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L’interazione fra ricercatori dello sviluppo tipico e clinici e ricercatori dello sviluppo atipico è la grande novità degli ultimi decenni. Un esempio è costituito dal
“neurocostruttivismo” la cui teorica principale è Annette Karmiloff-Smith, di matrice piagetiana, che concilia una prospettiva psicologica dello sviluppo con quella
dello studio del substrato neurale dei disturbi dello sviluppo, attraverso tecniche di esplorazione della struttura e funzionalità del cervello come quello del
neuroimaging: tali tecniche di neuroimaging o brain imaging permettono di visualizzare in dettaglio la struttura e il funzionamento del sistema nervoso centrale così da
identificare eventuali alterazioni e permettere di ricostruire il funzionamento dei circuiti e specifiche aree cerebrali in condizione di riposo o durante lo svolgimento di compiti.
Il modello di Karmiloff-Smith afferma che le traiettorie dello sviluppo atipico hanno la loro radice in perturbazioni di processi di base nelle fasi precoci dello sviluppo. La
sua idea di sviluppo tipico è che neonati nascano dotati di un cervello in grado di apprendere dall'ambiente grazie a meccanismi generali di elaborazione (es. attenzione, memoria,
abilità percettive) e a meccanismi di sviluppo uniti a particolari propensioni per certe classi di stimoli domain relevant che costituiscono il vettore della traiettoria iniziale nello spazio
cognitivo .
Lo sviluppo atipico viene considerato come una traiettoria evolutiva peculiare che può dar luogo ad associazione tra disturbi: non ci si dovrebbe attendere di trovare deficit
isolati o specifici in bambini con disturbi del neuro- sviluppo, ma atipie diffuse nei vari ambiti dello sviluppo.
- Lo studio dei primi segnali di sviluppo atipico o di fattori di rischio noti ha un importante valore per la realizzazione di interventi precoci, personalizzati e intensivi, al fine di
sfruttare al massimo le potenzialità legate alla neuroplasticità fin da epoche precocissime dello sviluppo.
COMORBIDITA’
La comorbidita o co-occorrenza di disturbi diversi è molto frequente nei disordini del neurosviluppo probabilmente a causa delle forti interazioni che caratterizzano il sistema in via
di sviluppo.
Infatti, l’eziologia di molti disturbi del neuro-sviluppo (come l’ADHD, il Disturbo dello spettro dell’autismo, i Disturbi del linguaggio, la Dislessia evolutiva...) è multifattoriale e molti
dei fattori implicati si sovrappongono parzialmente così che la possibile associazione tra diversi disturbi dipende dalla condivisione di alcuni fattori eziologici di rischio.
Per affrontare il problema della comorbidità serve un modello che prenda in considerazione i diversi livelli di descrizione dei disturbi.Un modello di questo tipo è quello di:
Uta Frith, che considera tre livelli di descrizione, neurobiologico, cognitivo e comportamentale, tutti interagenti con l'ambiente.
La comprensione di un disturbo richiede l'integrazione di diversi livelli di descrizione secondo un’ottica causale multifattoriale e dinamica. Si opera cercando di integrare il
piano dei sintomi (prevalentemente comportamentale – fenotipo) con quello dei processi alterati (prevalentemente biologici, cognitivi e socio-emotivi e sottostanti - underpinning - il
disturbo endofenotipo). Le interazioni tra i diversi livelli di descrizione, comportamentale, cognitivo-emotivo e ambientale-biologico, non sono mai unidirezionali e
univoche, ma sono piuttosto complesse, multi-direzionali e dinamiche, in quanto possono cambiare in funzione dell’età e delle condizioni ambientali.
1. A livello cognitivo è raro che un singolo deficit spieghi un singolo disturbo neuro-evolutivo.
2. A livello genetico sono rare le condizioni patologiche in cui un singolo gene è responsabile della malattia, mentre più frequentemente più geni sono responsabili delle
manifestazioni dei disturbi.
3. Anche in ambito psicopatologico si possono trovare numerosi esempi di associazione tra disturbi, siano essi di tipo internalizzante (in cui il disagio e la sofferenza sono
vissuti interiormente e tendono ad associarsi a comportamenti di ritiro sociale e passività - ansia, depressione) o esternalizzante (in cui il disagio viene rivolto verso l'esterno
attraverso azioni dirette a oggetti o persone - ADHD, disturbo positivo provocatorio, della condotta).
Le ricerche fatte nel campo della comorbidità hanno una notevole importanza per le loro ricadute sul piano diagnostico e riabilitativo: l’associazione di più disturbi aumenta la gravità
della patologia che necessita quindi di interventi riabilitativi più efficaci e multidimensionali. Una diagnosi precoce e corretta di disturbi e della loro comorbidità permette di
predisporre interventi adeguati e tempestivi sul piano psicologico ed educativo
DIAGNOSI
La diagnosi dei disturbi del neurosviluppo e dei disordini dell’età evolutiva richiede un sistema di classificazione condiviso dalla comunità clinica (diagnosi nosografica) ed è il primo
passo per l’adozione di un linguaggio comune, necessario per avviare un'adeguata presa in carico riabilitativa del soggetto.
• La comprensione del disturbo deve avvenire attraverso la diagnosi funzionale ed esplicativa.
Si cerca “cosa ha” il bambino e il “come” del funzionamento, per fare previsioni sull’evoluzione naturale.
• La diagnosi funzionale deve descrivere e valorizzare i punti di forza, le abilità residue e le potenzialità̀ del bambino in condizioni di sviluppo atipico. È importante rispettare la
variabilità̀ individuale, che è un requisito essenziale per creare ambienti educativi in grado di valorizzare specifiche competenze, siano esse più (tipiche) o meno (atipiche)
frequenti nella popolazione.
• La diagnosi funzionale richiede un monitoraggio costante e sistematico, soprattutto nei passaggi da una fase di sviluppo alla successiva, attraverso tipologie diverse di
strumenti di osservazione e raccolta dati come test, questionari, colloqui psicodiagnostici.
• Risulta opportuno che alla diagnosi funzionale si affianchi una diagnosi di sviluppo per descrivere, oltre alle competenze acquisiste in un dato momento, i processi
cognitivi ed emotivi potenziali, rilevabili nella zona di sviluppo prossimale, che assumono un importante valore prognostico per l’adattamento.
• La diagnosi esplicativa cerca invece di rispondere al perché di un certo funzionamento attraverso l’identificazione dei fattori causali che contribuiscono ai sintomi.
Le cause funzionali di un disturbo possono essere distali e prossimali:
1. le prime si riferiscono in genere a processi più precoci e di base,
2. le seconde fanno riferimento a processi più recenti e più simili ai sintomi e ai fattori che caratterizzano il contesto ambientale prossimo il bambino.
Un elemento fondamentale della diagnosi è la definizione del grado di disabilità, cioè l’impatto del disordine sulle capacità d’adattamento dell’individuo all’ambiente. La necessità
di considerare la disabilità come un processo evolutivo è alla base del ICF-CY (International Classification of Functioning, Children and Youth version), che si basa sulla
considerazione che il funzionamento associato a condizioni di disabilità in età evolutiva si differenzia da quello dell’adulto con disabilità per la natura, l'intensità̀ e le conseguenze.
Inoltre, alla diagnosi concorrono molte professionalità diverse e raramente viene raggiunta la fase diagnostica finale. Sarà il percorso terapeutico e d’intervento a consentire la
verifica delle ipotesi sulla veridicità di un certo endofenotipo (=processi alterati) e quindi a riportare, eventualmente, a una fase di revisione della diagnosi.
Tipologia di diagnosi:
1. Diagnosi eziopatogenetica: studia le cause di una malattia e la sua evoluzione.
2. Diagnosi nosografica: porta all’identificazione, ossia alla classificazione e all’etichetta diagnostica del disturbo in funzione dei sintomi e dei criteri di inclusione.
3. Diagnosi funzionale: deriva dalla combinazione di elementi clinici e psicosociali con le caratteristiche funzionali dell'individuo a livello cognitivo, affettivo-relazionale,
linguistico, sensoriale, motorio-prassico e personale-sociale.
4. Diagnosi di sviluppo: formula ipotesi sulle traiettorie evolutive di un dato disordine e su eventuali indicatori di rischio per lo sviluppo futuro.
ICF: sviluppata per gli adulti nel 2001 e seguita dalla versione per bambini del 2007 per fornire un linguaggio standard unico che serva da modello di riferimento per la
descrizione della salute e degli Stati essa correlati è composta da due parti a loro volta composte da due componenti:
1. FUNZIONAMENTO E DISABILITA’ - 1. Funzioni corporee e strutture 2. Attività e partecipazione.
2. FATTORI CONTESTUALI - 1. Fattori ambientali 2. Fattori personali.
Ogni componente può essere espressa in termini positivi o negativi e consiste di vari domini e categorie che sono le unità di classificazione.
INTERVENTO
Nella presa in carico riabilitativa del bambino con disordini del neurosviluppo è necessaria l'integrazione di punti di vista specializzati. L'ambiente del bambino che presenta un
disordine di sviluppo si fonda su tre colonne portanti fortemente interconnesse: l’equipe clinica, la famiglia e la scuola.
