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Neuropsicologia

prof: Ciaramelli
 Chiede solo le cose che dice a lezione, quindi se non dice qualcosa che c’è sul libro non è da fare
 del libro sicuramente non fare deterioramento cognitivo e plasticità neurale
 per dare preappello: 8 volte prende i nomi dei collegati e per farlo devo essere presente 6 volte
 partecipando a 3 esperimenti abbiamo un voto in più oppure una relazione su un esperimento per
avere un voto in più; esperimenti online o a cesena
 esame scritto: 4 domande aperte

Preappello: 20 maggio
Appelli ufficiali:
- 7 giugno
- 23 giugno

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Introduzione
L’ idea alla base delle neuroscienze cognitive è che ogni comportamento o processo mentale, sia cognitivo
che affettivo, sia il risultato del funzionamento di specifiche regioni cerebrali (rete o mappa cerebrale);
viene studiata la relazione tra il comportamento (atto, emozione, decisione) e il cervello.
Lo scopo è quello di disegnare l’architettura funzionale del comportamento: quali sono le aree cerebrali che
partecipano alla costruzione di un determinato comportamento; ciò che interessa è non solo il mappaggio
delle aree cerebrali implicate, ma anche la sequenza di processi che si verificano per creare il
comportamento di interesse.
Esempio: compito delle false memorie, da cui ha spiegato il …
Paradigma Deese-Roediger-McDermott: è stato designato per causare l’emergere delle false memorie;
esso funziona nel seguente modo: il soggetto studia le liste di parole fortemente associate, poi vengono
presentate successivamente delle parole tra cui distrattori che non erano presenti nell’elenco precedente
ma che sono fortemente associati a quelle parole. I soggetti, mentre ascoltano tante parole associate (fase
di encoding), tendono ad immaginare anche parole esterne alla lista di studio, per cui viene creato il
presupposto per la falsa memoria: durante la codifica il soggetto immagina qualcosa che non c’è e quando
si ritrova nella fase di recupero, in cui deve distinguere ciò che ha visto da ciò che non ha visto, commette
l’errore di source-monitoring ovvero non riesce ad attribuire la parola alla propria immaginazione ma
l’attribuisce alla propria percezione, per cui il soggetto è sicuro di averla vista ma in realtà l’ha immaginata e
non percepita. Le false memorie hanno origine sia nella fase di codifica che nella fase di recupero.
In questo paradigma i processi cognitivi legati alla codifica sono processi semantici, cioè il soggetto deve
capire che le parole sono associate dal punto di vista semantico; alcune aree estrapolano le caratteristiche
e notano un tema comune. Tale capacità semantica, in questo compito non è utile perché predispone
all’emergenza delle false memorie.
Durante la fase di recupero ci sono meccanismi di monitoraggio che permettono di distinguere le memorie
vere dalle false memorie che sono ricordi di qualcosa che non è stato percepito; in tale fase, il fallimento di
questi processi di monitoraggio causa il fenomeno delle false memorie.
Il neuropsicologo svela questi processi che nella fase di codifica e recupero sono responsabili di un
determinato comportamento.
I soggetti normali sono generalmente capaci di memorizzare informazioni e di recuperarle correttamente;
Talvolta, tuttavia, anche i soggetti normali confondono le memorie con prodotti mentali diversi (e.g.,
associativi).
Quali sono i meccanismi neurali che generano le false memorie? Quali sono i meccanismi neurali che
contrastano le false memorie? A partire da queste domande creiamo un modello di funzionamento che
rende ragione di questo meccanismo; determinare quali sono le aree cerebrali implicate nel
comportamento e come stanno in relazione tra loro equivale al disegnare l’architettura funzionale di un
processo cognitivo: comprendere quali sono le aree e le operazioni che mettiamo in atto per produrre un
determinato comportamento.
Lo scopo della neuropsicologia è mettere in relazione comportamento e cervello.

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Con quali metodi creiamo il mappaggio tra comportamento e cervello?
1. Metodi lesionali: metodo alla base della neuropsicologia; studio l’effetto sul comportamento di una
lesione in quell’area. Tale studio non ci serve per capire il comportamento dei pazienti, ma lo studio
dei pazienti con lesioni cerebrali è uno dei metodi attraverso cui la neuropsicologia cerca di inferire
la relazione tra cervello e comportamento nei soggetti normali; capsico ciò perché vado a vedere
cosa cambia nel comportamento se tolgo l’area di interesse (lesione).
. Lesione cerebrale organica (studi neuropsicologici): Metodo delle dissociazioni; studio dell’effetto
di lesioni vere
. Lesione cerebrale virtuale: Stimolazione magnetica transcranica (TMS); tecnica per creare delle
lesioni virtuali, si induce un campo elettrico sullo scalpo dei soggetti per cui un’area viene inibita
per un periodo limitato nel tempo. Inibisco l’area per vedere gli effetti sul comportamento per
capire il ruolo di quell’area in quel determinato comportamento
2. Metodi di registrazione: per capire il ruolo dell’area nel comportamento, possiamo anche vedere
come si attiva l’area durante un determinato comportamento
. Attività elettrica cerebrale: Potenziali evocati (ERP); registro l’attività elettrica dello scalpo e noto
l’attività cerebrale evocata da un determinato comportamento
. Flusso ematico cerebrale: Risonanza magnetica funzionale (fMRI); visualizzo quali sono le aree
che si attivano durante la messa in atto di un comportamento e se qualche area si attiva so che è
associata a quel comportamento
tutti questi metodi ci fanno fare ipotesi sul mappaggio tra processi menali e comportamento e ognuno di
essi ha forze e debolezze, per cui vanno usati in maniera complementare: integrazione di diverse
metodologie.
La differenza fondamentale è che i metodi di registrazione mostrano l’associazione tra cervello e
comportamento (area implicata, associata a un comportamento), i metodi lesionali invece permettono di
offrire una relazione causativa, per cui levando l’apporto di un’area posso sapere se quell’area fosse
necessaria a quel comportamento.
“Tan”
Lo studio della neuropsicologia parte dalla constatazione che lesioni cerebrali producono significativi
cambiamenti nel comportamento.
Nel 1861 Broca descrisse il caso di un paziente che era in grado di capire il senso del linguaggio ma aveva
perso la capacità di parlare, in seguito a una lesione cerebrale.
Il paziente non aveva deficit motori della lingua, della bocca o corde vocali. Infatti, poteva pronunciare
sillabe isolate (“Tan, tan, tan”).
Area lesionata: area frontale inferiore a sinistra e secondo Broca è necessaria per il linguaggio; oggi si sa che
quest’area è l’area di Broca 45-44. L’esame autoptico del cervello del paziente mostrò una lesione frontale
dell’emisfero sinistro.
Il linguaggio non è un processo unitario e questo viene scoperto grazie allo studio di un altro paziente.
Alcuni anni più tardi (1876), il medico tedesco Carl Wernicke descrisse un nuovo tipo di disturbo del
linguaggio caratterizzato da eloquio fluente, e deficit di comprensione, ma non di produzione, a seguito di
lesioni delle regioni posteriori del lobo temporale dell’emisfero sinistro (area di Wernicke).
Ci si rende conto che il linguaggio ha almeno due sottocomponenti:
1. un’area di produzione linguistica
2. una componente di comprensione linguistica

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Da “Tan” alla neuropsicologia cognitiva
Cosa e come possiamo imparare sull’architettura funzionale dei processi cognitivi dallo studio degli effetti
delle lesioni sul comportamento? in questi metodi classici di correlazione anatomo-clinica si faceva:
1. Analisi psicologica del comportamento del paziente: esempio vedo il deficit di linguaggio;
2. Individuazione della lesione cerebrale;
3. L’associazione fra deficit e lesione faceva inferire che quell’area cerebrale era la base neurale di
quella funzione.
Avviene quindi un’inferenza forte dall’associazione patologica (danno x causa y) a quella normale (y è la
sede di x).
Questo ha un senso intuitivo ma non è giusto da un punto di vista inferenziale.
Limite: una prima obiezione potrebbe essere quella di dire che la lesione di y disturba un comportamento
banalmente perchè toglie una parte di cervello, o una parte di un circuito tutto necessario per quel
comportamento. Quindi qualsiasi lesione del cervello è in grado di causare un disturbo linguistico, per cui ci
vuole un controllo per fare un’inferenza giusta tra area e comportamento.
Inoltre il metodo era facilmente falsificabile (se la sede lesionale coinvolgeva in realta’ piu’ aree); studi
post-mortem facevano vedere che le aree lesionate erano molte di più e quindi era difficile rintracciare
l’origine cerebrale del disturbo.
A tutto questo si aggiunge che oltre al controllo sull’area lesionata ci vuole un controllo sulla quantità di
soggetti che studio, infatti un singolo soggetto non basta per decretare l’implicazione di un’area in un
comportamento di soggetti da studiare.
Quindi quello che mi limito a dire quando osservo pazienti singoli (Metodo classico di correlazione
anatomo-clinica): Individuo un disordine comportamentale clinicamente rilevante che si presenta spesso in
associazione a lesione dell’area Y; individuo un disordine in relazione a un’area e quindi se voglio
investigare sul quel comportamento lo faccio intorno a quell’area cerebrale.
Non mi posso fermare al singolo paziente.
Cosa dobbiamo aggiungere all’osservazione per riuscire a precisare la base neurale di un deficit?
Il Metodo neuropsicologico
Esso prevede:
- studiare un gruppo di pazienti: si va a vedere se quella stessa alterazione del comportamento la
posso vedere non solo nel paziente che ha destato la mia curiosità ma anche in pazienti simili; se
quell’area partecipa a un determinato comportamento, allora pazienti con lesioni simili devono
esibire la stessa alterazione del comportamento in maniera consistente. Il gruppo sperimentale
prevede pazienti con lesioni nell’area di interesse: ho un’ipotesi su quel gruppo di pazienti.
Includere solo casi positivi non esclude la possibilità che il deficit sia conseguenza generica di un
danno cerebrale.
- Importanza di introdurre un “gruppo di controllo” con lesioni cerebrali diverse da y; il gruppo di
controllo è fondamentale e presenta lesione in area diversa da quella studiata
- gruppo di controllo di soggetti normali
- Importanza di standardizzare le procedure di test (replicabilità), e valutazione statistica.
Metodo neuropsicologico: cosa trovo?
Stabilisco una correlazione relativamente sicura tra una un disordine comportamentale ed una lesione
cerebrale, ma non accresco la mia conoscenza del processo normale, finchè non lego tale relazione a un
modello sottostante.
Il fine ultimo delle neuroscienze cognitive non è quello di attribuire un ruolo all’area rispetto a un
comportamento, ma è quello di capire che ruolo ha quell’area nel modello di comportamento specifico.
Lo scopo principale della neuropsicologia cognitiva è la costruzione di un modello dell’architettura
funzionale dei processi mentali (normali) attraverso lo studio del comportamento di pazienti con lesione
cerebrale.
Se ho un modello perfezionabile dell’architettura di un determinato processo cognitivo, posso sperare non
solo di capire se un’area cerebrale ha un ruolo nel processo ma posso stabilire in quale sottoprocesso

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quest’area agisce. Voglio localizzare la lesione funzionale nel contesto di un modello teorico delle
componenti che partecipano ad un determinato tipo di comportamento.
Se le funzioni cognitive sono multicomponenziali, allora sottocomponenti specifiche possono essere
danneggiate selettivamente. Per dimostrare il ruolo di un’area cerebrale in una sottocomponente precisa di
un processo cognitivo, devo trovare delle dissociazioni: in alcune situazioni sperimentali, alcune lesioni
possono danneggiare una sottocomponente di un processo cognitivo ma non un’altra cioè se le funzioni
cognitive sono multicomponenziali, mi aspetto che siano diversamente colpite dal danno neurale.
Se riesco a trovare l’effetto di una lesione cerebrale su una specifica sottocomponente di un processo
cognitivo allora mi avvicino a disegnare l’architettura funzionale del processo cognitivo. Quindi se le
funzioni cognitive sono multicomponenziali, allora sottocomponenti specifiche di questo processo cognitivo
possono essere danneggiate selettivamente e vado a cercare questi danni selettivi per potere attribuire
un’area cerebrale non solo a una funzione cerebrale ma a uno sottocomponente: capire il ruolo specifico in
quel processo (codifica, recupero, monitoraggio, …).
Studiare l’effetto di lesioni serve a, e permette di:
1. Localizzare le sottocomponenti di un processo (perchè saranno selettivamente danneggiate)
2. ‘Disegnare’ l’architettura funzionale del processo
Quando vado a cercare delle sottocomponenti di un processo cognitivo, studiando delle dissociazioni, sto
facendo due assunzioni forti:
1. Assunzione di modularità: idea che le funzioni cognitive siano costituite da sottocomponenti che
possono essere colpite in maniera selettiva (posso colpire la codifica e lasciare il recupero intatto
nella memoria). I moduli sono sottocomponenti di un sistema complesso: innati, specifici per
modalità (e.g., percezione visiva), obbligatori, e “incapsulati” dal punto di vista informazionale
(Fodor, 1983, “La mente modulare”).
In neuropsicologia non si parla di moduli ma di “sottosistema funzionale isolabile”: un sistema che
può funzionare indipendentemente da un altro (anche se non allo stesso livello di efficienza)
2. Assunzione di costanza (o assunzione ‘Ceteris Paribus’): “La prestazione di un paziente cerebroleso
rispecchia l’attivita’ dell’insieme delle componenti (normali) del suo sistema cognitivo MENO quella
danneggiata dalla lesione cerebrale (Vallar, 1988)”. Quando tolgo l’apporto di un’area vedo lo
stesso sistema a cui ho tolto l’apporto di quell’area specifica: vedo il sistema normale meno
selettivamente quella componente lesionale. Se vado a vedere gli effetti di una lesione sul
comportamento, osservo il comportamento normale meno selettivamente quello che di solito fa
quella funzione; invece ci sono fenomeni di riorganizzazione funzionale tra le aree.
Tale assunzione è forte perché le aree lesionate possono avere portato alla riorganizzazione
cerebrale, per cui aree limitrofe possono avere assunto la funzione dell’area di interesse.
Negli studi lesionali, l’assunzione che non ci sia stata riorganizzazione funzionale, e che quindi io
stia osservando proprio gli effetti di quella lesione, e non di altre anomalie; negli studi fMRI,
l’assunzione che i due compiti (sperimentale e di controllo) differiscano unicamente per la
componente che mi interessa studiare.

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La Dissociazione semplice
Il nostro obiettivo è quello di trovare dissociazioni che mi facciano capire come un’area cerebrale mi
supporti una determinata componente di una funzione cognitiva e non un’altra, quindi io cerco le
dissociazioni.
Le dissociazioni sono uno dei metodi chiave della neuropsicologia; se le funzioni cognitive sono
multicomponenziali, devo trovare pazienti che in seguito a una determinata lesione cerebrale devono avere
un deficit in una funzione cognitiva ma non in un’altra, cioè devo individuare la corrispondenza tra un’area
cerebrale e un comportamento.
Ci sono due tipi di dissociazioni in neuropsicologia: semplice e doppia.
La dissociazione semplice è una condizione in cui si verifica questo: ho un paziente o un gruppo di pazienti
che svolge bene il compito B ma male il compito A; l’inferenza che faccio è che la lesione di quel paziente
rende deficitario il compito A ma non B e che quindi l’area danneggiata in quel paziente implementa una
funzione che serve a fare A ma non B.
Associo l’area lesionata in questi pazienti al compito A ma non al compito B.
 Dato empirico: Il paziente\gruppo di pazienti P svolge bene il compito B, male A;
 Inferenza: La lesione del paziente\gruppo di pazienti P rende deficitario il compito A ma non B;
=> L’area danneggiata implementa una funzione che serve a fare A ma non B.
 La dissociazione semplice (specie se debole) è spiegabile anche in termini di difficoltà dei due
compiti (diverse curve prestazioni\risorse).
 In principio, questi due compiti potrebbero infatti riflettere un’unica funzione, ma essere l’uno più
difficile dell’altro.
In questa situazione una lesione disturba la performance del compito A ma non intacca il compito B; tale
dissociazione può essere forte o debole.
La dissociazione semplice forte si ha quando il paziente fa male il compito A e bene il compito B al pari dei
soggetti sani; debole quando fa male il compito A e bene il compito B ma non al pari dei soggetti sani e in
questo caso ci sono più interpretazioni dove la lesione porta a una prestazione inferiore rispetto a quelli
sani. Potrebbe anche essere che una determinata area servirebbe sia per il compito A che un po’ per il
compito B.
In generale la dissociazione semplice ha un altro problema inferenziale e cioè potrebbe essere dovuta a una
diversa difficoltà dei due compiti dove B è più facile di A; questo non perché l’area lesa serve ad A e non a B
ma appunto per una questione di difficoltà. Se i pazienti hanno risorse cognitive basse ottengono buoni
risultati a B e non buoni ad A, mentre se hanno buone risorse cognitive ottengono buoni risultati sia ad A
che a B: uno dei due compiti quindi è più difficile dell’altro e uno richiede risorse diverse.
La dissociazione che osservo può essere quindi dovuta a una differenza di difficoltà: quindi la differenza
nella performance potrebbe essere spiegata non da una differenza di implicazione delle sottocomponenti
nei compiti ma in termini di diversa difficoltà dei compiti stessi; devo cercare di trovarmi quindi in una
situazione di dissociazione doppia che mi permette di escludere che alla base della dissociazione ci sia una
differenza tra i due compiti.

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La Dissociazione doppia
In questo caso posso fare inferenze certe senza incorrere in una difficoltà del compito; è una situazione in
cui ho due pazienti o due gruppi in cui il primo fa male A e bene B, mentre B fa bene A ma male B. In
questo caso posso dire che la lesione che è presente nel primo gruppo serve per fare A ma non B, mentre
l’area cerebrale che è lesionata nel secondo gruppo serve per fare B ma non A.
Dissociazione doppia: ognuno dei due gruppi mostra la dissociazione opposta rispetto all’altro gruppo; la
dissociazione doppia supera i problemi inferenziali mostrati dalla dissociazione semplice, in quanto è
diversa la funzione specifica che serve a risolvere il compito A e il compito B e le due funzioni diverse che
servono per rispondere al compito sono supportate dalle aree lesionate nel gruppo P1 e P2; tale lesione
porta all’impedimento nel risolvere il compito e non subentra la componente “difficoltà”.
 Dato empirico: Il paziente\gruppo di pazienti P1 svolge bene il compito A, male B. Il gruppo P 2,
viceversa, fa bene B e male A.
 Inferenza: se la prestazione in B rispecchia la funzione F b, e A la funzione Fa, allora l’area
danneggiata in P1 implementa la funzione Fb. (ma non Fa), mentre e’ vero il contrario per l’area
danneggiata in P2.
 NB: Un’interpretazione risorse/difficoltà del compito è illogica:
 per P1 risulterebbe B più difficile,
 per P2 risulterebbe A più difficile.
Nella forma forte: il paziente fa male il compito A e bene il compito B al pari dei soggetti sani.
Nella forma debole di tale dissociazione (situazione meno pulita): i gruppi fanno male un compito e meglio
un altro ma anche il compito che fanno bene non lo
fanno a livello di quelli sani.
Esempio: Ippocampo necessario per la memoria a
lungo termine e corteccia parietale posteriore nella
memoria a breve termine.
In tale caso la lesione all’ippocampo porta a una
prestazione peggiore nella lista di parole (memoria a
lungo termine), mentre la prestazione nello span di
cifre è buona; viceversa nel caso di lezione della PPC.

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La neuropsicologia cognitiva: Analisi lesionale rigorosa
Prima abbiamo visto che dobbiamo avere un gruppo sperimentale e uno di controllo; oltre a questo
abbiamo bisogno di soggetti con lesioni in aree diverse ma di uguale grandezza, affinchè io non possa
attribuire la differenza all’estensione della lesione cerebrale.
Le lesioni le studiamo attraverso tecniche che sono:
 Tomografia computerizzata (CT): è la TAC
 Risonanza magnetica per immagini (MRI)
Tomografia computerizzata
Costituita da un tubo che emette un fascio sottile di raggi X, e che ruota intorno al capo del soggetto.
Dall’ altra parte del capo ruotano dei sensori che rivelano l’arrivo dei raggi X; viene così costruita
un’immagine.
Si ottengono immagini assiali del cervello.
Con la tomografia computerizzata è possibile analizzare l’anatomia regionale del cervello nei soggetti
normali e nei pazienti; posso visualizzare le lesioni nei pazienti come ischemia, allargamento del ventricolo.
Con la TC si possono ottenere immagini di ossa, tessuto cerebrale, liquido cerebrospinale. È possibile anche
riconoscere strutture intracerebrali: ad es. talamo, nuclei della base, sostanza grigia e bianca della corteccia
cerebrale, i ventricoli.
NB: Fornisce un’immagine statica del cervello: può esplorare solo le strutture e non le funzioni cerebrali.
MRI
La risonanza magnetica si basa sulle proprietà magnetiche degli atomi delle diverse strutture cerebrali.
L’immagine si costruisce sulla base delle diverse proprietà fisiche degli atomi che sono dotati di spin
intrinseco; tali atomi ruotano intorno al proprio asse di rotazione; per costruire l’immagine, il soggetto
entra nello scanner e si crea un forte campo magnetico.
Gli atomi che compongono le diverse strutture allineano il loro asse di rotazione in direzione del forte
campo magnetico e tutti gli atomi si allineano nel verso del campo magnetico indotto; successivamente
quando gli atomi hanno allineato il loro asse, si imprime un ulteriore campo magnetico perpendicolare al
precedente e si da un impulso che oscilla a una radio frequenza particolare che perturba il campo
magnetico precedente che avevano assunto gli atomi. Questi ultimi si spostano in direzione dell’impulso
(cambiamento di campo magnetico).
Una volta che si interrompe quest’impulso fornito, gli atomi tendono a riallinearsi nella direzione del campo
magnetico iniziale e principale e mentre ritornano in quella direzione, rilasciano energia e ci mettono un
tempo diverso per riallinearsi; queste costanti di tempo necessarie a riallinearsi variano a seconda delle
diverse aree cerebrali. L’immagine viene ricreata a partire dalle costanti di tempo che servono a riallinearsi;
diverse composizioni della struttura cerebrale danno vita a diverse costanti di tempo e questo viene
visualizzato con colori più o meno chiari con una risoluzione spaziale migliore della TAC. Possiamo vedere la
dimensione assiale, coronale e saggitale del cervello.
Attraverso questo possiamo studiare la lesione di più pazienti e fare l’overlap ovvero vedere se le lesioni
coincidono (quanto si somigliano).
Un’altra applicazione di studio delle lezioni con questo programma è la possibilità di costruire mappe di
lesioni cerebrali (lesion mapping methods) e definire poi quale sia, attraverso una logica sottrattiva, quale
gruppo di voxel è responsabile della performance nel compito.
Lesion mapping methods
 Si sovrappongono le scansioni TC/MRI di pazienti con certi disturbi neuropsicologici
 Si costruiscono delle mappe lesionali che permettono una valutazione quantitativa.
 Si applica una logica sottrattiva, in base alla quale è possibile calcolare la relazione tra percentuale
di “voxel” lesionati in una certa area e deficit cognitivo (prestazione ad un compito): si trova la
porzione che è responsabile delle limitazioni attraverso la sottrazione delle diverse aree; si arriva
all’area specifica che rende ragione di un determinato deficit: porzioni puntuali della corteccia
associata a un determinato compito, viene individuata la base neurale specifica

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Indagine neuropsicologica standardizzata
Oltre ad avere gruppo sperimentale e di controllo, aree cerebrali della stessa grandezza, dobbiamo avere
aree che siano allo stesso livello; viene aggiunta una valutazione generale delle funzioni cognitive sulla base
dei seguenti domini:
• Vigilanza
• Attenzione selettiva
• Attenzione divisa
• Memoria a breve termine
• Memoria a lungo termine
• Pianificazione (Test della torre di Londra)
• Astrazione (WCST)
• Fluenze fonemiche
abbiamo bisogno di aree simili dal punto di vista cognitivo.
Per studiare il mappaggio tra aree cerebrali e interpretare il deficit, dobbiamo avere:
 Un modello (perfezionabile) dell’architettura funzionale del processo in questione;
 Un gruppo di pazienti con lesione nell’area che credo critica per quel processo (o subcomponente);
 Un gruppo di pazienti di controllo con lesione di simile estensione ma in un’altra area;
 La ricostruzione delle lesioni dei pazienti;
 Il profilo neuropsicologico generale del gruppo sperimentale e del gruppo di controllo.
 Un esperimento che catturi il processo di interesse, e che sia sensibile.
Esempio: le false memorie
Obiettivo: testare se la corteccia prefrontale ventro-mediale abbia un ruolo nel monitoraggio delle
memorie.
Idea che parte dall’osservazione della confabulazione, in cui soggetti rievocavano memorie di eventi mai
avvenuti; le confabulazioni non sono un fenomeno studiabile sperimentalmente perché non posso dire al
soggetto di confabulare o meno (è un comportamento spontaneo che non posso manipolare).
Viene utilizzato un paradigma sperimentale (paradigma Deese-Roediger-McDermott) che permetta di
misurare le false memorie in più gruppi per vedere se i pazienti ventro-mediali abbiano una maggiore o
minore propensione alle false memorie dei soggetti sani.
Se la corteccia prefrontale serve per prevenire le false memorie, allora devo trovare che i pazienti ventro-
mediali fanno più falsi riconoscimenti di soggetti sani.
I pazienti confabulanti hanno problemi di monitoraggio che gli impedisce di distinguere memorie vere da
false, ma questo può essere dovuto a una memoria impoverita anche rispetto alle memorie vere; allora per
questa ipotesi ulteriore viene testata una possibilità, ovvero vedere se il falso riconoscimento diminuiva in
questi pazienti se veniva accresciuta la conoscenza delle memorie vere (memoria per informazioni
effettivamente studiate).
I pazienti confabulanti hanno sia problemi di memoria che problemi esecutivi; sono stati presi pazienti
mnesici con entrambi i problemi e un altro gruppo senza problemi esecutivi.
Nella condizione standard, i pazienti studiano 8 liste di item fortemente associati, ovvero parole associate
tra di loro a un certo tema e dopo fanno un compito di riconoscimento che contiene i target ovvero le
parole veramente studiate, parole che non sono simili e distrattori che sono le parole collegate a quelle che
hanno studiato.
Per aumentare la memoria delle parole studiate è stato fatto lo stesso studio in una situazione vicina
(proximal), in cui il compito di riconoscimento delle parole veniva presentato immediatamente dopo la lista
di parole associate a una parola; il test viene fatto subito dopo la presentazione della lista (nella condizione
prima il tutto viene fatto alla fine delle 8 liste). In questo caso la memoria deve essere alta perché li ho
appena studiati gli item.
Risultati: nella condizione standard non ci sono grosse differenze tra gruppi, anche i gruppi sani non fanno
distinzione tra parole studiate e simili ovvero i distrattori critici (quelle parole simili a quelle studiate a cui
sono collegate queste ultime); in questo caso avvengono quindi falsi riconoscimenti. I gruppi di pazienti

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hanno risultati più bassi di quelli sani, in quanto non fanno associazioni tra item. In generale però sono tutti
incapaci di fare differenze tra memorie vere e false.
Quando testiamo le persone immediatamente dopo, la memoria per gli item studiati cresce in tutti, ma i
soggetti normali diventano capaci di distinguere tra memorie vere e non studiate; questo avviene anche nei
due gruppi di pazienti non confabulanti.
Invece i soggetti confabulanti restano incapaci di distinguere tra memorie vere e false anche se gli item li
hanno appena studiati.
L’esperimento conferma che i pazienti confabulanti hanno problemi nel monitoraggio delle memorie, per
cui non distinguono tra memorie vere e false; il loro problema in tale distinzione non dipende da una scarsa
memoria ma da un problema di monitoraggio, nel discriminare i contenuti mnesici e quindi ciò che hanno
visto da ciò che non hanno visto.

