battito cardiaco) i principali
indicatori dello stato emotivo che risponde allo stress percepito.
La teoria dell’arousal afferma che questi siano indicatori di come il cervello processi gli stimoli
emotivi.
Tradizionalmente il sistema legato ai comportamenti di attacco-fuga è il sistema simpatico-
adrenergico, aumenta la sua attivazione quando si presenta un pericolo. La teoria dell’arousal però
non tiene conto dei processi neurofisiologici (es feedback che possiamo ricevere dall’ambiente
dopo una nostra risposta).

sistema nervoso autonomo


Serve a gestire tutte le funzioni automatiche che non richiedono un controllo centrale
(respirazione, battito cardiaco), il suo principale compito è quello di regolare la gittata cardiaca da
cui dipende la disponibilità delle risorse che servono a muoversi per i comportamenti di attacco
fuga più tosto che a calmarsi dopo che il pericolo è passato.
Tipicamente il sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico sono considerati come due
sistemi antagonisti per cui ciò che è mediato dal sistema nervoso parasimpatico ha una funzione di
riduzione dell’attività fisiologica rispetto al sistema simpatico che ha una funzione stimolante ed
eccitatoria.

Evoluzione del sistema nervoso autonomo


1 Gli agnati hanno un nervo vago con funzione cardio-eccitatoria che agisce attraverso i recettori
nicotinici.
2 Nei pesci cartilaginei comincia a comparire un vago amielinizzato che ha una funzione cardio-
inibitoria attraverso dei recettori adrenergici, per cui in momenti di agitazione produce sostanze
che finchè sono in circolo non ha la possibilità di calmarsi.
3 (Quelli che cominciano a somigliare di più a noi) I pesci ossei sono i primi a presentare un cuore
regolato sia dal sistema simpatico che da quello parasimpatico consentendo così un rapido
passaggio dalla mobilitazione all’immobilizzazione.
4 Nei mammiferi c’è una nuova evoluzione poiché la morfologia del nervo vago cambia poiché ci
sono due rami: complesso dorsale per la regolazione degli organi sottodiaframmatici e poi il
complesso ventrale mielinizzato che ha potenti effetti inibitori sul nodo senoatriale (che regola la
frequenza cardio respiratoria).

Diverse strutture si sono evolute per la regolazione della gittata cardiaca e c’è un progressivo
passaggio da comunicazione endocrina a nervi non mielinizzati a nervi mielinizzati. Si sviluppano
quindi meccanismi di eccitazione e inibizione che sono antagonisti e che consentono una veloce
regolazione metabolica.
Attraverso la rimozione del freno vagale sul cuore il mammifero ha aumenti della gittata cardiaca e
di una mobilizzazione senza attivare il sistema simpatico-adrenergico. Se il pericolo persiste si può
ingaggiare il sistema simpatico-adrenergico. Con questa rapida attivazione del sistema vagale si ha
la capacità di inibire più velocemente l’imput simpatico al cuore, annullando velocemente
l’attivazione metabolica e così facendo ci si calma.
Lo sviluppo delle specie coincide con una con una maggiore complessità e vie più efficienti per il
controllo sul cuore ovvero attraverso la complessità del sistema cagale. A questo corrispondono
anche migliori sistemi di controllo neurale e muscolare della faccia, laringe ecc a cui sono associate
le espressioni facciali e vocali. Questa maggiore complessità delle strutture coincide con una
maggiore capacità di regolare i comportamenti, specialmente quelli richiesti per rispondere a sfide
ambientali.
I mammiferi (noi) sono gli unici vertebrati con un vero e proprio diaframma, per cui il nostro corpo
è “diviso a metà” sopra abbiamo cuore e polmoni, mentre sotto abbiamo fegato, stomaco ecc… I
due rami del nervo vago innervano le strutture che stanno sopra (tutte le strutture che servono
per la comunicazione sociale e l’attenuazione dei sistemi difensivi) o sotto (da sostegno alle
viscere in uno stato normale oppure quando è l’unico sistema attivabile utilizza tutti i
comportamenti di difesa) il diaframma.
Un’altra specificità sono le ossa dell’orecchio medio poiché il fatto che siano separate consente di
comunicare a frequenze diverse e difficili da percepire per i rettili che sono stati i nostri principali
antagonisti rispetto all’ambiente. Invece un funzionamento non ottimale di questi muscoli può
produrre un’ipersensibilità alle frequenze basse e riduce la capacità di estrarre la voce umana da
rumori di fondo.

