Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Dal momento che il CLIL è stato introdotto nei regolari programmi scolastici,
ha certamente rappresentato una grande sfida per gli insegnanti e non solo.
INTRODUZIONE
2. Cos’è il CLIL?
Al di là di queste definizioni, coniate negli anni ‘60 nei Paesi in cui è nata
l’immersione (Finlandia, Canada, Catalogna), è normalmente difficile, in altri
contesti, arrivare ad una quantità così ampia.
Esperienze di insegnamento veicolare in corso prevedono una quota di
insegnamento in un’altra lingua che non scenda al di sotto del 30% dell’intero
monte ore, oppure sperimentazioni in cui la quota di insegnamento veicolare
non viene definita in maniera precisa: si tratta del cosiddetto “spicchio
didattico” (Ricci Garotti), applicato in diverse aree disciplinari soprattutto nella
scuola primaria (ove non è sempre possibile la rigida separazione delle aree
disciplinari). Questo modello, di per sé molto flessibile, prevede senza
specificare nulla, un congruo numero di ore svolto in lingua straniera, per lo più
distribuite “a pioggia” in relazione agli argomenti trattati.
Quindi l’uso della lingua straniera o seconda in una disciplina non linguistica
non deve ostacolare l’apprendimento della stessa disciplina. Se la competenza
linguistica avvenisse a scapito della competenza disciplinare, l’insegnamento
veicolare perderebbe immediatamente di credibilità e spendibilità.
Questo primo presupposto ne porta con sé alcuni altri: la condivisione del
progetto con l’utenza (famiglie e studenti), la motivazione degli utenti stessi, la
partecipazione attiva al progetto ed alla valutazione di questi stessi oggetti.
Il termine CLIL mette quindi in qualche modo un punto fermo nella pur
possibile eterogeneità di modelli, affermando il focus di un miglioramento sì
linguistico, ma al contempo del raggiungimento di una determinata competenza
disciplinare. Questo presupposto chiarisce anche, non solo sul piano
terminologico, alcune discriminanti scientifiche che richiamano la necessità di
integrare l’input linguistico-disciplinare e di procedere sempre senza scorporare
una parte dall’altra e senza implicare vantaggi di un aspetto sull’altro.
Questo presupposto, più che costituire un principio di obbligatorietà, rispecchia
l’essenza stessa del CLIL, ossia la scommessa che sia possibile promuovere
competenza disciplinare anche veicolando i messaggi in un’altra lingua, purché,
naturalmente, le condizioni in cui avviene lo scambio comunicativo lo
consentano.
L’obiettivo del CLIL è dunque quello di fornire competenze disciplinari
adeguate, arricchite con il “plus” della competenza linguistica.
3. Area educativa
4. Finalità
La dimensione ambientale
- Preparare all’internazionalizzazione, in particolare per l’integrazione UE
- Accedere alla certificazione internazionale
- Migliorare il profilo della scuola
La dimensione linguistica
- Migliorare la competenza complessiva nella lingua veicolare
- Sviluppare le abilità comunicative orali
- Promuovere consapevolezza sia della lingua madre che dell’altra lingua
- Sviluppare interessi ed atteggiamenti plurilingui
- Introdurre una nuova lingua
La dimensione contenuto
- Fornire opportunità per lo studio del contenuto da diverse prospettive
- Fornire accesso alla terminologia specifica della materia nella lingua
veicolare
- Preparare a studi futuri e/o alla vita lavorativa
La dimensione apprendimento
- Promuovere e sviluppare strategie di apprendimento individuali
- Diversificare metodi e forme di prassi didattica
- Stimolare la motivazione dello studente
Obiettivi didattici
Quale lingua
Il concetto CLIL è stato elaborato verso la fine degli anni novanta per catturare
la necessità di trovare quelle condizioni in grado di promuovere livelli più alti di
competenza linguistica in una LS. Da allora, il numero delle esperienze in LS è
cresciuto in maniera esponenziale attirando l’interesse di agenzie educative
nazionali ed europee.