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Studio di casi singoli
In generale abbiamo visto che è fondamentale studiare un gruppo di pazienti, casi multipli di pazienti con
lesioni in una stessa area cerebrale; un singolo paziente non basta per validare un’ipotesi però i casi singoli
rimangono importanti perché possono invalidare un’ipotesi. Possono rompere teorie formate e portare a
un cambiamento.
Il disegno sperimentale ottimale in un esperimento di neuropsicologia:
- disegno in cui ho un gruppo sperimentale di pazienti con lesione cerebrale nell’area che mi
interessa
- un esperimento che operazionalizza il comportamento di interesse
- un gruppo di controllo con pazienti con lesione in un’altra parte del cervello (per escludere che le
anomalie del comportamento osservato nel gruppo sperimentale non dipendano semplicemente
da una lesione cerebrale)
- un gruppo di soggetti sani per avere un modello di riferimento del comportamento di interesse.
Un singolo paziente non può verificare una teoria ma può invalidarla.
Esempio: memoria episodica e teoria della mente
Nel 2008 è stata formulata una teoria per cui ci sarebbe una relazione tra capacità di capire l’altro (teoria
della mente) e capacità di ricordare eventi passati (memoria): relazione tra memoria episodica e teoria
della mente (capire sentimenti e stati mentali dell’altro).
Quindi inizialmente si pensava che mettersi nei panni dell’altro e ricordare eventi propri del passato
portasse all’attivazione delle stesse aree; questo poneva alla base il self-protection: ricordare eventi del
passato e immaginare eventi dell’altro richiede di uscire dalla prospettiva presente e proiettarsi in una
nuova prospettiva. Memoria episodica e teoria della mente hanno un processo sottostante comune che è
quello del self-protection, dove il soggetto si traspone o nel proprio passato o nel punto di vista altrui; il
self-protection è il substrato comune alla memoria episodica e alla teoria della mente, che permette di
staccarsi dal presente e proiettarsi in una situazione alternativa.
Tale studio di Rosenbaum, studia la teoria della mente in due pazienti gravemente amnesici e abbiamo
compiti di teoria della mente.
Nei risultati si rileva che alcuni pazienti abbiano un’impossibilità di rievocare eventi passati, ma hanno
prestazione preservata in compiti della teoria della mente; tali risultati invalidano quindi la coincidenza tra
memoria del passato e teoria della mente.
In modo particolare siamo in Canada e la Rosenbaum studia il paziente K.C. che ha una dimostrata capacità
di ricordo del passato (amnesia); se è vera la teoria che sia la memoria del passato che l’immaginazione di
prospettive altrui dipendono dalla stessa capacità di trasporsi in una situazione alternativa al presente (self-
protection), allora pazienti con comprovata incapacità di trasporsi in una situazione alternativa al presente,
come i pazienti amnesici che non ricordano il passato, devono essere incapaci di immaginarsi le prospettive
altrui; in questo senso mi basta un singolo paziente che abbia lesa una delle due capacità e preservata
l’altra, a invalidare la teoria.
Su due pazienti gravemente amnesici e incapaci di lasciare la propria prospettiva l’autrice trova che essi
sono perfetti nei test di teoria della mente (capacità di comprendere gli stati mentali altrui) e così invalida la
teoria di base.
Studio di pazienti Split brain
Un altro esempio di studi che si basano su casi singoli e che hanno informato sul funzionamento del
cervello è lo studio dei pazienti Split brain, ovvero con il cervello diviso (sono pazienti rari).
Il cervello destro riceve informazioni e invia comandi all’emicorpo sinistro e l’emisfero sinistro fa l’opposto;
quindi il cervello sinistro processa informazioni che provengono dall’emicampo di destra e viceversa. In
condizioni di normalità, i due emisferi si passano le informazioni attraverso il corpo calloso che sta sulla
linea mediana del cervello.
Split brain: situazione clinica particolare:
 Sindrome dovuta a malattie o resezione chirurgica completa del corpo calloso (e.g., per trattare
gravi epilessie): i due emisferi non si passano le informazioni

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 Segregazione dell’informazione nell’emisfero che la riceve, senza che sia possibile una condivisione
con l’altro emisfero.
 In condizioni naturali non si osservano modificazioni importanti: il paziente muove la testa, quindi
le informazioni arrivano ad entrambi gli emisferi. In condizioni naturali anche nei pazienti split half,
grazie al movimento, le informazioni arrivano ad entrambi gli emisferi
 Talvolta: parlano poco di emozioni; codificano peggio in memoria il materiale
 Accorgimento sperimentale: sguardo fisso al centro e presentazione tachistoscopica (< 200ms),
ovvero impedisco al paziente di non fare movimenti oculari e l’informazione arriva o all’emisfero
destro o a quello sinistro senza poter contare sull’apporto dell’altro emisfero. Grazie a questo
accorgimento sperimentale si sono capite molte funzioni dei due emisferi
Esempio: Stimolo visivo
Ad un soggetto viene presentato lo stimolo cucchiaio per un tempo minore di 200ms.
Se lo stimolo viene mandato a destra va nel cervello sinistro che lo conosce e ha i centri del linguaggio e
DENOMINA: “cucchiaio”
Se viene mandato a sinistra viene elaborato dal cervello destro che sa cos’è l’oggetto ma non ha il
linguaggio per dirlo.
All’emisfero sinistro, che ha il linguaggio, non arrivano info visive sull’oggetto, ed infatti il paziente dice
“non ho visto nulla”. Però se gli mettiamo in mano l’oggetto senza farglielo vedere, il paziente riconosce
l’oggetto che gli era stato posto precedentemente e da qui possiamo dire che il linguaggio è lateralizzato a
sinistra.
La mano sinistra però, che è comandata dall’emisfero destro, è capace di riconoscerlo fra altri sia
visivamente che per via tattile
Test dell’equivalenza percettiva: due stimoli inviati contemporaneamente nei due emisferi, dire se sono
uguali—split brain non può farlo
Stimolo tattile
Presentiamo al soggetto bendato degli stimoli da esplorare
 Denominare oggetti presentati alla mano destra: il soggetto può dire il nome perché l’informazione
viene elaborata dall’emisfero sinistro
 Presentati oggetti alla mano sinistra: non vengono denominati ma sa come si usano, e ne mimerà
l’uso, o li identificherà tra altri oggetti (anomia tattile per la mano sinistra)
 Confronto bimanuale impossibile, e non può imitare con una mano la postura che si imprime
nell’altra
 Non può mostrare con la mano sinistra (comandata da emisfero destro) dei gesti chiesti
verbalmente (aprassia callosale), mentre può farlo con la destra
 Qual e’ la coscienza? Di che cosa diventa di fatto consapevole il soggetto? Conoscenze non verbali a
destra o verbali a sinistra? in condizioni normali questi pazienti split brain posso muovere gli occhi
ed essere consapevoli delle stesse cose, perché le info che cadono in un emisfero, muovendosi con
la testa, cadono anche nell’altro emisfero; la nostra coscienza è determinata dall’operazione
Qual è l’emisfero che predomina in pazienti split brain? Emisfero SN: L’ Interprete
- Vengono presentate immagini sia a dx che sn e il soggetto deve indicare con le mani le immagini
con un legame logico: i due emisferi vedono cose diverse e le due mani faranno scelte diverse
- emisfero dx vede nevicata e, siccome comanda la mano di sinistra, fa indicare una pala alla mano
sinistra
- emisfero sn vede questa scelta (il fatto di indicare la pala) che non può capire, visto che lui vede la
zampa di gallina
- emisfero sn cerca di unificare le due esperienze fatte dai due emisferi e (il soggetto) dice: che la
pala serve per tenere pulito il pollaio!
- L’emisfero sinistro è come un interprete che formula ipotesi sulle azioni del soggetto (interpreta
anche il comportamento della mano destra)

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- sembra che l’emisfero di sinistra (= emisfero del linguaggio) sia l’interprete che lega le informazioni
e percezioni provenienti dai due emisferi e tiene unita l’esperienza cosciente del soggetto anche in
situazioni di split brain
- da questo esperimento viene dedotta la funzione dell’emisfero sinistro: esso interpreta il
comportamento e quindi l’emisfero sinistro che è quello che detiene il linguaggio permette
l’interpretazione
Split brain: Lo studio di questo fenomeno illustra:
1. disconnessione interemisferica (ma...)
2. funzioni distinte dei due emisferi
I due emisferi si comportano come menti coscienti separate che lavorano in parallelo nello stesso cranio. In
caso di split brain, il cervello sinistro vede e capisce cosa fa il destro, ma non ne condivide le esperienze.
A dispetto dell’esperienza fenomenica, la coscienza è una costruzione mentale composita, sostenuta da
meccanismi a base neurale distinta.
Solitamente l’esperienza dei due emisferi è diversa ma fusa durante la percezione cosciente e normale; tale
fusione viene interrotta in casi di split brain. La comunicazione nei pazienti split brain è interrotta.
“L’unico strumento conosciuto finora che permetta ad un cervello di connettersi e di leggere l’esperienza
cosciente di un altro cervello è il corpo calloso (Roger Sperry, 1969)”
Lo studio di tali pazienti permette di capire le funzioni degli emisferi.

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Risonanza magnetica funzionale: fMRI
E’ un altro metodo di registrazione dell’attività neurale.
Gli atomi che compongono le diverse sostanze del cervello sono dotati di uno spin e con la fMRI si applica
un forte campo magnetico e perturbando questo campo magnetico (impulso di risonanza funzionale) e
interrompendo tale impulso, le sostanze che formano il cervello si riallineano in tempi diversi con costanti
T1 e T2; tali diversi tempi si riflettono in immagini diversi e visualizziamo le diverse aree composte da
elementi diversi.
Se queste costanti dipendono dall’ambiente chimico e dalla diversa sostanza di cui sono composte le aree
cerebrali, allora qualsiasi cambiamento chimico cerebrale (indotto dall’attività neurale), avrà effetti sul
segnale MRI.
La fMRI si basa sul principio che le diverse immagine siano date dall’attività o dal riposo del cervello. Le aree
più attive in un compito vengono individuate grazie a fMRI.
Il primo esperimento di neuorimaging è quello di Angelo Mosso, studenti di medicina, figlio di un
falegname; egli crea questa bilancia molto sensibile sulla quale pone oggetti. Egli faceva leggere dei testi a
questi soggetti posti sulla bilancia: i soggetti leggendo il testo dovevano impegnarsi e arrivava più sangue
alla testa e così la bilancia si inclinava: possibilità di visualizzare l’attività cerebrale.
Quando non era impegnato con le lezioni, era solito aiutare il padre nella falegnameria di casa.
Unendo le sue conoscenze mediche con una notevole abilità manuale, inventò una bilancia di
legno a forma di letto capace di ‘pesare’ le emozioni e l’attività cognitiva.
Alla bilancia Mosso collegava una serie di apparecchi capaci di valutare la respirazione e la
circolazione, con misure all’altezza del torace, delle mani e dei piedi del soggetto che veniva fatto
coricare. Mosso, quindi, invitata il soggetto a rilassarsi per un’ora, periodo necessario affinché il
sangue potesse raggiungere una posizione di ‘equilibrio’ in tutto il corpo.
Quando al soggetto coricato era mostrato un testo scritto, la bilancia pendeva dalla parte della
testa in modo proporzionale alla difficoltà della lettura: si tratta quindi della prima,
sorprendente, dimostrazione di come l’attività cognitiva ed emotiva sia intimamente legata ad
un aumentato flusso di sangue nel cervello, che è maggiore all’aumentare della difficoltà del
compito che si sta eseguendo.
La fMRI si basa sullo stesso principio per individuare l’area con aumentato processamento delle info
La fMRI misura le risposte emodinamiche (volume
sanguigno, flusso cerebrale, ossigenazione dei tessuti)
che accompagnano l’aumento di attività neuronale.
In particolare, la fMRI è basata sul contrasto BOLD
(Blood Oxygenation Level Dependent), cioè sul rapporto
desossiemoglobina (Hbr) / ossiemoglobina (HbO2) nei
tessuti nervosi.
La desossiemoglobina è una sostanza paramagnetica (ha
proprieta’ magnetiche), che porta ad una riduzione del
segnale fMRI. Al contrario, l’ossiemoglobina ha effetti
minimi sul segnale fMRI
=> Un aumento dell’ossiemoglobina aumenta il segnale
fMRI.
Quando un’area è attiva, viene richiamato nel cervello
sangue ossigenato e quindi ricco di ossiemoglobina e siccome diminuisce la desossiemoglobina e così si
avrà un aumento del segnale di fMRI: quando cresce l’attività cerebrale, cresce il segnale di fMRI.
Limite: bassa risoluzione temporale dovuto a caratteristiche della risposta emodinamica, che è ritardata di
circa 2-3 sec rispetto alla risposta dei neuroni. Plateau dopo 5-10 s; la risposta è ritardata rispetto all’inizio
del compito del soggetto, quindi il segnale BOLD inizia ad aumentare dopo 2-3 secondi dall’inizio
dell’attività neuronale raggiungendo il picco dopo 5-10 secondi. Si ha però un’ottima risoluzione spaziale:

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possibilità di visualizzare il punto preciso dove aumenta l’attività cerebrale in risposta a uno specifico
compito.
Passaggi che si impiegano per fare uno studio di risonanza magnetica funzionale
Acquisizione ed analisi dati di fMRI:
1. Fase di acquisizione di immagine strutturale: si fa una foto, istantanea del cervello dell’individuo
(immagine di riferimento del cervello del soggetto) presente nello scanner; abbiamo un’immagine per
ogni fetta del cervello che è visualizzabile in maniera sagittale, ortogonale. Questa è la fase anatomica,
in cui viene acquisita un’immagine anatomica (T1) del cervello ad elevata risoluzione, che in seguito
sarà usata per sovrapporre le regioni di attivazioni cerebrale
2. Fase di acquisizione di immagini funzionali a bassa risoluzione (ad esempio 1 volume di immagini ogni
2 secondi) che si sovrappongono alle immagini strutturali per vedere nel tempo come cambia
l’immagine strutturale del cervello man mano che aumenta il bisogno metabolico del cervello durante
il compito; vengono prese una serie di immagini funzionali (perché il soggetto fa un compito) e ogni
istantanea sarà diversa perché l’apporto di ossigeno sarà differente nei diversi momenti (da ogni
momento all’altro cambia la quantità di sangue ossigenato sulla base della risoluzione del compito);
virtualmente riesco a vedere le immagine per voxel che corrispondono a un millimetro. Tramite queste
immagini visualizzo i cambiamenti minimi e tali cambiamenti dipendono dal cambiamento
dell’ambiente chimico in relazione al compito, osservo quindi la differenza tra una condizione e l’altra
3. Pre-processing (e.g., correzione di artefatti di movimento): quando il soggetto si trova nello scanner
della fMRI non sta fermo e quindi ci sono algoritmi necessari per ritracciare l’immagine di fMRI sulla
base delle immagini precedenti; tra un’immagine e l’altra se il soggetto si muove il rischio è che
l’immagine acquisita sia stata fatta sulla base della posizione del cranio del soggetto e non sulla base di
un cambiamento dell’ambiente chimico del cervello: un voxel rischia di non coincidere più con sé
stesso nell’immagine successiva
4. Appaiamento delle due immagini (coregistrazione): immagine strutturale e funzionale
5. Normalizzazione: vengono sovrapposte le diverse immagine cerebrali e le immagini di diversi soggetti;
la normalizzazione permette di fare sì che tutti i cervelli valutati vengano normalizzati su un template
che è un cervello standard. Si tratta di stirare le immagini e si
fanno coincidere le strutture conosciute su quelle del
cervello medio; tale operazione deve essere accurata e
permette di fare le statistiche. Dopodichè applico il metodo
sottrattivo.
Il metodo sottrattivo: secondo questo approccio possiamo
misurare il tempo di un determinato processo psicologico a
partire dalla sottrazione tra due tempi di reazione in due
compiti, uno dei quali ha le stesse componenti cognitive
dell’altro con l’aggiunta del processo che si vuole misurare
(vedi immagine). La logica del neuroimaging è la medesima;
la componente principale è scegliere la condizione di
controllo che differisca da quella sperimentale solo per il processo cognitivo che voglio studiare,
altrimenti ci saranno altri processi che subentrano. Per trovare l’area necessaria che permette la
discriminazione dei colori devono trovare due compiti (sperimentale e di controllo) che differiscano
solo per questo specifico processo cognitivo che voglio vedere. La costruzione di esperimenti che
differiscano solo per il processo cognitivo
6. Analisi statistica: confrontare l’attivazione di ogni voxel del cervello tra la condizione sperimentale e di
controllo: soprappongo tutte le immagini della prima condizione con quelle della seconda e faccio la
media; un voxel avrà una certa attivazione nella condizione sperimentale e un’altra in quella di
controllo, faccio un t-test per ogni voxel nel cervello e confronto le diverse attivazioni. Ottengo una
mappa statistica che indica in quale voxel del cervello la differenza tra le due condizioni sia
statisticamente significativa
7. Smoothing: posso stabilire un limite di tolleranza per la sede delle attivazioni; le attivazioni fanno
riferimento a regioni cerebrali in cui si verifica una differenza statisticamente significativa del segnale
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BOLD tra due condizioni. Posso chiedere di considerare l’attivazione di voxel molto attivi e vicini e da
questa mappa posso ottenere solo attivazioni consistenti e che quindi rappresentano un’unica sede di
attivazione, quindi pulisco le immagini e determino le aree implicate e osservo i voxel in cui è
significativa l’attivazione. Un’altra decisione dello sperimentatore è quella di settare il livello di
significatività e stabilire il livello di significatività che di solito è p<0.001; in questa maniera seleziono
solo i voxel che sono attivi in maniera molto significativa rispetto alla condizione di controllo. Tale
livello di significatività può essere anche abbassato e nell’eventuale articolo bisogna portare quale
livello si è stabilito; sostanzialmente con questo livello decidiamo quali aree fare vedere o meno e ciò
dipende dallo sperimentatore (settaggio della soglia di attivazione).
8. Correzione per multiple comparisons: correzione per confronti multipli
9. Inferenza statistica: porta all’acquisizione dell’immagine che mostra le aree attive durante un compito
Ci sono differenti disegni sperimentali con fMRI:
- disegni sperimentali blocchi: avrò tutti i trial della condizione sperimentale in un blocco e un blocco
diverso per tutti i pattern relativi alla condizione di controllo; analizzo la risposta cumulativa delle aree
cerebrali sui diversi blocchi: faccio la somma delle attivazioni causate del primo blocco, del secondo e
osservo la differenza. Siccome faccio la somma, tali disegni sono molto potenti perché permettono di
trovare differenze significative potenti ed è più facile trovare tale differenza significativa. La forza
dell’avere i blocchi è che gli item posso mandarli vicini gli uni agli altri perché non mi interessa
l’attivazione per l’item singolo (nel successivo la presentazione degli item deve essere invece più
separata).
- disegni sperimentali event-related: i trial relativi alla condizione sperimentale e di controllo sono
mischiati; in questo caso avrò la crescita di attivazione di ogni singolo trial con ampiezza minore
rispetto a quella precedente; questi studi sono meno potenti dei precedenti e quindi è più difficile
trovare una differenza tra condizione sperimentale e di controllo perché ogni item genera
un’attivazione più bassa rispetto a quella a blocchi. I pro di tali disegni di fMRI sono che è possibile
randomizzare le condizioni degli stimoli sperimentali; inoltre in questo caso posso fare il post hoc
sorting: posso vedere la singola attivazione rispetto a un trial di riferimento (nel precedente osservo
l’attivazione totale rispetto a 5 stimoli presentati ad esempio) e quindi osservo l’attivazione durante un
particolare stimolo e questo è utile soprattutto durante gli esperimenti di memoria (tale impostazione
permette di risalire agli item ricordati e rilevare le aree che si sono attivate: se il soggetto ricorda lo
stimolo “lavatrice” e non quello “orsacchiotto”, allora posso recuperare il livello di attivazione del
primo stimolo e vedere che aree si sono attivate); negli studi di gruppo il post hoc sorting non lo posso
fare, ma in questi sì perché ho la risposta specifica di ogni item che il soggetto ha codificato e questo è
un grande vantaggio necessario in diversi disegni sperimentali.
Vantaggi della fMRI:
- Poco invasiva: non si iniettano sostanze nel cervello ma ci si basa sulle proprietà magnetiche del
cervello
- ottima risoluzione spaziale (1-3 mm): distinguo l’attivazione cerebrale di aree molto vicine
Svantaggi:
- Segnale debole (variazione solo dell’1-4% rispetto alla condizione di riposo): non è facile ottenere
risultati significativi in tali studi; è più difficile trovare cluster di voxel significativamente attivi su più
soggetti e quindi è difficile trovare un’area significativamente attiva su più soggetti soprattutto ad
esempio sui giudizi morali
- Non misura direttamente l’attività neuronale (ma il flusso ematico nella zona attiva)
- Povera risoluzione temporale
- Sensibile a numerosi artefatti (movimenti della testa)
- Le attivazioni mostrano tutte le aree che partecipano ad un compito, non solo quelle critiche o
necessarie: questo è sia un vantaggio che uno svantaggio e dipende dal fatto che l’fMRI è una tecnica
di registrazione; l’inferenza che posso fare non è di tipo causale perché le aree attive non sono
necessariamente coinvolte nel processo, per stabilire questo devo fare uno studio lesionale (in cui
indago se effettivamente quell’area è implicata in quel processo cognitivo), quindi non da la possibilità
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di capire le aree cruciali in un. determinato compito. Allo stesso tempo facendo uno studio lesionale
guardo solo un’area e traccio il collegamento diretto tra processo e area, mentre nella fMRI visualizzo
tutte le aree implicate nel processo e posso avere una rappresentazione più completa del processo;
questo permette di avere nuove idee perché vedo nuove aree che si attivano rispetto agli studi
lesionali. Una volta stabilite tali aree attive posso fare studi lesionali ad hoc e fare nuovi studi.
Cosa aggiunge l’evidenza fMRI allo studio neuropsicologico precedente?
1. Conosco altre aree coinvolte e potenzialmente cruciali per svolgere un compito (e.g., frontale, parietale,
e memoria);
2. Conosco il network di aree che insieme partecipano allo svolgimento di un compito (alcuni nodi possono
essere cruciali, altri no);
3. Posso avere suggerimenti circa ulteriori componenti di un processo (e.g., se attiva PPC, probabilmente
richiede attenzione; i.e., inferenza inversa): ad esempio vedo il lobo parietale attivo nei compiti di
memoria e siccome esso è attivo nei compiti di attenzione, questo fa pensare al fatto che nei compii di
memoria devo prestare attenzione ai compiti interni; questo da un suggerimento sulla formulazione di
una teoria o di un modello
Esempio: false memorie
Sappiamo che nella maggior parte dei casi siamo sicuri delle nostre memorie vere, però in alcuni casi si può
essere sicuri di memorie che sono in realtà false (falsa memoria).
Nella maggior parte dei casi, l’accuratezza delle memorie e il grado di confidenza che abbiamo nelle nostre
memorie sono associati (siamo generalmente sicuri di memorie che sono in effetti accurate)
Delle volte, tuttavia, siamo sicuri della veridicità di memorie che in realta’ sono relative ad eventi mai
accaduti (vd. DRM).
Questo studio di Cabeza vede se ci sono delle aree che mediano la nostra sicurezza nelle memorie vere e
nelle memorie false.
I soggetti studiano gruppi di parole fortemente associate e durante il riconoscimento hanno parole diverse
ma collegate semanticamente alle parole viste.
Osserviamo le differenze nell’attivazione cerebrale per l’attività legata all’alta sicurezza e alla bassa
sicurezza durante il riconoscimento: osservano le aree attive quando il soggetto è più sicuro e quando lo è
meno. L’ippocampo è l’area molto attiva quando il soggetto è molto sicuro della parola vista.
Le aree che mediano la sicurezza nelle false memorie sono: aree ventrali laterali di PFC, che recuperano il
significato generale dell’informazione codificata, e fanno risultare familiari informazioni simili a quelle
studiate. Queste aree promuovono il falso riconoscimento.
Sono aree implicate in processi non di riconoscimento ma di familiarità: le parole che i soggetti scelgono e
che non sono state presentate prima, sono familiari a quelle presentate.
Il neuroimaging ci fa vedere che:
- ippocampo media le memorie vere: media un ricordo contestualizzato che permette di discernere
tra le parole
- aree parietali: mediano un senso generale di familiarità e conferiscono un senso di sicurezza alle
parole non studiate
Ci sono sistemi diversi che mediano la sicurezza nelle memorie vere (hippo: recollection) vs. false (PFC:
familiarita’).
Le aree che mediano il senso di dubbio vengono individuate dalla sottrazione per i trial in cui i soggetti sono
sicuri e in cui i soggetti sono insicuri: aree dorsolaterali di PFC che controllano la veridicità delle memorie
(più attive quando i soggetti sono meno sicuri delle loro memorie, servono a monitorare i prodotti mnestici:
vengono ingaggiate queste aree quando sono incerto delle mie memorie.
Quali sistemi mediano la confidenza nelle memorie vere vs. false?
Risultati:
- La sicurezza nelle memorie vere è sostenuta da MTL (lobo medio-temporale, tra cui ippocampo), che
recupera tracce di memoria altamente contestualizzate. Queste aree contrastano il falso
riconoscimento

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- La sicurezza nelle false memorie è mediata da aree ventrali laterali di PFC, che recuperano il significato
generale dell’informazione codificata, e fanno risultare familiari informazioni simili a quelle studiate.
Queste aree promuovono il falso riconoscimento
- Il senso del dubbio nelle proprie memorie è mediato da aree dorsolaterali di PFC. Queste aree
controllano la veridicità delle memorie. Gli studi di neuroimaging aggiungono il network completo
delle aree implicate in un determinato comortamento; con studi lesionali successivi posso testare tali
risultati.
Stimolazione magnetica transcranica: TMS
Cosa è? Tecnica neurofisiologica non-invasiva che permette di inibire l’attività di specifiche aree cerebrali.
Si basa sull’applicazione di un campo magnetico transiente sullo scalpo mediante uno stimolatore (coil);
breve impulso ad alta intensità. Il campo magnetico indotto attraversa lo scalpo e induce un campo
elettrico nel tessuto nervoso, viene così alterato il grado di attività di una regione cerebrale.
Il tessuto neurale sottostante al coil è soggetto ad un flusso di corrente che interferisce con l’attività
neurale.
E’ una tecnica molto buona per testare i risultati del neuroimaging.
Siccome il campo elettrico lo applico sullo scalpo, le aree inibite sono quelle più superficiali del cervello,
quelle immediatamente sotto lo scalpo.
Posso fare uno studio lesionale con la TMS e posso infatti studiare le lesioni attraverso tale tecnica.
Il campo elettrico “E” influenza il potenziale di membrana alterando la probabilità di un potenziale d’azione.
Possono essere registrate delle risposte macroscopiche per mezzo di:
1. EEG (attività evocata neurale)
2. PET, fMRI (flusso ematico e metabolismo)
3. EMG di superficie (attività evocata muscolare)
4. Comportamento (modulazioni della prestazione)
Dall’esempio visto il soggetto sta parlando, viene applicata la TMS sull’emisfero sinistro che serve a parlare
e il soggetto non riesce più a parlare perché viene alterato il grado di attività di questa regione specifica; il
soggetto riesce invece a cantare perché tale azione poggia più sull’emisfero destro.
La TMS può essere più o meno focale e l’inibizione di aree del cervello dipende dalla risoluzione spaziale: la
focalità della TMS è decisa dalla forma del coil (circolare a forma di 8).
Risoluzione spaziale: Forma del Coil: La geometria del coil determina la focalità del campo magnetico e
della corrente indotta - quindi la grandezza dell’area stimolata.
La forma focale permette di inibire aree specifiche, quella circolare invece permette di inibire aree più
estese
2 tipi di approccio:
1. Correlazionale: permette di capire se l’attività di un sistema neurale è associata all’esecuzione di un
task (e.g., stato funzionale del sistema motorio cortico- spinale); misuro i potenziali evocati motori
che sono i potenziali elettrici che si formano in un muscolo durante l’attività e questi potenziali
derivano dall’attività della corteccia motoria che arriva fino al muscolo
2. Causativo: permette di capire quanto l’area stimolata è necessaria per la corretta esecuzione di un
task (e studio della cronometria)
Esempio di approccio correlazionale:
Elettromiografo: apparecchio che permette la registrazione dell’attività elettrica muscolare.
Misura i potenziali elettrici che si formano in un muscolo durante la sua contrazione (MEP = motor evoked
potential).
Con stimolazioni TMS posso elicitare contrazioni della mano; la potenza dei potenziali evocati motori
dipende dalla stimolazione. Posso usare la TMS per capire quanto è attiva la corteccia motoria in
determinate condizioni sperimentali di un compito e posso capirlo da quanto la forza della stimolazione di
TMS arriva al muscolo corrispondente (ampiezza dei potenziali evocato motori che riesce ad elicitare).
Questi potenziali sono causati dalla depolarizzazione delle fibre muscolari in risposta all'arrivo di un impulso
elettrico alla sinapsi neuromuscolare (punto di contatto tra la terminazione di un nervo periferico e la
membrana di una fibra muscolare).

