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Sia nell’ambito delle malattie neurologiche che in quello delle malattie psichiatriche,
uno stesso quadro clinico può verificarsi nell’adulto e nel bambino. Tuttavia, siccome il
sistema nervoso in età evolutiva è in fase di maturazione, il bambino può presentare
caratteristiche differenti a quelle dell’adulto in merito alle peculiarità dell’età evolutiva.
Dobbiamo, inoltre, ricordare che il bambino non è un adulto in miniatura e che, quindi,
un approccio terapeutico valido per un adulto può non esserlo per un bambino e/o
viceversa.
Nei confronti di un bambino che presenta disturbi neurologici e/o psichiatrici o che
venga condotto ad osservazione in quanto presente difficoltà che investono una e/o più
aree dello sviluppo (linguistico, motorio, apprendimento, interazione sociale), bisogna
porsi una serie di domande dalla cui risposta dipende l’organizzazione di quel processo
che prende il nome di diagnosi. Il processo diagnostico in età evolutiva è finalizzato non
solo ad attribuire un significato clinico ai sintomi presentati dal bambino, ma deve
prevedere una diagnosi di sviluppo che può essere realizzata soltanto mediante la
conoscenza del bambino e dei suoi comportamenti al di fuori del contesto osservativo.
Risultano di fondamentale importanza: l’anamnesi, interviste semi-strutturate ai genitori
e la presa di visione della documentazione disponibile (cartella clinica del bambino,
giudizi degli insegnanti). Il processo diagnostico in età evolutiva viene definito anche
“presa in carico”, poiché è costituito da interventi finalizzati alla conoscenza del
disturbo, alla conoscenza del soggetto portatore del disturbo, alla conoscenza del
significato del disturbo, alla conoscenza delle relazioni che il bambino stabilisce con le
figure del suo ambiente significativo ed, infine, alla conoscenza dei genitori. Questo
processo di conoscenza deve tener conto di alcune caratteristiche legate, come già
accennato, al processo di maturazione del sistema nervoso, che sono:
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- la variabilità, che si riferisce al cambiamento che un segno neurologico o un
comportamento atipico possono subire nel corso del tempo. Possono, infatti, verificarsi
una serie di eventualità. Ad esempio, dei segni inizialmente riconducibili ad un ritardo
dello sviluppo possono poi configurare una Disabilità intellettiva di grado lieve. Oppure,
segni che ad una prima osservazione sembrano configurare un serio problema di
sviluppo, possono poi “risolversi” dimostrando di essere stati una difficoltà di
adattamento evolutivo. O ancora, segni che inizialmente sembrano indirizzare verso una
determinata categoria nosografica (es. difficoltà nel linguaggio all’età di 2-3 anni
potrebbero configurare il Disturbo dello spettro autistico), successivamente si
modificano e indirizzano verso un’altra categoria nosografica (Disturbo del Linguaggio).
Infine, all’interno di una stessa categoria nosografica, il quadro clinico può assumere
caratteristiche differenti. Nell’ambito delle Paralisi Cerebrali, ad esempio, delle forme
inizialmente ipotoniche possono complicarsi con componenti atassiche e, così, un profilo
comportamentale improntato alla passività può lasciare spazio ad un profilo
completamente diverso, improntato all’iperattività.
a) l’anamnesi;
b) l’esame neurologico;
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c) l’esame psichico;
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“malato da curare”, quando, invece, si tratta di un problema che investe l’intero nucleo
familiare.
La finalità del processo diagnostico è quella di giungere ad una diagnosi che può essere
di due tipi: la diagnosi nosografica e la diagnosi funzionale.
La diagnosi nosografica. I dati che emergono dal processo diagnostico devono essere
“inquadrati”, ossia ricondotti ad un quadro clinico che li contenga. Il “quadro” che il
Clinico sceglie rappresenta la diagnosi nosografica, la quale parte dall’analisi dei sintomi
per giungere alla classificazione del disturbo (sistema descrittivo).
Per esempio, dati i seguenti sintomi: difficoltà nella deambulazione, ipertono spastico
agli arti inferiori, storia di sofferenza perinatale e leucomalacia periventricolare,
l’etichetta che meglio descrive il quadro è la diplegia spastica (Paralisi Cerebrali
Infantili).
Per esempio, per indicare una situazione di Epilessia idiopatica generalizzata, verrà
utilizzato il codice alfanumerico G40.3, dove la lettera G rappresenta il capitolo
“Malattie del Sistema Nervoso”, il numero 40 indica il quadro morboso in oggetto (40=
Epilessia), il numero 3, dopo il punto, indica il tipo di Epilessia (3= idiopatica
generalizzata).
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• Il modo in cui il bambino esplora gli oggetti presenti nella stanza (completa
indifferenza, esplorazione sistematica o manipolazione caotica);
• Il modo in cui il bambino reagisce alla presenza dell’altro (completa indifferenza,
eccessiva diffidenza o buona disponibilità);
• Il modo in cui il bambino risponde alle richieste dell’esaminatore (disponibilità ad
interagire, aderenza passiva o completo rifiuto).
Una seduta di osservazione si configura come una situazione il bambino è libero di agire
e di interagire, tuttavia le variabili esterne sono controllate attraverso una sorta di
standardizzazione che si traduce in un’organizzazione predefinita dello spazio, del
materiale messo a disposizione e delle sequenze con cui devono essere poste le attività.
Per alcuni bambini (molto piccoli o soggetti portatori di disabilità sociali),
l’osservazione diviene la modalità esclusiva per conoscere il bambino. L’attività
esplorativa e il gioco vengono considerati fenomeni simili, in quanto entrambi motivati
intrinsecamente; tuttavia, il gioco, non è prevalentemente associato con l’acquisizione di
informazioni circa il contesto dello stimolo.
(1) Fino all’età di 7-8 mesi il rapporto con l’oggetto, si limita ad un gioco
“manipolativo”, mediante il quale il lattante estrae i dati rilevanti dallo stimolo. A
partire dagli 8 mesi, comincia ad impegnarsi in giochi pre-simbolici, divertendosi ad
agire sull’oggetto (batterlo su un piano, farlo cadere, lanciarlo-raccoglierlo, riempire-
svuotare). All’età di 10 mesi compare il gioco funzionale, legato alla capacità del
bambino di riconoscere l’oggetto secondo l’uso (fa finta di bere da una tazza vuota o di
mangiare con un cucchiaio una pappa inesistente). Questo tipo di gioco subisce un
cambiamento, in quanto il destinatario del “far finta di” diventa un’altra persona o un
giocattolo, come le bambole. Soltanto a partire dai 2 anni, con la comparsa della
funzione rappresentativa, gli oggetti adoperati nel gioco rappresentano cose
completamente diverse (utilizzare una scopa facendo finta che sia un cavallo o utilizzare
un cubo di legno facendo finta che sia un gatto). Verso i 4-5 anni compare il gioco socio-
drammatico, nell’ambito dei quali il bambino comincia ad interpretare delle parti o ad
assumere ruoli definiti (giocare a “mamma, papà e figlio” o “maestra e alunni”). Questo
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tipo di gioco testimonia la capacità del bambino di comprendere i ruoli sociali e le regole
che caratterizzano i rapporti interpersonali. A partire dai 7 anni, poi, il bambino
comincia ad impegnarsi in giochi con regole: calcio, birilli e giochi simili.
(2) Il significato del gioco infantile è stato sviluppato ed approfondito da Melanie Klein
che indicò, nel gioco, la tecnica più adatta che permette di conoscere i disturbi affettivi
del bambino, anche nell’età che precede la comparsa del linguaggio verbale. In tale
prospettiva, il gioco viene considerato l’equivalente delle libere associazioni dell’adulto.
L’indagine può essere condotta osservando il bambino giocare liberamente o fornendogli
del materiale prestabilito (utile è, ad esempio, il “metodo dei burattini” della Rambert, in
cui il bambino deve rappresentare scene con i burattini). L’osservazione delle modalità
in cui il bambino si muove con i giocattoli, l’analisi delle sequenze ludiche e
dell’organizzazione del mondo rappresentativo, può fornire indicazioni valide
sull’organizzazione psichica e sulla presenza di eventuali nuclei conflittuali, sulla
struttura dell’Io e sui meccanismi di difesa. Un aspetto particolarmente importante è
l’atteggiamento che deve assumere l’osservatore che, abitualmente, partecipa
all’osservazione incoraggiando l’azione e l’interazione del bambino. Si tratta, tuttavia, di
una partecipazione che non è mai invadente, poiché l’osservatore si limita a favorire
l’attività del bambino, lasciando spazio alla sua libera iniziativa. Quanto più
l’osservazione è apparentemente libera (nulla è lasciato al caso o all’improvvisazione),
maggiori saranno le possibilità espressive del soggetto. In ambito psicoanalitico, il ruolo
dell’osservatore è concepito in maniera differente, in quanto egli è presente nella
situazione osservata, ma non interviene attivamente nell’azione o nella verbalizzazione.
(1) Traduce l’evoluzione di alcune funzioni di base come il controllo del tratto,
l’organizzazione spaziale, lo schema corporeo e l’organizzazione del pensiero.
L’evoluzione del grafismo segue delle tappe maturative ben precise. La prima attività
grafica è caratterizzata da tracciati e segni disordinati che il bambino produce con gesti
non direzionati. Intorno ai 18-20 mesi, il bambino scopre che esiste un rapporto di causa-
effetto tra i propri gesti ed i segni ottenuti e comincia, così, a variare il movimento per
ottenere tracce diverse. Verso i 3 anni il bambino comincia ad attribuire un significato ai
segni prodotti e lo scarabocchio può rappresentare oggetti diversi. Dai 3-4 anni in poi, ha
inizio la fase figurativa, nella quale i disegni strutturati rappresentano oggetti
corrispondenti ad immagini mentali. Prima dei 5 anni sono scarse le differenze tra le
forme grafiche dei maschi e delle femmine; soltanto successivamente, le influenze
culturali determinano la scelta di soggetti diversi.
(2) A partire dai 5-6 anni l’attività grafica assume una finalità narrativa e
rappresentativa, in quanto il bambino è spinto dal desiderio di raccontare le esperienze
vissute. Per questo motivo, il disegno si pone anche come reattivo proiettivo. Gli aspetti
formali del disegno (tipo di linea, intensità del tratto, scelta dei colori) hanno una forte
carica espressiva (ad esempio l’aggressività si può manifestare con dei segni verso l’alto
o l’insicurezza attraverso la scelta di utilizzare colori tenui). Anche il contenuto riveste
una grande importanza, sia nel disegno libero che nella rappresentazione a tema indicato
come il disegno della figura umana e quello della famiglia.
Disegno della figura umana. La prima rappresentazione grafica, verso i 3 anni, è molto
schematica, costituita da un cerchio rappresentante la testa e dei tratti che sono gli arti.
Verso i 5 anni si osserva un aumento dei dettagli: compaiono gli occhi, il naso, la bocca
e, progressivamente, vengono aggiunti altri elementi fino a completare la
rappresentazione intorno ai 10 anni. Il disegno della figura umana può fornire elementi
circa lo sviluppo intellettivo del bambino e, per questo, alcuni autori lo utilizzano come
test intellettivo assegnando un punto ad ogni dettaglio. Tuttavia è stato dimostrato che il
punteggio finale è soggetto a variazioni dovute ad alcuni fattori come l’ansia o la
motivazione. La figura umana rappresentata può fornire indicazioni circa l’immagine
che il bambino ha di se stesso o del proprio corpo. Per questo, Machover propose
un’utilizzazione proiettiva del disegno della figura umana, in cui chiedeva al bambino di
disegnare due personaggi di sesso opposto, interpretando, poi, quelli che sono gli aspetti
formali e quelli relativi al contenuto.
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Disegno della famiglia. Risulta essere valido in quanto fornisce indicazioni sulla
collocazione del bambino all’interno della famiglia e sui rapporti che stabilisce con i
genitori e con i fratelli. L’analisi del contenuto, in particolare, si articola prendendo in
considerazione tre principali aspetti: disposizione e composizione globale della
famiglia, fornisce indicazioni sul modo in cui il bambino vive i rapporti tra i membri (ad
esempio, se disegna i genitori molto distanti fra loro, si tratta di un’espressione di
contrasto tra i coniugi); posto in cui il soggetto stesso si colloca, fornisce indicazioni
sulle modalità in cui il bambino vive il suo adattamento al nucleo familiare (ad esempio,
la stretta vicinanza ai genitori può esprimere dipendenza e bisogno di protezione, mentre
l’autoeliminazione può essere indicativa di sentimenti di esclusione o isolamento.
Possono verificarsi, inoltre, casi in cui il bambino disegni un personaggio, come un
animale, con il quale egli si identifica portando alla luce impulsi che il soggetto non
accetta consapevolmente); grado di enfatizzazione dei componenti della famiglia,
dove il personaggio enfatizzato rappresenta il membro a cui il soggetto è più legato sul
piano affettivo (viene disegnato, ad esempio, per primo e di dimensioni maggiori rispetto
agli altri) e quello svalorizzato rappresenta ilo membro verso il quale il bambino nutre
ostilità e rifiuto (viene disegnato, ad esempio, per ultimo e di dimensioni minori o viene
eliminato). Quest’ultimo caso si presenta spesso nei confronti dei fratelli minori verso i
quali il bambino nutre forti sentimenti di gelosia.
