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Nel 1952, la comunità psichiatrica statunitense formulò la prima versione del Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Diseases (DSM)
La revisione attuale è nota come DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Diseases-5).
L’Organizzazione mondiale della sanità utilizza però un’altra classificazione, l’International
Classification of Diseases (ICD), giunta alla sua undicesima revisione (ICD-11).
Nel tempo i due processi di classificazione non hanno più grandissime differenze per cui entrambi
suddividono i disturbi mentali sulla base di caratteristiche descrittive, però non spiegano come il
disturbo si sia manifestato in quel modo e in quel momento.
Oggi tra DSM-5 e ICD-11 esistono differenze di dettaglio e l’uno rimanda all’altro.
- Il DSM è molto più accurato ed è il riferimento principale nella ricerca scientifica
- L’ICD contiene più disturbi ma è molto meno specifico ed è quello usato nel sistema sanitario
nazionale.
Esame psicodiagnostico:
Può essere:
-Il primo passo al sostegno psicologico, perché c’è la presa in carico del paziente.
-Valutazione dell’opportunità o meno di un trattamento psicoterapeutico.
-Non è necessariamente il primo passo verso un sostegno quando la valutazione viene richiesta ad
esempio in ambito peritale, per chiarire le componenti psicologiche di una condotta criminosa.
Poiché qui è il giudice che chiede la valutazione. Un altro esempio può essere quando la madre e il
padre portano il figlio dallo psicologo perché non sta mai fermo.
Test psicodiagnostici: es. Sono test che si trovano ovunque (sei una persona libera o + dipendente?)
Riguardano delle caratteristiche che possiamo avere e che possiamo misurare attraverso i test.
1 test proiettivi
2 Test di personalità
I primi test di personalità utilizzano dei criteri empirici, cioè, si prende un grande gruppo di
persone gli si fa la stessa domanda e la risposta più frequente viene considerata come quella che
descrive meglio quel costrutto, indipendentemente da considerazioni teoriche generali.
L’american psychological association introduce poi il concetto di “validità del costrutto” ovvero è
necessario fare riferimento alla dimensione psicologica (costrutto), che determina la prestazione
dei soggetti al test.
Es. 16 Personality Factors ; Big Five Questionnaire
Ciò che preoccupa i ricercatori è che le persone hanno la tendenza a rilevare principalmente le
proprie caratteristiche positive mentendo di proposito oppure in maniera automatica e
inconsapevole. Le risposte non sono dunque obbiettive ma ci danno delle informazioni su ciò che
le persone pensano di dover dire.
Relazione tra test e diagnosi: Una diagnosi non può essere basata solo sui risultati del test poiché
questi non ci danno nessuna informazione sulla genesi di un disturbo o che ce lo spieghi ma
abbiamo un quadro descrittivo e sintetico dell’individuo, da questo poi si possono vedere aree in
cui sarebbe utile fare un approfondimento.
Colloquio psicologico
E’ un processo di raccolta di dati specialmente nei primi colloqui, questa raccolta comprende:
-l’aspetto ovvero come una persona parla, se è pulito, come è vestito;
-la sua storia personale ovvero la storia del sintomo di cui si parla, racconto di eventi critici e le sue
tappe di sviluppo (età dello sviluppo, pubertà, invecchiare) o eventi stressanti legati a determinate
situazioni. Bisogna così individuare le cause scatenanti e poi contestualizzarle a livello storico e
tratte così dalle esperienze passate dati utili per l’indicazione del trattamento;
-la storia familiare poiché l’ambiente favorisce l’emergere o il mantenere alcuni atteggiamenti.
Chiarendo il contesto del disturbo si possono valutare le dinamiche familiare per poi avere dei dati
che permettono di capire l’origine del disturbo. Bisogna avere informazioni su genitori, fratelli,
contesto culturale e sociale di appartenenza, clima emotivo.
Ci sono fattori che possono influenzare l’andamento del colloquio che possono essere dovuti al
paziente o al terapeuta. Nel caso del terapeuta può capitare che la storia che il paziente racconta
possa essere compatibile a una del terapeuta; pregiudizi da parte del terapeuta verso il paziente;
non prestare attenzione al problema del paziente poiché annoiati.
