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MODULO 1 – MEDICINA INTERNA
La Complessità Clinica della Medicina Interna
Il ragionamento clinico
Consiste nel testare dapprima mentalmente e poi empiricamente, il maggior numero di entità
nosografiche potenzialmente in grado di spiegare il quadro clinico osservato. Si tratta quindi di
mettere in competizione tra loro le diverse ipotesi avanzate all’inizio e nelle tappe successive del
percorso diagnostico, al termine del quale rimarrà quella che più si adatta al caso concreto.
APPROCCIO INDUTTIVO
APPROCCIO IPOTETICO-DEDUTTIVO
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APPROCCIO IPOTETICO-DEDUTTIVO
In realtà, una scelta di possibili diagnosi avviene, per così dire, nella mente del professionista dove
l’elaborazione/confronto tra informazioni raccolte (dati epidemiologici, anamnestici ed obiettivi) e il
repertorio di conoscenze (dati nosografici ed esperienza) porta all’abbandono di alcune ipotesi.
Nonostante questo approccio sia più razionale e volto maggiormente al contenimento dei costi della
medicina, può non funzionare nei casi in cui:
La presenza di sintomi aspecifici non permetta la formulazione di ipotesi più probabili di altre
Non sembrano sussistere elementi chiari di problematicità
Esistono limiti informativi evidenti
Il metodo clinico
2. Analisi critica
3. Sintesi diagnostica
Esempio: un ecografista descrive la presenza nella colecisti di un’immagine iperecogena con cono d’ombra
posteriore e conclude che si tratta di un calcolo.
Esempio: spetta a questo punto al clinico (internista o specialista) stabilire se questo reperto sia sufficiente a
spiegare, ad esempio, una storia di ripetuti accessi febbrili o il ricorrere di episodi dolorosi addominali.
Mentre lo specialista (es. il gastroenterologo) potrà anche fermarsi al secondo livello di applicazione del
metodo clinico, il clinico medico (l’internista) dovrà chiedersi anche se vi possono essere connessioni, ad
esempio, tra questa diagnosi di calcolosi della colecisti ed episodi di dolore retrosternale, presenti nello
stesso paziente (diagnosi di terzo livello o correlativa). Il metodo clinico è qui alla sua massima espressione,
in quanto affronta in modo globale l’insieme dei problemi presentati dal paziente. In questo senso il metodo
clinico viene a coincidere con l’elemento fondamentale che caratterizza l’ambito della Medicina Interna: la
visione globale del malato.
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Il nuovo malato dei reparti di Medicina Interna
Complicato è un nodo da slegare, un indovinello – faticoso, noioso, occorre avere pazienza – ma la soluzione
per definizione esiste, c’è di sicuro; poi magari non la troveremo ma sappiamo che è – a priori – univoca e
potenzialmente alla nostra portata; le variabili da gestire sono chiare, definite. Complesso è qualcosa di cui
è difficile vedere, governare, intuire tutti i risvolti e tutte le variabili. Complesso è qualcosa di cui è impossibile
prevedere con certezza lo sviluppo, le dinamiche. Comprendere le relazioni causa/effetto.
Il malato complesso
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ANAMNESI
COME SI MANIFESTANO LE MALATTIE
SINTOMI: sensazioni soggettive riferite dal paziente (es. dispnea, dolore, nausea, ecc.)
SEGNI: reperti obiettivi rilevabili dal medico o, talora, dal paziente stesso (febbre, lesioni cutanee,
iperemia faringea, ecc.)
Anamnesi (dal greco: tornare indietro con la memoria): è l’interrogatorio cui si sottopone il paziente per
ricostruire le fasi della malattia attraverso i sintomi. Nei pazienti affetti da patologie internistiche, se
effettuata correttamente, consente una diagnosi nel 50% dei casi.
Esame obiettivo: prevede l’esplorazione dei vari organi ed apparati alla ricerca dei segni di malattia. Decisivo
nella diagnosi nel 20% dei casi.
Esami strumentali: dovrebbero essere richiesti in maniera mirata, a completamento della fase diagnostica.
Per facilitare il contatto con il malato è opportuno dapprima invitarlo a descrivere i suoi attuali disturbi.
Successivamente si indaga ì sulle malattie dei familiari (Anamnesi familiare), sulle tappe dello sviluppo psico-
fisico (Anamnesi personale fisiologica) e sulle malattie di cui ha sofferto in passato (Anamnesi patologica
remota).
SESSO: alcune malattie sono di pertinenza esclusiva di uno dei due sessi (neoplasie utero, ovaio,
prostata; perdita di ferro con i cicli mestruali; emofilia: donne portatrici sane e maschi affetti).
PROFESSIONE: può determinare occasionali o continuativi contatti con agenti lesivi chimico-fisici
(amianto e neoplasie) o infettivi.
LUOGO DI NASCITA E RESIDENZA: alcune patologie sono endemiche di alcune Regioni (es. favismo e
gozzo endemico sono endemiche del delta padano, Sardegna, Trentino e valli pre-alpine, Umbria).
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Anamnesi familiare
In essa vengono riportati gli eventi patologici più importanti di cui hanno sofferto i componenti del nucleo
familiare (padre, madre, fratelli e sorelle). Viene indagata la presenza di particolari patologie ereditarie
frequenti, quali ipertensione arteriosa, neoplasie, diabete mellito, cardio-vasculopatie, ecc. In caso di decesso
dei famigliari richiedere le cause della morte. Esempio: padre iperteso, deceduto a 62 anni per ictus
cerebrale. Madre vivente ed apparentemente sana. Due fratelli e una sorella in apparente buona salute.
Anamnesi fisiologica
Contiene informazioni sulle tappe dell’accrescimento. Va particolarmente estesa nei pazienti giovani in cui è
più probabile che la patologia in atto possa essere ricollegata ad eventi durante l’accrescimento, mentre
riveste scarso significato nelle persone anziane.
NASCITA: si definiscono prematuri i nati prima della 36° settimana di gravidanza (che dura
normalmente 40 settimane); gli immaturi sono neonati sottopeso
ACCRESCIMENTO: deficitario in corso di endocrinopatie, malattie croniche (m. celiaco),
malnutrizione.
ERUZIONE DENTARIA: completa alla fine del terzo anno (20 denti da latte); ritardi in corso di
ipotiroidismo, ipoparatiroidismo, sindrome di Down.
SVILUPPO MOTORIO: sollevamento del capo dal 2°mese, movimenti testa e attenzione ai suoni dal
3° mese, posizione seduta eretta dal 6° mese, dai 6 ai 9 mesi si pronunciano le prime parole, dai 12
ai 16 mesi si impara a camminare.
SCOLARITÀ: ricerca di deficit intellettivi, spia del grado di cultura.
PUBERTÀ: tra i 10 e i 13 anni nelle femmine, tra i 12 e i 14 nei maschi. Rapido accrescimento in altezza,
modificazioni della struttura corporea (masse muscolari e depositi adiposi), comparsa dei caratteri
sessuali secondari, maturazione dei genitali.
CICLO MESTRUALE: l’intervallo tra due cicli è di 4 settimane ma può variare fisiologicamente; ogni
ciclo comporta la perdita di circa 50 ml di sangue, circa 0.7 g di emoglobina. Amenorrea: assenza di
mestruazione (primaria o secondaria) Dismenorrea: dolore crampiforme ipogastrico per l’intero
periodo di sanguinamento. Menorragia: mestruazione abbondante e prolungata. Metrorragia:
saguinamenti uterini disgiunti dal ciclo mestruale.
GRAVIDANZE / MENOPAUSA
ABITUDINI DI VITA: fumo (riportare gli anni e il numero di sigarette), alcol (specificare tipo di bevande
e quantità) e attività fisica.
Contiene tutti i processi morbosi sofferti dal paziente prima dell’episodio morboso che conduce il paziente a
rivolgersi al medico. Deve tendere a ricercare i tipi più frequenti di patologia per fasce di età. Di ogni patologia
è importante conoscere l’evoluzione e gli eventuali esiti.
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Anamnesi patologica prossima
Contiene la storia che il paziente racconta e che lo porta a rivolgersi al medico. Nonostante riguardi i disturbi
essenzialmente connessi con la patologia attuale del paziente non va disgiunta da raccordi con l’anamnesi
patologica remota. Di tutti i sintomi è importante ricavare quante più informazioni possibili: i loro caratteri
generali, da quanto tempo sono presenti, cosa li attenua o accentua, loro evoluzione dall’esordio, eventuale
assunzione di farmaci che li fa regredire.
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Manifestazioni cliniche di malattia
DOLORE
Il dolore si divide in due grandi categorie: dolore somatico e dolore viscerale. Presentano caratteristiche
diverse che possono aiutare nel loro riconoscimento:
Dolore somatico: proviene da strutture innervate da nervi somatici (cute, muscoli, articolazioni ecc.)
o dai nervi frenici (diaframma).
Dolore viscerale: proviene da strutture innervate da fibre viscerali, sia di tipo simpatico che
parasimpatico (fibre adrenergiche e fibre colinergiche).
Nella maggior parte dei casi dolore somatico e dolore viscerale coesistono. Ad esempio se l’organo
addominale coinvolge nel processo patologico anche il peritoneo, che ha un’innervazione somatica, il dolore
acquista anche le caratteristiche del dolore somatico. Esso diviene più localizzabile, trafittivo, puntorio,
compare la contrattura muscolare riflessa (attivata dal riflesso viscero-motore di “difesa” addominale) che
prende il nome di peritonismo.
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METAMERO
Il midollo spinale si compone di più unità fondamentali (metameri), a livello dei quali si ha l’emergenza di una
coppia di radici nervose motrici e alla penetrazione di una coppia di radici nervose sensitive.
I metameri ricevono attraverso le radici sensitive gli stimoli provenienti da determinati territori periferici del
corpo cui, a loro volta, inviano impulsi motori attraverso le radici motrici.
CORRISPONDENZA METAMERICA
La proiezione del dolore in periferia segue la legge metamerica: il nervo viscerale e il nervo somatico che
condividono lo stesso metamero d’ingresso a livello del midollo spinale, condividono grossolanamente lo
stesso territorio doloroso alla periferia. Se ad esempio vi è una lesione del nervo somatico che interessa la
porzione cutanea dell’area precordiale (dove il paziente avverte il dolore) può non essere sempre chiara
l’origine somatica del dolore (es. la superficialità), per cui dovrà essere sempre sospettata e quindi esclusa la
sua possibile origine viscerale (cuore, aorta ecc.) mediante ECG.
Vi sono alcuni casi in cui un metamero vede l’ingresso di un nervo viscerale proveniente da un organo
piuttosto lontano dall’area superficiale innervata dal corrispondente nervo somatico. Ad esempio il dolore
cardiaco è veicolato dai nervi cardiaci, alcuni dei quali afferiscono a metameri toracici, ma altri a metameri
cervicali. Quindi un dolore evocato da un infarto cardiaco può essere percepito anche esclusivamente a livello
mandibolare.
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ANORESSIA, NAUSEA E VOMITO
Vomito: emissione forzata di cibo dalla bocca, accompagnata da contrazioni addominali e diaframmatiche,
spesso preceduta da nausea.
Nel conato di vomito manca l’emissione di cibo, per mancato rilasciamento del cardias (sfintere esofageo
inferiore).
TIPI DI VOMITO: acquoso o mucoso (succo gastrico), alimentare, biliare, emorragico (= ematemesi), fecaloide
(da ostruzione intestinale).
CAUSE VISCERALI: Flogosi acute dell’apparato digerente (es. gastrite), Ostruzione intestinale,
Scompenso cardiaco con fegato da stasi
CAUSE TOSSICHE: Malattie febbrili, accumuli di metaboliti nell’insufficienza epatica, renale e
surrenalica, chetoacidosi diabetica.
CAUSE CENTRALI: Aumento della pressione intracranica (emorragie, tumori) definito vomito “a
getto” (improvviso, non preceduto da nausea), Eventi emotivi acuti (stress)
CAUSE OTOVESTIBOLARI: Mal di mare, mal d’auto (cinetopatie)
RIGURGITO
Emissione di materiale alimentare non digerito, prodotto da una violenta contrazione antiperistaltica della
parete addominale, senza le tipiche contrazioni addominali e diaframmatiche che accompagnano il vomito.
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DISFAGIA
Può essere dovuta a un ostacolo meccanico con occlusione che può essere localizzarsi:
STIPSI
Consiste in una ridotta frequenza delle defecazioni con espulsione di feci di consistenza aumentata, dovuta
a rallentamento del transito intestinale.
Fattori favorenti comprendono l’inattività, la dieta a basso contenuto di fibre vegetali e periodi di tempo
inadeguati richiesti per la defecazione. Infine può essere dovuta ad alcuni farmaci. Fra le malattie in cui è
particolarmente presente vi è l’ipotiroidismo, oltre a malattie che colpiscono l’intestino (megacolon, ecc.)
DIARREA
È una defecazione molto frequente con espulsione di feci non formate. Quando la peristalsi è molto vivace il
fenomeno è intenso, sia come frequenza di scariche che come consistenza delle feci che possono assumere
carattere acquoso e in questi casi vi è frequentemente dolore colico. La diarrea può assumere carattere di
urgenza, soprattutto nei bambini e anziani, per la disidratazione che può causare in breve tempo. Si distingue
una forma acuta (secondaria a processi patologici acuti di tipo infettivo, tossico, emotivo) e una forma cronica
(in malattie intestinali di tipo infettivo e non infettivo come la colite ulcerosa e nell’ipertiroidismo).
ITTERO
Colorazione giallastra della cute e delle mucose visibili e delle sclere dovuto ad un aumento in circolo e
successivo deposito tissutale della bilirubina. L’ittero diviene clinicamente evidente quando la bilirubinemia
supera i 2.5 mg/dl. Per subittero si intende una pigmentazione gialla unicamente delle sclere che si ha per
valori di bilirubinemia di 1.5-2.5 mg/dl.
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DISPNEA
TIPI DI DISPNEA
ortopnea: difficoltà alla respirazione in posizione supina che si allevia in ortostatismo (posizione eretta) o in
posizione seduta.
dispnea parossistica notturna: crisi ad insorgenza notturna in pazienti con scompenso cardiaco, di intensità
tale da svegliare il soggetto e costringerlo a sollevare il tronco dal piano del letto.
Meccanismi fisiopatologici:
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FEBBRE
È un aumento anomalo della temperatura corporea dovuto ad alterazioni del centro termoregolatore
ipotalamico. La febbre è causata da un riassestamento del “termostato” ipotalamico dovuto all’azione di
prostaglandine.
L’ipertermia invece è un aumento incontrollato della temperatura corporea che eccede la capacità
dell’organismo di disperdere calore, in assenza di un’elevazione del punto di regolazione ipotalamico
(esposizione al caldo, farmaci).
Febbre continua: Temperatura superiore a 38°C con oscillazioni nelle 24 ore inferiori a 1 °C senza momenti di
apiressia (caratteristica del tifo)
Febbre remittente: Le oscillazioni nell’arco della giornata superano il grado senza raggiungere i valori normali
(es. endocardite subacuta).
Febbre intermittente: si valuta nel corso di alcuni giorni. Sono accessi febbrili separati da giorni di completa
apiressia come avviene classicamente nella malaria in occasione del ciclo vitale del parassita. Se la febbre si
manifesta a giorni alterni prende il nome di terzana (perché ritorna il terzo giorno), se invece ci sono due
giorni di apiressia viene chiamata quartana (perché ritorna il quarto giorno).
Febbre ondulante: La febbre ciclicamente aumenta in modo graduale per poi, sempre gradualmente,
diminuire nell’arco di alcuni giorni (brucellosi, m. di Hodgkin)
Febbre ricorrente: Periodi di febbre continua di alcuni giorni e intervalli di apiressia (spirochetosi).
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EDEMA
Tumefazione dei tessuti molli dovuta a un’abnorme espansione del compartimento del liquido interstiziale.
Il liquido dell’edema è un trasudato del plasma che si accumula quando si verifica il passaggio di liquido dallo
spazio endovascolare a quello interstiziale.
La manovra da eseguire per la diagnosi di edema è quella della digitopressione, possibilmente su un piatto
osseo (es. la tibia se l’edema è localizzato alla gamba, il sacro se l’edema è presente nella regione sacrale,
ecc.).
TIPI DI EDEMA
GENERALIZZATO E SIMMETRICO: compare di frequente nelle regioni declivi (regione sacrale o arti inferiori),
bilateralmente. Questo indica che il processo che l’ha determinato è sistemico. Le patologie più
frequentemente coinvolte sono lo scompenso cardiaco1 e la cirrosi epatica2.
1. Nel caso dello scompenso cardiaco il ritorno venoso è ostacolato dal deficit di pompa cardiaca e il
conseguente aumento della pressione idrostatica nel distretto capillare induce la trasudazione del
liquido interstiziale.
2. Nel caso del paziente cirrotico la ridotta produzione epatica di albumina provoca riduzione della
pressione oncotica e trasudazione del liquido interstiziale.
SINCOPE
1. VASO-VAGALE (30%). È la forma clinica più frequente e corrisponde al comune “svenimento”, dovuto
a forti perturbazioni psichiche (paura, dolore) che innescano una sindrome vagale.
2. DA GITTATA CARDIACA INADEGUATA (19%). Sincope in corso di infarto miocardico, da aritmie, da
stenosi aortica, da mixoma atriale.
3. NEUROLOGICA (11%). Sincope da vasculopatia occlusiva cerebrale (secondaria a ictus).
4. DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA. Quando il passaggio dal clino all’ortostatismo non è rapidamente
seguito dai fenomeni di adattamento emodinamico. Spesso mancano i sintomi premonitori.
5. METABOLICA. Sincope da ipoglicemia, da iperpnea (aumento della frequenza respiratoria che
determina alcalosi respiratoria)
6. SITUAZIONALE. Scatenata da particolari situazioni quali accessi prolungati di tosse, la minzione, la
defecazione.
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EMORRAGIE GASTROINTESTINALI
Classificazione in base alla sede del sanguinamento (per definirle si prende come riferimento il legamento di
Treiz):
Possono essere classificate anche in base all’aspetto del sangue e alla sua via di uscita:
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Eziopatogenesi delle emorragie gastrointestinali:
Diverticoli
Neoplasie (adenomi, carcinomi)
Malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD)
Colite ischemica
Ulcera del retto
Polipectomia endoscopica
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Obesità e tessuto adiposo
EPIDEMIOLOGIA
Secondo dati dell'OMS, la prevalenza dell'obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 ad oggi; nel 2008 si
contavano oltre 1,7 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35% della popolazione mondiale); di questi oltre 200
milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne erano obesi (l'11% della popolazione mondiale).
Nel frattempo, il problema ha ormai iniziato ad interessare anche le fasce più giovani della popolazione: nel
2011 c'erano nel mondo oltre 40 milioni di bambini sovrappeso al di sotto dei 5 anni di età.
L’obesità può essere classificata dal punto di vista eziologico in essenziale e secondaria.
L’obesità essenziale rappresenta circa il 95% dei casi, mentre l’obesità secondaria rappresenta il restante 5%.
OBESITÀ ESSENZIALE
genetici (familiarità)
nutrizionali (abitudini alimentari)
metabolici (caratteristiche metaboliche, attività fisica, gravidanze, malattie intercorrenti)
socio-culturali (condizioni socio-economiche più basse, etnia, paese di residenza)
psicologici
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OBESITÀ SECONDARIA
Cause genetiche à In una minoranza di casi l'obesità è determinata dalla presenza di una malattia genetica.
In questi casi l'obesità si associa ad altre alterazioni patologiche, costituendo sindromi complesse di raro
riscontro nella popolazione generale (es. sindrome di Prader-Willi, sindrome di Bardet-Biedl). Ancor più rare
sono le cause monogeniche di obesità (dovute a singole mutazioni genetiche, generalmente autosomiche
recessive, es. mutazione del gene della leptina).
Cause di obesità monogenica (molto rare) dovute alla mutazione di un singolo gene:
Disfunzione ipotalamica: la regolazione dell'appetito dipende da alcune aree del SNC, in particolare
dell'ipotalamo. Tumori, emorragie, o processi flogistici ipotalamici, come le lesioni causate dagli interventi
chirurgici in questa area, possono condurre all'obesità.
Cause endocrine: (es. ipotiroidismo, ipogonadismo, sindrome di Cushing, sindrome dell'ovaio policistico)
Psicogene: l'aumento di peso è causato da un ricorso compulsivo al cibo (es. il disturbo da alimentazione
Incontrollata, la bulimia, il binge eating disorder e la sindrome dell'alimentazione notturna).
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Complicanze cliniche dell'obesità
Il paziente obeso presenta spesso sintomi di apnea ostruttiva ed è soggetto a sviluppare calcoli della colecisti
(calcoli biliari).
Sovrappeso e obesità posso causare anche sofferenza delle articolazioni, in particolare degli arti inferiori.
Meccanica
Termoisolante
Riserva
Endocrino-metabolica
Regolazione dell'appetito
Fertilità
Il tessuto adiposo è in grado di produrre e secernere un’ampia gamma di fattori e segnali proteici, questo ci
lascia intendere quanto il tessuto adiposo sia organo complesso, altamente integrato nella fisiologia e nel
metabolismo, capace di stabilire nessi di comunicazione con altri tessuti e organi, non ultimi il sistema
nervoso centrale, il fegato, il muscolo scheletrico e la corteccia surrenalica.
Grazie a questa importante secrezione di fattori il tessuto adiposo è oggi considerato un vero e proprio
organo endocrino. Queste sostanze prodotte dal tessuto adiposo sono chiamate adipochine.
Adipochine
Ogni molecola prodotta e secreta dal tessuto adiposo con ruolo autocrino (sullo stesso tessuto adiposo),
paracrino (su tessuti contigui al tessuto adiposo) o endocrino. Tale termine è stato coniato in seguito
all'identificazione nel 1994 dell'ormone della sazietà leptina, una molecola che presenta caratteristiche
citochino-simili.
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Le adipochine vengono classificate in base alla loro struttura e al loro ruolo funzionale e comprendono:
Ormoni
Citochine (INL-1; INL-6)
Chemochine
Regolatori del metabolismo lipidico
Regolatori dell'omeostasi del glucosio
Fattori di crescita
Proteine del sistema del complemento
Proteine coinvolte nell'omeostasi vascolare e regolatrici della pressione arteriosa
Proteine coinvolte nell'angiogenesi (sviluppo di nuovi vasi)
Proteine infiammatorie di fase acuta
Componenti della matrice extracellulare
Nell'obesità la produzione di molti di questi fattori si modifica: in presenza di obesità in genere aumentano
la leptina e dell'IL6, mentre talora diminuisce l'adiponectina.
In alcuni casi tali variazioni risultano in relazione con l'insorgenza delle complicanze dell'obesità; in altri casi
il loro significato fisiopatologico resta da chiarire.
Leptina
Oltre ad intervenire nella regolazione del peso corporeo, la leptina regola pubertà e riproduzione, funzioni
placentari e fetali, risposta immunitaria e sensibilità all'insulina muscolare ed epatica. Nell'animale come
nell'uomo il deficit congenito di leptina (raro) determina un'obesità grave, sensibile al trattamento con
leptina ricombinante (disregolazione del senso di sazietà).
Nell'obesità prevale un'aumentata concentrazione plasmatica di leptina, che correla con il peso corporeo.
L'iperleptinemia sembra avere un ruolo proaterogeno contribuendo all'insulino-resistenza, alterando la
funzione endoteliale, favorendo l'aggregazione piastrinica e la trombosi arteriosa. Tuttavia, sembra che si
associ anche ad una leptinoresistenza centrale, che spiegherebbe il mancato effetto di questa iperleptinemia
sui centri della fame.
Adiponectina
L'adiponectina migliora la sensibilità all'insulina nel tessuto adiposo, nel muscolo e nel fegato.
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Mediatori Infiammatori
Sono stati individuati molti altri fattori secreti dal tessuto adiposo come interleuchine (IL-1, IL-6, IL-8),
interferone-ϒ, fattori di crescita come il TNF-α e il fattore di crescita endoteliale vascolare, proteine
chemiotattiche (MCP-1).
I livelli circolanti di questi fattori aumentano con l'aumentare della massa adiposa, specie se addominale.
Molti di questi fattori della flogosi sono prodotti, oltre che dagli adipociti, da macrofagi attivati residenti nel
tessuto adiposo.
L'obesità centrale (o viscerale) presenta maggior deposito di grasso all'addome e al tronco e conferisce un
rischio cardiovascolare nettamente maggiore rispetto all'adiposità periferica.
Nell’obesità periferica il deposito adiposo è prevalentemente sottocutaneo, specie se dei glutei e cosce.
I maschi in genere hanno maggior grasso depositato in sede “centrale” (10-35% del grasso totale) rispetto
alle femmine (8-13%).
Nella donna dopo la menopausa il grasso tende a depositarsi in sede centrale piuttosto che periferica.
Grasso viscerale Ha spiccate proprietà lipolitiche quindi è in grado di rilasciare grandi quantità di acidi grassi
liberi in circolo. Essendo drenato dal circolo portale, ha degli effetti diretti sul fegato (induce insulino-
resistenza epatica). Si associa al deposito di grasso in sedi ectopiche (no funzione tampone). Secerne
numerose adipochine infiammatorie responsabili dello stato di infiammazione cronica di basso grado che
caratterizza il paziente obeso.
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Caratteristiche cellulari del tessuto adiposo
Nell'adulto, il bilancio energetico positivo determina un aumento del peso corporeo, prevalentemente per
IPERTROFIA degli adipociti maturi presenti nel tessuto adiposo; una volta che queste cellule raggiungono un
volume critico, con meccanismi ancora non noti, viene stimolata la differenziazione dei precursori
(preadipociti) in adipociti maturi (IPERPLASIA). Il volume sembra avere un ruolo chiave nella funzione
cellulare; questi adipociti ipertrofici, che si rilevano più frequentemente nell'adipe viscerale, hanno una
diversa espressione genica, sono meno sensibili agli effetti metabolici dell'insulina e hanno una maggiore
attività lipolitica rispetto alle cellule più piccole.
1. IPERTROFIA
2. ADIPOCITI
3. NEOANGIOGENESI (stimolo alla formazione di una rete capillare che accompagna la crescita del
tessuto)
4. IPOSSIA (sofferenza di tipo epossico dei tessuti)
5. APOPTOSI degli ADIPOCITI (morte programmata degli adipociti)
6. INFILTRAZIONE MACROFAGICA
L’obesità è quindi uno stato di infiammazione cronica di basso grado. Questo quadro infiammatorio che si
caratterizza a seguito di un intenso dialogo tra adipociti e cellule infiammatori è alla base dello stato di
infiammazione cronica.
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Body Mass Index (BMI)
1. IL BMI NON PERMETTE DI DISTINGUERE LA MASSA GRASSA DALLA MASSA MAGRA: pur avendo un
elevato coefficiente di correlazione con la percentuale di massa grassa, è altrettanto significativa la
sua correlazione con la massa magra. Pertanto, non può essere considerato un indice di adiposità.
2. NON FORNISCE INFORMAZIONI SULLA COMPOSIZIONE CORPOREA
3. NON FORNISCE INFORMAZIONI SULLA DISTRIBUZIONE DELLA MASSA GRASSA (distribuzione del
grasso gluteo-femorale o addominale, importante per definire il rischio di complicanze
cardiovascolari o il rischio metabolico dell’obesità).
Circonferenza vita
All’aumentare del valore di circonferenza vita aumenta progressivamente il rischio cardiovascolare, sia nelle
donne che negli uomini.
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Componenti principali che si analizzano nella determinazione della composizione corporea
Definizioni
FM: rappresenta la massa lipidica totale del corpo, include tutti i lipidi estraibili dai tessuti adiposi e da ogni
altro tessuto del corpo.
FFM: costituita dai muscoli e dallo scheletro (quindi chimicamente da proteine 20%, acqua 73%, minerali 6%
e glicogeno 1%)
ICW (60%): essendo il costituente principale della cellula, è anche un indicatore della massa metabolicamente
attiva dell'organismo. Le sue modificazioni intervengono nella regolazione del metabolismo cellulare e delle
funzioni corporee.
ECW (40%): comprende l'acqua interstiziale (14% del peso corporeo), plasmatica (4%), linfatica (1%) e
transcellulare (1%).
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Composizione corporea normale
Massa grassa %
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Farmacoterapia dell'obesità
Il trattamento dell'obesità è un problema complesso che deve sempre essere affrontato inizialmente con
interventi sullo stile di vita, sebbene spesso i risultati di tali interventi siano modesti. La farmacoterapia trova
spazio solo quando gli obiettivi di perdita di peso non vengono raggiunti con tali misure.
INDICAZIONI
Il trattamento farmacologico dovrebbe essere preso in considerazione solo se la dieta, l'esercizio fisico e,
dove indicato, la terapia cognitivo-comportamentale si siano dimostrati inefficaci o nell'indurre perdita di
peso o nel mantenimento del peso perso.
La terapia farmacologica deve essere iniziata solo nei pazienti con BMI ≥30 Kg/m2 in assenza di comorbidità,
o ≥27 Kg/m2 in presenza di almeno una comorbidità correlata al peso.
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Farmaci per uso a lungo termine
SIBUTRAMINA Inibizione del reuptake di serotonina e noradrenalina. Anoressizzante centrale: riduzione
dell'appetito e quindi dell'introito calorico dose-dipendente. Aumento della termogenesi mediante
l'attivazione dei recettori β3-adrenergici a livello del tessuto adiposo bruno. I principali effetti avversi erano
stipsi, secchezza delle fauci e aumento della pressione arteriosa. Ritirata dal mercato nel 2010 a causa dei
gravi effetti collaterali specialmente di tipo cardiovascolare.
RIMONABANT Antagonista dei recettori CB1 degli endocannabinoidi. Riduceva l'appetito e la lipogenesi nel
tessuto adiposo, aumentava la captazione del glucosio nel muscolo. Ritirato dal mercato nel 2008 a causa dei
gravi effetti collaterali di tipo psichiatrico, in particolare induceva depressione e ansia (ideazione suicidaria),
nausea e vertigini.
ORLISTAT Agisce inibendo la lipasi intestinale. Riduce del 30% l'assorbimento dei grassi ingeriti. Come effetti
collaterali abbiamo diarrea, flatulenza (principalmente legata alla non aderenza del paziente alle indicazioni
dietetiche) e malassorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E, K). La terapia dovrebbe essere continuata
oltre i 3 mesi solo se il paziente ha perso almeno il 5 % del peso dall'inizio della terapia farmacologica. La
decisione di utilizzare il farmaco per più di 12 mesi (di solito per il mantenimento del peso) dovrebbe essere
presa dopo un'attenta discussione con il paziente dei potenziali benefici e limiti del trattamento.
LIRAGLUTIDE Analogo del Glucagon-like-peptide 1 (GLP- 1) umano, già in uso per il trattamento del diabete
(a dosaggi inferiori). Agisce aumentando il senso di sazietà (a livello centrale e rallentando lo svuotamento
gastrico). Gli effetti collaterali comuni sono di tipo gastrointestinale (nausea); i rari sono tachicardia e
pancreatite. Il trattamento con liraglutide deve essere interrotto dopo 12 settimane alla dose di 3 mg/die se
i pazienti non hanno perso almeno il 5% del peso corporeo iniziale. Approvato in Europa dall'EMA nel 2015.