La reciprocità sociale. Si riferisce alla naturale tendenza ad entrare in contatto con una
o più figure del gruppo sociale di appartenenza. Questa tendenza è presente fin dalla
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nascita e si configura come un bisogno primario non “causato” dalle esperienze, ma
come un’innata spinta sociativa che porta l’individuo ad agire ed interagire con gli altri.
Prime settimane di vita. Durante le prime settimane di vita il neonato è attratto da suoni
e melodie, ma “preferisce” la voce umana. Anche per quanto riguarda il canale visivo, è
attratto da colori ed oggetti in movimento, ma “preferisce” il volto umano. In altri
termini, il neonato presenta la capacità di discriminare tra stimoli sociali e non-sociali.
Riesce, inoltre, ad imitare le espressioni facciali dell’altro, attivando uno scambio
interattivo.
Primi due anni di vita. A partire dal terzo mese di vita, il bambino, grazie alla percezione
sociale, diventa in grado di cogliere indizi visivi ed uditivi che provengono
dall’osservazione dell’Altro. Egli associa progressivamente i comportamenti osservati
agli scopi che hanno stimolato l’agire dell’Altro e, successivamente, comincia a
comprendere le regole dei rapporti interpersonali, prevedendo il comportamento proprio
ed altrui (il bambino si protende verso l’altro quando capisce che l’altro sta per prenderlo
in braccio). La capacità da parte del bambino di assumere la prospettiva dell’altro viene
definita attenzione congiunta.
Età prescolare. Con l’inizio del terzo anno di vita si assiste ad una vera e propria
esplosione di acquisizioni come l’autoriconoscimento, ossia la consapevolezza di sé. Il
bambino completa, inoltre, il processo di riconoscimento dell’Altro non solo come
Agente causale (persona in grado di causare determinati eventi), ma anche come Agente
mentale (persona che pensa, con propri desideri ed emozioni). Il bambino accede, in
questo modo, alla Teoria della Mente e risulta essere in grado di prevedere il
comportamento dell’altro, non in base a ciò che lui sente o desidera, ma in base a quello
che lui pensa che gli altri sentono o desiderano.
Scuola primaria. Con l’ingresso nella scuola primaria il bambino comprende le regole
che definiscono il rapporto interpersonale tra pari; tende a contenere risposte
“impulsive” e a privilegiare risposte che sembrano garantire una migliore riuscita
sociale. Compare la coscienza morale con regole di comportamento che derivano da
norme interiorizzate.
Adolescenza. A partire dai 12 anni ha inizio l’adolescenza, definita come età del
cambiamento vi sono nuove richieste da parte dell’Ambiente che il soggetto deve
risolvere per potersi considerare ben adattato. Si tratta dei compiti di sviluppo che sono:
accettazione del proprio corpo ed integrazione dei cambiamenti somatici; sviluppo di
un’identità sociale; costruzione di un proprio sistema di valori; costruzione di rapporti
affettivi; integrazione della sessualità nell’immagine di sé; avvio di relazionali
sentimentali.
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La sicurezza. Si riferisce a quel sentimento di stabilità emotiva derivante dalla
maturazione di alcune certezze interne che permettono al bambino di affrontare
situazioni nuove. La sicurezza è estremamente connessa all’attaccamento e ai processi di
identificazione. L’attaccamento rappresenta un bisogno primario, espresso dal desiderio
di un rapporto di vicinanza con la figura di accadimento, cioè la madre. Il bambino e la
madre imparano ad alternare i propri turni e a leggere i segnali l’uno dell’altro relativi
all’inizio e alla fine dei turni. Man mano che la loro interazione continua, nelle
successive sedute di allattamento, madre e lattante imparano a leggere le intenzioni
reciproche. Queste esperienza emozionali e relazionali si traducono in strutture interne
che diventano la base per costruire i rapporti futuri. Il regolare fluire dei rapporti
permette la realizzazione di un attaccamento sicuro: una situazione in cui il bambino ha
fiducia che la madre sarà disponibile e presente nel caso in cui il bambino dovesse
incontrare situazioni pericolose. In altre situazioni, può realizzarsi un attaccamento
ansioso, in cui manca nel bambino la certezza che il genitore sarà disponibile in caso di
bisogno. A partire dal terzo anno di vita si realizzano i processi di identificazione con
uno dei due genitori (di solito con il genitore dello stesso sesso, anche se ogni bambino
si identifica in una certa misura con entrambi i genitori), in cui il bambino percepisce di
essere simile al modello per aspetti fisici e/o psicologici. Con l’ingresso nella scuola
primaria, il bambino individua nuovi modelli di identificazione, scegliendo i compagni
più “rassicuranti”. Con l’adolescenza, la dimensione della sicurezza va incontro a forti
attacchi, in quanto il periodo di cambiamento genera nell’individuo elementi di
preoccupazione.
Quelle appena descritte, sono dimensioni che possono andare incontro a disordini neuro
evolutivi che, sul piano comportamentale, si traducono in sintomi psicopatologici ad
espressività variabile in rapporto all’età, al livello di sviluppo e alla presenza di disordini
che interessano le altre funzioni emergenti.
(1) Alcuni dei segni che possono essere riscontrati, nella comune pratica, clinica durante
questo periodo sono:
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- il sonniloquio, letteralmente “parlare nel sonno”. Anche qui si esclude la
possibilità che possa trattarsi di Epilessia;
- il bruxismo, digrignamento dei denti che può essere osservato in soggetti
“normali” o in alcune forme di Paralisi Cerebrali.
• Disturbi dell’alimentazione. Oltre alle anomalie del senso di fame (anoressia e
bulimia), comprendono una serie di comportamenti atipici legati al momento del
pasto dovuti a: condizioni mediche associate come malattie metaboliche; sindromi
neuropsichiatriche complesse come la Disabilità intellettiva; disturbi della
motricità oro-glosso-faringea, dove non viene alterato il senso della fame, ma le
condotte atipiche sono legate a contenuti ansiogeni; disordini della sfera affettiva.
• Disturbi dell’Interazione sociale. Si tratta di una serie di comportamenti indicativi
di una scarsa possibilità del bambino alle interazioni con l’altro. Ciò può essere
dovuto a: disturbi dello spettro autistico; disturbo da deficit dell’attenzione con
iperattività; disturbo reattivo dell’attaccamento; quadri depressivi ad insorgenza
precoce; disturbi d’ansia; ritardo globale dello sviluppo. Quando vengono escluse
le cause appena elencate, il disturbo può essere ricondotto all’immaturità di quella
dimensione definita “reciprocità sociale”.
• Disturbi della comunicazione e del linguaggio. Possono essere dovuti a: disturbo
del linguaggio, riguarda, cioè, l’organizzazione delle competenze linguistiche e
non compromette la comunicazione; disabilità intellettiva, il disturbo linguistico
deriva da un deficit cognitivo; disturbo dello spettro autistico, deriva dal disturbo
della comunicazione; disturbo da deficit di attenzione con iperattività; deficit
dell’udito; deficit di sviluppo della coordinazione con particolare interessamento
della muscolatura oro-bucco-fonatoria.
• Disubbidienza. Si tratta di un sintomo che si inserisce in un profilo
comportamentale caratterizzato da scarsa aderenza alle richieste dell’altro, scarso
rispetto delle regole, op positività, crisi di collera. Il sintomo della disubbidienza
può essere legato a disordini più complessi come: disturbo dello spettro autistico;
disabilità intellettiva; disturbo da deficit di attenzione con iperattività; disturbo
reattivo dell’attaccamento; disturbo oppositivo-provocatorio. Oltre ai casi appena
elencati, la disubbidienza può essere riconducibile a scarso auto-controllo e/o
inadeguatezza degli atteggiamenti pedagogici.
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• Difficoltà di apprendimento. Si tratta dell’incapacità da parte del bambino di
fornire prestazioni scolastiche rispondenti a quelle che l’età e la classe frequentata
prevedono. Le cause possono essere molteplici e riconducibili a: disturbi
neuropsicologici complessi come dislessia, discalculia, disortografia; disabilità
intellettiva di grado lieve; disturbi d’ansia; disturbi dell’umore; disturbo dello
spettro autistico; disturbo da deficit di attenzione con iperattività; deficit
sensoriali; carenze socio-culturali.
• Difficoltà di socializzazione. Incapacità da parte del bambino di stabilire
un’adeguata relazione con l’Altro e possono esprimersi con inibizione (il
bambino non prende iniziativa nello scambio e si limita a rispondere alle domande
che gli vengono poste) o con disinibizione (il bambino presenta elevati livelli di
attività motoria, risponde alle domande che gli vengono poste arricchendo il
discorso con elementi poco aderente al contesto). Le difficoltà di socializzazione
si ritrovano tipicamente nei Disturbi dello spettro autistico e ne rappresentano un
sintomo patognomonico, cioè caratteristico al punto di permettere una diagnosi
certa. Nel caso di un bambino inibito le cause possono essere riconducibili a:
fobia sociale; disturbi dell’umore di qualità depressiva; mutismo selettivo;
disturbo oppositivo-provocatorio; carenze socio-culturali. Nel caso di un bambino
disinibito le cause possono essere riconducibili a: disturbi dell’umore di tipo
maniacale; disturbi della condotta; disturbo da deficit di attenzione con
iperattività.
• Condotte regressive. Comparsa o meglio ricomparsa di comportamenti propri di
epoche precedenti come succhiarsi il pollice, parlare bè-bè o piangere per motivi
futili. Possono essere dovuti a: disturbo dello spettro autistico; schizofrenia ad
esordio molto precoce; processi espansivi endocranici.
• Paure. Rappresentano l’aspetto caratterizzante le Fobie, Specifiche e Sociale, ma
possono ritrovarsi in altre situazioni quali: disturbi d’ansia; disturbo post-
traumatico da stress; disturbi dello spettro autistico; disturbi dell’umore. Possono,
però, esprimere anche bisogni regressive; rappresentare uno “strumento” per
manipolare le figure dell’ambiente significativo; essere condotte apprese per
imitazione di un modello significativo come la madre.
• Rifiuto scolastico. Un’evenienza di questo genere disorienta maggiormente i
genitori quando insorge in un momento in cui il bambino sembrava di aver
accettato volentieri la comunità scolastica. Può essere dovuto a: fobia sociale;
disturbi d’ansia o depressivi; disturbi della condotta; disturbi dell’apprendimento.
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• Anomalie della coscienza. La coscienza può essere definita come lo stato di
consapevolezza di sé e dell’ambiente. Quando una persona ha piena
consapevolezza di sé e del suo ambiente si dice che la sua coscienza è lucida o
integra, quando, invece, questo stato di consapevolezza risulta essere
compromesso, si parla di disturbi della coscienza. Questi ultimi possono essere di
tipo quantitativo o di tipo qualitativo.
- Coma, stato di completa perdita della coscienza, dal quale il soggetto non può essere
richiamato mediante stimoli. Possono coesistere depressione, ipotensione, areflessia e
perdita del controllo degli sfinteri. Significato: compromissione della sostanza reticolare
ascendente (ARAS e RAS: complesso di neuroni del sistema nervoso centrale
specializzati nel controllo dello stato di veglia).
- Stato onirico, caratterizzato da una “oscillazione” tra una percezione corretta della
realtà e l’intrusione periodica di esperienze simili a contenuti del sogno. Significato: stati
tossici ed infettivi, epilessia, psicosi atipiche.
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Anomalie della percezione. La percezione è il processo attraverso il quale viene
attribuito un significato all’esperienza sensoriale; le più frequenti sono le illusioni e le
allucinazioni.
Illusioni. Le illusioni sono un disturbo della percezione in cui uno stimolo sensoriale
viene interpretato in maniera anomala (es. un albero in penombra può essere preso per
una figura umana). L’errore può essere corretto ad una successiva verifica. Le illusioni,
infatti, possono verificarsi in persone assolutamente normali, anche se hanno maggiore
frequenza nelle patologie psichiatriche come i disturbi d’ansia.
Allucinazioni. Si tratta di percezioni vissute e descritte dal soggetto come reali, malgrado
l’assenza di stimoli in quanto manca l’oggetto capace di provocarle (per questo definite
anche “percezioni senza oggetto”). Vengono abitualmente suddivise in base all’organo
di senso interessato:
- Allucinazioni uditive, sono le più tipiche e frequenti. Nella forma più tipica
l’allucinazione uditiva è rappresentata dall’udire voci collocate nello spazio esterno che
possono assumere il tono di comando (allucinazioni imperative) a cui il soggetto può
obbedire ciecamente. Altre volte le allucinazioni dicono ad alta voce tutto quello che il
soggetto pensa o sta per fare (eco del pensiero). Altre volte ancora si tratta di udire voci
antagoniste che incoraggiano o criticano il soggetto (allucinazioni antagoniste
dialoganti).
- Allucinazioni visive, si tratta della visione di persone, cose o animali che possono
presentarsi in maniera vaga o realistica.