Nel caso del paziente vi è la teoria della mente: (attribuire stati mentali come emozioni o credenze
a se stessi e agli altri) e la teoria della malattia: (la motivazione a proteggersi dalla malattia è il
prodotto di come si percepisce la gravità di quella malattia), influisce anche quanto il paziente sia
motivato a fare il colloquio e soprattutto quali sono le sue aspettative riguardo ai tempi e ai modi
in cui avverrà il colloquio.
Anche il movimento è un concetto relativo e non valido in assoluto, per cui sono relativi anche
spazio e tempo.
Nella stessa situazione, diversi osservatori possono avere esperienze diverse a seconda della
propria posizione, da cui dipende ciò che è accessibile al proprio campo percettivo e visivo. Diversi
osservatori possono avere differenti percezioni del tempo, delle altre persone e anche degli
oggetti.
Significato personale: la percezione che si ha della mascherina, ognuno può pensare una cosa
diversa: Mi sento in pericolo; Mi sento più al sicuro; Mi vergogno; È tutto inutile.
2-dall’attenzione: E’ l’unica parte mobile dei nostri sistemi cognitivi poiché posso concentrarmi o
meno su uno stimolo spostando la mia attenzione, per cui si possono concentrare le nostre risorse
mentali su alcune informazioni più tosto che su altre, nonostante ciò però non siamo coscienti solo
delle cose su cui siamo concentrati. Per attenzione intendiamo quel momento in cui Il cervello
seleziona degli stimoli che arrivano dal mondo esterno attraverso gli organi di senso. L’attenzione
nello spazio si può spostare a prescindere dallo sguardo attraverso magari la coda dell’occhio
(attenzione visuo-spaziale). E’ possibile variare le dimensioni del focus attentivo concentrando le
risorse su un’area più o meno piccola dello spazio e l’accuratezza dell’analisi è inversamente
proporzionale all’ampiezza del focus (mi concentro su una determinata cosa e non su tante e
quindi l’analisi è più accurata). Si ha un’orientamento automatico quando degli elementi attirano
la nostra attenzione mentre cerchiamo volontariamente qualcos’altro, per cui fattori volontari e
automatici competono. L’orientamento automatico serve a rispondere agli imprevisti ambientali e
al pericolo. Vi sono dei limiti nel sistema attentivo: Attentionalblink che consiste nell’impossibilità
di essere accurati nel discriminare ciò che succede nell’ambiente quando siamo concentrati su
altro. Cecità al cambiamento che consiste nella difficoltà a notare consapevolmente cambiamenti
rilevanti quando ci sono altri elementi di disturbo.
Primi giorni: Facilitazione prodotta da uno stimolo (prime) su uno stimolo successivo (target). I
Soggetti categorizzano più rapidamente uno stimolo se preceduto da un altro che sia irrilevante
per il compito, ma appartenente alla stessa categoria.
Questi effetti si hanno anche se il prime viene mascherato e Funziona anche nei soggetti con
neglect unilaterale ovvero in cui sono interrotti i collegamenti orizzontali tra i due emisferi per cui
non funziona un emicampo.
I sistemi attentivi comprendono- Attenzione selettiva: capacità di spostare il focus attentivo in
modo da ridurre l’importanza di stimoli non importanti. -Attenzione divisa: controllare risorse
attenti e tra più compiti contemporaneamente. -Attenzione sostenuta capacità di mantenere per
molto tempo l’attenzione su uno stimolo.
Quando un nodo concettuale viene attivato non si attiva solo quel determinato nodo ma anche
altri in base al tempo e alla vicinanza semantica (es. topo preattiva anche gatto e non cane).
4-dall’apprendimento: Una o una serie di modificazioni comportamentali che derivano da ciò che
ci succede con l’interazione con l’ambiente. Alcuni cambiamenti non sono legati a ciò che succede
nell’ambiente ma da fattori fisiologici (pubertà, una malattia). Questi cambiamenti possono essere
legati a processi come -l’assuefazione (diminuzione della forza di una risposta dopo che uno
stimolo si è presentato tante volte) -Sensibilizzazione (aumento della reattività dopo uno stimolo).