- Principi a cui la ricerca clinica cerca oggi di attenersi:
• Evidence based: pratica basata sull’evidenza – incoraggia a scegliere metodologie di intervento sulla base di studi di ricerca selezionati e interpretati secondo specifici
criteri
• Generalizzabilita: la generalizzazione degli effetti di un intervento è maggiore quando esso si estende al contesto familiare e alle pratiche educative e viceversa,
quando queste sono ben fondate sulla conoscenza dei processi cognitivi, emotivi e neurofunzionali sottostanti
• Replicabilita: è necessario seguire una metodologia rigorosa che prevede raccolta dei dati amnestici relativi ai percorsi riabilitativi già intrapresi e agli esiti degli stessi,
riferimento a un modello, documentazione dettagliata della attività e dei progressivi cambiamenti, misurazione dell’efficacia dell’intervento, ruolo attivo e consapevole del
bambino e della famiglia
• Specificita e globalita: è sempre necessario integrare gli interventi specifici con quelli più globali
In un'ottica riabilitativa è importante il rapporto con gli insegnanti curriculari dei bambini, ai quali, con il consenso dei genitori, viene illustrata la diagnosi funzionale che, se
necessario, costituisce la prima tappa del PDP (Piano Didattico Personalizzato) e PEI (Piano Educativo Individualizzato).
È importante che gli insegnanti abbiano un dialogo con i professionisti clinici, fondamentale per la traducibilità della diagnosi funzionale nel progetto educativo individuale, dato che
mette in evidenza punti di forza e aree di debolezza del bambino.
Il deficit di maturazione psicologica riconosce sempre fattori interni esterni con prevalenze, sequenze peculiarità molto specifiche che la patologia dovrebbe conoscere meglio per
impostare l'intervento di recupero.
L'intervento deve avere alcune fondamentali condizioni:
- la conoscenza dei processi di sviluppo della mente, normali e devianti
- la conoscenza degli aspetti specifici dell'immaturità̀ , del ritardo globale o selettivo
- la conoscenza delle strategie relazionali più idonee per favorire tutti i processi di maturazione e compenso.
IL PERIODO CRITICO
Il concetto di “periodo critico” (periodo di vulnerabilità o periodo sensibile) rappresenta uno specifico arco di tempo in cui la plasticità neuronale risulta massima e i circuiti neuronali
sono maggiormente sensibili agli stimoli esterni, sia in termini di sviluppo che di recupero funzionale.
“I primi 1000 giorni di vita del bambino” è un progetto che ha come obiettivo la realizzazione a domicilio dei bambini nati a rischio un programma di protezione, diagnosi e cura dei
disturbi neuropsichiatrici nelle prime settimane di vita e di fornire gli stimoli giusti per uno sviluppo ottimale del sistema nervoso.
La presenza di meccanismi di plasticità neuronale più potenti durante le prime fasi di sviluppo implica che la riparazione del danno cerebrale è più efficace per lesioni insorte
precocemente.
Tuttavia, alcuni studi dimostrano la complessità del sistema che regola questi meccanismi che tiene conto di diversi fattori come:
1. la localizzazione e l’estensione della lesione (focale o diffusa);
2. il timing dell’insorgenza lesionale, cioè il momento in cui avviene il danno celebrale - durante il periodo di sviluppo i cambiamenti determinati dalla plasticità neuronale sono
graduali e i periodi critici sono diversi per i vari sistemi funzionali. Quindi, i tipi di danno cerebrale possono avere un’influenza variabile sul SN in funzione dello stadio di
maturazione cerebrale in cui avvengono. Per esempio, un aspetto cruciale della fisiopatologia del danno cerebrale congenito è l’insorgenza della lesione in epoca pre- o
perinatale (dalla 28° settimana di gravidanza fino alla 4°settimana di vita approssimativamente).
3. Suscettibilità genetica;
4. e le correlazioni cliniche.
Vi sono numerosi studi relativi alla plasticità cerebrale che hanno focalizzato l’attenzione sullo sviluppo del sistema visivo. In esso, il periodo critico svolge un ruolo fondamentale
perché permette la maturazione e la stabilizzazione postnatale dei circuiti neurali. Il cambiamento della dominanza oculare dei neuroni della corteccia visiva in risposta all’occlusione
di un occhio e il recupero delle funzioni visive dopo un periodo di deprivazione sensitiva rappresentano due classici modelli nello studio del periodo critico relativo alla corteccia
visiva. Una volta che l’esperienza ha esercitato il suo ruolo di guida dello sviluppo, la riduzione della plasticità è funzionale alla stabilizzazione dei circuiti e delle funzioni neurali.
Tuttavia, quando i periodi critici si sono chiusi, c’è lo svantaggio della difficoltà di recupero dagli effetti di una difettiva o carente esperienza. Nonostante l’infrastruttura corticale
essenziale sia già presente alla nascita, la sua organizzazione definitiva matura nel corso delle prime settimane di vita, quando il sistema visivo viene per la prima volta esposto agli
stimoli luminosi.
Se la deprivazione sensoriale si prolunga per tutta la durata del periodo critico, le conseguenti alterazioni anatomo-funzionali sono definitive – questi effetti potrebbero essere
reversibili qualora l’occhio deprivato venisse esposto agli stimoli visivi prima della conclusione di questo periodo. L’esperienza sensoriale e la conseguente attività elettrica dei
neuroni visivi inducono quindi una profonda riorganizzazione delle connessioni corticali che comporta la crescita e retrazione di ramificazioni assonali con la
conseguente formazione ed eliminazione di contatti sinaptici: la plasticità sinaptica è la caratteristica principale della plasticità neuronale.
Un sito cerebrale molto vulnerabile all’esperienza (soprattutto allo stress) è l’ippocampo: è una formazione cerebrale, inclusa nel sistema limbico – svolge un ruolo importante nei
processi di apprendimento e memoria. L’esposizione a fattori stressanti (malnutrizione o assenza di cure materne) può interferire con la sua maturazione funzionale e strutturale
anche in modo permanente.
È stato dimostrato anche che soggetti precocemente esposti a esperienze sfavorevoli precoci mostrano una maggiore vulnerabilità all’insorgenza di psicopatologie quali disturbi del
neurosviluppo e disturbi dello spettro d’ansia, che perdurano anche nell’età adulta.
Sono quindi molto importanti i fattori ambientali precoci sull’outcome di sviluppo (insieme dei risultati ottenuti nella storia naturale del bambino o a seguito di eventuali interventi,
nel breve o nel lungo termine). Tuttavia, risulta anche che una esposizione costante a minimi livelli di stress può “immunizzare” il soggetto e renderlo più resistente allo
stress (resilienza) – questo effetto è correlato alla suscettibilità genetica individuale e lo stesso concetto va esteso anche per la risposta all’esposizione di fattori
ambientali protettivi.
Per fornire l’ambiente giusto al momento giusto è necessario conoscere le tappe tipiche dello sviluppo così da poterle sfruttare come finestre terapeutiche.
AMBIENTE ARRICCHITO
Le caratteristiche ambientali in cui un soggetto si sviluppa risulta fondamentale. Negli ultimi anni, in ragione di quest’aspetto, è stata posta molta attenzione al concetto di ambiente
arricchito (enriched enrivonment) che rappresenta “la combinazione di stimoli inanimati e sociali complessi”. Per queste sue caratteristiche, l’ambiente arricchito, offre multiple
stimolazioni visive, olfattive, somato-sendoriali, motorie, cognitive e sociali di variabile complessità, determinando un maggior grado di plasticità neuronale e un conseguente
aumento dei fenomeni di neurogenesi, ramificazione dendritiche e formazioni sinaptiche.
Tutto ciò si traduce con un migliore outcome funzionale nelle capacità di memoria e apprendimento.
Inoltre garantisce un effetto neuroprotettivo dato che riduce il declino cognitivo e attenua gli esiti di danno cerebrali in condizioni patologiche.
Anche le cure materne nei primi mesi di vita favoriscono la sinaptogenesi (processi che portano alla formazione di sinapsi) delle cellule ippocampali, come anche il massaggio
sui neonati pretermine che è una forma di contatto fisico combinato con altre attività (ascolto della voce, contatto oculare) influisce favorevolmente sulla maturazione dell’attività
cerebrale.
Un altro esempio dell’effetto delle cure umane sull’organizzazione neurofunzionale è dato dagli studi di Patricia Kuhl sull’apprendimento del linguaggio nel primo
anno di vita – il neonato, capace inizialmente di percepire i suoni di tutte le lingue del mondo, si specializza in pochi mesi per i suoni della propria lingua. Questo fenomeno
chiamato restringimento percettivo, può essere modificato se in quella finestra temporale il neonato viene esposto a una seconda lingua tramite la relazione concreta con
una persona umana.
In conclusione si può affermare che l’arricchimento ambientale stimola la plasticità assonale e la riorganizzazione sinaptica e le esperienze sensoriali precoci sono
essenziali per lo sviluppo delle connessioni sinaptiche dei diversi sistemi. Quindi, modificare l’ambiente rendendolo più facilmente percettibile gioca un ruolo chiave
nell’attivazione della plasticità cerebrale.
ITER TERAPEUTICO
È necessario che il personale medico di riferimento fornisca tutte le opzioni terapeutiche percorribili, le informazioni sui progressi della ricerca a livello internazionale e sulle
eventuali nuove sperimentazioni cliniche. I genitori hanno il compito di informare il personale scolastico delle problematiche legate alla condizione clinica del proprio figlio al fine di
instaurare un costruttivo rapporto scuola-famiglia – è importante però che l’équipe clinica si renda disponibile fin dall’inizio a comunicare con la scuola sui bisogni e le specifiche
necessità del bambino per potergli permettere di intraprendere percorsi formativi che consentano lo sviluppo di tutte le sue potenzialità.
La collaborazione tra docenti, genitori e clinici permette di operare efficacemente per ridurre le problematiche e riuscire a valorizzare le risorse del bambino.
È utile suggerire alle famiglie e alla scuola indicazioni e consigli sui possibili atteggiamenti educativi alterativi a quelli abituali.
Fondamentale è la definizione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e di un Piano Educativo Individualizzato (PEI) che garantiscono un approccio dinamico e
multidisciplinare e indirizzato al raggiungimento di specifici obiettivi. La scuola dovrà accogliere il bambino e operare per il suo sviluppo e la crescita delle sue funzionalità,
facendo in modo che sia parte integrante del contesto scolastico, insieme e alla pari degli altri alunni.