Le ricerche hanno messo in evidenza che le allucinazioni in età evolutiva sono molto più
frequenti di quanto ritenuto in passato; ciò sarebbe riconducibile al fatto che i bambini
tendono a non riferirle spontaneamente in quanto non sempre riconoscono il carattere
“atipico” di una manifestazione di questo genere.
Disturbi del Pensiero. Possono essere distinti i disturbi formali del pensiero e i disturbi
del contenuto.
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- Rallentamento del pensiero. Povertà del pensiero, i contenuti scorrono lentamente e,
di conseguenza, anche l’eloquio è povero. Significato: depressione, stati confusionali,
schizofrenia.
- Delirio. Viene definito come un’idea derivante da un falso giudizio della realtà. I tre
elementi tipici del delirio sono: certezza dell’idea e la straordinaria convinzione con cui
viene sostenuta; incorreggibilità; impossibilità del contenuto. Alcune forme tipiche sono:
5. Delirio di persecuzione, il soggetto è convinto che vengano ordite trame contro di lui;
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Significato: schizofrenie.
Disturbi dell’umore. L’umore può essere definito come una tonalità emotiva di fondo
che ha una certa durata nel tempo, nasce in maniera spontanea e determina l’attitudine e
le modalità del soggetto di rapportarsi alla realtà. I disturbi dell’umore possono subire
variazioni “in difetto” o “in eccesso”.
(1) La scelta degli obiettivi terapeutici tiene conto dei bisogni del singolo bambino, delle
sue aree di forza e di debolezza, della particolare fase evolutiva che sta attraversando.
(2) Il profilo risulta essere dinamico poiché il trattamento e le periodiche verifiche che
esso comporta aggiungono nuovi elementi in merito alla conoscenza del bambino e dei
suoi bisogni.
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i medicinali in base ai sintomi chiaramente individuabili, programmando periodici
controlli clinici ed evitando l’associazione di più farmaci.
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psicoterapia breve, caratterizzata da un numero definito di sedute, solitamente 10-20
nell’arco di 2-6 mesi; la psicoterapia di sostegno, finalizzata a rinforzare le difese del
soggetto per aiutarlo ad affrontare le difficoltà della vita quotidiana. In età evolutiva è
molto importante associare il trattamento dei bambino con quello dei suoi genitori
attraverso la terapia di coppia.
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manipolati per modificare il comportamento; registrare la frequenza e l’intensità
del comportamento; scegliere i tipi di rinforzi che possono influenzare il
comportamento.
Il termine “nevrosi” è stato utilizzato per la prima volta da Cullen, nel 1769, per
indicare alcuni disturbi della motricità e della sensibilità. Successivamente, nel 1894,
Freud fornì una classificazione nosografica dei disturbi nevrotici che, per molti aspetti,
è ancora attuale. Le principali forme di nevrosi erano: nevrosi d’ansia, nevrosi isterica,
nevrosi fobica, nevrosi ossessivo-compulsiva. Le caratteristiche della nevrosi, invece,
sono: disturbi del comportamento, coscienza della patologicità dei disturbi,
mantenimento del contatto con la realtà esterna e presenza di sofferenza psichica
(angoscia). Freud, inoltre, dei modelli interpretativi che fanno riferimento a tre aspetti
fondamentali della psicoanalisi: l’ipotesi strutturale, il conflitto e i meccanismi di difesa.
L’ipotesi strutturale descrive l’apparato psichico costituito da tre istanze: Es (polo
pulsionale); Io (svolge una funzione di verifica e di controllo); Super-Io (insieme di
divieti, norme e valori). Il conflitto rappresenta lo scontro tra due istanze contrapposte
come l’Es e il Super-io, in quanto l’Es tende all’appagamento immediato delle pulsioni e
il Super-Io al loro contenimento. I meccanismi di difesa sono processi dinamici
utilizzati dall’Io per reagire alla contrapposizione tra Es e Super-Io. Sono processi
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presenti in tutti gli individui, ma, in ciascuno di noi, prevale un meccanismo (rimozione,
negazione, proiezione, regressione) che determina la formazione di tratti del carattere.
Nella nevrosi isterica il meccanismo predominante è la rimozione; in quella ossessiva
predomina la formazione reattiva e l’intellettualizzazione; in quella fobica predomina lo
spostamento; nella nevrosi d’ansia, invece, i meccanismi di difesa non sono ben definiti.
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disturbo persiste condizionando lo sviluppo del bambino. I fattori che possono
contribuire a mantenere, intensificare o far ricomparire l’ansia di separazione sono
molteplici: familiarità, presenza di disordini psicopatologici all’interno della famiglia;
fattori biologici, possibile associazione tra questo disturbo e labilità di alcuni sistemi
endocrini e neurotrasmettitoriali; fattori temperamentali, alcuni aspetti del
comportamento come la timidezza o l’evitamento di situazioni nuove, sarebbero tratti
temperamentali predisponenti all’insorgenza di disturbi d’ansia di separazione; fattori
psicodinamici, alcune interferenze durante il processo di attaccamento (separazioni
prolungate, ospedalizzazioni, inadeguatezza delle figure di attaccamento) possono
determinare una fragilità emotiva del bambino con incapacità di fronteggiare le
esperienze di separazione; fattori cognitivi, alcune disfunzioni collegate, ad esempio, alla
stabilità della permanenza dell’oggetto (percezione della figura materna come persona
dotata di un’esistenza autonoma) possono favorire l’ansia di separazione; fattori socio-
culturali, l’ansia viene favorita da modelli educativi propri del gruppo di appartenenza
del bambino; fattori situazionali, situazioni di stress psicologico come un lutto in
famiglia, il divorzio dei genitori, un abuso o bruschi cambiamenti di ambiente.
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muscolare, difficoltà nella concentrazione o disturbi del sonno. L’oggetto dell’ansia non
è legato ad un elemento specifico o ad una determinata situazione, ma si tratta di
un’esperienza di malessere generale.
(1) Timore di situazioni che possono comportare sentimenti di umiliazione derivanti dal
giudizio dell’altro.
I disturbi depressivi includono una serie di quadri clinici, il cui elemento caratterizzante
è rappresentato da un disturbo del tono dell’umore: l’umore depresso. I sottotipi di
maggiore interesse per l’età evolutiva sono:
CAUSE. Le cause della depressione non sono ben definite. I principali dati emersi dalle
indagini possono essere suddivisi in: fattori di rischio e modelli interpretativi della
clinica.
Fattori di rischio. Rientrano in questa categoria tutte quelle evenienze che risultano
frequentemente associate all’insorgenza di un disturbo depressivo.
Familiarità. I figli con uno dei genitori affetti da depressione presentano un rischio tre
volte superiore di manifestare un episodio depressivo rispetto al resto della popolazione.
I figli dei genitori depressi, inoltre, sono ad alto rischio anche per altri disturbi
psicopatologici come i Disturbi dello spettro autistico, i Disturbi d’ansia e i Disturbi
della personalità.
26
Situazioni Familiari Inadeguate. Studi dell’ambiente familiare di pazienti depressi
hanno permesso di rilevare una maggiore frequenza di conflitti intrafamiliari, situazioni
di abuso, rifiuto o problemi di comunicazione.
Presenza di eventi stressanti. In circa il 70% dei casi l’esordio della depressione è
dovuto ad eventi come: separazioni prolungate dai genitori; divorzio dei genitori; morte
di uno dei genitori o di una persona significativa per il bambino; malattie dei genitori;
malattie del bambino con ospedalizzazioni.
Modelli interpretativi della clinica. In base alla modalità con le quali i fattori causali
possono determinare un disturbo depressivo, sono state formulate ipotesi differenti.
• Ipotesi Psicodinamiche. Freud nel 1915 elaborò una distinzione tra il lutto, ossia
la reale perdita di una persona significativa, e la melanconia, perdita fantasmatica
dell’oggetto d’amore. La depressione deriverebbe dai sentimenti di
autosvalutazione legati ad una rabbia intensa verso se stessi, per
un’identificazione dell’Io von l’oggetto amato perduto. Melanie Klein, invece,
ricondusse la depressione ad una fase dello sviluppo affettivo: la posizione
depressiva, ossia la fase in cui il bambino accede alla consapevolezza di aver
perso, a causa della sua avidità, gli oggetti buoni, sentendosi perseguitato da quelli
cattivi*. Entrambe le esperienze sottolineano l’importanza di esperienze precoci
che, quando sono frustranti, impediscono i normali processi di elaborazione.
*Melanie Klein ha identificato due fasi critiche nello sviluppo del bambino (primi due
anni di vita): la posizione schizo-paranoide e la posizione depressiva. Inizialmente il
bambino, per l’incapacità di percepire gli oggetti della loro interezza, opera una
scissione fra gli oggetti parziali buoni, che interiorizza, e quelli cattivi, che proietta
nell’ambiente esterno. Successivamente, nel corso dello sviluppo, il bambino
ricostruisce l’oggetto nella sua interezza, constatando che lo stesso oggetto può essere
sia buono che cattivo. Ciò comporta l’insorgenza di angoscia depressiva e di sensi di
colpa per i sentimenti ambivalenti di amore e di odio che prova verso lo stesso oggetto.
DIAGNOSI. La diagnosi di depressione in età evolutiva non è sempre agevole, sia per le
caratteristiche della sintomatologia, sia per l’incapacità del bambino di verbalizzare i
propri stati d’animo. Il processo diagnostico è finalizzato a ricostruire le caratteristiche
dei sintomi, le caratteristiche dell’ambiente significativo, l’eventuale presenza di eventi
stressanti, il profilo di sviluppo del bambino nelle diverse aree funzionali. L’anamnesi va
poi integrata con l’osservazione diretta del bambino, con particolare attenzione rivolta al
28
gioco e al disegno che permettono di cogliere aspetti relativi al mondo interiore del
bambino.
TERAPIA. L’approccio terapeutico non può limitarsi alla cura del sintomo. Gli
interventi sono rappresentati essenzialmente da:
Il disturbo bipolare. In alcuni casi clinici la depressione lascia spazio al suo quadro
opposto, la mania, ossia l’elevazione del tono dell’umore che si esprime con un
eccitamento psicomotorio e con un senso di benessere e di gioia. Durante l’episodio i
sintomi caratterizzanti sono: autostima ipertrofica o grandiosità; diminuito bisogno di
sonno; spinta continua a parlare; fuga delle idee; distraibilità; agitazione psicomotoria.
L’episodio può presentarsi come episodio singolo, di intensità marcata e associate ad
episodi depressivi. Il DSM-5 include le diverse forme in un gruppo definito come
“Disturbi bipolari”.
29
CAUSE. Le cause non sono ben definite, anche se, fra i fattori di maggiore interesse,
assume particolare rilevanza la familiarità.
TERAPIA. È sempre necessario prevedere un PTP, che permette di definire nel tempo le
caratteristiche di decorso. In aggiunta agli interventi educativi e psicoterapeutici, vanno
inclusi gli interventi farmacologici; possono essere utilizzati alcuni farmaci
anticonvulsivanti come il Valproato o neurolettici atipici come il Risperidone o
l’Olanzepina, mentre il carbonato di litio viene utilizzato a partire dall’età di 12 anni,
quando le forme cominciano a manifestarsi.
La Schizofrenia è tra le malattie mentali dell’adulto più devastanti, sia per la precocità
del suo esordio che per la gravità della sintomatologia. Si tratta di un quadro clinico
complesso, caratterizzato da sintomi quali le allucinazioni, i deliri, i disturbi del
pensiero, i disturbi dell’affettività. Ciascuno di questi sintomi, però, può essere
considerato “schizofrenico” solo in presenza di altri sintomi.
30
Cenni storici. All’inizio del secolo scorso, grazie ai lavori di Potter, fu accettata l’idea
di una Schizofrenia Infantile che, tuttavia, presentava una sintomatologia condizionata
dal particolare periodo evolutivo. Successivamente, la diffusione delle teorie
psicoanalitiche influenzò l’approccio clinico e diagnostico ai quadri precedentemente
inclusi sotto l’etichetta di “Schizofrenia”. In particolare, la metodologia psicoanalitica,
interessata alla comprensione dell’esperienza soggettiva dell’individuo, portò alla
sostituzione del termine di “Schizofrenia” con quello di “Psicosi”. Nell’ambito delle
Psicosi Infantili, l’orientamento psicoanalitico individuò le Psicosi Precoci, oggi
classificate come Disturbi dello spettro autistico. Successivamente, il termine psicosi è
stato utilizzato per indicare i sintomi “psicotici”, indicativi di un disordine del
funzionamento mentale: allucinazioni, deliri e disorganizzazioni del pensiero. I sintomi
psicotici caratterizzano due quadri clinici: il primo in cui sono necessari e caratterizzanti,
ossia i Disturbi dello spettro schizofrenico e altri disturbi psicotici; il secondo in cui sono
frequenti ma non caratterizzanti come i Disturbi depressivi con sintomi psicotici e il
Disturbo bipolare.
31
coinvolgimento del sistema dopoaminergico. I circuiti dopoaminergici sono
principalmente quattro: nigro-striatale; mesolimbico; mesocorticale; tubero-
infundibolare. Di questi circuiti quelli maggiormente coinvolti nella patologia
sembrano essere il mesolimbico, in cui si avrebbe un incremento dei livelli di
dopamina (DA), ed il mesocorticale, in cui si verificherebbe un deficit di DA.