PAOLA LE MASSON 28
Magrezze
Con il termine di MAGREZZA si intende una condizione caratterizzata da una spiccata riduzione del peso
corporeo (inferiore di almeno il 15% rispetto al peso corporeo teorico o ideale) per diminuzione prevalente
del tessuto adiposo (< al 5% della massa corporea totale).
È importante verificare se si è di fronte a uno stato di magrezza stabile primitiva costituzionale (idiopatica),
oppure a una magrezza secondaria (sintomatica) che implichi dimagramento conseguente a cause
nutrizionali o a malattia. La magrezza primitiva infatti non va considerata necessariamente come uno stato
patologico.
Fra le tre forme di spesa energetica cui è sottoposto il nostro organismo, la termogenesi alimentare
sembrerebbe la più coinvolta nel mantenimento della magrezza, dal momento che il metabolismo a riposo
del soggetto magro è nella norma e l'attività fisica degli individui adulti magri sedentari non sembra differire
da quella dei soggetti adulti normopeso o obesi.
Le magrezze costituzionali sono caratterizzate nella maggior parte dei casi dalla frequente familiarità e
dall'assenza di disturbi organici.
Le magrezze primitive Includono anche forme congenite di lipodistrofia (es. sindrome di Berardinelli-Seip).
Le magrezze primitive sono scarsamente responsive sia alla terapia farmacologica che a quella alimentare e
gli incrementi ponderali tendono ad essere transitori e poco consistenti.
PAOLA LE MASSON 29
Magrezze secondarie
Si manifestano ogni qualvolta si instauri un bilancio energetico negativo per un periodo di tempo prolungato
e possono essere spia di patologie spesso gravi.
DA INSUFFICIENTE APPORTO CALORICO. Sono le più diffuse al mondo; il quadro clinico varia in
rapporto all'entità e alla qualità del deficit nutrizionale e all'età di insorgenza.
DA PATOLOGIA DIGESTIVA che può portare a ridotto assorbimento di sostanze nutritive (es. cirrosi
epatica, malattia celiaca, alcolismo)
DA ALTERATA UTILIZZAZIONE ENERGETICA. Nel diabete di tipo I il deficit insulinico porta a ridotta
utilizzazione dell'energia introdotta. Nel morbo di Addison il deficit di glucocorticoidi porta ad una
riduzione della gluconeogenesi e della liposintesi, mentre il difetto di androgeni causa una ridotta
spinta anabolica e quindi una compromissione dello sviluppo delle masse muscolari
DA AUMENTATO CONSUMO ENERGETICO. Nell'ipertiroidismo si ha un aumentato catabolismo
proteico con riduzione della massa muscolare. Il feocromocitoma (tumore della midollare del
surrene) che induce aumento della termogenesi e della glicogenolisi/lipolisi. L’esercizio fisico intenso:
marcata riduzione dell'insulina, elevazione catecolamine.
ANORESSIA NERVOSA. Nelle magrezze secondarie si dovrebbero intraprendere provvedimenti di tipo
eziologico e dietetico. Insieme all’approccio dietetico sono utili anche i preparati polivitaminici in
presenza di uno stato carenziale severo.
PAOLA LE MASSON 30
Sindrome Metabolica
La SM è caratterizzata dalla presenza di un insieme distinto di alterazioni metaboliche che si associano più
frequentemente di quanto atteso casualmente che sembrerebbero aumentare in modo sinergistico (quindi
non additivo) il rischio cardiovascolare. Questo insieme distinto di alterazioni consistono in obesità viscerale,
insulino-resistenza, diabete o vari gradi di intolleranza ai carboidrati, dislipidemia e ipertensione arteriosa.
Si tratta di una patologia multifattoriale alla cui genesi concorrono fattori genetici (a oggi in larga parte ignoti)
e fattori ambientali (bilancio energetico positivo secondario a sedentarietà e abbondanza di cibi grassi).
La prevalenza della SM è età-dipendente con differenze tra maschi e femmine (di senso opposto a seconda
dei criteri diagnostici utilizzati).
Esistono inoltre differenze etniche che incidono sia nella valutazione delle misure antropometriche sia nella
predisposizione genetica (basti citare come esempio gli indiani Pima dell'Arizona e le popolazioni polinesiane
che sono più soggette a sviluppare obesità e sindromi metaboliche).
Tutte le componenti della SM sono variabili quantitative continue per le quali l'identificazione di un valore
soglia oltre il quale si eleva il rischio cardiovascolare è sicuramente problematico: per nessuna delle
componenti della SM, infatti, esiste un effetto soglia netto.
Criteri diagnostici
Quelli più utilizzati sono quelli dell’OMS del 1999 e quelli dell’ATP-III del 2001
PAOLA LE MASSON 31
I criteri dell’OMS proposti da un gruppo di diabetologi nel 1999 pongono come condizione necessaria per
fare diagnosi di sindrome metabolica: il diabete o l’alterata glicemia a digiuno (DFG) o l’alterata tolleranza ai
carboidrati (IGT) oppure l’insulino-resistenza. A queste condizioni di base devono aggiungersi almeno atri
due criteri tra:
presenza di obesità
ipertensione
ipertrigliceridemia
bassi livelli plasmatici di HDL
I criteri dell’Egir introducono il fatto che nella condizione necessaria per fare diagnosi di sindrome metabolica
viene tolto il diabete (quindi il paziente deve essere insulino-resistente e a questa condizione devono
aggiungersi almeno due criteri tra quelli elencati sopra).
I criteri diagnostici NCEP-ATP-III proposti nel 2001 da un gruppo di cardiologi e lipidologi, introducono come
elemento il fatto di non stabilire alcuna priorità dei criteri diagnostici. Quindi il paziente per essere definito
affetto da sindrome metabolica può indifferentemente presentare qualunque combinazione di questi criteri,
basta che ne presenti almeno tre.
I criteri dell’IDF proposti nel 2005 in cui viene introdotta come porta d’ingresso alla diagnosi di sindrome
metabolica l’obesità addominale definita mediante la stima della circonferenza vita. A questo deve
aggiungersi altri due criteri tra l’aumento della glicemia a digiuno, l’iperglicemia e la dislipidemia.
Epidemiologia
La prevalenza della SM è maggiore nelle donne, aumenta con l’avanzare dell’età ed è etnia-specifica.
Ruolo patogenetico fondamentale della SM è svolto dall’accumulo di grasso in sede viscerale. Il tessuto
adiposo viscerale riversa gli acidi grassi liberi (FFA) in eccesso direttamente nel fegato dove inducono insulino-
resistenza, con relativo aumento della produzione epatica di glucosio e tendenza all'iperglicemia a digiuno
(IFG) ed aumento della sintesi di VLDL. Insulino-resistenza e iperafflusso di FFA conducono a steatosi non-
alcolica (NAFLD); in tale condizione, aumenta lo stress ossidativo che stimola la perossidazione lipidica con
possibilità di progressione verso la steatoepatite (NASH).
Il tessuto adiposo addominale riversa gli FFA in eccesso anche nel muscolo scheletrico, con riduzione della
captazione di glucosio insulino-mediata. Le adipochine prodotte dal grasso addominale riducono la sensibilità
insulinica sia a livello epatico che muscolare.
PAOLA LE MASSON 32
L'IR può indurre ipertensione arteriosa attraverso la stimolazione del sistema renina-angiotensina, riducendo
la produzione endoteliale di NO e inducendo ipertono simpatico.
L'iperafflusso di FFA nel fegato stimola la sintesi di VLDL; nel plasma l'incontro di queste ultime con le HDL
stimola lo scambio di trigliceridi dalle VLDL alle HDL e di esteri del colesterolo dalle HDL dl alle VLDL. Le HDL
così arricchite di trigliceridi divengono un buon substrato per le lipasi epatiche che idrolizzano i trigliceridi
determinando una riduzione di volume delle HDL. Avviene anche uno scambio trigliceridi-colesterolo tra VLDL
e LDL con successiva idrolisi dei trigliceridi che genera LDL piccole e dense, suscettibili di essere ossidate e
quindi più aterogene.
Fattori genetici e ambientali (tipo di dieta, stress, tabagismo ecc.) possono aggravare o rendere meno
manifeste alcune delle diverse componenti contribuendo così all'eterogeneità fenotipica della SM.
Significato clinico
Trattamento
Bisogna intervenire mediante cambiamenti dello stile di vita: fondamentale la perdita di peso tramite
l’intervento nutrizionale e l’esercizio fisico. L’intervento farmacologico sarà mirato a trattare le singole
patologie: diabete, dislipidemia e ipertensione.
PAOLA LE MASSON 33
Aterosclerosi
Classificazione dei vasi sanguini:
ARTERIE: Vasi che partono dal cuore (es. arteria polmonare); il loro calibro diminuisce man mano che
ci si avvicina alla periferia
o Arterie elastiche, muscolari di grande e medio calibro, arteriole
VENE: Vasi che arrivano al cuore (es. vena polmonare); il loro calibro aumenta progressivamente dai
distretti periferici verso il cuore
o Venule, vene di medio calibro, vene di grosso calibro
L’architettura generale e la composizione cellulare dei vasi ematici sono le stesse in tutto il sistema
cardiovascolare (arterie=vene). Tuttavia, alcune caratteristiche variano a seconda delle differenti
localizzazioni riflettendo le diverse esigenze funzionali. Le arterie per poter far fronte alle sollecitazioni
dovute al flusso pulsatile ed agli elevati livelli pressori, sono dotate di pareti generalmente più spesse ed
elastiche rispetto a quelle dei vasi venosi. Le vene essendo sottoposte ad una pressione sanguigna più bassa,
presentano una parete collassata, più sottile e con meno elastina, rispetto ai vasi arteriosi. Man mano che i
vasi diventano più piccoli (arteriole, venule e capillari) lo spessore parietale diminuisce mentre il rapporto tra
spessore parietale e diametro luminale diviene maggiore.
I CAPILLARI sono vasi dal lume molto ristretto (7-8 μm), che per le loro caratteristiche istologiche sono il sito
ideale di scambio rapido di sostanze diffusibili tra sangue e tessuti. Essi sono infatti costituiti da un singolo
strato di cellule endoteliali, mentre sono sprovvisti di una tonaca media e dell’avventizia. Ad essi possono
trovarsi associati i periciti, cellule appiattite che avvolgono le cellule endoteliali e sembrano avere funzione
contrattile.
Le ARTERIE ELASTICHE sono i vasi di grosso calibro (3cm - 7mm) che conducono il sangue dai ventricoli alle
arterie muscolari. Ne fanno parte l’aorta, il tronco polmonare e i loro rami principali. Presentano parete
relativamente sottile e lume ampio. La tonaca media è particolarmente ricca in fibre elastiche ad andamento
circolare.
Le ARTERIE MUSCOLARI ricevono il sangue dalle arterie elastiche e lo distribuiscono alle arteriole. Sono
arterie di medio e piccolo calibro (7 mm e 1 mm), quali le arterie coronarie, le arterie femorali, le arterie
renali, con uno spessore di parete che è circa un quarto del loro diametro. La tonaca media è spessa e
costituita in prevalenza da cellule muscolari lisce ad andamento circolare o spirale.
PAOLA LE MASSON 34
ATEROSCLEROSI
È una malattia focale della tonaca intima delle arterie di medio e grande calibro. Può essere intesa come una
malattia infiammatoria cronica della parete arteriosa. La lesione caratteristica dell’aterosclerosi è l’ateroma
o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento dell’intima dovuto principalmente all’accumulo di materiale
lipidico e a proliferazione delle cellule muscolari lisce. L’ateroma infatti è costituito da un centro (core)
lipidico (prevalentemente colesterolo) circondato da un cappuccio fibroso (cellule muscolari lisce, collagene,
matrice extracellulare).
L’ateroma deriva essenzialmente da una proliferazione di cellule muscolari lisce e accumulo di lipidi.
FATTORI DI RISCHIO
La presenza di fattori di rischio aumenta la probabilità che un ateroma si formi, ne accelera la crescita e
favorisce l’insorgere di complicanze clinicamente significative.
Ipercolesterolemia
Fumo
Ipertensione arteriosa
Diabete mellito
Obesità
Stile di vita (dieta aterogena, scarsa attività fisica)
Non modificabili:
Età
Sesso (prevalentemente maschile)
Familiarità per cardiopatia ischemica precoce
Etnia
La localizzazione degli ateromi è variabile ma sono privilegiate alcune sedi dell’albero arterioso caratterizzate
da flusso turbolento e dove la pressione arteriosa è elevata: tratti a decorso non rettilineo e le biforcazioni.
PAOLA LE MASSON 35
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Clinicamente l’aterosclerosi può essere asintomatica oppure manifestarsi con fenomeni ischemici acuti o
cronici che colpiscono principalmente cuore, encefalo e arti inferiori.
L'ateroma può essere eccentrico o concentrico. In ogni caso le conseguenze cliniche dipenderanno dal grado
di stenosi. È pur vero che se qualche terapia potrà funzionare sulla parete dell'arteria per dilatarla (anche se
limitatamente), questo sarà possibile solo nel caso delle placche eccentriche. Nella placca concentrica,
invece, l'arteria è come "ingessata" e non potrà in alcun modo essere sensibile a terapie vasodilatatrici.
ENDOTELIO
1. rappresenta una barriera altamente selettiva rispetto al passaggio delle sostanze contenute nel
torrente ematico (es. LDL)
2. mantiene l’equilibrio emostatico intravascolare grazie alle sue proprietà anticoagulanti e
fibrinolitiche
3. contribuisce in modo determinante alla regolazione del tono vasale in quanto produce sostanze ad
azione vasodilatante (principalmente l’ossido nitrico) e sostanze ad azione vasocostrittrice
(angiotensina II, endotelina), che in condizioni fisiologiche sono in equilibrio fra loro.
DISFUNZIONE ENDOTELIALE
sbilanciamento tra sostanze vasocostrittrici e vasodilatanti a favore delle prime (quindi l’endotelio
non funzionante favorisce fenomeni di vasocostrizione)
attività pro-infiammatoria
attività pro-coagulante
PAOLA LE MASSON 36
PATOGENESI DELL’ATEROSCLEROSI
La stria lipidica rappresenta la prima alterazione della parete vasale nello sviluppo dell’aterosclerosi ed è
presente fin dalle prime decadi di vita. Si forma attraverso le seguenti tappe:
1. La formazione della placca si instaura in una condizione di disfunzione endoteliale con perdita dei
meccanismi protettivi
4. Innesco di una risposta infiammatoria: cellule endoteliali e muscolari lisce producono citochine pro-
infiammatorie che richiamano leucociti e monociti attraverso le molecole di adesione (VCAM-1)
Dopo l'accumulo nello spazio sub-endoteliale l'apoB (porzione proteica delle LDL) può essere lievemente
ossidata dalle cellule endoteliali. Le LDL parzialmente ossidate promuovono l'infiammazione e stimolano le
cellule endoteliali a produrre fattori per il reclutamento dei monociti ed il loro differenziamento in macrofagi
all'interno dell'intima.
I macrofagi stimolano l'ulteriore perossidazione delle LDL che porta ad un mancato riconoscimento da parte
del rec. LDL a favore dei recettori dei macrofagi. L'ingresso delle OxLDL nei macrofagi, al contrario delle LDL,
non è soggetto a downregulation, quindi il macrofago si può riempirsi di lipidi divenendo una cellula
schiumosa (foam cell).
Se lo stimolo persiste la stria lipidica progredisce verso forme aterosclerotiche più complicate, ovvero la
placca fibro-lipidica:
La trasformazione in placca è dovuta alla migrazione di cellule muscolari lisce che secernono collagene
formando un cappuccio fibroso che separa il core lipidico dal lume vasale
Stimoli meccanici (stress di parete) determinano la secrezione da parte dei macrofagi e delle piastrine di
sostanze in grado di stimolare la proliferazione delle cellule muscolari lisce
La placca a differenza della stria protrude nel lume vasale determinando un ostacolo al flusso ematico
PAOLA LE MASSON 37
Cellule dell’ateroma
Le cellule proprie della lesione aterosclerotica sono: cellule endoteliali, cellule muscolari lisce fibrogeniche e
macrofagi (cellule infiammatorie infiltranti).
2. Tale trombosi è conseguenza della fissurazione del cappuccio fibroso della placca con conseguente
esposizione intravasale del core lipidico (protrombotico).
3. La lesione del cappuccio fibroso della placca è probabilmente dovuta ad una degradazione del cappuccio
fibroso per rilascio di enzimi proteolitici (metalloproteinasi) da parte delle cellule infiammatorie.
PAOLA LE MASSON 38
DIABETE
PANCREAS
Il pancreas è una ghiandola situata al di sotto del diaframma, in rapporto anatomico con duodeno, coledoco,
ilo della milza e rene sinistro.
1. La parte esocrina (98% della popolazione cellulare) produce gli enzimi digestivi che vengono riversati
nel duodeno attraverso il dotto pancreatico.
2. La parte endocrina (costituita dalle insule pancreatiche o isole del Langherans) secerne:
a. Insulina (cellule β)
b. Glucagone (cellule α)
c. Somatostatina (cellule δ)
d. Polipeptide pancreatico (cellule PP)
L’insulina è un ormone proteico che viene prodotto dalle β cellule delle isole pancreatiche. Viene sitetizzato
in forma di pre-pro-ormone (pre-pro-insulina) che è la forma immatura dell’ormone. I granuli di secrezione
contengono insulina e Peptide C in concentrazione equimolare.
La secrezione di insulina è stimolata dai pasti, principalmente in risposta alle variazioni glicemiche (50-100
μU/ml).
La secrezione basale di insulina permette che vengano mantenute delle concentrazioni costanti durante
l’arco della giornata (4-18 μU/ml) è stimolata da:
L’insulina è il più potente ormone anabolico conosciuto (stimola i processi anabolici e blocca quelli catabolici).
Influenza il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine, favorendo la conservazione dell’energia
che viene introdotta nell’organismo con gli alimenti.
Legandosi al suo recettore stimola l’utilizzo del glucosio e la sua trasformazione in glicogeno (macromolecola
di deposito), favorisce a partire dagli aminoacidi la sintesi proteica e a partire dagli acidi grassi liberi e dal
glucosio favorisce la sintesi dei trigliceridi. Al contrario ha una azione inibitoria sulla lipolisi
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PRINCIPALI EFFETTI DELL’INSULINA
Tutti i tessuti direttamente o indirettamente sono influenzati dall’insulina, ma i suoi effetti principali si
esplicano sui tre tessuti maggiormente coinvolti nel metabolismo energetico.
Sul fegato l’insulina stimola la captazione del glucosio, la sintesi del glicogeno a partire dal glucosio, la sintesi
dei trigliceridi e inibisce la gluconeogenesi.
Sul muscolo aumenta la captazione del glucosio e degli aminoacidi, quindi favorisce la sintesi di glicogeno e
la sintesi proteica.
Sul tessuto adiposo aumenta la captazione del glucosio, aumenta la lipogenesi (quindi la sintesi di trigliceridi),
diminuisce la lipolisi.
ORMONI CONTROREGOLATORI
1. CORTISOLO
↑ Lipolisi
↑ Gluconeogenesi epatica
↑ Proteolisi muscolare
2. GLUCAGONE
↑ Glicogenolisi epatica
↑ Gluconeogenesi epatica
3. ADRENALINA
↑ Glicogenolisi epatica
↑ Lipolisi
4. GH
↑ Lipolisi
↑ Gluconeogenesi epatica
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CORPI CHETONICI
I corpi chetonici (acetone, acido acetoacetico, acido β-idrossibutirrico) derivano dalla β-ossidazione degli
acidi grassi a livello epatico (glucagone)
I corpi chetonici vengono liberati nel sangue (chetosi) ed eliminati nelle urine (chetonuria)
Glicemia
Variazioni fisiologiche: 70-110 mg/dl (a digiuno), 2500 ml/24h) Emoglobina glicosilata (HbA1c)
Frazione dell’emoglobina capace di legare il glucosio, utilizzata come marker dei valori medi di
glicemia negli ultimi 2-3 mesi
Generalmente patologica: si verifica quando viene superata la soglia di riassorbimento renale del
glucosio (circa 180 mg/dl)
Se abbondante determina aumento del volume urinario → poliuria osmotica (diuresi >2500 ml/24h)
Frazione dell’emoglobina capace di legare il glucosio, utilizzata come marker dei valori medi di
glicemia a digiuno negli ultimi 2-3 mesi
PAOLA LE MASSON 41
DEFINIZIONE DI DIABETE MELLITO
Il Diabete Mellito è un disordine complesso del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine,
caratterizzato dalla presenza di IPERGLICEMIA dovuta a deficit della secrezione e/o dell’azione dell’insulina.
L’iperglicemia cronica può associarsi a complicanze a breve e a lungo termine, e a disfunzione e insufficienza
di diversi organi.
DIABETE SECONDARIO
ENDOCRINOPATIE: Acromegalia (↑GH), Feocromocitoma (tumore della midollare del surrene che si associa
a elevati livelli di catecolamine circolanti), Glucagonoma (aumento della secrezione di glucagone), Sindrome
di Cushing (anche iatrogena).
PAOLA LE MASSON 42
DIABETE TIPO 1
Patogenesi
Su questo background di predisposizione genetica vengono poi ad agire dei fattori ambientali che
determinano un danno sulle beta-cellule pancreatiche che inizieranno ad esprimere sulla loro superficie degli
antigeni che non vengono più riconosciuti come self e pertanto attaccati dal sistema immunitario. Quindi le
cellule beta-pancreatiche verranno distrutte attraverso un attacco mediato dai linfociti T oppure da anticorpi.
Fattori di rischio
I fattori ambientali ritenuti respoinsabili dell’attivazione della risposta immunitaria contro le beta-cellule
sono: agenti infettivi, agenti chimici e fattori alimentari.
I marcatori dell’autoimmunità nel diabete tipo 1 precedono l’insorgenza della malattia conclamata (hanno
valore predittivo) e ne confermano la diagnosi. Si tratta di anticorpi specifici: Ab anti-isole pancreatiche (ICA),
Ab anti-insulina (IAA), Ab anti-GAD (decarbossilasi dell’ac. glutammico), Ab anti-Antigene 2 delle cellule
insulari (IA2).
PAOLA LE MASSON 43
Fisiopatologia del diabete di tipo 1
PAOLA LE MASSON 44
DIABETE TIPO 2
Patogenesi
Fattori di rischio
Età
Etnia
Familiarità diabetica (suscettibilità genetica)
fattori modificabili:
Obesità
Sedentarietà
Ipertensione, dislipidemia (fattori di rischio CV)
PAOLA LE MASSON 45
Storia naturale
Generalmente entrambe le alterazioni (insulino-resistenza e difetto della secrezione insulinica) sono presenti
al momento della manifestazione clinica della malattia, e ciascuna delle quali può essere la forma
predominante.
PAOLA LE MASSON 46
Parametri di laboratorio per la valutazione del Diabete mellito:
Glicemia a digiuno
Curva da carico a due ore con 75 g di glucosio (OGTT)
Emoglobina glicosilata
Fruttosamina
Determinazione di glicosuria e chetonuria
Dosaggio del Peptide C (riflette la riserva funzionale delle beta-cellule)
Marcatori immunologici (Diabete tipo 1): ICA, IAA, anti-GAD, anti-IA2
DIAGNOSI DI DIABETE
In assenza dei sintomi tipici della malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale), la diagnosi di DIABETE deve
essere posta con il riscontro, confermato in almeno due diverse occasioni di:
glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl (con dosaggio su prelievo eseguito al mattino, alle ore 8 circa, dopo
almeno 8 ore di digiuno)
oppure
glicemia ≥ 200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio eseguito con 75 g (Oral Glucose Tolerance
Test, OGTT)
oppure
HbA1c ≥ 6,5% (solo con dosaggio standardizzato e allineato a IFCC; inoltre devono essere tenute in
considerazione eventuali condizioni che possono interferire con il dosaggio)
DIAGNOSI DI PREDIABETE
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PRESENTAZIONE CLINICA
All’esordio (o in corso di trattamento non efficace) il paziente diabetico si presenta con sintomi metabolici e
non metabolici:
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Screening per il diabete tipo 2
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Trattamento del paziente diabetico:
1. DIETA
2. ATTIVITÀ FISICA
Svolgere un’attività fisica regolare (20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana) di tipo aerobico di
intensità moderata (50-70% della frequenza cardiaca massima) e/o almeno 90 minuti/settimana di esercizio
fisico intenso (> 70% della frequenza cardiaca massima).
L’attività fisica deve essere distribuita in almeno 3 giorni/settimana e non ci devono essere più di 2 giorni
consecutivi senza attività.
3. TERAPIA IPOGLICEMIZZANTE
ipoglicemizzanti orali
insuline
ipoglicemizzanti
Diabete tipo 1
In presenza di sintomi o chetoni
In caso di intolleranza o di fallimento degli altri ipoglicemizzanti
In presenza di calo ponderale non altrimenti giustificabile
In presenza di malattie intercorrenti o di chirurgia
PAOLA LE MASSON 50
TERAPIA FARMACOLOGIA
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LE INCRETINE
Le incretine stimolano la secrezione insulinica (60-70% della secrezione insulinica in risposta a un pasto).
Due peptidi sono i principali (80%) responsabili di tale effetto: il Glucosemediated Insulinotropic Peptide (GIP)
e il Glucagon-Like Peptide 1 (GLP-1), riversati in circolo dopo un pasto rispettivamente dalle cellule K e L
dell’intestino.
Il GIP e il GLP-1 vengono quasi immediatamente degradati (quest’ultimo ha una emivita di 1-2 min, il primo
di 7 min) dalle Dipeptidyl-Peptidasi IV (DPPIV).
Il GLP-1 ha azione a livello pancreatico, dove stimola le beta-cellule alla secrezione di insulina.
Aumenta il senso di sazietà con azione sui nuclei ipotalamici deputati al controllo dell’appetito, nonché a
livello periferico rallentando lo svuotamento gastrico.
Le isole pancreatiche trattate con GLP-1 in coltura hanno conservato intatta la loro morfologia per un periodo
di tempo più lungo rispetto a quelle non trattate.
L’azione del GLP-1 sulle beta-cellule è importante nel paziente diabetico, in cui questa azione è compromessa
(in modo molto grave nel tipo 1 e in modo importante anche nel tipo 2).
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Farmaci analoghi del GLP-1 e Inibitori di DPP-IV
In seguito all’osservazione che nei pazienti diabetici l’effetto incretinico di stimolo della secrezione insulinica
(in risposta al pasto è ridotto rispetto ai soggetti normali, è stato ipotizzato un ruolo terapeutico del ripristino
dei livelli di GLP-1, con l’obiettivo di favorire il ripristino dell’omeostasi glucidica.
Inibitori della proteina cotrasportatore sodio-glucosio, espressa quasi esclusivamente nel rene e responsabile
del riassorbimento di circa il 90% del glucosio a livello urinario. Questi farmaci inibendo l’azione della
suddetta proteina determinano l’eliminazione di circa il 40% del glucosio con le urine. I dati più recenti
dimostrano una riduzione dell’HbA1c di circa 0,7-0,8%, del peso corporeo e della pressione arteriosa. Non
sono presenti ipoglicemie, ma si evidenziano infezioni più frequenti dell’apparato uro-genitale.
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Complicanze acute e croniche del diabete
Fisiopatologia dell’ipoglicemia
L’iperglicemia provoca:
un’attivazione del sistema nervoso autonomo e quindi si avranno manifestazioni adrenergiche quali
fame, sudorazione, tremore, tachicardia
neuroglicopenia, ovvero una diminuzione della concentrazione del glucosio, quest’ultima da come
segni una alterazione delle funzioni cognitive con ansia, agitazione e nelle forme più gravi confusione,
convulsioni e coma.
Dopo l’ipoglicemia il recupero dipende dalla capacità di secrezione degli ormoni iperglicemizzanti o di contro-
regolazione (adrenalina, glucagone, GH, cortisolo).
Trattamento dell’ipoglicemia
Se il paziente è cosciente: somministrazione di 15-20 g di glucosio o carboidrati per bocca (succhi di frutta,
caramelle, latte, bevande zuccherate), da ripetere eventualmente dopo 15-20 min se la glicemia rimane
inferiore a 100 mg/dl
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Chetoacidosi diabetica
Si verifica soprattutto nel diabete di tipo 1 (spesso è la prima condizione che consente di fare diagnosi) in
seguito a:
Caratterizzato da:
acidosi metabolica (pH del sangue < a 7,3 e da riduzione dei bicarbonati a livello ematico)iperglicemia
presenza di corpi chetonici nel sangue e nelle urine (chetonuria)
poliuria, polidipsia
disidratazione
alterazioni del sensorio fino al coma
È una complicanza acuta del diabete caratterizzata da marcata iperglicemia (> 600 mg/dl) in assenza di
chetosi significativa, quindi con osmolarità plasmatica aumentata (> 330 mOsmol/l), grave disidratazione e
ottundimento del sensorio moderato/severo.
È una complicanza metabolica acuta più frequente nel diabete di tipo 2, spesso in anziani che non sanno di
essere diabetici.
I fattori scatenanti sono polmoniti, uremia, vomito, diarrea, infezioni virali acute, severa disidratazione,
farmaci (diuretici, cortisonici, β-bloccanti).
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COMPLICANZE METABOLICHE CRONICHE
Microangiopatia diabetica
Alterazioni specifiche del microcircolo → retinopatia, nefropatia, neuropatia diabetiche
Macroangiopatia diabetica
Aterosclerosi precoce e diffusa → Complicanze cardiovascolari
Altre complicanze
Aumentata sensibilità alle infezioni
Cataratta
Piede diabetico
1. GLICOSILAZIONE NON ENZIMATICA (GLICAZIONE): delle proteine strutturali: può comportare nelle stesse
difetti funzionali. Infatti l’HbA1c cede meno facilmente ossigeno ai tessuti, le immunoglobine glicate possono
presentare alterazioni della loro funzione anticorpale, la glicazione delle proteine del cristallino può
concorrere alla formazione della cataratta.
2. AGE (PRODOTTI FINALI DI GLICAZIONE): le proteine glicate danno luogo attraverso una serie di reazioni
biochimiche agli AGE che interagiscono con le cellule endoteliali (↑coagulazione; ↑endotelina; ↓NO).
3. ATTIVAZIONE DELLA VIA DEI POLIOLI: il glucosio in eccesso entra nelle cellule e viene ridotto dall’aldoso-
reduttasi in sorbitolo, che si accumula nelle cellule e ne aumenta l’osmolarità con conseguente richiamo di
acqua e danno cellulare.
4. ALTERAZIONE DEL METABOLISMO DEI FOSFOINOSITIDI: all’accumulo di sorbitolo si associa una riduzione
del mioinositolo intracellulare, importante per il normale funzionamento di enzimi come l’ATPasi Na+/K+
(essenziale per il mantenimento del potenziale di membrana).
Microangiopatia diabetica
Interessa i piccoli vasi di diversi organi e si sviluppa nel lungo periodo in soggetti diabetici con controllo
glicemico non ottimale.
retinopatia
nefropatia
neuropatia
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Retinopatia diabetica
È strettamente correlata alla durata del diabete e con il grado di compenso diabetico.