Ogni azione che ha un effetto sull’ambiente ha anche un effetto retroattivo sull’organismo. Alcune
risposte possono essere il prodotto di un condizionamento, ad esempio, la paura è una risposta
innata e ciò che si apprende è il livello di pericolosità che attribuiamo a stimoli diversi. Le fobie
sono le risposte di paura a stimoli non pericolosi e che possono essere il risultato di
condizionamenti casuali.
Watson decise di fare un esperimento in cui a un bambino di 11 mesi era stata condizionata una
risposta di paura nei confronti di un topo bianco associandovi un forte rumore improvviso, dopo
un po' si era condizionata la risposta anche al rumore senza topo.
Il condizionamento classico non è solo un processo meccanico ma riflette le relazioni tra eventi e
situazioni in determinati contesti della nostra vita.
Prima si pensava apprendessimo solo per tentativi ed errori e Thorndike attraverso un suo
esperimento cercò di dimostrarlo: un gatto avrebbe dovuto azionare un chiavistello per poter
uscire dalla sua gabbia. Nel corso delle prove tendevano a scomparire tutte le azioni inutili e
aumentava la rapidità e precisione della risposta legata alla soluzione del problema.
Skinner e il paradigma del condizionamento operante, scoprì che si poteva influenzare il modo e la
forza con cui si costruiscono le associazioni attraverso dei rinforzi (positivi o negativi e devono
essere dati in funzione del contesto).
Alcuni rinforzi per noi umani possono essere simbolici (denaro) o sociali generalizzati (affetto,
approvazione) dinamici (che derivano dai nostri comportamenti es. metti in ordine. E puoi
guardare la tv).
Il rinforzo negativo non è una punizione perché la punizione produce sensazioni spiacevoli e non
estingue il comportamento.
Processo di estinzione: quando quel comportamento non produce più conseguenze rilevanti quella
riposta si estingua.
Noi esseri umani possiamo imparare anche attraverso esperienze che succedono agli altri.
5-credenze e significati:
6-emozioni:
7-le relazioni:
Esperienza emotiva
Tutti noi viviamo le nostre emozioni in modo diverso, alcuni vivono questi stati come molto
differenziati mentre altri lo vivono come sfumature della stessa cognizione e altri ancora in modo
più indifferenziato (bene/male-piacevole/spiacevole). Questa variabilità è stata descritta come
differenziazione emozional.
Alcune categorie emotive esistono solo in alcuni contesti culturali e non in altri (ligit in alcune tribù
significa euforia e aggressività durante la caccia). La rabbia e la tristezza sono emozioni distinte
negli Stati Uniti mentre in Turchia sono nella stessa categoria emotiva.
Approccio costruzionista: Le emozioni sono categorie di senso comune che derivano più nostra, e
degli altri, interazione con le espressioni, attivazione neuro-fisiologica ecc…
Le categorie emotive che conosciamo non esistono come categorie naturali innate.
I modelli di costruzionismo consentono di prendere dagli approcci delle emozioni di base gli
aspetti evoluzionistici come fattori basilari per la nascita dell’esperienza emotiva e dagli approcci
dell’appraisal l’attribuzione di significato attribuendola al soggetto.
Non è l’evento in se a suscitare un certo stato emotivo ma il significato che il soggetto costruisce in
base al proprio stato. Le teorie classiche non chiariscono cosa succede tra percezione di uno
stimolo e la risposta emotiva.
Linea temporale su come intervenire per cambiare il nostro stato emotivo:
1) situazione: gestendo il contenuto scegliamo le azioni che massimizzano o minimizzano la
possibilità di trovarci in una situazione che ci aspettiamo porterà una certa emozione (vado
dal dentista prima così passa prima l’ansia/ non vado dal dentista altrimenti provo ansia).