Livello di competenza
Cummins, nel suo ThresholdsTheory indica chiaramente i danni che possono
derivare al discente se è costretto ad operare in una seconda lingua non
sufficientemente sviluppata.
Cummins non opera nel campo CLIL, ma il suo lavoro svolto con discenti
costretti ad affrontare l’apprendimento scolastico in una lingua non nativa,
fornisce utili indicazioni per il concetto CLIL e di quanto i programmi CLIL
debbano essere “language-sensitive” e “languageenhanced”.
6. Area strutturale
Le esperienze CLIL attualmente in corwso, sia in Europa che in Italia,
evidenziano molta varietà nelle scelte operate al livello “strutturale”.
Nei modelli tradizionali di educazione bilingue, la struttura coinvolta è di solito
l'intero sistema scolastico, dalla scuola elementare alla scuola superiore.
Nelle esperienze CLIL di recente istituzione, invece, si trova molto più
flessibilità nell’articolazione strutturale. Anziché investire tutta la scuola si
opera una scelta su un continuum che va da:
Maggior coinvolgimento
- Grado di scuola (ad esempio: scuola superiore)
- Un livello di scuola (ad esempio: il triennio)
- Uno specifico anno scolastico (ad esempio: la quinta superiore)
Minor coinvolgimento
Per ognuna delle scelte sopra, si operano altre opzioni rispetto a:
- La lingua/le lingue da coinvolgere;
- La durata dell’esperienza (per il discente): un trimestre o qualche mese
nell’arco dell’anno/di più anni;
- Numero di materie coinvolte: ad esempio una gamma larga (5-6) o una
gamma ristretta (1-2);
- L’insegnamento monolingue o bilingue della materia; ad esempio, nel
caso dell’insegnamento bilingue, definire come questo avverrà
(predisporre un dato numero di moduli o unità didattiche nella LS distinte
da quelle che verranno svolte nella L1. Oppure, decidere che si terrà una
lezione alla settimana in LSV per tutto l’arco dell’anno scolastico);
- Numero dei discenti e loro età;
- Livello di competenza nella lingua veicolare necessaria in entrata;
- Selezione e raggruppamento dei discenti (ad esempio: in sezioni bilingui?
In gruppi classi per competenza linguistica? Per età anagrafica?);
- La competenza linguistica dei docenti;
- I rapporti di sinergia fra la materia non-linguistica e la LS/L2: lavoro
online collaborativo, condiviso, ecc…;
- L’opzionalità dell’esperienza;
- Il collocamento delle lezioni nell’orario curricolare oppure fuori
dall’orario curricolare.
7. Area metodologica
I tre aspetti fondamentali che devono guidare tutte le scelte metodologiche dei
docenti sono:
1. Input comprensibile;
2. Output comprensibile;
3. Content and Language Integrated Teaching (CLIT), Come ci si può
aspettare che ci sia un apprendimento integrato di lingua e di contenuto
se, a monte, l’insegnamento stesso non è di tipo integrato?
Input comprensibile
Le implicazioni per chi opera in CLIL riguardano prima di tutto l’esigenza di
predisporre esercizi e compiti che consentano la produzione linguistica,
soprattutto al livello orale. Ciò può significare un capovolgimento del metodo
tradizionalmente seguito nell’insegnamento della materia che molte volte è di
tipo trasmissivo.
Il capovolgimento dovrà consentire non solo l’interazione nella lingua veicolare
ma anche l’introduzione di una dimensione “esperenziale” nel processo di
apprendimento perché il discente possa appropriarsi dei concetti nuovi e
perfezionare le competenze previste.
7. Il metodo in CLIL
CAPITOLO II
1. Il team CLIL
Il carattere specificamente “integrante” del CLIL, come facilmente si deduce
dalla stessa definizione di integrated learning, richiama la necessità di un
curricolo integrato.