Nella dinamica terapeutica il medico di riferimento deve sempre suggerire indicazioni sull’eventuale presenza di associazioni di genitori o di persone con la stessa condizione clinica
– è importante avere contatti con chi ha già vissuto esperienza simili.
Un altro momento cruciale e delicato è anche quello della condivisione della malattia con il bambino interessato, il genitore deve porsi in una posizione di ascolto ed essere chiaro e
trasparente comunicando e condividendo informazioni.
Inoltre, è rilevante la comunicazione delle difficoltà al bambino affetto e ad eventuali fratelli o sorelle, è necessario fornire giuste spiegazioni in modo che per loro sia più semplice la
comprendere perché il fratellino o la sorellina abbia bisogno di particolari cure e attenzioni.
. Molti genitori trovano difficile parlare con i propri figli e questo può generare un circolo vizioso: bisogna essere il più possibile chiari e trasparenti comunicando e condividendo
informazioni e ponendosi in una prospettiva di ascolto. Per quanto riguarda la comunicazione con fratelli o sorelle, essa risulta molto importante dato che spesso vengono posti in
secondo piano.
Infine, si sottolinea che il bambino in età evolutiva con patologia neuropsichiatrica non ha una condizione definita e immutabile nel tempo, piuttosto è la risultante dell’interazione tra
problematiche intrinseche al soggetto e risposte esterne che possono accrescere o ridurre la partecipazione della persona alla società.
Infine è importante sottolineare l’importanza di un approccio multidisciplinare dove la dimensione sanitaria lavori a stretto contatto con quella educativa e sociale al fine di ridurre le
barriere e garantire professionalità, innovazione/ricerca e umanità.
3. BILINGUISMO E MULTICULTURA
Il bilinguismo e il plurilinguismo sono una tematica che coinvolge molteplici discipline, tra cui l’entopsichiatria, le neuroscienze e la linguistica acquisizionale.
• L’etnopsichiatria è una branca della psichiatria chesi occupa dei disturbi con riferimento al contesto culturale e al gruppo etnico di appartenenza, descrivendo in particolare
aspetti legati alla comunicazione interculturale – alcune conoscenze di base sono indispensabili per comprendere nella loro globalità il bilinguismo e il plurilinguismo, intrecciati
con la pluriculturalità.
• Le neuroscienze apportano contenuti importanti che riguardano lo sviluppo del cervello bilingue ma anche elementi essenziali in relazione allo sviluppo tipico e atipico del
bambino multilingue.
• Cruciali sono anche gli studi di linguistica generale e linguistica acquisizionale la quale si occupa dei processi e delle fasi attraverso le quali viene appresa una nuova lingua.
LE DIMENSIONI DEL FENOMENO
Negli ultimi anni la richiesta di attenzione in ambito scolastico e l'accesso ai servizi sanitari di bambini di diversa età, bilingui e multilingui, sono notevolmente aumentati, in relazione
ai fenomeni di tipo migratorio che interessano globalmente l'intero pianeta.
Nel 2015 è stato registrato un aumento del disagio scolastico riferibile ai vari livelli di insuccesso all’interno del mondo dell’istruzione: i dati riportati e le trasformazioni
che vengono ipotizzate comportano necessità di conoscenze ed esperienze al riguardo – i fattori di esposizione alla cultura e alla lingua cambiano radicalmente a seconda del tipo
di fenomeno in atto.
I bambini stranieri inseriti nelle scuole, nati in Italia, rappresentano il 40% della presenza globale dei soggetti stranieri in età evolutiva e nei prossimi anni il numero sarà destinato a
diventare praticamente uguale oppure superiore a quello dei bambini residenti in Italia ma nati in un paese straniero.
È possibile affermare che il fattore di esposizione precoce alla lingua italiana determina risultati molto diversi rispetto a quello più tardivo in termini di maggiore o minore successo
scolastico. Sotto il profilo sociale e culturale, però, un altro fattore che necessità di riflessione è quello legato alla condivisione di interessi e conoscenze, visto che il 21,6% degli
alunni stranieri non frequenta i compagni di scuola, contro il 10% di quelli italiani che li frequentano, mentre il 14% frequenta solo compagni di scuola stranieri connazionali e non,
creando di fatto un rallentamento di acquisizione e condivisioni culturali, spesso indispensabili per una vera inclusione.
Le diverse eta alle quali è avvenuta l’acquisizione dell’italiano come seconda o terza lingua determinano il maggiore o minore insuccesso scolastico (anche se non ne
rappresentano l’unico fattore).
È possibile affermare che il fattore di esposizione precoce alla lingua italiana determina risultati molto diversi rispetto a quello più tardivo in termini di maggiore o minore successo
scolastico. Sotto il profilo sociale e culturale però un altro fattore che necessita di riflessione è quello legato alla condivisione di interessi e conoscenze, dato che il 21,6% degli
alunni stranieri non frequenta i compagni di scuola, contro il 10% di quelli italiani che li frequentano, mentre il 14% frequenta esclusivamente compagni di scuola connazionali e non,
creando di fatto un rallentamento di acquisizioni e condivisioni culturali, spesso indispensabili per una vera inclusione.
5. Disturbi neurovisivi
La disabilita visiva rappresenta un gruppo eterogeneo di disturbi che riguardano il malfunzionamento del sistema visivo, che possono limitare il funzionamento generale
dell’individuo e le sue autonomie. La funzione visiva ha molta importanza nello sviluppo di un individuo.
5.1 CECITA’ E IPOVISIONE: DEFINIZIONE, EPIDEMIOLOGIA E CARATTERISTICHE FUNZIONALI
L’OMS definisce come disturbo del sistema visivo qualsiasi disordine che riguardi gli occhi o i loro annessi, le aree cerebrali che permettono la percezione e il comportamento
visivo dell’individuo. La disabilita visiva rappresenta quindi un gruppo eterogeneo di disturbi che ostacolano e limitano alcune attività della vita quotidiana tipicamente collegate alla
processazione dell’immagine visiva, come l’orientamento nell’ambiente, la mobilità, la lettura e l’apprendimento. Per caratterizzare l’handicap visivo e quindi la reale condizione di
svantaggio provocata dal disturbo, è necessario tener conto
• dell’acuità visiva (capacità di discriminare differenze minime nella configurazione spaziale degli oggetti)
• e del campo visivo (parte di spazio in cui gli oggetti sono visibili nello stesso momento durante il mantenimento dello sguardo in una direzione).
In Italia la legge n. 138 del 3 Aprile 2001 definisce le varie forme di minorazione visiva e ne determina la quantificazione secondo i seguenti criteri:
● Ciechi totali: colpiti da totale mancanza di visione da entrambi gli occhi, che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce, o del moto della mano in
entrambi gli occhi o nell’occhio migliore e il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3%
● Ciechi parziali: che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione e il cui residuo
perimetrico binoculare è inferiore al 10%
● Ipovedenti gravi:che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione e il cui residuo
perimetrico binoculare è inferiore al 30%
● Ipovedenti medio-gravi: che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione e il cui residuo
perimetrico binoculare è inferiore al 50%
● Ipovedenti lievi: che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione e il cui residuo
perimetrico binoculare è inferiore al 60%
Il fattore di rischio più importante per i disturbi visivi è l’età, questo non esclude però la possibilità che alcune tipologie di disturbi visivi colpiscano la popolazione
infantile.
5.1.1 EZIOLOGIA E QUADRI CLINICI
La visione può essere vista come la capacità dell’individuo di organizzare e dare significato a dati sensoriali raccolti dal sistema visivo. Questa funzione è varia ed
eterogenea e comprende diversi aspetti funzionali che corrispondono alla complessità delle strutture che interagiscono nel sistema per permettere la percezione e l’elaborazione
dell’immagine visiva, e il controllo sensoriale del movimento. Sulla base delle strutture e dei network che compongono il sistema visivo, è possibile classificare quattro categorie
principali di disturbi:
1. Deficit visivi periferici, dovuti a una compromissione della via visiva primaria prechiasmatica – comporta riduzione acuità visiva, riduzione della sensibilità al contrasto,
nistagmo (oscillazione involontaria e ritmica degli occhi), strabismo, anomalie delle risposte pupillari e comportamento visivo povero
2. Deficit visivi centrali, secondari a lesioni della via visiva primaria
retrochiasmatica – la sintomatologia riguarda l’utilizzo del canale visivo, che risulta fluttuante e discontinuo, ma possono esserci anche riduzione dell’acuità visiva e della
sensibilità al contrasto, anomalie nella percezione del colore e alterazioni del campo visivo
3. Disturbi legati al malfunzionamento dei sistemi visivi associati che provocano difficoltà visuo-cognitive e visuo-prassiche: un deficit della via ventrale (del what) può
coinvolgere il riconoscimento delle caratteristiche degli oggetti, delle forme e dei volti – un deficit della via dorsale (del where) può influenzare negativamente la
percezione del movimento, la localizzazione spaziale e l’integrazione visuo-motoria
4. Patologie del sistema oculomotorio che possono portare a disturbi dell’esplorazione visiva e dell’oculomozione come per esempio strabismo o nistagmo, ovvero
oscillazione ritmica e involontaria degli occhi.
Per quanto riguarda le cause è importante il timing, l’epoca di insorgenza del disturbo.
I deficit congeniti sono di natura prevalentemente genetica, malformativa, infettiva o secondari a danni cerebrali da sofferenza pre-perinatale e possono influire sullo sviluppo
neuropsichico del bambino, questo perché la vita risulta un prerequisito essenziale per l’evolvere dello sviluppo psicomotorio e neuropsicologico e per la crescita emotiva e affettiva
del bambino.Se l’esordio avviene in fase post-natale ha conseguenze sullo sviluppo inferiori, perché le competenze già apprese hanno maggiori possibilità di rimanere indenni.