La diagnosi viene fatta con l’esame del fondo dell’occhio che permette di vedere la presenza delle lesioni
retiniche.
La retinopatia può avere complicanze acute importanti quali emorragie e distacco della retina.
Nefropatia diabetica
Alterazione della funzione renale nel paziente affetto da diabete tipo 1 e 2, sostenuta da lesioni glomerulari
tipiche e caratterizzata dal punto di vista clinico da perdita proteica urinaria e frequente presenza di
ipertensione arteriosa. Può essere responsabile di insufficienza renale terminale e dell’aumento significativo
del rischio cardiovascolare. È correlata alla durata del diabete, al compenso glicemico e alla coesistenza di
ipertensione.
Nella storia naturale di nefropatia ci sono differenze nel diabete di tipo 1 e nel diabete di tipo 2:
PAOLA LE MASSON 57
Microalbuminuria
proteinuria
ipertensione arteriosa
diabete di lunga durata (10-15 aa)
assenza di altre patologie renali
associazione con retinopatia proliferativa
Neuropatia diabetica
Insorge come conseguenza di un danno microvascolare e metabolico e della ridotta capacità rigenerativa dei
nervi in seguito all’iperglicemia.
Il danno nervoso è rappresentato da una diminuzione del numero delle fibre e da alterazioni strutturali
riguardanti assoni, neuroni, cellule perineurali e cellule vascolari endoneurali.
PAOLA LE MASSON 58
Polineuropatia sensitiva
La diagnosi viene fatta per l’insorgenza di sintomi specifici (parestesie/dolori in genere localizzati agli arti
inferiori, prevalentemente notturni, senza relazione con l’attività fisica) o, in assenza di sintomatologia, in
seguito all’esame obiettivo:
Neuropatia autonomica
Il quadro clinico è estremamente variabile. Sono frequenti i disturbi della sudorazione; tuttavia le disfunzioni
più importanti sono a carico del sistema cardiovascolare (tachicardia, ipotensione ortostatica), dell’apparato
gastrointestinale (ritardo dello svuotamento gastrico, disturbi dell’alvo) e genitourinario (disturbi della
minzione).
Macroangiopatia diabetica
Obesità
Ipertensione arteriosa
Fumo
Dislipidemia (in particolare ipercolesterolemia)
Ipertensione arteriosa
Nel Diabete tipo 1 l’ipertensione è correlata al danno renale e solitamente non è presente alla diagnosi. La
pressione diastolica e quella sistolica aumentano in modo proporzionale.
Nel Diabete tipo 2 l’ipertensione è correlata all’obesità, all’insufficienza renale e all’età e solitamente è già
presente alla diagnosi. La pressione sistolica aumenta maggiormente rispetto a quella diastolica.
PAOLA LE MASSON 59
Il piede diabetico
Tipi di lesioni:
PAOLA LE MASSON 60
SINDROMI IPOGLICEMICHE
Pseudo-ipoglicemia
Ipoglicemia
Non esiste accordo generale sui cut-off plasmatici da adottare per la definizione biochimica di ipoglicemia: in
letteratura vengono riportati valori soglia compresi tra 50 e 70 mg/dl. Tale discordanza deriva dal fatto che
la comparsa del quadro clinico di ipoglicemia è condizionata da tre variabili:
Fisiopatologia
I livelli plasmatici di glicemia a digiuno in soggetti non affetti da patologie metaboliche vengono mantenuti
costanti tra 60-100 mg/dl.
I livelli di glicemia e di insulinemia raggiungono il picco massimo entro 1 h dal pasto e ritornano ai valori basali
entro 3-4 ore.
Le modificazioni ormonali che mantengono l’euglicemia nel periodo di digiuno consistono in:
PAOLA LE MASSON 61
Cause di ipoglicemia
A digiuno:
Con iperinsulinismo
Senza iperinsulinismo
Post-prandiale o reattiva:
Alimentare
Diabete tipo 2 (esordio) o ridotta tolleranza al glucosio
Funzionale (idiopatica)
TERAPIA INSULINICA
ALTRI FARMACI: pentamidina (citolisi cellule β?), chinino e clorochina (↑uhlizzo periferico di glucosio?)
INSULINOMA: neoplasia rara (1/250000), l’8% si associa a neoplasie a carico di organi endocrini. Le
ß-cellule neoformate liberano insulina a digiuno o in corso di esercizio fisico. Diagnosi biochimica:
elevati livello plasmatici di insulina (> 6 μUI/mL) e di peptide-C in presenza di ipoglicemia.
Localizzazione più frequente: coda del pancreas. Età media di insorgenza: 40-60 anni
PAOLA LE MASSON 62
Ipoglicemia reattiva
ADRENERGICI: dovuti all’attivazione del sistema nervoso autonomo con rilascio di adrenalina. Nel paziente
non diabetico, precedono i segni e sintomi neuroglucopenici. Invece, nei pazienti diabetici i sintomi
adrenergici possono mancare in caso di neuropatia autonomica e/o trattamento con β-bloccanti non
selettivi.
NEURO-GLICOPENICI: sono l’espressione diretta della deprivazione di glucosio a livello del SNC. Predominano
quando l’ipoglicemia insorge gradualmente. La soglia glicemica al di sotto della quale essi compaiono si riduce
con il ripetersi degli eventi ipoglicemici, poiché si instaura un meccanismo adattativo.
PAOLA LE MASSON 63
Diagnosi di ipoglicemia
Dati anamnestici
Dati biochimici
Glicemia
Insulinemia
Rapporto insulinemia/glicemia
Proinsulina
Peptide C
Insulinemia/glicemia↑↑↑ Insulinemia/glicemia↑
Se il paziente non è diabetico, non assume farmaci e non presenta patologie intercorrenti bisogna valutare il
rapporto insulinemia/glicemia. Se è normale sarà inferiore a 0.4, se è superiore a questo cut off vi è il sospetto
di insulinoma per cui bisognerà eseguite il test del digiuno
Il TEST DEL DIGIUNO consiste in una provocazione dell’ipoglicemia tramite digiuno con ricovero di 72 ore,
valutando ripetutamente glicemia, insulinemiae peptide C. Il test viene interrotto al comparire deisintomi di
ipoglicemia. Nell’insulinoma è tipica l’assenza della soppressione fisiologica dell’insulina da riduzione della
glicemia da digiuno. Durante il test il rapporto insulina/glicemia diminuisce nei soggetti sani, mentre aumenta
nei soggetti con insulinoma a valori >0.4.
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Diagnosi: ipoglicemia reattiva
Nella diagnosi di ipoglicemia reattiva è utile eseguire un test di carico orale del glucosio a 5 ore. In questo
caso si ha ipoglicemia precoce (entro 1-2 h dal carico orale di glucosio) nella sindrome post-gastrectomia,
nell’ipoglicemia reattiva idiopatica. Si ha ipoglicemia tardiva (entro 4-5 h dal carico) nel DM tipo 2
(all’esordio), a causa dell’iperinsulinismo. Se dopo 3-5 h dal carico si manifestano sintomi di ipoglicemia,
senza ipoglicemia obiettiva, si tratta di pseudoipoglicemia.
Terapia
Se il paziente è cosciente: somministrazione di 15-20 g di glucosio o carboidrati per bocca (succhi di frutta,
caramelle, latte, bevande zuccherate), da ripetere eventualmente dopo 15-20 min se la glicemia rimane
inferiore a 100 mg/dl
Terapia dell’insulinoma
1. Exeresi chirurgica
2. Terapia farmacologica: diazossido, analoghi della somatostatina (se ci sono controindicazioni
all’intervento chirurgico o in attesa che venga eseguito o dopo fallimento chirurgico). Nell’attesa
della localizzazione (e quindi di una terapia mirata), fare pasti frequenti.
Terapia dell’ipoglicemia alimentare: si basa sulla terapia farmacologica con anticolinergici volta a rallentare
la motilità intestinale.
Terapia dell’ipoglicemia nel dmt2/igt e funzionale: Dieta e calo ponderale (per migliorare la sensibilità
insulinica). Pasti piccoli e frequenti, poveri di alimenti ad alto indice glicemico. Eliminare alcool. Fibre
(emicellulosa e guar). Terapia con acarbosio (inibitore dell’α-glucosidasi) che riduce l’assorbimento del
glucosio.
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DISLIPIDEMIE
Le dislipidemie sono patologie caratterizzate da anomalie del metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine con
conseguente alterazione delle loro concentrazioni plasmatiche.
Classificazione eziologica
Le dislipidemie primitive sono causate da difetti genetici del metabolismo dei lipidi e delle
lipoproteine (es. per mutazioni del recettore delle LDL o delle Apo B che provocano
ipercolesterolemia).
Le dislipidemie secondarie possono insorgere come conseguenza di: - patologie (obesità, diabete,
insufficienza renale, etc.) o a seguito di assunzione di alcool, farmaci (es. diuretici tiazidici) od ormoni
(es. steroidi, contraccettivi orali).
Nella maggior parte dei casi, tali condizioni causano un’alterazione del catabolismo delle lipoproteine.
LIPOPROTEINE
Le lipoproteine sono particelle globulari ad alto peso molecolare costituite da un nucleo centrale, o core, che
contiene i lipidi non polari (trigliceridi ed esteri del colesterolo), circondati da un mantello polare di superficie
formato da un unico strato di fosfolipidi, colesterolo non esterificato e proteine specifiche, dette
apoproteine. L’orientamento dei componenti del mantello di superficie stabilizza la particella e la mantiene
in soluzione nel plasma. I lipidi, insolubili in acqua,sono veicolati nel plasma in associazione alle proteine.
Normalmente sono presenti in circolo cinque classi principali di lipoproteine, che differiscono tra loro per:
PAOLA LE MASSON 66
Composizione delle lipoproteine
I chilomicroni sono le lipoproteine che compaiono in circolo a seguito di un pasto. Trasportano i grassi esogeni
(assunti con la dieta) dall’intestino tenue alle sedi di utilizzo e di deposito.
Le VLDL sono i principali carriers dei trigliceridi endogeni e del colesterolo epatico, che trasportano alle sedi
di impiego o di deposito.
Le LDL vengono generate dalle IDL, trasportano il 60-70% del colesterolo del sangue verso i tessuti.
Le HDL, sintetizzate a livello epatico e intestinale, trasportano il 20-30% del colesterolo del sangue verso il
fegato per l’escrezione. Quindi sono deputate al trasporto inverso del colesterolo, dalla periferia verso il
fegato, dove il colesterolo viene utilizzato per la sintesi degli acidi biliari e poi escreto con la bile.
Le apoproteine (componente proteica delle lipoproteine) sono sintetizzate nel fegato e nell’intestino, sono
esposte sulla superficie delle lipoproteine e, oltre ad assicurarne la stabilità strutturale di questi complessi
lipoproteici, ne condizionano il metabolismo attraverso l’attivazione di specifici enzimi e il legame con i
recettori cellulari.
PAOLA LE MASSON 67
Trasporto dei lipidi e metabolismo delle lipoproteine
I chilomicroni si formano a livello intestinale in seguito ai pasti, veicolano i lipidi (essenzialmente i trigliceridi)
a livello periferico e per azione della lipoproteinlipasi liberano i trigliceridi che sono al loro interno per
permettere ai tessuti di acquisire acidi grassi liberi. Da questa cessione di lipidi si ottengono i residui dei
chilomicroni che tornano al fegato.
Le VLDL sono invece sintetizzate a livello epatico e quindi veicolano i trigliceridi e il colesterolo di origine
epatica. Dall’idrolisi dei trigliceridi che esse veicolano si originano le LDL, che possono tornare al fegato.
Le HDL si originano prevalentemente a livello epatico e intestinale, scambiano numerosi lipidi con le altre
lipoproteine presenti in circolo veicolando il colesterolo al fegato (sono deputate al trasporto inverso del
colesterolo).
Classificazione di Fredrickson
La classificazione di Fredrickson, sviluppata negli anni 70 dall’OMS, classifica le dislipidemie sulla base del
profilo di lipidi e lipoproteine. Tutte le categorie di questa classificazione possono essere dislipidemie
primitive o secondarie.
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DISLIPIDEMIE FAMILIARI
Le dislipidemie familiari sono malattie su base genetica a carattere autosomico (recessivo, dominante o
codominante a seconda della malattia) caratterizzate da elevati livelli di alcune frazioni lipidiche del sangue.
Comportano un aumentato rischio di grave e precoce insorgenza di malattia aterosclerotica, nel caso delle
ipercolesterolemie, e di pancreatite nel caso delle ipertrigliceridemie.
Le dislipidemie familiari sono state finora distinte secondo la classificazione di Fredrickson, oggi almeno in
parte superata da una classificazione genotipica.
1. In presenza di Xantomi.
Gli xantomi dei tendini appaiono come nodularità irregolari a livello del tendine d’Achille e dei tendini
delle ginocchia, dei gomiti e degli estensori delle mani.
3. Uno o più familiari di I grado sono affetti da dislipidemia, o da malattia aterosclerotica precoce (< 55
anni nelle donne e < 65 anni nei maschi) o presentano xantomi.
PAOLA LE MASSON 69
DISLIPIDEMIE SECONDARIE
Significato clinico:
PAOLA LE MASSON 70
LABORATORIO
Colesterolo totale
HDL-C
Trigliceridi
LDL-C
Friedewald formula (in mg/dl): LDL= Col totale - HDL - trigliceridi/5 (applicabile se i trigliceridi sono inferiori
a 400 ml/dl)
La riduzione del Colesterolo LDL deve essere il primo obiettivo della terapia per la prevenzione degli eventi
CV. Ad ogni riduzione di 40 mg/dl di LDL corrisponde una diminuzione del 22% di incidenza di eventi
cardiovascolari. Bersagli secondari della terapia delle dislipidemie sono ApoB e le HDL.
Il ruolo dei TG nella malattia CV è ancora dibattuto. Tuttavia livelli elevati di TG richiedono trattamento per
prevenire la pancreatite acuta.
Il livello dei lipidi plasmatici ed in particolare quello del Colesterolo LDL deve essere valutato ed
eventualmente ridotto con dieta e/o farmaci solo nell’ambito della considerazione del rischio cardiovascolare
globale.
PAOLA LE MASSON 71
FARMACI per il trattamento delle dislipidemie
Statine
Le statine inibiscono la sintesi del colesterolo endogeno agendo sull’HMGreduttasi. La riduzione delle
concentrazioni intracellulari di colesterolo stimola la sintesi di recettori delle LDL sulla superficie degli
epatociti, con conseguente estrazione del colesterolo ematico e riduzione dei livelli di LDL. Gli effetti
collaterali sono le alterazioni della funzionalità epatica e più raramente la rabdomiolisi. Le statine
attualmente disponibili in commercio sono Pravastatina, Lovastatina, Simvastatina, Fluvastatina,
Atorvastatina e Rosuvastatina.
Fibrati
Il meccanismo d’azione dei fibrati (bezafibrato, fenofibrato, gemfibrozil) sul metabolismo delle lipoproteine
coinvolge l’attivazione dei PPAR-α (Peroxisome Proliferator Activated Receptors), recettori nucleari epatici
che fungono da fattori trascrizionali attivati da acidi grassi e coinvolti nel controllo del metabolismo lipidico
e lipoproteico (tramite modulazione della trascrizione dei geni per Apo A-I e Apo AII, Lipoproteina lipasi, ecc).
Rispetto alle statine, i fibrati hanno un impatto superiore sui livelli di TG e HDL e solo un basso impatto sui
livelli di LDL: ↓ 40% VLDL, ↓ 0-10% LDL, ↑10% HDL. Effek avversi a livello muscolare (mialgia, aumento di
CPK) si osservano raramente in monoterapia ma sono più frequenti in caso di associazione fibrato + statina
Gli acidi biliari vengono sintetizzati nel fegato a partire dal colesterolo e poi rilasciati nel lume intestinale. La
maggior parte degli acidi biliari fanno ritorno a livello epatico attraverso processi di riassorbimento. La
colestiramina e il colestipolo agiscono legando gli acidi biliari a livello intestinale, inibendone il riassorbimento
entero-epatico, provocandone quindi l’eliminazione.
Ezetimibe
Ezetimibe inibisce l’assorbimento intestinale del colesterolo (ma non degli altri grassi) con conseguente
riduzione del quantitativo del colesterolo che raggiunge il fegato. Questo determina un aumento
dell’espressione dei recettori epatici per le LDL e una riduzione della concentrazione plasmatica delle LDL.
Sono contenuti nell’olio di pesce. Il meccanismo mediante cui agiscono non è del tutto chiaro, tuttavia
sembra almeno in parte dovuto alla capacità di interagire con i recettori PPAR e ridurre la produzione di
ApoB. ↓ 30% VLDL
ALIMENTI L’uso di alcuni alimenti particolari sembra apportare benefici al trattamento delle dislipidemie.
Fitosteroli. Proteine della soia. Fibra alimentare idrosolubile. Policosanolo. Lievito di riso rosso
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Ipertensione arteriosa
Un soggetto adulto è iperteso se ha una pressione arteriosa ≥ 140/90 mmHg (Definizione OMS)
È una patologia frequente con prevalenza nella popolazione italiana: 31%, mentre il 17% della popolazione
italiana risulta borderline
È un fattore di rischio per: Patologie cerebrovascolari (es. Ictus cerebri), Infarto miocardico, Scompenso
cardiaco, Vasculopatia periferica e Insufficenza renale.
La pressione arteriosa è una variabile continua che fluttua ampiamente durante il giorno, in base a stress
fisici e stress mentali. Ha una distribuzione normale nella popolazione e tende ad aumentare con l’età
(soprattutto la pressione sistolica)
L’aumento dei valori pressori è associato ad un progressivo aumento del rischio di malattie cerebro- e
cardiovascolari (rischio esponenziale e non lineare).
Misura indiretta: utilizzando appositi apparecchi che sono in grado di valutare la pressione del sangue
dall’esterno. Di tali apparecchi, quello più preciso e comunemente usato è lo sfigmomanometro a mercurio.
Metodo ascoltatorio (rumori di Korotkoff): si inizia la misurazione gonfiando il bracciale di gomma fino al
punto in cui la pulsazione dell’arteria del polso scompare; a questo punto si insuffla ancora un po’ di aria nel
bracciale (circa 20 mmHg). Si fa uscire molto lentamente l’aria dal bracciale. Quando la pressione dell’aria nel
bracciale sarà uguale a quella arteriosa, un po’ di sangue riuscirà a passare nell’arteria producendo un primo
rumore che corrisponderà alla PRESSIONE SISTOLICA. Riducendo ulteriormente la pressione i rumori
diventeranno via via più deboli: la completa scomparsa dei rumori corrisponderà alla PRESSIONE DIASTOLICA.
PAOLA LE MASSON 73
Quando si misura la pressione arteriosa, si dovrebbe prestare attenzione a:
PAOLA LE MASSON 74
Vasocostrizione e vasodilatazione
Vasocostrizione (effettoα-adrenergico)
Tachicardia
Aumento della gittata cardiaca
Le azioni del sistema nervoso simpatico sono rapide e modulano in pochi secondi i livelli pressori
Sistema renina-angiotensina-aldosterone
Inoltre, è deputato al mantenimento del bilancio del sodio e al controllo del volume ematico
La renina è un enzima prodotto dalle cellule iuxtaglomerulari del rene. La sua secrezione è controllata
principalmente dalla pressione nelle arteriole renali e dalla concentrazione di Na+ a livello della macula
densa.
Angiotensina II è un potente:
vasocostrittore
stimolatore del rilascio di aldosterone dal surrene
fattore ipertrofico (determina ipertrofia dei cardiomiociti e delle cellule muscolari lisce delle
arteriole)
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Classificazione eziopatogenetica
Possibili cause:
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Ipertensione essenziale: fattori di rischio
ETÀ
La pressione arteriosa tende ad aumentare con l’età, probabilmente per una ridotta compliance delle
arterie.
FAMILIARITÀ
AMBIENTE
ASSUNZIONE SODIO
2 studi (SALT e DASH study) hanno confermato una forte correlazione fra ipertensione, ictus e
assunzione di sale
Riducendo l’assunzione di sodio negli ipertesi si riducono i livelli pressori nel 60% dei casi
La riduzione dell’assunzione di sale nei soggetti normotesi non determina effetti
ALCOL
Piccole quantità di alcol fanno diminuire PA; elevate quantità di alcol fanno aumentare PA
Se si riduce il consumo di alcol i livelli di PA diminuiscono (3-5 mmHg) in diversi giorni/settimane
PESO
ETNIA
I Caucasici hanno livelli di PA inferiori rispetto alla popolazione nera che vive nello stesso ambiente
Cause non chiare. I neri sono geneticamente “salt retainers” e più sensibili all’aumento
dell’assunzione di sale
Più basso è il peso alla nascita, maggiori sono le probabilità di sviluppare ipertensione e scompenso
cardiaco in età adulta
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Ipertensione secondaria
Il danno d’organo, determinato dalla persistenza dell’ipertensione, a sua volta aumenta la PA, instaurando
un circolo vizioso
Malattie cerebrovascolari
TIA
Tromboemboliche
Emorragie intracraniche
Malattie cardiovascolari
Sindromi coronariche
Infarto miocardico
Scompenso cardiaco
Insufficienza renale
TERAPIA
Misure generali:
Controllo stress
Dieta ed esercizio fisico
Controllo degli altri fattori di rischio
Terapia farmacologica:
Diuretici
ACE-inibitori
Antagonisti recettoriali dell’Angiotensina II
Calcio-antagonisti
β-bloccanti
α-bloccanti
Vasodilatatori
Antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi
PAOLA LE MASSON 78
Cardiopatia ischemica
Entrambe le coronarie, destra e sinistra, prendono origine dall’aorta ascendente. La Coronaria destra
percorre il solco coronarico fino a raggiungere Il margine destro del cuore e quindi la parte diaframmatica
dello stesso e finisce per anastomizzarsi con il ramo circonflesso della coronaria di sinistra. La Coronaria
sinistra è di calibro superiore e percorre il solco interventricolare anteriore fino a dividersi nei suoi due rami
principali:
CENNI DI FISIOLOGIA
A riposo il consumo di O2 del miocardio è molto elevato. Nel passaggio attraverso il tessuto cardiaco viene
estratto circa il 70-80% dellO2 contenuto nel sangue arterioso, mentre gli altri tessuti hanno un’estrazione di
O2 del 25%.
Come conseguenza si ha che sotto sforzo, per soddisfare la richiesta cardiaca aumentata di O2 non resta che
aumentare il flusso di sangue nelle coronarie, vista la limitata possibilità di aumentare ulteriormente
l’estrazione di O2. Il flusso di sangue sotto sforzo può quindi aumentare di 4-6 volte rispetto alla condizione
di riposo.
Quindi durante l’esercizio fisico, aumenta il flusso di sangue nelle coronarie per:
CARDIOPATIA ISCHEMICA
La cardiopatia ischemica comprende uno spettro di condizioni patologiche a diversa eziologia, in cui il fattore
fisiopatologico unificante è rappresentato da uno squilibrio tra la richiesta metabolica e l’apporto di ossigeno
al miocardio.
Questo squilibrio causa un’alterazione dell’attività elettrica e della capacità contrattile delle zone colpite.
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FISIOPATOLOGIA
1. La riduzione del flusso coronarico, determinata da una lesione aterosclerotica di un’arteria coronarica
determina a valle una riduzione della perfusione proporzionale alla riduzione del calibro vasale. Tale
condizione attiva una serie di meccanismi di compenso (es. dilatazione) atti a mantenere un flusso adeguato
in condizioni di riposo. Se la stenosi è >80%, si ha una riduzione del flusso anche in condizioni di riposo.
2. L’aumento del consumo miocardico di ossigeno, come in caso di esercizio fisico, grave anemia, tachicardia,
febbre e tireotossicosi (aumento in circolo dell’ormone tiroideo).
EZIOLOGIA
FATTORI DI RISCHIO
Angina pectoris: è legata a uno squilibrio transitorio tra domanda e apporto metabolico al miocardio.
L’ischemia è reversibile e non provoca danno anatomico permanente.
Infarto miocardico: consegue a un’ischemia miocardica protratta, che porta a danno cellulare
irreversibile con necrosi miocardica
Il dolore anginoso
1. SEDE: tipicamente riferito alla regione retrosternale medio-superiore e all’arto superiore sinistro.
Può irradiarsi a tutta l’area toracica, all’epigastrio, alla mandibola, all’arto superiore destro e alle
spalle.
2. È un dolore di tipo: oppressivo, costrittivo, a morsa e più raramente trafittivo od urente; variabile da
lieve a severo, non modificabile con atti respiratori e con il variare della posizione.
3. DURATA: da pochi secondi a 15 minuti (angina); dolori di tipo anginoso superiori ai 20 minuti
suggeriscono un infarto.
4. È un dolore che frequentemente si associa con: pallore, sudorazione, nausea-vomito, ansia-
agitazione, dispnea variabile anche grave, possibilità di edema polmonare. Assenza di sintomi nel 5%
dei casi (infarto silente) soprattutto in pazienti anziani e diabetici.
PAOLA LE MASSON 80
MANIFESTAZIONI CLINICHE del dolore anginoso
Angina instabile
Infarto miocardico acuto
Determinata dalla presenza di stenosi coronarica di entità costante, determinata da placche ateromasiche
con riduzione del lume superiore al 75% e capsula fibrosa integra, tale da non permettere l’adeguamento del
flusso ematico in caso di aumento della richiesta miocardica di O2.
Il dolore anginoso compare in seguito ad aumentata richiesta di O2 in corso di sforzo fisico, freddo, stress,
digestione, ecc.
Il dolore regredisce con la cessazione della causa o dello sforzo ed è sensibile alla somministrazione di nitrati
(vasodilatatori).
Compare con costanza e ripetibilità dell’evento patogenetico; caratterizzata da stabilità clinica (comparsa
degli episodi anginosi con uguale frequenza e severità, con insorgenza in condizioni omogenee, stabili nel
tempo). È inoltre caratterizzata da bassa incidenza di eventi maggiori a breve e medio termine (morte
improvvisa, infarto miocardico).
l’angina instabile
l’infarto del miocardio acuto.
Sono dovute alla rottura di una placca vulnerabile più o meno critica con conseguente apposizione
trombotica che va ad occludere acutamente il lume vasale. Si possono verificare in un paziente con
aterosclerosi coronarica con qualunque livello di gravità della malattia.
L’angina instabile è caratterizzata da grave e transitoria ischemia miocardica (dolore anginoso inferiore a 20
minuti) che regredisce con la somministrazione di nitroderivati. Comprende vari quadri clinici: angina di
recente insorgenza (< 1 mese), angina a riposo, angina precoce post-infartuale (entro 2 settimane),
ingravescenza dell’angina stabile.
Sindrome coronarica acuta caratterizzata da necrosi del miocardio secondaria all'ostruzione permanente di
una coronaria, generalmente dovuta alla mancata dissoluzione spontanea di un trombo. Il dolore è >20
minuti, di intensità intollerabile, associato ad angoscia/senso di morte imminente e non recede dopo la
somministrazione di nitrati. Nei casi con estesa necrosi o in pazienti con pregresso IMA, può causare edema
polmonare acuto e/o shock cardiogeno. Il 20-60% degli IMA non fatali non vengono riconosciuti dal paziente
e vengono diagnosticati solo successivamente. Di questi circa la metà sono realmente silenti.
PAOLA LE MASSON 81
IMA: eziopatogenesi
il 6% di tutti i pazienti con IMA presentano al controllo arterie coronarie angiograficamente normali. Questo
è più comune in:
Possibili meccanismi che possono spiegare questo infarto con arterie coronarie angiograficamente indenni:
spasmo coronarico
emboli coronarici
malattia dei piccoli vasi
malattie ematologiche
origine anomala di una coronaria
IMA: fisiopatologia
ipocinesia
acinesia
discinesia
una riduzione della motilità cardiaca < 10% la frazione di eiezione sarà conservata
se invece la compromissione è del 15-25% avremo una frazione di eiezione ridotta
se la compromissione è del 25-40% parliamo di scompenso cardiaco
se la compromissione è del > 40% abbiamo il quadro dello shock cardiogeno
All’IMA segue il rimodellamento ventricolare che è dato dall’insieme delle modificazioni delle dimensioni,
della forma e dello spessore del ventricolo sinistro sia a carico dei segmenti infartuati che di quelli sani. Il
rimodellamento ventricolare può influenzare sia la funzione ventricolare che la prognosi.
PAOLA LE MASSON 82
IMA: all’esame obiettivo il paziente si presenta con:
Dolore precordiale
Dispnea
Aumento FC
Diminuzione PA
Toni di minore intensità
Sfregamenti pericardici
Aritmie
IMA: diagnosi
IMA: biomarkes
Aritmie
Pericardite
Edema polmonare acuto
Shock cardiogeno
Trombosi ed Embolie
Insufficienza mitralica
Scompenso cardiaco
Rottura di cuore
Aneurisma ventricolare
PAOLA LE MASSON 83
Due gravi complicanze sono la rottura di cuore e l’aneurisma ventricolare
Rottura di cuore
Aneurisma ventricolare
IMA: terapia
Ricanalizzazione del vaso occluso: lisi del trombo tramite terapia trombolitica, PTCA o by-pass aorto-
coronarico
Protezione del miocardio: nell’immediato riducendo il consumo di ossigeno con beta-bloccanti e nitrati, nel
lungo termine è importante il trattamento con ACE-inibitori, Ca-antagonisti
PAOLA LE MASSON 84
Scompenso cardiaco
Per scompenso cardiaco si intende una condizione clinica caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare
una quantità di sangue adeguata alle esigenze metaboliche dell’organismo
FUNZIONE CARDIACA
La funzione primaria del cuore (funzione cardiaca) è quella di trasferire dal settore venoso a quello arterioso
del sistema circolatorio una quantità di sangue adeguata alle necessità periferiche di perfusione tissutale.
La funzione diastolica consiste nel riempimento del ventricolo, la funzione sistolica consiste invece
nell’eiezione del sangue nel circolo arterioso e quindi alla periferia.
1. il precarico
2. il postcarico
3. la contrattilità (o stato inotropo)
4. lo stato di attivazione neuro-ormonale
IL PRECARICO rappresenta la tensione passiva esercitata dal volume sanguigno sulla parete ventricolare al
termine della fase di riempimento (diastole). Un aumento del precarico permette l'espulsione di un maggior
volume di sangue nella circolazione polmonare e sistemica.
IL POSTCARICO è indice della resistenza opposta al ventricolo dall’aorta e dall’albero arterioso e che il
ventricolo deve superare per poter pompare il sangue in circolo. Dipende dal gradiente di pressione
ventricolo/aorta e soprattutto dai valori di pressione arteriosa sistemica.
LA CONTRATTILITÀ è la proprietà peculiare del muscolo cardiaco che è in grado intrinsecamente di contrarsi
in modo più o meno efficace condizionando la gittata cardiaca. Un indice clinico accurato della contrattilità è
la frazione di eiezione (FE) ventricolare, cioè il rapporto tra la quota di sangue espulsa durante una
contrazione (volume sistolico) ed il contenuto del ventricolo alla fine della diastole (volume telediastolico).
La contrattilità è influenzata dal pre- e dal postcarico nel meccanismo di regolazione intrinseca (legge di
Frank-Starling).