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Dei potenziali evocati motori (MEP) si misura:
- l’ampiezza, ovvero quanto sono alti
- area sotto la curva per stimare la forza
- la latenza, ovvero dopo quanto si verificano.
Quello che interessa è capire se una determinata stimolazione è capace di influenzare l’eccitabilità della
corteccia motoria; è stato visto che quando vedo movimenti impossibili, viene inibita la corteccia motoria
che codifica quel movimento impossibile.
Questo è stato visto proprio attraverso questo metodo: si mandano impulsi di TMS e si registra la forza dei
potenziali evocati; se è vero che vedere delle immagini di movimenti impossibili, inibisce il muscolo
specifico che riguarda quei movimenti impossibili, allora devo trovare che mandando lo stesso impulso di
TMS mentre il soggetto guarda immagini impossibili e possibili, determina nel muscolo interessato dei
potenziali evocati motori di ampiezza diversa. Tali potenziali devono essere ridotti dalla visione di azioni
impossibili e questo è stato trovato: l’attivazione di movimenti impossibili evocava potenziali evocati motori
minori rispetto alla visione di movimenti possibili e inoltre i muscoli adiacenti avevano potenziali più elevati.
Quindi se in seguito alla manipolazione sperimentale (visione di azioni impossibili), il MEP che posso
elicitare aumenta in ampiezza significa che quello stimolo ha aumentato l’eccitabilità della corteccia
motoria; viceversa se la visione di azioni impossibili riduce in ampiezza il MEP allora è vero che la visione di
azioni impossibili riduce l’attività corticale relativa alla rappresentazione del muscolo interessato da questo
movimento. Quindi riesco a capire come il sistema viene modulato attraverso la manipolazione
sperimentale.
Altro esempio di questo studio: è stata data una dimostrazione del sistema mirror nell’uomo: vedere
un’azione produce un’eccitabilità del sistema cortico-spinale specifico dei muscoli coinvolti in quell’azione e
quindi se il soggetto vede un’azione possibile che coinvolge un muscolo, allora se vengono mandate
stimolazioni di TMS sulla corteccia motoria relativa a questo muscolo, si è capaci di elicitare MEP maggiori
rispetto a quando l’azione non coinvolge quel muscolo. Sistema mirror: vedere l’azione dell’altro elicita
l’attivazione delle cortecce relative a quelle stesse azioni nel mio sistema motorio.
Quindi questi risultati sono stati visti con l’approccio correlazionale allo studio dei MEP.
Esempio di approccio causativo:
Approccio causativo: interferire con l’attività neurale di un’are durante un task e vederne gli effetti.
Attraverso tale approccio si inducono lezioni virtuali e dei soggetti sani si comportano come pazienti che
hanno lesioni in quell’area, si creano quindi dei pazienti virtuali; il vantaggio è che avendo un soggetto
essendo sano non ci sarà una riorganizzazione funzionale. Inoltre un altro vantaggio: gli effetti che vedo
possono essere attribuiti con maggiore certezza a quell’area specifica.
Lo svantaggio è che non si possono inibire aree profonde del cervello.
Con la TMS possiamo fare studi sulla cronometria dei processi mentali; ovvero possiamo rispondere non
solo a se un’area è necessaria per un comportamento ma anche quando durante un comportamento
quest’area diventa necessaria. Posso dare stimolazioni sia offline (inibendo un’area prima che il soggetto
faccia un determinato compito) che online (inibire un’area mentre il soggetto compie uno specifico aspetto
del compito).
Per fare una stimolazione di TMS devo innanzitutto localizzare il sito di attivazione attraverso una rewiev di
neuroimaging; vedo che un compito attiva una specifica area. A questo punto colloco il coil ovvero lo
stimolatore di TMS proprio su quest’area e posso applicare diversi tipi di stimolazione (offline e online):
- Low frequency TMS (circa 1Hz) off-line: Un impulso al secondo (1Hz) sull’area per circa 15-30
minuti; subito dopo: esecuzione del task (senza TMS). Effetti di cambiamento sull’eccitabilità di
quell’area ce li ho per i 15-30 minuti successivi; durante questi minuti facci fare al soggetto il
compito e il paziente si comporterà come uno che ha una lesione e successivamente a questi minuti
tornerà normale
Effetti plastici transitori di riduzione di eccitabilità dell’area stimolata per un periodo di qualche
minuto (< 30 min): lesione virtuale
- High frequency TMS (circa 5-30Hz) off-line: Treno di impulsi di breve durata (in genere 2-10
stimoli) ripetuto diverse volte a intervalli regolari (in genere meno di 1 minuto). Subito dopo:
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esecuzione del task. Effetti transitori di aumento dell’eccitabilità dell’area stimolata per qualche
minuto (< 60 min); quindi posso aumentare l’attività di un’area cerebrale per un tempo limitato.
…. posso fare una stimolazione online ovvero mentre il soggetto fa un compito ….
- TMS ripetitiva (rTMS) online: Treno di impulsi di breve durata (in genere 2-10 stimoli) e frequenza
variabile (range 5-30Hz) durante l’esecuzione del compito. Introduzione di un “rumore” nel
funzionamento dell’area mentre questa sta lavorando. Funzione compromessa per periodo di
stimolazione (centinaia di millisecondi); posso interferire con la codifica selettiva di gruppi di parole
ad esempio, quindi posso decidere quanto intervenire su un processo cognitivo.
- TMS a singolo impulso online (single pulse TMS): Singoli impulsi a diversi timing e molto intensi (ad
esempio a diversi intervalli temporali dalla somministrazione di uno stimolo visivo). Introduzione di
un “rumore” per un tempo molto ridotto; distruggo l’attività dell’area solo per periodi brevi. In
questo senso riesco a fare studi cronometrici e stabilire in quale preciso momento l’area stimolata
è necessaria. Posso disegnare l’architettura temporale di quella funzione cognitiva: capire quando
in quel processo sono necessarie determinate aree e capsico la temporalità di quel processo.
Molto spesso: Prima si stabilisce se una certa area è necessaria per l’esecuzione di un compito mediante
TMS (larga finestra temporale). Poi si esegue uno studio di mediante single-pulse per stabilire in quale
intervallo temporale e per quale processo tale area è necessaria.
L’uso della TMS prevede l’avere un gruppo di controllo (stimolazione sham) e un gruppo sperimentale
(stimolazione vera); sui soggetti di controllo si fa una stimolazione “sham”, ovvero il soggetto crede di
essere stimolato o inibito realmente ma in realtà tale stimolazione non avviene.
Vantaggi di TMS
- Possibilità di stabilire un legame causativo tra attività di un’area e comportamento (Lesione virtuale
transitoria): Vantaggio delle lesioni virtuali sulle lesioni reali
- Ottima risoluzione temporale (accuratezza circa 1 msec): permette di capire quando un’area nel
comportamento diventa cruciale. Posso fare lesioni online: conoscere quando quell’area è specifica
e utilizzata per un compito; capisco quale interferenza disturba il compito e quindi in quale fase
l’area è necessaria. Quindi si dice che la TMS permette lo studio della cronometria dei processi
mentali: capire quando durante i processi mentali, un’area entra in gioco -> maggiore risoluzione
temporale
- Buona risoluzione spaziale (0,5-2cm)
- MEPs: Misura diretta dell’eccitabilità del sistema motorio corticospinale (mappatura di singoli
muscoli a livello della corteccia motoria primaria).
Svantaggi:
- Può essere distraente o fastidiosa per il soggetto
- non si possono inibire aree profonde, come ippocampo, vmPFC
Esempio delle false memorie
La genesi delle false memorie nel DRM (paradigma visto all’inizio) necessita dell’attivazione del GIST (tema
generale) semantico delle liste durante l’encoding.
La parte anteriore dei lobi temporali di sinistra (LATL) è importante per la memoria semantica.
Pazienti con demenza semantica perdono la capacità di elaborare contenuti semantici, mentre spesso
attributi specifici restano preservati (es. Cane vs. Toby).
Avere una memoria semantica funzionante è necessaria per sviluppare le false memorie e per avere una
conferma di questo gli studiosi inibiscono la parte anteriore dei lobi temporali; se inibisco la corteccia
temporale sinistra dovrei diminuire i falsi riconoscimenti nel paradigma: faccio meno false memorie quando
viene inibita la corteccia temporale (senza essa non riesco ad estrarre il tema funzionale delle parole e
quindi quando vengono presentate parole non studiate non estraggo il valore semantico).
Due gruppi di soggetti:
- nel primo i soggetti studiano 3 liste di item associati, poi hanno una stimolazione sham (quindi falsa
stimolazione) e un compito di riconoscimento con item simili. Poi in una seconda fase studiano
altre parole, poi viene fatta la TMS (stimolazione vera) quindi inibizione dell’area e alla fine devono

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dire gli item che erano stati presentati. Ci si aspetta che nella prima fase i falsi riconoscimenti siano
meno della seconda condizione
- nel secondo gruppo i soggetti studiano 3 liste di parole, fanno attività distraenti e fanno il compito
di riconoscimento. Nell’altra fase studiano 3 liste, fanno altre attività e fanno il compito di
riconoscimento
si vede che nel primo gruppo si osserva che c’è una diminuzione dei falsi riconoscimenti: dalla fase in cui
non c’è stata inibizione dell’area a quella in cui c’è stata inibizione, c’è diminuzione dei falsi riconoscimenti.
Il controllo between serve ad escludere che il calo dei falsi riconoscimenti non dipenda da altri fattori come
la familiarità.
Quindi si ha una riduzione di false memorie con TMS to LATL dopo l’encoding.
Quindi si distruggono questi processi post-encoding che permettono di estrarre o consolidare il gist (tema
semantico) della lista.
Questo conferma che la LATL è necessaria per produrre false memorie.
Cosa aggiunge la TMS alle Neuroscienze Cognitive?
- “Pazienti Virtuali”: permette di compiere un link causale tra attività cerebrale e comportamento;
- I pazienti virtuali sono “migliori” dei pazienti reali, più preservati a livello di funzionamento
cognitivo generale e soprattutto mi permettono la cronometria del comportamento
- “Cronometria”: analisi temporale del contributo di attività focali del cervello al comportamento;
faccio codificare gli item quando è ancora integro dal punto di vista funzionale, poi applico la TMS e
poi faccio fare il compito di riconoscimento

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Elettroencefalografia: EEG
Le tecniche di Registrazione diretta registrano direttamente l’attività neuronale del cervello.
Alcune metodiche consentono di registrare l'attività elettrica del cervello che risulta dall'attivazione
neuronale o dai campi magnetici indotti da quell'attività elettrica.
Negli animali, possiamo posizionare gli elettrodi direttamente nelle o sulle cellule e determinare quali tipi di
stimoli provocano una scarica cellulare.
Nell'uomo, in genere registriamo l'attività elettrica sommata di molti neuroni.
Rispetto alle altre tecniche di neuroimaging funzionale, le misure dell’attività elettrica nell’uomo (incluso
EEG, ERP e MEG) sono poco efficaci nell’identificare dove si sta svolgendo l'attività nel cervello (scarsa
risoluzione spaziale).
Tuttavia, questi metodi forniscono una misura accurata dell'attività cerebrale nel tempo, millisecondo per
millisecondo (l’attività cerebrale si sviluppa nell’ordine dei millesecondi), e offrono quindi la migliore
risoluzione temporale disponibile dell'attività cerebrale. Queste metodiche sono completamente non
invasive perché si limitano semplicemente a una registrazione.
Quindi sappiamo quando avviene il fenomeno nel tempo ma non sappiamo bene dove quindi bisogna fare
convergere più studi per studiare il funzionamento di un processo.
Con queste si studia l’attività diretta dei neuroni, non si studia il flusso ematico che è indice dell’attività
nervosa; quindi si considera e studia direttamente l’attività delle cellule.
Esistono diverse tecniche tra cui troviamo l’EEG, gli ERP e la MEG.
EEG: costituisce una misura globale dell’attività elettrica spontanea cerebrale.
Grazie a questa tecnica si può notare ad occhio nudo l’attività cerebrale.
Le onde quando uno si rilassa aumentano nel tempo e diventano meno frequenti quindi sono più staccate
tra di loro. Le onde alfa sono preparatorie al sonno, poi si passa alle onde theta per giungere infine a quelle
delta. È basato sui ritmi cerebrali l’EEG.
Queste onde rappresentano l’attività composta di tutti i neuroni (attività neuronale media; attività elettrica
corticale).
L’attività neuronale viene rilevata attraverso gli elettrodi, il cui sistema di riferimento internazionale è
quello 10-20: la distanza tra un elettrodo e l'altro è sempre il 10 o il 20% della lunghezza totale della linea.
Ciascun elettrodo è definito rispetto:
- all’ area cerebrale sottostante (F = frontale, P = parietale, C = ‘centrale’ per il vertice, T = temporale,
O = occipitale)
- alla linea mediana (numero pari per elett. destri, dispari per elett. sinistri, z per elett. mediani). Ad
es, F3 indica un elettrodo frontale sinistro, Cz un elettrodo centrale mediano.
Tutti gli elettrodi sono collegati ad un comune elettrodo di riferimento (ad es, posto sull’orecchio o sulla
guancia). Infatti, ciascun elettrodo registra la differenza di potenziale tra il sito cerebrale sottostante e
l’elettrodo di riferimento.
L’EEG valuta:
- attività spontanea (ritmi)
- attività evocata (potenziali evocati: ERP)
Analisi quantitativa: l’analisi di frequenza (o analisi spettrale). Si parte dal segnale EEG registrato su diversi
canali: segnale caratterizzato da ampiezza e frequenza.
Quanto è presente un certo ritmo (ad es. alpha, theta, delta) all’interno del segnale, e cioè nell’attività
neurale del soggetto? i ritmi sono caratterizzati da da Ampiezza (voltaggio) e Frequenza; passando dallo
stato di veglia a quello di sonno e coma, le onde EEG diventano progressivamente
più ampie e meno frequenti.
Potenziali evento-correlati (ERP): rappresentano attività elettrica cerebrale associata ad uno specifico
evento.
Gli ERP sono modificazioni del segnale EEG (variazioni del potenziale elettrico) associate ad un evento
esterno (ad es., visivo, somestesico o uditivo), ad un atto motorio iniziato dal soggetto, o ad un evento
mentale (interno al soggetto, ad es. prestare attenzione ad una modalità sensoriale).
Studio l’attività elettrica legata a uno stimolo (esempio stimolo visivo o tattile o acustico).

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Gli ERP registrati dallo scalpo riflettono l’attività elettrica neuronale all’ interno del cervello.
Tale attività riflette i processi nervosi sensoriali, motori e/o cognitivi, correlati allo stimolo.
Gli ERP sono delle modificazioni dell’attività elettrica cerebrale spontanea (di pochi μV, in genere 2-5 μV)
sincronizzate con un evento definibile sperimentalmente, es:
1. il momento di inizio di uno stimolo sensoriale (come i PE sensoriali)
2. Il momento di inizio di un movimento o la preparazione ad un movimento (potenziali motori)
3. Oppure possono essere legati a un processo cognitivo (es. detezione di un errore).
Quindi gli ERP riflettono processi:
1. processi sensoriali evocati dallo stimolo fisico;
2. attività neuronale legata alla preparazione a ricevere uno stimolo o a rispondere (potenziali
emessi);
3. Processi cognitivi che dipendono dal compito in cui il soggetto è impegnato.
EEG: variazioni del potenziale elettrico registrate sullo scalpo, la cui ampiezza varia da -100 a + 100 mV (in
media 50 mV, e la cui frequenza raggiunge 40 Hz (Hz = numero di cicli al secondo) o più.
ERP: risposte cerebrali (misurate come variazione del segnale EEG) di pochi mV (in genere 2-5 mV) ‘legate
nel tempo’ (time-locked) allo stimolo.
Gli ERP riflettono processi “evocati” dallo stimolo fisico o da elaborazioni cognitive
Estrazione del segnale ERP: Gli ERP rappresentano l’attività media EEG che si registra in concomitanza alla
stimolazione e al compito motorio o cognitivo somministrato al soggetto.
Il singolo PE indotto da uno stimolo è un segnale molto piccolo (dell’ordine di pochi μV), mascherato
dall’attività globale del cervello (ritmi EEG, dell’ordine di decine di μV) e deve essere estratto dal rumore di
fondo per risultare visibile.
Questa operazione di estrazione avviene grazie ad un processo detto di AVERAGING (average = media).
Tecnica dell’Averaging
Per estrarre il debole segnale ERP dal rumore di fondo (‘noise’) dell’EEG è comunemente usata la tecnica
dell’Averaging (average = media).
Consiste nel:
- Registrare numerose volte (fino a 100 ripetizioni) l’EEG dopo la presentazione dello stimolo;
- fare la media (averaging) delle diverse ripetizioni;
- poichè l’EEG di fondo varia in modo casuale, esso tende a zero nella media.
- il segnale ERP, che è time-locked allo stimolo (ovvero temporalmente legato alo stimolo), emerge
dal rumore di fondo all’ aumentare delle ripetizioni;
- il rapporto segnale/rumore di fondo aumenta in funzione della radice quadrata del numero di
ripetizioni.
Le onde componenti il segnale ERP sono contraddistinte da:
- una lettera N o P, che ne indica la polarità (N se il picco è rivolto in alto, P in basso);
- un numero, che ne indica la latenza.
Ad esempio, l’onda P3 o P300 rappresenta un’onda a polarità positiva (picco rivolto in basso) e latenza di
circa 300 msec.
Studio millisecondo per millisecondo come si sviluppa il segnale attraverso la media.
Le componenti ERP si distinguono in precoci e tardive
Componenti Precoci o Esogene
- Le componenti con latenza < 50 –100 msec sono dette esogene e compaiono obbligatoriamente.
Riflettono le caratteristiche fisiche dello stimolo (intensità, frequenza, modalità sensoriale).
- Modificazioni, anche minime, degli ERP sensoriali sono segno di patologia nervosa (ad es, sclerosi
multipla).
Le componenti esogene sono utili per determinare se un dato disordine neuropsicologico sia attribuibile o
meno a un deficit sensoriale.
Ad es., pazienti cerebrolesi destri affetti da negligenza spaziale unilaterale hanno ERP precoci normali a
stimoli visivi e somatici, nonostante non siano in grado di percepire e riportare tali stimoli in modo
consapevole.
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Questo dato è a favore dell’ipotesi che il neglect non è un disturbo sensoriale elementare.
Componenti Tardive o Endogene
- Sono definite endogene (latenza > 100 msec);
- Non sono necessariamente obbligatorie;
- Riflettono soprattutto l’elaborazione e i processi cognitivi (set mentale) del soggetto;
- Dipendono meno (o per nulla) dalle caratteristiche fisiche (sensoriali) dello stimolo.
- Sono le più interessanti per le neuroscienze cognitive.
I potenziali possono essere tardivi o precoci in base all’attenzione e alle capacità del soggetto se il soggetto
non presta attenzione avremo un ERP tardivo; lo stimolo arriva e quindi i potenziali evocati esogeni ci sono,
il sistema funziona, ma il problema è l’attenzione quindi devo fare un’operazione cognitiva. Dipende da
quanto il soggetto è attento.
Oltre a problemi di attenzione ci possono essere problemi legati a malattie come la sclerosi multipla.
Quando lo stimolo è atteso, l’attenzione è maggiore e aumentano gli ERP (potenziali evocati maggiori).
P300
La P300 è una componente ERP endogena (si osserva anche in assenza di stimolo) che compare in risposta
a stimoli rilevanti (stimoli target) ma rari.
Siamo a 300 ms dopo la presentazione dello stimolo.
Il classico paradigma per evidenziare la P300 è l’ ‘oddball task’, compito in cui il soggetto è istruito a
rispondere al più raro di una serie di stimoli.
L’ampiezza della P300 è maggiore quanto è minore la probabilità di comparsa dello stimolo. Inoltre, la sua
latenza è funzione del tempo necessario per analizzare lo stimolo.
La P300 rifletterebbe il cambiamento o l’aggiornamento del modello interno con cui il soggetto svolge il
compito e interagisce con gli stimoli esterni.
La P300 viene generata ogni qualvolta il soggetto aggiorna la propria rappresentazione mentale del compito
che si trova a svolgere.
Si tratta di un fenomeno elettrofisiologico che si colloca al termine di una complessa sequenza di
elaborazione cognitiva, attivata dal paradigma di stimolazione e conclusa periodicamente dalla
presentazione dello stimolo significativo.
La P300 adempie ad una funzione specifica nell’organizzare i processi cognitivi, segnalando che una parte di
operazioni cognitive è stata completata (con la detezione dello stimolo) ed un’altra parte deve essere
iniziata.
La P300 indicherebbe il mantenimento in memoria dei processi cognitivi necessari per la preparazione ad
elaborare stimoli successivi.
N400
Un’altra onda tardiva è N400.
Segnala che il soggetto ha colto una incongruenza lessicale o semantica (esempio: parola che non c’entra
nulla con la frase).
Il cervello registra l’errore.
La componente N400 degli ERP è un indice di incongruenza semantica. Ai soggetti è presentata una frase la
cui ultima parola è congruente o meno con il significato della frase:
Mi piace bere il tè con zucchero e limone.
Mi piace bere il tè con zucchero e calza.
La N400 si osserva anche quando figure anomale (o incongruenti) sono mostrate durante l’ascolto di una
frase, o quando la frase presenta una violazione sintattica.
I bambini è andato a scuola
Fenomeni di altissimo livello: elaborazione altissima dello stimolo.
Il soggetto è quindi lievemente sorpreso al sentire questa tipologia di frase. L’errore di predizione si chiama
anche sorpresa ovvero ogni tanto c’è un evento che non corrisponde a ciò che ci aspettavamo.
Error-related Negativity
Polarità negativa, latenza circa 100ms.

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Compare quando si commettono errori e/o quando si riceve un feedback negativo circa la propria
prestazione. Riflette l’attività della corteccia cingolata anteriore (ACC)

Vantaggi e Svantaggi degli ERP


- Ottima risoluzione temporale (accuratezza circa 1 msec)
- Basso costo e semplicità della tecnica
- Molte componenti ‘periferiche’ e ‘centrali’ degli ERP sono note (P300, N400)
- Poco invasivi
Svantaggi:
- Risoluzione spaziale molto povera
- Necessità di numerose prove per estrarre i potenziali
- Numerosi artefatti, soprattutto dovuti ai movimenti oculari
(ammiccamento) e allo stato di tensione muscolare della mandibola.

Gli ERP registrati sullo scalpo sono correlati in modo complesso alle strutture nervose sottostanti (una
deflessione registrata da un elettrodo parietale non necessariamente è riconducibile all’attività di neuroni
nel lobo parietale).
Tuttavia, esistono modelli matematici che tentano di correlare ERP registrati in superficie (scalpo) e sedi di
attivazione all’interno del cervello, producendo delle mappe di attivazione come quelle mostrate in figura
(source analysis).

Cosa ci dice uno studio ERP più che l’evidenza neuropsicologica o da fMRI?
Informazione temporale. Sapere a che punto di un processo una area entra in gioco, o si ha una transizione
da una sottocomponente del processo ad un’altra, contribuisce sostanzialmente al disegno della
architettura funzionale del processo.
NB! Possibilita’ di associare ERP a studi neuropsicologici, di fMRI, e anche di TMS.