Secondo Greenspan, i sistemi di auto-regolazione costituiscono i meccanismi che consentono di processare le sensazioni, filtrare gli stimoli, discriminare le sollecitazioni
sensoriali entero- ed esterocettive ed escludere le sensazioni disturbanti, adattando le risposte per il rispristino dell’omeostasi.
• L'autoregolazione consiste nella capacità del bambino di controllare un proprio sentimento e comportamento in funzione della capacità di differenziare la propria risposta
comportamentale dall’impulso emozionale ed è imprescindibile dalla presenza di un ambiente esterno interattivo.
• Il concetto di autoregolazione (self-regulation) è imprescindibile dalla presenza di un ambiente esterno interattivo e lo sviluppo dei meccanismi di autoregolazione è il
legame cruciale fra le componenti genetiche, le prime esperienze relazionali e il successivo funzionamento sociale.
• Le strutture sottostanti all’autoregolazione sono immature alla nascita e maturano con l’esperienza all’interno della relazione con l’altro che agisce in qualità di regolatore
psico-biologico esterno – nei primi anni di vita l’interazione di gioco tra bambino e caregiver rappresenta una esperienza relazionale importante in cui il caregiver assume il
ruolo di regolatore esterno e il bambino influisce sullo stile genitoriale: queste due componenti costituiscono un sistema di co-regolazione.
L’abilità di agire in accordo alle richieste dell’ambiente sociale primario e di regolare il proprio comportamento in funzione delle sollecitazioni che da questo provengono
costituisce il presupposto per lo sviluppo delle abilità di relazione e di socializzazione durante i primi anni di vita.
Una vulnerabilità specifica o immaturità delle basi neurobiologiche preposte alla maturazione dei meccanismi dell’autoregolazione possono creare una discrepanza
rispetto alle aspettative dell’ambiente – fallimenti ripetuti dei primi tentativi del bambino di auto-regolare il comportamento e le risposte all’ambiente di cura creano una maggiore
fragilità del sistema di co-regolazione, su cui fattori di stress differenti possono agire più facilmente in modo negativo.
Studi di Howard e Melhuish evidenziano che l’autoregolazione ha uno sviluppo precoce nei primi cinque anni di vita, ed è implicata nello sviluppo successivo, in particolare
per quanto riguarda il rendimento scolastico, maggiormente dipendente dal funzionamento esecutivo piuttosto che dal quoziente intellettivo.
• La presenza di un ritardo dell’acquisizione delle capacita motorie con successiva goffaggine motoria, impaccio nelle abilità fini, disturbo di acquisizione dello schema
corporeo e spesso disprassia (disturbo dell’organizzazione motoria).
• La presenza di quadri di tipo psicopatologico. La prevalenza di Disturbi psichiatrici in pazienti con DI è dalle 3 alle 4 volte superiore rispetto alla popolazione normale:
ciò sembra dipendere da una maggiore vulnerabilità del substrato biologico e da una maggiore frequenza di esperienze ambientali negative associate a una minore
capacità di elaborazione date le capacità cognitive intrinseche del soggetto con DI.
Occorre sempre indagare la presenza di familiarità per disturbi psichici, la comparsa di una modificazione significativa comportamentale o emotiva, la gravità del deficit
cognitivo che condizionerà la gravità di espressione comportamentale del disturbo psichiatrico e renderà più difficile la comprensione del soggetto da parte dell’altro.
• La presenza di problemi di tipo organico internistico, neurologico e disturbi di tipo sensoriale che interferiscono ulteriormente con le capacità di base.
Disturbi epilettici al 15-30%, disturbi motori al 20-30% e disturbi sensoriali al 10-20%.
Profili neuropsicologici
È importante sottolineare che non esiste un unico profilo neuropsicologico ma un pattern di disturbi cognitivi e comportamentali di variabile entità che si possono
associare alle diverse forme di epilessia. La presenza o meno di disturbi cognitivi e le loro caratteristiche possono dipendere dalla fase evolutiva in cui si trova il cervello del
bambino al momento dell’insorgenza dell’epilessia. Essendo alcuni dati della letteratura non sempre concordanti, studi di revisione hanno permesso di evidenziare che forme non
complicate di epilessia, senza lesioni cerebrali e che non compromettono l’intelligenza, possono essere associate a sottili difficoltà cognitive che possono condizionare
l’apprendimento scolastico, e che crisi focali che coinvolgono delimitate aree del cervello possono avere conseguenze su più domini cognitivi oltre quelli direttamente perturbati dalle
crisi. Pur consapevoli dell’estrema complessità dell’epilessia, si possono così riassumere i dati della letteratura:
• - l’epilessia nel bambino non comporta significative disabilità neuropsichiche nella maggior parte dei casi, ma può associarsi a disabilità intellettiva o a deficit/difficoltà
più selettive in presenza di intelligenza normale
• - anche in presenza di deficit cognitivi più diffusi, alcune funzioni possono essere maggiormente compromesse rispetto ad altre – tra queste le funzioni mnestiche e
attentive e alcune funzioni esecutive sono quelle che maggiormente risentono negativamente dell’epilessia.
Profili Neuropsichiatrici
Si sottolinea l’elevata frequenza di disturbi neuropsichiatrici (35-50%) nei bambini con epilessia. Il disturbo più frequentemente associato è il Deficit dell’Attenzione e
Iperattivita (ADHD) che ha una frequenza del 30%. Il rischio di una diagnosi di ADHD è da 2,5 a 5,5 volte maggiore che nella popolazione di bambini sani e riguarda in egual
misura maschi e femmine – la forma più frequente è quella inattentiva.
Anche i disturbi dello spettro dell’autismo sono molto frequenti nell’epilessia. Le cause determinanti questa associazione non sono ancora chiare.
Diagnosi di depressione o ansia sono anch’esse frequenti – la risposta psicologica al ripetersi delle crisi contribuisce all’insorgenza di questi sintomi, soprattutto in fase
adolescenziale, con le ripercussioni socio-comportamentali che essi comportano (ansia di separazione, ansia sociale, isolamento dal gruppo dei pari).
In sintesi, in questa malattia difficoltà e/o disturbi cognitivi e neuropsichiatrici sono frequentemente presenti e possono precedere l’insorgenza delle crisi stesse suggerendo
meccanismi neurobiologici comuni all’epilessia e agli spessi disfunzionali ad essa associati.
Epilessia senza danni strutturali cerebrali
L’epilessia a punte centro-temporali è la forma più frequente di epilessia del bambino che si presenta in età scolare: si caratterizza per crisi focali localizzate in aree del cervello
che controllano il movimento del volto, prevalentemente della regione oromotoria. Si tratta di un’epilessia frequente che esordisce tra i 6 e i 10 anni di età – le cause ancora non
sono conosciute ma ritenute di probabile origine genetica. Generalmente i bambini presentano crisi poco frequenti, soprattutto nel sonno, associate a sensazioni di formicolio
o intorpidimento o manifestazioni motorie a carico del volto/lingua. Nella maggior parte dei casi vi è una guarigione completa dell’epilessia in adolescenza, senza necessità di
terapia farmacologica (motivo per il quale in passato veniva chiamata epilessia benigna). Nonostante in questa forma di epilessia l’intelligenza sia in genere completamente
preservata, studi di revisione della letteratura indicano che lo sviluppo cognitivo e gli apprendimenti scolastici non sono sempre in linea con quelli dei coetanei. Si associa inoltre più
frequente alla diagnosi di ADHD rispetto alla popolazione sana. Le difficoltà legate alla funzione linguistica appaiono possibilmente in relazione alla localizzazione di questa
forma di epilessia in aree e circuiti cerebrali coinvolti nel processamento verbale.
Sul piano degli apprendimenti scolastici, viene riscontrato in molti studi una difficoltà nella lettura decifrativa con prestazioni di una deviazione standard inferiore rispetto alla media
dei coetanei con sviluppo tipico.
Un’altra forma di epilessia frequente in età scolare è l’epilessia assenza del bambino in cui il bambino presenta crisi caratterizzate dall’improvvisa sospensione della coscienza,
crisi di assenza, generalmente più volte al giorno della durata di pochi secondi. Le tappe dello sviluppo linguistico e motorio sono nella norma, come anche l’intelligenza, sebbene
con profilo talora disarmino per più evolute abilità verbali rispetto a quelle visuo-spaziali. Difficoltà attentive sono frequenti e si registrano già al momento della diagnosi. Sebbene
questi bambini abbiano intelligenza e abilità scolastiche nella norma, il deficit attentivo può ostacolare le prestazioni scolastiche e il funzionamento mnestico
condizionando l’efficacia delle funzioni esecutive e rendendo gli apprendimenti scolastici più faticosi per il bambino. Anche in questa forma di epilessia frequenti sono le
diagnosi di ADHD.
In sintesi, nelle forme di epilessia non complicate che si risolvono positivamente, si riscontrano intelligenza nella media, ma apprendimenti scolastici talora inferiori a quelli dei
coetanei, maggiore rischio di inefficace lettura decifrativa e difficoltà sul piano attentivo e delle funzioni esecutive.
Epilessie con danni strutturali cerebrali
L’epilessia può essere causata da alterazioni strutturali del cervello, con conseguenze eterogenee sul funzionamento cognitivo e mentale del bambino anche in base alle
aree del cervello coinvolte e al tipo di lesioni da esse sono interessate. Considerando il coinvolgimento del lobo temporale, deputato ai processi di immagazzinato e recupero
dell’informazione della memoria, si parla di epilessia del lobo temporale che frequentemente ha esordio nell’età prescolare e si presenta con un funzionamento intellettivo inferiore
alla media rispetto ai bambini sani. Più è precoce l’esordio maggiore è il tempo in cui agiscono le crisi epilettiche e maggiore è il rischio di un peggioramento delle funzioni cognitive.