Tutto ciò ha a che fare con la valutazione di pericolo e sicurezza, queste valutazioni avvengono in
modo inconsapevole da parte del sistema nervoso, e viene chiamata neurocezione. Attraverso essa
possiamo attivare o meno sistemi difensivi o comportamenti pro-sociali.
Quando l’ambiente è sicuro lo stato fisiologico ci consente un coinvolgimento sociale, se l‘
ambiente è percepito come pericoloso si ha il classico comportamento di attacco-fuga, quando
l’ambiente invece è potenzialmente letale lo stato fisiologico consente comportamenti di
immobilizzazione in cui sveniamo o collassiamo.
Quando ci troviamo ad affrontare delle situazioni impegnative, queste possono alterare il nostro
stato fisiologico, sostituire un comportamento sociale con uno asociale o di difesa oppure
mantenere un comportamento sociale quando c’è un pericolo.

Sistema di coinvolgimento sociale


La paresi di Bell è una temporanea paralisi lateralizzata del nervo facciale che comporta
l’incapacità di sbattere le palpebre e difficoltà di masticazione.
I mammiferi (noi) hanno bisogno di distinguere gli amici dai nemici e di valutare il livello di
sicurezza e pericolo di un’ambiente per poter comunicare tra di loro.
La porzione sopradiaframmatica oltre a regolare la gittata cardiaca rapida innerva tutti i sistemi
centrali che sono legati al sistema di coinvolgimento sociale per cui anche i muscoli del viso.
Il sistema della porzione superiore del nervo vago consente stati di calma che sono necessari al
funzionamento ottimale metabolico.
La difficoltà nella regolazione degli stati fisiologici è una caratteristica di alcuni disturbi psichiatrici
o per ragioni che hanno a che fare con le esperienze o per ragioni legate allo sviluppo morfologico.
Nelle relazioni più sane si percepisce una sensazione di sicurezza che porta ad una vicinanza con
l’altra persona e di conseguenza al contatto per poter stringere così un legame.
La massima percezione di sicurezza relazionale consente il contatto fisico con immobilizzazione
senza paura.
Nel caso in cui si abbia invece un’immobilizzazione con paura ci sono degli stati che vengono
chiamati “sincope vasovagale” per cui l’inibizione del sistema simpatico è tale per cui non arriva
più sangue nella parte sopra e la frequenza cardiaca rallenta talmente tanto che si sviene.
Studiando dei casi di “morte voodoo” (ovvero in cui una persona mette in atto dei comportamenti
non socialmente accettati e comincia ad agitarsi sino a svenire o morire dovuto da uno shock da
continua secrezione di epinerfina) ci si aspettava che la vittima avesse prima della morte un
elevato battito cardiaco. Richter fece un esperimento in cui mise dei topi in delle cisterne piene
d’acqua agitata misurando quanto tempo ci mettessero ad annegare e misurando nel mentre il
loro battito cardiaco, notò che alcuni topo di laboratorio sopravvissero per alcune ore mentre
quelli selvatici morirono dopo qualche minuto. Ciò avvenne perché i topi di laboratorio sono
abituati al fatto che dopo l’esperimento svolto tornano nella loro gabbia per cui prima di
ingaggiare il sistema simpatico ci mettono molto tempo, per cui la loro frequenza cardiaca prima
di morire rallentava per attivazione para-simpatica.
Questo avviene secondo il principio della dissoluzione per cui le strutture superiori inibiscono
quelle inferiori, dunque quando le strutture superiori non sono ingaggiabili aumenta l’attività di
quelle inferiori.
Tornando all’esperimento, i topi selvatici invece non essendo abituati a questa condizione
mettono in atto immediatamente le strategie difensive legate al sistema simpatico.

Neurofenomenologia del trauma e della dissociazione

La neurofenomenologia cerca di comprendere l’attività cerebrale collegata all’esperienza