LEGGE DI FRANK-STARLING Il cuore si adatta autonomamente ai cambiamenti del volume di sangue che
riceve. Quanto più un fascio muscolare cardiaco è disteso durante la diastole (fase di riempimento
ventricolare), tanto più energica sarà la sua contrazione durante la sistole (fase di espulsione del sangue)
L’effetto finale dell’attivazione di questi sistemi è un’azione di stimolo sulla frequenza cardiaca, sulla
contrattilità ed eccitabilità cardiache e vasocostrizione periferica.
PAOLA LE MASSON 85
EPIDEMIOLOGIA
INQUADRAMENTO FISIOPATOLOGICO
Solitamente lo SCOMPENSO CARDIACO viene preceduto da un periodo più o meno lungo di sofferenza
miocardica indicata come INSUFFICIENZA CARDIACA. L’insufficienza cardiaca è caratterizzata dall’intervento
di MECCANISMI DI COMPENSO, che fanno sì che la patologia si mantenga asintomatica.
FISIOPATOLOGIA
SCOMPENSO CARDIACO DA DISFUNZIONE SISTOLICA: caratterizzato dal fatto che i ventricoli non si
contraggono adeguatamente. Le cause possono essere:
SCOMPENSO CARDIACO CON NORMALE FUNZIONE MIOCARDICA: (rare). Le cause possono essere:
Pericardite
Compressione estrinseca (masse mediastiniche)
Malattie del pericardio
Sindromi ad alta portata (ipertiroidismo, anemia)
PAOLA LE MASSON 86
SINTOMI dello SCOMPENSO CARDIACO
CIANOSI
Riconosce le stesse cause della dispnea. Il rallentamento del circolo riduce l’ossigenazione a livello polmonare
mentre aumenta l’estrazione di ossigeno a livello tissutale. Più evidente alle estremità.
EDEMI e VERSAMENTI
Rallentamento del circolo ed aumento della pressione idrostatica capillare. Aumentata permeabilità
capillare. Diminuita eliminazione di acqua e sali per l’aumento di ormoni ad azione anti-diuretica (ADH e
aldosterone). I versamenti si possono riscontrare in tutte le sierose.
SEGNI CARDIOVASCOLARI
Tachicardia
Aritmie
Ipotensione
Ipertensione venosa
PAOLA LE MASSON 87
CLASSIFICAZIONE NYHA
La Classificazione NYHA (New York Heart Association) è una classificazione dello scompenso cardiaco che ne
identifica quattro classi funzionali, in rapporto alle attività che il paziente, affetto da questa patologia, è in
grado di effettuare.
DIAGNOSI
INDAGINI STRUMENTALI
Elettrocardiogramma (ECG)
Permette di verificare i segni di pregresso IMA, la presenza di aritmie o di sovraccarico ventricolare sinistro
che indicano la possibilità di disfunzione del ventricolo sinistro
La presenza di ipertrofia ventricolare può indicare un aumento prolungato delle resistenze che il ventricolo
sinistro deve vincere per spingere il sangue nel circolo periferico (postcarico), come accade ad es. nella
stenosi valvolare aortica o nell’ipertensione.
Ecocardiogramma
Metodica che permette di visualizzare e valutare dilatazione, ispessimento, assottigliamento delle pareti e
delle camere cardiache, anomalie strutturali delle valvole e la presenza di versamento pericardico.
RX del Torace
PAOLA LE MASSON 88
TERAPIA: consigli e misure a carattere generale
Sale: eliminare il sale aggiunto a tavola; ridurre o eliminare i cibi conservati; solo nei casi più gravi eliminare
il sale sia in cucina che a tavola.
L’attività fisica migliora la tolleranza allo sforzo, la qualità della vita e la classe funzionale NYHA.
30-45 min di esercizi aerobici (passeggiate, cyclette) 3-4/settimane in pazienti stabili previa adeguata
valutazione.
Terapia farmacologica
ACE-inibitori
Antagonisti dell’Angiotensina II
Diuretici
β-bloccanti
Digitale
Riducono i sintomi, migliorano la tolleranza allo sforzo, rallentano la progressione della dilatazione cardiaca
e aumentano la sopravvivenza. In caso di refrattarietà al trattamento farmacologico: TRAPIANTO CARDIACO
PAOLA LE MASSON 89
Malattie cerebrovascolari
Il termine malattie cerebrovascolari identifica un gruppo eterogeneo di malattie la cui causa è rappresentata
da un disturbo circolatorio a livello encefalico. Il meccanismo causale può essere:
2. EMORRAGIA
La gravità clinica varia notevolmente: si va da forme con disturbi completamente reversibili a forme con alto
tasso di mortalità o gravi esiti neurologici permanenti. Le due categorie diagnostiche clinicamente più
importanti sono:
ICTUS CEREBRALE
ATTACCO ISCHEMICO TRANSITORIO (TIA)
Vascolarizzazione dell’encefalo
1. CIRCOLO CAROTIDEO
2. CIRCOLO VERTEBRO-BASILARE
Le arterie destinate all’encefalo nascono entrambe dall’arco aortico e sono rappresentate dalle due arterie
carotidi comuni e dalle due arterie vertebrali. Ciascuna arteria carotide comune si biforca in due arterie: la
carotide esterna destinata all’irrorazione delle parti molli del collo e del capo e la carotide interna destinata
invece all’encefalo. Le due arterie vertebrali si riuniscono in sede intracranica nell’arteria basilare.
All’interno del cranio troviamo in poligono del Willis, ovvero un circolo anastomotico costituito dalla
convergenza dei due settori carotidei con il settore vertebro-basilare. Utile quando in situazioni patologiche
uno dei due sistemi sia sofferente, per cui la sua irrorazione può essere ripresa e compensata dagli altri
settori.
PAOLA LE MASSON 90
Circolo anteriore e posteriore
Improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a un deficit neurologico focale, attribuibile ad insufficiente
apporto di sangue, di durata inferiore alle 24h.
TIA: Patogenesi
FATTORI FAVORENTI
L’embolo si forma dal distacco di una porzione e poi viene trasportato dal flusso ematico
PAOLA LE MASSON 91
Occlusione embolica (embolia da altri distretti)
Embolia da sedi lontane (cuore, aorta). Il materiale viaggia imboccando vasi via via più piccoli, finchè non si
ferma quando trova calibri critici, cioè un calibro oltre il quale non può progredire. Esiste la possibilità di
tromboembolia ciclica (quadro clinico di attacchi ischemici recidivanti). Più è prossimale la fonte, maggiore è
la varietà di vasi potenzialmente occludibili.
ICTUS o STROKE
Definizione OMS: è un esordio acuto di deficit neurologici focali (o globali) che perdurano almeno 24h o
portano a morte, senza apparenti cause diverse da quella vascolare. Arresto del flusso di sangue in un’arteria
dell’encefalo (ictusischemico) o dalla rottura spontanea di un’arteria encefalica (ictus emorragico).
ICTUS: Epidemiologia
Incidenza dell’ictus:
PAOLA LE MASSON 92
ICTUS ISCHEMICO
Classificazione fisiopatologica
3. Cardioembolismo
5. Meccanismo indeterminato
trombosi acuta
ipotensione sistemica
fallimento circoli vicarianti
embolo
Sono infarti localizzati nella parte profonda dell’encefalo, di diametro < 15 mm, dovuti ad occlusione di
piccole arterie di calibro < 300 μm (secondari ad arteriosclerosi dei vasi penetranti).
L’occlusione dei vasi può essere preceduta da manifestazioni neurologiche transitorie nel 30- 40% dei casi.
PAOLA LE MASSON 93
Ictus cardioembolico
Fibrillazione atriale
Protesi valvolare
IMA recente
Trombosi ventricolare sinistra
Mixoma atriale
Endocardite infettiva
Cardiomiopatia dilatativa
Le funzioni cerebrali superiori hanno tutte una specifica localizzazione nell’ encefalo
Quindi il quadro clinico dell’ICTUS sarà strettamente dipendente dalla sede della lesione:
1. Se è interessato il territorio carotideo (arterie cerebrali medie ed anteriori) i segni e sintomi saranno quelli
da lesione corticale anteriore e deficit cognitivi differenti, a seconda del lato della lesione
2. Se invece è interessato il territorio vertebro-basilare (arterie cerebrali posteriori) i segni e sintomi saranno
da lesione corticale posteriore, del tronco cerebrale e del cervelletto
Il quadro clinico dell’ictus dipende anche dall’effetto massa dell’edema si viene a determinare come
conseguenza dell’ischemia. L’effetto massa è un effetto di compressione anche sul parenchima adiacente,
quindi non inizialmente interessato dall’ischemia.
ICTUS: Diagnosi
1. Presentazione clinica
2. Anamnesi ed esame clinico generale
3. Esami ematochimici
4. Ecodoppler TSA
5. Ecocardiogramma TT, TE
6. TC, RM encefalo
PAOLA LE MASSON 94
ICTUS ISCHEMICO: Terapia della fase acuta
Ipertensione arteriosa
Ostruzione vie aeree, ipoventilazione
Complicanze cardiologiche
Alterazioni metaboliche (iperglicemia, alterazioni elettrolitiche)
TVP ed embolia polmonare
Infezioni, febbre
Malnutrizione, disidratazione
Ulcere da decubito
ipertensione arteriosa
malformazioni vascolari (aneurisma, MAV)
diatesi emorragica (soprattutto iatrogena)
emorragia in ambito tumorale
trasformazione emorragica di un ictus ischemico (spontanea o iatrogena)
ipertensione arteriosa
malformazioni vascolari (aneurisma, MAV)
diatesi emorragica (soprattutto iatrogena)
emorragia in ambito tumorale
trasformazione emorragica di un ictus ischemico (spontanea o iatrogena)
I principali quadri clinici dell’emorragia cerebrale sono la grande emorragia cerebrale, che ha esordio spesso
improvviso con frequenti gravi turbe della coscienza, si associa a importanti fenomeni neurovegetativi
associati ai segni neurologici focali. Spesso ha esito spesso fatale o con gravi sequele permanenti. Vi possono
essere emorragie di dimensioni variabili da cui dipende la gravità del quadro clinico.
PAOLA LE MASSON 95
Arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori
Arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori
L’insieme delle condizioni morbose caratterizzate da lesioni ostruttive o steno-ostruttive localizzate nei
distretti arteriosi a valle delle arterie renali, che comportano, indipendentemente dalla loro natura, una
riduzione della perfusione degli arti inferiori.
Eziologia
1. ATEROSCLEROSI:
La principale causa è la malattia aterosclerotica, che possiamo definire in base alla sua estensione in:
Segmentaria
Polisegmentaria
Diffusa
Aorto-iliaca
Femoro-poplitea
Distale
2. TROMBOANGIOITE OBLITERANTE o Malattia di Buerger (infiammazione occlusiva di un segmento
delle arterie, con trombosi e ricanalizzazione dei vasi colpiti. Si tratta di un'infiammazione non
aterosclerotica, che colpisce le arterie di piccolo e medio calibro degli arti superiori e inferiori; la
prevalenza tra 0,5 e 5,6 % nell'Europa occidentale; l’eziologia non è nota, ma il fumo sembra avere
un ruolo centrale nello sviluppo e nella progressione della malattia)
3. ARTERITI:
Batteriche (tifoide)
Virali (influenza, Herpes Virus, Cocksackie)
Immunologiche (LES, Sclerodermia)
4. FORME OSTRUTTIVE SECONDARIE A COMPRESSIONI:
Entrapment popliteo
Sindrome degli adduttori
Sindrome del soleo
5. ESITI DI TRAUMI
6. DISPLASIA:
Tunica media
Avventiziale
Tunica intima
Localizzazione
1. Le biforcazioni arteriose
2. Arteria femorale superficiale
3. Arterie dei distretti distali
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Fisiopatologia
1. Aumento delle resistenze al flusso opposte dal segmento leso sono superiori alla norma
2. Sono anche più elevate le resistenze opposte dal circolo collaterale formatosi nel tentativo di
compensare la lesione;
3. Parallelamente diminuiscono in modo proporzionale le resistenze a valle con vasodilatazione
compensatoria.
I STADIO (paucisintomatico)
Si caratterizza per la presenza di Claudicatio intermittens, ovvero dolore da sforzo, solitamente crampiforme,
a carico del gruppo muscolare interessato dalla riduzione del flusso ematico. È dovuto a discrepanza tra
richiesta muscolare ed apporto arterioso di ossigeno. Remissione pronta con l’interruzione dello sforzo
muscolare.
Si caratterizza per la presenza di dolore a riposo: è un dolore di tipo urente, dovuto ad occlusione critica del
vaso. La localizzazione più comune alle dita del piede. Dolore accentuato da clinostatismo, che invece si
attenua con la posizione eretta. Accentuato dal freddo. Può essere ridotto o non avvertito in caso di
coesistente neuropatia (diabetica).
Segue di giorni o settimane la comparsa dell’insufficienza arteriosa assoluta. Può essere il quadro d’esordio
in soggetti anziani. Si caratterizza per ulcere periungueali ed interdigitali e nel caso di quadri più da gangrena
della dita o del piede distale.
PAOLA LE MASSON 97
Diagnosi
SEMEIOTICA CLINICA: all’ispezione la zona colpita apparirà pallido. Valutazione del trofismo della
cute e annessi. Ricerca dei polsi arteriosi e di eventuali fremiti. Ricerca di eventuali soffi arteriosi.
INDICE DI PRESSIONE SISTOLICA (ABI): rapporto tra la pressione arteriosa sistolica alla caviglia e la
pressione arteriosa sistolica omerale (sensibilità 97%, specificità 100%).
Indagini strumentali
Terapia
CHIRURGICA
ENDOVASCOLARE
CONSERVATIVA (infusione di PGE1, PGE2)
CORREZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO
Terapia chirurgica
La terapia chirurgica costituisce un’indicazione assoluta negli stadi IIb, III e IV.
PAOLA LE MASSON 98
Chirurgia vascolare tradizionale
Trattamento endovascolare
PTA Consiste nell’introduzione nel lume arterioso, per via percutanea, di un catetere a palloncino che viene
sospinto a livello della lesione steno-ostruttiva da trattare. Gonfiando il palloncino, si ottiene una dilatazione
della stenosi per frattura della placca ateromasica e dell’intima, frattura e distensione della media e
distensione dell’avventizia. La dilatazione può essere ripetuta 2-3 volte. Ne consegue:
PAOLA LE MASSON 99
Malattia venosa tromboembolica
1. VIS A FRONTE: rappresentata dall’effetto di suzione dovuta al gioco alternante tra la pressione
negativa intratoracica e la pressione positiva endoaddominale (effetto di suzione)
2. VIS A TERGO: data dalla pressione residua arteriosa (gradiente di pressione residuo arteriolocapillare
= 5-10 mmHg).
3. VIS A LATERE: dovuta alla forza che la pompa muscolare esercita per favorire il ritorno del sangue nel
sistema venoso
1. Trombosi venosa profonda (patologia caratterizzata dalla formazione di un trombo all’interno del
lume venoso in qualsiasi segmento del sistema venoso profondo)
2. Embolia polmonare (dislocazione di una porzione del trombo nelle arterie polmonari)
Trombo venoso
Il trombo venoso è costituito da un coagulo intravascolare di fibrina, piastrine, globuli rossi e globuli bianchi
che generalmente si forma in regioni di flusso rallentato. Questo coagulo può occludere parzialmente o
totalmente i vasi venosi. Tende comunque a diventare occlusivo e si estende lungo la parete, creando un
lungo stampo nel lume del vaso, in direzione del cuore. Poiché il trombo venoso si forma in un ambiente di
stasi ematica, contiene più globuli rossi imbrigliati ed assomiglia ad un coagulo: viene quindi definito trombo
rosso o da stasi. Si forma spesso a livello delle valvole delle vene, dove si producono vortici e dove il sangue
ristagna con maggiore facilità.
Ostruzione/occlusione trombotica di una vena del sistema venoso profondo. Generalmente localizzata a
livello degli arti inferiori al di sotto del ginocchio (TVP distale), ma può interessare anche il sistema venoso al
di sopra di tale livello (TVP prossimale) ed estendersi alle vene iliache (le vene profonde del bacino) e alla
vena cava.
STORIA NATURALE
Nella maggior parte dei pazienti con TVP sintomatica i trombi sono localizzati a livello prossimale e nel 40-
50% dei casi il quadro clinico è reso più complesso dalla coesistenza dell’embolia polmonare, spesso silente.
Tre principali fattori sono coinvolti nella patogenesi dei trombi (TVP e triade di Virchow (1856):
1. STASI VENOSA
2. IPERCOAGULABILITÀ
3. LESIONE ENDOTELIALE
STASI VENOSA
Tutti i casi con insufficienza della pompa muscolare della gamba. A seguito di:
IPERCOAGULABILITÀ = condizioni congenite o acquisite (secondarie ad altre patologie) che possano favorire
la formazione di trombi.
Gravidanza e puerperio
Neoplasie
Contraccettivi orali
CID (coagulazione intravasale disseminata).
LESIONE ENDOTELIALE si possono osservare per effetto di Traumi iatrogeni o Traumi diretti. Per Pregresse
TVP oppure per effetto delle Varici
FISIOPATOLOGIA
QUADRI CLINICI
Segno di Bauer: dolorabilità alla pressione lungo la distribuzione delle vene profonde dell’arto
Segno di Homans: dolorabilità alla flessione dorso-plantare del piede
Crampi
Sviluppo tardivo di circoli collaterali
Infine il quadro più grave è definito Phlegmasia alba dolens (quadro clinico in cui, oltre all’alterato deflusso
venoso provocato dalla trombosi, esiste un vasospasmo arterioso con pallore, riduzione della temperatura
dell’arto interessato e iposfigmia arteriosa).
DIAGNOSI
SINDROME POST-TROMBOTICA
Interessa circa il 50% dei pz con TVP pregressa (soprattutto del distretto iliaco-femorale).
EMBOLIA POLMONARE
L’embolia polmonare consiste nell’ostruzione acuta (completa o parziale) di uno o più rami dell'arteria
polmonare, da parte di materiale trombotico proveniente dalla circolazione venosa sistemica. L’embolo,
dopo il passaggio attraverso la vena cava inferiore, l’atrio e ventricolo di destra, entra nell’arteria polmonare
principale e nei rami polmonari di calibro minore. Ne risulta un’area di edema e di stravaso ematico
intraparenchimale. Quest’area può evolvere in infarto polmonare.
Fisiopatologia
1. Se il trombo è di dimensioni maggiori (vene prossimali), l’EP può essere massiva con evoluzione
rapidamente fatale. Gli emboli di maggiori dimensioni possono provocare un improvviso aumento
delle resistenze vascolari polmonari. Il paziente può andare incontro a insufficienza ventricolare
destra con sincope e/o ipotensione (che possono progredire verso lo shock), oppure a morte
improvvisa. Una dislocazione verso sinistra del setto interventricolare può determinare disfunzione
del venticolo sinistro con compromissione della gittata cardiaca.
2. Se il trombo di origine è di dimensioni ridotte (vene della gamba), l’EP può essere clinicamente
sfumata. Gli emboli di dimensioni minori, anche se non danneggiano lo stato emodinamico, possono
provocare delle aree di emorragia alveolare con conseguente emottisi, lieve versamento pleurico
associato a dolore. Questa presentazione clinica viene definita “infarto polmonare” e le ripercussioni
sullo scambio gassoso sono solitamente di lieve entità.
Esordio clinico
L’EP si sviluppa 3-7 giorni dopo l’insorgenza di TVP e nel 10% dei casi può essere fatale entro 1h dall’inizio
della sintomatologia laddove la diagnosi non viene sospettata clinicamente. Nel 5-10% dei pazienti l’EP è
accompagnata da shock o ipotensione, e sino al 50% dei casi si manifesta senza shock ma con segni di
disfunzione ventricolare destra o danno miocardico agli esami di laboratorio, che depongono per una
prognosi sfavorevole
Diagnosi
Terapia
Terapia trombolitica
Embolectomia (per via percutanea)
Terapia anticoagulante (eparine a basso peso molecolare)
Terapia anticoagulante a lungo termine
Filtri cavali (possono essere utilizzati in presenza di controindicazioni assolute alla terapia
anticoagulante o di elevato rischio direcidiva di TVP)
Il fine della respirazione è quello di mantenere la pressione parziale di O2 ad un livello sufficiente nei tessuti
per assicurare una completa efficienza dei meccanismi enzimatici che stanno alla base delle reazioni
aerobiche. Nel caso in cui aumenti il fabbisogno energetico, ossia l'entità dei processi ossidativi (es. nel corso
del lavoro muscolare), si osserva un aumento della funzione respiratoria e circolatoria.
Nell'inspirazione i diametri della gabbia toracica si espandono, determinando una riduzione della pressione
interna. Tale depressione determina una differenza di pressione parziale tra l'aria atmosferica (760 mmHg) e
la cavità polmonare, permettendo così all'aria di passare all'interno.
Nell’espirazione, invece, la cavità toracica diminuisce di volume facendo aumentare la pressione interna
rispetto a quella atmosferica, favorendo così la fuoriuscita dell'aria.
Il numero degli atti respiratori al minuto determina la frequenza respiratoria (che a riposo è di 12-14 atti
respiratori/min).
Il volume di aria che ad ogni atto respiratorio viene immesso con una inspirazione normale è di circa 500 ml
(volume aria respiratoria). Perciò, normalmente, in condizioni di riposo, viene ventilato in ogni minuto un
volume d'aria complessivo di circa 6 litri (atti respiratori 12 x 500 ml = 6 litri aria/min).
Gli alveoli sono la sede degli scambi gassosi fra aria e sangue. Il sangue circolante nella rete capillare,
attraverso una sottilissima parete, entra in intimo rapporto con l'aria contenuta negli alveoli. L’O2 diffonde
dagli alveoli al sangue e la CO2 diffonde dal sangue agli alveoli. La respirazione serve a mantenere la
concentrazione (o pressione) dell’O2 maggiore negli alveoli rispetto al sangue e, viceversa, la concentrazione
di CO2 minore negli alveoli rispetto al sangue.
1. Ventilazione alveolare
2. Perfusione capillari
4. Diffusibilità alveolo-capillare
La ventilazione polmonare è la quantità d’aria che raggiunge gli alveoli in un minuto. È maggiore alla base
del polmone dove gli alveoli, poiché più schiacciati a causa della forza di gravità, si distendono di più di quelli
apicali.
La perfusione polmonare è il flusso ematico al minuto attraverso il circolo polmonare e corrisponde alla
gittata cardiaca. Anche la perfusione è maggiore alla base rispetto agli apici polmonari.
Diffusibilità alveolo-capillare: il processo di diffusione dell’O2 e della CO2 dall’ambiente alveolare al sangue
capillare e viceversa si sviluppa attraverso la membrana alveolo-capillare. La capacità di diffusione è
influenzata da molteplici fattori e in particolare è: direttamente proporzionale alla superficie del letto
capillare in contatto con gli alveoli e cioè alla superficie di scambio (portata ematica e contenuto in Hb);
direttamente proporzionale alla diffusibilità del gas; inversamente proporzionale allo spessore della
membrana stessa.
Emogasanalisi Misura la quantità di O2, CO2 ed il pH del sangue arterioso (prelevato in genere
dall’arteria radiale).
Pulsossimetria Procedura diagnostica semplice e non invasiva che viene utilizzata per misurare la
saturazione periferica di O2 (SpO2) che indica la % di molecole di Hb saturate dall’O2. Il pulsossimetro
è un dispositivo con un sensore simile a una clip che viene posto su una parte sottile del corpo.
L’insufficienza respiratoria si definisce come l’incapacità dei polmoni a soddisfare le esigenze metaboliche
dell’organismo. Si realizza quando il sistema respiratorio non è più in grado di mantenere una normale
omeostasi degli scambi gassosi.
I sintomi e i segni clinici non sono sufficienti per porre diagnosi di insufficienza respiratoria; per quest’ultima
è infatti indispensabile la misurazione della pressione parziale di ossigeno (PaO2) e dell’anidride carbonica
(PaCO2) nel sangue arterioso (attraverso emogasanalisi) per determinare la presenza e il grado di ipossiemia
e di ipercapnia. La pulsossimetria a riposo, in corso di sforzo o durante il sonno costituisce anch’essa un
esame diagnostico preliminare e di monitoraggio della patologia.
Insufficienza respiratoria di TIPO II (globale, ipercapnica) che si caratterizza per la presenza di ipossiemia
associata a ipercapnia e acidosi (pH < 7,35).
1. ACUTA
2. CRONICA
3. CRONICA RIACUTIZZATA
Può essere ipossiemica (quindi presentarsi in forma di insufficienza respiratoria di tipo I), oppure ipossiemica
e ipercapnica con acidosi respiratoria scompensata (tipo II), poiché i meccanismi di compenso renale
richiedono tempi prolungati per instaurarsi (almeno 24 h).
Può essere ipossiemica, oppure ipossiemica e ipercapnica: in genere con aumento dei bicarbonati plasmatici
e un pH vicino alla norma per il compenso renale.
Caratterizzata da un aumento rapido della PaCO2 in un paziente con insufficienza respiratoria cronica, che
non riesce ad essere compensato dai meccanismi già in atto e che pertanto determina una riduzione del pH
ematico.
Risolte le cause della riacutizzazione, si ripristina il quadro dell’IR cronica compensata, spesso però con un
quadro clinico-funzionale più grave che è la spia di un danno anatomo-funzionale aggiuntivo.
2. CARDIOGENA
3. EMATOGENA
4. TISSUTALE
È la forma più frequente di insufficienza respiratoria. Può essere dovuta a alterati scambi gassosi oppure a
turbe della ventilazione.
Nel caso di insufficienza respiratoria da alterati scambi gassosi può essere dovuta a un’alterata diffusione
oppure alterato rapporto ventilazione/diffusione. La compromissione è prevalentemente a carico della
componente circolatoria.
Nel caso di insufficienza respiratoria da turbe della ventilazione riconosciamo cause polmonari ed extra-
polmonari (cause di tipo neurologico, muscolari o della parete toracica).
Sindromi disventilatorie RESTRITTIVE sono disordini del complesso toraco-polmonare che possono alterare:
Sindromi disventilatorie OSTRUTTIVE sono alterazioni della pervietà bronchiale che determinano:
Spasmo muscolare
Ipersecrezione ghiandolare
Edema della mucosa
Insufficienza respiratoria CARDIOGENA è un’alterazione che può essere causata da altre cause quali:
Scompenso cardiaco
Edema polmonare cardiogeno
Shock
Anemie
Emoglobinopatie
Intossicazione da CO
Insufficienza respiratoria TISSUTALE quando la causa degli alterati scambi gassosi è da ricercare a livello
periferico come nel caso delle vasculopatie periferiche.
Terapia dell’IPOSSIEMIA
Terapia farmacologica
Ossigenoterapia
Ventilazione meccanica (se l’ossigenoterapia risulti inefficace)
Terapia dell’IPERCAPNIA
Terapia farmacologica
Ventilazione meccanica
LOBULO: è costituito dal bronchiolo respiratorio e dalle diramazioni a valle (dotti alveolari, sacchi alveolari,
alveoli).
La parete degli alveoli è sottilissima e costituita da un unico strato di cellule epiteliali. A differenza dei
bronchioli, le sottili pareti alveolari sono prive di tessuto muscolare (perché ostacolerebbe lo scambio
gassoso). Nonostante l'impossibilità di contrarsi, l'abbondante presenza di fibre elastiche conferisce agli
alveoli una certa facilità all'estensione (durante il processo inspiratorio) e al ritorno elastico (durante la fase
espiratoria). La regione tra due alveoli adiacenti è conosciuta come setto interalveolare ed è costituita da
epitelio alveolare, capillari alveolari e sovente da uno strato di tessuto connettivo. I setti intralveolari
rinforzano i dotti alveolari e in qualche modo li stabilizzano.
La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria cronica prevenibile e trattabile
associata a comorbidità sistemiche (extrapolmonari) che possono contribuire alla sua gravità.
Le alterazioni broncopolmonari sono costituite da una ostruzione al flusso persistente ed evolutiva legata a
rimodellamento delle vie aeree periferiche ed enfisema.
L’ostruzione, il rimodellamento delle vie aeree periferiche e l’enfisema sono dovuti ad una abnorme risposta
infiammatoria delle vie aeree, del parenchima polmonare e sistemica all’inalazione di fumo di sigaretta o di
altri inquinanti come polveri, gas, vapori irritanti e infezioni ricorrenti.
La bronchite cronica è definita come la presenza di tosse ed espettorato (=tosse produttiva) per almeno tre
mesi/anno per due anni consecutivi.
BRONCHITE CRONICA SEMPLICE: tosse ed espettorazione mucosa senza persistente ostruzione al flusso nelle
vie aeree.
BRONCHITE CRONICA OSTRUTTIVA: tosse ed espettorazione mucosa con persistente ostruzione al flusso nelle
vie aeree.
BPCO: ENFISEMA
L’enfisema polmonare è definito come una dilatazione permanente degli spazi aerei distali ai bronchioli
terminali accompagnato da distruzione dei setti alveolari, in assenza di evidenti segni di fibrosi.
BPCO: EPIDEMIOLOGIA
Mortalità:
La mortalità interessa le fasce di età più avanzate e maggiormente i maschi rispetto alle femmine.
fumo di sigaretta
esposizione professionale
inquinamenti in- e outdoor
infezioni respiratorie
PATOGENESI ENFISEMA
Gli agenti nocivi richiamano neutrofili e macrofagi (flogosi cronica) con aumento del rilascio di proteasi ed
elastasi (al quale si oppone l’attivazione di specifiche anti-proteasi polmonari di protezione). • Distruzione
enzimatica delle strutture di elastina e di collagene del polmone, mediata dagli enzimi proteolitici.
Panlobulare: associato a deficit di α1-antitripsina congenito o acquisito. Più comune nei lobi inferiori.
Interessa gli alveoli e i sacchi alveolari a valle del bronchiolo terminale.
Centrolobulare: interessa i bronchioli al centro del lobulo, con risparmio dei dotti e degli alveoli circostanti.
Distribuzione prevalentemente apicale. Colpisce i fumatori.
Parasettale: interessa la periferia dell’acino. Sono interessate le regioni sub-pleuriche, sia sulla convessità
che verso il mediastino. Si formano bolle sub-pleuriche; la rottura di queste bolle provoca pneumotorace in
giovani adulti.
Paracicatriziale: accompagna le cicatrici fibrose del polmone, ad esempio negli esiti di flogosi tubercolare. In
genere è limitato alla zona della cicatrice. Periferico (o mantellare): colpisce gli alveoli sottopleurici o
adiacenti ai setti interlobulari. La rottura di bolle di enfisema sub-pleurico può dare luogo a pneumotorace
spontaneo.
In condizioni normali il rapporto ventilazione-perfusione è di 0.8. Nella BPCO questo rapporto diminuisce in
quanto la ventilazione diminuisce drasticamente, e il sangue che lascia gli alveoli è scarsamente ossigenato.
BPCO: SINTOMI
Tosse cronica: Presente in modo intermittente oppure ogni giorno. Spesso presente tutto il giorno,
raramente solo di notte.
Espettorazione cronica: Muco o mucopus.