Ciò può avvenire con il controllo diretto per cui affronto una situazione indipendentemente
dal fatto che produca sensazioni negative, si utilizza soprattutto se può produrre effetti
positivi. Oppure può avvenire con la procrastinazione per cui si evita la situazione in modo
da non provare l’ansia che ne provoca, si è studiato però che a breve termine riduce lo
stress ma lo aumenta nel lungo termine. E infine l’evitamento che è una strategia per cui ci
si sottrae del tutto alla situazione, se questa situazione porta più svantaggi è la strategia
migliore ma in tutti gli altri casi non è per niente funzionale. Ci sono poi strategie che
consistono nella modifica della situazione, ci si sforza molto per modificare la situazione
per poter stare meglio, questo si può fare in maniera diretta o indiretta (con l’aiuto di
terzi).
2) Attenzione: dopo essere intervenuti sulla situazione si passa al focalizzarsi su determinati
aspetti della situazione, sia in modo volontario che involontario, ad esempio può avvenire
con la distrazione per cui sposto la mia attenzione su altro che può essere interno come
rievocare dei ricordi oppure esterno come ad esempio ascoltare la musica. Oppure
attraverso la rimuginazione per cui si pensa continuamente alla situazione focalizzandosi di
solito sui suoi aspetti negativi.
3) Appraisal: Dopo essere intervenuti sulla situazione e aver focalizzato la nostra attenzione
su alcuni particolari dobbiamo darle un senso per cui diamo un significato personale alla
situazione ed è molto importante perché da qui viene determinata quale risposta verrà
generata. Si può avere il re appraisal ovvero la rivalutazione rispetto ai significati che prima
avevamo costruito, si può avere poi l’accettazione per cui si prende atto che siamo incapaci
di affrontare la situazione, ed infine l’accusa dell’altro ovvero in cui si da la colpa agli altri
delle proprie responsabilità così da sentirsi più alleggeriti. (Non ho passato l’esame è colpa
del prof che ha fatto una domanda troppo semplice)
4) Risposta: nel caso in cui non siamo riusciti a cambiare nessuno degli stati precedenti non
mi resta che cambiare la risposta, in cui cerco di modificare l’attivazione fisiologica nel
momento in cui la sto provando. Un modo per gestire la risposta emotiva può essere ad
esempio il rilassamento come tecniche di respirazione e movimento (yoga), oppure la
soppressione dell’espressione emotiva mascherando le proprie risposte (espressione
facciale) legata a quella determinata emozione, vi è l’uso di sostanze (può comprendere
anche il cibo) per cui dopo l’assunzione si avrà una distorsione percettiva della situazione e
di conseguenza del proprio stato emotivo, ed infine l’aggressione fisica o verbale.
ALCUNE RICERCHE
Liotti li definì come una serie di regole innate che guidano il nostro comportamento verso una
meta precisa. Sono delle regole che formano un modello che riesce a spiegare le attivazioni
emotive che si innescano durante le interazioni tra persone e sono stati tramandati nel corso
dell’evoluzione poiché favoriscono comportamenti vantaggiosi per la sopravvivenza sia individuale
che non.
Alcuni sistemi motivazionali possiamo distinguerli in biologici ovvero quei comportamenti diretti
orientati da uno scopo che hanno a che fare con la sopravvivenza individuale (alimentazione)
necessitano di tutte le strutture nervose presenti nel cervello rettiliano (dal tronco encefalico ai
nuclei della base). Oppure sistemi motivazionali sociali e servono per le relazioni tra individui e si
tratta del cevello rettiliano, sistema limbico e la neocorteccia.
Ogni sistema motivazionale oltre ai comportamenti diretti allo scopo sono legati a delle specifiche
emozioni che prima servivano per segnalare l’attivazione di uno specifico sistema, perché alcuni
sistemi, soprattutto quelli interpersonali, producono un accoppiamento strutturale per cui i
sistemi di due persone si sincronizzano.
In clinica questo ci aiuta a capire quale sia l’assetto relazionale in cui è il paziente.
Il tipo di attaccamento che si instaura tra la figura di attaccamento è specifico di quella relazione,
per cui si può avere un attaccamento sicuro con il padre e uno diverso con la madre.