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Attenzione
Che cos’è l’attenzione? Funzione cognitiva che regola l’attività dei processi mentali filtrando
(selezionando) le informazioni provenienti dall’ambiente (esterno ed interno) allo scopo di emettere
risposte comportamentali adeguate.
Permette di selezionare le informazioni rilevanti per i nostri scopi e quindi è una funzione cognitiva che
permette il filtraggio. Tale tipo di selezione avviene in due modi: possiamo essere concentrati e dirigere
volontariamente le risorse attentive sul compito (adattare il comportamento in funzione dei nostri fini)
oppure adattare il comportamento a una stimolazione esterna.
Le modalità in cui l’attenzione selezione le informazioni sono due:
1. top-down: tale meccanismo permette di passare dai miei scopi alla stimolazione esterna, quindi dai
miei scopi selezione volontariamente gli stimoli esterni. Questi meccanismi sono stati connessi al
concetto di template attenzionale: è la descrizione o rappresentazione dell’informazione o
dell’oggetto per noi rilevante in quel momento; è presente nella memoria di lavoro del soggetto e
può essere usata per dare un vantaggio competitivo a quegli oggetti che corrispondono a tale
rappresentazione. Il template rappresenta le caratteristiche dell’oggetto per me rilevante: in questo
caso si dice che ho orientato la mia attenzione in maniera top-down, è un orientamento volontario
dell’attenzione. Uso informazioni in anticipo per settare l’idea rilevante
Esempio: cerco la macchina in un parcheggio; dirigo la mia attenzione verso la parte nord del
parcheggio in modo che quegli stimoli sono selezionati: ristringo il mio campo di ricerca perché uso
una descrizione a priori per aiutarmi nel compito di ricerca e mi do un bias di priorità; ho delle
informazioni in anticipo e posso disegnare un template dell’oggetto
2. bottom-up: la stimolazione è saliente e si impone e ruba risorse al processamento corrente e
diventa preminente nel soggetto. Questi meccanismi rispondono a disposizioni innate e quindi il
sistema cognitivo viene dirottato su informazioni al di fuori del focus attentivo ma che ha
caratteristiche di salienza per cui attira su di sé risorse attentive. Tale meccanismo consente il
rilevamento automatico un particolare stimolo. Stimoli intrinsecamente salienti si impongono alla
nostra coscienza senza che noi avessimo cercato volontariamente la nostra informazione
Esempio: cerco la macchina nel parcheggio e vago a caso finchè la visione della macchina cattura la
mia attenzione
questi due meccanismi hanno sistemi volontari dedicati.
Uno studio di Corbetta, che ha usato il compito di Posner, ha evidenziato i due meccanismi differenti
sottostanti all’attenzione top-down e bottom-up.
Abbiamo un tiral che è anticipato da un cue; durante la fase cue è ingaggiata l’attenzione top-down (perché
abbiamo un’informazione iniziale, un template) e i soggetti si fidano del segnale del cue e dirigono
l’attenzione volontariamente dalla parte suggerita dal cue. La fase target è la fase dell’attenzione bottom-
up: compare lo stimolo ed esso cattura l’attenzione; tale attenzione è ingaggiata massimamente quando il
target arriva dopo un cue invalido: rioriento la mia attenzione da un lato dello schermo a cui non avevo
diretto attenzione originariamente (rottura dell’aspettativa iniziale e riorientamento). Lo stimolo attrae
risorse attentive su un emi-spazio non selezionato inizialmente.
Quindi corbetta ha studiato i correlati neurali con l’attenzione sulle fasi cue e target per capire se ci siano
sistemi neurali distinti che medino i diversi meccanismi (neuroimaging):
- il lobo parietale superiore è più attivo per le fasi top-down: attivo mentre i soggetti dirigono
l’attenzione volontaria sul cue, mentre è meno attivo (tale lobo) durante la comparsa dal target.
- il lobo parietale inferiore è più attivo per le fasi bottom-up: non attiva durante la fase cue
(attenzione volontaria) e attiva quando compare il target (attenzione richiamata sullo stimolo in
maniera automatica). Tale attenzione si esplica soprattutto quando faccio la detezione del target
dopo un cue non valido. Corbetta osserva la detezione di target che seguono cue validi che invalidi:
sia il lobo parietale inferiore di destra che di sinistra sono più attivi quando il target arriva dopo un
cue invalido che quando dopo un cue valido; queste differenze è molto più marcata per l’emisfero
di destra: la giunzione temporo-parietale di destra è un’area del lobo parietale inferiore che è
significativamente più attiva quando i soggetti fanno la detezione di un target che segue a un cue
invalido rispetto a un target che segue a cue valido
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Dal punto di vista dell’attenzione top-down è sia l’area del lobo parietale superiore di destra che di sinistra
che dirige l’attenzione volontaria in direzione della direzione della freccia; l’attenzione bottom-up, invece, è
soprattutto dispiegata dal lobo parietale inferiore di destra e quindi per stimoli che arrivano a sinistra e che
seguono un cue invalido.
Quindi:
- SPL (lobo parietale superiore, in particolare IPS, ovvero il solco intraparietale): media lo
spostamento volontario dell’attenzione verso informazioni rilevanti
- IPL (lobo parietale inferiore, in particolare TPJ, ovvero giunzione tempo-parietale di destra): riflette
la cattura attentiva automatica provocata da informazione intrinsecamente saliente, ma fino a quel
momento fuori dal focus attentivo.
La TPJ è stata definita come circuit-braker; Funzione di circuit-breaker: riorienta l’attenzione su
informazione rilevante ma precedentemente fuori dal focus attentivo. Il soggetto ha settato l’attenzione su
un emi-spazio, ma se arriva l’informazione sull’altro, la TPJ riorienta l’attenzione sullo spazio in cui c’è il
target (giunzione temporo-parietale di destra che risponde maggiormente a target che arrivano dopo un
cue invalido rispetto a quello valido: è la sede dell’attenzione bottom-up).
Il lobo parietale superiore ed inferiore, non fanno il lavoro dell’attenzione da soli ma sono inseriti in reti
neurali distribuite che mediano l’attenzione top-down e quella bottom-up. In particolare l’attenzione top-
down è mediata dal circuito fronto-parietale superiore (oltre al lobo parietale superiore); invece
l’attenzione bottom-up prevede la collaborazione della corteccia pre-frontale ventrale.
Quindi ci sono due aree che collaborano nel mediare l’attenzione:
- SPL e frontale superiore mediano l’attenzione top-down
- IPL e frontale inferiore mediano l’attenzione bottom-up
Neglect: negligenza spaziale unilaterale
La sindrome neupsicologica per eccellenza dell’attenzione è il neglect.
I Pazienti non considerano e non rispondono a stimoli (visivi, uditivi, tattili) nello spazio controlesionale,
in assenza di deficit sensoriali di base.
I soggetti hanno una Lesione lobulo parietale inferiore destro che implica un neglect sinistro (non riportano
stimoli che arrivano da sinistra); questa negligenza può riguardare diversi distretti dell’emicampo di sinistra:
- neglect extrapersonale: non vedo oggetti a sinistra
- neglect personale: negligo informazioni personali che provengono da sinistra; ad esempio
disconosco il mio braccio sinistro
- neglect motorio: esempio non muovo il braccio sinistro
- neglect ipodirezionale: il soggetto non si muove verso sinistra
per la fenomenologia tale disturbo può ricordare i disturbi sensoriali perché c’è una decurtazione della
rappresentazione dell’ambiente; ad esempio soggetti con emianopsia non vedono la parte sinistra dello
spazio.
Tuttavia con accorgimenti sperimentali possiamo vedere la differenza
- la lesione di destra porta a non riportare gli stimoli presentati a sinistra sia nei pazienti con neglect
che in quelli con emianopsia
- se facciamo ruotare il paziente con neglect, i tempi di reazione per gli stimoli presentati a sinistra si
velocizzano; il soggetto con emianopsia continua a non riportare gli stimoli a sinistra
- dimostrazione: il neglect non è un problema percettivo ma è un disturbo qualitativamente diverso:
è un problema nel dirigere l’attenzione nella parte sinistra relativamente alle proprie coordinate
- la differenza tra neglect ed emianopsia: nel neglect non c’è consapevolezza dell’esistenza dello
spazio sinistro, il soggetto non concepisce lo spazio a sinistra; il soggetto con emianopsia non
percepisce lo spazio di sinistra
- il soggetto con neglect non scrive nella parte sinistra, non mangia la parte a sinistra nel piatto,
riporta solo informazioni sulla destra di uno stimolo; se deve bisecare una linea, negligendo la parte
sinistra, sposterà il punto medio più a destra
- test di Albert: cancella le linette e il soggetto con neglect cancella solo quelle sulla destra

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- l’idea che ha di un concetto viene decurtato della parte sinistra: nel disegno spontaneo il soggetto
neglige la parte sinistra della rappresentazione mentale (disegna solo la parte destra dell’orologio)
- incapacità di rappresentarsi lo spazio di sinistra
il neglect può riguardare lo spazio esterno e il soggetto non presta attenzione agli oggetti a sinistra, ma può
riguardare lo spazio personale, coincidente con la superficie corporea: i soggetti si radono solo a destra, si
infilano solo indumenti a destra.
l neglect può interessare materiale verbale: La dislessia da neglect (Ellis, Flude & Young, 1987); non
prestano attenzione alla parte sinistra della parola (autocarro lo leggono carro) o possono fare delle
sostituzioni.
Il lobo parietale inferiore di destra è quello maggiormente leso nei soggetti con neglect; altri lo
attribuiscono a un’area più bassa: solco parietale superiore.
Il neglect può conseguire sia a lesioni del lobo frontale che di quello parietale.
Estinzione
Sindrome legata al neglect; è un deficit attentivo leggermente diverso dal neglect.
Incapacità di prestare attenzione a informazione controlesionale in presenza di simultanea informazione
ipsilesionale: c’è una competizione di risorse attentive tra i due emicampi.
Esempio:
- se presentiamo qualcosa a destra dice destra
- se presentiamo qualcosa a sinistra dice sinistra
- se presentiamo qualcosa sia a destra che a sinistra dice destra
Riguarda diverse modalità sensoriali (eg, visione, udito, tatto).
Esiste l’estinzione tattile: il soggetto omette l’informazione proveniente da sinistra quando viene toccato sia
a destra che a sinistra.
La competizione attentiva può essere cross-modale: il paziente ignora stimolo tattile a sinistra se viene
inviato contemporaneamente stimolo visivo a destra (scoperta di Di Pellegrino).
Sistemi di coordinate multipli
Il neglect può colpire sistemi di riferimento diversi: riferito a coordinate personali (destra e sinistra riferiti
alla linea mediana del soggetto) o neglect riferito alla linea mediana dell’oggetto
Quindi il settore di spazio disturbato dal neglect può essere relativo a coordinate egocentriche,
allocentriche, o ad una commistione di sistemi di riferimento (coordinate egocentriche o allocentriche), e
può colpire selettivamente lo spazio vicino e lo spazio lontano.
Sistema egocentrico: destra e sinistra sono definite in base all’asse della testa, del tronco, alla direzione
degli occhi. Deriva da lesioni parietali
Sistema allocentrico: destra e sinistra non dipendono dalla posizione dell’osservatore, ma da proprietà
intrinseche dello stimolo. Deriva da lesioni temporali superiori
A seconda della sede lesionale, il neglect può colpire sistemi egocentrici o allocentrici.

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Neglect: Interpretazioni
Quali sono le interpretazioni date?
- Il neglect è un disturbo sensoriale e percettivo
- Il neglect è un disturbo delle rappresentazioni spaziali
- Il neglect è un disturbo dell’attenzione spaziale
Ipotesi sensoriale-percettiva
La prima ipotesi è l’Ipotesi sensoriale-percettiva (De Renzi, 1982): Il lobo parietale destro serve per
l’integrazione di informazioni sensoriali provenienti dallo spazio corporeo ed extracorporeo.
Deficit di mancata sintesi di dati sensoriali controlesionali.
Diverse prove suggeriscono che tale ipotesi sia errata:
- pazienti con deficit sensoriali anche gravi possono non mostrare neglect: il problema non è
percettivo ma dovuto all’attenzione che si orienta rispetto alle proprie coordinate.
- se si invitano i pazienti a dirigere l’attenzione verso l’emispazio negletto, il deficit migliora: possono
riportare informazioni che prima non riuscivano a riportare; questo evidenzia una sorta di
dissociazione nella compromissione dei sistemi di attenzione bottom-up rispetto a quelli top-down
- Esiste il neglect rappresentazionale: neglect che colpisce le rappresentazioni spaziali e non i
percetti; alcuni dei sintomi del neglect si trasferiscono dai percetti alle immagini mentali
Neglect rappresentazionale
La rappresentazione evocata dalla memoria di un’immagine o di un luogo noto subisce un’amputazione
sinistra simile a quella che si manifesta per lo spazio visivo esterno (Bisiach & Luzzatti, 1978: esperimento
del duomo di Milano). I soggetti dovevano assumere una prospettiva faccia al duomo o una prospettiva di
spalle e viene richiesto di riportare tutti gli oggetti.
Nella prospettiva faccia al duomo i pazienti riportano tutti gli elementi sulla destra della piazza e omettono
quelli sulla sinistra; successivamente veniva chiesto di mettersi nella prospettiva spalle al duomo
(prospettiva contraria): erano capaci di rievocare tutti gli elementi prima negletti, perché in questa
condizione cadono nello spazio di destra.
Di fatto il soggetto è capace di rievocare tutti gli elementi presenti nella piazza se uniamo le due condizioni.
Le rappresentazioni mentali quindi sono intatte!!
Questo esperimento manifesta una rappresentazione dello spazio (e quindi della piazza) integra, per cui il
neglect non è un problema delle rappresentazioni spaziali; la rappresentazione dello spazio è integra ma il
soggetto non riesce ad esplorare tale spazio nella sua interezza; ogni volta neglige e quindi non riporta la
parte sinistra della rappresentazione mentale che sta esplorando sia nei percetti sia nelle rappresentazioni
mentali.
Anche nell’esperimento della mappa della Francia troviamo lo stesso risultato.
Da qui nasce l’ipotesi attenzionale.
Ipotesi attenzionale
I Pazienti, malgrado processi percettivi e rappresentazionali intatti, tendono ad orientare l’attenzione
prevalentemente verso il lato ipsilesionale, ed ignorano gli stimoli controlesionali.
Questo problema coinvolge sia percetti che rappresentazioni mentali.
Questo deficit ha delle caratteristiche che ci fanno pensare che derivi soprattutto dal disturbo
dell’attenzione bottom-up; sembra che rimanga invece l’attenzione top-down. Questo perché la lesione
responsabile del neglect è soprattutto localizzata nel lobo parietale inferiore che è quella che controlla
l’attenzione bottom-up; inoltre il neglect arriva dopo lesioni parietali destre e soprattutto i sistemi di
attenzione bottom-up sono localizzati a destra al contrario di quelli top-down che sono localizzati sia a
destra che a sinistra (bilaterali).
Sono state formulate diverse ipotesi sul controllo attentivo:
4. Modello di Heilman: in situazioni base ci sarebbe una capacità di orientamento dell’attenzione
asimmetrica: l’emisfero di destra è dominante per l’orientamento dell’attenzione nello spazio
(Heilman et al. 1979; 1987); l’emisfero serve a dirigere l’attenzione verso entrambi gli emicampi ed
è quindi più competente nell’attenzione; quello di sinistra dirige l’attenzione solo verso destra.
Questo porta a una asimmetria che sul cervello: una lesione a sinistra non causa neglect e lascia
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intatta la capacità di dirigersi verso destra e sinistra; una lesione a destra porta a una incapacità di
dirigere l’attenzione verso sinistra e questo porta al neglect: l’emisfero di destra è specializzato
nell’attenzione di risorse attenzione (tale modello assomiglia a quello di Corbetta)
5. Modello di Kinsbourne: il neglect deriva dal fatto che abbiamo tendenze attentive diversi, cioè ci
sarebbero dei vettori di orientamento dell’attenzione differenziali: la tendenza a dirigere
l’attenzione verso destra da parte dell’emisfero sinistro è dominante (Kinsbourne 1970; 1993);
quindi in condizione di base la nostra attenzione sarebbe sbilanciata verso destra. Secondo anche
questo modello ci sono effetti differenziali: una lesione a sinistra diminuisce la tendenza a dirigere
l’attenzione verso destra e questo ribilancia le risorse attentive verso destra e sinistra, invece una
lesione a destra esalta la tendenza a dirigere l’attenzione verso destra e questo sarebbe il neglect,
dove i pazienti esagerano nel dirigere l’attenzione verso destra.
questi modelli cercano di dare ragione all’asimmetria nel dirigere l’attenzione verso destra.
Questi modelli sfociano nel modello di Corbetta, secondo il quale il neglect è una sindrome causata dalla
distruzione dei sistemi attentivi di tipo bottom-up che sono soprattutto lateralizzati a destra; per questo
motivo il neglect si configura come deficit dei sistemi attentivi di tipo bottom-up: i soggetti con neglect
falliscono nel riportare l’informazione che arriva da sinistra, in quanto non è un’informazione
preannunciata da un cue. La mia capacità di schivare qualcosa che arriva da sinistra dipende dalla capacità
di fare catturare la mia attenzione bottom-up dall’informazione che viene da sinistra; i soggetti non sono
consapevoli dell’informazione che proviene da sinistra perché non riescono a dirigere la loro attenzione in
maniera automatica verso informazioni che arrivano dall’emicampo sinistro perché è l’emisfero di destra
che è responsabile di questi sistemi attentivi di tipo bottom-up (ma nei soggetti con neglect è lesionato).
Se è vero che il neglect è un disturbo dovuto a un problema nell’attenzione bottom-up causata da lesioni
parietali inferiori di destra, allora posso fare previsioni nei risultati dei pazienti nei compiti di Posner in cui
c’è una fase cue dove i soggetti sono informati da uno stimolo sulla probabile posizione del target e una
fase target in cui l’attenzione viene diretta verso esso. Se è vero che il neglect è un disturbo dovuto a un
problema nell’attenzione bottom-up allora dovremmo trovare che il soggetto con neglect è compromesso
nel detenere l’informazione che arriva da sinistra dopo un cue invalido, cioè quando nella fase cue avevano
orientato volontariamente l’attenzione verso destra; questo esperimento potrebbe confermare il fatto che
il lobo parietale inferiore è necessario per dirigere l’attenzione in maniera bottom-up.
In un primo esperimento vengono reclutati pazienti con lesioni della TPJ (centro dei sistemi attentivi botto-
up); il gruppo di controllo invece ha lesioni parietali inferiori diffuse e non concentrate sulla TPJ. In questo
esperimento Friedrich dimostra che tutti e due i gruppi di pazienti sono capaci di dirigere l’attenzione in
maniera top-down, quindi sono bravi a fare la detezione dei target se questi sono preceduti da un cue
valido (dimostrano l’effetto di validità del cue) anziché da uno invalido, quindi i pazienti con neglect
riescono a dirigere l’attenzione in maniera volontaria; questo significa che il lobo parietale inferiore non
serve per ingaggiare l’attenzione top-down. Tuttavia i pazienti con lesione della TPJ (giunzione temporo-
parietale di destra), mostrano una incapacità di fare la detezione degli stimoli a sinistra quando questi sono
anticipati da cue invalidi; falliscono nella detezione dell’informazione contro-laterale quando il target è
anticipato da un cue invalido e quindi quando c’è più bisogno dell’attenzione bottom-up (attenzione
automatica). Tale situazione richiede l’attenzione botto-up perché prevede che i soggetti cambino
l’allocamento dell’attenzione verso l’emicampo opposto in cui non si aspettavano il target (riorientamento
dell’attenzione).
In questo esperimento si dimostra che il lobo parietale inferiore è necessario per la detezione automatica di
stimoli non in linea con le aspettative, ovvero con l’attenzione botto-up; mentre non è necessario
nell’attenzione top-down. All’interno del lobo parietale inferiore, è soprattutto la TPJ che orienta
l’attenzione bottom-up. Tale esperimento è una dissociazione semplice che dimostra che la TPJ è necessaria
per dirigere l’attenzione automatica.
In questo esperimento però manca un gruppo con lesioni parietali superiori: manca l’evidenza di una
doppia dissociazione.
Un altro esperimento ricerca una doppia dissociazione tra lobo parietale superiore e inferiore nel dirigere
l’attenzione.

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Vengono presi due gruppi di pazienti: uno con lesioni centrate sulla TPJ e uno con lesioni parietali centrate
sul lobo parietale superiore; e poi scelgono due compiti: uno con attenzione top-down e uno con
attenzione bottom-up.
Ipotesi: Per avere una doppia dissociazione devo trovare che il gruppo con lesione inferiori (TPJ) fallisce nel
compito che richiede risorse attentive botto-up ma non in quelle top-down; viceversa quelli con lesione
superiore dovrebbero fallire nei compiti che richiedono risorse attentive top-down ma non negli altri che
richiedono attenzione botto-up.
Compito di attenzione top-down: inizialmente c’è un cue che dice al soggetto a che parte dello schermo
prestare attenzione e i soggetti devono premere una barra quando vedono i numeri:
- Il cue dice che stream seguire (dx vs sn).
- I soggetti cercano numeri fra le lettere.
- Se trovano un 4 fanno uno shift verso l’altro stream (altro lato dello schermo)
- Se trovano un 2 restano sullo stream corrente.
quindi il compito è individuare i numeri sullo schermo e muovere volontariamente l’attenzione in risposta a
determinati stimoli; queste istruzioni sono per l’attenzione di tipo top-down perché è il soggetto a ruotare
volontariamente l’attenzione verso una parte o l’altra.
I pazienti con lesioni parietali superiori hanno tempi di reazione maggiori quando il numero arriva dopo uno
shift dell’attenzione; questo dimostra un problema di attenzione top-down perché sono più lenti a spostare
l’attenzione volontariamente da una parte all’altra. Questo svantaggio non si osserva nei pazienti con
lesione della TPJ: per loro è uguale fare la detezione di un target che arriva dopo uno shift o no, quindi non
hanno uno svantaggio dal dovere shiftare l’attenzione (quindi nell’allocare l’attenzione volontariamente).
Questi dati dimostrano un’assenza di problematica nell’attenzione top-down nei pazienti con lesione della
TPJ, i quali non presentano una differenza nei compiti quando è richiesto di spostare l’attenzione
(volontaria) o meno; al contrario i pazienti con lesione superiore mostrano un deficit.
Compito che richiede l’attenzione bottom-up: i pazienti devono cercare una lettera rossa in una sequenza
di lettere mostrate attraverso delle slides; può succedere che qualche trial prima della lettera rossa arrivi un
distrattore dello stesso colore o con colore diverso. Nei soggetti sani si osserva il fenomeno del contingent
capture.
I normali (soggetti di controllo) mostrano normale contingent capture: il distrattore del colore del target
(TC) cattura automaticamente attenzione; tali risorse attentive 2 slide dopo non sono disponibili per il
target (minor accuratezza di detezione).
Tale fenomeno prevede che due trial prima che compaia la lettera rossa, compaia un distrattore di colore
rosso che quindi è saliente; le risorse attentive bottom-up dei soggetti vengono catturate da questo
distrattore e sono ridotte per fare la detezione del target.
Quindi i soggetti sono meno bravi a fare la detezione della lettera se qualche trial prima c’è stato un
distrattore dello stesso colore e non succede con colori diversi.
Questo stesso fenomeno non succede quando il distrattore arriva contemporaneamente al target perché in
tale caso emerge il vantaggio del target.
Tale fenomeno che succede ai soggetti sani, denuncia l’esistenza dei sistemi attentivi bottom-up: i soggetti
non sono stati istruiti a fare la detezione dei distrattori; questi hanno caratteristiche salienti che catturano
l’attenzione bottom-up. Queste risorse non sono disponibili qualche item successivo per fare la detezione
del target e quindi i soggetti calano nella prestazione.
Se i soggetti hanno attenzione bottom-up funzionante, allora emerge il fenomeno della contingent capture:
il distrattore del colore target, cattura l’attenzione bottom-up che non è disponibile per fare la detezione
del target successivo.
Il TPJ group (soggetti con neglect) non mostra tale cattura attentiva automatica questo implica che hanno
un deficit in bottom-up attention; tali soggetti non hanno un crollo della prestazione: l’assenza di questo
fenomeno fa pensare che non funzioni l’attenzione bottom-up. A causa di un deficit, i pazienti sono più
bravi a fare il compito (situazione ottimale in neuropsicologia).
Infine nei pazienti con lesioni parietali superiori si verifica il contingent capture effect (la prestazione cala
quando il distrattore è dello stesso colore), però la prestazione cala anche quando il colore del distrattore è
diverso e quando il colore è nullo. E’ come se la loro attenzione venisse catturata anche da informazioni

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irrilevanti per il compito, vengono distratti; questo può essere dovuto al fatto che tali pazienti con lesioni
parietali superiori possono avere meno chiaro il template attenzionale top-down e questo si riflette in un
disturbo meno selettivo dell’attenzione bottom-up.
Quindi è come se nei pazienti con lesione parietale superiore non faccia differenza il trovare il distrattore
con un colore diverso; hanno un fenomeno di iper-cattura attentiva.
I pazienti con lesioni della TPJ hanno un deficit nell’attenzione bottom-up; i pazienti con lesioni superiori
hanno meno chiaro il template attenzionale che si riflette in una selezione meno selettiva dell’attenzione
bottom-up.
Questi soggetti non hanno descritto su un template attenzionale le caratteristiche rilevanti per il target; la
descrizione nella memoria di lavoro di questa caratteristica non è sufficientemente forte da causare una
cattura selettiva.
In questo secondo esperimento si nota l’assenza della cattura attentiva automatica da parte di informazioni
non rilevanti nei parte di pazienti con lesione della TPJ ma non nei pazienti con lesione del lobo parietale
superiore, quindi questo secondo esperimento dimostra l’altra parte della dissociazione: l’attenzione di
tipo bottom-up è ridotta in pazienti con lesioni della TPJ ma non in pazienti con lesioni del lobo parietale
superiore.
Quindi: Neglect summary
- Deficit dell’orientamento automatico (esogeno) dell’attenzione: deficit dell’attenzione bottom-up,
quindi i soggetti falliscono nel diventare automaticamente consapevoli di informazioni che arrivino
dal lato controlesionale ovvero quello sinistro (perché le lesioni che causano il neglect sono
soprattutto nell’emisfero destro)
- Problema nel ‘disancorare’ l’attenzione spaziale dal lato ipsilesionale: i pazienti negligono la parte
sinistra dei percetti come anche delle rappresentazioni mentali; i soggetti falliscono nel prestare
attenzione verso informazioni che arrivano dal lato controlesionale
i pazienti parlano dell’incapacità di muovere gli occhi verso sinistra perché non esiste lo spazio sinistro.
Facendo anche la detezione di stimoli uditivi a destra e sinistra con le cuffie, si osserva che riescono a
compiere la detezione solo sugli stimoli uditivi che entrano da destra.
Elaborazione implicita nel neglect
Il destino dell’informazione negletta: elaborazione implicita nel neglect; il fatto che l’informazione non
divenga consapevole significa necessariamente che non possa influenzare il comportamento? Ci sono delle
evidenze sperimentali che fanno emergere che una certa parte dell’informazione negletta venga processata
e capire cosa viene processato di queste informazioni ci fornisce il livello al quale agisce l’attenzione; ci
potrebbe essere un filtro precoce che decide quale parte dell’informazione processare in entrata oppure ci
potrebbe essere un filtro tardivo nel senso che preattentivamente processiamo tutto ciò che è presente nel
campo visivo e solo successivamente decidiamo a quale di queste informazioni prestare attenzione dal
punto di vista della risposta. Analizzare cosa è preservato dal punto di vista del neglect, ci fa capire a che
livello il filtro dell’attenzione agisce: se qualche informazione viene processata significa che questo filtro
attentivo agisce tardivamente.
Esistono dei fenomeni di elaborazione implicita e il caso emblematico è quello evidenziato dall’esperimento
di Marshall e Halligan che fa emergere come nell’elaborazione di alcuni stimoli (casa e casa con fiamma) il
soggetto non veda la parte sinistra ma questa parte viene elaborata e questo denota un’elaborazione
semantica dello stimolo presente a sinistra.
L’estinzione è una sindrome legata al neglect in quanto ha una base neurale vicina al neglect; tale sindrome
impedisce la denominazione di stimoli presentati nel campo visivo sinistro quando lo stimolo presentato a
sinistra viene posto simultaneamente con quello di destra.
Tuttavia, se si chiede ai pazienti di giudicare se due oggetti sono uguali o diversi, alcuni di essi lo possono
fare; tale evidenza denota che l’informazione a sinistra venga processata lo stesso.
Lo studio del neglect e dell’estinzione ci possono fornire informazioni rispetto al livello al quale agisce
l’attenzione selettiva: suggeriscono un’elaborazione implicita, inconscia dell’informazione estinta.
Il neglect mostra che per arrivare alla coscienza, uno stimolo deve ricevere attenzione selettiva. Domanda:
quando? In che fase agisce il “filtro”?
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Ipotesi della selezione precoce: l’attenzione selettiva filtra subito gran parte delle informazioni, tranne
quelle più elementari (colore, orientamento) che possono essere processate anche pre-attentivamente
(Treisman, 1988); il filtro agisce molto precocemente, ovvero prima filtra l’informazione rilevante e poi
analizza solo essa.
Ipotesi della selezione tardiva: tutte le informazioni vengono processate preattentivamente; l’attenzione
selettiva agisce nel momento della selezione della risposta (Posner & Snyder, 1975). Prima tutta
l’informazione viene processata e solo dopo, in fase di decisione e selezione della risposta, decido a cosa
prestare attenzione.
I pazienti con neglect sono perfetti per capire quale delle due ipotesi sia migliore.
Sono stati fatti diversi studi di elaborazione implicita.
Test di conoscenza implicita (Berti e Rizzolatti, 1992): veniva presentato un punto di fissazione e
successivamente venivano presentate velocemente due figure, una nell’emicampo di destra e una di
sinistra. Quella di sinistra viene negletta e il compito del soggetto era un compito di appartenenza
categoriale, cioè doveva dire se lo stimolo che compariva a destra apparteneva a una o all’altra categoria
proposta; contemporaneamente a questo stimolo presentato a destra ne veniva presentato uno anche a
sinistra che poteva appartenere alla stessa categoria oppure all’altra. Quindi c’è una situazione
incongruente e una congruente; il soggetto negligendo la parte di sinistra non dovrebbe essere influenzato,
tuttavia nella situazione congruente il soggetto è più veloce. Questo vuol dire che l’informazione presentata
nell’emicampo sinistro, anche se viene esplicitamente negletta dal soggetto, ha delle influenze implicite sul
comportamento del soggetto: velocizza i tempi di reazione nel caso della situazione congruente. Ciò fa
pensare che l’informazione negletta venga elaborata almeno fino al livello semantico: preattentivamente
(prima di dirigere l’attenzione), abbiamo elaborato le informazioni fino al livello semantico.
Test di conoscenza implicita: parole (Ladavas, 1993): a destra vengono presentate delle parole o delle non-
parole e il compito è lessicale, ovvero deve dire se la parola esiste o meno; contemporaneamente a sinistra
ci può essere uno stimolo che è collegato semanticamente alla parola a destra (congruente o
incongruente). Anche in questo caso i soggetti sono più veloci nella condizione di congruenza, quindi il
soggetto ha processato la parola presentata a sinistra almeno fino al livello semantico (coglie la similarità
semantica e porta a una maggiore velocità di reazione).
Questa è un’altra prova che lo stimolo negletto, anche se non viene riportato dal punto di vista implicito,
viene elaborato implicitamente e preattentivamente; viene elaborato a un livello profondo che è quello
semantico, quindi lo stimolo non è perduto ma il soggetto non diventa consapevole anche se tale. stimolo è
in grado di influenzarne il comportamento.
Lo stimolo negletto, ignorato, viene elaborato almeno fino a livello dell’estrazione della sua categoria di
appartenenza (altrimenti non sarebbe facilitato). Non è pertanto perduto, ma invece è in grado di
influenzare il comportamento (Teoria della selezione tardiva).
Gli esperimenti sulla elaborazione implicita nel neglect dimostrano che la codifica dello spazio (via del
where) è una condizione imprescindibile per la consapevolezza dello stimolo che ci permette di localizzarlo.
La via del what (si occupa dell’identificazione dell’oggetto), da sola (nel neglect), non permette di
rappresentarsi l’oggetto in modo consapevole, anche se può permettere elaborazione semantica sotto
soglia.
Nel neglect non riusciamo ad avere una rappresentazione cosciente dell’oggetto perché non riusciamo a
ricostruire la sua posizione; se non siamo capaci attraverso la via del where di processare l’informazione
relativa alla posizione, non siamo consapevoli dell’esistenza dell’oggetto anche se la via del what da sola
può farci processare informazioni dell’oggetto che diventano inconsapevoli perché non so a chi attribuirle.
Talvolta questa attivazione arriva sopra soglia. Si ha allora allochiria/alloestesia: consapevolezza
dell’oggetto, ma non della sua posizione (e viene attribuito allo spazio ipsilesionale).
In un altro esperimento, al test di Rorschach i soggetti mostrano di usare le informazioni provenienti sia da
DX che da SN, dando interpretazioni delle figure simili ai normali. Però successivamente localizzavano tutte
le parti delle figure a dx; questo è il fenomeno dell’allochiria: generalmente succede nei pazienti con
neglect che l’informazione presentata nel lato sinistro non viene percepita consapevolmente ma talvolta il
soggetto la percepisce, ha un’idea ma non l’attribuisce all’emicampo di sinistra ma a quello di destra. Se i
pazienti venivano toccati sulla mano sinistra, talvolta riuscivano a diventare consapevoli di quel tocco ma lo