Dispnea: –Progressiva (che peggiora nel tempo) –Persistente (presente ogni giorno) –Peggiora con
l’esercizio fisico –Peggiora durante le infezioni respiratorie
Peggioramento clinico del quadro generale a seguito di processi infettivi (virali o batterici) sovrapposti con
comparsa di febbre, anoressia e alterazione della crasi ematica.
BPCO: FENOTIPI TIPO B (bronchite cronica): Paziente pletorico, fumatore di vecchia data, con storia di tosse
cronica ed espettorazione da molti anni. La dispnea è andata gradualmente peggiorando. Si hanno
riacutizzazioni con espettorazione francamente purulenta. Vi è grave ipossiemia (PaO2 40-50 mmHg) e
ipercapnia. Viene descritto come “BLUE BLOATER”.
BPCO: RIACUTIZZAZIONI
Eziologia
Le infezioni giocano un ruolo significativo. Virus respiratori: fino al 50% dei casi nelle riacutizzazioni gravi. I
batteri più frequentemente riscontrati sono: H. influenzae, S. pneumoniae. L’ inquinamento atmosferico
(biossido di azoto, particolato (PM10), biossido di zolfo, ozono) può essere causa di riacutizzazione. Parte
delle riacutizzazioni della BPCO ha eziologia sconosciuta.
La diagnosi di BPCO si basa su dati anamnestici di esposizione a fattori di rischio, e sulla presenza di una
riduzione del flusso aereo espiratorio non completamente reversibile, con o senza presenza di sintomi e/o
segni clinici. Quindi il rilievo di esposizione a fattori di rischio, di tosse cronica, di espettorazione cronica,
anche in assenza di dispnea, induce a valutare l’eventuale presenza di una riduzione del flusso aereo
espiratorio
FATTORI DI RISCHIO
Fumo di tabacco
Agenti occupazionali Inquinamento in/outdoor
SINTOMI
Tosse
Espettorato
Dispnea
Spirometria (gold standard)
La spirometria è l’esame diagnostico meglio standardizzato, più riproducibile ed obiettivo: “gold standard”
nella diagnosi, nella valutazione di gravità e nel monitoraggio della BPCO
DIAGNOSI
TERAPIA
La Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome, OSAS) è un disturbo
respiratorio del sonno caratterizzato da ripetuti episodi di parziale o completa ostruzione delle vie aeree
superiori che si verificano durante la fase inspiratoria.
Questa ostruzione si manifesta come una riduzione (ipopnea) o cessazione completa (apnea) del flusso di
aria con persistenza di movimenti respiratori toraco-diaframmatici. La mancanza di un’adeguata ventilazione
alveolare solitamente esita in una riduzione della saturazione di ossigeno del sangue arterioso (SaO2) e, nel
caso di sforzi prolungati, in un graduale aumento della pressione arteriosa di anidride carbonica (PaCO2).
Questi eventi respiratori spesso terminano con un risveglio.
Epidemiologia
Poiché non trasmissibile, di lunga durata e abitualmente a lenta progressione, l’OSAS soddisfa i criteri
dell’OMS per la definizione di malattia cronica.
La sua prevalenza nell’adulto è compresa tra 1.2 e 7.5%; aumenta notevolmente con l’età (la sua diffusione
nella popolazione generale è quindi superiore a quella di più note malattie respiratorie croniche quali la BPCO
e l’asma bronchiale).
È la principale causa medica di eccessiva sonnolenza diurna: rischio di incidenti stradali aumenta da 2 a 7
volte.
Pur essendo l’obesità indicata come suo maggiore fattore di associazione, il 30% di soggetti che ne sono
affetti è normopeso o semplicemente sovrappeso.
Fisiopatologia
L’elemento fisiopatogenetico fondamentale dell’OSAS è rappresentato dal ripetitivo arresto del flusso aereo
inspiratorio durante il sonno, legato al collabimento delle pareti della faringe.
A livello faringeo, in mancanza di anelli cartilaginei (a differenza di laringe e trachea), la pervietà delle vie
aeree è affidata al tono dei muscoli faringei e linguali ed all’attivazione riflessa dei muscoli dilatatori delle vie
aeree sincrona con l’inspirazione.
L’ostruzione, completa o incompleta, delle prime vie aeree durante il sonno è favorita da fattori funzionali
ed anatomici.
Forza di gravità: la posizione supina favorisce il collabimento delle pareti della faringe e la caduta
della lingua all’indietro
Ipotonia muscolare (sonno)
Riduzione del drive respiratorio
FATTORI ANATOMICI (che riducono il calibro delle prime vie aeree dalle fosse nasali all’epiglottide)
Il russamento è il rumore prodotto dalle pareti molli del palato che vibrano sotto l’effetto dell’aumentata
velocità dell’aria inspirata attraverso una via aerea più stretta.
Il russamento e le apnee innescano a loro volta dei meccanismi di autoaggravamento sia a livello periferico
(stiramento verso il basso dell’ugola, ipertrofia delle pareti faringee, difetti di crescita delle strutture ossee
palatali nei bambini) che a livello centrale (alterazioni della sensibilità dei centri respiratori con ulteriore
indebolimento del drive respiratorio). Queste alterazioni anatomiche e funzionali secondarie creano un
circolo vizioso, cronicizzando la sintomatologia.
SULLA VIGILANZA
Sonnolenza diurna (per frequenti arousal, brevi risvegli al termine di ogni apnea alla ripresa degli atti
respiratori, di cui il soggetto non ha coscienza ma che impediscono l’approfondimento del sonno)
Lieve
Compare durante attività che richiedono scarsa attenzione (es. guardare la TV)
Moderata
Compare durante attività che richiedono una certa attenzione (es. riunioni di lavoro)
Grave
Compare durante attività che richiedono un elevato grado di attenzione (es. durante i pasti,
conversazione, guida di veicoli)
SEGNI E SINTOMI che vanno ricercati perché predittivi di una possibile OSAS
Diagnosi
I sintomi clinici e segni obiettivi, anche se suggestivi per la presenza di OSAS, non permettono però di fare
correttamente la diagnosi, per la quale è necessaria la polisonnogafia (PSG). Questo esame strumentale
permette l’analisi diretta del pattern respiratorio durante il sonno e di dimostrare la presenza ed il numero
di apnee e/o ipopnee per ora di sonno (indice di apnea/ipopnea - Apnea+Hipopnea Index = AHI). Può essere
eseguita con modalità diverse.
Per fare diagnosi di OSAS nell’adulto è necessaria quindi la combinazione dei seguenti criteri clinici e
strumentali: (American Academy of Sleep Medicine. The International Classification of Sleep Disorders, 2005)
b) 15 o più eventi respiratori ostruttivi per ora di sonno anche in assenza di sintomi clinici.
L’AHI è anche fondamentale per stabilire la gravità dell’OSAS, che viene codificata in base al numero di apnee
e/o ipopnee ostruttive per ora di sonno:
Polisonnografia tradizionale
La PSG permette non solo di quantificare il disturbo respiratorio nel sonno, ma anche l’impatto dello stesso
sulla struttura del sonno e su altri parametri vegetativi. La PSG tradizionale viene eseguita nel laboratorio del
sonno, spesso sotto controllo video o comunque con l’assistenza continua di personale tecnico o medico
specializzato. Al paziente vengono applicati vari elettrodi e sensori che consentono di monitorizzare
simultaneamente diverse funzioni:
1. Elettroencefalogramma (EEG)
2. Movimenti oculari
3. L’elettromiografia (EMG) dei muscoli antigravitari ed artuali
4. L’elettrocardiogramma (ECG)
5. L’attività respiratoria nasale-orale (flusso aereo) e toraco-addominale (movimenti respiratori
toracici)
6. Variazioni della saturazione di O2 (SaO2) nel sangue mediante un pulsossimetro digitale
Gli alti costi che gravano sulla PSG tradizionale, la sempre crescente richiesta di polisonnografie, insieme agli
sviluppi tecnologici, hanno portato alla rapida diffusione di metodiche polisonnografiche ambulatoriali. Le
metodiche polisonnografiche ambulatoriali per l’OSAS sono state suddivise in 3 livelli, a seconda del maggiore
o minore numero di parametri registrati e analizzati. Nelle metodiche di 3° livello vengono analizzate quattro
parametri, tra cui la ventilazione (possibilmente flusso aereo e movimenti respiratori), la frequenza cardiaca
e la saturazione di O2. Con questa metodica non è quindi possibile una valutazione del sonno, ma soltanto
della funzione cardiorespiratoria (monitoraggio cardiorespiratorio nel sonno).
Trattamento
MISURE DI ORDINE GENERALE (finalizzate all’eliminazione o alla correzione dei fattori di rischio)
TERAPIE CAUSALI O SPECIFICHE (consiste nell’uso di dispositivi o di procedure chirurgiche che assicurano la
pervietà delle prime vie aeree)
Applicazione di una pressione positiva continua nelle vie aeree (continuous positive airway pressure
- CPAP)
Rimodellamento chirurgico delle prime vie aeree
Applicazione di dispositivi orali
CPAP La CPAP somministrata con maschera nasale durante il sonno, agisce come un sostegno pneumatico
che stabilizza le pareti faringee. La sua efficacia è documentata da:
1. Scomparsa delle apnee ostruttive con normalizzazione o miglioramento dello scambio gassoso,
dell’emodinamica cardiovascolare e dell’architettura del sonno
La scelta di iniziare il trattamento dipende dalla severità del quadro clinico e dalle eventuali comorbidità. Si
è soliti trattare i pazienti con:
AHI >20
AHI di 5-19 in presenza di sintomi (es. sonnolenza) e/o di concomitanti patologie cardiovascolari
associate.
Se in presenza di un AHI compreso fra 5 e 19 in assenza di sintomi e/o di fattori di rischio cardiovascolari o di
comorbidità, è invece consigliato un follow-up clinico-strumentale.
Rimodellamento chirurgico delle prime vie aeree Trova indicazione in due situazioni:
rendere più efficace il trattamento con CPAP in pazienti con ostruzione nasale
come alternativa alla CPAP qualora il paziente la rifiuti o non si adatti ad essa In assenza di studi
controllati non sono però disponibili dati certi sull’efficacia di tali trattamenti chirurgici.
Più convincenti appaiono i dati relativi alla risoluzione dell’OSAS nei bambini con ipertrofia tonsillare
sottoposti a tonsillectomia.
Dispositivi orali L’utilizzo di dispositivi orali quali gli apparecchi ortodontici applicati durante la notte,
permette di aumentare il diametro postero-anteriore faringeo modificando la posizione della lingua o della
mandibola. Pur essendo documentata l’efficacia di tali dispositivi è altresì dimostrato che, contrariamente
alla CPAP, non in tutti i casi sono curativi.
Trattamento
L’ostruzione sonno-correlata può essere presente in una o più sedi anatomiche delle prime vie aeree. Inoltre,
nel corso della notte la sede dell’ostruzione può variare in funzione dello stadio del sonno e del decubito
assunto dal paziente. Mentre, gli apparecchi ortodontici e la chirurgia delle prime vie aeree agiscono su siti
anatomici ben definiti, al contrario, la CPAP agisce sulle prime vie aeree per tutta la loro estensione. Questo
sembra spiegare perché delle tre opzioni terapeutiche solo la CPAP garantisca la risoluzione del quadro
clinico-funzionale dell’OSAS. Per questo la CPAP è ancora oggi il gold standard nella terapia dell’OSAS.
Glomerulo
Tubulo prossimale
Ansa sottile
Tubulo distale
Dotto collettore
Apparato iuxtaglomerulare (deputeto alla secrezione di renina)
Il glomerulo è costituito da un capillare arterioso avvolto su stesso: il vaso di ingresso è l’arteriola afferente
e quello di uscita è l’arteriola efferente. La parete dei capillari filtra grandi volumi di acqua, trattenendo
molecole (quelle di basse dimensioni attraversano il filtro). L’albumina ha le dimensioni limite oltre le quali
le molecole vengono trattenute (69000 dalton).
Tubulo contorto prossimale: è deputato al riassorbimento del 65-70% di NaCl e H2O e al riassorbimento
glucosio, amminoacidi
Apparato Iuxtaglomerulare
È situato a livello del polo vascolare del glomerulo. Produce la renina Lo stimolo è dato dal:
È una sindrome caratterizzata dalla rapida riduzione della funzione renale (ore o giorni) e da alterazioni
metaboliche derivanti dall’accumulo di prodotti del catabolismo delle proteine.
Conseguenze cliniche
IRA pre-renale → Ipoperfusione renale alla base della IRA pre-renale può essere dovuta a:
Se di breve durata può essere reversibili, se invece è protratta nel tempo si avrà l’insorgenza di un danno
ischemico sul parenchima renale
a. Glomerulonefriti acute
b. Necrosi da grave ischemia acuta
c. Necrosi tubulare acuta
Anche se l’ostruzione è monolaterale si ha comunque ANURIA RIFLESSA anche nel rene controlaterale
(meccanismo riflesso di probabile origine vascolare).
Consiste in una riduzione della capacità dei reni di espletare le specifiche funzioni (escretoria ed endocrina).
Rappresenta l’esito finale di malattie capaci di provocare una progressiva distruzione di nefroni.
Si ha insufficienza renale cronica con una perdita irreversibile di nefroni funzionanti > 70%.
SINDROME UREMICA
È data da un complesso stato di tossicosi, in rapporto con la perdita della funzionalità renale. Si caratterizza
per:
Alterazioni del bilancio idro-salino: ridotta capacità di concentrazione delle urine (ridotto
riassorbimento di H20 e Na+) con poliuria e disidratazione
Iperpotassiemia che aumenta l’eccitabilità muscolare e aritmie cardiache fino al blocco della
conduzione
Ipertensione arteriosa
Acidosi Metabolica: respiro periodico di Cheyne-Stokes o grande respiro di Kussmaul in casi gravi
Ritenzione di prodotti del catabolismo (urea, ammoniaca, acido urico)
Ridotta escrezione di sostanze tossiche esogene
Alterazioni del metabolismo del Ca+: riduzione della calcemia ed aumento della fosfatemia che può
determinare osteodistrofia renale
L'osteodistrofia renale = anormale mineralizzazione ossea dovuta a elevati livelli di paratormone e deficit di
calcitriolo (vitamina D)
Quadro clinico
Vomito, diarrea
Stomatite, gastrite, colite uremica
Polmonite uremica
Anemia ipoplasica
Ridotta funzionalità dei leucociti e delle piastrine
Coma uremico
La cute può apparire giallo-brunastra; a volte l'urea proveniente dal sudore può cristallizzare sulla cute come
brina uremica. Per alcuni pazienti, il prurito è particolarmente fastidioso.
Prospettive terapeutiche
Restrizione proteica 0.6-0.8 g/Kg/die Proteine ad elevato valore biologico (ricche di amminoacidi essenziali)
Incremento dell’apporto calorico 35-45 cal/Kg/die (peso ideale, età, sesso, attività lavorativa)
Ottimizzazione dell’apporto di acqua e sali - Bilancio idrico - Sodio, Potassio, Calcio, Fosforo – Acidosi
Sindrome nefrosica
Entità clinica che riconosce molte cause, caratterizzata da un aumento della permeabilità glomerulare.
primitiva o idiopatica (80% dei casi) in assenza di una malattia sistemica che la determina
secondaria (20% dei casi) a mallattie sistemiche, a esposizione ad alcuni farmaci o a fattori infettivi
Segni e sintomi
Trattamento
Restrizione sodica
Restrizione idrica
Albumina
Diuretici
ACE inibitori → Proteinuria
Antiaggregante/anticoagulante →Trombosi
Terapia antibiotica → Sepsi
Dieta ipolipidica (normoproteica)
Nefrolitiasi
Per nefrolitiasi si intende la presenza nelle cavità calico-pieliche di formazioni cristalline denominate “calcoli”
derivanti dalla precipitazione e dall’aggregazione di soluti presenti nelle urine in quantitànormale o
patologica.
Calcoli renali
I calcoli renali sono elementi di consistenza “dura” costituiti da una componente solida cristallina frammista
ad una matrice organica, composta da proteine normalmente presenti nell’urina.
La maggior parte dei calcoli si forma nella parte distale del nefrone, al limite tra il parenchima e la via
escretrice.
1. Fase della nucleazione: rappresenta la fase iniziale della calcolosi e consiste nella formazione di un
nucleo (o “nido”)
2. Fase dell’aggregazione: rappresenta la fase del progressivo accrescimento del nucleo per
apposizione di nuove molecole o per aggregazione di cristalli.
I calcolisi possono dividere in PURI o MISTI se sono formati rispettivamente da una o più sostanze cristalline.
Malformazioni anatomo-funzionali
1. Sovrasaturazione dell’urina. Il nucleo si forma per la precipitazione di cristalli presenti nelle urine in
condizioni di sovrasaturazione (nucleazione omogenea).
RENALE 50%
URETERALE 35-40%
VESCICALE 6-10%
URETRALE 1%
Dolore accessionale
Dolore acuto al fianco irradiato all’inguine
Stato di intensa agitazione
Sintomi vagali (vomito, ileo paralitico)
Disuria (pollachiuria, stranguria), ematuria
La diagnosi differenziale con altre patologie acute addominali è talora molto difficile (es. appendicite acuta,
torsione ovarica o testicolare, dissecazione aortica).
Diagnostica
CLINICA
Anamnesi (familiarità, abitudini dietetiche, farmaci, dolore e sue caratteristiche, ematuria, disuria…)
Palpazione (punti pielo-ureterali)
Percussione (manovra del Giordano)
LABORATORIO
STRUMENTALE
Ecografia
Rx diretta addome
Uro-TC
RX diretta addome
Valutazione radiologica
Uro-TC
Terapia Medica
Terapia della colica renale: analgesici, antispastici, riduzione apporto idrico, applicazione locale fonti
di calore
Terapia espulsiva: antinfiammatori, antispastici Chirurgica
Litotrissia percutanea con onde d’urto
Litotrissia extracorporea con onde d’urto
Ureteroscopia
Gli organi viscerali ed il peritoneo non sono sensibili agli stimoli termici e meccanici
Gli stimoli dolorosi (algogeni) più comuni alla base di un dolore addominale sono:
Intermittente
Localizzato (es. colica biliare)
Diffuso (es. occlusione intestinale)
Con esordio violento (es. pancreatite acuta, perforazioni, ischemia intestinale, rottura di aneurisma
aortico)
Con aumento graduale (es. appendicite, colecistite, diverticolite)
Accurata anamnesi
Valutazione sintomo “DOLORE”
Valutazione sintomi di accompagnamento
Valutazione tipo di canalizzazione
Comportamento parete addominale
Compromissione generale
Segno di Blumberg: “dolore di rimbalzo”. Con il paziente in posizione supina, si esercita una pressione leggera
partendo da zone non spontaneamente dolorose, alla ricerca di aree di contrattura, che talvolta è notevole
Segno di Giordano. Per eseguire questa manovra bisogna che il paziente sia in posizione seduta, con il tronco
flesso in avanti. A questo punto il medico, con il bordo ulnare della mano a taglio, percuote con un colpo
secco la loggia renale del paziente, ossia il punto dove si trova il rene, situata nella regione lombare. Se il
paziente presenta una calcolosi del bacinetto renale, questa manovra suscita un dolore violento: in tal caso
la manovra di Giordano è detta positiva.
Segno di Murphy. Con la mano destra appoggiata a piatto sul quadrante superiore destro dell’addome si
premono le punte dell'indice e del medio sul punto colecistico: quest'ultimo è situato sotto la decima costa
di destra, a livello della sua estremità anteriore. A questo punto si fa inspirare profondamente il paziente,
sempre comprimendo il punto cistico: in questo modo la colecisti viene spinta in basso e in avanti dal
diaframma fino a toccare la parete anteriore dell'addome. Se è presente una colecistite, oppure una calcolosi,
questa pressione esacerberà il dolore, per cui il paziente smetterà bruscamente di inspirare. In questo caso,
il segno di Murphy viene definito positivo.
epigastralgie/fastidio epigastrico
pirosi restrosternale
eruttazioni
senso di ripienezza post-prandiale e/o sazietà precoce
gonfiore addominale
nausea / vomito
La prevalenza della dispepsia è elevata, tanto da interessare fino al 40% della popolazione generale, che si
presenta affetta periodicamente o occasionalmente da questo disturbo. Di questi solo il 25% va dal medico
e il 5% dallo specialista.
1. DISPEPSIA ORGANICA (40%): i sintomi hanno una causa precisa e sono soggetti a miglioramento con
la terapia specifica.
2. DISPEPSIA FUNZIONALE (60%): è una mal digestione in cui non ci sono evidenti malattie. Sono
riconoscibili condizioni anormali, ma di incerta rilevanza (H. Pylori, gastrite cronica, alterata motilità
gastrica).
Dispepsia organica
Dispepsia funzionale
Evento altamente coordinato di contrazioni sequenziali e simultanee di molti apparati muscolari: facciale,
cervicale, orale, faringeo, laringeo ed esofageo.
Fase orale → pressioni sequenziali della lingua contro il palato, propulsione del bolo in faringe
Fase faringea → apertura coordinata dello sfintere esofageo superiore con concomitante chiusura degli
accessi a cavità nasale, orale e vie aeree
Fase esofagea → movimenti peristaltici coordinati del corpo esofageo, rilasciamento dello sfintere esofageo
inferiore, passaggio del bolo in cavità gastrica
Percezione di difficoltà nel passaggio del cibo dalla cavità orale allo stomaco.
DISFAGIA OROFARINGEA
Diagnosi differenziale:
NEUROMUSCOLARI
Ictus cerebri
Trauma cranico
M. di Parkinson
Neoplasie cerebrali
Sclerosi multipla
Neuropatie periferiche
DISORDINI MUSCOLARI
Polimiosite
Distrofie muscolari
Miastenia grave
OSTRUZIONI MECCANICHE
Diverticolo di Zenker
Spasmo crico-faringeo (acalasia)
Gozzo tiroideo
Compressioni estrinseche (ascesso retrofaringeo, neoplasie)
MISCELLANEA
Post-radioterapia
Post-chirurgica
Depressione • Farmaci
In casi di Stenosi organica si ha difficoltà maggiore per i solidi. In questo caso si ha anche una progressività
dei sintomi che tendono ad aggravarsi nel tempo associato a calo ponderale.
In casi di Disordine motorio avremo difficoltà per i solidi e i liquidi, irregolarità dei sintomi e generalmente
non abbiamo un importante calo ponderale (mantenimento del peso).
OSTRUZIONI MECCANICHE
DISORDINI MOTORI
Acalasia
Spasmo esofageo diffuso
Sclerodermia
MISCELLANEA
Diabete
Alcolismo
Farmaci
2. Corpo dell’esofago: il passaggio dall’epitelio squamoso, liscio dell’esofago nell’epitelio cilindrico dello
stomaco, forma una linea netta di demarcazione, con andamento a zig-zag, denominata nella terminologia
endoscopica linea Z. La mucosa esofagea può essere sostituita da mucosa gastrica eterotopica, presente ad
isole o con distribuzione continua (esofagite di Barrett). A questa anomalia si riconosce una possibile origine
sia congenita che acquisita, da reflusso acido-peptico di lunga durata.
3. Sfintere esofageo inferiore (SEI): la giunzione esofago-gastrica è l’unica area dell’apparato digerente in cui
strutture cavitarie in continuità hanno opposti valori pressori; tale differenza è mantenuta da un meccanismo
controllato dallo sfintere esofageo inferiore, il quale consente la presenza di una pressione positiva
intragastrica e di una negativa intratoracica, prevenendo così l’aspirazione del contenuto gastrico in esofago.
Per i 2/3 si sviluppa in sede sottodiaframmatica, in minima parte (1/3) in sede intratoracica (lunghezza totale
di circa 3 cm).
Acalasia
Disordine motorio primitivo dell’esofago caratterizzato dall’assenza di peristalsi a carico del corpo esofageo
e dal mancato rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore per degenerazione del plesso mioenterico.
Malattia presente a tutte le età, ma più frequente tra i 30 e i 50 anni. Il sesso maggiormente colpito è quello
femminile (67%). È un disturbo raro (prevalenza <1:10000)
Acalasia: fisiopatologia
All’inizio l’acalasia è caratterizzata da ipertrofia della muscolatura esofagea (determinata dal tentativo di
vincere la resistenza opposta dal malfunzionamento dello sfintere esofageo inferiore)
Più tardivamente prevale la dilatazione del corpo dell’esofago con megaesofago (per cedimento della parete)
È una patologia progressiva il cui sintomo tipico è la disfagia. Vi è alternanza di periodi di esacerbazione e di
remissione, anche in rapporto allo stato psichico del paziente. La disfagia spesso è paradossa: maggiore per
i liquidi che per i solidi (diagnosi differenziale con le neoplasie). Si risolve quando si apre il SEI (“a scatto” per
il peso del cibo).
I pazienti possono anche presentare dolore toracico e rigurgito di cibo indigerito (sintomo non sempre
presente).
Nelle fasi più avanzate, quando si è instaurato il megaesofago: disfagia grave e persistente, episodi frequenti
di rigurgito, calo ponderale, anemia, polmonite da aspirazione.
Il quadro radiologico è caratterizzato da una dilatazione più o meno marcata dell’esofago che appare
stenotico alla sua estremità distale.
È un disordine della motilità esofagea caratterizzato da contrazioni sincrone del corpo esofageo e
clinicamente da episodi di disfagia e dolore toracico.
MRGE: eziologia
1. FORMA IDIOPATICA
2. FORMA SECONDARIA:
o Obesità
o Malattie endocrino-metaboliche (diabete, ipotiroidismo)
o Collagenopatie (sclerodermia, LES)
o Asma bronchiale
o Farmaci
o Gravidanza
MRGE: patogenesi
La MRGE insorge quando vi è uno squilibrio tra meccanismi difensivi della mucosa esofagea e fattori
aggressivi.
Fattori esofagei
Fattori gastrici
Ernia iatale
Risalita dello stomaco nel torace attraverso lo iato esofageo con dislocazione toracica del SEI.
Non è sinonimo di reflusso gastro-esofageo: esso si verifica solo se il SEI è incontinente (la maggior parte dei
pazienti con ernia iatale non ha MRGE, ma l’esofagite è spesso associata ad ernia).
Tipici
Pirosi
Rigurgito
Atipici
Dolore retrosternale
Altri
Eruttazioni
Disfagia
Scialorrea
Singhiozzo
ORL
Disfonia
Faringite
Laringite
Raucedine
Tosse stizzosa
Pneumologici
Tosse cronica
Asma
Polmonite da aspirazione
L’Esofago di Barrett è una complicanza cronica della MRGE e, endoscopicamente viene definito come la
presenza, a livello esofageo, di epitelio colonnare gastrico che sostituisce il normale rivestimento squamoso
esofageo.
Ha una prevalenza variabile dall’1% al 3%. Rappresenta il principale fattore di rischio per adenocarcinoma
esofageo, attraverso un processo multifasico: metaplasia gastrica → displasia di basso grado → alto grado →
cancro intramucoso
Endoscopia:
Limiti della metodica: fornisce informazioni solo di carattere anatomo-istologico della malattia ma non dà
informazioni sullo stato funzionale esofageo.
Radiologia:
Permette di evidenziare l’ernia iatale e di distinguerla tra quella di tipo 1 (da scivolamento) e quella
di tipo 2 (paraesogagea).
Permette di valutare la presenza di alterazioni del disegno mucoso: erosioni, ulcerazioni
permette di visualizzare la presenza di Stenosi
permette di studiare i rapporti anatomici delle giunzioni esofago-gastrica
Manometria:
Consiste nella Valutazione della pressione intraesofagea nei vari settori del lume dell’esofago.
È importante per rilevare anomalie dello sfintere esofageo inferiore oppure a carico del corpo dell’esofago
quali:
Norme comportamentali
Norme dietetiche
Terapia medica
Terapia chirurgica
Lo stomaco riceve gli alimenti deglutiti (boli alimentari) per esporli all’azione digestiva del SUCCO GASTRICO
prodotto dalle ghiandole gastriche, fortemente acido per la presenza di HCl. Nel succo gastrico sono presenti
anche enzimi litici come ad esempio la pepsina, per la digestione delle proteine.
cellule colonnari: rivestono la superficie delle foveole e sono uguali in tutto lo stomaco. Secernono
muco e bicarbonati.
cellule che costituiscono le ghiandole gastriche e variano in rapporto alle differenti regioni dello
stomaco.
Nel cardias troviamo delle ghiandole a secrezione mucosa (producono muco e bicarbonato)
Nel fondo e corpo troviamo ghiandole a secrezione mucosa; cellule principali (pepsinogeno); cellule parietali
o ossintiche (HCl e fattore intrinseco); cellule endocrine o enterocromaffini (istamina).
Nell’antro e nel piloro troviamo ghiandole mucose con rare cellule parietali. Troviamo invece molte cellule
G (producono gastrina, stimola la secrezione di HCl) e cellule D (producono somatostatina, che ha azione
inibitoria sulla gastrina e quindi inibente la secrezione di acido).
La secrezione acida è affidata nelle cellule parietali ad una ATPasi e che accoppia l’ingesso degli ioni potassio
nella cellulla alla fuoriuscita degli ioni idrogeno.
La barriera mucosa gastrica (barriera che protegge la mucosa dall’HCl e dagli enzimi litici) si compone di:
Gastrite
La gastrite è un processo infiammatorio acuto o cronico della mucosa gastrica. Nessuna diagnosi di gastrite
può essere fatta senza documentazione istologica. Tuttavia alcuni segni macroscopici (endoscopici) sono
indicativi di flogosi e possono essere sufficienti a porre diagnosi di alcuni tipi di gastrite.
Gastropatia
In presenza di alterazioni cellulari e fenomeni rigenerativi senza fenomeni infiammatori si deve parlare di
gastropatia o gastrite chimica.
Fans
Alcol
Ipertensione Portale
Cocaina
Stress (Ustioni, Chirurgia)
Radiazioni
Reflusso Biliare
Ischemia
Trauma meccanico (sondino naso-gastrico)
Malattia di MENETRIER
Sindrome di ZOLLINGER-ELLISON
Quadro clinico: dolore epigastrico (talora assente) di entità lieve-moderata, sanguinamento (manifesto o più
spesso occulto), anemia ipocromica (sideropenica) secondaria alla perdita ematica protratta; nei casi di
sanguinamento manifesto, i 2/3 hanno melena, 1/3 ematemesi. È una condizione autolimitantesi e
raramente dà luogo ad ulcere.
La gastropatia è dovuta all’inibizione da parte dei FANS di un enzima, la ciclossigenasi 1 (COX-1), presente
normalmente (in forma costitutiva) nella mucosa gastrica.
L’inibizione di COX-1 dà come risultato una riduzione delle prostaglandine gastriche con:
Quindi i FANS agiscono alterando quel complesso sistema che è la barriera gastrica. Questo causa
retrodiffusione degli ioni idrogeno presenti nel succo gastrico e formazione di aree più o meno estese di
danno cellulare con micro e macro erosioni e associato sanguinamento.
Malattia di MENETRIER
Gastropatia iperplastica (caratterizzata da massiva iperplasia foveolare che sostituisce le cellule principali e
parietali), caratterizzata da larghe e tortuose pieghe della mucosa gastrica (corpo e fondo). Da puto di vista
clinico sono presenti ipo-acloridria, ipoalbuminemia (con conseguente edema localizzato o diffuso),
sanguinamento occulto e anemia ipocronica. Clinicamente si manifesta con dolore epigastrico.