soggettiva. L’organizzazione cerebrale umana consente di processare velocemente molte
informazioni ed è fondamentale capire l’importanza capire ciò che c’è nell’ambiente, riteniamo più
salienti quelle che possono mantenere il nostro benessere. Le esperienze traumatiche possono
ostacolare l’integrazione di alcune di queste informazioni sia a livello affettivo che del sistema
nervoso autonomo. Vi sono dei pazienti che presentato stati dell’io discontinui e che resistono
all’interazione. Ciò succede perché avvengono dei processi fisiologici durante o dopo delle
esperienze traumatiche che alterano i collegamenti tra le strutture superiori, inferiori e anche il il
collegamento inter emisferico.
Ha un ruolo fondamentale nella coscienza la sostanza grigia periacqueduttale poiché regola il
sistema nervoso autonomo e di conseguenza delle risposte difensive, ogni regione di essa ha
funzioni diverse. Altre strutture importanti sono il sistema limbico da cui parte la differenziazione
dell’esperienza emotiva, da esso partono dei collegamenti che passano poi alla neocorteccia in cui
vengono fornite le basi dell’apprendimento (ex. Linguaggio).
L’organizzazione nervosa si sviluppa in verticale per colonne, per cui, l’orgnizzazione superiore
coincide con il mesencefalo. L’interazione inter emisferica avviene a livelli più alti (soprattutto nel
corpo calloso) e le connessioni verticali sono maggiori rispetto a quelle orizzontali per cui se
qualcosa viene interrotto prima che raggiunga il corpo calloso è probabile che non possa essere
integrato a livello superiore. Questo può contribuire allo sviluppo degli stati dell’io separati.
A livello superiore le informazioni sensoriali raccolte sono mediate dal talamo e a livello del
mesencefalo l’integrazione sensoriale avviene attraverso i collicoli.
Alti livelli di arousal durante le esperienze traumatiche possono alterare il processo sensoriale nel
talamo compromettendo così la trasmissione delle informazioni alla corteccia frontale, amigdala e
ippocampo. Si ritiene che questi circuiti abbiano a che fare con la coscienza e la consapevolezza di
se. Il processo di deafferenziazione in specifici nuclei del talamo possono spiegare lo sviluppo di
parti di se traumatizzate e quindi essere implicate in rapidi cambiamenti di stato in risposta ai
cambiamenti degli stimoli. La deafferenziazione riguarda quei fenomeni associati a una parziale o
completa perdita di input sensoriali e sono effetti di lesioni alle vie somatosensoriali, ciò può
accadere anche per esperienze particolarmente intense poiché per via delle sostanze che vengono
prodotte per riuscire a salvarci dal pericolo si può produrre l’inibizione dei nuclei che si occupano
di integrare l’informazione visiva con le altre possedute, per cui si ha una deafferenziazione di
quell’input, in questo caso visivo, per cui non può essere integrato con le altre ed essere una
condizione che ad esempio favorisce flashbacks in modo intrusivo.
Animali decorticati mostrano comunque la capacità di coscienza mentre se avvenisse a livello
superiore non sarebbe possibile.
Il cervello in momenti di estrema minaccia attiva delle risposte che permettano la nostra
sopravvivenza, come ad esempio isolare vissuti legati all’esperienza traumatica.
Secondo il modello della dissociazione strutturale le parti emotive riflettono sistemi difensivi
diversi come l’attaccante-fuga o il freezing. Vi sono dei sintomi dissociati che possono essere
positivi come flshbacks o sensazioni, mentre come sintomi negativi intendiamo invece amnesie e
appiattimento emotivo.
Vi è questo modello di coscienza per cui dividiamo le dimensioni della coscienza, a livello del
tempo ovvero la nostra storia presente passata e futura, in cui possiamo vivere un ricordo
spostando la nostra attenzione al sé del passato mantenendo però la consapevolezza del sé
presente (raccontando una storia passata), mentre i flashbacks non sono intenzionali ma vengono
attivati da stimoli che fanno attivare il sé del passato e in questo momento il sé presente viene
mascherato da quello del passato. Nella coscienza del Pensiero si ha tipicamente una prospettiva
in prima persona mentre può essere un indicatore di stati dell’io dissociati la prospettiva in
seconda persona, in cui magari si pensa come se ci rivolgessimo a qualcun altro e non a noi stessi
“sei stupido” e non “sono uno stupido”. Per cui a narrare l’esperienza vi sono più persone che
possono interpretare la storia in modo molto diverso. Vi è poi la coscienza del corpo ovvero delle
sensazioni che originano dal corpo, in questo caso vi può essere un dissociamento parziale del
corpo oppure totale in cui ci si sente assenti e fuori dal proprio corpo. Infine c’è la coscienza delle
emozioni ovvero l’attivazione spiacevole o meno, appunto, delle nostre emozioni. Nei soggetti con
un disturbo traumatico non sentono solo quell’emozione ma sente di essere l’emozione stessa
(divento la rabbia) e può avvenire per sottomodulazione per cui non si riesce a regolare
l’emozione e si ha un iperarousal oppure per una sovramoludazione in cui si regola troppo
l’emozione e si ha un appiattimento.
Gli stati dell’io sono rappresentazioni mentali di come ci percepiamo e di come veniamo percepiti,
per cui riflettono schemi di pensiero rigidi. Gli stati dell’io sani sono intercambiabili e sono legati ai
ruoli mentre quelli dissociati originano da emozioni percepite ingestibili.