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attribuivano alla mano destra, come se avessero processato l’informazione attraverso la via del what però
siccome manca l’informazione giusta veicolata dalla via del where, non diventano consapevoli della
posizione giusta dell’oggetto o dello stimolo tattile in questo caso.
Tale fenomeno è stato chiamato alloestesia perché si estende a tutti i sensi, dal tatto alla vista; se non ci
rappresentiamo dov’è un oggetto non siamo consapevoli di cosa sia!! talvolta però la via del what produce
una rappresentazione dell’oggetto che è abbastanza forte da farla arrivare sopra la soglia della
consapevolezza ma senza l’apporto della via del where non lo attribuisce alla parte controlesionale ma a
quella ipsilesionale.
Implicazioni per l’organizzazione dello spazio nel neglect
Ci sono dei fenomeni del neglect che ci danno informazioni su come sia rappresentato lo spazio; abbiamo
rappresentazioni distinte per diverse porzioni dello spazio.
Distinte rappresentazioni di diversi settori dello spazio negli esseri umani: il neglect può manifestarsi:
- Selettivo per lo spazio personale (Bisiach et al 1986; Guariglia et al, 1992)
- Selettivo per lo spazio peripersonale (vicino) (Halligan & Marshall 1991; Berti & Frassinetti 2001)
- Selettivo per lo spazio lontano (Cowey et al, 1994; 1999)
Spazio personale
Ci sono delle evidenze sulla dissociazione tra spazi nella scimmia: solco intraparietale ventrale (VIP) e
laterale (LIP).
Nella scimmia, delle lesioni selettive alla LIP danno neglect per lo spazio lontano, mentre lesioni alla VIP
danno neglect per lo spazio vicino; quindi aree diverse sottendono a neglect e quindi problematiche diverse
(posteriori connesse ai lobi occipitali e danno neglect per lo spazio lontano che è quello che percepisco ma
su cui non agisco generalmente).
L’attenzione verso lo spazio vicino e lontano potrebbe essere mediata da sistemi distinti anche nell’uomo.
Questo fenomeno, ovvero avere neglect per lo spazio vicino e lontano derivato da aree diverse, è stato
investigato da Vince Walsh; utilizza la TMS per cercare di simulare il neglect per lo spazio vicino e lontano,
inibendo aree diverse.
Esperimento di Walsh (importante!!): Nel compito gli sperimentatori presentano delle linee che sono
correttamente bisecate oppure che vengono bisecate sulla destra (segmento sinistro più lungo) o sulla
sinistra (segmento destro più lungo). I soggetti devono dire se la linea è più lunga a destra o a sinistra e
anche se sembrasse bisecata correttamente, il soggetto deve dire lo stesso dove gli sembra più lunga.
Se una persona ha neglect, gli sembra correttamente bisecate una linea che ha la bisezione collocata a
destra: dirigendo l’attenzione prevalentemente a destra, questa linea indica correttamente il punto di
mezzo della linea. Se invece presentiamo al soggetto con neglect una linea correttamente bisecata, il
soggetto dirà che è più lunga la parte di destra.
Nei soggetti sani si trova lo pseudo-neglect: fanno l’opposto dei pazienti con neglect, hanno una leggera
tendenza a mettere il punto medio del segmento verso la sinistra perché nei soggetti normali c’è una lieve
tendenza ad avere l’attenzione spostata verso sinistra.
Gli sperimentatori la proprietà del test della bisecazione di linee per simulare neglect nello spazio vicino e
lontano; nello spazio vicino perché queste linee vengono poste a 50 cm dal soggetto, nello spazio lontano
vengono presentate a 150cm dal soggetto e quest’ultimo deve dire quale linea è più lunga.
Viene inibita la corteccia parietale posteriore di destra (quelle tipicamente implicata nel neglect) e
inibiscono un’area posteriore (omologo della LIP nella scimmia) che è la corteccia occipitale ventrale di
destra.
Cosa succede? alla base line, i soggetti sani mostrano uno pseudo-neglect ovvero tendono a dirigere
l’attenzione verso l’emicampo di sinistra che si esplica con la tendenza a dire che nei segmenti
correttamente bisecati, il lato di sinistra è più lungo; questa è la situazione di base.
Quindi se induco neglect dovrei trovare che si riduce lo pseudo-neglect (tipico dei soggetti sani), in quanto il
soggetto dovrebbe ridurre la tendenza a dirigere l’attenzione più verso la sinistra; simulando il neglect
induco un bias a dirigere l’attenzione verso destra. Questo succede in maniera diversa su spazi diversi a
seconda che inibisca la corteccia parietale posteriore e quella occipitale ventrale.

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Quando inibisco la corteccia parietale superiore ottengo una riduzione dello pseudo-neglect soprattutto per
lo spazio vicino: i soggetti che prima avevano una tendenza a dirigere l’attenzione verso sinistra, dopo
l’inibizione del lobo parietale posteriore, normalizzano questa tendenza e iniziano a percepire il lato destro
della linea come più lungo (mostrano neglect per lo spazio vicino).
Quindi:
TMS su corteccia parietale posteriore -> neglect per lo spazio vicino (riduco lo pseudo-neglect e induco il
neglect)
Questo stesso fenomeno accade preferibilmente per lo spazio lontano quando inibisco la corteccia ventrale
occipitale di destra: riduco la tendenza dei soggetti a orientare l’attenzione verso sinistra e induco la
tendenza a dirigere l’attenzione verso destra (neglect):
TMS su corteccia occipitale ventrale di destra -> neglect per lo spazio lontano (riduco lo pseudo-neglect e
induco il neglect)
questo significa che sotto settori diversi dei sistemi attentivi parietali posteriori, assistono le
rappresentazioni relative allo spazio vicino e lontano.
Questo esperimento ci ha permesso anche di dire come funzionano i soggetti sani (vedi pseudo-neglect),
oltre che di capire come è rappresentato lo spazio vicino e lontano nei soggetti con neglect.
Spazio peripersonale
Un’altra caratteristica del funzionamento dei soggetti sani che è stata rivelata da studi sull’estinzione è
stata la scoperta dei neuroni bimodali e visuo-tattili nello spazio peripersonale del soggetto.
Gli studi sono partiti dalla scimmia; i neuroni visuo-tattili scaricano sia quando viene data una stimolazione
tattile in quel punto del corpo del soggetto sia quando viene presentato uno stimolo visivo nello stesso
campo recettivo, ovvero nelle aree vicine a quell’area toccata; questo è come se i neuroni avessero un
campo recettivo contemporaneamente tattile e visivo e quindi vengono detti bimodali (per loro è uguale
avere un tocco in una determinata posizione o vedere qualcosa in quella posizione). Si pensa che questi
neuroni abbiamo una valenza di tipo difensivo, quindi il soggetto è capace di preparare una risposta di fuga
prima di essere stato toccato.
I neuroni bimodali non erano mai stati dimostrati nell’uomo finchè Di Pellegrino non pubblica un articolo su
Nature e in tale esperimento sfrutta l’estinzione. Cioè nei soggetti con estinzione tattile abbiamo visto che
se vengono toccati contemporaneamente a destra e sinistra riconoscono solo lo stimolo di destra; il tocco a
sinistra viene estinto da un tocco contemporaneo che viene a destra.
Di Pellegrino si chiede, se ci sono dei neuroni bimodali per cui una stimolazione visiva è equivalente a una
tattile, allora possiamo dimostrare quello che lui ha chiamato estinzione cross-modale: uno stimolo visivo
che presento a destra estingue uno stimolo tattile che presento a sinistra. Se dimostro questo, allora ho
dimostrato che esistono popolazioni di neuroni per cui uno stimolo visivo e tattile siano equivalenti e questi
neuroni mi aspetto che siano nello spazio peripersonale (perché qui sono utili per un comportamento
difensivo).
Esperimento di base: Vengono reclutati pazienti con estinzione tattile e il paradigma sperimentale assunto
è il seguente: c’è una situazione standard in cui le mani del paziente sono coperte e quindi il paziente non le
vede. Lo sperimentatore può dare un tocco in una mano o nell’altra; quando tocca entrambe le mani, il
soggetto sente solo a destra e quindi estingue quello di sinistra. Questa è la situazione standard unimodale.
L’altra stimolazione è quella critica: la mano sinistra è coperta mentre quella destra è in visione; in questo
caso può essere data una stimolazione tattile a sinistra e contemporaneamente viene data una
stimolazione visiva (viene mosso il dito dello sperimentatore vicino al soggetto nello spazio peripersonale).
Si vuole capire se in questa condizione di doppia stimolazione, il paziente estingue la stimolazione tattile di
sinistra e quindi se non la sente perché viene estinta dallo stimolo visivo di destra.
Ci sono inoltre due condizioni di controllo: in un caso lo stimolo visivo non viene dato nello spazio
peripersonale (il gesto del dito non è in avvicinamento al soggetto ma la mano viene mossa in alto e quindi
lontano dal soggetto) e quindi la stimolazione non è percepita come vicina, nell’altra condizione di controllo
la stimolazione visiva viene fornita nello stesso punto della condizione sperimentale (spazio vicino) ma non
è più nello spazio personale perché la mano del soggetto (e non quella dello sperimentatore) è stata fatta
mettere dietro la schiena.

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Cosa si trova? si trova che per quanto riguarda la stimolazione unimodale si vede che quando viene data
una stimolazione a sinistra e basta, viene riportata, mentre quando si da la stimolazione bilaterale allora c’è
l’estinzione (fenomeno dell’estinzione tattile); Di Pellegrino vede che l’informazione di sinistra viene estinta
in questa condizione ma anche quando viene data stimolazione visiva vicino alla mano del paziente: uno
stimolo visivo posto nello spazio peripersonale, vicino alla mano destra del paziente, è capace di estinguere
una stimolazione tattile concomitante che viene presentata a sinistra dimostrando quindi l’equivalenza di
informazione visiva e tattile.
Questa estinzione si verifica solo se tale stimolazione visiva avviene nello spazio peripersonale, perché non
succede nelle condizioni di controllo (stimolo visivo in alto e stimolo visivo in basso ma non c’è più la mano
del soggetto). Quindi questi neuroni, per i quali è equivalente uno stimolo visivo e uno stimolo tattile,
sono nello spazio peripersonale e giustificano il fenomeno dell’estinzione visuo-tattile o estinzione cross-
modale.
Questi neuroni scaricano tutte le volte che i soggetti vengono toccati oppure che vedono uno stimolo
nell’area corrispondente vicino al tocco, come se avessero campi recettivi visivi e tattili corrispondenti.
Esperimento di controllo: A partire da questo, Di Pellegrino si chiede se questo avviene perché i soggetti
sanno che uno stimolo visivo vicino alla mano può toccarli e quindi si chiede se tale fenomeno non sia
mediato cognitivamente (quindi il soggetto anticiperebbe che lo stimolo visivo si tradurrebbe in uno tattile
e quindi lo considera come uno stimolo tattile).
Allora per questo fa un esperimento di controllo: stesse condizioni sperimentali di prima:
- condizione unimodale: stimolazione tattile a destra o a sinistra
- una con la doppia stimolazione visiva e tattile: stimolo tattile a destra e stimolo visivo nello spazio
peripersonale a sinistra;
- stimolo visivo non nello spazio peripersonale, ma lontano dal soggetto oppure mano del soggetto
dietro e stimolazione nello spazio vicino che però non è considerato peripersonale dal soggetto
Lo stesso esperimento viene ripetuto mettendo una lastra di vetro tra la mano dello sperimentatore e
quella del soggetto e questo perché vogliamo che il paziente ritenga impossibile che la stimolazione visiva
possa trasformarsi in stimolazione tattile; così facendo pensano che lo stimolo visivo non li possa toccare.
Ciò nonostante succede la stessa cosa dell’esperimento precedente.
Questo fenomeno non è mediato cognitivamente, ma questa attivazione dei neuroni visuo-tattili avviene
anche se il soggetto cognitivamente è sicuro che non ci sia un legame tra stimolazione visiva e tattile; è un
sistema difensivo che si attiva automaticamente tutte le volte che informazione visiva e tattile si trovano
nella stessa porzione dello spazio peripersonale.
E’ stato fatto un altro esperimento per vedere quanto questo fenomeno sia mediato a livello top-down,
ovvero da meccanismi cognitivi di alto livello; tale esperimento è stato fatto con una mano finta. Anche in
questo caso si trovano gli stessi risultati e ci fa capire che questo sistema non è influenzato cognitivamente.
Quindi questo sistema è un sistema di base di tipo bottom-up che è impermeabile a valutazioni di tipo
cognitivo di alto livello; si attivano questi neuroni visuo-tattili tutte le volte che la situazione sia
sufficientemente simile all’avere uno stimolo visivo vicino ai campi recettivi tattili dello spazio peripersonale
e questo perché non è mediata cognitivamente (e quindi non è sensibile a queste manipolazioni top-down).
Infatti tale sistema deve essere una via veloce in quanto è un sistema difensivo: questo sistema deve
entrare in azione prima che il soggetto si renda conto di tutti gli aspetti della situazione.
Quindi una sindrome attentiva che è l’estinzione, viene usata come modello per rivelare il funzionamento di
un sistema cognitivo normale: il sistema dei neuroni visuo-tattili.

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Funzioni esecutive: sindrome prefrontale
Phineas Gage
Mentre inseriva una carica esplosiva in una roccia, a causa di una esplosione una barra di
ferro venne lanciata con grande velocità verso il suo volto, e, passando da sotto lo zigomo,
attraversò la parte anteriore del suo cranio. Ne derivò un grave trauma dei lobi frontali,
pronunciato in sede orbitale a sinistra.
Miracolosamente sopravvissuto, già dopo pochi minuti era cosciente e in grado di parlare e
poche settimane dopo poteva uscire in autonomia.
La sua “personalità” però era radicalmente cambiata, al punto che gli amici non lo
riconoscevano e i datori di lavoro si rifiutarono di riprenderlo con sé.
Da sensibile e socievole, era divenuto un uomo aggressivo, privo di freni inibitori, asociale,
iroso, e con una grossa propensione al rischio ed al pericolo, che velocemente lo portò in
rovina finanziaria.
Questo è il caso più famoso nell’ambito delle funzioni esecutive. Questa descrizione fa emergere che il lobo
frontale non sia necessario per operazioni iperapprese come il linguaggio; ma è necessario per aspetti
dell’individuo che hanno a che fare con la regolazione emotiva e con la presa di decisioni.
I lobi frontali sono particolarmente sviluppati nell’essere umano, e occupano una porzione notevole del
cervello umano.
Lobo frontale: ha avuto una crescita durante la filogenesi sproporzionate rispetto ad altre aree; il suo
sviluppo ha risposto ad esigenze in termini di pianificazione del comportamento e gestione delle risposte
emotive necessarie per vivere in gruppo. Quindi 2 funzioni:
1. Pianificazione e gestione dei problemi
2. Regolazione delle risposte emotive
Il lobo frontale si trova tra la scissura di Rolando e la scissura di Silvio ed è diviso in diverse aree funzionali:
- aree con funzioni motorie
- aree prefrontali: dorso-laterali, ventro-laterali e anteriori
Quindi ci riferiamo alla regione prefrontale, che da vita se lesa alla sindrome prefrontale, quando parliamo
di corteccia dorso-laterale, ventro-laterale e alla corteccia mediale.
La corteccia prefrontale è una corteccia tipicamente umana e caratterizza l’essere umano; il cervello umano
si è ingrandito ma in proporzioni diverse e il volume del lobo frontale è aumentato molto.
Il lobo frontale caratterizza delle funzioni necessarie che hanno reso l’uomo capace di vivere in gruppo e
portare avanti compiti complessi.
Quindi il lobo frontale ha a che fare con:
- funzioni che servono ad organizzare il comportamento finalizzato
- funzioni che servono per interagire coi simili: empatia, elaborazione di emozioni
Il lobo frontale si è sviluppato tardi lungo la filogenesi ma si sviluppa tardi anche durante l’ontogenesi
(sviluppo dell’individuo).
Durante lo sviluppo, le prime aree a mielinizzarsi sono quelle motorie e sensoriali; le ultime a mileinizzarsi,
cioè che diventano funzionalmente pronte, sono le aree dei lobi frontali. Diventano mature non prima della
tarda adolescenza.
I lobi frontali sono stati fondamentali nello sviluppo dell’uomo. Essi hanno contribuito allo sviluppo di un
essere intelligente e cooperativo, in grado di (1) pianificare ed organizzare il proprio comportamento ai fini
di (2) creare gruppi sociali che ne garantissero la sopravvivenza.
C’è stata questa spinta all’evoluzione del lobo frontale man mano che diventavano di più nell’uomo, le
esigenze di pianificazione del comportamento e la creazione di gruppi sociali complessi.

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Conseguenze di una lesione alla corteccia prefrontale
Lesioni dei lobi frontali non producono deficit intellettivi evidenti.
- VERO: i pazienti parlano correttamente, possono svolgere con autonomia attività routinarie, ed
ottengono prestazioni equivalenti a quelle di pazienti con lesioni posteriori in test che misurano il
quoziente intellettivo.
- MA, questo test richiede cultura generale, definizione di vocaboli, la ricostruzione di figure, ovvero
uso di materiale precedentemente acquisito e super-appreso
- = > Il lobo frontale non serve per operazioni “routinarie”, ovvero iperapprese, diventate per il
soggetto automatiche.
Quello che però si nota è che la personalità era radicalmente cambiata; quindi aldilà di capacità intellettive
preservate, il paziente ha incapacità di scegliere in modo inconveniente e fa scelte disfunzionali. Non fa una
scelta bilanciata ma manifesta una propensione al rischio.
Quindi abbiamo due aspetti principali:
- deficit delle funzioni esecutive “cold”: prive di componenti emotive; funzioni che richiedono presa
di decisioni e risoluzione di problemi. Questi aspetti vengono ascritti alla dlPFC: settore laterale
della corteccia prefrontale
- deficit nelle funzioni emotive e sociali, o “hot”: comportamenti socialmente inappropriati ed
aggressivi; difficoltà nella presa di decisione; cambiamento della personalità. Tutto ciò è ascritto ai
settori ventro-mediali della corteccia prefrontale
Funzioni esecutive
“Operazioni cognitive necessarie a guidare in modo efficace il comportamento intenzionale, cioè finalizzato
al raggiungimento di un goal interno (stabilito dal soggetto)”. Definizione di Stauss.
Le funzioni esecutive sono quelle che ci permettono di scegliere, programmare e metter in atto le
operazioni necessarie al conseguimento di un obiettivo stabilito da noi: il soggetto ha un goal e deve
stabilire, pensare e valutare le azioni necessarie al conseguimento dell’obiettivo interno.
L’aspetto centrale è quello di perseguire un goal che viene modellizzato con il ciclo selezione-azione che
prevede:
- goal-selection: il soggetto seleziona l’obiettivo che vuole perseguire e mantiene questo obiettivo;
tale obiettivo viene mantenuto in working memory per tutta la messa in atto del comportamento
(pazienti con lesioni prefrontali tendono a perdere il goal: goal neglect, ovvero perdono il goal e il
comportamento diventa guidato da una stimolazione esterna interveniente piuttosto che da
obiettivi interni)
- action-selection: una volta che so il goal, seleziono le azioni necessarie al perseguimento
dell’obiettivo (capacità di problem solving)
- goal-monitoring: vedo se le azioni che ho messo in atto, mi avvicinano all’obiettivo stabilito o vedo
se non sono efficaci; parte fondamentale delle funzioni esecutive: abbandonare azioni non efficaci
nel perseguire il goal (i pazienti con lesione pre-frontale invece non modificano il comportamento
in risposta a un feedback esterno che dice che il comportamento non è efficace)
Quindi secondo Stuss (1992) le funzioni esecutive includono i seguenti processi mentali:
1. identificare il goal di un compito (es.: denominare il colore con cui è scritta la parola)
2. mantenere il goal attivo in memoria durante la pianificazione ed esecuzione del compito (se
perde l’obiettivo viene guidato dalla stimolazione esterna); i soggetti pre-frontali settano il goal per
permettere in atto una ricetta complessa, ma se vengono chiamati al cellulare poi non tornano a
finire la ricetta
3. controllare la prestazione (monitoring) durante la messa in atto del comportamento
4. impedire l’effetto distraente di stimoli interferenti o irrilevanti
5. reimpostare la definizione di goal quando cambiano le priorità del soggetto: il soggetto con
lesione prefrontale se brucia il pollo, non sostituisce la ricetta ma resta fisso senza correggere
l’esecuzione del compito, ovvero incapacità di pensare soluzioni alternative concepite sul momento

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(sulle routine non ha problemi, su strategie per risolvere il problema al momento il soggetto con
lesione non riesce)
6. controllare le reazioni emotive
Quindi deficit conseguenti a lesione frontale:
- Incapacità di pianificare e valutare strategie per la risoluzione di un compito complesso
- Incapacità di passare da un concetto/comportamento all’altro (flessibilità cognitiva) se il
comportamento si è rivelato infruttuoso
- Incapacità di inibire risposte comportamentali automatiche
- Disturbi nei processi attentivi volontari
- Incapacità di inibire risposte emotive inadeguate
1. Incapacità di pianificare e valutare strategie per la risoluzione di un compito complesso
Un test che viene utilizzato per misurare le capacità di pianificazione dei soggetti e stabilire strategie per un
compito insolito, è il Test della torre di Londra.
Esso presenta un supporto di legno in cui il soggetto deve riprodurre la configurazione presente sul
supporto dello sperimentatore e deve decidere quali siano i passaggi per portare le palline nella stessa
posizione di quello dello sperimentatore. Le due regole da rispettare sono: sul supporto lungo può tenere
tre palline, su quello medio due e su quello piccolo 1; inoltre deve muovere una pallina alla volta.
I pazienti pre-frontali tendono a violare tali regole; in questo compito c’è tutto il ciclo selezione-azione:
stabilire il goal, sequenza mentale delle azioni necessarie, monitorare se quello che fa lo avvicina al goal.
Il paziente si mostra incapace nel risolvere questo compito:
- Il paziente frontale non riesce a riprodurre le configurazioni proposte dall’esaminatore.
- il paziente viola le regole
- il paziente è insensibile al feedback ambientale: non presta attenzione alla stimolazione ambientale
in riferimento alla propria prestazione
- Il paziente frontale non riesce a rappresentarsi le mosse intermedie che portano dalla
configurazione attuale a quella desiderata, e a monitorare le sue mosse in relazione alla
configurazione desiderata.
- Il paziente frontale durante la risoluzione di un compito è incapace di formulare le ipotesi
necessarie e di utilizzare i riscontri disponibili per rifiutarle o accettarle.
tale test è un compito che esemplifica bene le situazioni di problem solving perché il paziente è chiamato a
rispondere a un compito nuovo: le strategie per risolvere il problema non sono apprese (non è una
strategia routinaria) e quindi i soggetti con lesioni pre-frontali sbagliano perché non utilizzano il feedback
esterno per valutare il comportamento.
Ci sono anche altri test per la risoluzione di problemi nuovi.
Test delle stime cognitive di Shallice ed Evans (1978): si fanno domande a cui i pazienti non avevano mai
pensato. I pazienti devono rispondere a 15 domande del tipo:
- “quanto è lunga in media la colonna vertebrale di un uomo?”
- “a quale velocità corre in media un cavallo di razza?”
I soggetti devono fare delle stime e si creano delle sorte di strategie basandosi sulle informazioni
possedute.
I pazienti frontali hanno un rendimento inferiore a quello dei pazienti con lesioni posteriori, danno risposte
più bizzarre; non sanno dare risposte vero-simili.
Un altro test semplice per la risoluzione di problemi nuovi è il Test di fluenza verbale: il soggetto deve
elencare parole che cominciano con una lettera (fluenza fonologica: Dimmi tutte le parole che ti vengono in
mente che cominciano per F\M\L); oppure viene chiesto di elencare oggetti che appartengono a categorie
semantiche.
Si vede che nei pazienti con lesione della corteccia prefrontale rimane inalterata la capacità di fluenza
categoriale/semantica, ma non riescono a raggruppare concetti in base alla loro lettera iniziale perché
questo è un compito nuovo e devono aiutarsi impostando delle strategie sul momento.
Capacità di astrazione (detezione di regole)