Sindrome di Zollinger-Ellison
Fisiopatologia: ipersecrezione gastrica, aumento HCl ed aumento massa cellule parietali. Possibile
inattivazione delle lipasi e precipitazione di sali biliari con diarrea acida o steatorrea. Localizzazione tumore:
nel 90% dei casi nella testa del pancreas o nella porzione prossimale del duodeno. Generalmente la crescita
è lenta. Nel 60% maligni. Nel 20-60% si associa a adenomi delle paratiroidi o dell’ipofisi (MEN1)
Quadro clinico: ulcere multiple con sedi atipiche, scarsa risposta alla terapia, diarrea in 1/3 dei casi.
Processo infiammatorio acuto della mucosa, generalmente di natura transitoria. L'infiammazione può essere
accompagnata da emorragia nella mucosa e, in circostanze più gravi, dalla desquamazione dell'epitelio della
mucosa superficiale (erosione). Le più comuni cause sono:
Infezione acuta da Helicobacter pylori: che se non trattata evolverà in gastrite cronica.
Batteriche
Virali
Parassitarie
Micotiche
L’ambiente gastrico acido rende comunque questi processi rari. Possono esserne affetti più facilmente
soggetti anziani, alcolisti e pazienti con AIDS.
Gastrite cronica
Gastrite superficiale: infiammazione confinata alla regione foveolare senza interessare il comparto
ghiandolare.
Gastrite atrofica: infiammazione più estesa in profondità nella mucosa che compromette il
compartimento ghiandolare.
Atrofia gastrica: assenza di ghiandole gastriche Il processo di distruzione ghiandolare è associato a
METAPLASIA INTESTINALE = sostituzione dell’epitelio gastrico foveolare o ghiandolare con epitelio simile a
quello del piccolo intestino.
Alla metaplasia può seguire la DISPLASIA = epitelio fenotipicamente neoplastico confinato nelle strutture
ghiandolari all’interno della membrana basale.
La gastrite cronica viene classificata in base al tipo di zona più interessata in:
GASTRITE DI TIPO A
GASTRITE DI TIPO B/AB
Gastrite cronica TIPO A: Gastrite atrofica ad eziologia autoimmune: dovuta alla presenza di Ab anti cellule
parietali (deputate alla secrezione di HCl e fattore intrinseco). Interessa soprattutto il corpo gastrico. È la
forma meno comune. Frequente negli anziani. Generalmente asintomatica. Acloridria e aumentato rischio di
cancro gastrico. Substrato anatomico dell’anemia perniciosa.
Gastrite cronica TIPO B: Questa forma di gastrite è in genere localizzata all’antro e ha una distribuzione
multifocale. In alcuni casi si estende al corpo-fondo (pangastrite, tipo AB). È causata da agenti ambientali tra
cui l’Helicobacter pylori. Generalmente asintomatica, ma può essere associata a dispepsia. Può causare
anche gastrite atrofica e linfoma gastrico a cellule B a basso grado di malignità.
Il decorso è nella maggioranza dei casi asintomatico. La dispepsia non è direttamente e sempre associabile
al quadro di infiammazione della mucosa gastrica. La mucosa gastrica è importante per l’emopoiesi. La
produzione di H+ e di fattore intrinseco da parte delle cellule parietali gastriche sono necessari
rispettivamente per l’assorbimento del ferro e della vitamina B12. In alcune forme di gastrite quindi si
possono riscontrare:
Terapia
Il trattamento della gastrite cronica è volto all’eliminazione delle complicanze e non dell’infiammazione
sottostante.
I pz con anemia perniciosa richiedono supplementi parenterali di vitamina B12 a lungo termine.
L’eradicazione dell’HP non è raccomandata di routine, se non è presente un’ulcera peptica o un linfoma MALT
di basso grado.
Gastropatia da FANS: interrompere l’assunzione dei FANS o, se non sia possibile, associare farmaci
antisecretori.
Gastrite autoimmune: non esiste terapia. La riduzione dell’acidità non migliora né i sintomi né il quadro
istologico. Nei pz con ipoalbuminemia (malattia di Menetrier) deve essere consigliata una dieta ad alto
contenuto proteico per compensare le perdite.
Malattia multifattoriale la cui espressione anatomica è costituita da una soluzione di continuo della mucosa
(cratere) che supera sempre la muscolaris mucosae e talvolta raggiunge anche la muscolaris propria. Ciò la
distingue dalle EROSIONI che rappresentano soluzioni di continuo superficiali della mucosa e quindi non
oltrepassano mai tale strato mucoso e tendono a ripararsi senza reliquati.
La sede prevalente è lo stomaco (ulcera gastrica) o il bulbo duodenale (ulcera duodenale). L’ulcera duodenale
(UD) è più frequente di quella gastrica (UG). Il picco d’incidenza varia leggermente: UG 50-65 anni; UD 40-55
anni.
I notevoli progressi nella terapia medica hanno fatto notevolmente ridurre il ricorso alla chirurgia e ridotto
la mortalità (1 caso ogni 100000 pazienti)
Eziopatogenesi
Forme comuni
Forme rare
È la seconda più frequente infezione al mondo: interessa più del 60% della popolazione generale (range
oscillante fra il 30 ed il 90%)
La diffusione dell’infezione è in rapporto alle condizioni igienico-alimentari con differenze legate all’età ed
all’area geografica
Gastrite cronica
90% (tipo B, tipo AB) Ulcera peptica
95-100% Carcinoma gastrico
70% Linfoma gastrico Esofagite da reflusso Dispepsia
L’ Helicobacter pylori può produrre ureasi → degradazione urea → ammonio → aumento del pH e
sopravvivenza batterio
Produce anche delle proteasi che possono degradare il muco ed esporre l’epitelio al danno
Solo il 10% dei soggetti infetti sviluppa la malattia ulcerosa (il restante 90% avrà semplicemente una gastrite
cronica): quindi il processo ulcerativo ha una patogenesi multifattoriale:
Nel caso dell’ulcera gastrica: la flogosi indotta dall’HP si estende dall’antro (tipo B) al corpo (tipo AB)
con conseguente compromissione della barriera mucosa gastrica e della secrezione acida.
Nel caso dell’ulcera duodenale: la flogosi rimane confinata all’antro (tipo B) e quindi la mucosa del
corpo/ fondo rimane intatta e capace di secernere acido. Inoltre, nel 40% dei pz la secrezione acida
gastrica è aumentata per iperplasia congenita delle cellule parietali o per aumento di gastrina
conseguente a diminuzione di somatostatina secreta dalle cellule D parzialmente distrutte dalla
flogosi antrale. L’ipersecrezione acida gastrica determinerebbe lo sviluppo di foci di metaplasia
gastrica nel duodeno che possono così essere colonizzati dall’HP. La diminuita produzione di HCO3-
duodenali sempre indotta dall’HP aggrava il quadro.
Assunzione di FANS
Quadro clinico
ULCERA DUODENALE: dolore urente epigastrico con irradiazione posteriore. È alleviato dall'assunzione di
cibo e recidiva 2-3 h dopo il pasto. Il dolore che risveglia il paziente di notte è frequente e altamente
suggestivo di ulcera duodenale. Nell’1-3% dei pz con ulcera attiva non ha sintomatologia (spt in anziani che
assumono FANS). In alcuni casi la manifestazione iniziale può essere una complicanza acuta (es. emorragia).
Complicanze
L’anamnesi può orientare verso l’UD quando la presentazione clinica è quella classica con il dolore ritmato
con i pasti. Offre invece raramente elementi utili per una diagnosi presuntiva nell’UG (sintomatologia
aspecifica).
Diagnosi di Helicobacter pylori: sierologia, Urea Breath test o ricerca dell’Ag fecale. Anche per verificare
l’avvenuta eradicazione del batterio dopo terapia.
Terapia
1. Sospensione FANS
2. Terapia antibiotica anti HP
3. Terapia antisecretiva:
o Antagonisti dei recettori H2
o Inibitori della pompa protonica
4. Chirurgia:
o Trattamento di malattia refrattaria alle cure mediche
o Trattamento delle complicanze (emorragia, stenosi e perforazione)
Il fegato possiede due sistemi venosi, quello portale e quello delle vene epatiche. Il sistema portale è
costituito dalla vena porta, che origina dalla confluenza della vena lienale, mesenterica superiore e
mesenterica inferiore. La vena porta ha il compito di convogliare al fegato il sangue proveniente dalla
digestione intestinale e dalla milza, costituendo un sistema detto appunto sistema della vena porta o sistema
portale. Le tre vene epatiche (sinistra, media e destra) tributarie della vena cava inferiore, costituiscono il
secondo sistema venoso del fegato. L'arteria epatica è il vaso arterioso principale che irrora il fegato. Origina
dal tronco celiaco.
Il lobulo epatico
È l’unità funzionali del fegato, la più grande in scala, è il lobulo epatico. Si tratta di una struttura dalla forma
pseudo-esagonale. Cordoni epiteliali di epatociti formano il lobulo epatico, l'unità morfologica più semplice
del fegato. È un'area di forma grossolanamente poligonale il cui scheletro è rappresentato da lamine di
epatociti separate dai sinusoidi venosi derivanti dalla ramificazione venosa portale. Ciascun lobulo è
delimitato da sottili setti connettivali, e ad ogni suo "angolo" si apre una triade portale (venula terminale
portale, arteriola da arteria epatica, dotto biliare, vaso linfatico). La venula e l'arteriola fondono il sangue che
trasportano a livello dei sinusoidi, disposti a raggiera dalla vena centrolobulare. Il centro del lobulo è definito
dalla vena centrolobulare. Le vene centrolobulari si uniscono in vene di calibro maggiore, che a loro volta
drenano nelle vene epatiche e queste nella vena cava inferiore.
Anamnesi
Esame obiettivo
Esami di laboratorio
Esami strumentali:
o Ecografia: per valutare meglio le complicanze delle malattie epatobiliari.
o Esame istologico mediante ago-biopsia: per confermare diagnosi e prognosi di numerose
malattie epatiche infiammatorie, degenerative e neoplastiche, nonché per monitorare il
trattamento di pazienti con epatite cronica virale.
Enzimi epatici
Le transaminasi
L’aspartato e alanino aminotransferasi (AST e ALT) sono enzimi che catalizzano il trasferimento dell’α-amino
gruppo dall’aspartato o dall’alanina all’ α-chetoglutarato col rilascio di piruvato, ossalacetato e glutamato.
AST è prodotta da: fegato, cuore, muscoli, rene, cervello, pancreas, polmoni, globuli bianchi e rossi
(distribuita nel citosol e mitocondri)
La steatosi epatica, o infiltrazione grassa del fegato, viene definita come un accumulo di lipidi a livello del
fegato superiore al 5-10% in peso, ovvero come accumulo di trigliceridi presente in più del 5% degli epatociti.
È suddivisa in due grandi categorie, la steatosi epatica alcolica e la steatosi epatica non alcolica, del tutto
indistinguibili dal punto di vista anatomo-patologico. La steatosi semplice può evolvere in steatoepatite;
quest’ultima si distingue per la presenza di un infiltrato necro-infiammatorio con o senza fibrosi, fino alla
cirrosi. Nell’evoluzione verso la cirrosi, l’accumulo di grasso può scomparire per la perdita della capacità di
sintesi lipidica da parte dell’epatocita e per il progressivo incremento della fibrosi.
Il termine Non Alcoholic Fatty Liver Disease (NAFLD) comprende un ampio spettro di quadri di danno epatico
associato ad accumulo di grasso nel fegato su base dismetabolica, in soggetti con consumo alcolico nullo o
francamente modesto (< 20 g die nelle donne e < 30 g die negli uomini).
NAFLD: eziologia
Oltre a una forma primitiva, esistono forme secondarie di steatosi. La NAFLD può anche potenziare il danno
epatico indotto da altri agenti, in particolare l’alcol, le tossine industriali e i virus epatotropi.
La steatosi semplice (senza o con minima infiammazione) può evolvere in Non Alcoholic Steatohepatitis
(NASH), caratterizzata da flogosi focale, fibrosi e necrosi cellulare. L’infiltrato infiammatorio è costituito da
leucociti polimorfonucleati e cellule mononucleate e si concentra attorno a epatociti in degenerazione
“balloniforme”, che talvolta contengono corpi ialini di Mallory. L’infiammazione è variabilmente associata
alla fibrosi perisinusoidale o a ponte, evento generalmente considerato irreversibile. Mentre la steatosi
semplice è relativamente benigna, la NASH è la forma potenzialmente progressiva a cirrosi e carcinoma
epatocellulare (Hepatocellular Carcinoma, HCC).
NAFLD: patogenesi
La NAFLD primitiva deriva dall’interazione tra fattori genetici ed ambientali che influenzano il meccanismo
patogenetico principale, rappresentato dall’insulinoresistenza nei tessuti bersaglio dell’insulina. L’aumentato
afflusso di grassi provenienti dal tessuto adiposo in eccesso, in particolare da quello viscerale, rappresenta la
principale fonte di acidi grassi al fegato (60-80%). Altre fonti importanti sono la lipogenesi epatica de novo e
l’apporto alimentare di grassi che contribuiscono rispettivamente al 25% e al 15% dei lipidi intraepatici.
Epidemiologia
La NAFLD rappresenta l’epatopatia cronica più frequente nel mondo occidentale, in aumento con la
diffusione di obesità e diabete.
Stime di prevalenza ed incidenza inaccurate: scarsa sensibilità e specificità dei test attualmente
disponibili per la diagnosi di NAFLD (enzimi epatici ed ecografia epatica) e necessità di una biopsia
epatica per diagnosi di NASH.
Prevalenza NAFLD: 3-23% sulla base dell’alterazione degli enzimi epatici, 25-30% sulla base
dell’ecografia epatica (a quanto riportato negli studi autoptici o in quelli basati sulla biopsia epatica).
NAFLD aumenta con l’età, nel sesso maschile e nelle donne in post-menopausa; varia in base all’etnia.
La NAFLD è più frequente nei soggetti obesi (60-95%), diabetici (28-65%) e dislipidemici (27-92%).
Quadro clinico
La maggior parte dei pazienti è asintomatica o presenta sintomi aspecifici, come astenia, alterazioni
del sonno o sensazione di “peso” in ipocondrio destro.
In considerazione dell’associazione con la sindrome metabolica, la maggior parte dei pazienti
presenta un pattern di obesità viscerale.
All’EO il riscontro più comune è l’epatomegalia (talora associata a splenomegalia).
Moderato incremento delle transaminasi e della γGT (2-5 volte la norma).
Il rapporto AST/ALT è generalmente < 1 (rapporto invertito nella steatoepatite alcolica o in presenza
di fibrosi di grado elevato).
↑trigliceridi e ↓HDL (se trigliceridi e colesterolo inferiori alla norma, è bene dosare l’ApoB poiché
l’ipobetalipoproteinemia è causa seppur rara di steatosi).
La ferritina è frequentemente aumentata (un sovraccarico marziale reale si riscontra solo nel 5-10%
dei pazienti).
Diagnosi
Anamnesi: ricerca dei fattori di rischio ed esclusione di altre cause di epatopatia cronica. EO:
epatomegalia (± splenomegalia)
La diagnosi è resa difficoltosa dall’assenza di marcatori sierologici e dalla scarsa attendibilità delle
transaminasi che sono normali nell’80% dei pazienti.
I test sierologici per danno epatico di origine virale, autoimmune o congenito devono essere negativi
per definizione, anche se non si può escludere che in qualche caso le due patologie possano trovarsi
associate. • L’ecografia è un’indagine di primo livello; identifica la steatosi come fegato “brillante”.
Ecografia, TC e RM possono identificare la steatosi, ma non la NASH né il grado di fibrosi.
La RM a spettroscopia protonica è la tecnica più accurata per identificare la steatosi, ma uso limitato
per il costo e la disponibilità.
Biopsia epatica: per diagnosi di NASH
Terapia
1. Dieta ipocalorica nei soggetti sovrappeso/obesi: no regimi calorici troppo restrittivi, poiché una
perdita di peso troppo rapida (> 1,6 kg/settimana) può peggiorare il quadro epatico e aumentare
significativamente il rischio di litiasi biliare. Un calo ponderale troppo veloce promuove, infatti, una
consistente mobilizzazione di grassi dal tessuto adiposo e da qui al fegato attraverso la vena porta.
2. Esercizio fisico: aumentato per migliorare la sensibilità insulinica e l’utilizzo dei substrati a livello
muscolare. L’attività fisica deve essere giornaliera e aerobica.
3. Farmaci: Metformina, TDZ, Orlistat, Vitamina E, acido ursodesossicolico
Eziologia
2. Alcolismo
4. Malattie metaboliche:
Emocromatosi
Malattia di Wilson
Deficit di α1-antitripsina
Fibrosi cistica
5. Autoimmune
6. Iatrogena (farmaci)
7. Cause vascolari
Scompenso cardiaco destro (che fa accumulare il sangue a monte determinando il cosiddetto fegato
da stasi)
Questi fattori epatolesivi agendo cronicamente causano una progressiva necrosi epatocitaria,
infiammazione, lo sviluppo di fibrosi fino al completo sovvertimento del parenchima.
1. Danno cronico degli epatociti (necrosi) → proliferazione di cellule infiammatorie, cellule di Kupffer
→ liberazione di TNF-α, IL-2 e IL-6, PDGF e TGF-β (citochine infiammatorie)
2. Attivazione delle cellule stellate (cellule di Ito), normalmente quiescienti e deputate all’accumulo di
vitamina A → perdita dei granuli di Vit. A → sintesi di collagene e altre proteine della matrice
extracellulare
3. Accumulo di collagene nello spazio di Disse (subendoteliale) con “capillarizzazione dei sinusoidi” che
perdono le fenestrature.
4. Successivamente la fibrosi sostituisce le zone di necrosi formando setti porto-portali e porto-centrali.
5. Formazione di noduli di rigenerazione.
CIRROSI EPATICA COMPENSATA: paucisintomatica (lieve affaticabilità); fase che può durare anche molti anni,
i reperti obiettivi possono essere sovrapponibili a quelli di un’epatite cronica.
CIRROSI EPATICA SCOMPENSATA: quando la massa epatica funzionante si è ridotta notevolmente o quando
si è instaurata un’importante ipertensione portale
Sistema portale
Si parla di ipertensione portale quando il gradiente pressorio porta-sovraepatiche è >10-12 mmHg. Cause
dell’ipertensione portale sono:
Aumento della resistenza offerta dal parenchima epatico al flusso ematico (noduli di rigenerazione,
setti fibrotici, vasocostrizione intraepatica causata da endoteline)
Iper-afflusso portale per vasodilatazione splancnica (mediata da NO)
Ipervolemia secondaria all’attivazione dei sistemi sodio-ritentivi (reninaangiotensina-aldosterone)
Ascite e PBS ASCITE: formazione di liquido libero nella cavità peritoneale. Conseguenza di:
Ipertensione portale
Vasodilatazione splancnica
Ipoalbuminemia
Peritonite batterica spontanea: Infezione del liquido ascitico sostenuta da contaminazione batterica per
traslocazione batterica di batteri intestinali attraverso la mucosa enterica e per difetto delle difese
antibatteriche nel liquido ascitico.
Sindrome epatorenale: Insufficienza renale prerenale (funzionale) che insorge in pazienti con cirrosi. Si ha in
risposta alla vasodilatazione splancnica, si instaura un’intensa vasocostrizione compensatoria a livello dei
nefroni della corticale renale con conseguente alterazione funzionale dell’emodinamica renale. Si differenzia
dalle altre forme di insufficienza renale prerenale perché non risponde alle manovre di espansione del
volume plasmatico. Nella sindrome epatorenale la funzione tubulare è conservata. I reni sono del tutto
normali.
Encefalopatia epatica: Sindrome neurologica caratterizzata da alterazioni dello stato mentale e della
funzione neuromuscolare. Si osserva nella cirrosi epatica in stadio avanzato. Secondaria all’azione sul sistema
nervoso centrale di ione ammonio e altre sostanze di sintesi da parte dei batteri intestinali (benzodiazepine
endogene). Episodio acuto (in genere indotto da una causa precipitante, es. sanguinamento da varici,
infezione sistemica, uso eccessivo di diuretici, uso di benzodiazepine o oppioidi). Forma cronica subclinica
(alterazione dei soli test psicometrici)
Non esiste alcuna terapia che consenta di far regredire la fibrosi e il sovvertimento strutturale epatico.
Quando possibile è importante intervenire precocemente allontanando la causa della necrosi epatica
Il trapianto di fegato è una possibilità terapeutica di grande efficacia per l’insufficienza epatica terminale.
Ascite Lieve: riduzione sodio nella dieta restrizione idrica diuretici (spironolaAone, furosemide)
Ascite Tesa: paracentesi evacuativa e diagnostica, con contemporanea riespansione del volume plasmatico
mediante albumina (8 g per ogni litro di ascite drenata) o plasma expanders sintetici
Terapia: encefalopatia
Virus dell’epatite
Virus A
Virus B
Virus C
Virus E
Virus G
Agente delta
I virus dell’epatite A e dell’epatite E danno epatiti acute, a prognosi favorevole e sono entrambi a trasmissione
oro-fecale.
I virus dell’epatite B, C, G e l’agente delta danno prevalentemente epatiti acute e croniche, a prognosi anche
grave e sono a trasmissione parenterale.
Epidemiologia
HAV è diffuso in tutto il mondo. La trasmissione del virus è di tipo oro-fecale, per cui un soggetto si infetta
mangiando cibi contaminati ed elimina il virus con le feci, nelle quali il virus si ritrova a concentrazioni elevate.
L'inquinamento delle acque fognarie può portare alla contaminazione delle acque potabili e delle coltivazioni;
per questo i cibi considerati più a rischio per la trasmissione dell'infezione sono principalmente i frutti di mare
crudi, ma anche l'acqua, la frutta e le verdure crude. L’insorgenza di epatite A è comune in famiglie, istituzioni,
campi estivi, centri di terapia, reparti di neonatologia e tra le truppe militari. La secrezione fecale di antigene
e di RNA di HAV persiste più a lungo nei giovani che negli adulti.
Il virus entra attraverso l’orofaringe → il virus passa nelle cellule epiteliali intestinali → entra nel sangue →
arriva al circolo portale → fegato (sito principale di replicazione del virus)
L’ittero si deve al danno epatico causato dalla azione della risposta immune cellulo-mediata
innescata dall’infezione.
Il virus viene rilasciato nella bile e poi nelle feci.
Il virus è escreto nelle feci 10 giorni prima dei sintomi e con la comparsa degli Ab scompare.
Terapia:
1. riposo a letto
Prevenzione:
1. Immunoprofilassi passiva con IgG: Le immunoglobuline (IgG) conferiscono protezione passiva nel 90% dei
soggetti esposti, quando somministrate entro 1 o 2 settimane dalla esposizione al rischio di epatite A. Nelle
dosi generalmente prescritte le IgG non impediscono il verificarsi dell’infezione, ma rendono l’infezione più
lieve o subclinica e permettono lo sviluppo di una risposta immunitaria attiva.
2. Immunoprofilassi attiva: il vaccino anti-HAV è costituito da virus propagato in colture cellulari e vivo
attenuato in grado di stimolare il sistema immunitario ma non di provocare mala0a.
Le misure di controllo sono dirette verso la prevenzione della contaminazione fecale di cibo, acqua o altre
fonti. L’igiene di base come il lavarsi le mani, l’utilizzo di piatti monouso e l’utilizzo di ipoclorito di sodio allo
0.5% come disinfettante, sono essenziali per prevenire la diffusione del virus durante la fase acuta della
mala0a. HAV è stabile:
HCV è diffuso in tutto il mondo: circa il 3% della popolazione mondiale ha un’infezione cronica
Epatite C
Quasi specie: In un singolo soggetto con infezione primaria predomina una popolazione di virus omogenea
dal punto di vista genetico ma, sotto la pressione della risposta immunitaria dell’ospite, può modificarsi nel
corso del tempo, portando all’emergenza di una o più sottopopolazioni virali che, a seguito della
modificazione genetica abbiano ottenuto un vantaggio in termini di sopravvivenza della specie. Le
conseguenze dell’eterogeneità genica dell’HCV e della sua capacità di mutazione genetica sono alla base
della:
Attacco → penetrazione → moltiplicazione del virus → esposizione di antigeni virali sulla superficie della
cellula infettata
I linfociti T riconoscono gli Ag virali, si legano ed esplicano l’attività citotossica. Il risultato è la distruzione
della cellula (riconosciuta come non self) e dei virus in essa contenuti. Tale processo determina l’aumento
delle transaminasi nel sangue ma è anche il processo che porta alla guarigione e alla eliminazione del virus.
Contemporaneamente i linfociti B producono degli anticorpi capaci di neutralizzare gli antigeni virali e
conseguentemente di impedire a nuove cellule di essere infettate.
La malattia è l’espressione della reazione del sistema immunitario contro le cellule infettate dal virus.
Modalità di trasmissione:
trasmissione sessuale
trasmissione verticale (madre-figlio)
trasmissione ospedaliera (es. colonscopia, dialisi, intervento chirurgico)
Trasmissione parenterale INAPPARENTE (ovvero attraverso microlesioni difficilmente individuabili della cute
o delle mucose):
b) infezione cronica persistente (85% dei casi) Un 20% di infezioni croniche evolve rapidamente a cirrosi.
Quadro clinico
Periodo pre-itterico: caratterizzato da sintomi aspecifici come: astenia, anoressia, nausea, dolore
addominale. Dura pochi giorni.
Periodo itterico: compare l’ittero (a livello della cute e delle sclere), colore scuro delle urine, aumento
delle transaminasi. Tale fase ha una durata di 2-4 settimane.
Periodo di convalescenza: la malattia evolve favorevolmente, riduzione delle transaminasi fino alla
normalità.
Se l’infezione persiste oltre 6 mesi, si parla di EPATITE CRONICA, ovvero un’infiammazione permanente del
fegato, provocata dalla persistenza del virus. La forma cronica è del tutto asintomatica, per cui il riscontro
spesso avviene in modo casuale (esami del sangue eseguiti per altri motivi). Le transaminasi sono però spesso
elevate.
La diagnosi è sierologica: ricerca di anticorpi anti-HCV. La presenza di anticorpi anti-HCV indica una infezione
attiva o pregressa, ma non è in grado distinguere tra forma acuta, cronica o risolta. Per distinguere le forme
acute da quelle croniche è necessaria la ricerca del RNA virale. Questo è utile anche per determinare la carica
infettante e il genotipo virale e quindi stabilire il trattamento con i farmaci antivirali.
ACUTA
Riposo a letto
Dieta adeguata
Alimentazione ipercalorica (ricca di zuccheri) e di proteine, e povera in lipidi
Sospensione dei farmaci, alcolici
CRONICA
1. il genotipo
2. la quantità di genomi virali nel sangue
Interferone
Antivirali Un vaccino efficace non è disponibile
HBV è un virus molto diffuso in tutto il mondo, ha una prevalenza maggiore in Cina e nell'Asia del Sud (8-
20%) e minore nell'America del Nord e nell'Europa Centrale (0,2-2%), nell'Europa Occidentale ha una
prevalenza di circa il 2-7%. In Italia la prevalenza media è del 3%. Il virus deve la sua notevole diffusione alla
sua particolare resistenza ambientale
La diagnosi di infezione da HBV viene posta mediante la ricerca nel sangue del paziente dei marcatori virali,
costituiti da antigeni (Ag) e da anticorpi (Ab).
In base all'assetto di tali marcatori, unitamente allo studio delle transaminasi, è possibile stabilire con
esattezza lo stato dell'infezione.
HBV-DNA: è il genoma del virus e la sua presenza indica sempre attività dell'infezione.
Si basa su misure di carattere generale volte a limitare la trasmissione del virus e, principalmente, su misure
di immunoprofilassi:
IMMUNIPROFILASSI PASSIVA: In caso di esposizione accidentale (es. puntura accidentale con ago
contaminato) è possibile somministrare IG umane specifiche contro l'HBV, entro 2-4 ore
dall'esposizione. La protezione fornita dalle immunoglobuline ha una durata di 2-3 se0mane. Le
immunoglobuline vengono inoltre somministrate al momento della nascita ai neonati da madri HBV
positive, per ridurre il rischio di trasmissione dell'infezione.
IMMUNIPROFILASSI ATTIVA: Dal 1991 la vaccinazione è obbligatoria in Italia per tutti i nuovi nati e
per i bambini al 12° anno di età, mentre viene particolarmente consigliata alle persone a rischio, in
particolare ai conviventi dei portatori ed agli operatori sanitari. Il vaccino risulta efficace in oltre il
90% dei casi e l'efficacia viene dimostrata con la presenza di anticorpi protettivi alla fine del ciclo
vaccinale.
Epatite da HGV
Si tratta di un virus ad RNA come l'HCV, identificato solo negli ultimi anni. Si trasmette per via parenterale,
come i virus B e C, e quindi per quanto riguarda la prevenzione valgono le norme generali descritte per i virus
B e C.
Non è stato ancora chiaramente stabilito il suo ruolo esatto nel determinare una mala0a epatica, ma molto
studi sembrano dimostrare che l'HGV avrebbe un ruolo molto limitato come agente epatitico. È stato visto
infatti che la maggior parte delle infezioni non sono accompagnate da un danno sul fegato.
Non sono ancora disponibili test diagnostici di screening. Il riscontro dell'infezione viene effettuato solo in
laboratori molto specializzati mediante la ricerca dell'RNA virale.
Epatocarcinoma: epidemiologia
Età: non è chiaro se rappresenti un fattore di rischio indipendente o se rappresenti solo un riflesso
della durata della malattia epatica
Sesso maschile
Cirrosi: lo stato iperproliferativo che caratterizza la cirrosi sembra essere l’aspetto fondamentale dal
punto di vista della epatocarcinogenesi
HBV-HCV: questi virus possiedono capacità oncogene dirette (attraverso meccanismi di
transattivazione, instabilotà genetica e downregulation di p53)
Alcol: sarebbe l’acetaldeide, il suo principale metabolita, a danneggiare il DNA e a inibire i sistemi di
riparo di quest’ultimo
Aflatossina: prodotta dal fungo Aspergillus flavus, ha un effetto carcinogenetico favorendo la
mutazione del gene oncosoppressore p53
Epatocarcinoma: patogenesi
È ben noto come l‘epatite cronica/cirrosi epatica costituisca un terreno fertile per la comparsa di lesioni
epatocellulari a significato displastico e francamente maligno in un processo tipicamente multifasico.
Epatocarcinoma: morfologia
In linea di principio, nei pazienti con cirrosi la comparsa di una lesione focale epatica all’esame ecografico
dovrebbe essere considerata o una lesione pre-neoplastica (nodulo di rigenerazione) oppure un tumore e
pertanto richiede sempre approfondite indagini. La diagnosi di HCC si fonda sull’esame istologico ecoassistito
(biopsia) e/o su tecniche di immagine contrastografiche (imaging dinamico).