Oltre a quello dopoaminergico, sono stati chiamati in causa altri sistemi
neurotrasmettitoriali. Le vie serotoninergiche, ad esempio, sono coinvolte nella
modulazione degli impulsi; si ritiene, infatti, che un’iperattività serotoninergica
possa provocare una disfunzione responsabile dell’impulsività esasperata degli
schizofrenici, che può, talvolta, tradursi in comportamenti estremi come il
suicidio.
• Ipotesi neuroendocrinologiche. Strettamente connessa all’ipotesi
neurotrasmettitoriale è la ricerca di specifiche alterazioni neuroendocrine. Si
dovrebbe, infatti, verificare un’ipersecrezione del GH ed una riduzione dei livelli
di prolattina come conseguenza all’iperattività dopaminergica.
• Ipotesi neuropatologiche. Le ricerche effettuate in questo senso hanno messo in
evidenza alterazioni dei lobi frontali e temporali, del cervelletto e del sistema
mesolimbico. Resta da definire se esse abbiano un ruolo primario, ossia come
causa della Schizofrenia, o se abbiano un ruolo secondario, ossia come
conseguenza della Schizofrenia.
• Ipotesi psicogenetiche. Secondo queste ipotesi la Schizofrenia sarebbe una
conseguenza di una globale incapacità di dominare pulsioni libidiche e/o
distruttive molto potenti. L’approccio psicoanalitico, in particolare, ha sempre
posto la figura materna quale elemento critico nella genesi del disturbo
schizofrenico. Attualmente, però, la responsabilità materna è stata attenuta con il
ricorso al modello della corrispondenza “madre-bambino”. Secondo tale modello,
infatti, il fallimento delle prime relazioni non è imputabile alla mamma, poiché
potrebbe essere dovuto ad un bambino con una barriera agli stimoli danneggiata
per fattori genetico-costituzionali. Ricerche recenti hanno spostato l’attenzione
dalla madre all’organizzazione familiare e sulla comunicazione all’interno del
gruppo sociale del bambino, mettendo in evidenza che l’assenza di una
comunicazione reale induce ne bambino un bisogno di ottenere risposte, espresso
da reazioni abnormi. Un’altra forma di comportamento distorto è il cosiddetto
“doppio legame” che si verifica quando il bambino riceve da un genitore,
generalmente la madre, un messaggio e contemporaneamente un messaggio di
contenuto opposto da un altro componente della famiglia. Nell’impossibilità di
uscire da questa situazione il bambino adotterebbe una doppia risposta e il
disorientamento continuo darebbe origine alle psicosi. Le ipotesi psicodinamiche
e relazionali, attualmente, assumono una rilevanza decisamente inferiore rispetto
32
al passato, ma restano comunque importanti per l’influenza del decorso e della
prognosi della malattia.
• Ipotesi della vulnerabilità allo stress. Attualmente l’orientamento prevalente è
quello di considerare la Schizofrenia come un disturbo su base neurobiologica a
genesi multifattoriale, riconducibile alla complessa interazione fra i fattori
genetici e i fattori ambientali. Si tratterebbe di una serie di squilibri
neurotrasmettitoriali, alterazioni recettoriali e disordini nei collegamenti
funzionali tra le varie strutture encefaliche. Nel loro insieme queste anomalie
costituiscono l’endofenotipo che corrisponde alla “predisposizione” e l’azione
dell’ambiente sull’endofenotipo può favorire la comparsa della Schizofrenia
(esofenotipo). Il fattore ambiente, invece, viene denominato ecotipo ed include:
contesto relazionale del bambino, fattori emozionali, fattori organici (igiene, stato
nutrizionale, abitudini di vita). Tra i fattori ambientali, in particolare, vi sono
quelli di protezione, che impediscono l’attualizzazione dello stato di malattia, e
quelli di rischio che, invece, ne determinerebbero l’attuazione.
2. La fase attiva: ha inizio con la comparsa dei sintomi psicotici propriamente detti
come allucinazioni, deliri e disorganizzazione del pensiero. La durata della fase è
variabile, in rapporto anche alla risposta alla terapia.
Caratteristiche cliniche delle forme precoci. Le forme precoci sembrano mostrare una
prevalenza per il sesso maschile. Inoltre, il soggetto sembrerebbe presentare un profilo di
sviluppo premorboso, caratterizzato, cioè, da disordini dello sviluppo relativo a diverse
aree funzionali: difficoltà di apprendimento, compromissione del comportamento
sociale, ritardi del linguaggio, disordini dello sviluppo motorio. L’esordio delle forme
precoci è mal definito, con una fase prodromica lenta e di lunga durata; spesso, inoltre, il
“cambiamento” si esprime con un’accentuazione di disordini pre-esistenti, il che può
portare alla formulazioni di diagnosi fuorvianti come il Disturbo da deficit di attenzione
con iperattività, Disturbo di ansia generalizzata, Fobia Sociale. I sintomi caratteristici,
anche se simili alle forme dell’adulto, sono differenti in relazione alle caratteristiche del
funzionamento mentale legato all’età.
34
deve prevedere: un’attenta anamnesi, finalizzata a valutare le modalità di esordio delle
manifestazioni psicotiche, eventuale presenza di eventi psicotici pregressi, l’eventuale
presenza di fattori “scatenanti”; un esame medico generale, per valutare l’eventuale
presenza di condizioni morbose predisponenti o favorenti la sintomatologia attuale; un
esame neuropsichiatrico esaustivo, volto a definire il profilo funzionale del soggetto in
tutte le aree funzionali.
SINDROME BORDERLINE.
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indicare un quadro che assomiglia: al Disturbo di Personalità Borderline dell’adulto; alla
Schizofrenia, ma non ne condivide le caratteristiche di stato e di decorso; assomiglia ai
Disturbi dello Spettro Autistico, ma la compromissione comunicativa e sociale non
assume mai l’intensità tipica di tali quadri; assomiglia ai Disturbi d’ansia e ai Disturbi
depressivi.
Le Paralisi Cerebrali Infantili vengono definite come disordini della postura e del
movimento, permanenti ma non invariabili dovuti ad una encefalopatia non evolutiva
(encefalopatia fissa). Questa definizione comprende un gruppo eterogeneo di differenti
quadri patologici che presentano come elemento comune il disturbo della postura e del
movimento che accompagna il soggetto nel corso della sua vita. Si tratta di un danno
encefalico che si verifica in epoca precoce. Un altro aspetto caratterizzante dei differenti
quadri clinici è una serie di limitazioni delle attività del soggetto, che riguarda
l’impossibilità di svolgere in maniera adeguata determinati compiti previsti dall’età e dal
livello di sviluppo. Tale limitazioni non riguardano soltanto le abilità motorie, ma anche
altri campi del funzionamento come l’apprendimento, il comportamento, le competenze
comunicativo-linguistiche o l’adattamento emozionale. La classificazione delle Paralisi
Cerebrali Infantili è sempre stato un argomento moto dibattuto. Attualmente si fa
riferimento a due criteri classificatori: quello clinico e quello topografico.
- le aree motorie della corteccia: sono rappresentate dalla corteccia premotoria, dalla
corteccia motoria primaria, dall’area motoria supplementare e dall’area motoria parietale
36
posteriore. I cilindrassi (assoni) dei neuroni di tali aree, ossia i motoneuroni, discendono
verso il midollo come tratto corticospinale. L’80% di tali fibre discende nel midollo
come tratto corticospinale laterale, mentre l’altro 20% discende come tratto
corticospinale anteriore. Le fibre dei tratti corticospinali prendono contatto con i
motoneuroni spinali direttamente o indirettamente, attraverso un interneurone. il
cilindrasse di questo secondo motoneurone, unitamente ai cilindrassi di altri
motoneuroni, fuoriesce dal midollo come nervo per raggiungere i muscoli. Le aree
motorie della corteccia prendono connessione fra loro ed inviano fibre dirette ai nuclei
della base, al tronco dell’encefalo e al cervelletto. Particolare importanza riveste il tratto
corticoreticolare. Tali fibre entrano in giunzione sinaptica con i nuclei della formazione
reticolare pontina e bulbare, da cui partono fibre dirette al midollo (tratto
reticolospinale). Si viene, per tanto, a formare il sistema corticoreticolospinale che
svolge un ruolo molto importante nella definizione dei movimenti e nella loro
armonizzazione. Le alterazioni che investono questo sistema determinano l’insorgenza
sul piano clinico di una sintomatologia definita piramidale, caratterizzata da una
compromissione funzionale (paralisi), cui si associano: ipertono spastico, iperrflessia
profonda e riflessi patologici come il segno di Babinski.
- i nuclei della base: sono: il nucleo caudato, il globus pallidus e il putamen. Il nucleo
caudato e il putamen formano, nel loro insieme, il nucleo striato che rappresenta la
maggiore stazione di arrivo delle fibre, mentre il globus pallidus rappresenta la maggiore
stazione di partenza delle fibre. Le lesioni dei nuclei della base possono assumere due
forme espressive tra loro opposte: la prima è caratterizzata da acinesia (assenza di
movimenti) ed ipertonia muscolare; la seconda forma è caratterizzate da discinesia
(presenza di movimenti involontari abnormi) e da ipotonia muscolare.
Una prima classificazione può essere effettuata in base alla struttura anatomica
interessata dal danno: le lesioni del sistema piramidale causano le forme spastiche; le
lesioni del sistema cerebellare causano forme atassiche; le lesioni dei nuclei della base
causano forme discinetiche; le lesioni di più sistemi causano forme miste.
37
La forma spastica è caratterizzata da: presenza di schemi patologici di postura e di
movimento, aumento del tono muscolare, anomalie dei riflessi. Può essere bilaterale, se
sono coinvolti gli arti di entrambi i lati del corpo, o unilaterale, se sono coinvolti gli arti
di un solo lato del corpo.
Distribuzione delle PC. Le Forme Spastiche sono le più frequenti rappresentando circa
l’84% dei casi, mentre nell’ambito delle forme spastiche l’emiplegia e la diplegia sono le
forme più rappresentate. Un fattore che sembra incidere in maniera determinante è
rappresentato dalla prematurità e/o dal basso peso alla nascita.
• Cause: sono di diversa natura e possono agire in diverse epoche dello sviluppo.
Le cause prenatali si riferiscono ai fattori che possono incidere prima o durante la
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gravidanza, come i fattori genetici, le infezioni (rosolia e toxoplasmosi),
intossicazioni (farmaci, fumo, alcool o sostanze stupefacenti. Le cause perinatali
si riferiscono ai fattori che possono incidere durante il parto o durante la prima
settimana di vita, come tutte le situazioni che possono determinare una distocia
del parto (difficoltà che ostacola il normale svolgimento del parto) e tutte le
situazioni che possono incidere nell’immediato adattamento del neonato. Le cause
postnatali si riferiscono alle condizioni patologiche che si verificano dopo la
prima settimana di vita come le infezioni o le intossicazioni.
• Neuropatologia: sono le alterazioni che si riscontrano a carico del sistema
nervoso e sono rappresentate da malformazioni, lesioni ipossico-ischemiche
(alterazioni che rappresentano gli esiti di una sofferenza del sistema nervo
centrale dovuta ad una ridotta disponibilità di ossigeno) ed emorragie
endocraniche (vengono suddivise in: subdurali, subaracnoidee, intracerebellari,
intraparenchimali, intraventricolari).
39
compromissione motoria) e fattori legati alla presenza di altri disturbi, cioè i disturbi
associati (disturbi dell’alimentazione, disabilità intellettiva, disturbi del linguaggio,
manifestazioni parossistiche epilettiche).
L’EMIPLEGIA CONGENITA.
È una forma di paralisi cerebrale in cui il deficit motorio interessa un emilato, in circa
il 75% dei casi si sospetta una causa prenatale e nel 25% dei pazienti si registra una
nascita pretermine. Dipende da lesioni dell’arteria cerebrale media, in particolare
un’ostruzione vascolare. Un altro aspetto frequente è la dilatazione di uno dei due
ventricoli laterali. Sul piano clinico i sintomi caratterizzanti emiplegia sono la paresi
e la spasticità a carico dell’emilato interessato con prevalenza degli arti superiori.
L’atteggiamento dell’arto superiore è molto caratteristico: si presenta flesso, con
avambraccio supinato, polso flesso, dita ipertese e pollice addotto. Sul piano
neurologico, si rilevano i segni tipici della lesione piramidale come l’ipertonia
spastica e l’aumento dei riflessi. I primi segni del deficit comincino a presentarsi tra i
3 e i 6 mesi; lo sviluppo psicomotorio è caratterizzato da un ritardo delle principali
acquisizioni motorie, ma la deambulazione autonoma viene raggiunta dal 100% dei
pazienti. L’entità della compromissione funzionale è molto variabile: si passa da casi
molto gravi in cui non vi è alcun uso dell’arto paretico, a casi lievi in cui la
compromissione si riduce soltanto ad un uso preferenziale dell’arto sano. Tra i
disturbi associati, l’epilessia rappresenta una delle evenienze più frequenti; spesso è
accompagnata dalla disabilità intellettiva da cui derivano i disturbi del linguaggio.