Si associano però anche disturbi più specifici della memoria – il tipo di memoria maggiormente compromessa è quella che consente di ricordare episodi di apprendimento,
soprattutto a distanza di tempo. Si associano anche difficoltà a livello linguistico orale e scritto. Benché l’epilessia sia primariamente localizzata nel lobo temporale, gli effetti
cognitivi non sono limitati alla funzione mnestica ma anche a funzioni sottese ad altri lobi.
Se le crisi non vengono controllate dalla terapia farmacologia il rischio di disturbi di memoria aumenta significativamente. In caso di farmaco-resistenza, vi può essere indicazione
alla chirurgia dell’epilessia che implica la rimozione delle strutture da cui originano le crisi, spesso con miglioramento oltre che dell’epilessia anche del funzionamento intellettivo.
Per quanto riguarda le comorbidità neuropsichiatriche, nelle epilessie temporali sono più frequenti rispetto alla popolazione disturbi dello spettro dell’autismo, ADHD, disturbi da
comportamento dirompente e disturbi dell’umore.
Encefalopatie epilettiche
Sono caratterizzate da quadri di compromissione cognitiva e comportamentale che sono almeno in parte determinati dall’attività epilettica stessa. L’attività epilettica e le
crisi interferiscono con i processi di sviluppo determinano rallentamento nell’acquisizione di tappe dello sviluppo neuropsichiatrico e molto spesso anche regressione
(deterioramento delle funzioni stesse). In circa la metà di questi queste forme insorgono prima dei 3 anni di età e possono essere precedute da sviluppo neuropsichico normale o in
ritardo. La terapia mira a ridurre l’attività epilettica anche al fine di migliorare i processi di sviluppo e invertire i processi di deterioramento. Una forma di encefalopaita
epilettica, con punte-onda continue durante il sonno lento (relativamente rara) viene presa come esempio proprio in virtù degli effetti drammatici che può determinare sul
funzionamento cognitivo e sul comportamento.
L’insorgenza è generalmente intorno ai 3-5 anni, le crisi possono essere rare, ma elemento costante appare l’intensa attività parossistica sull’encefalogramma registrato durante il
sonno. Tale attività configura una condizione di stato di male epilettico elettrico durante il sonno che spiazza le attività fisiologiche del cervello, necessarie per il consolidamento di
funzioni neuropsicologiche, come la memoria o l’apprendimento, con conseguente declino cognitivo/comportamentale. Si possono sviluppare disturbi attentivi (ADHD), del
linguaggio espressivo e recettivo. (stato di male: stato che si verifica quando una crisi non si interrompe da sola o una serie di crisi si verificando senza che la persona si riprenda
tra gli episodi – può essere letale in una crisi convulsiva e deve essere interrotto con farmaci di emergenza). Va ricordato l’effetto potenzialmente negativo della terapia antiepilettica.
Sono pochi gli studi in letteratura che hanno analizzato gli effetti dei farmaci antiepilettici sul funzionamento cognitivo e sul comportamento del bambino soprattutto in termini di
specificità su alcune funzioni/comportamenti.
Alcuni farmaci possono esercitare un effetto negativo su entrambi, altri non li inficiano, ed altri ancora possono avere effetti positivi su uno o sull’altro. Gli effetti negativi si traducono
spesso in eccessiva sonnolenza, difficoltà nel mantenere l’attenzione nel tempo e talora maggiore irritabilità.
In questa sezione è stato sottolineato come non vi sia un profilo cognitivo e neuropsicologico unico nell’epilessia, ma disturbi di entità variabile, spesso diffusi e talora
più specifici. Indipendentemente dalla forma dell’epilessia, sono molto frequenti alterazioni più o meno significative di funzioni trasversali all’apprendimento quali attenzione,
memoria e funzioni esecutive – il malfunzionamento di questi processi ha un impatto significativo sulle potenzialità di apprendimento.
10.4 PRESA IN CARICO RIABILITATIVA
Non esiste una riabilitazione/abilitazione specifica per l’epilessia - sulla base dei disturbi, della loro entità e di quanto influiscono sul funzionamento cognitivo, adattivo
e sociale del bambino, verrà prediletto un tipo di trattamento e specifici obiettivi dell’intervento. Nel caso delle epilessie non complicate potranno, per esempio, essere
oggetto di intervento le difficoltà attentive generali e l’ottimizzazione dei processi di lettura. Nel caso in cui siano presenti disturbi più specifici che inficiano l’apprendimento, la
riabilitazione neuropsicologica potrebbe essere indirizzata al potenziamento e alla compensazione di tali difficoltà anche attraverso programmi riabilitativi a distanza. In molti casi
interventi psicosociali o psicoterapici possono essere di aiuto su problemi di umore e di comportamento derivanti dalla malattia. Oltre all’impatto diretto della malattia sul
bambino, anche la famiglia è a rischio di incorrere in difficoltà psicologiche e sociali, talvolta con risvolti psicopatologici – è stata riportata una sintomatologia ansiosa
nel 58% dei genitori e un rischio elevato per le madri di ricevere una diagnosi di depressione. Vi sono poi le limitazioni sociali, ricreative e sportive che l’epilessia può
comportare e la necessità di trovare contesti extra-scolastici idonei ai bisogni del bambino con epilessia. Gli ostacoli si trovano anche sul percorso dei genitori che spesso
sono costretti a cambiare impiego o a lasciarlo per potersi prendere cura del bambino ed essere costantemente disponibili per fare fronte alle crisi che possono
avvenire in qualsiasi momento. Nel contesto familiare, i fratelli spesso devono rinunciare a un sonno adeguato per i frequenti risvegli dovuti alle crisi notturno del bambino. Inoltre,
ostacolo emotivamente invalicabile, è la preoccupazione di morte prematura del bambino per fortuna rara ma con un’incidenza maggiore nei bambini con epilessia rispetto alla
popolazione sana.
10.5 EDUCAZIONI EDUCATIVE E LEGISLATIVE - La scuola deve conoscere i problemi legati all’epilessia
Uno studio condotto per valutare la conoscenza e l’atteggiamento degli insegnanti italiani nei confronti dell’epilessia ha dimostrato, su un campione di 300 insegnanti di
scuola primaria e 300 di scuola secondaria, una scarsa conoscenza della malattia e delle modalità per affrontarla a scuola, in maniera non diversa dalle conoscenze e opinioni della
popolazione generale. Circa la metà degli insegnanti ha erroneamente considerato l’epilessia incurabile e ereditaria, comuni gli atteggiamenti negativi verso questa condizione,
considerata oscura e stigmatizzata. Ciascun insegnante ha elevata probabilità di incontrare un alunno con epilessia durante la sua carriera professionale ed è quindi necessario che
sia preparato ad aiutarlo e ad apprendere le strategie per affrontare tale condizione nella scuola, con i connessi problemi emotivi, sociali e cognitivi. Un insegnante in grado di
reagire alle crisi epilettiche con calma e giusto supporto aiuterà gli altri a imparare a fare lo stesso – insegnanti in grado di comprendere e incoraggiare uno studente
con epilessia ne facilitano l’apprendimento, l’indipendenza, l’autostima e l’integrazione.
Applicazioni didattiche: suggerimenti generali
A titolo esemplificativo, per poter potenziare l’attenzione focale del bambino, potrebbe essere utile evidenziare alcune parole chiave in modo da catturarne l’attenzione,
modificare la modalità di insegnamento e fare delle pause inaspettate durante la lezione così da favorire il prolungamento dell’attenzione sostenuta.
• Per quanto riguarda la memoria, può essere utile facilitare l’immagazzinamento dell’informazione presentandola sia oralmente sia visivamente in modo da non sovraccaricare
un unico sistema percettivo, riproporre più volte il materiale e promuovere l’apprendimento di significati piuttosto che di informazioni fattuali.
• Per quanto riguarda le funzioni esecutive, può essere utile scomporre un compito complesso in sotto-processi, fornire una guida visiva sui processi necessari per svolgere un
determinato compito, soprattutto laddove è la memoria di lavoro quella più compromessa.
Applicazioni didattiche: suggerimenti specifici per le diverse forme di epilessia
Nei casi di epilessie in cui sia preservata l’intelligenza si raccomanda di porre particolare attenzione a:
1. livello di capacità di mantenere l’attenzione sostenuta 2. grado di comprensione delle informazioni apprese oralmente 3. lettura più lenta e poco accurata 4. comportamenti
iperattivi e disattenti 5. momenti di sospensione di vigilanza con possibile perdita temporanea di informazione
Nei casi di epilessia che si associa a danni cerebrali che possono incidere sui processi mnestici, si raccomanda di porre particolare attenzione a:
• 1. difficoltà di immagazzinamento di informazione dopo una sola esposizione
2. difficoltà di recuperare a distanza di tempo le informazioni apprese 3. difficoltà nel recuperare la parola nel corso della espressione orale 4. lentezza nella decodifica
del testo scritto 5. frequenti errori ortografici nella scrittura
Nel caso di forme di epilessia più grave che compromette il funzionamento su più livelli si raccomanda di porre particolare attenzione a:
1. variabilità del funzionamento cognitivo 2. presenza di ADHD che se grave e associato a condotte aggressive inficia significativamente la capacità di apprendimento e
compromette le qualità di adattamento al contesto di classe 3. presenza di difficoltà sul piano linguistico espressivo, recettivo e comunicativo 4. deficit nella comprensione verbale
Le distrofie muscolari sono un gruppo di gravi patologie che provocano una lenta, ma progressiva perdita di tessuto muscolare scheletrico che viene sostituito gradualmente da tessuto adiposo/fibroso, che
si associa a una condizione generale di debolezza. Sono caratterizzate da una non acquisizione o perdita delle competenze motorie, da un deterioramento della funzione respiratoria e cardiaca. Esistono
molte forme di distrofia muscolare, che possono essere trasmesse con diverse modalità:
autosomico dominante: alterazione del DNA rappresentata in un solo allele di una coppia cromosomica. Con un genitore affetto, la malattia si ripresenta nel 50% della prole
autosomico recessiva: alterazione del DNA rappresentata in entrambi gli alleli di una coppia cromosomica, sono necessarie due copie del gene affetto perché la malattia si
manifesti
X-linked: mutazione su uno dei geni del cromosoma X
La distrofia miotonica di Steinert (DM1) è una patologia multisistemica con età di esordio variabile e interessamento motorio – ha una prognosi funzionale motoria favorevole e prognosi quod vitam
sfavorevole per frequenti complicanze cardiorespiratorie. È a trasmissione autosomica dominante e di generazione in generazione la patologia diventa sempre più grave (fenomeno dell’anticipazione).