Teoria polivagale
(Sistemare) si chiama sistema polivagale perché anzi che pensare al sistema simpatico e
parasimpatico come antagonisti bisogna vederli come due componenti.
Limiti della teoria dell’arousal
Sono state alcune variabili legate al sistema nervoso autonomo (battito cardiaco) i principali
indicatori dello stato emotivo che risponde allo stress percepito.
La teoria dell’arousal afferma che questi siano indicatori di come il cervello processi gli stimoli
emotivi.
Tradizionalmente il sistema legato ai comportamenti di attacco-fuga è il sistema simpatico-
adrenergico, aumenta la sua attivazione quando si presenta un pericolo. La teoria dell’arousal però
non tiene conto dei processi neurofisiologici (es feedback che possiamo ricevere dall’ambiente
dopo una nostra risposta).
Diverse strutture si sono evolute per la regolazione della gittata cardiaca e c’è un progressivo
passaggio da comunicazione endocrina a nervi non mielinizzati a nervi mielinizzati. Si sviluppano
quindi meccanismi di eccitazione e inibizione che sono antagonisti e che consentono una veloce
regolazione metabolica.
Attraverso la rimozione del freno vagale sul cuore il mammifero ha aumenti della gittata cardiaca e
di una mobilizzazione senza attivare il sistema simpatico-adrenergico. Se il pericolo persiste si può
ingaggiare il sistema simpatico-adrenergico. Con questa rapida attivazione del sistema vagale si ha
la capacità di inibire più velocemente l’imput simpatico al cuore, annullando velocemente
l’attivazione metabolica e così facendo ci si calma.
Lo sviluppo delle specie coincide con una con una maggiore complessità e vie più efficienti per il
controllo sul cuore ovvero attraverso la complessità del sistema cagale. A questo corrispondono
anche migliori sistemi di controllo neurale e muscolare della faccia, laringe ecc a cui sono associate
le espressioni facciali e vocali. Questa maggiore complessità delle strutture coincide con una
maggiore capacità di regolare i comportamenti, specialmente quelli richiesti per rispondere a sfide
ambientali.
I mammiferi (noi) sono gli unici vertebrati con un vero e proprio diaframma, per cui il nostro corpo
è “diviso a metà” sopra abbiamo cuore e polmoni, mentre sotto abbiamo fegato, stomaco ecc… I
due rami del nervo vago innervano le strutture che stanno sopra (tutte le strutture che servono
per la comunicazione sociale e l’attenuazione dei sistemi difensivi) o sotto (da sostegno alle
viscere in uno stato normale oppure quando è l’unico sistema attivabile utilizza tutti i
comportamenti di difesa) il diaframma.
Un’altra specificità sono le ossa dell’orecchio medio poiché il fatto che siano separate consente di
comunicare a frequenze diverse e difficili da percepire per i rettili che sono stati i nostri principali
antagonisti rispetto all’ambiente. Invece un funzionamento non ottimale di questi muscoli può
produrre un’ipersensibilità alle frequenze basse e riduce la capacità di estrarre la voce umana da
rumori di fondo.
Tutto ciò ha a che fare con la valutazione di pericolo e sicurezza, queste valutazioni avvengono in
modo inconsapevole da parte del sistema nervoso, e viene chiamata neurocezione. Attraverso essa
possiamo attivare o meno sistemi difensivi o comportamenti pro-sociali.
Quando l’ambiente è sicuro lo stato fisiologico ci consente un coinvolgimento sociale, se l‘
ambiente è percepito come pericoloso si ha il classico comportamento di attacco-fuga, quando
l’ambiente invece è potenzialmente letale lo stato fisiologico consente comportamenti di
immobilizzazione in cui sveniamo o collassiamo.
Quando ci troviamo ad affrontare delle situazioni impegnative, queste possono alterare il nostro
stato fisiologico, sostituire un comportamento sociale con uno asociale o di difesa oppure
mantenere un comportamento sociale quando c’è un pericolo.