Uno dei punti chiave, forse il primo in ordine di importanza, sulla natura del
CLIL, riguarda proprio il rapporto tra le due componenti - lingua e disciplina. In
nessun modo si può correre il rischio di considerare il CLIL come una lezione di
lingua “mascherata da disciplina” (Widhage) o di considerare prioritari i
vantaggi apportati dal CLIL alle competenze di L2 rispetto a quelle disciplinari,
perchè come molti studiosi asseriscono, il discorso va completamente ribaltato:
qualora si dovesse stabilire una priorità all’interno del progetto CLIL, questa
spetterebbe di certo all’aspetto disciplinare e non a quello linguistico. La prima
di queste conseguenze ricade inevitabilmente sulla programmazione.
Il teaching team, dunque, non riguarda solo i docenti che fisicamente andranno
in classe ad insegnare, a è molto più ampio e riguarda soprattutto il personale
interessato alla riuscita del progetto, dunque tutti coloro che, in misura diversa,
condividono la stessa utenza del CLIL (gli studenti). Il progetto CLIL riguarda
tutti coloro che fanno parte della struttura che gestisce il progetto: nessuno può
chiamarsene fuori solo perché non è chiamato diversamente in causa nella
docenza.
Questo principio permette infatti di avvicinarsi all’obiettivo-sfida del CLIL,
ossia di verificare l’ipotesi che una coesione (epistemologica e didattica)
produca effetti positivi non solo, strettamente, in relazione alle aree e alle
competenze direttamente coinvolte, bensì anche nella formazione generale e
personale del discente. L’ambiziosa ipotesi del CLIL è che in esso, in quanto
integrazione, richiedendo l’impiego di strategie trasversali, possa giovare allo
sviluppo generale di tutta la persona ed avere influssi positivi sulla motivazione
dei discenti. Ciò riguarda non solo, in senso stretto, l’insegnamento di L2 e della
disciplina scelta, bensì anche l’acquisizione di quelle competenze trasversali che
interessano tutte le discipline: la competenza espressiva, l’autonomia nel
proprio processo di acquisizione, l’assunzione di un metodo di lavoro, la
concettualizzazione, la capacità di analisi e di sintesi, la comprensione dei
contenuti e dei testi, la motivazione all’apprendere.
Dal punto di vista disciplinare, l’integrazione tra contenuto e lingua richiede che
le forme di insegnamento e apprendimento siano orientate all’acquisizione
linguistica che si rende necessaria alle conoscenze disciplinari in quel momento.
In altre parole, ciò che caratterizza l’acquisizione linguistica in una normale
didattica di L2 deve essere rafforzata in particolare in alcuni aspetti, necessari
alla competenza disciplinare, quali:
- Il lavoro lessicale che deve procedere nella direzione necessaria al
discorso disciplinare (a ciò che di contenuti e concetti il discente deve
sapere esprimere il L2);
- Il lavoro linguistico è sempre di più che l'apprendimento di vocaboli, è
più un lavoro di tipo espressivo, discorsivo (quindi più basato sulla
fluidità del discorso che sul termine specifico: questa annotazione elimina
con una certa decisione il dilemma sulla scelta di una microlingua -
possibile soprattutto a livello universitario - e una lingua di lavoro, non
quotidiana ma nemmeno solo tecnica e tecnicamente professionalizzante).
Dal momento che l’integrazione in CLIL si deve giocare su più livello, non
ultimo quello interdisciplinare, il teaching team o gruppo CLIL, è necessario
non solo per vigilare sulla dovuta integrazione lingua-disciplinare, ma anche
sulle possibili sinergie disciplinari e formative in genere: uso dei linguaggi in
tutto il curricolo (ogni lezione disciplinare è una lezione di lingua); compiti
metodologici trasversali; cooperazione su tematiche particolari di
contenuto;attivazione e acquisizione di consapevolezza riguardo a strategie
cognitive e metacognitive.
L’esistenza del team CLIL dovrebbe dunque anche avere sviluppi sulla
sperimentazione di una didattica diversa e innovativa anche per gli insegnanti
della classe che non appartengono direttamente alle aree interessate del CLIL.