Alfa-fetoproteina L’HCC rappresenta una delle prime neoplasie umane nella quale sia stato identificato un
biomarcatore, l’alfa-fetoproteina (AFP). L’AFP non è tumore-specifica, ma viene prodotta e rilasciata dal
tessuto epatico e non, in presenza di affezioni diverse (epatopatie acute e croniche non neoplastiche e altri
tumori non epatici quali teratomi e seminomi). Non è pertanto affidabile come test di screening dell‘HCC
nella popolazione generale. Dubbia utilità nello screening/sorveglianza di popolazioni ad alto rischio o
pazienti con cirrosi e pertanto ad elevato rischio di HCC.
La testa è la porzione più spessa e voluminosa della ghiandola, schiacciata antero-posteriormente come il
resto dell'organo, si trova accolta nella concavità duodenale. Il collo (o istmo) è la prosecuzione laterale della
testa, è più stretto e so0le di questa e si continua lateralmente con il corpo. Il corpo è una porzione allungata
e appiattita della ghiandola (8-10 cm) che ne forma gran parte del suo prolungamento laterale. La coda è
l'estremità laterale della ghiandola (2.5 cm). Il processo uncinato si estende lateralmente ed inferiormente
alla testa del pancreas.
Il pancreas è un organo con funzioni integrate endocrina ed esocrina. La porzione esocrina, che comprende
la maggior parte del tessuto pancreatico, è costituita da gruppi di cellule acinose, a loro volta costituenti
lobuli i quali sono separatitra loro da esili setti connettivali derivanti da una sottile capsula. Il secreto è
riversato all'interno di un sistema di condo0 pancreatici che poi si svuotano nel duodeno. Il condotto
pancreatico principale (o dotto di Wirsung) scorre all'interno del pancreas, seguendo la forma della ghiandola
e dirigendosi dalla coda verso la testa. Giunto presso la testa il dotto di Wirsung si unisce al coledoco,
formando una struttura più espansa detta ampolla del Vater. Il pancreas endocrino è costituito da circa 1
milione di isole di Langerhans, ammassi cellulari (diametro: 100 micrometri) di forma tondeggiante costituiti
da cordoni, distribuiti in particolare nella coda e nel corpo della ghiandola. In ematossilina-eosina appaiono
come aggregati cellulari poco colorati in mezzo al parenchima esocrino fortemente basofilo. Sono percorse
da un fitto plesso di capillari fenestrati in cui riversano i loro ormoni e possiedono una ricca innervazione.
Il pancreas esocrino
L’unità funzionale è l’acino (di forma sferoidale) costituito da cellule piramidali disposte su un’unica fila con
gli apici rivolti verso un lume centrale drenato da duttuli. Il succo pancreatico, secreto dal pancreas esocrino
è basico a causa dell'elevato contenuto in ioni bicarbonato e contiene enzimi proteolitici (tripsina,
chimotripsina, elastasi), enzimi glicolitici (amilasi), enzimi lipolitici (lipasi pancreatiche), nucleasi, ribonucleasi
e desossiribonucleasi. L'azione secernente del pancreas è continua ma modesta; aumenta però
considerevolmente sotto lo stimolo neuroendocrino della secretina e della colecistochinina-pancreozimina,
prodotti nel duodeno che raggiungono il pancreas attraverso il circolo sanguigno.
Il pancreas endocrino
Sono tumori molto rari e nella maggior parte dei casi costituiscono un reperto autoptico occasionale. Le
forme più frequenti sono:
Cistoadenomi: rappresentano l’1-2% di tu0 i tumori pancreatici esocrini; F>M, 5°-6° decade, in genere
nella coda del pancreas
Neoplasie papillari-cistiche: raggiungono notevoli dimensioni
Papillomi intraduttali: frequentemente in prossimità dell’ampolla di Vater
Adenomi: di solito di piccole dimensioni Assenza di sintomi da iperincrezione ormonale (reperto
costante nelle forme endocrine). Sintomi da compressione delle strutture adiacenti (ittero, stenosi
duodenale, pancreatite). Massa palpabile.
Carcinomi
Sarcomi
Linfomi
In Italia il carcinoma pancreatico rientra tra le prime cinque cause di morte per tumore nel sesso maschile,
mentre occupa il quarto posto nelle donne.
Si tratta di una delle neoplasie a prognosi più infausta, con solo il 5% degli uomini ed il 6% delle donne che
sopravvivono a 5 anni dalla diagnosi, senza sensibili scostamenti di prognosi negli ultimi 20 anni.
Fumo: I fumatori presentano un rischio di incidenza da doppio a triplo rispetto ai non fumatori; la
somministrazione prolungata di nitroderivati presenti nel tabacco, attraverso interazioni con il DNA,
può provocare alterazioni genetiche quali la mutazione attivante dell’oncogene K-ras. Circa il 30%
dei casi può essere attribuito al fumo di sigaretta.
Dieta: diete ad alto contenuto lipidico; caffè decaffeinato (tricloroetilene)
Alcol
BMI
Fattori occupazionali: esposizione professionale a sostanze chimiche (es. betanaqilamina e la
benzidina, solventi, derivati del petrolio, i pesticidi ed il DDT).
Patologie correlate: diabete tipo 2, pancreatite cronica, pazienti sottoposti a gastrectomia.
Predisposizione genetica:
Il 10% dei pazienti con tumori pancreatici presenta una storia familiare (almeno due parenti di primo grado
con carcinoma del pancreas). In alcuni casi è possibile spiegare la storia familiare nel contesto di sindromi
note (es. Carcinoma pancreatico familiare associato a mutazione di BRCA2 o di geni della Anemia di Fanconi;
Pancreatite ereditaria autosomica dominante da mutazioni del gene PRSS1).
In sintesi, i gruppi a rischio aumentato di cancro pancreatico comprendono pazienti con pancreatite cronica,
diabete di recente insorgenza (meno di due anni) senza fattori predisponenti o storia familiare di diabete,
pancreatite ereditaria, cancro pancreatico familiare ed alcune sindromi di cancro familiare.
ANATOMIA PATOLOGICA
cellule duttali
cellule acinose
essere ad istogenesi incerta
Sede di insorgenza:
DIFFUSIONE METASTATICA
I carcinomi pancreatici sono neoplasie altamente aggressive con una diffusione metastatica molto precoce.
Al momento della diagnosi, infatti, solo il 14% degli adenocarcinomi è ancora confinato nei limiti della
ghiandola. Può avvenire:
per via linfatica (ai linfonodi regionali nel 21%; ai linfonodi extraregionali nel 65%)
per via ematica (fegato e polmoni)
per contiguità (nelle forme cefaliche: vena porta e duodeno; nelle forme corpocaudali: antro gastrico,
milza, surrene sinistro)
SINTOMATOLOGIA
Al momento della diagnosi la maggior parte dei tumori pancreatici presenta dimensioni > 5 cm e nel 80-90%
dei casi sono presenti metastasi. Il ritardo diagnostico è legato alla mancanza di segni e sintomi specifici nelle
fasi iniziali della malattia.
QUADRO CONCLAMATO: calo ponderale, ittero, dolore, diarrea e sindrome da malassorbimento, massa
addominale
L’adenocarcinoma della testa del pancreas si presenta con ITTERO OSTRUTTIVO (feci acoliche, urine
ipercromiche e prurito per accumulo di sali biliari) dovuto all’infiltrazione del coledoco intrapancreatico.
Invece la maggior parte dei carcinomi localizzati a livello del corpo-coda si presentano con DOLORE
(addominale e dorsale). L’ittero si manifesta tardivamente ed è spesso indice di massiva metastatizzazione.
Questo diverso andamento del sintomo ittero spiega perché le neoplasie della testa siano diagnosticate
generalmente in una fase più precoce e presentino una prognosi relativamente migliore rispetto ai tumori
del corpo coda.
Lo scopo delle indagini diagnostiche, oltre a confermare la diagnosi, è quello di verificare la resecabilità (no
metastasi, non invasione vascolare mesenterica e portale).
Esami strumentali:
TRATTAMENTO
CHIRURGICO
RADIOTERAPIA ESTERNA
RADIOTERAPIA INTRAOPERATORIA
CHEMIOTERAPIA
Le cellule di origine, localizzate a livello delle insulare, appartengono al sistema neuroendocrino diffuso
dell’organismo (TUMORI NEUROENDOCRINI, NET).
Possono essere classificati in funzionanti (85%) e non funzionanti (15%), a seconda che siano associati o meno
ad una sindrome riconoscibile.
Il sistema neuroendocrino è un sistema di cellule diffuso in tutto l’organismo, che presentano caratteristiche
comuni alle cellule nervose e che hanno la capacità di secernere i loro prodotti in maniera controllata in
risposta ad uno specifico stimolo. Questi tumori possono quindi svilupparsi in tutte le parti dell’organismo e
rappresentano quindi un gruppo eterogeneo di neoplasie. I criteri per definire le cellule neuroendocrine
sono: 1. La produzione di un neurotrasmettitore, neuromodulatore o neuropeptide ormonale 2. La presenza
di granuli secretori dai quali viene rilasciato per esocitosi l’ormone in risposta ad uno stimolo esterno 3.
L’assenza di assoni e sinapsi
Le manifestazioni cliniche sono essenzialmente correlate all’effetto massa esercitato dalla neoplasia sulle
strutture circostanti.
Hanno un diametro > 2 cm alla diagnosi (la diagnosi è tardiva dato che i sintomi sono correlati alla crescita
tumorale)
1. Esami di laboratorio
TC/RM
La TERAPIA dei tumori neuroendocrini è chirurgica (il tipo di intervento varia in rapporto alla sede del
tumore).
Terapia medica con ocreotide (insulinoma) e inibitori della secrezione acida (gastrinoma)
Enzimi digestivi
Tutti gli enzimi pancreatici vengono secreti come proenzimi e vengono attivati nel lume intestinale dalle
enterochinasi presenti sull’orletto a spazzola.
È un’infiammazione acuta del pancreas e dei tessuti peripancreatici dovuta all’attivazione intraparenchimale
degli enzimi pancreatici, che si manifesta tipicamente con dolore addominale associato ad elevazione
plasmatica (o urinaria) degli enzimi pancreatici (amilasi, lipasi).
Più frequente nei maschi (rapporto maschi/femmine 2:1) (nelle forme ad eziologia biliare è più frequente
nelle donne)
Meccanismi eziologici
Litiasi biliare
Reflusso di bile nei dotti pancreatici (per ostruzione diretta o indiretta da edema o spasmo della
papilla)
Alcol
Alterazioni di membrana
Aumento della secrezione degli enzimi digestivi pancreatici
Riduzione degli inibitori
Traumi o chirurgia
Duodeno: diverticoli
Papilla: neoplasie
Oddi: discinesia e stenosi
Coledoco: colangite
Wirsung: neoplasie pancreatiche
Farmaci
Le ultime tre forme evolvono spesso in malattia sistemica con impegno multiorgano e prognosi sfavorevole
a causa del riassorbimento degli enzimi tossici e delle citochine proinfiammatorie che entrano in circolo.
Distensione addominale
Peritonite chimica
Ileo paralitico
Nelle forme lievi edematose si ha guarigione completa. Nelle forme necro+zzan+ si possono avere:
1. PSEUDOCISTI: nel 10-15% dei casi. Sono raccolte liquide che si formano per organizzazione della necrosi e
definizione di una pseudo-parete fibrosa per retrazione del tessuto pancreatico vicino. Possono formarsi
anche entro una settimana dall'esordio di una pancreatite acuta. Possono determinare compressione degli
organi adiacenti, erosione di vasi o andare incontro ad ascessualizzazione.
Ipotensione – Shock
Insufficienza respiratoria
Insufficienza renale
Scompenso glicemico
Ipocalcemia
Encefalopatia
Emorragie gastrointestiinali
Multi Organ Failure
LABORATORIO
AMILASI
LIPASI
TRIPSINA
Leucocitosi (10.000-20.000/μL)
Emoconcentrazione (Ht >50%)
Iperglicemia
1. Circa il 75% dei casi di pancreatite acuta sono clinicamente di entità lievemoderata ed i presidi terapeutici
principali sono la stabilizzazione emodinamica con infusione di liquidi ed il controllo del dolore.
2. Invece, nel 25% dei casi si hanno complicanze e la mortalità in questo gruppo è del 25-30% (per
insufficienza multiorgano, con in primo piano il distress respiratorio, o per complicanze settiche).
PANCREATITE CRONICA
Malattia infiammatoria cronica del pancreas caratterizzata da cambiamenti morfologici irreversibili della
ghiandola che causa dolore cronico e perdita permanente della funzione pancreatica.
1. Alcool (60%)
3. Fibrosi cistica
4. Ipertrigliceridemia
5. Ipercalcemia
6. Farmaci
DOLORE CRONICO: intermittente, di solito postprandiale, che si risolve dopo qualche ora
DIARREA, STEATORREA
CALO PONDERALE: perché l’assunzione di cibo provoca dolore e per il malassorbimento
Esame obiettivo
Durante il dolore: posizione antalgica in decubito laterale sn, con il tronco flesso e le ginocchia verso
il torace
Massa palpabile dolorabile (pseudocisti)
Segni di malnutrizione
Diagnostica per Immagini: ecografia, Rx-diretta addome, TC, RM, colangio-RM, CPRE, Eco-endoscopia
Trattamento
Serbatoio muscolo-membranoso situato sulla faccia inferiore (viscerale) del fegato; anatomicamente è divisa
in tre parti, che possono avere i seguenti rapporti anatomici :
LITIASI BILIARE
Per litiasi biliare si intende la presenza di calcoli nelle vie biliari, nella colecisti o nel coledoco
FISIOPATOLOGIA
La bile è prodotta dal fegato in una quantità giornaliera compresa tra 500 e 1500 ml in relazione all'intensità
di diversi stimoli (nervosi, ormonali, circolatori, dietetici, farmacologici). I più importanti componenti della
bile sono l'acqua (82%), i sali biliari (12%), la lecitina e altri fosfolipidi (4%) ed il colesterolo. Normalmente
esiste un equilibrio tra i principali componen3 della bile che permette la solubilizzazione del colesterolo e dei
fosfolipidi in acqua. Quando vi è una supersaturazione del colesterolo inizia la formazione di cristalli di
colesterolo e la loro successiva aggregazione in calcoli.
calcoli puri di colesterolo: singoli, rotondeggianti o ovalari, a superficie liscia. Sono di dimensioni
variabili, in genere >1 cm di diametro.
calcoli misti: contengono più del 70% di colesterolo ed una miscela di sali di calcio, sali biliari,
pigmenti biliari, proteine, acidi grassi e fosfolipidi. Sono multipli, di forma poliedrica, a superficie
liscia. Dimensioni < 1cm. Di colore variabile a seconda della prevalenza di colesterolo, pigmenti o
calcio (LITIASI PIGMENTARIA)
EPIDEMIOLOGIA
Le popolazioni più colpite sono quelle occidentali. In Italia l’11% dei soggetti presenta litiasi della colecisti
(75% donne – 45% uomini) I fattori positivamente associati alla malattia litiasica sono: l’età, l’eccesso
ponderale (BMI>28), la familiarità, diete ripetute, elevati livelli sierici di colesterolo totale, elevati livelli sierici
di trigliceridi, numero di gravidanze.
Diabete
Cirrosi epatica
Angina pectoris
Ulcera peptica
CLINICA
I calcoli biliari possono restare asintomatici nei 2/3 dei casi per tutta la vita ed essere diagnosticati
occasionalmente. Solo il 15-30% dei pazienti sviluppa sintomi e solo il 2-5% necessita di intervento chirurgico.
Quando la malattia si manifesta, il sintomo principale è la COLICA:
Se il calcolo si incunea nel dotto cistico con conseguente sovradistensione della colecisti:
1. COLECISTITE ACUTA: Infiammazione per cause meccaniche, chimiche (per ristagno della bile) e batteriche
(con possibile sepsi da Gram-). Il paziente è sofferente, respira superficialmente. L’addome è poco mobile e
la palpazione durante l’inspirazione profonda provoca vivo dolore ad arresto respiratorio (segno di Murphy
positivo). Si possono associare: vomito, nausea, anoressia e febbricola. Presenza di leucocitosi neutrofila
La formazione di bile purulenta, per la contaminazione batterica della bile dopo occlusione del dotto cistico
(in corso di colecistite acuta) causa l’EMPIEMA DELLA COLECISTI:
febbre alta
brividi scuotenti
intenso dolore all’ipocondrio destro
marcata leucocitosi neutrofila
La conseguenza più temibile in questo caso è la perforazione, pertanto i pazienti vanno rapidamente avviati
all’intervento chirurgico.
1. PANCREATITE ACUTA BILIARE: per reflusso di bile nel dotto pancreatico principale
2. COLANGITE ACUTA: se c'è un'occlusione completa o incompleta del coledoco; in tal caso tipica è la triade
di Charcot: dolore, febbre con brivido, ittero.
3 EMOBILIA: emorragia per rottura di un vaso sanguigno nel coledoco causata dall'azione meccanica dei
calcoli e dall'infezione. Si ha grave emorragia digestiva.
DIAGNOSI
INDAGINI STRUMENTALI:
I livello: Ecografia
II livello: Colangio-RM
III livello: eco-endoscopia
EZIOLOGIA: è il più frequente dei tumori maligni delle vie biliari. È al quinto posto fra i tumori dell’apparato
digerente. È più comune nell’età avanzata (7° decade). Il carcinoma della colecisti riconosce diversi fattori
eziologici:
litiasi della colecisti → Oltre il 90% dei pazienti con carcinoma della colecisti ha una concomitante
colecistite cronica litiasica con calcoli di colesterolo
estrogeni
polipi della colecisti
Il sintomo più frequente è il dolore addominale, che in più del 50% è di tipo colico (segno di Murphy
positivo).
nel 40-50% è presente ittero (espressione di malattia in fase avanzata)
nausea e vomito (53% dei casi)
calo ponderale (42%)
anoressia (27%)
prurito (15%) Gli esami di laboratorio non presentano alterazioni specifiche.
DIAGNOSI: Indagini strumentali: Ecografia e TC: possono evidenziare la presenza di una massa che protrude
nel lume della colecisti oppure un marcato ispessimento delle pareti della colecisti. Nei pazienti con segni di
stasi o dilatazione delle vie biliari: colangio-RM
TERAPIA:
La cirrosi biliare primitiva (CBP) è una patologia colestatica cronica caratterizzata da una progressiva
distruzione immunomediata dei dotti biliari intraepa3ci con conseguente infiammazione portale e
periportale, fibrosi.
EPIDEMIOLOGIA: patologia piuttosto rara (40-150 casi per milione). Colpisce in maggioranza donne con età
media di 50 anni alla diagnosi.
CLINICA: Nelle forme sintomatiche l’astenia è il sintomo principale anche se non specifico, mentre il prurito
è presente nella metà dei pazienti. Occasionalmente i pazienti possono presentare all’esordio complicanze
della colestasi come osteoporosi severa o cecità notturna da carenza di vitamina A.
Nel 25% dei casi la diagnosi di CBP viene posta in pazienti asintomatici o con riscontro occasionale di
incremento della fosfatasi alcalina
EZIOLOGIA: riconosce diversi fattori eziologici, che determinano stasi biliare o infezioni delle vie biliari o
entrambe:
ANATOMIA PATOLOGICA E STADIAZIONE: è un tumore a lenta crescita che tende a diffondere localmente
lungo i dotti biliari metastatizzando prevalentemente ai linfonodi regionali.
I tumori che interessano il III medio o il III superiore delle vie biliari possono comprimere o infiltrare la vena
porta e/o l’arteria epatica. Le metastasi a distanza sono rare: polmone (15%), scheletro (10%), rene e cervello
(3%). La localizzazione epatica alla confluenza dei dotti epatici destro e sinistro è la più frequente (tumore di
Klatskin).
CLINICA: al momento della diagnosi la maggior parte dei pazienti è di età compresa tra i 50 e i 70 anni. • Il
segno clinico caratteristico (presente nel 90% dei casi) è l’ittero colestatico da stenosi neoplastica delle vie
biliari con conseguente feci acoliche ed urine ipercromiche. Posso associarsi:
prurito
modesto dolore addominale in ipocondrio destro
astenia
anoressia
calo ponderale
DIAGNOSI:
Esami di laboratorio:
Iperbilirubinemia ingravescente
Incremento degli indici di colestasi (fosfatasi alcalina e gamma-GT)
Aumento delle transaminasi
Indagini strumentali:
TERAPIA: trattamento chirurgico: quando le condizioni generali del paziente lo consentano (non
compromissione della funzionalità cardiaca, respiratoria, renale con un buon stato nutrizionale) e la massa è
resecabile, gli obiettivi dell’intervento sono di due tipi:
Chemio e radioterapia: trattamento palliativo con risposta molto bassa (circa 15%) che però possono
migliorare in parte la sintomatologia e allungare la sopravvivenza
Dalla valvola ileo-cecale abbiamo diversi tratti che fanno parte del tratto gastro-enterico inferiore:
Ceco
Colon ascendente
Colon trasverso
Colon discendente
Colon sigmoideo
Retto
IL COLON:
Elimina scorie Il materiale digerito e non assorbito viene trasportato attraverso il colon ascendente, trasverso
e discendente sino al colon sigmoideo, ove diviene progressivamente sempre più solido in seguito
all’assorbimento dell’acqua.
Le feci sono composte per il 75% da acqua e per il 25% da materiale solido.
1. Valori superiori a quelli considerati normali possono essere determinati da dieta vegetariana oppure in
caso di diarrea.
2. Valori inferiori a quelli considerati normali possono essere determinati da digiuno prolungato o da stipsi.
La consistenza - Rispetto alla consistenza, le feci devono essere morbide e formate, sebbene essa vari in
funzione della percentuale di acqua contenuta nelle feci.
Il colore- In condizioni fisiologiche, il colore varia in funzione degli alimenti assunti. Nella normalità si presenta
tra il marrone chiaro e il marrone scuro, per la presenza di stercobilinogeno (prodotto di degradazione della
bilirubina per opera degli enzimi e dei batteri intestinali).
FECI MARRONE CHIARO (sino a giallastro): incompleta digestione dei grassi; sono lucide ed untuose
FECI ACOLICHE/IPOCOLICHE: biancastre, color “creta” per mancanza di pigmento biliare (tipiche nel
caso di malattie epatiche)
FECI IPERCROMICHE: tipiche dell’ittero emolitico
FECI VERDE CHIARO: tipiche in caso di tifo o infezione intestinale (es: da clostridium difficile)
FECI BIANCASTRE AD “ACQUA DI RISO”: in caso di colera
FECI PICEE: dovute ad emorragie gastriche o duodenali. Il sangue si altera per azione dei succhi
digestivi: una volta digerito assume una colorazione nera. Fuoriesce mescolato al muco e dà alle feci
un aspetto simile alla pece o al catrame (MELENA)
FECI COLOR ROSSO VIVO: per sanguinamento dell’ultimo tratto dell’intestino. L’emissione di sangue
dal retto prende il nome di RETTORRAGIA
FECI CON FRUSTOLI EMATICI O CHIAZZE EMATICHE SULLE FECI (EMATOCHEZIA): secondari ad
emorroidi o ragadi sanguinanti L’ODORE delle feci è il risultato dei gas prodotti dal metabolismo dei
batteri luminali, come i mercaptani e solfuro di idrogeno.
Componenti anomale visibili ad occhio nudo
MUCO (in quantità superiore al normale): secreto dalle ghiandole mucipare in seguito a flogosi della
mucosa intestinale. Se presente in notevole quantità, conferisce alle feci un aspetto limaccioso.
PUS: formato da leucociti in degenerazione come conseguenza di infezioni a livello intestinale.
GRASSO: la STEATORREA è una condizione patologica caratterizzata da presenza di notevoli quantità
di sostanze grasse non digerite nelle feci; si parla di steatorrea quando la quantità di queste sostanze
grasse indigerite supera i 6 grammi al giorno. Le feci si presentano in genere voluminose, untuose,
maleodoranti, e spesso vi è diarrea. Le deiezioni assumono un colore grigiastro.
PARASSITI: sono organismi che vivono sulla superficie o all’interno di un’altra creatura vivente,
traendone un vantaggio e danneggiando l’organismo che li ospita
È l’espulsione delle feci dal retto, che si compie periodicamente mediante un complesso meccanismo, in
parte riflesso ed in parte volontario. La frequenza delle evacuazioni è fisiologicamente accettabile quando si
mantiene entro un range che va da 1-2 volte al giorno a 1 volta ogni 2-3 giorni. La situazione diviene
patologica quando le evacuazioni avvengono nell’adulto con una frequenza >3 volte al giorno oppure con
una frequenza 6 volte/dì o <1 volta ogni 1-2 giorni. È importante segnalare che anche i soggetti che non si
alimentano devono evacuare, in quanto la massa fecale non deriva esclusivamente dal cibo ingerito, ma è
composta per buona parte da altre componenti.
Normalmente il cibo ingerito dopo numerose trasformazioni giunge nell’ampolla rettale e viene eliminato in
24-36 ore.
Le fibre alimentari
Il cibo non assorbito che entra nel colon contiene carboidrati indigeribili come l’amido e i polisaccaridi non
amidacei (fibre). Una parte dei carboidrati viene fermentata dalla flora batterica con produzione di acidi
grassi a catena corta. Quelli che non subiscono tale processo trattengono l’acqua al loro interno aumentando
la massa fecale e favorendo l’attività motoria intestinale.
Per FIBRA ALIMENTARE si intende un insieme di composti di origine vegetale caratterizzati dal fatto di essere
resistenti alla digestione e all’assorbimento nel tenue, ma soggetti a parziale degradazione nel colon.
1. FIBRE SOLUBILI: è quella frazione della fibra alimentare capace di assorbire acqua e formare dei gel
espansi dove la fibra è disciolta.
2. FIBRE INSOLUBILI: è quella frazione della fibra alimentare che precipita in acqua durante il transito
colico.
Cellulosa (polimero del glucosio, costituisce il 25% delle fibre in cereali, frutta, verdura e legumi), Lignine
(polimero del fenilpropano, costituisce il 10% delle fibre vegetali), Emicellulose (polimeri di pentosi ed esosi,
costituiscono il 60% delle fibre in cereali, frutta, verdura).
Aumentano la massa fecale, accelerano il transito intestinale, riducono il tempo di contatto con la mucosa
intestinale di sostanze potenzialmente
oppure
< 3 evacuazioni/settimana
sforzo evacuativo in almeno il 25% delle evacuazioni in assenza di lassativi
sensazione di evacuazione incompleta dopo almeno il 25% delle evacuazioni in assenza di lassativi
presenza di feci dure in almeno il 25% delle evacuazioni, in assenza di lassativi
L’ileo immette quotidianamente nel colon 1-2 litri di materiale fecale fluido, che la peristalsi trasporta dal
cieco al sigma.
Durante questo tragitto la mucosa colica riassorbe circa il 90% del contenuto acquoso e le feci acquistano
consistenza solida.
Quando il materiale contenuto nel sigma viene immesso nel retto, la distensione dell’ampolla induce lo
stimolo della defecazione che si realizza grazie alla contrazione del torchio addominale, al rilasciamento
involontario dello sfintere anale interno e al rilasciamento volontario di quello esterno. Tuttavia quando la
mobilità intestinale rallenta, la massa fecale rimane per un tempo maggiore a contatto con le pareti intestinali
e la maggior parte del contenuto liquido delle feci viene assorbita. Le feci della persona costipata o stitica
sono pertanto dure, secche e scarsamente lubrificate, tanto da rendere spesso doloroso l’atto della
defecazione.
Stile di vita
Inadeguato introito di fibre
Stimolo della defecazione represso
Sedentarietà Fattori esterni
Farmaci (antidepressivi, antiepilettici) Cause endocrine/metaboliche
Ipotiroidismo
Ipocalcemia Gravidanza Neurologiche
Morbo di Parkinson
Sclerosi Multipla
Neuropatia autonomica
Depressione
Disturbi del comportamento alimentare
Cause gastro-intestinali
Ostruzione
Miopatie/Neuropatie
Megacolon
Colon irritabile
Malformazioni anali
Debolezza del pavimento pelvico
Prolasso
Ulcera del retto
Per espellere le feci dure, la persona ricorre spesso alla Manovra di Valsalva (=espirazione forzata a gloede
chiusa): questa azione può causare problemi nelle persone con malattia cardiaca e con malattie respiratorie
(poiché aumenta la pressione intratoracica), con malattie vascolari (poiché può favorire la dislocazione di
trombi), con lesioni craniche (poiché aumenta la pressione intracranica)
Gli sforzi compiuti per fare fuoriuscire le feci possono favorire lo sviluppo di ragadi ed emorroidi
Attività fisica
Dieta: almeno 30 g die di polisaccaridi non amidacei; aumento dell’introito di liquidi
Terapia farmacologica
Lassativi formanti massa: mucillagini (psillio), gomme vegetali, metilcellulosa → non adatti a trattare la stipsi
cronica
Sali: solfato di sodio, citrato-solfato di magnesio (azione osmotica, utili per uso sporadico e stipsi lieve)
Zuccheri non assorbibili: lattulosio, lattitolo, sorbitolo, mannitolo; determinano un aumento del transito
intestinale attraverso un incremento della secrezione o una riduzione dell’assorbimento di acqua ed
elettroliti (effetto osmotico), senza evidenza di effetti collaterali a lungo termine; vengono fermentati
liberando H e CO2, causano distensione addominale, utili negli anziani a dosi adeguate).
Composti antranoidi (lassativi stimolanti): senna, aloe, cascara, frangula, bisacodile, glicerina. Determinano
un incremento della secrezione intestinale e della motilità colica in virtù delle loro proprietà irritanti
stimolando indirettamente le terminazioni nervose e quindi la motilità propulsiva; utili per le stipsi
temporanee; causano la melanosis coli (colorazione scura della mucosa del colon). Questa è una conseguenza
reversibile dell’uso prolungato degli antrachinonici. Tale riscontro è di verosimile scarsa rilevanza patologica.
Non vi sono univoche definizioni di “diarrea” riportate in letteratura. La definizione che la Società Italiana di
Nutrizione Artificiale e Metabolismo (SINPE, 2002) riconosce come la più diffusa è la seguente: “Si definisce
diarrea la presenza di più di 3 scariche liquide/die con un volume totale superiore a 400 ml” Si fa, pertanto,
riferimento a tre criteri:
Nella diarrea cronica questa condizione deve essere presente per almeno 6-7 settimane.
Nella diarrea acuta questa condizione è di breve durata (la diarrea acuta è generalmente sostenuta da
infezioni autolimitantesi).
Generalmente, la diarrea indica un’aumentata motilità gastrointestinale: data la rapidità del tempo di
transito, non vengono rimosse dalle feci le normali quantità di acqua e di nutrienti. L’irritazione della mucosa
del colon, inoltre, causa un’aumentata secrezione di muco. Il volume maggiore di materiale fecale associato
alla rapidità con la quale esso raggiunge il retto, causa distensione addominale che determina un’urgenza più
intensa di defecare (la persona può non essere in grado di controllare lo stimolo).
1. DIARREA OSMOTICA
2. DIARREA SECRETORIA
3. DIARREA INFIAMMATORIA
4. DIARREA DA ALTERATA MOTILITÀ
DIARREA OSMOTICA Presenza nel lume intestinale di quantità elevate di soluti osmoticamente attivi,
scarsamente assorbibili. In tal modo l’acqua viene trattenuta nel lume intestinale → diarrea Cause: 1.