Disturbi di personalità
La personalità è una serie di modalità relativamente stabili che servono per percepire e rapportarsi
con noi stessi e l’ambiente, questi modelli si manifestano in molti ambiti sia dal punto di vista
individuale che relazionale. Tutto ciò che costituisce le nostre credenze interne sono inflessibili e
non soggetti a modifica, questi modelli interni sono pervasivi per cui caratterizzano molto la nostra
vita. Questi possono determinare, se non funzionano correttamente, un disagio che favorisce la
compromissione del nostro funzionamento sociale, lavorativo ecc… per cui si tratta di disturbo di
personalità.
La diagnosi si basa sul funzionamento a lungo termine della persona, per cui non in uno specifico
evento stressante, questa organizzazione si rende evidente durante l’adolescenza. Bisogna dunque
determinare dove finisce un tratto di personalità estremo e dove comincia il vero e proprio
disturbo.
Un disturbo di personalità rappresenta dunque dei modelli abituali di comportamento e di
esperienza interiore che si allontanano rispetto alle aspettative della cultura del soggetto e che
possono coinvolgere: cognitività (ciò che riguarda il pensiero su noi e gli altri), affettività (ciò che
riguarda la sfera emotiva) funzionamento interpersonale (le relazioni) la capacità di
autoregolazione (controllo degli impulsi).
La classificazione dei disturbi segue un approccio categoriale, ovvero una serie di sintomi o di
situazioni di condizioni per cui il clinico formula poi una diagnosi. Storicamente i disturbi di
personalità sono stati considerati classi diagnostiche ben distinte, ciò che si è cercato di fare è
stato quello di passare da un approccio categoriale a uno dimensionale, per cui non vedere i
disturbi come categorie distinte ma come la manifestazione di maggiore o minore presenza di
tratti di personalità o di caratteristiche individuali. Ciò non è andato in porto per cui tutt’ora
manteniamo un approccio categoriale che individua 10 disturbi di personalità raggruppati in 3
gruppi.
Gruppo A: caratterizzati da pensieri che si avvicinano molto a disturbi psicotici e deliranti come la
schizofrenia. Nel caso del disturbo paranoie di personalità i soggetti interpretano la realtà con
sospetto e diffidenza per cui presumono, senza basi sufficienti, malevole le intenzioni degli altri
portando così costantemente rancore essendo incapaci di dimenticare offese che pensano di aver
ricevuto. Con il proprio partner sono gelosi in maniera patologica sospettando costantemente
infedeltà e raccogliendo prove banali per motivare la propria gelosia. Invece nel disturbo schizoide
di personalità c’è un forte distacco dalle situazioni sociali non desideranti intimità o relazioni
strette come un gruppo e di conseguenza preferiscono passare il loro tempo da soli restando
indifferenti alle critiche mosse dagli altri. Vi è poi il disturbo schizotipico di personalità in cui vi è un
elevato disagio riguardo le relazioni strette e sono presenti distorsioni cognitive come
l’interpretazione scorretta di eventi esterni. Presentano strane credenze come la convinzione di
avere poteri speciali come chiaroveggenza e poteri telepatici.
Gruppo B: caratterizzati da disregolazione emotiva e il mancato controllo degli impulsi come il
disturbo narcisistico. Nel caso di disturbo antisociale di personalità ci si trova davanti a una
persona che non riesce a conformarsi con le norme sociali, anche a livello di legalità, che tende ad
essere aggressiva e che non si cura della propria sicurezza e di quella altrui essendo così una
persona per niente empatica. Vi è poi il disturbo borderline di personalità che è caratterizzato da
instabilità delle relazioni interpersonali, dell’umore e da una marcata impulsività come il gioco
d’azzardo e l’abuso di sostanze. Queste persone cercano in tutti i modi un abbandono reale o
immaginario e hanno comportamenti suicidari ricorrenti. Ancora abbiamo il disturbo istrionico di
personalità in cui le persone hanno un’eccessiva ricerca di attenzione per cui nel momento in cui
non lo sono si sentono a disagio cercando così di mettere in atto azioni anche drammatiche per far
ricadere nuovamente su di sé l’attenzione. Solitamente per stare al centro della situazione
utilizzano il loro corpo e comportamenti provocanti e considerano le relazioni con le persone che
conoscono molto più intime rispetto a quanto realmente lo siano. Infine abbiamo il disturbo
narcisistico di personalità in cui il soggetto ha necessità di ammirazione, mancanza di empatia,
sovrastima delle proprie capacità e approfittano degli altri in qualsiasi circostanza.