Esistono forme a esordio infantile, con manifestazioni tra 1-10 anni di età, e forme congenite, di cui la più grave è con esordio in età prenatale (mortalità del 30-40%).
La forma congenita è caratterizzata da una grave disabilità intellettiva, difficoltà respiratorie e nutrizionali alla nascita associate a diversi aspetti malformativi. La fase iniziale è la più critica, segue un iniziale
miglioramento fino alla successiva comparsa durante l’adolescenza dei sintomi tipici dell’età adulta, quali la miotonia, problemi cardiorespiratori e debolezza.
La distrofia miotonica infantile sviluppa i sintomi più avanti nel corso della crescita, andando ad interessare la sfera cognitiva-comportamentale con tratti autistici e disturbi a diversi organi, soprattutto al
sistema gastroenterico.
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è la più frequente e conosciuta. Ha un decorso rapido e attivo. L’alterazione del gene DMD sul cromosoma X determina la mancata produzione della distrofina,
una proteina (distrofinopatia) – questa mancanza rende il complesso di membrane attorno alle fibre muscolari (sarcolemma) suscettibile alla lacerazione durante la contrazione muscolare, portando a un
deficit muscolare progressivo. Colpisce quasi esclusivamente i soggetti maschi. I primi sintomi si manifestano tra i 2 i 6 anni di età. Verso gli 11 anni, generalmente il paziente è costretto a muoversi su una
sedia a rotelle. Progressivamente, la degenerazione dei muscoli colpisce anche quelli respiratori, fino a rendere necessaria l’assistenza respiratoria.
Per adesso non esiste una cura, si somministrano farmaci corticosteroidi che intervengono su processi antinfiammatori, riducendo anche le reazioni immunitarie, ma sono più che
altro cure palliative. È possibile vedere un buon miglioramento della performance fisica se il trattamento farmacologico viene iniziato al momento o prima che i bambino raggiunga il
plateau delle sue capacità fisiche (condizione che tipicamente viene raggiunta verso i 4-6 anni).
I pazienti che assumono corticosteroidi subiscono una serie di gravi effetti collaterali quali cambiamenti comportamentali, riduzione della crescita e aumento eccessivo di
peso.Grazie alla crescita della ricerca in questo campo, ci sono strategie più innovative o personalizzate che mirano a fornire ai pazienti la distrofina o a correggere le mutazioni
genetiche, ma anche strategie più universali basate su farmaci più classici che puntano a combattere ad esempio la debolezza muscolare.
- La distrofia muscolare di Becker (BMD) è la forma meno grave di distrofinopatia in cui le mutazioni del gene DMD portano alla produzione di una proteina distrofina
strutturalmente anormale, ma presente. I sintomi sono più lievi ma simili a quelli della DMD.
- Le distrofie muscolari congenite sono un gruppo di malattie a ereditarietà per lo più autosomico recessiva. Differiscono tra loro per gravità, evoluzione clinica e meccanismi
patogenetici. Si riconoscono sei sottotipi in base al meccanismo patogenetico coinvolto, associate all’alterazione di più di 20 geni. Gli elementi in comune tra le
distrofie muscolari congenite sono:
• 1) l’esordio della debolezza muscolare dalla nascita o nei primi mesi di vita
• 2) la presenza di retrazioni muscolo-tendinee precoci
• 3) un quadro distrofico alla biopsia muscolare.
La gravità è variabile, ci sono forme severe che si manifestano con il quadro del lattante ipotonico (grave stato di salute con rischio di vita) – in altre forme c’è una minor
compromissione funzionale, esse possono essere rilevate anche in età più tardiva ma avere comunque caratteristiche cliniche già presenti in età più precoce (esempio: ritardo
psico-motorio). Possono presentare alterazioni dello sviluppo cerebrale e del cervelletto, disabilità intellettiva, epilessia, e problematiche cardiologiche, respiratorie, nutrizionali...
L’atrofia muscolare spinale (SMA) è una patologia neuromuscolare caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni causata da un difetto del gene SMN1 che porta alla
produzione di livelli insufficienti della proteina SMN. Viene trasmessa con modalità autosomica recessiva. Esistono quattro forme, con decorso variabile:
• 1) La forma I è la più grave ed è la più comune causa genetica di morte infantile. I bambini mostrano segni della malattia fin dalla nascita o nei primi mesi di vita, sono
segni gravi come una grave insufficienza respiratoria e l’incapacità di stare seduti autonomamente.
• 2) La forma II è intermedia, il bambino riesce a stare seduto ma non a camminare, presenta spesso complicanze respiratorie ed altre come la scoliosi. Nel complesso è
molto più stabile della forma I.
• 3) Le forme III e IV sono meno gravi, esordiscono dopo i primi anni di vita e sono sempre associate alla capacità di camminare, anche se a volte questa capacità può
essere persa. Non ci sono alterazioni al SNC e solitamente non è presente coinvolgimento cognitivo.
- Le miopatie congenite colpiscono il muscolo scheletrico, sono molto eterogenee dal punto di vista clinico, genetico e miopatologico. Sono causate da alterazioni
geneticamente determinate di varie proteine strutturali della fibra muscolare (la loro classificazione è basata sulle alterazioni della struttura delle fibre muscolari). Le forme più
comuni sono: Miopatia “central core”, Miopatia nemalinica, Miopatia centronucleare, Miopatia “minicore”, Miopatia con accumulo di desmina. Mutazioni nello stesso gene
possono dare origine a quadri istopatologici molto vari e al contrario mutazioni in geni diversi causano lo stesso quadro morfologico.
Queste forme esordiscono con ipotonia alla nascita (debolezza muscolare, spesso lentamente progressiva. La debolezza del diaframma può portare a una grave insufficienza
respiratoria.
I pazienti, di solito, hanno un’espressione tipica, data dalla debolezza dei muscoli mimici – sono molto diffusi i dismorfismi facciali, le malformazioni osteoarticolari e la lassità
ligamentosa. Solitamente queste forme non si associano a un coinvolgimento cognitivo.
Le forme acquisite (non ereditarie) comprendono un ampio spettro di disordini a esordio in età adulta (SLA, Sindrome di Guillain-Barré).
• errori plausibili fonologicamente: la produzione scritta corrisponde ancora alla pronuncia della parola. È l’espressione di un deficit a carico di una strategia lessicale di
scrittura, in cui si recupera in blocco la pronuncia della parola intera una volta che la forma scritta è stata riconosciuta in modo globale.
(scambi tra lettere o sillabe omofone, omissione della h nelle forme del verbo avere, fusioni e separazioni illegali di parole)
Progressivamente gli errori non plausibili fonologicamente tendono a ridursi fino a scomparire. In fasi relativamente avanzate prevalgono gli errori plausibili
fonologicamente. Un’altra variabile che si è dimostrata in grado di influenzare il profilo sia qualitativo che quantitativo degli errori ortografici di bambini italiani con
Disortografia (oltre che Dislessia) è la presenza in anamnesi di un disturbo di acquisizione del linguaggio orale.
Disgrafia evolutiva
La Disgrafia evolutiva è un DSA caratterizzato da un problema significativo e persistente nell’acquisizione delle competenze grafo-motorie di scrittura. In generale, i bambini
disgrafici manifestano una difficoltà nel produrre una scrittura a mano leggibile, in modo rapido e automatico. La qualità della grafia può anche migliorare temporaneamente, ma a
prezzo di notevoli lentezza e dispendio di risorse attentive – ragione per la quale insegnanti e genitori possono nutrire dubbi rispetto all’effettiva presenza di disturbo disgrafico, dal
momento che quando a viene chiesto di impegnarsi la scrittura può effettivamente migliorare ma si tratta di un miglioramento transitorio.
In molti casi la mancanza di accuratezza e la scarsa velocità della scrittura si combinano in vari modi con altre alterazioni quali difficoltà nel memorizzare i movimenti più efficaci di
scrittura o difficoltà visuo-spaziali che rendono disorganizzata la collocazione dello scritto nella pagina. Inoltre, ordine e direzionalità canonici dei movimenti per la realizzazione delle
lettere in corsivo sono spesso violati.
Il tratto grafico del soggetto con Disgrafia può mostrare un’ampia gamma di anomalie, fra cui:
• “dismetrie”, in cui la traiettoria tracciata per scrivere una determinata lettera risulta dislocata rispetto a quella canonica
• Realizzazione di lettere irriconoscibili a causa di deformazioni, assenza di tratti fondamentali, presenza di tratti estranei
• Confusione fra lettere simili visivamente, eccesiva variabilità delle dimensioni delle lettere, spaziatura anomala tra le parole, presenza di autocorrezioni e tremori nel tratto
grafico
Discalculia evolutiva
La Discalculia evolutiva è un disturbo persistente nell’acquisizione delle competenze aritmetiche di base, leggere e scrivere numeri, contare, eseguire calcoli a mente e per iscritto
– in ogni caso essa non si identifica con un disturbo generale a carico della abilità matematiche.
a
La diagnosi di Discalculia può essere posta solo a partire dalla fine della 3 classe primaria (un anno più tardi rispetto Dislessia e Disortografia, poiché si riconosce che i tempi
necessari all’insegnamento delle competenze aritmetiche di base sono più protratti e mostrano una maggiore variabilità.