Ingestione di substrati poco assorbibili (es. mannitolo, sorbitolo, MgSO4, MgOH2) 2. Malassorbimento (es.
generalizzato; da deficit di lattasi) Caratteristica: la diarrea cessa con il digiuno
DIARREA SECRETORIA Secondaria ad un aumento della secrezione di acqua nel lume intestinale (che supera
la capacità di riassorbimento). È associata a un alterato trasporto ionico delle cellule epiteliali. Cause: 1.
Difetto congenito dell’assorbimento ionico 2. Infezioni batteriche (colera) 3. Resezioni intestinali (riduzione
della superficie utilizzabile per l’assorbimento) 4. Malattie della mucosa con distruzione degli enterociti (mal.
infiammatorie intestinali, celiachia con atrofia villare, malassorbimento di acidi biliari o acidi grassi)
Caratteristica: persiste durante il digiuno
Cause:
È un tipo di alterazione primitiva difficile da dimostrare perché un incremento dell’attività propulsiva enterica
si verifica in altri diversi tipi di diarrea. Un esempio è rappresentato dalla diarrea nella sindrome dell’intestino
irritabile.
Squilibri idrici ed elettrolitici anche molto gravi (in particolare in persone anziane o nei neonati e
lattanti): in caso di perdita eccessiva di liquidi con le feci
Infiammazione e lesioni della cute perianale: le feci diarroiche sono spesso acide.
Protocollo diagnostico
Esami laboratoristici e strumentali (es. ematochimici, esame colturale e parassitologico delle feci)
Ecografia addomino-pelvica
Esami endoscopici
Test per intolleranze alimentari (breath test)
Terapia
Uso dei probiotici nelle diarree: possono prevenire la diarrea associata all’uso degli antibiotici; esercitano
un’influenza sui microrganismi attraverso la produzione di acido lattico e butirrico. L’acido lattico inibisce la
crescita dei batteri patogeni, l’acido butirrico influenza il ricambio degli enterociti e neutralizza l’attività dei
carcinogeni nella dieta come le nitrosamine, che sono generate dall’attività metabolica dei batteri intestinali.
Glutine
Con tale termine si intende, nel linguaggio corrente, non solo la gliadina contenuta nella farina di frumento
ma anche le prolamine presenti in cereali tassonomicamente affini al frumento, quali l’orzo e la segale.
Gliadina La gliadina è una proteina alcol-solubile contenuta nella farina di frumento e a sua volta separabile
in 4 sotto-frazioni elettroforetiche (α-β-γ-ω) provviste di tossicità decrescente nei confronti della mucosa
intestinale dei pazienti affetti da malattia celiaca. Sebbene la demolizione a singoli amminoacidi di tali peptidi
ne abolisca la tossicità, la loro digestione enzimatica con pepsina e tripsina genera dei peptidi ancora tossici.
Celiachia: epidemiologia
La descrizione di questa malattia si ha fin dal I secolo d.C. ma il legame con il glutine è stato definito solo nel
secolo scorso. Fino ad alcuni anni fa era considerata una malattia rara, prevalente in età infantile con le
manifestazioni classiche della sindrome da malassorbimento. La sua diffusione è stata sicuramente
determinata dalla produzione industriale del grano e dal suo aumentato consumo a livello mondiale.
Lo scenario epidemiologico della celiachia è cambiato radicalmente con l’introduzione di test sierologici
altamente sensibili e specifici come gli anticorpi anti-endomisio ed anti-transglutaminasi che ha permesso di
effettiuare screening di popolazione e l’identificazione di altre forme di presentazione clinica della mala0a
(oltre quella tipica) nonchè l’associazione con altre patologie. L’avvento di questi test anticorpali molto
sensibili e specifici ha permesso un incremento della diagnosi della malattia celiaca che si presenta sempre
più frequentemente con manifestazioni extraintestinali e in età adulta (età media di 45 anni).
Chi è geneticamente predisposto diventa celiaco, ma solo dopo l’introduzione del glutine con l’alimentazione.
Da diversi anni si conosce il marcatore genetico della predisposizione alla celiachia (sistema HLA geni DQ2-
DQ8).
I marker sierici di celiachia comprendono un ampio spettro di anticorpi, alcuni dei quali come gli anticorpi
antireticolina R1 e gli anticorpi antigliadina (AGA) sono test ormai superati e conservano solo poche
indicazioni sul piano pratico.
Invece gli anticorpi antiendomisio (EmA), gli anticorpi antitransglutaminasi tissutale (anti-tTG) e gli anticorpi
diretti verso i peptidi deamidati di gliadina (DGP-AGA) sono test altamente predittivi ed utilizzati nell’uso di
routine.
Lo screening anticorpale per celiachia serve per identificare i pazienti da sottoporre a BIOPSIA DUODENALE
(ottenuta mediante esofago-gastroduodenoscopia).
Complicanze
In caso di non corretta aderenza alla dieta priva di glutine (dieta aglutinata) si corre il rischio di avere
COMPLICANZE IRREVERSIBILI quali:
Dieta aglutinata
Nelle farine prive di glutine spesso risulta più bassa la quota di vitamine del gruppo B e di minerali come il
ferro. Inoltre, nei prodotti già pronti privi di glutine (i cosiddetti alimenti dietoterapeutici) tende ad essere
presente una maggior quota di grassi (e quindi di calorie) allo scopo di facilitarne la lavorazione, arricchirne
il gusto e quindi migliorarne la palatabilità. Per tali motivi i celiaci andrebbero incoraggiati a consumare
cereali e ortaggi già in origine privi di glutine per assicurarsi adeguate quantità di fibre, vitamine e minerali.
Esiste in commercio una vasta gamma di prodotti alimentari (pasta, pane, biscotti, ecc.), nei quali l’assenza
del glutine è garantita da un apposito contrassegno sulla confezione (spiga sbarrata). Ciò nonostante,
Prevenzione
In Italia ed in altri paesi europei il consumo di glutine è molto elevato (10-20 g/die). Poichè esiste un rapporto
diretto tra quantità di glutine assunta ed rischio di sviluppare la celiachia, una possibilità preventiva sarebbe
quella di mirare ad una riduzione dei consumi di glutine a livello di tutta la popolazione.
Un’altra ipotesi riguarda l’impiego, a fini alimentari, di cereali meno “tossici” (per quanto riguarda la capacità
di indurre celiachia) rispetto a quelli utilizzati attualmente (le varietà di frumento di maggiore consumo sono
quello tenero utilizzato per panificare e quello duro utilizzato soprattutto per fare la pasta). Varietà
“primordiali” di frumento, quali ad es. esempio il monococco (Einkorn), avrebbero una ridotta capacità di
indurre la mala0a celiaca poiché contengono una quantità di peptidi tossici notevolmente inferiore al grano
tenero
Due recenti ricerche (una italiana ed una europea) hanno valutato la possibile correlazione fra la comparsa
della malattia celiaca e la tipologia di svezzamento e allattamento.
il concetto dell’esistenza di un periodo “finestra” per l’introduzione del glutine nello svezzamento (=
minor rischio di celiachia se il glutine viene introdotto dai 4 ai 6 mesi) è stato fortemente messo in
discussione
per i bambini ad alto rischio (con parenti celiaci di primo grado e con predisposizione genetica) è utile
introdurre il glutine ai 12 mesi di vita allo scopo di tentare di ritardare l’insorgere della malattia
Tuttavia né la ritardata introduzione del glutine nella dieta (ai 12 mesi di vita) né l’allattamento al
seno modificano il rischio di insorgenza della malattia, che è quindi determinato soprattutto dalla
genetica
IBD: eziologia
La reale eziologia della malattia è sconosciuta ma sono state proposte diverse teorie eziologiche:
IBD: epidemiologia
IBD: patogenesi
Probabilmente le IBD hanno origine da una suscettibilità immunologica geneticamente determinata nei
confronti di uno o più antigeni ambientali. Il rischio epidemiologico diminuisce nei fumatori, mentre nel
morbo di Crohn aumenta.
Localizzazione
1. La colite ulcerosa può interessare il RETTO ed il COLON ma non la restante parte del tratto GI (a
differenza del morbo di Crohn).
2. La localizzazione nel retto è costante. Solitamente viene risparmiato l’ano e la regione perianale.
3. L’interessamento è CONTINUO in senso ascendente (antiperistaltico) dal retto verso il colon fino ad
interessare anche tutto il colon (PANCOLITE).
Anatomia patologica
Clinica
I sintomi principali della malattia sono diarrea muco-sanguinolenta e dolore addominale, nei casi più gravi
con febbre e calo ponderale, che si accompagnano ad un esame obiettivo di solito aspecifico e a variabile
interessamento extraintestinale. In genere, maggiore è l’estensione della malattia, maggiore è la gravità dei
sintomi.
Localizzazione
È una malattia SEGMENTARIA che può coinvolgere qualsiasi parte del tratto GI (a differenza della colite
ulcerosa che non colpisce l’intestino tenue), anche se colpisce soprattutto il COLON e l’INTESTINO TENUE. 2.
Il retto può essere risparmiato e ciò è un elemento distintivo rispetto alla colite ulcerosa in cui
l’interessamento del retto è costante
Anatomia patologica
Caratteristiche distintive
Clinica
I sintomi possono variare in base alla localizzazione della malattia e alla sua gravità.
diarrea
emorragia
dolore addominale crampiforme
tenesmo
1. Stenosante: caratterizzata da una sindrome occlusiva e che risponde meno alla terapia
2. Ulcerativa-infiammatoria: risponde alla terapia con corticosteroidi e recidiva frequentemente
3. Fistolizzante
Terapia alimentare: il primo passo è in genere la ricompensazione idroelettrolitica, poi si può instaurare uno
specifico regime dietetico e se non è possibile la nutrizione per os, ricorrere alla NPT. La NPT può anche essere
applicata a quei pazienti che sopportano l’alimentazione per os, allo scopo di mantenere minimo il volume
fecale. Durante le riacutizzazioni va fatta una dieta elementare priva di scorie che riduce lo stimolo
all’evacuazione.
nei pazienti con malattia grave e debilitante che non rispondono alla terapia farmacologica
in quelli che presentano complicanze derivate dalla terapia farmacologica
nei pazienti che durante la sorveglianza endoscopica presentano una displasia di grado elevato
Età media: 20-40 anni (periodo di vita in cui solitamente l’individuo è al massimo dell’attività lavorativa e
dello stress)
Quadro clinico
I pazienti tendono a riferire una sintomatologia variegata, caratterizzata da un’aumentata risposta motoria
dell’intestino a diversi stimoli (e quindi un’aumentata sensibilità intestinale).
Disturbi alternati dell’alvo, diarrea e stipsi che insorgono in maniera progressiva (a partire dall’età giovanile)
sono costanti per tipo e gravità durano per più di 2 anni, e sono assenti durante il sonno notturno.
Mancano i segni di malattia sistemica (es. calo ponderale, febbre, sanguinamento intestinale, anemia)
Sono spesso presenti anche sintomi extraintestinali (es. disturbi ginecologici o della minzione, bolo isterico o
difficoltà della deglutizione).
1. Prevalente stipsi con dolore addominale cronico: numero di evacuazioni inferiore a 3 volte a
settimana, feci dure o caprine, evacuazione dolorosa o incompleta
2. Prevalente diarrea senza dolore: con diarrea non notturna, scariche giornaliere maggiori di 3 e feci
molli
3. Alternanza di stipsi e diarrea
Fisiopatologia
I DISTURBI DELLA MOTILITÀ INTESTINALE: l’intestino perde la capacità di rilasciarsi e contrarsi in maniera
coordinata. Queste disfunzioni motorie possono essere determinate da cause fisiche o psicologiche, sebbene
al momento non siano state individuate cause specifiche. In particolare:
1. Si possono avere contrazioni molto forti e lunghe in grado di spingere il cibo nell’intestino più
velocemente del normale, causando la formazione di gas e DIARREA.
2. In alcune persone, al contrario, il transito viene rallentato con conseguente insorgenza di STIPSI.
Si pensa che alla base dei disturbi motori vi sia un’ALTERAZIONE DELLA SENSIBILITÀ INTESTINALE.
È presumibile pertanto che i pazienti con IBS presentino una soglia di sensibilità più bassa rispetto agli
individui non affetti.
L’eziologia è ancora sconosciuta anche se sono presenti fenomeni di aggregazione familiare (FATTORI
GENETICI).
È noto che gli STRESS EMOTIVI accrescono la motilità intestinale. Tuttavia, sebbene lo stress nei
pazienti con IBS possa determinare una riacutizzazione della malattia, non c’è alcuna prova che sia la
causa di essa.
Anche abitudini non corrette, come l’abuso di ALCOL e FUMO, possono peggiorare i sintomi.
Pur essendoci numerosi studi che non hanno rilevato alcuna intolleranza consistente verso cibi specifici,
spesso i pazienti sembrano intolleranti ai cereali, ai prodotti caseari, al cioccolato, al caffè, al tè o agli agrumi.
A differenza delle malattie intestinali infiammatorie, l’IBS non causa infiammazioni o cambiamenti
morfologici di tratti intestinali e non sembra aumentare il rischio di tumore del colon-retto.
Flusso di eventi che porta alle malattie funzionali gastrointestinali Patologie multifattoriali, croniche, di
incerta eziologia e con ambigui, o almeno difficilmente riproducibili, criteri diagnostici.
Diagnosi
Di solito si tratta di una diagnosi per esclusione. La diagnosi avviene in base alla classificazione dei sintomi
conosciuti come Criteri di Roma (2006).
Non è tuttavia insolito che i pazienti non presentino i classici sintomi e in questo caso i medici devono basarsi
sull’anamnesi del paziente, sull’eventuale familiarità per disturbi gastrointestinali, sulla presenza di sintomi
quali mal di testa, letargia, mal di schiena e disturbi urinari, non dimenticando che questo tipo di patologia
ha anche una forte componente psicosomatica.
Generalmente non si osservano reperti fisici particolari anche se l’addome può presentarsi dolorabile. Anche
gli esami di laboratorio sono generalmente nella norma.
Terapia
Sebbene non esista una cura specifica, ci sono molte possibilità di migliorare la sintomatologia, e la prognosi
a lungo termine è eccellente. Il trattamento farmacologico deve essere mirato al sintomo che si presenta
(diarrea, stipsi, gonfiore e distensione addominali). Non è un intervento risolutivo. Possono essere utili anche
antidepressivi e ansiolitici.
1. Particolare attenzione dovrebbe essere posta nella valutazione del contenuto calorico degli alimenti,
dell’assunzione di grassi, della qualità e quantità degli alimenti contenenti lattosio, sorbitolo,
fruttosio e, infine, nella valutazione dell’introito di liquidi e di fibre.
2. L’eliminazione degli alimenti produttori di gas intestinali può ridurne la produzione ed in alcuni casi
portare ad un miglioramento della sintomatologia.
3. Pazienti con IBS a prevalente presenza di stipsi traggono beneficio dall’assunzione di fibra, la cui
quantità va aumentata gradatamente. Le fibre idrosolubili trattenendo acqua e formando materiale
viscoso rendono le feci più morbide, lubrificate, voluminose ed inducono un aumento della flora
batterica deputata alla loro fermentazione, che ne incrementa indirettamente il volume. L’aumento
del consumo di verdura e frutta rappresenta il primo intervento, facendo attenzione affinché il
paziente consumi, contemporaneamente, un adeguato introito di liquidi.
Un diverticolo è una estroflessione della parete intestinale che forma un canale a fondo cieco, lungo da pochi
mm a diversi cm.
Con il termine di malattia diverticolare si intende invece l’affezione sintomatica che può presentarsi in forma
più o meno complicata (aspetto clinico).
1. Aumento della pressione endoluminale: secondario ad alterazione della motilità intestinale con
formazione di onde non propulsive che generano camere ad alta pressione. Si può avere un aumento
di pressione endoluminale anche per la presenza di una stenosi o di un ostacolo.
2. Riduzione della resistenza della parete intestinale: a causa di processi che aumentano la lassità della
parete. La pressione endoluminale si scarica dunque nei punti di minore resistenza dando luogo alla
formazione di diverticoli.
La maggior parte dei diverticoli sono estroflessioni sacciformi, a fiasca o sferiche, con diametro di 0.5-1 cm.
Sono localizzati prevalentemente a livello del sigma e del colon sinistro (la P endoluminale è inversamente
proporzionale al calibro del tratto intestinale, Legge di Laplace).
Sono elastici, compressibili e facilmente svuotabili del materiale fecale in essi contenuto.
Al loro interno è contenuto un coprolita (se mancano della tonaca muscolare si possono svuotare del loro
contenuto solo passivamente).
La diverticolosi non complicata in genere è asintomatica (nel 60% dei casi vengono scoperti accidentalmente
durante un esame endoscopico eseguito per altri motivi).
I segni e sintomi sono dovuti non alla presenza dei diverticoli ma all’alterazione della motilità colica associata:
L’infiammazione del divertiolo può produrre una microperforazione su base ischemica della parete, che
provoca una fuoriuscita di materiale fecale e infiammazione dei tessuti pericolici (peridiverticolite); questo
processo, se esteso, può portare ad un coinvolgimento del peritoneo (peritonite), alla formazione di un
ascesso. Quindi per malattia diverticolare complicata si intende la presenza di diverticolite o delle sue
complicanze
Diverticolite: complicanze
Perforazione: infrequente ma grave, insorge spontaneamente oppure viene provocata da una manovra
endoscopica.
Si può manifestare:
o in forma acuta → come rettorragia cospicua (emissione di sangue rosso vivo dal retto) ma autolimitantesi
nella maggior parte dei casi
La diverticolite si manifesta con dolore continuo, non a colica, nella regione della fossa iliaca sinistra o
soprapubica, che dura alcuni giorni e poi scompare fino ad una successiva esacerbazione della mala0a. Di
solito c’è anche modesta febbre e leucocitosi, che diventano marcate in caso di peritonite o formazione di
ascessi. Il clisma opaco consente di differenziare la diverticolosi da disturbi della motilità intestinale, che
possono ovviamente predisporre alla diverticolosi stessa. Il problema maggiore è la diagnosi differenziale con
il carcinoma, che viene posta con l’endoscopia.
DIVERTICOLOSI → una dieta ricca di fibre aumenta la peristalsi colica e quindi riduce la pressione all’interno
del colon. Utili anche gli antispastici; a volte vengono somministrati antibiotici non assorbibili per ridurre la
carica batterica nel colon e limitare le complicanze, ma c’è il rischio di alterazioni della flora batterica
intestinale (dovrebbero essere seguiti dalla somministrazione di fermenti lattici).
DIVERTICOLITE → trattamento medico con digiuno e antibiotici. Quando il quadro si complica con ascesso o
peritonite, diventa essenziale l’intervento chirurgico.
IMPORTANTE → Si consiglia di asportare i semi e di evitare le varietà di frutta e verdura per le quali non è
possibile allontanare le parti di fibra compat: fichi, fragole, lamponi, ribes, more, kiwi, melograno, fagiolini,
semi di girasole, nocciole e mandorle. In tal modo si vuole evitare che i semi o le parti non ben frantumate
con la masticazione rimangano intrappolate nei diverticoli infiammandoli.
Durante le fasi acute (diverticolite) con dolori addominali diffusi o in fase diarroica, sospendere la dieta ricca
di fibre per alcuni giorni fino alla scomparsa dei sintomi e comporre il pasto con i seguenti alimenti:
Pane bianco raffermo o tostato, grissini, crackers, fette biscottate, biscotti secchi, pasta, riso,
semolino (all'olio o burro crudo)
Uova, carne, pesce, prosciutto cotto o crudo, bresaola, formaggi (in caso di diarrea o meteorismo
preferire parmigiano e groviera)
Patate e carote lessate
Spremute filtrate o succhi al naturale
Centrifugati di verdura e frutta
Il tumore dell'esofago è una patologia che origina nei tessuti dell'esofago e può avere sia natura benigna che
natura maligna. I tumori benigni esofagei sono relativamente rari (rappresentano dallo 0,5 al 4% circa di tutti
i tumori esofagei); tra questi le tipologie più frequenti sono i leiomiomi, i polipi esofagei e i papillomi esofagei.
I tumori maligni esofagei sono invece più frequenti; per quanto il loro tasso di incidenza generale non sia
elevatissimo, i tumori maligni dell'esofago sono caratterizzati da una notevole letalità (rappresentano una
delle prime dieci cause di morte per cancro a livello mondiale) dal momento che questo tipo di neoplasia è
particolarmente aggressivo.
Il cancro dell'esofago colpisce in particolar modo i soggetti di sesso maschile (il 75% dei soggetti colpiti da
tumore dell'esofago sono uomini).
Italia ~ 2.000 nuovi casi/anno; Trentino, Friuli Venezia Giulia e Lombardia le regioni con maggior incidenza.
Variante squamocellulare 6 volte più frequente nei neri, mentre l’adenocarcinoma è 3 volte più frequente
nei bianchi.
Sono due le forme maligne di tumore dell'esofago che si riscontrano con più frequenza:
può estendersi direttamente interessando le strutture e gli organi più vicini (aorta, diaframma, pericardio,
pleura, polmoni, trachea ecc.) oppure può diffondersi per via linfatica o ematica (generalmente interessando
fegato e polmoni)
Carcinoma squamocellulare:
Fattori genetici →
In quasi tutti i soggetti affetti da una rara malattia denominata tilosi (a trasmissione autosomica
dominante, caratterizzata da ipercheratosi palmo-plantare e papillomi esofagei) si ha sviluppo di
carcinoma esofageo in età
Fattori infiammatori →
L'infiammazione cronica della mucosa esofagea rappresenta un notevole fattore di rischio per lo
sviluppo di un cancro all'esofago. La cronicità dell'infiammazione è causa dell’esofago di Barrett
(condizione, spesso evoluzione del reflusso gastroesofageo, per la quale il rivestimento mucoso
esofageo subisce una trasformazione strutturale per reagire al continuo insulto dei succhi acidi
gastrici cui è esposto). La presenza dell’esofago di Barrett aumenta notevolmente il rischio di
sviluppare una neoplasia a carico dell'esofago.
Acalasia →
Lesioni da caustici →
~ 1-7% dei pazienti con carcinoma esofageo presenta in anamnesi un’ingestione di caustici (es.
candeggina, ammoniaca, soda caus2ca ecc.). Periodo di tempo intercorrente tra ingestione e
carcinoma ~ 40-50 anni; prevalentemente insorgono nel 1/3 medio
Il carcinoma esofageo può, nelle fasi iniziali, passare completamente inosservato. Il primo e più comune
sintomo che generalmente un soggetto avverte è la disfagia, talvolta accompagnata da rigurgito. •Altri
sintomi tipici del cancro all'esofago sono il bruciore e la sensazione di corpo estraneo al petto e alla gola; la
dolenzia toracica spesso si irradia al dorso; si riscontra poi un costante calo ponderale anche nei casi in cui
non si ha perdita dell'appetito. L'espansione del tumore può inoltre causare una compressione del nervo
laringeo con conseguente paralisi di una corda vocale e raucedine. A seconda della localizzazione, è possibile
riscontrare altri sintomi quali nausea, vomito, tosse, odinofagia e dolori ossei
PROGNOSI: I tumori maligni dell'esofago sono neoplasie molto aggressive e nella maggioranza dei casi la
prognosi è infausta. La sopravvivenza a 6 anni dalla diagnosi è bassa, in Europa e negli USA è del 5%. Nei Paesi
orientali, dove l'incidenza di questo tumore è decisamente più elevata e si ha un maggior numero di diagnosi
precoci, il tasso di sopravvivenza 6 anni dalla diagnosi è circa 4 volte superiore.
TERAPIA: La scelta delle tipologie di trattamento varia a seconda delle dimensioni della neoplasia e della sua
localizzazione. Nel caso il tumore dell'esofago risulti trattabile per via chirurgica, questa è il trattamento di
prima scelta.
Il 90-95% dei tumori maligni dello stomaco è rappresentato dall’ADENOCARCINOMA. Altre forme di neoplasia
gastrica sono meno frequenti:
linfomi 4%
carcinoidi 3%
leiomiosarcoma 2%
tumori stromali gastrointestinali <1%
FATTORI GENETICI
FATTORI AMBIENTALI
Fattori alimentari:
o Cibi salati, affumicati, marinati o conservati. La conservazione a temperatura ambiente
favorisce la conversione dei nitrati in nitriti.
o Consumo di carne rossa
o Ruolo protettivo di alcuni alimenti: legumi e frutta ricchi di vitamina A e C.
Categorie professionali a rischio: minatori di miniere di carbone, operai del legno e del cuoio.
METAPLASIA INTESTINALE: sostituzione delle cellule muco-secernenti gastriche da parte di elementi cellulari
provvisti di microvilli tipici dell’epitelio intestinale.
DISPLASIA: un insieme di alterazioni delle cellule epiteliali in termini di dimensioni, forma e orientamento
spesso associate ad atipie nucleari.
1. POLIPOIDE O VEGETANTE
2. ULCERATO
3. ULCERATO E INFILTRANTE
4. DIFFUSO
ASPECIFICI:
Dolore
Anemizzazione
Dimagrimento
Diarrea: nei casi in cui la massa tumorale determini insufficienza pilorica; il rapido passaggio degli
alimenti dallo stomaco al duodeno infatti è in grado di causare diarrea anche persistente
SPECIFICI:
Anoressia: soprattutto per alimenti ad alto contenuto proteico (carni) a causa dell’insufficienza
digestiva dello stomaco
Disfagia: spesso espressione di neoplasia che si estende fino al cardias
Senso di precoce ripienezza post-prandiale
Vomito: sempre post-prandiale con emissione di cibi appena ingeriti
Il carcinoma del grosso intestino è una delle principali cause di morbilità e mortalità per tumore in tutti i Paesi
occidentali. In Italia, l’incidenza stimata è di 40-45.000 nuovi casi l’anno; muoiono a causa della malattia circa
20.000 persone ogni anno. Tassi di incidenza e mortalità più elevati si registrano nell’Italia centro-
settentrionale, quelli più bassi nel meridione e nelle Isole.
FATTORI AMBIENTALI
La potenziale protezione esercitata dalla verdura è stata attribuita al contenuto di numerosi fattori vitaminici
(es. folati e vitamina D) e di fibre non assorbibili, cereali, flavonoidi ed altri polifenoli. Il consumo di frutta
non appare invece svolgere un ruolo significativo nel modificare, in senso positivo o negativo, il rischio per
tale patologia. Vari studi hanno rilevato associazioni dirette tra peso corporeo (ma spt rapporto vita/fianchi)
e tumori del colon e, in misura minore, del retto.
LESIONI PRECANCEROSE
Polipi adenomatosi: la maggioranza dei carcinomi colo-rettali si sviluppa a partire da da queste lesioni
benigne. Tuttavia, una parte di tumori colorettali può anche svilupparsi senza essere preceduta da
adenomi. Gli adenomi colorettali sono molto frequenti nella popolazione generale; non è noto se
tutti questi adenomi siano destinati ad evolvere verso lesioni maligne ed il tempo richiesto per tale
trasformazione.
Rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn
FATTORI GENETICI
Neoplasie maligne del colon: segni e sintomi Indipendentemente dalla sede, nel 10% dei casi il carcinoma del
colon-retto esordisce con un’occlusione intestinale, mentre nel 5% dei casi la perforazione costituisce la
prima manifestazione.
Chirurgia
Radioterapia
Chemioterapia
EMORROIDI: epidemiologia
Le emorroidi rappresentano una delle più comuni malattie del mondo occidentale: oltre il 50% della
popolazione al di sopra dei 50 anni è affetto da emorroidi
L’incidenza di tale patologia cresce con l’età, ma l’affezione si può ritrovare anche nei bambini.
Colpisce i maschi con una frequenza circa doppia rispetto alle femmine.
La popolazione nera e quella orientale ne sono colpite in misura notevolmente inferiore, verosimilmente in
rapporto all’alimentazione ricca di scorie. Questi individui, infatti, trasferiti in occidente, mutando le abitudini
alimentari, hanno la stessa alta incidenza di patologia emorroidaria.
Le emorroidi vengono distinte in INTERNE ed ESTERNE in base alla localizzazione al di sopra o al di so>o della
linea dentata (linea ideale che separa il retto dal canale anale e che è costituita dalla papille anali). Quelle
interne sono localizzate negli ultimi 1-2 cm del retto e nei 2/3 superiori del canale anale.
EMORROIDI: patogenesi
Familiarità
Età (prevalentemente dopo la III decade)
Sesso (più colpito quello maschile)
Dieta prive di scorie
Sforzi prolungati specie durante la defecazione
Protratta stazione eretta
Assenza di valvole nel plesso emorroidario
Obesità
Fattori che aggravano la congestione o ostacolano il ritorno venoso (utero gravido, neoplasie
pelviche, ipertensione portale)
1° GRADO: congestione venosa del plesso emorroidario interno, visibile solo all’esame proctoscopico.
2° GRADO: prolasso emorroidario durante la defecazione, che si riduce spontaneamente alla fine del
ponzamento.
3° GRADO: prolasso emorroidario durante la defecazione, con possibilità di riposizionamento digitale nel
canale anale
Sanguinamento: sangue di colore rosso vivo e privo di coaguli, emesso sia in forma di gocce o spruzzi
e osservato sulla carta igienica (81%)
Prolasso: sempre presente o dopo la defecazione (50%)
Dolore: da ipertono dello sfintere (35%)
Prurito (62%)
Senso di peso e d’ingombro (64%)
Emissione di muco (29%)
È frequente un’alternanza di periodi di relativo benessere con periodi di esacerbazione della sintomatologia.
EMORROIDI: complicanze
Trombosi sia del plesso venoso emorroidario interno sia della sua componente esterna
Tromboflebite emorroidaria esterna
Prolasso
Strozzamento emorroidario (spasmo persistente dell’apparato sfinterico sopra un prolasso
emorroidario)
Ematoma perianale
EMORROIDI: prevenzione
Condurre una vita attiva, svolgendo attività fisica con regolarità: jogging, ballo, marcia o ginnastica
dolce per la terza età migliorano le funzionalità corporee rinforzando al tempo stesso la regione
pelvica
Evitare fumo ed alcolici
Una dieta equilibrata, ricca di acqua e fibre, aiuta a regolarizzare le funzioni intestinali, allontanando
uno dei principali fattori di rischio
Accurata igiene personale e uso di tessuti permeabili come il cotone che evitano il ristagno di calore
e umidità
Non imprimere sforzi defecatori senza stimolo, non reprimere lo stimolo defecatorio, defecare allo
stesso orario e nei momenti tranquilli
EMORROIDI: terapia
I grado→ osservanza delle norme igienico-dietetiche, miglioramento della stipsi anche con blandi lassativi
nella fase sintomatica
II grado → legatura con laccio elastico, iniezioni sclerosanti, coagulazione con infrarossi e crioterapia
IV grado → emorroidectomia
Si tratta di un’ulcera longitudinale che si estende dal margine muco-cutaneo fino alla linea dentata (quindi si
sviluppa al di sotto della linea dentata) e generalmente è situata posteriormente.
ACUTA SUPERFICIALE: dovuta ad eccessiva dilatazione dell’ano; è una lacerazione poco profonda, che
sanguina al tatto
CRONICA: è profonda con messa a nudo delle fibre dello sfintere interno
Eziologia sconosciuta
Trattamenti conservativi
Terapia chirurgica