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Capacità di cogliere, in un insieme di elementi, le caratteristiche essenziali che li accomunano tra loro e li
differenziano dagli altri; dobbiamo cogliere cosa è comune a determinate situazioni.
Ad es. “televisione” e “radio” differiscono per colore, forma, etc., ma possono essere entrambe
categorizzate fra i “mezzi di comunicazione”.
Tale capacità prevede di cogliere le caratteristiche essenziali che accomunano gli oggetti e che le
differenziano da altri.
Queste capacità vengono misurate con il Test di Weigl (1972): vengono presentati stimoli diversi con
caratteristiche comuni e si chiede ai soggetti di raggruppare questi stimoli per una determinata
caratteristica (es.: colore: i soggetti astraggono una caratteristica che accomuna tutti gli oggetti).
L’esaminatore indica i 12 pezzi e fa notare che, nonostante siano diversi, possono essere raggruppati in
modo che tutti i componenti di ogni gruppo abbiano una caratteristica comune ed invita il paziente a farlo.
L’esaminatore forma i raggruppamenti mancanti ed invita il soggetto ad indicare a parole o a gesti il criterio
seguito nel raggruppamento.
I pazienti con lesioni frontali non riescono ad astrarre cosa è comune a più oggetti; ma ancora di più quando
viene chiesto di cambiare la prima classificazione e usarne una nuova i soggetti sbagliano: incapacità di
passare da una classificazione a una alternativa.
La capacità di astrazione è quella che ci rende possibile anche di capire una metafora; per capire una
metafora dobbiamo capire cosa è comune a due situazioni e in mancanza di concetti astratti il paziente
frontale rimane legato alla concretezza e all’immediatezza della situazione, senza la possibilità di dare un
senso più alto alla realtà.
Comprensione di proverbi, sarcasmo ed ironia (forme non letterali di comunicazione; richiedono di andare
al di là dell’apparenza): “Meglio un uovo oggi che una gallina domani” = La gallina fa le uova (paz frontale).
La persona astrae dalla stimolazione concreta un principio di alto livello ma il paziente con lesione non
riesce; colgo il significato perché astraggo il significato che va aldilà della stimolazione concreta.
Shallice nota che nei pazienti frontali c’è una incapacità di attitudine astratta: vengono presentati dei
proverbi ai soggetti prefrontali; gli sperimentatori fanno dei sottogruppi di lesioni della lesione prefrontale
(pazienti prefrontali: mediali, laterali sinistri e destri e gruppo di controllo). Vengono trovati l deficit più
marcati nei pazienti con lesioni prefrontali laterali: necessario per dare una connotazione astratta; anche i
mediali hanno diverse difficoltà ma meno dei precedenti.
Non sanno formulare strategie per connettere il proverbio con altre situazioni che sono accomunate da
alcuni aspetti.
2. Incapacità di passare da un concetto/comportamento all’altro (flessibilità cognitiva)
La Flessibilità cognitiva è una sottocomponente essenziale della pianificazione, perché è parte del risolvere
un problema la capacità di abbandonare le strategie infruttuose.
La flessibilità cognitiva mi permette di cambiare e abbandonare certe azioni e formulare una nuova
strategia; questo problema è ancora più difficile per i soggetti prefrontali (interrompere e sostituire le
azioni). Questo problema di continuare a riproporre le stesse azioni si chiama perseverazione.
La perseverazione è un comportamento rigido, caratterizzato dal riproporre ripetutamente le stesse
soluzioni comportamentali, anche se queste si dimostrano (o vengono etichettate come) errate.
Il Wisconsin card sorting test (WCST) è in grado di rilevare la perseverazione:
- Il soggetto ha davanti a sè 4 cartoncini con disegnate figure diverse per una o più caratteristiche di
colore, forma, numero
- Uno alla volta gli vengono presentati 128 cartoncini con figure analoghe per qualcuno dei caratteri
(es. 2 croci rosse che corrispondono al modello (a) per il colore, (b) per il numero, (c) per la forma
- Il soggetto deve porre ogni cartoncino sotto al modello con cui reputa condivida qualche
caratteristica (fornita dallo sperimentatore)
- Dopo ogni scelta l’esaminatore lo informa se l’assegnazione è stata “giusta” o “sbagliata”
- Vengono dichiarate giuste le assegnazioni effettuate per colore e, dopo 10 risposte corrette
consecutive, quelle eseguite per forma, e infine quelle per numero, senza che il soggetto sia mai
avvertito quando il criterio “giusto” cambia: c’è un cambiamento del criterio
- i soggetti sani sbagliano inizialmente ma poi cambiano le strategie di accoppiamento delle carte;
nei pazienti con lesioni prefrontali, si verificano trial in cui il soggetto continua ad abbinare le carte
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per il criterio precedente (non riescono ad abbandonare uno stile di risposta quando si rivela
inadeguato)
- L’esame dura fino a quando sono state identificate 6 categorie (CFNCFN) o fino all’esaurimento dei
128 cartoncini prefrontale 42
Risultati:
- I pazienti con lesione prefrontale identificano meno categorie.
- Commettono più errori: continuano a scegliere la categoria che era giusta nella fase precedente ma
non lo è più in quella attuale => errori perseverativi; incapacità di sganciarsi dal criterio precedente
- Il deficit deriva sia dall’incapacità di inferire il criterio che dall’incapacità di sganciarsi dal criterio
precedentemente “rinforzato”.
- Scarsa inibizione di associazioni automatiche e risposte perseveratorie.
La flessibilità cognitiva viene operazionalizzata coi compiti di Reversal learning:
- Devi scegliere fra due forme geometriche: presentate una sopra e una sotto; le due forme vengono
rinforzate
- Se scegli la forma di sopra vinci dei soldi l’80% delle volte; se scegli la forma di sotto vinci solo il 20%
delle volte; i punti guadagnati vengono scritti e quindi il paziente vede i punti totalizzati
- Tu impari a scegliere la forma di sopra
- Dopo un certo numero di scelte vantaggiose l’associazione viene rovesciata (reversed)
- Tu devi iniziare a scegliere la forma di sotto: i soggetti tendono a selezionare la forma di sopra ma
vedendo che perdono tendono a cambiare tipo di risposta
Hornak e collaboratori testano un numero di pazienti frontali con lesioni in varia sede (OFC, DLPFC); hanno
cercato di capire quali pazienti fossero capaci di flessibilità cognitiva.
I soggetti di controllo hanno delle lievi oscillazioni ma di fatto vanno crescendo di guadagno lungo il corso
dell’esperimento; i pazienti con lesioni dorso-laterali si dividono in due gruppi e alla fine del compito viene
anche chiesto ai pazienti: quale informazione sullo schermo ti è stata utile per essere guidato nella scelta
della forma più vantaggiosa? i soggetti se avevano ben capito il compito, dovevano dire di basarsi sulle
informazioni di feedback date dal punteggio. Un gruppo di soggetti con lesioni dorso-laterali (DLPFC) ha
capito le informazioni rilevanti da guardare ma un altro gruppo degli stessi pazienti non ha capito quali
siano le informazioni rilevanti, quindi è come se non avessero prestato attenzione alle info rilevanti.
Quindi i pazienti dorso-laterali riescono a far bene il compito in relazione alla visione delle informazioni
rilevanti.
Invece si osserva che i pazienti con lesione della corteccia orbito-frontale (OFC), nonostante dicano di avere
prestato attenzione alle informazioni rilevanti, sbagliano e questi quindi sono più interessanti dei pazienti
precedenti; questo è un puro deficit: la corteccia orbito-frontale è necessaria per fare reversal learning,
ovvero ribaltare il proprio stile di risposta quando cambiano le contingenze di rinforzo.
Due popolazioni di pazienti fanno male il compito di reversal learning, fallendo nell’invertire il proprio
comportamento quando le contingenze di rinforzo cambiano.
DLPFC: Quando viene loro chiesto su quale informazione si sono basati per svolgere il compito, i soggetti
con lesioni prefrontali dorsolaterali riportano di essersi basati su fonti non importanti (e.g., il colore delle
figure) =>I pazienti con lesioni in DLPFC falliscono perchè non portano l’attenzione sull’informazione
rilevante; un problema di attenzione.
OFC: Al contrario, i pazienti con lesioni in OFC, pur dichiarando di aver prestato attenzione all’informazione
giusta, non riescono a usare quell’informazione per la guida del comportamento.
La corteccia orbito-frontale si rivela necessaria per cambiare un comportamento in favore di un altro
quando questo inizia a rivelarsi infruttuoso; tale possibilità è abolita nei pazienti prefrontali con lesione
orbitofrontale.
3. Incapacità di inibire risposte comportamentali automatiche
La sindrome da dipendenza ambientale (Lhermitte 1983) è un tipo di comportamento che riflette
l’incapacità di selezionare stili di risposta basati sui propri obiettivi interni; questa incapacità risulta dovuta
al fatto che i pazienti prefrontali sono guidati dall’informazione esterna.

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Il comportamento d’uso è un comportamento per il quale se il soggetto con lesione frontale ha un oggetto
davanti, anche se non risponde ai propri obiettivi, si mette a manipolarlo. Solo il fatto che sia presente
qualcosa che stimola il soggetto porta questo a mettere in atto un comportamento di manipolazione.
Il paziente si siede al tavolo dell’esaminatore, vede una penna, la prende e si mette a scrivere.
Il comportamento d’uso dimostra che:
- Il paziente sa come si usano gli oggetti: e anzi è schiavo degli stimoli che portano a programmi
motori agiti; il soggetto è schiavo della stimolazione esterna
- Li usa nel modo appropriato.
- Li usa nel contesto non appropriato.
- Il paziente è “schiavo dello stimolo”, di fronte al quale attiva in maniera automatica l’azione relata
Il comportamento d’imitazione è un analogo del comportamento d’uso: il soggetto imita lo sperimentatore;
es.: L’esaminatore si soffia il naso. Il paziente fa il gesto di soffiarsi il naso.
L’esaminatore chiede all’assistente di passargli un libro. Il paziente assiste e ripete lo stesso ordine.
Altro esempio del fatto che il paziente è schiavo della stimolazione esterna: fanno azioni uguali a quelle che
vedono fare davanti.
Tale deficit si riporta al disturbo nel controllo dei processi attentivi volontari.
4. Disturbo nel controllo dei processi attentivi volontari
Il soggetto non è in grado di settare il comportamento top-down e diventa schiavo della stimolazione
esterna; tale incapacità di inibire le risposte automatiche dipende da un disturbo dei processi attentivi
volontari.
Quando setto l’attenzione in maniera top-down, le azioni sono finalizzate a un obiettivo; se invece è guidata
da quella bottom-up, il soggetto è in balia degli stimoli esterni.
Attenzione volontaria vs. automatica
- L’attenzione volontaria è la capacità di concentrare le risorse attentive su una fonte rilevante di
informazione, in presenza di distrattori salienti (attenzione top-down)
- Al contrario l’attenzione automatica è quella che viene catturata dalla presenza di uno stimolo
intrinsecamente saliente (attenzione bottom-up)
Un compito operazionalizza la differenza tra queste attenzioni: Stroop test (compito in cui è ingaggiato il
controllo cognitivo); il soggetto deve dire il colore delle parole, quindi deve dire il colore e inibire la
tendenza automatica di leggere la parola.
Si nota un’interferenza in cui i soggetti diventano lenti a denominare il colore con cui è scritta una parola, se
la parola si riferisce a un altro colore
Il test di Stroop richiede di dire in che colore sono scritte alcune parole.
Alcune parole indicano proprio il colore in cui sono scritte (e.g., parola “rosso” scritta in rosso; condizione
congruente), mentre altre parole indicano un colore diverso da quello in cui sono scritte (e.g., parola
“verde” scritta in rosso; condizione incongruente).
Il compito è più difficile nella condizione incongruente, che richiede di settare e mantenere in memoria
quale è la dimensione rilevante dello stimolo (IL COLORE) ed inibire la risposta di lettura, che è automatica e
forte, e porta a soluzioni errate (effetto di interferenza).
Al test di Stroop, i pazienti frontali hanno un effetto di interferenza maggiore rispetto ai soggetti sani.
Sono molto più lenti nella condizione incongruente dei soggetti normali: tendono a seguire l’operazione
automatica, ovvero leggono il colore scritto anziché dire il colore di cui è colorata la parola.
I pazienti verosimilmente soffrono di due tipi di problemi:
1. Attenzione volontaria deficitaria: non settano nella working memory qual è la dimensione
rilevante cui prestare attenzione (IL COLORE), quindi la loro attenzione è più facilmente catturata da
stimoli salienti ma non rilevanti per il compito;
2. difficoltà a sopprimere e inibire una risposta altamente automatizzata (lettura), ma che non
corrisponde alla risposta corretta, all’obiettivo.
La capacità di inibire la risposta automatizzata sbagliata è data da controllo cognitivo.
Il compito di Stroop elicita un conflitto cognitivo: una risposta che risponde agli obiettivi del soggetto e una
risposta automatizzata che è la lettura.

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Si pensa che queste due azioni siano legate a due strutture: giro del cingolo per fare la detezione del
conflitto cognitivo (si attiva di più in situazioni di trial incongruenti), questo attiva la DLPFC per
l’implementazione controllo cognitivo (che viene aumentato).
Il conflitto fra riposte attiva la corteccia cingolata anteriore (ACC) che è a sua volta responsabile
dell’attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC); quest’ultima esercita un controllo
cognitivo settando di nuovo le istruzioni nella working memory: permette di dirigere l’attenzione sul colore
e non sulla parola.
Il controllo cognitivo quindi dipende da due fasi che prevedono il coinvolgimento di queste due strutture:
detezione del conflitto cognitivo (ACC) e implementazione del conflitto cognitivo (DLPFC).
Se è vero che la detezione dello stimolo incongruente causa la detezione del conflitto cognitivo e questo
causa l‘implementazione di risorse cognitive, allora si dovrebbe trovare che soggetti sono più bravi a fare un
trial incongruente se questo viene dopo un altro trial incongruente rispetto a se viene dopo uno
congruente. Questo perché il primo trial incongruente fa sì che ci sia detezione del conflitto e questo
conflitto fa reclutare risorse top-down aggiuntive che vengono utilizzate nel successivo trial incongruente
(risorse aggiuntive già disponibili).
Si determina un più elevato livello di controllo cognitivo che previene errori nelle prove successive.
Il giro del cingolo si accorge delle due risposte diverse e allora richiama risorse cognitive aggiuntive che
vengono elicitate dalla corteccia prefrontale dorso-laterale; quindi nel caso di due stimoli incongruenti in
sequenza: dovremmo essere più bravi a processare il secondo, perché il primo ha causato
un’implementazione di risorse disponibili per il secondo stimolo incongruente.
La detezione del conflitto è un processo in due fasi che porta a una migliore detezione dello stimolo
incongruente se questo è anticipato da un altro stimolo incongruente. La detezione del primo stimolo
chiama un settaggio più forte della regola “risponde al colore”, quindi il secondo compito viene risolto in
maniera più agile dal soggetto.
Simon task: Rispondi al colore verde col tasto destro, e al colore rosso col tasto sinistro (due tendenze di
risposta: desiderata e automatizzata che può essere congruente o incongruente); questi stimoli possono
essere presentati a destra o a sinistra: se il colore verde si presenta a destra allora la situazione è
congruente (la risposta top-down determinata dallo stimolo e quella bottom-up elicitata dall’ambiente
sono congruenti ovvero danno la stessa tendenza di risposta), se invece lo stimolo rosso si presenta a
destra allora la situazione è incongruente perché devo schiacciare il pulsante verde (la tendenza top-down
e quella automatica, ovvero bottom-up sono incongruenti e quindi generano conflitto cognitivo).
In comune con lo Stroop task ha il fatto che ci sono risposte congruenti e incongruenti.
In questo compito ho una catena di stimoli che si susseguono; nell’esperimento sono stati testati soggetti
sani, soggetti con lesioni frontali nel giro del cingolo e soggetti di controllo con lesione da un’altra parte.
Mi aspetto che soggetti con lesioni del giro del cingolo facciano peggio perché i pazienti non hanno pronto
un maggiore controllo cognitivo a causa della mancata implementazione delle risorse.
I soggetti normali sono più bravi a rispondere ad un trial incongruente se preceduto da un trial
incongruente, piuttosto che un trial incongruente che segue un trial congruente. Quindi i soggetti sani
hanno tempi di reazioni più bassi quando devono rispondere a un trial incongruente preceduto da un altro
incongruente: effetto sequenza che fa sì che il primo trial incongruente porti a maggiori risorse per
rispondere al trial successivo; la prima presentazione ha sollevato un conflitto cognitivo e questo ha
richiamato delle risorse top-down aggiuntive per risolvere questo conflitto che sono disponibili per il trial
incongruente successivo (il trial congruente non elicita conflitto cognitivo e quindi non elicita risorse
cognitive aggiuntive).
Questa stessa cosa accade per pazienti con lesioni non frontali (ovvero il gruppo di controllo); sono più
veloci a processare un trial incongruente che arriva dopo un trial incongruente, quindi questo effetto di
sequenza avviene anche con loro.
Pazienti con lesioni del giro del cingolo: non c’è lo stesso effetto di sequenza, ovvero non sono più bravi a
processare un trial incongruente che arriva dopo un trial incongruente.
Questo esperimento dimostra che gli effetti di sequenza esistono e che sono dovuti all’operazione del
giro del cingolo perché sono aboliti in pazienti con lesioni di tale area; è il giro del cingolo a determinare

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gli effetti sequenziali perché risponde al conflitto cognitivo portando ad elicitare maggiori risorse per
rispondere al trial successivo.
Questo si vede anche con risonanza magnetica funzionale (fMRI): abbiamo sequenze di item e si vede che il
giro del cingolo è più attivo per un item incongruente rispetto a un item congruente se sono i primi della
sequenza; se invece ci concentriamo sul secondo item, si vede che la corteccia dorso laterale è più attiva
per un item incongruente che segue un primo item incongruente.

Quindi:
- primo item: se incongruente allora abbiamo maggiore attivazione del giro del cingolo
- secondo item: se incongruente allora abbiamo maggiore attivazione della corteccia dorso laterale
questo è in accordo con l’ipotesi che il giro del cingolo fa una detezione per il conflitto cognitivo e questa
detezione si ripercuote in un aumentato del controllo cognitivo che si vede nei secondi item della sequenza
in cui si vede che la corteccia dorso laterale ha una maggiore attivazione per item incongruenti che seguono
item incongruenti perché c’è stato un reclutamento di risorse cognitive elicitate dal giro del cingolo.
Effetto sequenziale: ripartizione del lavoro tra giro del cingolo e corteccia dorso laterale per detezione del
conflitto cognitivo e implementazione di risorse per risolvere il conflitto:
- Giro del cingolo: detezione del conflitto
- Corteccia dorso laterale: implementazione del controllo cognitivo che diventa disponibile nei trial
successivi
Questi effetti di sequenza dimostrano che si è più efficaci a processare il secondo stimolo di due stimoli
incongruenti perché abbiamo risorse cognitive già pronte.
Esperimento: viene utilizzato il DRM task (vedi prime pagine “disredic e mecdermon”): compito di
riconoscimento in cui viene chiesto al soggetto di dire se una parola è stata presentata in una lista
precedente. Quando vengono presentate le parole, abbiamo:
- Target: parola studiata che elicita una risposta “ok questo è vecchio e l‘ho già visto”
- Unrelated lure: una parola non studiata e non simile a quelle studiate, non c’entra niente con la
parola studiata
- Related lure: distrattore relato; è una parola non studiata ma relata nel significato alle parole
studiate (detto anche critical lure); questa parola porta a un falso allarme
se stiamo facendo un compito di riconoscimento in cui dobbiamo dire se quella parola l’abbiamo studiata o
meno, allora nel caso del target diremo che l’abbiamo studiata in maniera univoca; nel caso del distrattore
non relato riconosciamo che la parola è nuova in maniera univoca; nel caso del distrattore relato invece
abbiamo l’emersione di due tendenze diverse di risposta: la risposta giusta che risponde alla regola settata
in working memory e che quindi ci fa dire che la risposta è nuova e una risposta fortemente automatizzata
che ci fa dire che la parola è vecchia perché questa parola è simile nel significato semantico alle parole
studiate.
Quindi è come se ci fosse una competizione tra una via diretta di tipo semantica e automatica che fa dire
“vecchio” e una via episodica, top-down che farebbe dire “nuovo” (è un po’ come nello stroop test).
Questa è l’origine dei falsi allarmi: i falsi allarmi avvengono nel DRM perché vince la via diretta che fa
rispondere sulla base del significato generale dello stimolo piuttosto che alla storia episodica dello stimolo
ovvero se l’ho vista in questa lista di studio.
Nei related rule c’è un conflitto tra due vie di risposta, una indiretta che determina la risposta corretta sulla
base della caratteristica rilevante dello stimolo ovvero sulla base della storia episodica dello stimolo, invece
c’è una via diretta (automatica) che induce una risposta basata sul significato generale dello stimolo
piuttosto che sulla storia episodica dello stimolo.
Quindi c’è un conflitto cognitivo tra una via indiretta per cui il soggetto è stato istruito (rispondere alla
storia episodica dello stimolo) e una via automatica, diretta che fa rispondere sulla base del significato
generale dello stimolo.
La risoluzione di questo conflitto prevede di settare nella working memory la regola di rispondere allo stato
episodico della parola e non al suo significato; se è vero che nel compito della false memorie si ha un
conflitto tra due diverse vie di risposta che viene vinto dalla via diretta, allora anche in questo paradigma
dovremmo trovare effetti sequenziali: si dovrebbero fare meno false memorie per un critical lure
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(distrattore critico: rispondo alla storia episodica o al significato generale?) che segue un altro critical lure;
questo perché il primo distrattore critico elicita un conflitto che fa settare la regola generale in maniera
forte che sarà disponibile per il distrattore successivo e così con il secondo distrattore si troverebbero a
rispondere subito sulla base della regola giusta.

Si voleva dimostrare che in un paradigma di memoria episodica delle false memorie si potevano trovare
effetti di sequenza simili tra gli item di memoria e item nel Simon Task; quindi nella prima fase i soggetti
studiavano liste di item fortemente associati e in una seconda fase c’era un paradigma di riconoscimento di
memoria mischiato a un Simon task per cui c’erano:
- coppie di item del Simon task (che potevano essere congruenti-incongruenti, solo congruenti o solo
incongruenti)
- coppie di item di memoria (target seguito da critical lure e tutte le diverse combinazioni possibili)
- coppie miste, in cui i soggetti vedevano item del Simon task e poi item di memoria (e tutte le
diverse combinazioni: primo item del Simone. secondo della memoria, oppure primo item della
memoria e secondo del Simon; più tutte le combinazioni congruenti, incongruenti, target, unrelated
lure e critical lure)
Cosa ci si aspetta?
Ci si aspettava di replicare i precedenti risultati nel Simon task, ovvero replicare che i soggetti siano più
veloci a rispondere a un trial incongruente che segue un altro incongruente; quindi nelle coppie Simon-
Simon (ovvero due trial del Simon) ci si aspettava di replicare i risultati precedenti.
Nelle coppie memory-memory, se è vero che il critical lure è un esempio di trial incongruente, allora ci si
aspettava che i soggetti fossero migliori nel processare un critical lure che segue un altro critical lure.
I related lure elicitano conflitto cognitivo: il soggetto dovrebbe essere più bravo a rispondere a un critical
lure che segue un critical lure rispetto a se segue un unrelated rule o un target perché dovrebbe elicitare
più risorse cognitive
Lo stesso vantaggio non dovrebbe trovarsi sui target che seguono altri target perché il controllo cognitivo
serve per risolvere trial incongruenti e non congruenti (il primo related rule fa settare la regola).
Inoltre ci si aspetta che un Simon trial che precede un memory trial non porti a un vantaggio e a una
migliore risoluzione e quindi ad effetti di sequenza; questo perché il primo trial incongruente dice di
rispondere al colore dello stimolo mentre il seconda alla posizione. Quindi ci si aspetta che gli effetti di
conflitto cognitivo siano specifici per il compito specifico che sta facendo il soggetto; quindi se è vero che
agiscono settando una regola forte in working memory, e non perché aumentano le risorse attentive del
soggetto, allora non dovrei trovare che un trial incongruente che si riferisce a un compito di Simon, aiuta un
trial incongruente che si riferisce a un compito di memory.
Ci si aspetta un aumento degli effetti sequenziali solo all’interno di compiti specifici e non tra compiti diversi
pur entrambi incongruenti.
Cosa si trova?
Nelle sequenze di trial Simon: i soggetti sono più veloci a processare item incongruenti che seguono item
incongruenti (replica degli effetti sequenziali del Simon task).
Per quanto riguarda i trial di memoria: i soggetti fanno meno falsi allarmi sui related lure che seguono altri
related lure piuttosto che un target o un unrelated lure e alla baseline; quindi avere un related rule prima di
un altro related lure facilita il processamento corretto del secondo (i soggetti fanno mneo falsi allarmi). E’
come se il primo related lure elicita la detezione del conflitto (tra la storia episodica dell’item e il significato
generale dell’item), quindi i soggetti elicitano un maggiore controllo cognitivo e quindi settano la regola in
working memory (rispondi allo stato episodico dello stimolo e non al significato generale); questa regola
nuova settata è disponibile quando il soggetto vede il secondo related lure e questo fa sì che il soggetto
risponda correttamente non facendo falsi allarmi.
Quindi sono stati dimostrati, nella memoria, gli stessi effetti sequenziali tra stimoli incongruenti come era
stato osservato nel Simon task ovvero un compito percettivo; i soggetti sono più accurati e veloci nel
risponder e a un related lure che arriva dopo un altro related lure.

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Si pensa che il conflitto elicitato dal primo related rule aiuta a processare e risolvere il secondo related rule
facendo settare nella corteccia dorso-laterale “rispondi alla storia episodica della parola”; questi effetti di
sequenza non si trovano sui target e sugli unrelated rule, perché in questi casi non abbiamo conflitto e non
abbiamo bisogno di un maggiore controllo cognitivo.
Inoltre avere un trial incongruente in un compito non aiuta a processare un trial incongruente di un altro
compito perché la regola settata nella working memory è specifica per quel compito: non c’è trasferimento
di controllo cognitivo da un compito a un altro.
Questo dimostra che gli effetti sequenziali tra trial incongruenti non sono dovuti a un aumento di
attenzione, se no questa migliore performance nel secondo trial l’avrei anche nel compito diverso; invece il
vantaggio è dovuto al fatto che il primo trial incongruente ribadisce la regola, la dimensione rilevante per
quel compito specifico che è disponibile e agevola il secondo trial incongruente.
Quindi non ci sono trasferimenti di controllo cognitivo accresciuto tra due trial incongruenti di due compiti
diversi: il controllo cognitivo è specifico per il trial in questione e setta per quello specifico compito che ha
quella specifica regola.
Risultati? In questo esperimento vengono confermati gli effetti di sequenza nel Simon task (i trial
precedenti elicitano una risoluzione di conflitto disponibile nei trial successivi); questo comportamento lo si
vede nei compiti di memoria che elicitano conflitto cognitivo, come nel DRM task e quindi anche in questo
caso avere in sequenza due item critici (related rule) fa sì che il secondo giovi delle risorse cognitive elicitate
dal primo.
In un secondo esperimento: viene ipotizzato che se è vero che i related rule mobilitano il controllo
cognitivo, allora dovrei avere una migliore performance se nel compito di riconoscimento abbiamo più
related rule.
In una condizione vengono messi pochi related rule nella lista di parole mentre l’altra condizione era densa
di related rule; ci si aspetta che nell’ultima condizione i soggetti facciano meno falsi allarmi perché la
presenza di più related rule mobilitano più controllo e facilitano il processamento.
Si è osservato che i soggetti fanno meno falsi allarmi quando ci sono più related rule, quindi avere più relate
rule aumenta il controllo cognitivo disponibile per i soggetti che quindi aiuta il processamento di item che
richiedono controllo cognitivo (quindi i related rule).
Attenzione top-down e percezione
L’attenzione top-down influenza anche i processi percettivi di base, come il “perceptual grouping”.
Windmann et al (2006) hanno trovato che i pazienti con lesioni frontali avevano una ridotta abilità di
alternare la percezione delle due alternative rappresentazioni (profili\vaso); i soggetti normali oscillano
periodicamente nella percezione di due profili o nella percezione del vaso. I soggetti con lesione frontale
shiftano meno e rimangono più su una delle due percezioni.
Una prima evidenza dell’influenza del lobo frontale sulla percezione: eccessiva fissità nell’alternare la
rappresentazione stabile di due percetti.
Compito di psicofisica: soggetti sani quando vedono del segnale tendono a raggrupparlo per un processo
che si chiama Grouping percettivo.
Il Grouping percettivo avviene quando alcuni elementi che hanno una caratteristica in comune vengono
raggruppati.
Per esempio, il nostro sistema percettivo “raggruppa” ed individua elementi collineari su uno sfondo
rumoroso e distrattore.
Ci sono evidenze che dimostrano che per target molto densi, la corteccia occipitale può da sola integrare gli
elementi per formare una forma complessa; nei campi recettivi delle cellule occipitali cascano alcuni
elementi per cui essa da sola può realizzare di cosa si tratta.
E’ stato però ipotizzato che per raggruppare target più sparsi sia essenziale il contributo di PFC, che
mantenga un “search template” in working memory (cerca un cerchio). La PFC aiuta il soggetto nella
detezione del cerchio settando nella working memory l’istruzione “cerca il cerchio”.
Abbiamo due condizioni: cerchio denso e cerchio sparso; la differenza sta nel numero di elementi che
permettono di individuare la forma: nel primo ne abbiamo tanti e basta la corteccia occipitale, nel secondo
ne abbiamo pochi e abbiamo bisogno della PFC.