Esistono due differenti profili di Discalculia evolutiva:
• Discalculia procedurale: caratterizzata da deficit nelle capacità procedurali di automatizzazione della transcodifica numerica (passaggio da un tipo di codice o
formato di rappresentazione numerica ad un altro – es. dal 7 al “sette”), in particolare nella lettura ad alta voce e nella scrittura sotto dettatura (errori lessicali e sintattici)
e delle strategie di calcolo. L’enumerazione è tipicamente ben automatizzata quando è in avanti, mentre si presenta incerta e costellata da errori quando è all’indietro.
Caratteristiche sono le difficoltà nel recupero dei fatti aritmetici (risultati di semplici operazioni, come tabelline, che attraverso la pratica vengono automatizzati e sono
facilmente recuperabili nella memoria). Le prestazioni nei compiti che richiedono la comprensione semantica dei numeri, cioè capirne la quantità associata, sono di solito
preservate.
Sono spesso presenti anche una ridotta efficienza nel calcolo a mente, che ad esempio si appoggia all’uso delle dita, e difficolta nei calcoli scritti.
È di più frequente riscontro nella pratica clinica e si associa nel 60% dei casi ad altri DSA.
• Discalculia profonda o semantica: caratterizzato da un deficit primario negli aspetti di base della cognizione numerica. Le difficoltà aritmetiche riguardano anche
compiti che richiedono la manipolazione del significato quantitativo del numero. Alcune difficoltà, evidenti in età scolare:
- Difficoltà nel subitizing (capacità di riconoscere facilmente numerosità di piccoli insiemi) - Difficoltà nello stimare e nel confrontare “ad occhio” la numerosità di insiemi
- Difficoltà più generali nel quantificare vari aspetti della realtà
- Difficoltà nel calcolo approssimativo
Si hanno poi difficoltà a cascata anche nella maggior parte delle altre competenze aritmetiche di base. Forma piuttosto rara e si presenta spesso in forma isolata
rispetto ad altri Disturbi del Neurosviluppo.
Diagnosi differenziale
Il problema fondamentale di diagnosi differenziale che si pone nel caso dei DSA è quello di distinguerli da altre difficoltà o disturbi dell’apprendimento di tipo non specifico e i
principali problemi si pongono rispetto a disturbi dell’apprendimento riconducibili a:
• Limiti delle capacità cognitive generali, cioè capacità intellettive/logiche
• Disturbi di tipo sensoriale (visivi o uditivi) non corretti o non del tutto compensabili
• Deficit neurologici come quelli che tipicamente accompagnano paralisi cerebrali infantili
• Importanti disturbi psicopatologici e/o della sfera emotiva-motivazionale, quali gravi disturbi d’ansia e/o dell’umore o disturbi dello spettro acustico
• Ridotte opportunità educative (es. svantaggio socio-culturale o linguistico)
15 Disturbi dell’umore
Evidenze crescenti sull’elevata prevalenza dei Disturbi dell’umore in età evolutiva e sul loro multiforme impatto sul funzionamento individuale, la qualità della vita e lo sviluppo
cognitivo, emotivo e personologico, hanno determinato un notevole interesse scientifico verso la loro diagnosi precoce e l’identificazione di specifiche strategie di intervento. I
Disturbi dell’umore si caratterizzano per un’alterazione dello stato affettivo in senso depressivo o eccitatorio, con implicazioni complesse sui livelli di energia, i ritmi circadiani e
le funzioni cognitive. Il DSM-5 li suddivide in due grandi categorie: Disturbi depressivi e Disturbi bipolari – la loro espressività clinica può mutare con il variare del livello di
sviluppo, con una maggiore difficoltà diagnostica in infanzia e adolescenza e una complessa diagnosi differenziale con altri disturbi.
15.1 DATI EPIDEMIOLOGICI, GENETICI E NEUROFUNZIONALI
I Disturbi depressivi sono una condizione clinica relativamente frequente in età evolutiva.Un recente studio epidemiologico effettuato negli Stati Uniti, su un campione
rappresentativo di 10123 adolescenti dai 13 ai 18 anni, ha riscontrato una prevalenza lifetime dell’11% e di 12 mesi del 7,5%. La prevalenza tendeva a crescere nel corso
dell’adolescenza, con incremento maggiore nel sesso femminile.
Per quanto riguarda il Disturbo bipolare (DB) la prevalenza del disturbo prima dei 21 anni risulta essere dell’1,8%.
Caratteristiche neurobiologiche
L'ipotesi originaria sulle basi biologiche della depressione è quella di un insufficiente trasmissione monoaminergica, da potenziare farmacologicamente attraverso un aumento
della disponibilità di monoamine nello spazio sinaptico. Alla base dell’insufficiente trasmissione sinaptica vi è un'alterazione strutturale dei recettori, o un aumento del loro numero.
Un’alterazione a questo livello si rifletterebbe sulla espressività di alcuni geni e quindi sulla sintesi di alcune proteine, tra cui enzimi, recettori, trasmettitori, neurochinine ad azione
modulatoria e fattori che regolano il trofismo (fenomeni che garantiscono l’apporto nutritivo del tessuto nervoso) di particolare area del sistema nervoso centrale, per esempio il
Brain derived neurotrophic factor (BDF): vi è una conseguente riduzione della capacità dei neuroni di sapersi adattare sia a livello morfologico che funzionale a stimoli ambientali,
endocrini e farmacologici e agli stessi insulti stressanti. Anomalie strutturali, neurochimiche e neurofunzionali sono state documentate da un'ampia mole di studi anche nei
bambini e adolescenti con disturbo dello spettro bipolare a livello della corteccia prefrontale e di strutture sottocorticali limbiche, tra cui il nucleo striato, la amigdala e l'ippocampo.
- Una ipotesi recente chiama infine in causa il possibile ruolo di fattori immunologici e infiammatori nella patogenesi dei Disturbi dell'umore. Le citochine proinfiammatorie e le
endotossine batteriche inducono sintomi come astenia (riduzione energia fisica e mentale) e ansia o depressione. Inoltre, l’immunoterapia favorisce la comparsa di sintomi
depressivi.
Si suppone che la sintesi e il rilascio di citochine provochi a livello cerebrale cambiamenti neuroendocrini e neurotrasmettitoriali interpretati dal cervello come fattori
stressanti, contribuendo allo sviluppo di una sintomatologia depressiva.
15.2 DIAGNOSI FUNZIONALE, PROFILO PSICOPATOLOGICO E NEUROPSICOLOGICO - Disturbo depressivo maggiore
E’ caratterizzato dalla presenza di uno o più episodi depressivi della durata di almeno due settimane in assenza di episodi di eccitazione maniacale o ipomaniacale. Le
caratteristiche cliniche sono la presenza di umore depresso o irritabile e di una costante incapacita nel provare piacere in attività precedentemente piacevoli, associata ad
almeno quattro dei seguenti sintomi:
Neurobiologia
In particolare per i disturbi d’ansia e dell’umore, la dotazione neurobiologica e le influenze ambientali agiscono in modo molto più interattivo di quanto ritenuto in precedenza.L’ansia
rappresenta una situazione psicofisica che coinvolge complessi meccanismi e diversi circuiti neuronali, con conseguenti manifestazioni psichiche e somatiche. Attraverso gli studi
di neuroimaging sono state identificate diverse zone responsabili di tale sintomatologia, tra cui le più importanti risultano essere talamo e amigdala.
- Il talamo fa arrivare informazioni derivate da sistemi sensoriali esterocettivi, fino a varie strutture cerebrali come l’amigdala, la corteccia entorinale, la corteccia orbito-frontale e
il giro del cingolo.
- L’amigdala acquisisce ed esprime la paura condizionata, con collegamento tra sistemi recettoriali esterocettivi e le relative aree corticali. Questo avviene tramite due vie: una
breve, automatica e involontaria, e una lunga, con processazione dello stimolo da parte della corteccia.
Inoltre, l’amigdala ha connessioni reciproche con strutture corticali e limbiche, implicate nella risposta emozionale, cognitiva, automatica ed endocrina allo stress.
Genetica
Dato che il temperamento è considerato come la parte più geneticamente determinante della personalità, esso potrebbe rappresentare uno dei meccanismi attraverso cui
avviene la trasmissione della vulnerabilità psicopatologica da una generazione all’altra, almeno per quanto riguarda i disturbi ansiosi - i disturbi d’ansia hanno un rischio 7 volte
superiore su figli di soggetti affetti.
Epidemiologia
I disturbi d’ansia sono le condizioni a maggior prevalenza in ogni fascia di età. La reale prevalenza è ancora discussa, in rapporto al complesso problema del confine tra ansia
normale e ansia patologica, che attraversa i diversi disturbi d’ansia del bambino.
Comorbidita
Le più importanti sono tra i diversi disturbi d’ansia, ma anche dei disturbi d’ansia con i disturbi dell’umore e con il ADHD.
Possiamo avere comorbidità tra disturbi d’ansia e depressione: bambini con ansia associata a depressione presentano forme più gravi sia di ansia che di depressione e hanno una
maggiore compromissione funzionale. Generalmente è presente una sequenza evolutiva dato che il Disturbo d’ansia di solito precede la depressione e può permanere anche dopo
che la depressione è stata superata. Tra le malattie organiche coesistenti, la maggioranza sono cardiovascolari, respiratorie, artriti ed emicranie.