Gruppo C: in cui i soggetti hanno dei vissuti ansiosi come il disturbo ossessivo compulsivo. Nel caso
di disturbo evitante di personalità si intende una persona con un alto senso di inadeguatezza e
molto sensibile al giudizio altrui portando a evitamento di lavori che comportano contatti sociali
oppure entrando in contatto solo nel caso in cui sono sicuri di essere accettati e si sentono
inferiori agli altri. Vi è poi il disturbo dipendente di personalità in cui si prova un eccessivo bisogno
di essere accuditi che porta poi a una grande paura delle separazioni attuando così comportamenti
sottomessi. In questo modo permettono agli altri di prendere decisioni al loro posto non riuscendo
a prendere decisioni anche in caso di cose di poca importanza. Vi è infine il disturbo ossessivo-
compulsivo di personalità che è caratterizzato dalla preoccupazione per l’ordine per cui sono
affetti da un perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti intrapresi.
I disturbi psicotici sono caratterizzati da due classi di percezioni, ovvero quelli allucinatori
(percezione a livello tattile, visivo o uditivo che non è confermabile dall’esterno) o deliranti (falsa
percezione a livello cognitivo per cui portano a errate interpretazioni delle esperienze).
Tipicamente i sintomi psicotici vengono classificati in: positivi ovvero le sensazioni che si
aggiungono come deliri o allucinazioni, e poi sintomi negativi come meno sensazioni di quelle che
ci si aspetta come appiattimento affettivo.
Per diagnosticare un disturbo schizofrenico devono essere presenti almeno due sintomi psicotici
positivi e due negativi.
Oltre alla schizofrenia “tipica” ci sono altri disturbi psicotici che vengono differenziati, come, il
disturbo delirante uno o più deliri non bizzarri che persistono per un mese, oppure il disturbo
psicotico breve in cui vi è un insorgere improvviso di uno o più sintomi psicotici positivi, oppure il
disturbo schizoaffettivo in cui sono presenti sintomi psicotici combinati con caratteristiche del
disturbo dell’umore e infine il disturbo schizofreniforme in cui vi sono sintomi positivi della
schizofrenia ma di durata inferiore.
La terapia integra farmacologia e interventi psicosociali per cui l’intervento non è mirato solo al
paziente ma coinvolge anche tutto il contesto familiare anche perché queste persone raramente
riescono a costruire una vita autonoma. Si parla di un trattamento riabilitativo legato alle abilità
sociali, alle competenze legate a un’attività e al recupero delle competenze cognitive di base.
Uno degli aspetti principali è legato alla diagnosi precoce ovvero individuare gli esordi che sono
tipicamente in età giovanile, è un fattore prognostico molto importante poiché si può impedire
che si cronicizzi. E’ presente la regola dei terzi per cui dopo un evento psicotico acuto un terzo
delle persone supera quell’evento, un terzo si riprende dalla fase acuta avendo una riduzione della
ma dovrà continuare ad assumere farmaci nel rendimento sociale, un terzo invece evolverà verso
una condizione cronica.
Disturbi dell’umore
Principalmente deve essere presente un episodio depressivo maggiore ovvero un disagio che
compromette il funzionamento sociale e lavorativo e che dura meno di due settimane e devono
essere presenti almeno 5 sintomi tra i quali: umore depresso per la maggior parte del tempo,
perdita o aumento di peso significative, insonnia o ipersonnia, sentimenti di colpa, pensieri
ricorrenti di morte ecc…
Il disturbo depressivo maggiore ha almeno un episodio depressivo, la depressione ricorrente
richiede più di un episodio depressivo mentre il disturbo distimico avviene quando si è
cronicamente depressi per due anni.