LA DIPLEGIA CONGENITA.
È una forma di PC in cui sono interessati entrambi gli emilati, con prevalenza degli
arti inferiori rispetto a quelli superiori. La compromissione degli arti superiori è
evidente solo nelle prime fasi di sviluppo, progressivamente si attenua nel tempo, per
cui il quadro risulta essere dominato dal deficit motorio agli arti inferiori. È molto più
frequente che in passato, e rappresenta circa il 45% dei casi di PC. Vengono
individuate due forme:
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- la diplegia atassica: si differenzia dalla forma spastica per la presenza, sul piano
neurologico, di una componente cerebellare, cioè l’atassia (perdita della ordinazione
muscolare).
LA TETRAPLEGIA.
È la forma più grave di PC. Le cause prenatali, perinatali e postnatali agiscono nello
stesso modo. Dominano i segni di natura piramidale e vi è una marcata
compromissione funzionale che investe le capacità motorie, il linguaggio,
l’alimentazione e la respirazione. L’epilessia rappresenta una complicanza
relativamente frequente, mentre la Disabilità Intellettiva è abituale.
Diagnosi. Le PC sono riscontrabili nella loro completezza solo dopo i primi anni di
vita. Va posta particolare attenzione alle cosiddette “età-chiave” dello sviluppo
41
psicomotorio, in quanto risultano idonee per la formulazione della diagnosi. Tali età-
chiave sono:
- 1° mese di vita (età del sospetto): le alterazioni riguardano anomalie del pianto,
disturbi del ritmo sonno-veglia e posture obbligate; queste alterazioni suggeriscono di
dedicare attenzione al caso.
- 9° mese di vita (età della certezza): i sintomi rilevati sono indicativi di un danno
funzionale che non configura tuttavia un definito quadro clinico.
- 12° mese di vita (età della diagnosi): viene definito il tipo di paralisi cerebrale.
Area delle Abilità Motorie. Tale area risulta quella maggiormente compromessa. Gli
interventi sono finalizzati a favorire la comparsa delle competenze posturali e
motorie. Il metodo più utilizzato è quello Bobath che prevede l’inibizione dell’attività
posturale riflessa abnorme e la facilitazione degli schemi motori e posturali normali.
Particolare spazio viene riservato alle problematica relazionali legate a queste
situazioni (vengono suggeriti esercizi che devono essere effettuati tra madre e
bambino). L’intervento sulle competenze posturali e motorie segue il soggetto nel
suo sviluppo prevedendo stimolazioni nuove basate sulle acquisizioni già raggiunte.
Gli obiettivi devono essere possibili, cioè alla portata delle capacità del bambino, ed
utili, mirare cioè all’acquisizione di competenze motorie.
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Area delle abilità Comunicativo-Linguistiche. Tali interventi mirano a
padroneggiare alcuni disturbi tipici delle PC come la disartria (disturbo
dell’articolazione della parola). Vengono indicati esercizi di respirazione, di
imitazione e di produzione sonora; in alcuni casi vengono considerati programmi di
comunicazione alternativa.
Area delle abilità Cognitive. In alcuni casi il disturbo motorio si associa a deficit
delle funzioni cognitive. Gli interventi si diversificano in rapporto all’entità della
compromissione e all’età del soggetto. Nel primi anni di vita gli esercizi sono volti a
favorire i processi di classificazione e discriminazione percettiva; negli anni
successivi, mirano a facilitare l’apprendimento ed il padroneggiamento di nuovi
sistemi di conoscenza come la lettura, la scrittura ed il calcolo.
Le epilessie
L’epilessia è la più frequente delle malattie croniche dopo il Ritardo Mentale. Esordisce
nell’infanzia e nell’adolescenza nell’80% dei casi, con conseguenze psicologiche e
sociali devastanti. Occorre, però, precisare che, quando parliamo di convulsioni, non
possiamo associarle all’epilessia. In età evolutiva, infatti, sono frequenti crisi occasionali
come le convulsioni febbrili. La crisi convulsiva deriva da una scarica improvvisa di
neuroni situati in una determinata area cerebrale. Una singola crisi non significa
epilessia. Esistono molti tipi di crisi epilettiche, con caratteristiche differenti; in Italia
vivono oltre 500.000 persone colpite da questa malattia e ogni anno di verificano circa
25.000 nuovi casi.
Cause. Le epilessie sono classificate come: idiopatiche, causate dai fattori genetici;
criptogeniche, si suppone una causa lesionale tuttavia non dimostrabile; lesionali, dovute
a causa nota.
Fisiopatologia delle crisi epilettiche. I fattori genetici e i fattori lesionali agiscono sul
neurone alterandone la soglia di eccitabilità: i neuroni raggiungono una eccitabilità
abnorme quando la membrana neuronale non può iperpolarizzarsi e, così, producono la
scarica. La scarica epilettica tende a diffondersi ad altre aree cerebrali secondo due
modalità: (1) la scarica origina dalle strutture reticolari centroencefaliche e, in questo
caso, si parla di crisi primitivamente generalizzate; (2) la scarica origina nella corteccia
cerebrale potendo rimanere limitata ad un’area corticale specifica (crisi focali) o
diffondere a strutture più profonde come i nuclei talamici e l’ippocampo
(secondariamente generalizzata).
Iter diagnostico. Per formulare una diagnosi di epilessia sono necessari due elementi: il
riscontro di una crisi di sicura natura epilettica e la tendenza delle crisi a ripetersi. Nei
confronti di un bambino che abbia presentato una crisi, è necessario intraprendere un iter
diagnostico volto a comprenderne la natura. Il primo compito del medico è quello di
effettuare un’indagine anamnestica che permetterà di capire se, all’interno della famiglia
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vi è una predisposizione a convulsivare o se vi sono fattori di rischio come la prematurità
o il basso peso alla nascita. Si inviteranno, poi, i genitori a descrivere dettagliatamente
l’intero svolgimento della crisi, eventuali sintomi che l’hanno preceduto e la fase
postcritica. Un altro momento fondamentale dell’indagine clinica è l’esame obiettivo,
cioè la valutazione delle condizioni dei singoli organi ed apparati. È, inoltre, importante
non trascurare la cronologia dell’evento, se cioè si sia verificato in veglia e/o sonno,
poiché alcuni tipi di crisi si presentano preferenzialmente in una di queste fasi. Bisogna
valutare anche l’eventuale presenza di fattori scatenanti o facilitanti le crisi, come le
stimolazioni visive intense, la privazione del sonno, stress e fattori emotivi. Si passerà,
infine, ad effettuare l’indagine strumentale attraverso l’elettroencefalogramma che può
mostrare anomalie circoscritte ad una determinata area cerebrale o presenti su tutte le
aree di registrazione. In caso di normalità del tracciato, si metteranno in atto metodiche
di attivazione (particolari stimolazioni), con lo scopo di far emergere eventuali anomalie.
Quelle maggiormente utilizzate sono: l’iperventilazione, consiste nel far respirare
profondamente il soggetto per alcuni minuti; la fotostimolazione luminosa intermittente,
consiste nel somministrare flash di luce mediante lampada stroboscopica; il sonno
spontaneo e la privazione di sonno sono di largo impiego, poiché il sonno è un attivatore
delle anomalia epilettiformi e, inoltre, durante il sonno, sono possibili registrazioni di
buona qualità, prive di artefatti da movimento, in bambini piccoli o poco collaborativi.
Di grande utilità è poi l’EEG dinamico che si basa su un principio simile a quello dell’
Holter: consente la registrazione dell’attività cerebrale durante la normale la normale
attività del soggetto per periodi prolungati (anche più giorni), consentendo di verificare
l’eventuale presenza di crisi e l’entità. La diagnostica trova il suo completamento negli
esami neuroradiologici (TAC, RMN), indispensabili nei casi in cui vi è il sospetto di
lesioni.
Clinica. Una volta orientati per una diagnosi di epilessia, è necessario comprendere
quale possa essere il tipo di epilessia. A tale scopo si fa riferimento alla classificazione
internazionale delle epilessie e sindromi epilettiche, in cui le epilessie vengono
suddivise in idiopatiche, criptogeniche e sintomatiche, ad esordio focale o generalizzato,
elencandole in rapporto all’età dell’esordio. Il primo gruppo è quello delle epilessie
parziali o focali; il secondo è quello delle epilessie generalizzate; il terzo è quello delle
epilessie per le quali non è possibile determinare un’origine focale o generalizzata; il
quarto è quello delle sindromi speciali che comprendono crisi occasionali e convulsioni
febbrili. Vi è, inoltre, la classificazione internazionale delle crisi epilettiche che
distingue le crisi epilettiche in parziali o focali, e generalizzate. Quelle parziali vengono
distinte, poi, in elementari (assenza della compromissione della coscienza), complesse
(restringimento o perdita della coscienza) e secondariamente generalizzate (precedute da
un esordio focale).
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Le crisi parziali elementari o semplici, senza compromissione della coscienza, possono
presentarsi con segni motori (scosse del volto o di un arto, rotazione degli occhi),
sensoriali (sensazioni di formicolio) e psichici (dismnesico: deja vu). Il soggetto è
cosciente ed assiste alla propria crisi.
46
tendono a recuperare del tutto una condizione di normalità e, spesso, le crisi si
risolvono spontaneamente.
• L’epilessia mioclonica benigna dell’infanzia, con lieve prevalenza nei maschi, è
una forma piuttosto rara che si manifesta tra i 6 mesi e i 2 anni di vita. Si
caratterizza per la presenza di mioclonie brevi (spasmi involontari che interessano
una piccola parte di muscolatura), interessanti il capo, le braccia ed il tronco,
senza apparente perdita di coscienza. Le scosse miocloniche si associano spesso a
cadute improvvise del capo e/o del tronco.
• L’epilessia assenza, esordisce nel bambino dopo i 3 anni di età e rappresenta la
forma più frequente di epilessia generalizzata idiopatica dell’età evolutiva con
prevalenza nel sesso femminile. Le crisi sono caratterizzate da sospensione della
coscienza e sono più frequenti al mattino, variabili in numero da un giorno
all’altro talora si accompagnano a perdita di urina e a fenomeni come pallore o
rossore del volto. Il livello intellettivo dei bambini affetti da questa forma di
epilessia è normale, ma nel 25-35% dei casi è presente un livello intellettivo
inferiore rispetto alla norma. La prognosi è favorevole con pronta risposta a
farmaci come il Valproato. Si distinguono una forma ad esordio in età prescolare
ed una forma ad esordio nella preadolescenza.
• L’epilessia mioclonica giovanile, o piccolo male impulsivo o sindrome di Janz,
rappresenta il 20% delle forme idiopatiche generalizzate. Esordisce tra i 12 e i 18
anni con crisi caratterizzate da scosse miocloniche bilaterali interessanti il capo e
gli arti superiori e più frequenti al risveglio, in soggetti normali sul piano
neurologico ed intellettivo. La prognosi è abitualmente favorevole, anche se va
sottolineato l’alto tasso di recidive dopo la sospensione dei farmaci.
• Il grande male idiopatico al risveglio, esordisce in età adolescenziale tra i 10 e i
20 anni con crisi associate a perdita di coscienza preceduta da un urlo,
caratterizzate da un irrigidimento degli arti e possibile morsicatura della lingua.
Segue una fase clonica, caratterizzata da scosse ritmiche; al termine della crisi il
paziente presenta un coma che varia da pochi minuti ad alcune ore. Fenomeni
associati sono: cianosi del volto, emissione di bava dalla bocca, perdita di urine,
tachicardia. Fattori scatenanti sono: l’eccessivo affaticamento, l’abuso di alcolici,
stimolazioni luminose sia naturali che artificiali.
L’epilessia con assenze miocloniche, è la terza forma di questo gruppo. Esordisce tra i
2 e i 12 anni ed è caratterizzata da crisi di assenza con inizio e fine improvvisi. Le
assenze si accompagnano a mioclonie ritmiche, interessanti i muscoli delle spalle e delle
braccia.
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L’epilessia mioclono-astatica di Doose, prevale nei maschi in assenza di lesioni
cerebrali evidenti. Esordisce tra i 2 e i 5 anni con crisi caratterizzate da caduta brusca del
capo e/o del tronco. L’evoluzione, nella metà dei casi, mostra la scomparsa delle crisi
dopo due anni dall’esordio.
L’epilessia parziale benigna con punte-onda occipitali (EPO), con prevalenza nel
sesso femminile, esordisce all’età di circa 6 anni. È caratterizzata da crisi parziali
semplici e/o complesse a predominante contenuto visivo, con sintomi negativi (perdita
transitoria della vista) e positivi (allucinazioni visive di colori o figure geometriche).
Seguono cefalea, nausea e vomito in circa 1/3 dei casi.
1. Le epilessie del lobo frontale si caratterizzano per la presenza di crisi parziali con
manifestazioni motorie, toniche o posturali; frequenti sono le crisi di caduta.
2. Le epilessie del lobo parietale si esprimono con crisi costituite da fenomeni
positivi (sensazioni di dolore ed allucinazioni visive) e fenomeni negativi
(vertigini e disturbi del linguaggio).