Su questo si innesta il secondo presupposto, riguardante specificamente
l’aspetto metodologico.
Un altro presupposto riguarda l’uso della traduzione nel CLIL, che richiama da
vicino il problema del ruolo della L1. Da quanto enunciato fin qui, è abbastanza
evidente che il CLIL non va confuso con una traduzione, anche informale, di
contenuti e metodi da una lingua all’altra. Non si tratta in alcun modo di
presentare un contenuto o di esercitare un’abilità prima nella L1, poi nella L2.
Lo svantaggio di questo sistema è abbastanza evidente: i discenti, non appena
familiarizzano con il meccanismo, chiuderanno completamente occhi ed
orecchie durante il momento della L2. Lo svantaggio di questo sistema è
abbastanza evidente: i discenti, non appena familiarizzano con il meccanismo,
chiuderanno completamente occhi ed orecchie durante il momento della L2,
sapendo che comunque potranno riservare tutte le loro attenzioni alla stessa
attività in L1.
Al di là di questo risvolto, questo tipo di alternanza traduttiva toglie
completamente autonomia al CLIL, riducendolo ad una forma didattica (peraltro
anche sul piano strettamente linguistico) meramente contrastiva. Inoltre, per i
presupposti metodologici già illustrati, questa pratica di fatto può essere
applicata soltanto in presenza di una lezione frontale o strutturata in modo da
contenere, per la maggior parte del tempo un monologo dell’insegnante o una
incombenza del testo, il che esclude i presupposti di comunicazione e di attività
autonome giudicate, invece, essenziali. Anche qualora la traduzione da una
lingua all’altra venisse applicata alle attività degli studenti e non solo alle
spiegazioni o alla lettura dei testi, resterebbe il fatto che il CLIL verrebbe in
questo modo concepito come un semplice trasferimento di codice, senza
peraltro che ne derivino vantaggi anche solo minimamente paragonabili a quelli
posti come obiettivi del CLIL.
3. Insegnamento della L2
L’obiezione principale che si può muovere a questo punto riguarda la possibilità
intervenire di fronte alle palesi difficoltà linguistiche che i discenti possono
riscontrare durante una lezione CLIL. Se di fatto si esclude la traduzione, se si
privilegia l’autenticità (del contesto e quindi anche dei materiali), se la
comunicazione in L2 è sempre al centro del CLIL, è ipotizzabile che molti
discenti si possono trovare nella condizione di non essere in grado di
comunicare ciò che effettivamente vorrebbero.
Questo è certamente un aspetto reale del CLIL, segnalato e trattato dalla
maggioranza degli studiosi. Tuttavia è necessario non lasciarsi prendere dalle
soluzioni immediatamente disponibili, proprio perché immediate, tendono ad
essere fuorvianti, dal momento che probabilmente derivano da altri approcci
non specifici del CLIL.
Non è consigliabile ricorrere alla traduzione, così come non è opportuno, anche
per una questione di economizzazione temporale, dedicare spazio durante le ore
del CLIL a riflessioni o ad esercitazioni sistematiche che rinforzino la
competenza linguistica del discente. In questo modo si ricadrebbe nella classica
lezione di L2, anche inconsapevolmente.
Per questo, molti programmi CLIL prevedono un supporto linguistico sotto
forma di ore dedicate all’insegnamento della L2, sia prima dell’inizio del CLIL
(almeno nei due anni precedenti) sia durante il CLIL. Anche in questo il team si
rivela fondamentale:
- l’insegnamento di L2 deve essere non solo concordato, ma finalizzato a
riempire quei deficit linguistici che impediscono in classe l’interazione in
L2.
Nel considerare quella che per molti è la questione più spinosa, cioè la quota di
LS effettivamente offerta ai discenti, occorre distinguere tra LS in cui il discente
viene esposto e la LS che il discente produce nel CLIL. Se da una parte si può
accettare che i discenti si esprimano in L1 nella prima fase del CLIL o che, in
una fase più avanzata ma non ancora risolutiva, si esprimano in una sorta di
lingua mista (L1 e L2), dall’altra è abbastanza chiaro che l’esposizione alla LS
non debba invece essere esigua. E’ importante specificare che la LS non entra in
classe solo attraverso la voce del docente, bensì anche attraverso i materiali
autentici, che contribuiscono ad aumentare in modo significativo la quota di LS.