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Ipotizziamo che soggetti con lesione della PFC sono deficitari nella condizione sparsa piuttosto che con
condizione densa; quindi, ipotesi: quando gli elementi sono più densi non è necessaria la PFC per fare la
detezione del cerchio, mentre quando sono più sparsi si ipotizza che sia necessaria la PFC per tenere nella
working memory il template.
Abbiamo diverse condizioni: il cerchio è composto da 6, 10 o 14 elementi; soggetti normali nella condizione
più densa sono bravi come i soggetti di controllo (lesione non nella PFC). Soggetti prefrontali sono
ugualmente bravi nella condizione con 14 elementi ma la loro prestazione è già deficitaria quando gli
elementi sono 10; deficit molto grave nella condizione in cui gli elementi che compongono il cerchio sono
solo 6.
Conclusioni:
- PFC: NON necessaria per la detezione di target salienti che inducono una selezione BOTTOM-UP,
cioè fanno pop-out (automaticamente) dal background di distrattori.
- PFC necessaria per la detezione di target meno evidenti, per la quale è cruciale settare in maniera
TOP-DOWN una rappresentazione del target da cercare in working memory, (e.g., “cerchio”);
questo facilita la detezione di un target meno evidente
6. Controllare le reazioni emotive
Ci sono due risposte diverse a seconda delle lesioni dei pazienti: alterazioni del comportamento emotivo in
seguito a lesione frontale. Abbiamo due sindromi psichiatriche in seguito a lesioni frontali:
- “Sindrome pseudo-depressiva”: Rallentamento e riduzione di ogni attività e tono depresso
dell’umore; non traggono piacere dalle attività che di solito danno piacere, apatia. Sofferenza
dovuta alla lesione della corteccia mesiale
- “Sindrome pseudo-psicotica”: Disinibizione e tono euforico-maniacale dell’umore. Sofferenza della
corteccia orbitaria
Sindrome pseudo-depressiva
Soggetti caratterizzati da:
- Abbassamento del tono dell’umore, mancanza di energie, rallentamento psicomotorio, tendenza al
pessimismo.
- anedonia = incapacità di trarre giovamento da attività piacevoli.
- Apatia, perdita di iniziativa, incapacità di iniziare ed impegnarsi nelle attività, dipendenza da altri
(opposto del comportamento motivato).
A differenza dei pazienti depressi, non hanno insight sulla propria condizione, quindi non si lamentano
rispetto a questa perdita di iniziativa, sono insensibili a questo stato.
Sindrome pseudo-psicotica
Caratterizzati da:
- Impulsività: presa di decisione a favore di reward (ricompense) immediati che non tiene conto delle
conseguenze a lungo termine;
- Sociopatia acquisita: messa in atto di comportamenti aggressivi, con assenza di senso di colpa o
rimorso, conseguente a lesione cerebrali, assenza di empatia.
Il ginecologo soprannominato “Dr. Zorro” perchè incise le sue iniziali sull’addome di una paziente dopo aver
effettuato un parto cesareo.
Al Dr. Zorro fu in seguito diagnosticata una demenza fronto- temporale (fv-FTD).
Queste due sindromi sono attribuite al malfunzionamento di due aree diverse: corteccia mesiale e orbitale;
siccome spesso sono entrambe lesionate, il caso più tipico è che i pazienti abbiano contemporaneamente
entrambe le sindromi (pseudo-depressiva e psicotica).

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Impulsività: Temporal Discounting (TD)
Un tipo di reazione inadeguata che si trova nei pazienti ventromediali è l’impulsività.
Per impulsività facciamo riferimento alla presa di decisione sbilanciata a favore di ricompense immediate,
che trascura le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni
L’impulsività in neuroscienze viene modellizzata con dei paradigmi di temporal discounting; in tali
paradigmi, i soggetti devono scegliere tra due ricompense: una ricompensa più piccola ma disponibile
subito, e una ricompensa più grande ma disponibile solo dopo un certo periodo di tempo.
I reward possono essere 20 euro subito o 100 dopo una settimana; il compito è di resistere alla ricompensa
immediata più piccola per averne una più grande più tardi. La ricompensa differita (quella che verrà data
più avanti nel tempo), di solito viene svalutata.
Quando si tende a scegliere l’opzione più vicina nel tempo, anche se più piccola, si dice che il valore
dell’opzione futura viene svalutato: temporal discounting ovvero sconto temporale.
Il TD varia molto anche negli individui normali e ci sono persone che preferiscono avere le ricompense
subito anche se più piccole. Scelte di TD rivelano impulsività anche nella vita quotidiana.
Il TD gioca un ruolo importante in situazioni che coinvolgono il self-control, ad es. in comportamenti
impulsivi come l’abuso di sostanze ed il gioco d’azzardo; il TD è molto presente in popolazioni cliniche:
bulimia, fumatori, coloro che abusano di sostanze.
In laboratorio, nel compito di TD viene chiesto di scegliere tra 20 barrette di cioccolato oggi o 40 tra un
mese; se si sceglie l’opzione immediata allora poi si chiede se preferisce 10 barrette oggi o 40 la settimana
dopo. Il tipo di ricompensa viene cambiato a seconda delle scelte dei soggetti per arrivare a vedere fino a
che punto la persona sacrifica un reward ritardo ma maggiore nel tempo a favore di uno immediato ma più
piccolo.
C’è un punto in cui i soggetti cambiano la loro scelta e il soggetto sceglie 40 barrette tra tre mesi e così si
vede per la persona il valore soggettivo di 40 barrette tra una settimana; è un valore soggettivo che
equivale più o meno a una barretta oggi e ognuno ha la sua curva soggettiva di TD.
C’è una forte variabilità nei soggetti normali nel TD; è interessante capire le basi neurali attraverso studi di
neuroimaging funzionale.
In tali esperimenti si attiva una serie di aree neurali mentre i soggetti contemplano opzioni future; in
particolare si attiva la corteccia ventromediale, il cingolo superiore, il nucleo ventrale striato. La loro
attivazione correla col valore percepito: più si attivano queste aree e più i soggetti tengono in
considerazione le opzioni future.
Si è voluto vedere se la corteccia prefrontale ventromediale fosse necessaria a mediare questi compiti che
sottendono all’impulsività.
Esperimento: gruppo di pazienti con lesioni della corteccia ventromediale che sono stati sottoposti a 3
compiti di TD, in cui i reward potevano essere soldi, voucher per acquistare bene o cibo.
Sono stati confrontati tali pazienti con soggetti sani e soggetti con lesioni non frontali; veniva sempre
chiesto di scegliere tra opzioni piccole e disponibili subito o ricompense maggiori ma disponibili più tardi.
Nei soggetti sani viene svalutato di più il cibo dei soldi, ovvero le persone tendono ad aspettare di più per
avere soldi rispetto al cibo; questo è un comportamento normale: il cibo degrada quindi vogliamo averlo
subito.
I pazienti con lesioni non frontali si comportano in maniera simile ai soggetti sani (ovvero quelli di
controllo).
Per i soggetti con lesione ventromediale invece il valore soggettivo della ricompensa cala molto
velocemente col passare del tempo: sono soggetti che danno molto valore alle ricompense immediate e
poco a quelle ritardate da pochi giorni.
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I pazienti frontali (ventromediali) sono più impulsivi.
Scelgono ricompense immediate, anche se le ricompense future sono oggettivamente maggiori.
Ci sono diverse ipotesi per cui questo succede:
- Problema nel controllo cognitivo (ovvero non inibire la tentazione scatenata dal reward
immediato)?
- o nell’immaginazione degli eventi futuri (non immaginandosi il futuro con un reward maggiore,
allora non c’è motivo per rinunciare a qualcosa di immediato in vista di una ricompensa futura)?
Temporal connectedness?

Questa ipotesi sulla relazione tra immaginazione del futuro e capacità di scelta futura è stata esplorata in
un lavoro di Peters e Buchel in cui un paradigma di TD veniva applicato in due condizioni diverse: controllo
e condizione episodica (in cui veniva fatto immaginare il futuro).
In questo esperimento i soggetti immaginavano eventi futuri come una vacanza a Parigi tra 45 giorni; in
successioni diverse veniva fatto un compito di TD in due condizioni diverse:
- standard: preferisci 20 euro ora o 26 euro tra 30 giorni e i soggetti dovevano scegliere; si stima la
curva con cui i soggetti calano nel valore soggettivo che danno alla ricompensa
- episodica: vengono proposte le stesse scelte e viene messo un cue ovvero “vacanza tra 45 giorni a
Parigi”; questo cue dovrebbe fare pensare alla gita a Parigi che hanno immaginato e dovrebbero
essere più capaci di immaginarsi qualcosa di futuro collegato alle loro scelte
con questo paradigma sperimentale è stato dimostrato che i soggetti hanno curve di TD meno ripide nella
condizione episodica, ovvero in questa condizione è più probabile che scelgano l’opzione di reward più
grande e più ritardata, diventano più pazienti.
Quindi la capacità di immaginare il futuro ci fa resistere alla tentazione di andare su ricompense
immediate; c’è un legame tra capacità di immaginare il futuro e scelta orientata verso il futuro. Questo
conferma che pazienti ventromediali sono impulsivi perché non riescono a immaginare il futuro in maniera
vivida; lo stesso esperimento è stato fatto con pazienti ventromediali: essi possono essere resi più pazienti
attraverso la condizione episodica.
L’impulsività è una delle caratteristiche dei pazienti ventromediali.
Mancato controllo di reazioni emotive inadeguate
Un altro tipo di reazione inadeguata che si trova nei pazienti ventromediali è l’incapacità di sopprimere
risposte emotive che non sono funzionali al compito che stanno facendo.
Un esempio di questa tendenza a si trova in un compito di decisioni economiche: soppesare le
considerazioni di tipo utilitaristico ed emotive.
Si va a vedere che peso hanno le componenti emotive rispetto a quelle utilitaristiche in questo pazienti
ventromediali; un gioco economico è l’ultimatum game.
UG game:
1. Un tuo amico ha 10 dollari a disposizione.
2. Deve dividerli con qualcuno, altrimenti non può tenerli.
3. Ti propone questa divisione: 9 dollari per sè, 1 per te.
4. Accetti?
UG Task: I soggetti giocano con diversi partner anonimi; le offerte erano predeterminate e presentate in
maniera casuale. In ogni prova la somma da dividersi era di 10€.
Le offerte dell’altro possono essere eque (si tiene 6 e da 4) o inique (si tiene 8 e da 2) e il soggetto deve
decidere se accettare; le offerte eque vengono accettate, quelle non eque vengono rifiutate dai soggetti
sani e facendo questo danno priorità a un’emozione di rabbia causata da un’offerta che ritengono
inaccettabile rispetto alla quota da dividere.
I soggetti sani fino a una certa misura accetta la proposta che di solito è 7-3 perché 3 è meglio di niente; essi
danno priorità o all’emozione di rabbia e quindi rifiutano l’offerta iniqua o danno priorità al guadagno.
Per offerte molto inique i soggetti sani rifiutano e questo sembra una sorta di punizione data all’altro:
punizione altruistica per insegnare all’altro una regola sociale, ovvero non si fanno offerte inique
(rinunciano a dei soldi pur di punire l’altro e correggerne i comportamento).
In questo gioco ci sono in ballo componenti utilitaristiche ed emotive.
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Partecipanti:
- 7 pazienti con lesione selettiva di vmPFC (aneurisma AcoA, età media 54 anni, scolarità=11)
- 6 pazienti di controllo (lesioni non coinvolgono il lobo frontale, età media = 48 anni, scolarità=11)
- 14 soggetti di controllo sani (appaiati ai pazienti vmPFC per età, sesso e scolarità (età media = 53
anni, scolarità=12,3)

Due versioni di Ultimate Game


- UG standard: i giocatori interagivano con altri Proposer anonimi tramite un’interfaccia
computerizzata (uomo-uomo)
- UG con computer: i soggetti avevano come partner il computer, non un umano; il computer decide
dividere i soldi in determinate quote (uomo-computer)
I soggetti normali rifiutano con decisione le offerte inique, e lo fanno in maniera maggiore quando il partner
che fa l’offerta iniqua è un essere umano; con i computer i soggetti sanno che non possono insegnare una
regola sociale e credono che la decisione del computer sia casuale.
I soggetti normali sviluppano una reazione di rabbia che si oppone alla (e diminuisce la) loro propensione al
guadagno nell’UG.
Tale rabbia si definisce “sociale” (altruistica), perchè tesa a punire i concorrenti sleali.
I soggetti sani decidono di non accettare l’offerta per l’altro pur che egli non abbia nulla.
Nei pazienti questa rabbia è incontrollata. Non valutano il guadagno che otterrebbero; assecondano
completamente l’emozione negativa. Inoltre, la rabbia nei pazienti è non sociale (si ha anche per il
computer, al contrario i sani tendono ad accettare di più l’offerta iniqua del computer perché non gli devo
dare una lezione sociale); inoltre rifiutano anche offerte che non sono troppo inique.
I pazienti ventromediali non cambiano reazione tra condizione con uomo e computer
Si dice incapacità di inibire le risposte emotive: manifestano reazioni emotive accentuate i pazienti.
Quindi in questo paradigma si trova un’incapacità nei pazienti ventromediali nel regolare e controllare le
emozioni.
Un altro paradigma in cui si vede chiara questa incapacità di controllare le emozioni prevede due
condizioni:
- hot: ricche di emozioni
- cold: povere di emozioni
nel compito i soggetti potevano scegliere e decidere quante carte girare; ogni carta faceva vincere 10 punti
e tendenzialmente più carte giri e più vinci. Veniva detto al soggetto che poteva arrivare una carta che
faceva perdere dei punti; da una parte hai a tentazione di girare carte e dall’altra all’aumentare delle carte
girate aumenta la probabilità di girare la carta che fa perdere.
I soggetti sani dopo un po’ di carte vincita sentono di rischiare troppo e si fermano.
Questo compito è stato fatto ai soggetti ventromediali per vedere se hanno un rischio maggiore ovvero se
girano più carte; nella condizione hot il soggetto sa subito se ha vinto o meno e quindi quando vince lo sa
subito e questo porta a un’emozione positiva immediata, mentre nella condizione cold invece di girare le
carte finchè vuole il soggetto deve decidere subito quante carte girerà. In quest’ultimo caso ci sono meno
emozioni in ballo perché non c’è il feedback immediato.
Sono stati testati soggetti sani, di controllo e con lesione ventromediale; si vede che nella condizione hot
ma non cold, i soggetti ventormediali girano un numero significativamente superiore rispetto a soggetti sani
e soggetti con lesione in altre sedi. Quindi i soggetti ventormediali non riescono a controllare le loro
emozioni positive in viste di una potenziale perdita futura che potrebbero avere; sono incapaci di modulare
le loro emozioni integrandole con altre informazioni e non riescono a sopprimere le emozioni alla luce di
altre informazioni.

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Come si interpreta la sindrome frontale? il SAS
Ricapitoliamone le componenti e i problemi che hanno i pazienti frontali e che abbiamo visto:
1. I pazienti non sanno pianificare strategie per risolvere problemi nuovi; al contrario i problemi già
svolti nel passato riescono a risolverli meglio nel presente
2. I pazienti non sono flessibili, tendono a perseverare su risposte errate; tendono a non cogliere il
feedback ambientale
3. I pazienti sono guidati dagli stimoli (bottom-up), non dagli obiettivi (top-down) (es: sindrome da
dipendenza ambientale); hanno un deficit nell’attenzione top-down e una patologica dipendenza
da quella bottom-up, ovvero anziché esser guidati dagli obiettivi tendono ad essere guidati dagli
stimoli
4. I pazienti hanno reazioni comportamentali ed emotive inadeguate; non tengono conto di altre
variabili contestuali
queste caratteristiche della sindrome frontale vengono ben spiegate dal modello del sistema attenzionale
supervisore o SAS: è il modello del lobo frontale proposto da Norman e Shallice.
In questo modello viene detto che il nostro agire è guidato da due sistemi di selezione delle informazioni
- Ai livelli inferiori del sistema: meccanismi di selezione competitiva (Contention scheduling);
selezionano le operazioni più adatte per l’interazione con gli stimoli ambientali (che saranno più
attivate) (e.g., schema della prensione in presenza di una tazza). Negli ambienti sono presenti
diversi oggetti e questo sistema attiva tutte le azioni possibili in un determinato ambiente sulla base
delle possibilità offerte dagli oggetti nell’ambiente. Questo sistema favorisce l’azione ma non è
informato dai miei obiettivi
- Al livello superiore del sistema: Sistema attenzionale supervisore (SAS), che organizza, dirige,
sceglie i comportamenti da mettere in atto in accordo coi nostri scopi, e modula l’attività del
Contention Scheduling. Il compito di selezionare tra tutte le azioni possibili attivate dal contention
scheduling, quelle necessarie ai miei obiettivi, è svolto dal SAS che inibisce quelle non necessarie e
attiva le azioni necessarie. Esso avrebbe un ruolo di inibizione sui contenuti del contention
scheduling per favorire l’azione in linea coi miei obiettivi.
ES 1: Suona il mio cellulare!
1. Contention Scheduling attiva azioni necessarie per prendere e rispondere
2. SAS approva e lascia che le azioni vengano espresse.
ES 2: Suona il cellulare di un amico!
1. Contention Scheduling attiva azioni necessarie per prendere e rispondere
2. SAS inibisce il comportamento non adeguato, ovvero quello di rispondere al telefono perché non è un
mio obiettivo
ES 3: Suona il cellulare di un amico, diverso dal mio, e mi chiedono di rispondere.
1. Contention Scheduling attiva azioni necessarie per prendere e rispondere al mio cellulare
2. Non funziona.
3. SAS inibisce il CS
4. SAS cerca i tasti giusti sul NUOVO dispositivo: SAS dirige le operazioni del CS dipendentemente dai
miei obiettivi e per cercare soluzioni a problemi nuovi: è un sistema intelligente che mi permette di
guidare il comportamento sulla base degli obiettivi
Quindi
- la selezione di azioni è un processo competitivo
- le azioni possibili sono attivate tutte dal CS
- il SAS assicura che l’azione che compio sia guidata dall’obiettivo, perché spegne le altre azioni
possibili
All’interno del SAS, Norman e Shallice identificano:
- Funzione di valutazione sulla scelta delle azioni adeguate al raggiungimento di uno scopo:
corteccia frontale dorsolaterale
- Funzione inibitrice e regolatrice: aree frontali orbitarie e ventromediali

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Se il SAS è lesionato, come nel caso dei pazienti con lesioni frontali, l’individuo è guidato esclusivamente da
meccanismi di CS ovvero meccanismi di selezione competitiva delle azioni; quindi vince nel soggetto la
tendenza all’azione che è più forte in quel momento a seconda degli stimoli presenti nell’ambiente.
Esempio: se c’è una tazza vicina, vince l‘azione relativa all’afferrare una tazza; il soggetto prenderà una
tazza anche se non ha sete.
Questa simulazione che succede quando il soggetto ha il SAS lesionato è la sindrome da dipendenza
ambientale: i soggetti mettono in atto lea zioni possibili in un determinato ambiente indipendentemente
dal fatto che rispondano ai loro obiettivi.
La sindrome frontale si interpreta come dovuta a un danno del sistema attenzionale supervisore, che
lascerebbe il soggetto in balia e guidato solo da meccanismi automatici di selezione dell’azione; il
soggetto è in balia dello stimolo perché esso propone un’azione possibile su di sé e l’azione più forte in quel
determinato ambiente è quella che verrà agita dal soggetto con lesione frontale.
Studio longitudinale: vengono seguiti 1000 bambini e vengono misurate le funzioni di controllo cognitivo
per 30 anni; vanno a vedere come la capacità di controllo negativo predice i diversi aspetti della vita adulta.
L’educazione al controllo cognitivo è una parte importante a cui vanno incontro i bambini (es.: alzare la
mano per andare in bagno); gli sperimentatori si chiedono se questo addestramento al controllo cognitivo
ha senso tenerlo: ha senso rinforzare il controllo cognitivo nei nostri sistemi educativi?
Tali bambini vengono visti fino a 30 anni di età e si misurano diverse variabili come il self-control, QI e lo
stato socio-economico.
Queste misure sono fattori importanti che avranno ricadute sul benessere nell’età adulta; il controllo
cognitivo è qualcosa che può essere modificato, le altre due variabili no e quindi ci si chiede se il controllo
cognitivo è qualcosa su cui spingere nell’educazione oppure no.
Valutano il controllo cognitivo nei bambini e poi vanno a misurare diversi comportamenti nell’adolescenza:
tendenza a fumare, lasciare la scuola; e nei grandi si vanno a misurare diverse informazioni sulla salute.
Tutto ciò può essere dovuto a uno stile di vita malsano guidato da impulsività.
Si è trovata una relazione molto stretta tra il self-control esibito da bambini e le misure di salute dei
soggetti da adulti, quindi il self-control da bambini predice la salute fisica, la dipendenza da droghe e la
tendenza alla criminalità. Questa relazione resiste anche quando si tolgono i contributi provenienti da QI e
dallo stato socio-economico.
Al netto di differenze nello stato socio-economico e Qi, chi ha più controllo cognitivo sta meglio nella vita
adulta, sia dal punto di vista dei comportamenti sia dal punto di vista fisico.
Un maggiore controllo cognitivo permette un maggiore successo nella vita in termini di salute e
comportamenti.
Conclusione: ha senso incoraggiare il controllo cognitivo nei bambini perché su questo fattore possiamo
agire al contrario del QI e dello stato socio-economico.
Ci sono diverse evidenze che evidenziano che i controllo cognitivo sia legato al successo delle persone
anche in ambito scolastico.

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Memoria
La memoria è la capacità di ricordare le esperienze passate. Implica tre stadi:
- acquisire ed elaborare l’informazione (codifica)
- mantenerla (ritenzione): informazione mantenuta e trasformata per essere pronta a lungo termine
- riportarla allo stato attivo (recupero): l‘informazione può essere recuperata
non c’è memoria se salta uno di questi 3 processi.
La memoria è un processo seriale e si ritiene che ci sia:
- Codifica sensoriale in entrata: Le memorie sensoriali servono a prolungare la traccia sensoriale per
un tempo molto breve (500 msec);
- Fase di memorizzazione a breve termine:
La memoria a breve termine (MBT) ha la
funzione di mantenere l’informazione per
qualche secondo (2-20 sec); disponibile
per recuperare una quantità di
informazione imitata (7 +/- 2 elementi).
Se c’è una fase di consolidamento
funzionale, si passa alla fase successiva
- Fase di memoria a lungo termine: La
memoria a lungo termine (MLT) è in
grado di mantenere la traccia per giorni,
mesi ed anni (potenzialmente per
sempre).
la memoria a breve termine viene misurata con compiti di tipo span, in cui l’informazione viene mantenuta
per un periodo limitato di tempo. Si leggono ai soggetti delle serie di cifre e si vede se riesce a ripetere le
cifre nello stesso ordine; se è in grado di ripetere 7 cifre si dice che ha uno span di memoria a breve termine
di 7 cifre. Generalmente è di 7+/-2 cifre lo span di MBT.
Questo per quanto riguarda la memoria a breve termine verbale.
Quella spaziale a breve termine, invece, si misura col test di Corsi: lo sperimentatore pone di fronte al
soggetto una tavola di legno con dei cubetti e dalla parte dello sperimentatore ci sono numeri ma il
soggetto non li vede; lo sperimentatore tocca dei cubi e il soggetto deve rifare dalla sua parte la stessa
sequenza di cubetti. Si parte con due e poi si fanno sequenze più numerose e si vede lo span di memoria
spaziale del soggetto.
Dissociazione tra MBT e LBT
Memoria a breve termine e memoria a lungo termine sono doppiamente dissociate e questo lo si può
vedere con un effetto che riguarda l’effetto primacy e recency. I soggetti ricordano meglio e ultime parole
lette e le prime; si ritiene che questi due effetti denuncino la MBT e la MLT: i primi sono già iniziati ad
entrare nella memoria a lungo termine e gli ultimi sono appena entrati in quella a breve termine.
Studi di rievocazione libera di liste di parole: Le parole ricordate più frequentemente sono le prime (effetto
primacy) e le ultime (effetto recency).
1. “primacy effect” = i primi elementi della lista sono gia’ nella MLT, perche’ molto rievocati;
2. “recency effect” = gli ultimi elementi della lista sono ancora nella MBT.
tali effetti sono dissociati in gruppi di pazienti determinati.
Doppia dissociazione: Descritti pazienti con disturbi della MBT (span ed effetto recency ridotti; KF, Shallice
& Warrington, 1970) ma non della MLT (effetto primacy OK); pazienti amnesici con disturbi della MLT
(effetto primacy NO) ma non della MBT (effetto recency OK) (H.M.; Milner, 1966).
I pazienti amnesici che hanno lesioni del lobo medio-temporale, hanno ancora l’effetto recency ma non
quello primacy perché tale lobo è ritenuto la base della memoria a lungo termine.
Viceversa ci sono pazienti con lesioni della corteccia parietale che hanno disturbo della MBT ma non della
MLT che hanno ancora l’effetto primacy ma non quello recency; questo fa pensare che ci sia una doppia
dissociazione tra le due memorie.

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La capacità della memoria a breve termine viene aumentata grazie al fenomeno del chuncking; esso ha
portato allo sviluppo di un nuovo sistema di memoria che è quello di lavoro.
I soggetti possono ricordare più cifre di 7/8 se riescono ad estrare dalla lista di cifre che leggiamo delle sotto
serie di cifre che hanno un significato particolare (es.: date di compleanno).
Il fatto che uno riesca a fare ciò e raggruppare gli stimoli, ha fatto pensare che la MBT non contenesse solo
meccanismi passivi di raccolta delle informazioni ma contenesse anche meccanismi che rendessero
possibile l’elaborazione attiva dell’informazione, come elaborare stimoli e fare dei chunk, cogliere delle
relazioni di significato.
E’ nato il concetto di memoria di lavoro: sovraordinata rispetto a quella a breve termine perché contiene
meccanismi passivi e attivi che permettono di manipolare l’informazione che si sta trattenendo.
Memoria di lavoro (working memory o WM): Sistema deputato al mantenimento e all’elaborazione di
informazione per il tempo necessario a svolgere un compito.
Questo meccanismo di elaborazione dell’informazione trattenuta in memoria è sostenuto dal sistema
esecutivo centrale della working memory; è un sistema intelligente che si interfaccia coi sistemi semantici al
punto di farci cogliere delle relazioni di significato tra stimoli e ci permette di lavorare e manipolare
l’informazione che stiamo trattenendo in memoria.
Componente esecutiva che differenzia WM da MBT.
La differenza tra memoria a breve termine e memoria di lavoro può essere testata facendo due versioni
dello span di cifre.
Nela prima versione per mantenere passivamente le informazioni si fa lo span di cifre in avanti (chiedo al
soggetto di rievocare le cifre nello stesso ordine: si suppone che le tenga passivamente attive nella
memoria a breve termine).
Nela seconda do un’altra consegna ovvero ripeterle nell’ordine inverso, il soggetto deve lavorare sulle
informazioni e questo sarebbe fatto da un sistema di elaborazione attiva dell’informazione in memoria che
sarebbe il sistema esecutivo centrale che esegue comandi e piccole operazioni in modo da organizzare le
informazioni che sto mantenendo in memoria a breve termine.
Un modo per misurare il funzionamento del sistema esecutivo centrale è quello di chiedere lo span
all’indietro; i soggetti con lesioni frontali sono capaci di fare lo span in avanti ma hanno problemi nel farlo
all’indietro.
Un altro compito con cui misurare il sistema centrale esecutivo della memoria di lavoro è il compito n-back
dove deve dire se lo stimolo che sta vedendo è quello uguale a n stimoli visti precedentemente (n=2 devo
dire se lo stimolo che vedo è uguale a quello visto due stimoli prima).
Il compito n-back richiede di elaborare le informazioni
perché richiede di trattenere gli stimoli e eliminare
quelli passati; quindi richiede memoria di lavoro.
La WM è un sistema che contiene sia meccanismi di
mantenimento passivo dell’informazione a breve
termine che meccanismi di elaborazione attiva che
elaborano le informazioni trattenute; tale sistema attivo
è l’esecutivo centrale e coordina le informazioni
mantenute passivamente da altri due sistemi: ciclo
fonologico e taccuino visuo-spaziale.
Quindi secondo Baddeley, la WM sarebbe costituita da
un sistema attenzionale (esecutivo centrale) che
supervisiona e coordina 2 sistemi sussidiari, il ciclo fonologico, responsabile del mantenimento di materiale
verbale, ed il taccuino visuo-spaziale, da cui dipende il mantenimento di materiale non verbale.
All’interno del ciclo fonologico abbiamo due sistemi necessari per il mantenimento passivo a breve termine
dell’informazione di tipo uditivo: magazzino fonologico (che ha capacità limitata e segue un codice
fonologico: codifica i suoni e non i significati) e un processo di ripasso articolatorio, una sorta di linguaggio
interno attraverso il quale reitero l’informazione verbale da mantenere in memoria.