3. Le epilessie del lobo occipitale si caratterizzano per manifestazioni visive e
motorie.
4. Le epilessie del lobo temporale si esprimono con crisi costituite da sintomi
vegetativi e/o psichici, olfattivi e uditivi o da sensazioni di brucione epigastrico.
49
Fanno parte di questo gruppo tre quadri sindromici: l’epilessia mioclonica grave
dell’infanzia o sindrome di Dravet, l’epilessia con punte-onda continue durante il sonno
lento e la sindrome di Landau- Kleffner.
50
della terapia varia in base al tipo di epilessia o sindrome epilettica. Un accenno va fatto
al concetto di “farmacoresistenza” che si distingue in vera e falsa. La prima si verifica
quando non si ottiene il controllo della sintomatologia nonostante una terapia condotta in
maniera corretta; quella falsa può derivare da errori di inquadramento sindromico o nella
scelta del farmaco. In circa il 10% dei pazienti con farmacoresistenza vera è possibile
valutare un intervento neurochirurgico. Tra i trattamenti alternativi farmacologici vanno
considerati la radioterapia, lo stimolatore vagale e la dieta chetogena.
Convulsioni febbrili.
Una manifestazione molto frequente è la sincope, che si distingue in: lipotimia, consiste
in obnubilamento della coscienza accompagnato da pallore, vertigini e nausea; sincope,
dura circa 10 secondi ed evolve in una totale perdita della coscienza con abolizione del
tono muscolare, che determina la caduta del soggetto; sincope convulsiva, dura più di 10
secondi ed inizia come sincope semplice. Il soggetto caduto a terra, presenta uno spasmo
tonico seguito da morsicatura della lingua e perdita di urine. Sul piano etiopatogenetico è
possibile distinguere tre varietà di sincopi: cardiache, bulbari e riflesse. Una
manifestazione parossistica non epilettica che può porre problemi particolari di diagnosi
differenziale con l’epilessia di tipo parziale è la vertigine parossistica benigna
dell’infanzia: il bambino, all’improvviso, sente girare tutto in torno, è spaventato e tenta
di afferrarsi alle gambe della madre o di rimanere in braccio ad essa. Tutto dura alcuni
minuti con il completo ritorno alle normali attività. Si presenta tra i 2 ed i 5 anni per poi
scomparire.
51
Capitolo 18: LA DISABILITA’ INTELLETTIVA.
Esordio della disabilità intellettiva nelle prime fasi dello sviluppo. L’esordio,
abitualmente avviene prima dei 18 anni. Ciò significa che le condizioni cliniche
caratterizzate da limitazioni del funzionamento intellettivo e del comportamento adattivo
che insorgano “da adulto” non possono essere indicate con la denominazione di DI, ma
vanno indicate con quella di Demenze. Inoltre, datare l’esordio prima dei 18 anni
significa conferire a tale disabilità le caratteristiche che sono proprie dei Disturbi del
Neurosviluppo. Quando si manifesta una DI, si presenta una situazione in cui, durante lo
sviluppo del soggetto, aumentano le richieste ambientali, ma non aumenta di pari passo
l’organizzazione neurobiologica e funzionale a fronteggiare tali richieste.
Incidenza e cause. La DI è uno dei quadri clinici più frequenti in età infantile ed è
dovuta a cause molto diverse fra loro. Generalmente vengono distinti i Fattori Genetici,
alterazioni geniche e aberrazioni cromosomiche (possono interessare il numero o la
struttura, la più frequente è la trisomia 21, cioè la sindrome di Down), e Fattori
Acquisiti, danni che agiscono dall’esterno sul sistema nervoso centrale.
Quadro clinico. Si differenzia in base ad alcuni fattori, tra cui vanno menzionati:
52
C. La natura dell’affezione di base da cui dipende la Disabilità Intellettiva;
D. La presenza di eventuali disabilità.
Il ritardo globale dello sviluppo. Questa condizione clinica viene a definirsi nei primi 5
anni di vita, in cui è presente la mancata acquisizione delle competenze motorio-
prassiche, comunicative, linguistiche e cognitive nei tempi abitualmente previsti da uno
sviluppo tipico.
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Disturbi del linguaggio, Disturbi d’ansia, Disturbi dell’umore, Disturbi da
comportamento dirompente.
Diagnosi. Nei confronti di un bambino con prestazioni inadeguate rispetto a quelle che
l’età cronologica prevede, l’osservazione neuropsichica e i reattivi mentali permettono di
formulare la diagnosi di Disabilità Intellettiva.
Esame neurologico. Oltre a fornire gli elementi utili per la formulazione della diagnosi,
può mettere in evidenza segni neurologici lievi.
Terapia. Non esiste la terapia della Disabilità Intellettiva. Tuttavia, devono essere presi
in considerazione una serie di interventi con l’obiettivo di garantire l’adattamento del
soggetto al contesto sociale. All’interno del PTP vengono presi in considerazione gli
interventi: riabilitativi, psico-educativi, psicoterapeutici e farmacologici.
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Gli interventi riabilitativi. Si tratta di interventi rivolti a facilitare la realizzazione delle
competenze neuromotorie, comunicativo-linguistiche ed affettivo-relazionali. La terapia
della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva prevede interventi con carattere
riabilitativo ed abilitativo. Gli interventi con carattere riabilitativo sono rivolti alle
menomazioni che riguardano le funzioni cognitive, mentre gli interventi con carattere
abilitativo si rivolgono alla facilitazione delle attività del soggetto. La logopedia è un
trattamento che si rivolge all’organizzazione ed alla riorganizzazione delle funzioni
linguistiche che risultano abitualmente compromesse nel soggetto con disabilità
intellettiva. La terapia occupazionale prevede interventi organizzati in laboratori
strutturati come, ad esempio, i laboratori artigianali.
Gli interventi farmacologici. Non esiste un farmaco per l’intelligenza. In passato è stata
data importanza ad alcuni farmaci psicotropi capaci di attivare le funzioni mentali.
Tuttavia, possedendo queste sostanze una generica azione stimolante l’attività della
cellula nervosa, possono essere utilizzate soltanto nei casi in cui vi è un particolare stato
di torpore.
LA SINDROME DI DOWN.
Età materna. È stata dimostrata una correlazione positiva tra l’età materna all’epoca del
concepimento e l’incidenza di nascite di bambini affetti dalla sindrome di Down: con
l’aumentare dell’età della madre, aumenta proporzionalmente il numero di nascite di
soggetti affetti dalla sindrome di Down.
55
e/o altre sindromi da aberrazione cromosomica. Ciò ha indotto diversi ricercatori a
prendere in considerazione l’ipotesi dell’esistenza di una predisposizione genetica.
Diagnosi. La diagnosi viene formulata in base all’esame del cariotipo, che oltre a
confermare la presenza del cromosoma soprannumerario, permette di definire l’assetto
cromosomico.
Terapia e prevenzione. Non esiste una terapia specifica per la sindrome di Down, ma
vari interventi che cercano di rispondere ai diversi bisogni che il bambino può
presentare. La prevenzione è limitata ai casi di trisomia della traslocazione, in cui
l’esame del cariotipo dei genitori permette di calcolare il rischio genetico. La diagnosi
prenatale viene effettuata attraverso l’esame del cariotipo condotto sui villi coriali (a
partire dalla sesta settimana di gestazione) o su cellule del liquido amniotico
(amniocentesi), effettuabile a partire dalla quattordicesima settimana di gestazione.
LA FENILCHETONURIA.
Clinica. Nella maggioranza dei casi alla nascita non si rileva alcun sintomo specifico.
Infatti, la diagnosi si basa solo sul dosaggio fenilalaninemia. La terapia consiste nel
controllare l’apporto di fenilalanina con la dieta. Il precoce riconoscimento del deficit
enzimatico e la conseguente dietoterapia riescono a prevenire l’insorgenza della
disabilità intellettiva. L’importanza della prevenzione si è tradotta nell’adozione di un
test effettuato sistematicamente alla nascita: consiste nel prelievo di una goccia di
sangue dal tallone che verrà sottoposto ad indagini di laboratorio. Le donne
fenilchetonuriche trattate, che vadano incontro a gravidanza vanno attentamente valutate.
Solitamente, i figli, presentano sintomi come: microcefalia, basso peso alla nascita,
malformazioni cardiache e ritardo globale dello sviluppo.
L’IPOTIROIDISMO CONGENITO.
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appena formulata la diagnosi). La terapia tempestiva garantisce un normale sviluppo
somatico e neuropsichico.
• PRIMO ANNO DI VITA. Nel corso del primo anno di vita, la compromissione
dell’interazione sociale è espressa dal deficit del canale di scambio privilegiato
durante questo periodo: il contatto occhi-occhi (molti genitori riferiscono
comportamenti come “sfuggenza dello sguardo”, “sguardo assente”). Nel primo
anno di vita sono frequenti anche le anomalie delle posture corporee; il bambino,
inoltre, prova un’insofferenza per il contatto fisico con conseguente adozione di
comportamenti di evitamento. Di conseguenza i genitori non riescono a tenere in
braccio il bambino. Queste ultime caratteristiche sono riconducibili al disturbo del
58
dialogo tonico, il modo, cioè, di entrare in uno scambio relazionale con l’altro.
Sono presenti, inoltre, atipie relative alle espressioni facciali, di tipo qualitativo e
quantitativo
• ETA’ PRESCOLARE. La compromissione dell’interazione sociale si arricchisce
di comportamenti sempre più caratteristici: il bambino tende ad isolarsi; non
risponde quando viene chiamato; non rende l’altro partecipe delle sue attività;
utilizza l’altro in maniera strumentale solo per l’appagamento momentaneo delle
sue esigenze (prende il braccio di un bambino senza guardarlo negli occhi e lo
indirizza verso una cosa che non riesce a prendere da solo). Il rapporto
interpersonale è compromesso, ma mai del tutto assente: il bambino si limita a
richiedere qualcosa o qualche azione, non condividendo interessi, bisogni ed
emozioni. Anche se l’isolamento e la chiusura in se stessi rappresentano tratti
patognomici, vi sono anche casi in cui il bambino sembra cercare il contatto con
l’altro in maniera attiva attraverso comportamenti che, però, si mostrano subito
atipici come: contatto fisico molto intimo con sconosciuti; dispensano baci ed
affettuosità a persone viste per la prima volta; invasione dello spazio personale
dell’altro. Va segnalata, inoltre, la possibile presenza di un attaccamento morboso
nei confronti di una figura privilegiata (solitamente quella materna). Nel
complesso possono essere distinti alcuni profili di interazione: bambini
inaccessibili, bambini passivi, bambini attivi-ma bizzarri. Questi diversi profili
possono variare nel corso dello sviluppo. Infine, gli strumenti utilizzati dal
bambino per la comunicazione sono poco strutturati ed elementari, configurando,
quindi, anche un disturbo del linguaggio.
• ETA’ SCOLARE.A partire dai sei anni il modo con cui si manifesta il deficit
dell’interazione e della comunicazione sociale, comincia a differenziarsi in
maniera definita fra soggetto e soggetto. Vengono a caratterizzarsi diversi “livelli”
di gravità. Nelle forme severe (livelli 3) il bambino mostra una marcata chiusura
relazionale, dedicandosi esclusivamente alle sue attività e presentando segni di
disaggio o rabbia quando l’altro cerca di intromettersi nel suo gioco. Il linguaggio
verbale è assente. Nelle forme lievi (livelli 1), invece, il bambino stabilisce
relazioni interpersonali semplici, anche se la qualità degli scambi è condizionata
da un’inadeguatezza delle competenze di percezione e cognizione sociale. In
rapporto ad alcuni aspetti temperamentali, possono configurarsi due profili
caratteristici: un profili “esternalizzante” (interviene a sproposito, invade lo spazio
dell’altro, si parla addosso, è poco attento ai messaggi dell’altro) ed un profilo
“internalizzante” (lo sguardo è sfuggente, la mimica è poco modulata, si limita a
rispondere alle domande con enunciati essenziali, è goffo nel movimenti). In
questo contesto, il linguaggio possiede un ruolo importante nella connotazione del
carattere. La compromissione del linguaggio, ad eccezione dei casi in cui si
presenti come un disturbo associato, investe la componente non verbale del
59
parlato e la pragmatica (incapacità di riconoscere metafore, doppi sensi e motti di
spirito).
• ETA’ ADOLESCENZIALE. I soggetti di livello 3 continuano a presentare forti
chiusure relazionali con un’aderenza molto passiva alle richieste del contesto. I
soggetti di livello 1 presentano un’emergente motivazione sociale, ma le modalità
a cui ricorrono per avviare una relazione interpersonale, risultano bizzarre.
Il repertorio di attività ed interessi ristretto e ripetitivo. Si tratta del modo con cui il
soggetto si rapporta all’oggetto, presentando una serie di atipie comportamentali quali:
movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi; insistenza nella
monotonia; interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità;
iper-oipo-reattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti
sensoriali dell’ambiente.
60
assumere diversi aspetti, quali: camminare sulle punte, imprimere alle mani
atteggiamenti particolari, leccare, annusare, essere attratto da particolari sonorità o
presentare una particolare avversione, guardare gli oggetti sotto angolazioni
insolite.