La lingua del docente, dunque, va distinta nettamente dalla lingua del discente e
tutte e due vanno distinte dalla lingua del materiale. Si tratta di una triade in
scala, i cui due estremi sono: il discente, che passa dalla fase del
monolinguismo a quella del bilinguismo passivo e successivamente a quella
dell’interlingua, e il materiale, che utilizza esclusivamente la LS. Che ruolo ha
il docente in questo triangolo?
E’ evidente che dovrà essere molto più vicino al picco del materiale piuttosto
che a quello del discente, cioè dovrà utilizzare sempre o prevalentemente la LS.
Determinante è definire il numero di ore da dedicare al CLIL nel caso di un
insegnamento curricolare. Anqui, va sempre rispettata la coerenza tra gli
obiettivi preposti ed il modello prescelto.
E’ stato ricordato che uno dei presupposti del CLIL è produrre interazione,
essendo il focus la comunicazione e non l’addestramento linguistico. Ciò
comporta attività di comunicazione autentica e non di esercizio, con un carattere
di naturalezza e non di forzatura. La conseguenza più ovvia è che l’insegnante
CLIL deve possedere un livello di competenza linguistica non inferiore
perlomeno al livello B2 del Quadro di Riferimento Europeo. Questa
precisazione esclude soluzioni drastiche come quella di affidare il CLIL solo ai
docenti madrelingua. E’ necessario infatti tenere presente che i compiti
dell’insegnante non si basano solo sulla sua competenza linguistica o
disciplinare, ma anche su quella metodologica e relazionale. D’altra parte è
necessario garantire il plusvalore del CLIL proprio anche sulla sua tenuta
linguistica, che vede indubbiamente nell’input LS un ingrediente di primaria
importanza.
La costruzione dell’integrazione, parola chiave per la didattica del CLIL, passa
appunto per l’alto livello di competenza, paritario, della lingua e della disciplina
che riguardano sia il docente sia il discente CLIL.
Non da ultimo va ricordato che dietro il CLIL c’è una scelta politica educativa,
secondo cui il discente può potenziare al meglio le sue capacità qualora riceva
una pluralità di messaggi in una pluralità di linguaggi. Si tratta di mettere in
pratica l’invito al plurilinguismo e alla pluriculturalità che risuona ormai da ogni
angolo dell’ambito educativo. In particolare tutti gli articoli del Trattato di
Maastricht che riguardano l’istruzione dei giovani europei, richiamano
l’attenzione sulla necessità di acquisire un’apertura che garantisca la
comprensione tra culture diverse con linguaggi diversi.
L’obiettivo è non soltanto accedere con maggiore facilità e più alte
qualificazioni al mercato del lavoro europeo, ma anche l’acquisizione di una
consapevolezza sociale che tuteli l’ambiente, il patrimonio culturale, la
convivenza di comunità diverse per lingua e tradizione.
Sostenere questi aspetti può dare una grande motivazione al CLIL, aiutando nel
contempo il team nelle scelte da operare sul piano della programmazione e della
metodologia del lavoro. Senza la consapevolezza del senso del plurilinguismo,
non si potrà avviare una riflessione di educazione linguistica e culturale: il
monolinguismo non basta, perché le competenze necessarie ad una formazione
proficua sul medio o lungo periodo non riguardano solo gli aspetti tecnici, ma
anche quelli sociali-culturali della persona che apprende.
La ricaduta positiva non può essere limitata alle singole istituzioni scolastiche,
ma la lettura deve cogliere le modifiche innovative che, in ultima analisi,
investono l’intero sistema di istruzione.
Il CLIL potrebbe rappresentare, in definitiva, l’etichetta di qualità della nuova
scuola europea.
IN SINTESI