Disturbi di personalità
La personalità è una serie di modalità relativamente stabili che servono per percepire e rapportarsi
con noi stessi e l’ambiente, questi modelli si manifestano in molti ambiti sia dal punto di vista
individuale che relazionale. Tutto ciò che costituisce le nostre credenze interne sono inflessibili e
non soggetti a modifica, questi modelli interni sono pervasivi per cui caratterizzano molto la nostra
vita. Questi possono determinare, se non funzionano correttamente, un disagio che favorisce la
compromissione del nostro funzionamento sociale, lavorativo ecc… per cui si tratta di disturbo di
personalità.
La diagnosi si basa sul funzionamento a lungo termine della persona, per cui non in uno specifico
evento stressante, questa organizzazione si rende evidente durante l’adolescenza. Bisogna dunque
determinare dove finisce un tratto di personalità estremo e dove comincia il vero e proprio
disturbo.
Un disturbo di personalità rappresenta dunque dei modelli abituali di comportamento e di
esperienza interiore che si allontanano rispetto alle aspettative della cultura del soggetto e che
possono coinvolgere: cognitività (ciò che riguarda il pensiero su noi e gli altri), affettività (ciò che
riguarda la sfera emotiva) funzionamento interpersonale (le relazioni) la capacità di
autoregolazione (controllo degli impulsi).
La classificazione dei disturbi segue un approccio categoriale, ovvero una serie di sintomi o di
situazioni di condizioni per cui il clinico formula poi una diagnosi. Storicamente i disturbi di
personalità sono stati considerati classi diagnostiche ben distinte, ciò che si è cercato di fare è
stato quello di passare da un approccio categoriale a uno dimensionale, per cui non vedere i
disturbi come categorie distinte ma come la manifestazione di maggiore o minore presenza di
tratti di personalità o di caratteristiche individuali. Ciò non è andato in porto per cui tutt’ora
manteniamo un approccio categoriale che individua 10 disturbi di personalità raggruppati in 3
gruppi.
Gruppo A: caratterizzati da pensieri che si avvicinano molto a disturbi psicotici e deliranti come la
schizofrenia. Nel caso del disturbo paranoie di personalità i soggetti interpretano la realtà con
sospetto e diffidenza per cui presumono, senza basi sufficienti, malevole le intenzioni degli altri
portando così costantemente rancore essendo incapaci di dimenticare offese che pensano di aver
ricevuto. Con il proprio partner sono gelosi in maniera patologica sospettando costantemente
infedeltà e raccogliendo prove banali per motivare la propria gelosia. Invece nel disturbo schizoide
di personalità c’è un forte distacco dalle situazioni sociali non desideranti intimità o relazioni
strette come un gruppo e di conseguenza preferiscono passare il loro tempo da soli restando
indifferenti alle critiche mosse dagli altri. Vi è poi il disturbo schizotipico di personalità in cui vi è un
elevato disagio riguardo le relazioni strette e sono presenti distorsioni cognitive come
l’interpretazione scorretta di eventi esterni. Presentano strane credenze come la convinzione di
avere poteri speciali come chiaroveggenza e poteri telepatici.
Gruppo B: caratterizzati da disregolazione emotiva e il mancato controllo degli impulsi come il
disturbo narcisistico. Nel caso di disturbo antisociale di personalità ci si trova davanti a una
persona che non riesce a conformarsi con le norme sociali, anche a livello di legalità, che tende ad
essere aggressiva e che non si cura della propria sicurezza e di quella altrui essendo così una
persona per niente empatica. Vi è poi il disturbo borderline di personalità che è caratterizzato da
instabilità delle relazioni interpersonali, dell’umore e da una marcata impulsività come il gioco
d’azzardo e l’abuso di sostanze. Queste persone cercano in tutti i modi un abbandono reale o
immaginario e hanno comportamenti suicidari ricorrenti. Ancora abbiamo il disturbo istrionico di
personalità in cui le persone hanno un’eccessiva ricerca di attenzione per cui nel momento in cui
non lo sono si sentono a disagio cercando così di mettere in atto azioni anche drammatiche per far
ricadere nuovamente su di sé l’attenzione. Solitamente per stare al centro della situazione
utilizzano il loro corpo e comportamenti provocanti e considerano le relazioni con le persone che
conoscono molto più intime rispetto a quanto realmente lo siano. Infine abbiamo il disturbo
narcisistico di personalità in cui il soggetto ha necessità di ammirazione, mancanza di empatia,
sovrastima delle proprie capacità e approfittano degli altri in qualsiasi circostanza.
Gruppo C: in cui i soggetti hanno dei vissuti ansiosi come il disturbo ossessivo compulsivo. Nel caso
di disturbo evitante di personalità si intende una persona con un alto senso di inadeguatezza e
molto sensibile al giudizio altrui portando a evitamento di lavori che comportano contatti sociali
oppure entrando in contatto solo nel caso in cui sono sicuri di essere accettati e si sentono
inferiori agli altri. Vi è poi il disturbo dipendente di personalità in cui si prova un eccessivo bisogno
di essere accuditi che porta poi a una grande paura delle separazioni attuando così comportamenti
sottomessi. In questo modo permettono agli altri di prendere decisioni al loro posto non riuscendo
a prendere decisioni anche in caso di cose di poca importanza. Vi è infine il disturbo ossessivo-
compulsivo di personalità che è caratterizzato dalla preoccupazione per l’ordine per cui sono
affetti da un perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti intrapresi.