61
serie di circostanze, interne ed esterne al soggetto. Di conseguenza, anche i sintomi si
manifestano progressivamente.
Livello 3 (Forme molto severe): si tratta dei casi in cui il bambino, già a partire dal
primo anno di vita, presenta modalità atipiche di rapportarsi all’oggetto e alle persone,
come: limitare l’interesse a determinati oggetti; guardarsi ripetutamente le mani; non
rispondere al sorriso; non adattarsi alla postura dell’altro in braccio; vivere in un “mondo
tutto suo”; isolarsi; ripetere gli ultimi suoni e le parole udite. In questi casi, è possibile
formulare una diagnosi a partire dai 18 mesi di vita.
Livello 1 (Forme molto lievi): si tratta di casi in cui il bambino comincia a manifestare i
sintomi dopo i 18 mesi. Il bambino, infatti, tende ad estraniarsi dall’ambiente, si
disinteressa dei coetanei, si impegna in attività motorie stereotipate, non pronuncia
alcuna parola con finalità comunicativa. In alcuni casi, denominati forme regressive, la
comparsa dei sintomi interrompe uno sviluppo che sembrava procedere normalmente. La
regressione, tuttavia, è solo apparente, in quanto, attraverso un’anamnesi accurata,
possono essere messi in evidenza dei segni atipici precedenti. Nelle forme lievi, fattori
favorevoli interni (buone capacità di regolazione e controllo degli impulsi, soddisfacente
adattamento emozionale) ed esterni (esperienze emozionali o relazionali favorevoli),
possono impedire che i sintomi assumano una rilevanza clinica.
Traiettorie evolutive. Tutti i soggetti con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico
formulata entro i primi 3 anni di vita, presentano un miglioramento a carico
dell’interazione e della comunicazione sociale, specialmente durante l’adolescenza.
Questa tendenza, ovviamente, riguarda in maniera minore i soggetti affetti da forme
severe, mentre quelli affetti da forme lievi presentano modifiche molto più significative.
Il miglioramento, però, non è sempre legato all’interazione e alla comunicazione, ma
spesso coincide con un miglioramento dell’adattamento. Con il termine “adattamento” si
fa riferimento al comportamento che il soggetto assume nei contesti abituali della vita:
quanto più sono aderenti al contesto, tanto migliore viene definito il suo adattamento.
62
una condizione patologica. Ciò che si manifesta sul piano clinico viene definito come un
fenotipo comportamentale, cioè il fenotipo autistico. Cercare le cause del Disturbo dello
spettro autistico significa, pertanto, cercare “qualcosa” che sta sotto il fenotipo
comportamentale osservabile, ossia l’endofenotipo funzionali. Le disfunzioni
dell’endofenotipo sono riconducibili, a loro volta, ad anomalie che investono una serie di
strutture neurobiologiche di fondo (endofenotipo strutturale).
Con il termine di FE vengono indicate una serie di abilità che risultano determinanti
nell’organizzazione e nella pianificazione dei comportamenti di risoluzione dei
problemi. Tali abilità sono: capacità di attivare e mantenere attiva un’area di lavoro,
capacità di formulare un piano d’azione, capacità di inibire risposte impulsive, capacità
di spostare in modo flessibile l’attenzione sui vari aspetti del contesto. Un disturbo delle
FE può spiegare molti comportamenti del fenomeno autistico come la rigidità dei
processi di attenzione o la scarsa capacità di adattamento ambientale. Tuttavia, un deficit
delle FE può essere riscontrato in altri quadri clinici diversi dall’autismo, rendendo, in
questo modo, complessa la formulazione della diagnosi.
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I fattori etiologici. Alcuni fattori sembrano assumere un ruolo etiologico nella
determinazione del quadro clinico. Si tratta di: patologie legate alla gravidanza e al
parto; alterazioni neurochimiche; disfunzioni connesse con il sistema immunitario;
intossicazioni; fattori genetici.
Noxae patogene legate alla gravidanza, al travaglio o alla fase post-natale, sono state
segnalate come possibili cause, nonostante la maggioranza dei lavori effettuati in questo
senso non hanno confermato questo orientamento.
ALTERAZIONI NEUROCHIMICHE
Diverse ricerche hanno riportato elevati livelli di metaboliti della dopamina nel sangue,
nelle urine e nel liquido cefalo spinale. Ciò ha indotto ad ipotizzare una disfunzione
dopaminergica, in particolare: incapacità di produrre dopamina, insensibilità o basso
numero di ricettori dopaminergici, impossibilità della dopamina di svolgere le sue
funzioni. Anche per quanto riguarda la serotonina, è stata ipotizzata una disfunzione
relativa ad elevati livelli di serotonina nel sangue e nelle urine. Alcune ricerche, inoltre,
avrebbero messo in evidenza elevati livelli di ossitocina ne sangue e nel liquido cefalo
spinale e un’elevata escrezione urinaria di peptidi.
Si tratta di un’area di ricerca che sta suscitando grande interesse in relazione a: elevata
frequenza di affezioni allergiche ed autoimmunitarie nei genitori di soggetti
autistici,presenza di manifestazioni allergiche connesse al sistema immunitario, presenza
di indicatori di processi auto-immunitari in una significativa percentuale.
INTOSSICAZIONI
Fra le sostanze tossiche è stato spesso enfatizzato il possibile ruolo di metalli pesanti
come il mercurio e la contaminazione ambientale legata all’uso di pesticidi ed insetticidi.
Un’ipotesi molto diffusa è quella della “leaky gut”, secondo cui, nei soggetti affetti da
Disturbo dello spettro autistico, sarebbe presente un’eccessiva permeabilità
dell’intestino, dovuta ad un’infiammazione a carico della parete intestinale, che dà luogo
al passaggio di alcune sostanze.
FATTORI GENETICI
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Sembrerebbero assumere un significato preminente. Per quanto riguarda la familiarità,
infatti, gli studi hanno messo in evidenza: concordanza nei gemelli variabile dall’86% al
92%; nei fratelli, non gemelli, l’incidenza sarebbe del 2%; presenza di particolari stili
cognitivo-comportamentali, interpretati come modalità atipiche, fra ascendenti e
collaterali. Spesso, inoltre, un fenotipo comportamentale di tipo autistico viene
riscontrato in una serie di quadri clinici come: la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosa,
la fenilchetonuria, la sindrome dell’X fragile.
L’esame clinico generale. Deve avvalersi della documentazione medica fornita dai
genitori e va integrato con un esame finalizzato a mettere in evidenza segni del tipo:
dismorfismi cranio-facciali; macro/microcefalia; dismorfismi somatici; malformazioni;
manifestazioni dermatologiche. L’esame permette di acquisire informazioni determinanti
per la formulazione delle cause del quadro clinico.
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in esame i comportamenti del soggetto in tutti gli abituali contesti di vita al fine di
individuare gli elementi utili a formulare una diagnosi di un disturbo dello spettro
autistico. L’intervista, inoltre, non si limita ai soli comportamenti correnti, ma
cerca di ricostruire il percorso evolutivo del soggetto. In un tempo (2 ore circa) un
operatore riesce ad attribuire un punteggio in rapporto ad un algoritmo
diagnostico che prevede a discriminare fra autismo/non autismo.
• AUTISM DIAGNOSTIC OBSERVATION SCHEDULE (ADOS). Può essere
utilizzato a partire dai 2 anni ed è un esame complementare a quello precedente e
si basa sull’osservazione diretta e standardizzata del bambino. Si struttura in
moduli (prove selezionate in base all’età e al livello linguistico) che esplorano il
comportamento sociale in contesti comunicativi naturali. La somministrazione
richiede dai 30 ai 45 minuti e procedure di convalida specifiche.
• CHILDHOOD AUTISM RAITING SCALES-SECOND EDITION (CARS2). Si
tratta di una scala di valutazione del comportamento autistico che permette di
esplorare 15 aree di sviluppo (imitazione, affettività, utilizzo del corpo, reazioni
d’ansia, etc), attraverso la raccolta di informazioni in contesti vari. Ad ogni area
viene assegnato un punteggio da 1 a 4. Per determinare il grado di anormalità
nelle aree di sviluppo analizzate, l’esaminatore deve considerare le caratteristiche
la frequenza, l’intensità e la durata del comportamento considerato; la somma dei
punteggi riportati in ciascun area può variare da 15 a 60. Lo strumento può essere
utilizzato a partire dai 2 anni.
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competenze di ordine adattivo. Le strategie vanno scelte in rapporto all’età del
soggetto, all’entità della sintomatologia, all’eventuale presenza di disturbi
associati e alle caratteristiche del profilo funzionale del soggetto. Vanno
segnalate: la pratica psicomotoria, cerca di attivare sequenze di interazione,
nell’ambito delle quali il bambino riesce ad accedere ad esperienze internamente
vissute, utili per la costruzione e la riorganizzazione di stati mentali; le tecniche di
modifica del comportamento, analizzano il comportamento su cui agire,
definiscono gli obiettivi e ricorrono, poi, al rinforzamento e modalità capaci di
determinare la scomparsa o comparsa del comportamento; le tecniche di
comunicazione aumentativa ed alternativa, favoriscono qualsiasi forma di
comunicazione che possa permettere al bambino scambi più efficienti ed efficaci
con l’ambiente significativo.
- INTERVENTI PSICO-EDUCATIVI. Mirano a favorire l’adattamento del
soggetto all’ambiente attraverso un programma educativo da mettere in atto negli
abituali contesti di vita del soggetto, coinvolgendo i genitori.
- ALTRI TIPI DI INTERVENTO. Si tratta di alcune proposte terapeutiche come:
l’ippoterapia, l’idroterapia o la musicoterapia; vengono considerate come attività
da inserire nel PTP.
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Il Disturbo di Asperger. Si tratta di un quadro clinico caratterizzato dalla
compromissione dell’interazione e della comunicazione sociale. Viene messo, inoltre, in
evidenza un repertorio di attività ed interessi ridotto. Il soggetto, tuttavia, presenta un
livello intellettivo nella norma ed un linguaggio normostrutturato. Viene, pertanto,
solitamente diagnosticato con l’ingresso nella scuola primaria. L’evoluzione a lungo
termine è positiva, anche se, spesso l’ingresso nell’età adolescenziale può determinare la
comparsa di quadri neurologici gravi come depressione, disturbi d’ansia o quadri
psicotici.
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attendere il proprio turno e si intromette nei giochi o nelle conversazioni degli altri in
maniera invadente.
I sottotipi clinici. Possiamo distinguere tre gruppi: nel primo prevalgono l’impulsività e
l’iperattività; nel secondo prevale la disattenzione; nel terzo prevalgono i tre tipi di
comportamento.
Decorso. Il DDAI comincia a manifestarsi nei primi anni di vita, ma l’epoca abituale in
cui il disturbo comincia ad incidere significativamente sul funzionamento adattivo è
l’inizio della scuola primaria. Il disturbo si evolve in maniera differente a seconda di
alcuni fattori come il diverso grado di espressività dei sintomi caratterizzanti e la severità
di ciascuna dimensione. Il disturbo persiste in età adulta ance se assume un’espressività
diversa.
L’osservazione: vanno considerati alcuni aspetti come il modo con cui il bambino entra
nella stanza, investe lo spazio, si rapporta all’oggetto, aderisce alle proposte
dell’esaminatore, si impegna nel compito e resiste alle distrazioni. Per la formulazione di
una diagnosi definitiva, però, è necessario verificare se i comportamenti del bambino
osservati in ambito clinico caratterizzano il modo di essere del soggetto anche nei
contesti di vita abituale.
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dell’attenzione, mentre quelli di commissione sono utili per la valutazione
dell’impulsività.
Si tratta di un gruppo di quadri clinici che rappresentano uno dei motivi più frequenti di
consultazione in Neuropsichiatria Infantile. I quadri clinici sono caratterizzati da due
71
aspetti quali il disturbo della regolazione dell’emotività e/o del comportamento e
l’assunzione di atti e modalità reattive che violano i diritti degli altri, mettendo il
soggetto in situazioni di conflittualità con le figure che rappresentano l’autorità. I quadri
clinici inclusi nel gruppo sono: il Disturbo della condotta e il Disturbo oppositivo-
provocatorio.
Il Disturbo della condotta con emozioni prosociali limitate. Sul piano affettivo-
relazionale, i soggetti affetti da Disturbo della Condotta presentano una scarsa attenzione
per i sentimenti, i desideri e il benessere degli altri. In particolare, il soggetto è
caratterizzato da tratti denominati “tratti calloso-anemozionali” che sono: assenza di
sensi di colpa e di rimorso nei confronti delle conseguenze delle loro azioni; mancanza
di empatia; scarsa espressione delle emozioni; menefreghismo; disinteresse nei confronti
delle attività che vengono abitualmente ritenute importanti.
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un significato preminente in quanto agiscono dall’esterno sullo sviluppo affettivo-
relazionale del bambino.