16.2 DIAGNOSI FUNZIONALE E DIFFERENZIALE
Fondamentale nei Disturbi d’ansia nei bambini è riconoscere l’ansia normale da quella patologica. La diagnosi dovrebbe riferirsi alla tipologia patologica, all’intensità dei sintomi
e alla derivante compromissione funzionale. Purtroppo, non abbiamo disponibili strumenti così efficaci. Con le interviste cliniche possiamo identificare lo specifico disturbo d’ansia e
la presenza di disturbi associati – le interviste più usate sono: K SADS-PL, DICA-R, DISC, ISC – utile somministrare le interviste sia ai genitori che ai bambini.Abbiamo a
disposizione anche le rating scales: utili per quantificare il disturbo d’ansia e per monitorare l’andamento clinico e la risposta ai trattamenti, ma non sufficienti per effettuare diagnosi.
16.3 PROFILO NEUROPSICOLOGICO E PSICOPATOLOGICO
Lo studio della psicopatologia in età evolutiva richiede un modello teorico multifattoriale che tenga contro delle numerose catene causali che possono condurre alla
sofferenza del bambino, secondo un approccio bio-psico-sociale della salute.La Developmental Psychopathology (DP) è il paradigma che consente maggiore flessibilità nel
contesto della consulenza evolutiva. Un contributo alla DP è la teoria dell’attaccamento di Bowlby, secondo cui gli aspetti relazionali nella diade genitore-bambino sono determinanti
per il successivo sviluppo.Nei bambini ansiosi si ha maggiormente un attaccamento insicuro-ambivalente, come esito di una figura di attaccamento imprevedibile – per questo i
bambini per esercitare controllo sulla madre, manifestano fobie, ansia da separazione, disturbi psicosomatici o disturbi della condotta. Se i sintomi dell’ansia non vengono trattati
si possono avere effetti negativi a lungo termine sullo sviluppo sociale ed emotivo.
• L’ansia è costrutto multidimensionale, con componenti fisiologiche, comportamentali e cognitive. Tra i sintomi comportamentali si osservano condotte di evitamento e fuga.
Tra i sintomi fisiologici riscontriamo sudorazione, tensione addominale, rossore in viso, tremori agli arti, tachicardia e disturbi gastrointestinali.A livello cognitivo si possono avere
alcuni pensieri disfunzionali.
Nel Disturbo d’ansia di separazione (DAS) si hanno pensieri negativi sulla possibilità che i genitori possano essere uccisi o rapiti, ammalarsi o morire. Si associano
comportamenti di elevato controllo sul genitore: il bambino si rifiuta di stare con un adulto diverso dal caregiver o di pernottare da amici o andare in vacanza senza
genitori. L’età media di insorgenza del disturbo è di 7-8 anni. Possono essere descritte differenze evolutive nell’espressione clinica del disturbo – i bambini più piccoli di solito
hanno un numero maggiore di sintomi rispetto ai bambini più grandi. I sintomi si manifestano con una difficoltà persistente a lasciare casa e le figure di attaccamento, il timore
costante che possa accadere loro qualcosa di tragico, la preoccupazione riguardo il fatto che un evento improvviso comporti separazione dalla principale figura di attaccamento.
Sono inoltre presenti lamentele somatiche come mal di testa, dolori addominali nausea e vomito quando si preannuncia la separazione dalle figure di attaccamento.
Inoltre, il quadro clinico tipico del rifiuto scolastico è rappresentato dalla grave difficoltà a frequentare la scuola, con assenze frequenti e prolungate, associate ad ansia e panico.
Nelle forme a esordio adolescenziale, il rifiuto scolastico appare più legato all’asse dell’autostima e al timore del fallimento, anche se talvolta la tematica della separazione è
presente ma nascosta.
• Un altro disturbo d’ansia è il mutismo selettivo, dove si ha una costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche dove invece ci si aspetta che parli – questo
interferisce con i risultati scolastici o con la comunicazione verbale. Il mutismo ha funzione di controllo, non è intenzionale o vendicativo, è una manifestazione d’ansia e di
difficoltà a gestire le emozioni.
• Si parla di fobia specifica se si presentano paura o ansia verso un oggetto o situazione specifici. Le paure fanno parte dello sviluppo di ogni bambino e, nella normalista, si
estinguono progressivamente entro un timing relativamente specifico – assumono un significato patologico se condizionano la vita e il comportamento del bambino per periodi
troppo prolungati oppure se si presentano in un’epoca in cui dovrebbero essere state definitivamente superate.
Abbiamo 5 categorie di fobie:
degli animali degli animali di situazioni ambientali di iniezioni e sangue paure di specifiche situazioni fobie di altro tipo
Il Disturbo d’ansia sociale (Fobia sociale) comprende la paura o ansia marcate relative a situazioni sociali in cui si è esposti al giudizio altrui (come l’essere guardati o eseguire
prestazioni di fronte ad altri). Il soggetto teme che agirà in modo tale da essere criticato o manifesterà sintomi d’ansia che saranno valutati negativamente. Il bambino può pensare
che i pari possano non essere interessati ad avere rapporti d’amicizia con lui – sono presenti pensieri negativi sul comportamento dannoso degli altri nei suoi confronti e vengono
accompagnati da indici comportamentali disfunzionali come la riluttanza a partecipare a feste, giochi o attività sportive se sono presenti estranei.
• Il DSM-5 definisce l’Attacco di panico come un periodo di intensa paura e malessere che insorge acutamente e con acme in circa 10 minuti – si associa a una
sintomatologia somatica (palpitazioni, sudorazione, nausea, sensazione di freddo o caldo, vertigini, parestesie, dispnea, ecc) e a una sintomatologia cognitiva (derealizzazione,
depersonalizzazione, ecc).
Gli attacchi di panico possono essere distinti in:
• - inaspettati o inattesi: se ricorrenti e accompagnati dalla preoccupazione anticipatoria di averne e dall’evitamento delle situazioni temute come scatenanti, sono tipici
del Disturbo di panico (DP) che è frequentemente associato ad agorafobia
• - scatenati dall’esposizione a specifiche situazioni
• - non scatenati dall’esposizione a specifiche situazioni
Il Disturbo d’ansia generalizzata (DAG) è caratterizzato da ansia e preoccupazioni eccessive relative a una quantità di eventi o attività. I bambini tendono a preoccuparsi
eccessivamente per le proprie capacità o per la qualità delle proprie prestazioni, in riferimento a eventi futuri o passati. Nel DAG il bambino tende a esagerare l’importanza di certi
eventi, ingigantisce la gravità dei suoi malesseri, considera ogni piccolo errore come un fallimento totale e se non riesce subito in un’attività ritiene di non poterci mai riuscire. Si ha
un comportamento evitante rispetto alla possibilità di farsi notare e si evitano i compiti ed esercizi per paura di sbagliare. A livello sintomatico lamenta spesso mal di testa o mal
di stomaco durante le lezioni, mentre nelle attività sportive il bambino preferisce non partecipare e rimanere isolato a guardare gli altri.
Si hanno inoltre irrequietezza, affaticabilità, difficoltà di concentrazione, irritabilità e disturbi nel sonno.
• Il decorso dei disturbi d’ansia pare essere correlato all’età d’esordio, alla durata dei sintomi, alla comorbidità con altri disturbi d’ansia o depressivi o dello sviluppo.
L’insorgenza precoce ha una prognosi migliore del disturbo a insorgenza tardiva, inoltre la comorbidità con la depressione rende la diagnosi più negativa. I fattori di rischio
ereditari, ambientali e familiari giocano un ruolo significativo nello sviluppo dell’ansia – anche l’eccessiva protezione dei genitori può avere un ruolo nello sviluppo del disturbo
d’ansia nel bambino per l’aumento della percezione di minaccia anche in situazioni non pericolose.
I due principali fattori protettivi sono il supporto sociale e le strategie di coping.
16.4 PRESA IN CARICO RIABILITATIVA
Nelle forme d'ansia di maggiore durata e intensità, un intervento psicoterapico rappresenta la prima scelta. Nel caso di forme ansiose stabili e invalidanti, ricorrenti e con elevata
familiarità si può ricorrere all’intervento farmacologico. Nel caso in cui il malessere ansioso determini forti limitazioni l’utilizzo dei farmaci può costituire un aiuto transitorio
associato alla psicoterapia.
• Il solo impiego di farmaci ad azione direttamente ansiolitica tendenzialmente non si usa in età evolutiva per il rischio di dipendenza, si tende quindi a usare farmaci
antidepressivi che agiscano sulla serotonina e risultano efficaci nella cura a lungo termine. Si ha l'obiettivo di contrastare distorsioni cognitive e fornire strategie di coping
adattive. Il riconoscimento precoce di un problema d'ansia può ridurre il rischio che si sviluppino problemi più gravi successivamente o che s’instaurino patologie. Molte
ricerche concordano nel ritenere la terapia cognitivo-comportamentale la più efficace nel trattamento del Disturbo d’ansia nei bambini e negli adolescenti.
Nella presa in carico si ha:
1. un iniziale intervento psicoeducativo in cui il terapeuta spiega al bambino e ai suoi genitori l’ansia e le relazioni che intercorrono tra pensieri, emozioni e
comportamenti
2. un training di riconoscimento e gestione delle emozioni
3. l'identificazione delle distorsioni cognitive
4. riduzione delle distorsioni cognitive attraverso modalità di coping positive e un dialogo interno che miri alla riduzione dell'ansia
5. esposizione attraverso la quale verranno sperimentate le strategie emotive e cognitive apprese
6. prevenzione dalle ricadute
Il protocollo di trattamento cognitivo-comportamentale Cool kids program (trattamento evidence- based) è basato sull’acquisizione di competenze, che insegna ai bambini e ai loro
genitori come gestire meglio l'ansia.