Schizofrenia e disturbi psicotici

I disturbi psicotici sono caratterizzati da due classi di percezioni, ovvero quelli allucinatori
(percezione a livello tattile, visivo o uditivo che non è confermabile dall’esterno) o deliranti (falsa
percezione a livello cognitivo per cui portano a errate interpretazioni delle esperienze).
Tipicamente i sintomi psicotici vengono classificati in: positivi ovvero le sensazioni che si
aggiungono come deliri o allucinazioni, e poi sintomi negativi come meno sensazioni di quelle che
ci si aspetta come appiattimento affettivo.
Per diagnosticare un disturbo schizofrenico devono essere presenti almeno due sintomi psicotici
positivi e due negativi.
Oltre alla schizofrenia “tipica” ci sono altri disturbi psicotici che vengono differenziati, come, il
disturbo delirante uno o più deliri non bizzarri che persistono per un mese, oppure il disturbo
psicotico breve in cui vi è un insorgere improvviso di uno o più sintomi psicotici positivi, oppure il
disturbo schizoaffettivo in cui sono presenti sintomi psicotici combinati con caratteristiche del
disturbo dell’umore e infine il disturbo schizofreniforme in cui vi sono sintomi positivi della
schizofrenia ma di durata inferiore.

Familiarità e eziologia nella schizofrenia


Se un familiare soffre di schizofrenia gli altri membri hanno la possibilità di sviluppare la malattia,
confrontando bambini adottati si è scoperto che quelli che hanno genitori biologici schizofrenici
hanno un rischio superiore di sviluppare la malattia.
Sono state studiate anche delle caratteristiche strutturali per valutare quali potessero essere i
sitemi che favoriscano il manifestarsi di queste caratteristiche percettive o di pensiero, sebbene
siano stati individuati dei fattori genetici che favoriscono l’aumento di contrarre questo disturbo,
queste caratteristiche rimangono dei fattori predisponenti per cui è necessario che vi siano fattori
ambientali che favoriscano l’insorgere della malattia.

La terapia integra farmacologia e interventi psicosociali per cui l’intervento non è mirato solo al
paziente ma coinvolge anche tutto il contesto familiare anche perché queste persone raramente
riescono a costruire una vita autonoma. Si parla di un trattamento riabilitativo legato alle abilità
sociali, alle competenze legate a un’attività e al recupero delle competenze cognitive di base.
Uno degli aspetti principali è legato alla diagnosi precoce ovvero individuare gli esordi che sono
tipicamente in età giovanile, è un fattore prognostico molto importante poiché si può impedire
che si cronicizzi. E’ presente la regola dei terzi per cui dopo un evento psicotico acuto un terzo
delle persone supera quell’evento, un terzo si riprende dalla fase acuta avendo una riduzione della
ma dovrà continuare ad assumere farmaci nel rendimento sociale, un terzo invece evolverà verso
una condizione cronica.