Saronno Beck pone come criterio primario per l’intervento su questo e altri disturbi la terapia
cognitiva in cui si identificano e analizzano le credenze irrazionali degli schemi cognitivi che sono
alla base dello sviluppo e il mantenimento del disturbo.
E’ poi presente l’episodio maniacale in cui c’è una grave alterazione d’umore ma al contrario vi è
un’eccessiva attivazione emotiva per cui per almeno una settimana la persona non dorme, è più
loquace, ha un pensiero accelerato, non riesce a mentenere la concentrazione ecc…
Invece l’episodio ipomaniacale si manifesta in maniera meno grave rispetto all’episodio maniacale,
dura 4 giorni e non compromette la vita sociale. Infine abbiamo l’episodio misto che è costituito da
alternanze di umore di almeno una settimane in cui al giorno sono presenti caratteristiche
dell’episodio depressivo maggiore e dell’episodio maniacale.
Queste configurazioni tra episodi depressivi maggiori e maniacali generano i disturbi affettivi, che
contengono: il disturbo bipolare I: 1 o + episodi maniacali o misti; Bipolare II: 1 o + episodi
depressivi e uno ipomaniacale.
Questi vengono trattati farmacologicamente e con psicoterapia.
La maggior parte dei suicidi arrivano soprattutto da depressione e dunque da disturbi dell’umore,
è importante capire se nel caso in cui una persona dovesse sopravvivere sia un atto di suicidio
mancato per cui potenzialmente mortale oppure un parasuicidio ovvero un atto non a esito
mortale. Chi effettivamente vuole porre fine alla propria vita tenderà a tenerlo per sé poiché
qualcuno potrebbe ostacolarlo mentre è diverso il caso in cui si voglia solo mettere in atto un
comportamento autolesivo non mortale, per cui è importante valutare l’ideazione suicidaria
ovvero quanto il pensiero è ricorrente e quanto è alto il rischio che il progetto possa essere messo
in atto. Tematiche utili per affrontare il tema in sede di colloquio può essere pianificare al minuto
le prossime 24 ore, far sapere loro che le proprie convinzioni non sono così stabili e elencare le
ragioni per cui vivere.
Disturbi d’ansia
L’ansia non è una patologia ma una funzione adattiva data dal pensiero che vi possa essere un
pericolo o un evento negativo, tutto ciò accompagnato da sintomi fisici di tensione.
Nei disturbi d’ansia ha un ruolo fondamentale l’amigdala che si iper attiva e risponde agli stimoli
con livelli più alti di noradrenalina.
Gli attacchi di panico sono una conseguenza di un disturbo d’ansia e possono essere descritti come
momenti di ansia intensa, di paura e di terrore accompagnati da tachicardia, sudorazione,
tremore, dolore al petto, nausea ecc…
Gli attacchi di panico possono essere provocati da determinate cause, oppure, non provocati come
nel caso del disturbo di panico in cui si hanno esperienze di attacchi di panico inaspettati e
ricorrenti.
Disturbi alimentari
La versione più tipica è quella dell’anoressia nervosa in cui gli adolescenti sono angosciati dal loro
aspetto fisico arrivando a non mangiare fino a raggiungere uno stato fisico molto grave. In questi
casi le persone arrivano anche ad autoindursi il vomito per eliminare il cibo ingerito. E’ presente
poi nei disturbi alimentari la bulimia nervosa in cui ci si abbuffa di cibo per poi successivamente
digiunare, indursi il vomito o fare eccessiva attività fisica.
Disturbi somatoformi
Disturbi fisici che fanno pensare a malattie di natura somatica ma che non sono diagnosticabili in
nessuna condizione medica. Per cui questa diagnosi può essere effettuata solo dopo dei controlli
medici.
Ci riferiamo ad un uso patologico che da luogo a disagi clinicamente significativi, l’uso frequente
delle sostanze può portare a problemi legali e ricorrente uso della sostanza in situazioni rischiose e
nonostante i problemi da essa derivati. Alcuni esempi di queste sostanze possono essere alcol,
anfetamine, cannabis, cocaina ecc…