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Aspettando Godot 

è l’opera più nota di Samuel Beckett (1906 - 1989). La trama è


assolutamente elementare: due uomini, Vladimir e Estragon, aspettano l’arrivo di un
terzo, di nome Godot, che però non arriverà mai. Non sappiamo chi siano questi due
uomini, dove si trovino, chi sia questo Godot e perché lo stiano aspettando. Le stesse
didascalie sono assolutamente vaghe: “Una strada di campagna. Un albero. Sera”.
Mentre Estragon e Vladimir aspettano entrano in scena altri tre personaggi: Pozzo col
suo schiavo Lucky e un ragazzo, il quale comunica che Godot non riuscirà ad arrivare
ma verrà senz’altro il giorno successivo. Il secondo atto si apre sulla stessa scena (“Il giorno
dopo. Stessa ora. Stesso posto”, ci informa Beckett). Tutto si ripete quasi allo stesso modo
salvo che ora Pozzo è cieco e Lucky è muto e Pozzo non ricorda di aver incontrato Vladimir
ed Estragon il giorno prima. Anche il ragazzo, che riappare per comunicare ancora una
volta che Godot non riesce a venire ma verrà senz’altro l’indomani, sostiene di non aver
mai fatto quella stessa azione prima e di non aver mai incontrato Vladimir ed Estragon.
 
Tutta l’opera gira attorno alla stasi, alla mancanza di azione, all’incomunicabilità e
alla paradossalità dei dialoghi che rappresentano l’essenza del teatro
dell’assurdo di cui Beckett - ultimo rappresentante del modernismo inglese di T. S.
Eliot, James Joyce e Virginia Woolf - è un importante esponente. Alla sua visione del
mondo si avvicinano altri grandi scrittori come Jean Paul Sartre (La nausea, 1938),
Albert Camus (Lo straniero, 1942; La peste, 1947), Dino Buzzati (Il deserto dei Tartari,
1940).

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