Disturbi dell’umore

Principalmente deve essere presente un episodio depressivo maggiore ovvero un disagio che
compromette il funzionamento sociale e lavorativo e che dura meno di due settimane e devono
essere presenti almeno 5 sintomi tra i quali: umore depresso per la maggior parte del tempo,
perdita o aumento di peso significative, insonnia o ipersonnia, sentimenti di colpa, pensieri
ricorrenti di morte ecc…
Il disturbo depressivo maggiore ha almeno un episodio depressivo, la depressione ricorrente
richiede più di un episodio depressivo mentre il disturbo distimico avviene quando si è
cronicamente depressi per due anni.
Saronno Beck pone come criterio primario per l’intervento su questo e altri disturbi la terapia
cognitiva in cui si identificano e analizzano le credenze irrazionali degli schemi cognitivi che sono
alla base dello sviluppo e il mantenimento del disturbo.
E’ poi presente l’episodio maniacale in cui c’è una grave alterazione d’umore ma al contrario vi è
un’eccessiva attivazione emotiva per cui per almeno una settimana la persona non dorme, è più
loquace, ha un pensiero accelerato, non riesce a mentenere la concentrazione ecc…
Invece l’episodio ipomaniacale si manifesta in maniera meno grave rispetto all’episodio maniacale,
dura 4 giorni e non compromette la vita sociale. Infine abbiamo l’episodio misto che è costituito da
alternanze di umore di almeno una settimane in cui al giorno sono presenti caratteristiche
dell’episodio depressivo maggiore e dell’episodio maniacale.
Queste configurazioni tra episodi depressivi maggiori e maniacali generano i disturbi affettivi, che
contengono: il disturbo bipolare I: 1 o + episodi maniacali o misti; Bipolare II: 1 o + episodi
depressivi e uno ipomaniacale.
Questi vengono trattati farmacologicamente e con psicoterapia.

La maggior parte dei suicidi arrivano soprattutto da depressione e dunque da disturbi dell’umore,
è importante capire se nel caso in cui una persona dovesse sopravvivere sia un atto di suicidio
mancato per cui potenzialmente mortale oppure un parasuicidio ovvero un atto non a esito
mortale. Chi effettivamente vuole porre fine alla propria vita tenderà a tenerlo per sé poiché
qualcuno potrebbe ostacolarlo mentre è diverso il caso in cui si voglia solo mettere in atto un
comportamento autolesivo non mortale, per cui è importante valutare l’ideazione suicidaria
ovvero quanto il pensiero è ricorrente e quanto è alto il rischio che il progetto possa essere messo
in atto. Tematiche utili per affrontare il tema in sede di colloquio può essere pianificare al minuto
le prossime 24 ore, far sapere loro che le proprie convinzioni non sono così stabili e elencare le
ragioni per cui vivere.

Disturbi d’ansia

L’ansia non è una patologia ma una funzione adattiva data dal pensiero che vi possa essere un
pericolo o un evento negativo, tutto ciò accompagnato da sintomi fisici di tensione.
Nei disturbi d’ansia ha un ruolo fondamentale l’amigdala che si iper attiva e risponde agli stimoli
con livelli più alti di noradrenalina.
Gli attacchi di panico sono una conseguenza di un disturbo d’ansia e possono essere descritti come
momenti di ansia intensa, di paura e di terrore accompagnati da tachicardia, sudorazione,
tremore, dolore al petto, nausea ecc…
Gli attacchi di panico possono essere provocati da determinate cause, oppure, non provocati come
nel caso del disturbo di panico in cui si hanno esperienze di attacchi di panico inaspettati e
ricorrenti.

Disturbi alimentari

La versione più tipica è quella dell’anoressia nervosa in cui gli adolescenti sono angosciati dal loro
aspetto fisico arrivando a non mangiare fino a raggiungere uno stato fisico molto grave. In questi
casi le persone arrivano anche ad autoindursi il vomito per eliminare il cibo ingerito. E’ presente
poi nei disturbi alimentari la bulimia nervosa in cui ci si abbuffa di cibo per poi successivamente
digiunare, indursi il vomito o fare eccessiva attività fisica.

Disturbi somatoformi

Disturbi fisici che fanno pensare a malattie di natura somatica ma che non sono diagnosticabili in
nessuna condizione medica. Per cui questa diagnosi può essere effettuata solo dopo dei controlli
medici.

Disturbi da abuso di sostanze

Ci riferiamo ad un uso patologico che da luogo a disagi clinicamente significativi, l’uso frequente
delle sostanze può portare a problemi legali e ricorrente uso della sostanza in situazioni rischiose e
nonostante i problemi da essa derivati. Alcuni esempi di queste sostanze possono essere alcol,
anfetamine, cannabis, cocaina ecc…

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