Aumentata sensibilità nei confronti della minaccia. La sensibilità alle minacce rientra in
un sistema di protezione con finalità adattive, in quanto permette di percepire una
situazione di pericolo e mettere in atto dei comportamenti difensivi. Se il pericolo è
lontano, il soggetto si limita a bloccarsi e a monitorarlo; se il pericolo si avvicina e
rappresenta una minaccia reale il soggetto fugge; se il pericolo lascia poco spazio ad
un’eventuale fuga, il soggetto combatte. L’amigdala riveste un ruolo importante in
questa funzione, in quanto è una parte del cervello preposta a determinare l’intensità
della risposta nei confronti di una minaccia. Un’eventuale iperattività dell’amigdala
aumenta la probabilità che si verifichi una risposta aggressiva sproporzionata all’entità
dell’evento o dello stimolo.
Diagnosi. Si basa sull’osservazione diretta e sul colloquio con il soggetto, sul colloquio
con i genitori e sulla documentazione da loro esibita. Le informazioni raccolte
permettono di valutare: il tipo di comportamenti atipici presentati dal soggetto; la loro
durata, frequenza ed intensità; le caratteristiche dell’ambiente in cui vive il soggetto; le
modalità affettivo-pedagogiche che caratterizzano la relazione genitore-bambino; la
presenza di altri tipi di disturbo come fobie, enuresi o ansia generalizzata. La diagnosi
non è limitata a definire le caratteristiche dei comportamenti osservati e riferiti, ma è
finalizzata a valutare le caratteristiche del mondo interno del soggetto. La conoscenza di
73
tali dinamiche è fondamentale per la formulazione del piano di trattamento . Il processo
diagnostico, infine, va a valutare l’eventuale presenza di quadri clinici associati.
Terapia. Prevede: interventi farmacologici, limitati a situazioni in cui sono presenti altre
condizioni patologiche associate; interventi riabilitativi, vanno presi in considerazione
nelle situazioni in cui il DC si associa ai disturbi del neurosviluppo; interventi psico-
educativi, prevedono la creazione di spazzi in cui il soggetto possa esprimersi e
confrontarsi con modelli di comportamento strutturati; interventi psicoterapeutici, ad
orientamento psicodinamico (utili nell’elaborazione delle dinamiche conflittuali), ad
orientamento sistemico-relazionale (supporto nelle situazioni in cui la disfunzione
investe l’intera famiglia), ad orientamento cognitivo-comportamentale (modifica del
comportamento e riorganizzazione cognitiva del funzionamento mentale del soggetto).
Nella maggioranza dei casi il disturbo tende a scomparire con l’età adulta, mentre in altri
casi il disturbo persiste, manifestandosi con condotte antisociali.
IL DISTURBO OPPOSITIVO-PROVOCATORIO.
Clinica. Il quadro clinico esordisce in età prescolare e si esprime con: umore collerico
e/o irritabile; comportamento polemico e/o provocatorio; tendenza alla vendicatività.
Umore collerico e/o irritabile. Bassa tolleranza nei confronti delle frustrazioni. Il
soggetto va in collera per motivi apparentemente banali e a volte non sembrano esserci
motivi ai suoi scoppi di collera. Il soggetto è irritabile e permaloso.
Tendenza alla vendicatività. Il soggetto non riesce ad elaborare i vissuti di rabbia e, così,
mette in atto strategie vendicative.
Diagnosi. La diagnosi del DOC pone una serie di difficoltà relative sia al fatto che si
esprime con comportamenti molto diffusi nella popolazione generale, sia al fatto che i
sintomi possono essere inquadrati in altre psicopatologie.
In un’alta percentuale di casi il DOP finisce per associarsi ad altri quadri patologici
come il Disturbo d’ansi o il Disturbo depressivo.
Clinica. Il paziente è cosciente del verificarsi dei tic e li avverte come un bisogno, la cui
soddisfazione procura una riduzione dello stato di tensione. Il disturbo insorge intorno ai
75
7 anni; inizialmente i tic sono di tipo motorio semplice, localizzati agli occhi o alla
faccia, successivamente si estendono al tronco e agli arti diventando più complessi ed
associandosi a tic vocali. Un carattere che va sottolineato è la suggestionabilità: il
soggetto, cioè, presenta una tendenza a ripetere i gesti osservati e i suoni uditi da altri o
emessi da lui stesso. I disturbi frequentemente associati sono i Disturbi d’Ansia, il
Disturbo da Deficit dell’Attenzione con Iperattività, il Disturbo Ossessivo-Compulsivo.
La comunicazione viene definita come lo scambio di messaggio fra due o più persone;
affinché possa realizzarsi lo scambio c’è bisogno di un sistema di codici. I codici
comunicativi sono: il linguaggio verbale; il linguaggio non verbale (segno, gesti,
mimica); l’uso e/o la comprensione di elementi contestuali che integrano il significato
del messaggio, i disturbi della comunicazione comprendono: Disturbo del linguaggio;
Disturbo fonetico-fonologico; Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia
(balbuzie); Disturbo della comunicazione sociale.
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automatizzare. In molti casi, il disturbo del linguaggio è “secondario”, viene cioè
considerato sintomo di un quadro sindromico più complesso; in altri casi è “primario”,
nel senso che non può essere attribuito ad un’altra malattia o condizione patologica.
Cause. Le cause del disturbo del linguaggio non sono conosciute. Si fa spesso
riferimento ai fattori ambientali, come l’ipostimolazione della funzione linguistica, o a
fattori genetici, mettendo in evidenza una particolare ricorrenza di disturbi del
linguaggio in ascendenti e collaterali.
Clinica. L’esordio del disturbo del linguaggio è molto precoce; coincide, infatti, con
l’epoca abituale di insorgenza del linguaggio. Il bambino presenta un “ritardo” relativo
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a: l’emergenza delle prime parole; l’emergenza della capacità di associare più parole in
frasi semplici; l’emergenza della capacità di organizzare frasi complesse; l’emergenza
della capacità di raccontare e sostenere una conversazione.
Le forme lievi. Esordiscono e si risolvono in età prescolare o con l’ingresso nella scuola
primaria. Il bambino, all’età di 2 anni, ha un vocabolario limitato a dieci parole che non
utilizza nello scambio comunicativo; non sa dire il suo nome, né l’età che ha. All’età di
circa 4 anni il bambino comincia a strutturare frasi, utilizzandole per gli scambi
comunicativi. Persistono, tuttavia, deficit fonologici. All’età di 5 anni il linguaggio
subisce una forte accelerazione e le difficoltà si attenuano fino a scomparire.
Le forme gravi. L’entità del deficit è tale che, anche da adulto, il soggetto ha un
linguaggio caratterizzato da gravi limitazioni funzionali.
Diagnosi. Si basa su: anamnesi, esame clinico generale, esame neurologico, esame
psichico, indagine di laboratorio. Gli obiettivi del processo diagnostico sono: stabilire il
livello di sviluppo del linguaggio, caratterizzare il tipo di disturbo, valutare l’eventuale
presenza di patologie neuropsichiatriche associate.
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Cause. Risultano indefinite. Possono essere riconducibili a: familiarità; sesso
(prevalenza per il sesso maschile); disturbi della lateralizzazione; ritardi del linguaggio.
Si ipotizza che alla base del disturbo vi sia un fattore organico a forte componente
genetica. Le ipotesi neuropsicologiche, invece, affermano che la balbuzie sarebbe
riferibile ad una disfunzione dei circuiti di controllo della parola. L’orientamento
psicogenetico tende ad enfatizzare un riscontro rappresentato da uno stretto legame tra
balbuzie e condizioni emotive.
Clinica. La balbuzie viene suddivisa in tonica, quando uno spasmo ostacola l’avvio del
suono o il passaggio da un suono a quello successivo; clonica, quando l’inceppo
nell’eloquio è dovuto alla ripetizione di un suono che in genere è la prima sillaba o la
prima parola della frase. Il disturbo della fluenza è accompagnato da sincinesie
(movimento compiuto da un arto involontariamente) e turbe vegetative e respiratorie. In
alcuni casi, si hanno periodi anche di mesi di remissione della sintomatologia, che fanno
pensare alla guarigione della malattia. Tuttavia, il disturbo si ripresenta. Il disturbo può
comparire nel corso del terzo anno di età o tra i 6 e i 10 anni; raramente si instaura
nell’adolescenza o nell’età adulta.
Prognosi. Nella maggioranza dei casi il disturbo si risolve durante l’età evolutiva; tende
a persistere solo nel 30% dei casi.
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contesto. Nell’ambito della pragmatica, inoltre, rientra anche la capacità richiesta al
soggetto di assumere la prospettiva dell’altro per adattare l’eloquio a quello che si
immagina siano le conoscenze dell’altro.
Clinica. Il disturbo esordisce in età scolare, quando il confronto con i pari e le richieste
di un linguaggio che sappia adeguarsi alle esigenze narrative e conversazionali imposte
dalla nuova fase evolutiva, rendono evidenti le difficoltà del soggetto. Lo stile
comunicativo viene spesso interpretato come un disturbo del pensiero; così, il soggetto
genera il sospetto di una persona che ha bisogni educativi speciali.
Il Disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) include una serie di quadri clinici in cui
l’elemento caratterizzante è un deficit che riguarda una o più abilità scolastiche. Il deficit
può riguardare, infatti, la lettura, la scrittura o il calcolo; non è riconducibile a patologie
neuromotorie, cognitive o psicopatologiche, ma riguarda specificamente il processo
dell’apprendimento. Si presenta maggiormente nei maschi.
Clinica. Il quadro clinico si rende evidente con l’inizio della scuola primaria: il deficit
può interessare la lettura, la scrittura o il calcolo; in alcuni casi, può compromettere più
aree contemporaneamente.
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DSA con compromissione della lettura. La rilevanza clinica varia in rapporto alla
severità della compromissione. Un soggetto legge male per problemi che possono
riguardare l’accuratezza, la velocità o la comprensione del testo letto.
DSA con compromissione della scrittura. Le difficoltà iniziano con la scuola primaria,
dove il bambino può scrivere male per problemi che riguardano la grafia, l’ortografia o
la composizione del testo.
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piccole quantità; nella seriazione; nella comparazione; nella comprensione dei segni e
termini matematici; nell’apprendere i concetti relativi alle operazioni aritmetiche.
- i disturbi associati, spesso sono associati i seguenti quadri clinici: disturbi del
linguaggio, disordini della lateralizzazione e disturbi emotivi. Vengono considerati non
come causa del disturbo, ma come co-presenza.
Terapia. L’orientamento del nostro Paese è quello di affidare la “cura” dei disturbi
specifici dell’apprendimento alla Scuola che ha il compito di realizzare un Piano
Didattico Personalizzato. Il piano seguente deve essere integrato con il PTP che si basa
su:
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Si riferiscono a problemi legati al controllo degli sfinteri: si parla di enuresi, quando lo
sfintere interessato e quello vescicale; si parla di encopresi, quando lo sfintere interessato
è quello anale.
Clinica. Tra le varie forme di enuresi, quella notturna primaria è la più comune: si tratta
di bambini di età superiore ai 5 anni che non hanno mai presentato il controllo dello
sfintere vescicale durante la notte. Nei bambini affetti da questo tipo di enuresi è
possibile mettere in evidenza la presenza durante il giorno di comportamenti riferibili ad
una instabilità vescicale, espressa dal bisogno irresistibile di urinare o da piccole perdite
di urine. I bambini affetti da questo disturbo possono essere suddivisi in due gruppi:
bambini con Enuresi Notturna Isolata e bambini con Enuresi Notturna e Sintomi di
Instabilità Vescicale Diurna. L’enuresi si associa abitualmente a disturbi emotivi come
l’ansia: si tratta, tuttavia, di manifestazioni emotive che rappresentano la conseguenza
del disturbo enuretico, piuttosto che la causa. Il soggetto, inoltre, essendo consapevole
della sua menomazione, sviluppa sentimenti di colpa e inadeguatezza che influenzano le
esperienze di conoscenza e socializzazione.
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Diagnosi. Un ruolo particolare rivestono le indagini di laboratorio e quelle strumentali
come l’esame delle urine, l’urinocoltura, l’uroflussometria.
L’ENCOPRESI.
Si intende l’emissione involontaria di feci che si verifica nei bambini oltre i 4 anni, in
assenza di lesioni organiche. Viene distinta in: primaria, quando i bambini quando i
bambini non hanno mai acquisito il controllo dello sfintere; secondaria, quando si
presenta in soggetti che lo avevano già raggiunto. Si verifica con netta preferenza per il
sesso maschile.
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Diagnosi e terapia. La diagnosi è finalizzata ad escludere tutte le cause organiche che
possono esprimersi con perdita di feci, per poi focalizzare l’attenzione sulle
problematiche emozionali e le dinamiche relazionali. La terapia prevede interventi psico-
educatici, prevedono un lavoro con la coppia genitoriale; interventi psicoterapeutici,
finalizzati a decolpevolizzare il bambino, aiutarlo a gestire le problematiche emotive,
armonizzare i rapporti nell’ambiente familiare; interventi farmacologici, vengono
utilizzati lassativi in situazioni associate a stipsi. Vanno evitati i clisteri. Il disturbo tende
a scomparire nell’arco di qualche settimana o di alcuni mesi. Tuttavia, le problematiche
emozionali associate a volte possono evolvere in quadri psicopatologici.
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