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L’esistenza di questo ripasso articolatorio e magazzino fonologico è stata ipotizzata a partire da 4 effetti che
si trovano in compiti di mantenimento dell’informazione a breve termine
- Similarità fonologica: effetto per i quale è più difficile tenere nella MBT stringhe con suoni simili
rispetto a stringhe con suoni diversi, perché tendono a confondere le prime che sono simili;
elementi simili vengono ricordati peggio, e.g., DT vs. FZ. Questo effetto testimonia l’esistenza di un
magazzino fonologico che segue un codice fonologico, quindi può confondere suoni simili.
- Recenza: le parole udite di recente vengono ricordate meglio. Questo fa pensare all’esistenza di un
magazzino fonologico che ha capacità limitata, ed è più probabile che le ultime (rispetto alle prime)
parole siano ancora nel magazzino. Questo effetto testimonia l’esistenza di un magazzino
fonologico a capacità limitata
- Lunghezza delle parole: è più facile rievocare parole con meno sillabe, che si pronunciano più
velocemente rispetto a parole con più sillabe. Questo ha fatto pensare a un ripasso articolatorio
che è un “linguaggio interno”, e che quindi occupa spazio nel magazzino fonologico e che rende
ragione dell’esistenza di un linguaggio interno.
- Soppressione articolatoria: effetto per il quale è più difficile mantenere a breve termine una stringa
sonora che contemporaneamente pronuncio un suono senza significato in maniera ripetuta.
Pronunciare suoni irrilevanti durante la memorizzazione disturba la traccia mnestica. Dimostra
effetti di interferenza sul ripasso articolatorio. Questo effetto ha fatto pensare che abbiamo una
sorta di linguaggio interno che serve per infrescare e mantenere informazioni uditive a breve
termine
Altri effetti hanno fatto ipotizzare l‘esistenza di un ulteriore componente oltre all’esecutivo centrale, al ciclo
fonologico e al taccuino visuo-spaziale; questa componente è l’Episodic buffer: sistema o magazzino
temporaneo dell’informazione che integra informazioni in entrata con informazioni recuperate dalla MLT
(media interfaccia fra sistemi a breve e a lungo termine).
Questo è stato ipotizzato perché è stato visto che la memorizzazione a breve termine risente di variabili
semantiche; ad esempio pazienti amnesici sono più bravi a rievocare un raccontino piuttosto che una lista
di parole senza relazioni tra loro anche se entrambi contengono lo stesso numero di parole.
Altre prove dell’esistenza di un episodic buffer:
- La ripetizione immediata di liste di parole è sensibile a variabili come immaginabilità, frequenza,
che sono variabili semantiche, non fonologiche
- Influenza di relazioni di significato sul recall, anche in pazienti amnesici (coppie non relate vs. brevi
racconti)
Il fatto che la memorizzazione a breve termine risenta di variabili di tipo semantico ha fatto pensare che ci
sia un’interfaccia tra sistemi passivi di mantenimento dell’informazione a breve termine e lungo termine.
Queste rende ragione del fatto che memorizziamo meglio informazioni a breve termine che hanno un
significato semantico rispetto a informazioni prive di significato; c’è un incontro tra informazione a breve e
lungo termine.

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Disturbi della MBT/WM
I disturbi della memoria a breve termine, in particolare del mantenimento passivo dell’informazione, sono
dovuti a lesioni del lobo parietale inferiore di sinistro (giro angolare, parte bassa); sono pazienti che hanno
problemi a mantenere l’informazione a breve termine:
- Compromissione dello span di MBT
- Pazienti non producono piu’ di 1-2 elementi, ripetono solo gli ultimi;
- Altre capacita’ cognitive, compresa la MLT, preservate;
- Lesioni parietali sinistre (giro angolare).
a seconda deL tipo di prestazione dei pazienti, si può valutare quale componente sia disturbata e un. caso
famoso è quello della Paziente PV (Vallar e Papagno 1986):
- Span di MBT compromesso;
- Effetto di similarita’ fonologica che rimane (quindi funziona il magazzino fonologico)
- No effetto di soppressione articolatoria (quindi non funziona il ripasso articolatorio)
- Magazzino fonologico funzionante, ma mancato uso del ripasso articolatorio.
Era più difficile rievocare item simili a breve termine piuttosto che item diversi; in questa paziente quindi
funziona il magazzino fonologico perché c’è ‘effetto di similarità. Però non manifestava nessun effetto di
soppressione articolatoria; questo ha fatto pensare che essa avesse un magazzino fonologico funzionante
ma un mancato uso del processo di ripasso articolatorio.
Aldilà di misurare lo span che i pazienti possono mantenere, studiando la loro prestazione possiamo capire
quale componente sia deficitaria.
NB: Problemi di MBT possono accompagnarsi a problemi di acquisizione di parole nuove (e.g., PV
apprendeva cavallo-libro, ma non rosa-svesti), bisogno di episodic buffer vs. ripasso articolatorio (codifica
fonologica).
Per quanto riguarda il sistema esecutivo centrale della working memory, insieme al lobo prefrontale, è
stato visto che un altro correlato neurale di questa funzione è il lobo parietale superiore.
In uno studio vengono reclutati i reduci del Vietnam: viene fatto un compito di n-back e pazienti con lesioni
parietali superiori sbagliano solo quando è implicato l’esecutivo centrale della working memory e non
quando è implicato il mantenimento passivo dell’informazione.
Quindi:
- Basi neurali del mantenimento passivo: lobo parietale inferiore
- Lobo parietale superiore e lobo prefrontale: mantenimento attivo e sistema esecutivo centrale
Summary MBT/WM
- La WM è un sistema per trattenere per periodo brevi di tempo e manipolare informazioni rilevanti.
- Consiste sia di sistemi passivi di mantenimento dell’informazione, specializzati e distinti per
informazioni verbali vs spaziali. Il lobo parietale inferiore sinistro (giro angolare) è importante per
questa funzione (una delle aree che partecipa per la memoria a breve termine)
- Consiste di un sistema esecutivo centrale che decide come manipolare l’informazione trattenuta
nella WM e come gestire le risorse per i diversi compiti. Corteccia parietale superiore e corteccia
prefrontale laterale (prevalentemente dorsale) sono necessarie per questa funzione.
quindi abbiamo visto che i sistemi che sottendono alla memoria a breve termine sono i sistemi parietali
inferiori; il lobo parietale superiore invece risulta critico e quindi implicato nella working memory e a questa
zona si aggiunge anche la corteccia prefrontale laterale.
Il compito di n back è il paradigma utilizzato per studiare la working memory verbale e spaziale; le aree
sono più attive per il 3 back che per il 2 back.
Se si fa un confronto tra working memory verbale e spaziale, si trovano attivazioni dell’emisfero di sinistra,
quindi per la working memory spaziale e verbale si attiva un network comune di aree frontoparietali, ma
l’elaborazione linguistica degli stimoli verbali, recluta risorse aggiuntive che non sono specifiche per la
working memory ma che sono specifiche per l’elaborazione del nostro linguaggio.

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Memoria a lungo termine: MLT
E’ la nostra capacità di trattenere informazioni per periodi potenzialmente infiniti.
Consiste in due sistemi:
1. Dichiarativo: è il sistema per le memorie che raccontiamo con il linguaggio; è definita esplicita
perché tale memoria viene testata attraverso compiti espliciti di memoria, ovvero che chiedono
esplicitamente al soggetto di ricordare delle informazioni. Queste conoscenze possono essere di
tipo episodico (sistemi di memoria che
servono per trattenere esperienze) o
semantico (sistemi di memoria che servono
per trattenere fatti decontestualizzati);
quella episodica fa riferimenti ad esperienze
uniche localizzate nel tempo e nello spazio e
richiede meccanismi neurali che organizzano
gli stimoli insieme. La memoria episodica è
un sistema one shot learning (unica
possibilità di vivere quella esperienza
specifica) perché in un colpo solo lega insieme diversi aspetti di un’esperienza unica. Le conoscenze
di tipo semantico vengono estratte da esperienze ripetute: significato delle parole, relazioni tra
concetti, conoscenze generalizzate, … sono tutte informazioni staccate dal contesto spazio-
temporale e il soggetto ha tratto uno schema generalizzato; la memoria semantica è quella dei
concetti, significati, etichette verbali e relazioni tra concetti
2. Non dichiarativo: sono difficilmente esprimibili a parole e sono le conoscenze implicite che non
richiedono al soggetto di dimostrare una determinata conoscenza; la migliorata prestazione in
termini di acquisizioni di abitudini, memoria procedurale (come guidiamo, nuotiamo), il
condizionamento (attribuire una valenza emotiva a uno stimolo che precedentemente non l’aveva)
fa riferimento alla memoria non dichiarativa. Queste acquisizioni sono inconsapevoli dalla
consapevolezza; anche il priming è una forma non dichiarativa di memoria perché è il migliorato
processamento dello stimolo a fronte della sua ripetuta esposizione: se elaboriamo uno stimolo più
volte allora nelle volte successive siamo più veloci anche senza manifestare consapevolezza di
averlo già visto.
Ippocampo: codifica e recupero
L’ippocampo e il lobo medio-temporale sono importanti sia per il processo di codifica che di recupero di
informazioni dalla memoria episodica.
Compito di codifica di informazioni contestualizzate nello scanner (fMRI): tipico esperimento in cui si
studia la codifica dell’informazione della memoria episodica; successivamente fuori dallo scanner i soggetti
fanno un compito di riconoscimento e si va a vedere come erano attive le aree cerebrali durante la codifica
di item che sono stati successivamente ricordati e dimenticati (paradigma di encoding success).
Questo compito viene fatto per assicurarsi che i soggetti si impegnino tutti allo stesso modo nel processare
lo stimolo e per verificare che processino sia l’item in questione che il contesto in cui è stato presentato; ad
esempio viene scritto elefante, che è l’item, e la scritta si trova all’interno di un quadrato colorato, che
rappresenta il contesto (elefante e quadrato rosso non hanno senso perché non esistono elefanti rossi).
Questo compito viene svolto nello scanner; quando escono fanno un compito di riconoscimento in cui
viene chiesto sia se gli stimoli studiati sono vecchi o nuovi, sia un giudizio sulla fonte, ovvero giudizio sul
colore in cui l’item era stato presentato. Quindi, il soggetto si basa
1. Sulla familiarità dello stimolo dello stimolo nella prima fase: giudizio di familiarity; basta un solo
processo di familiarità per fare questo giudizio
2. Sulla caratteristica contestuale dello stimolo (colore in cui è posto l’item): source memory, ovvero
devo ricordare la fonte; in questo caso uso processi di recollection, che permettono di determinare
se l’item è vecchio o nuovo e mi fanno riaccedere alla codifica dell’item (in questo caso il colore in
cui l’item è stato visto); in questo caso devo fare binding: collegare insieme due informazioni

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ovvero item e contesto di presentazione attraverso un processo di recollection (meccanismo
aggiuntivo che mi permette di andare indietro nel tempo e mi permette di recuperare
l’associazione item-contesto).
è stato visto che in compiti di encoding success, c’è un’attivazione maggiore dell’ippocampo durante a
codifica di item per i quali al momento del recupero, ricorderò sia l’item che il contesto di codifica; quindi
l’ippocampo si attiva di più per gli item per cui faccio bene entrambi i giudizi: familiarità e recollection.
L’ippocampo è un’area necessaria per legare insieme diversi aspetti dell’esperienza durante la codifica,
serve per associare (binding) item e contesto in cui sono presentati gli item.
L’ippocampo serve anche durante il recupero di informazioni.
Esperimento: ai soggetti vengono presentate fotografie personali o non; tale esperimento dovrebbe
dimostrare le aree coinvolte nella memoria autobiografica.
I soggetti sono istruiti nello scanner a guardare le fotografie, rispondere a quelle personali e dare un
giudizio su quanto vividamente riescono a viaggiare indietro nel tempo e rivivere quell’episodio (quanto
riescono a riaccedere alla memoria relativa a quell’episodio).
Si vede che l’ippocampo, in modo particolare a sinistra:
- si attiva di più per le foto proprie che per le foto degli altri, quindi si conferma un’area per la
memoria autobiografica;
- non cambia l’attivazione dell’ippocampo a seconda della recenza: non c’è differenza di attivazione
tra foto più recenti o vecchie
- si attiva di più in base alla vividezza: un evento dell’infanzia che attiva in maniera vivida la mia
memoria, attiva di più l’ippocampo: maggiore vividezza implica maggiore attivazione; se ricordo in
maniera vivida un episodio di ieri e di due anni fa, l’ippocampo si attiva molto nella stessa maniera
perché non conta la recenza
l’ippocampo quindi serve a relegare insieme tutti gli aspetti dell’esperienza passata affinchè io possa
rivivere quest’esperienza come un’esperienza coesa dal punto di vista spaziale.
PFC: Codifica e recupero
Anche la corteccia prefrontale è fondamentale per i processi sia di codifica che di recupero dalla memoria
episodica.
Codifica: Numerose evidenze che la PFC è attiva durante la codifica di informazioni in memoria e che
l’attivazione di PFC predice l’efficienza della codifica nella memoria episodica (encoding success), ovvero la
corretta memorizzazione di informazioni.
Nei paradigmi di encoding success (si fanno studiare item nei soggetti nello scanner poi escono e fanno un
compito di riconoscimento e gli item possono essere vecchi o nuovi) si osserva che la PFC è maggiormente
attiva quando i soggetti ricordano un item piuttosto che quando si dimenticano; in modo particolare si
attivano la dorsolaterale e la ventrolaterale.
Una domanda che ci si pone: qual è il ruolo della corteccia dorsolaterale durante i processi di codifica
dell’informazione? sappiamo che la dorsolaterale è importante per la working memory, quindi una
possibilità secondo Blumenfeld e Ranganath è se quest’area non sia importante durante i processi di
codifica perché ci aiuta a organizzare in maniera intelligente le informazioni durante la codifica.
Ci sono diverse operazioni che facciamo sugli item in memoria per ricordarli meglio: gli organizziamo per
similarità, li raggruppiamo, facciamo operazioni cognitive.
Studio in cui si valuta se la corteccia dorsolaterale serve ad organizzare meglio le informazioni: vengono
fatte triplette di parole che vengono presentate; in una condizione le parole vanno messe in ordine di peso
(es.: ragno, cistella e bacinella) e questa è la condizione di riorder, in cui serve la working memory perché
rielaboro l’informazione consegnata.
Un’altra condizione è quella di rievocare in maniera passiva gli item nella memoria a breve termine e devo
riferirli, senza metterli in ordine (devo passivamente mantenere in memoria l’informazione).
Successivamente viene fatto un compito di riconoscimento che coinvolge sia parole studiate nella
condizione working memory che in quella a breve termine; si vede che la corteccia dorsolaterale aiuta
l’encoding episodico, ovvero più attiva quando ricordo un item che quando dimentico un item, ma questo
effetto si trova selettivamente solo nella condizione di riorder, cioè la maggiore attivazione della corteccia

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dorsolaterale durante la codifica predice la futura probabilità che io poi mi ricorderò un item durante il
successivo riconoscimento.
Idea: la corteccia dorsolaterale aiuta l’encoding episodico ma lo fa attraverso un processo specifico cioè
quello di mantenere e organizzare attivamente gli item nella working memory. Quindi:
1. DLPFC aiuta l’encoding episodico;
2. DLPFC aiuta la codifica promuovendo l’organizzazione dell’informazione in WM.
questo avviene al fine di aiutarci nella memorizzazione e consegnare le informazioni in maniera più
efficiente alla memoria a lungo termine.
Questa operazione di working with memory, ovvero lavorare sulle memorie in entrate per organizzarle
meglio ai fini dell’organizzazione, viene svolto dalla corteccia dorsolaterale.
Un’altra funzione delle cortecce dorsolaterali è svolta durante il recupero.
Studio: Si fanno studiare due liste di item separate temporalmente; sull’item posso fare o un giudizio di
piacevolezza o di appartenenza categoriale (spettacolo o politica). Quindi cambia il contesto temporale del
compito e cambia il compito che faccio sugli stimoli ovvero il tipo di processamento che faccio sullo stimolo.
Successivamente durante la fase di recupero farò un compito di riconoscimento e due diversi compiti di
source memory: uno in cui si chiede un’informazione esterna (si chiede se appartenesse alla prima o alla
seconda lista), dove chiedo un giudizio che richiede di recuperare un aspetto contestuale esterno ovvero il
tempo, e un compito in cui chiedo un aspetto contestuale interno (chiedo se è stato fatto il compito di
piacevolezza o di appartenenza categoriale).
Quindi:
1. Durante la codifica:
. Su alcuni item fanno un giudizio di piacevolezza;
. Su altri item giudicano se l’item è più pertinente al dominio dello spettacolo o della politica.
2. Durante il recupero:
. Su alcuni item viene fatto un compito di list discrimination (lista 1 o lista 2?) = fonte esterna;
. Su altri di task discrimination (compito 1 o compito 2?) = fonte interna.
Si nota che in generale la corteccia prefrontale è più attiva quando i soggetti rievocano aspetti contestuali
delle informazioni presentate, piuttosto che quando riescono a fare solo il compito di riconoscimento.
Però si attivano aree diverse a seconda del fatto che recuperi fonti interne o esterne:
1. Fonte esterna: attiva soprattutto le cortecce prefrontali laterali, come quella dorsolaterale
2. Fonte interna: attiva soprattutto la corteccia prefrontale anteriore, ovvero come ho processato
quegli stimoli e cosa ho pensato di quegli stimoli
Processi di memoria: Recupero:
- PFC media il ricordo di informazioni contestuali in generale;
- DLPFC > per list che task
- Anterior PFC > per task che list (ricordo per operazioni interne; e.g., rilevanza per schizofrenia,
confabulazione, etc.)
Summary
- L’ippocampo serve a legare insieme i diversi aspetti di una esperienza durante l’encoding, e a
riattivare tutti gli aspetti dell’esperienza durante il retrieval, in modo che l’esperienza sia coesa e
coerente; rivivo un episodio in maniera contestualizzata quando lo recupero
- La corteccia prefrontale serve a organizzare le informazioni in entrata, e a discriminare gli aspetti
contestuali (interni o esterni) delle informazioni recuperate.

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Memoria a lungo termine: Misure
Test per valutare il riconoscimento semplice e il riconoscimento di informazioni contestualizzate: ci sono
misure di laboratorio che si usano.
Memoria dichiarativa (episodica): posso utilizzare misure in cui posso chiedere la rievocazione di
informazioni fornite al paziente; questa rievocazione può essere
- Rievocazione libera (e.g., di un racconto, di liste di parole);
- Rievocazione seriale (e.g., di liste di parole);
- Rievocazione guidata (e.g., di coppie di parole): faccio apprendere coppie di parole e faccio vedere
la prima e chiedo di ricordare la seconda
Oltre a compiti di rievocazione, posso dare compiti di Recognition (riconoscimento): sono più facili perché
sono io che do l’informazione al soggetto e chiedo se l’informazione l’ha già vista o no; quindi posso
utilizzare i seguenti paradigmi:
- Yes/No (e.g., di parole, di facce, di disegni fra distrattori)
- YES/No + giudizio Remember/Know: il soggetto deve dire se ha visto o meno lo stimolo, quindi se è
vecchio o nuovo, e poi deve addizionalmente fare un ulteriore giudizio e classificare lo stimolo
come know quando lo stimolo è solo familiare ma non sa riaccedere al momento in cui l’ha studiato
(manca il contesto) o classificarlo come remember, ovvero è familiare lo stimolo e riesco a
recuperare una traccia contestualizzata nel suo contesto di apprendimento (si ricorda lo stimolo e il
contesto che ha studiato); ci fa capire se il soggetto ha usato solo processi di familiarità o anche di
recollection, che permettono di risalire al momento di codifica. L’ippocampo si attiva di più per gli
stimoli remember.
. Compito standardizzato di memoria a lungo termine: Test di Busckhe-Fuld: si da una lista di parole e si
conta quante parole riesce a rievocare e di quanti trial ha bisogno per imparare tutta la lista di parole
1. MLT: numero totale di parole rievocate
2. CLTR: numero totale di parole rievocate senza bisogno di ripetizione (immagazzinamento)
3. DFR: numero di parole rievocate dopo un intervallo di 10 minuti (recupero).
. Altro compito è quello di prosa in cui si legge un breve racconto ai soggetti e si chiede di rievocarlo
immediatamente dopo; il paziente amnesico omette delle informazioni anche nella rievocazione
immediata. Dopo 10 minuti il paziente amnesico omette ancora più contenuti.
. Un altro modo di valutare la memoria a lungo termine prevede di valutare quella autobiografica: tecnica di
Crovitz; si da un cue come “spiaggia” ad esempio e si chiede al soggetto di rievocare un’esperienza
personale associata a quel cue.
Soggetti sani riportano molti dettagli, soggetti amnesici riportano informazioni generalizzate ma non
episodiche.
Autobiographical Interview (AI): intervista in cui si elicitano memorie a partire da diversi intervalli
temporali, quindi memorie dell’infanzia, dell’adolescenza, … si possono dare dei cue per aiutare i soggetti
ad accedere al ricordo; si trascrive il ricordo e si valuta la ricchezza dei diversi dettagli. In particolare si
valuta la presenza di dettagli interni che sono episodici, ovvero si riferiscono all’esperienza unica
(informazioni di spazio, tempo, eventi percettivi); invece se il soggetto da informazioni decontestualizzate o
informazioni generali, allora si parla di dettagli esterni che provengono dalla memoria semantica.
Si calcola quanti dettagli episodici percettivi, emotivi, temporali, etc. vengono rievocati, e quanti dettagli
semantici vengono forniti.
. Per testare la memoria del passato, si possono utilizzare test su eventi pubblici in cui mostro un cue come
una foto del passato e chiedo al soggetto a cosa si riferisce
. La memoria a lungo termine spaziale si può testare in diversi modi; in laboratorio si usa il superspan
spaziale: in cui lo sperimentatore tocca un numero prestabilito di cubetti e chiede al soggetto di toccarli
nello tesso ordine; in questo caso viene fatto su sequenze più lunghe dello span di memoria a breve
termine (es.: si toccano 18 cubetti in sequenza).

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Disturbi di memoria: amnesia globale
Amnesia Globale= deficit (solitamente grave) nell’apprendimento di nuove informazioni (amnesia
anterograda) e disturbo (di entità variabile) nel recupero di informazioni acquisite prima dell’insulto
cerebrale (amnesia retrograda).
Conseguente a lesioni (solitamente bilaterali) a carico dell’ippocampo ed altre componenti del circuito
cortico- sottocorticale di Papez (fornice, corpi mammillari, giro del cingolo...).
Tipicamente nei casi di amnesia mediotemporale, l’amnesia anterograda è molto grave e quella retrograda
è più lieve ed è limitata a determinati periodi temporali.
Amnesia anterograda: incapacità di apprendere nuove informazioni che sopraggiungono dopo l’avvento
dell’amnesia.
Amnesia retrograda: incapacità di recuperare informazioni occorse prima dell’avvento dell’amnesia
L’amnesia globale si ha soprattutto in seguito a lesioni mediotemporali, ovvero in cui sono stati rimossi ad
esempio ippocampo, corteccia entorinale, amigdala; queste lesioni possono essere dovute a:
- Interventi chirurgici (HM). Pazienti sottoposti a lobectomie temporali bilaterali per curare epilessie
che non rispondono ai farmaci.
- Episodi ischemici/ipossici: danneggiano i lobi mediotemporali. Arresto cardiaco, avvelenamento,
perdita di conoscenza prolungata che causa danni ai lobi mediotemporali.
- Encefalite virale. Virus Herpes simplex. Febbre, poi fase cronica con grave amnesia anterograda e
retrograda. Danni MTL, ma spesso anche orbitofrontale e temporale.
queste 3 sono le eziologie più comuni dell’amnesia globale.
Il caso H.M.
Epilessia, trattata con asportazione dei MTLs bilateralmente (ippocampo, uncus, amigdala). Nelle prime
descrizioni si osserva qualcuno che si dimenticava gli eventi del giorno in maniera velocissima, appena
succedevano; inoltre sottostimava la sua età, si scordava i nomi e si descriveva come “ogni giorno solo sé
stesso”, ovvero il soggetto non lega insieme i diversi aspetti delle sue esperienze perché dimentica gli eventi
appena successi.
Deficit: Amnesia anterograda grave:
1. Grave deficit nel formare nuove memorie stabili: fallisce in prove di free recall, cued recall,
memoria di prosa;
2. L’apprendimento di associazioni fra item è più compromesso dell’apprendimento di singoli item;
una caratteristica importante dell’amnesia è che la capacità dei soggetti di rievocare item singoli è
maggiore di quella di rievocare associazioni tra item: tanto più il compito richiede binding tanto più
i soggetti hanno problemi. L’apprendimento di associazioni è il compito più difficile per gli amnesici
3. Il riconoscimento è mediato da un senso di familiarità, non dal recupero dei dettagli contestuali
relativi al momento della codifica (recollection vs. familiarity).
Paradigma che evidenzia questa difficoltà dell’apprendimento di associazioni: studio: vengono fatte
studiare coppie di parole con codifica incidentale (“formare frasi che contengono entrambe le parole”: es:
AUTO- SOLE: per andare in auto mi metto gli occhiali da sole).
Successivamente vengono date parole singole, vecchie o nuove, nel qual caso il soggetto deve dire OLD vs.
NEW, oppure coppie di parole OLD (intatte: date nello stesso formato di quello iniziale) vs. NEW
(recombined: parole già studiate ma in un nuovo contesto).
Le risposte sugli item danno un’idea della memoria di item singoli dei soggetti, mentre le risposte sulle
parole danno un’idea sulla capacità di associazione.
I soggetti con lesioni mediotemporali, che includono l’ippocampo, hanno una mantenuta capacità di
ricordare item singoli, ma falliscono nel ricordare associazioni: fallisce la capacità di legare insieme due
aspetti diversi dell’esperienza.
In un esperimento successivo: vengono presentate le associazioni come item singoli, ovvero anziché
chiedere di comporre una frase con le due parole auto-sole, si chiede al soggetto di inventarsi una

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definizione della parola unica auto-sole; in questo caso i soggetti amnesici, ricordano la coppia unitizzata di
parole. Questo perché il ruolo dell’ippocampo all’interno del sistema mediotemporale è quello di
processare informazioni tra item e non item singoli; quindi il processamento di item singoli e quello di
coppie di informazioni (ippocampo) diverse avviene grazie ad aree diverse.
I pazienti amnesici hanno un’incapacità di ricordare associazioni tra item o associazione tra item e contesto
di associazione.
Questo appena detto sopra, lo si vede studiando il paradigma remember/know, in cui si studia una lista di
parole e poi c’è una fase test in cui il soggetto deve giudicare se l’item è studiato o nuovo; se lo classifica
come studiato allora deve dire se lo ricorda o lo sa. Ricordare significa fare una sorta di viaggio indietro nel
tempo e riaccedere al contesto di acquisizione (mi ricordo un item perché mi ricordo alcuni aspetti di
codifica di quell’item: tempo, spazio, pensieri), mentre sapere significa che ricordo di averlo visto ma non so
dire nulla rispetto agli aspetti contestuali di quello stimolo.
Negli studi di fMRI c’è un’attivazione differente tra item remember e item know: evidenze di Neuroimaging
(Eldridge, 2001): Ippocampo si attiva maggiormente per le memorie “Remembered” vs “Familiar o know”.
L’ippocampo è implicato nel recupero, se il recupero consiste nel riaccedere al contesto di acquisizione per
recuperare dettagli contestuali.
La corteccia entorinale (altra componente del lobo mediotemporale) invece, non presenta differenze di
attivazione tra recollection e familiarity, anzi nel caso di familiarity tale corteccia è maggiormente attiva.
Evidenze neuropsicologiche: diversa compromissione di Recollection and Familiarity in pazienti con lesioni
ippocampali (Yonelinas et al., 2002, Yonelinas, 2010, Bowles et al., 2008). I pazienti ippocampali hanno la
stessa capacità dei soggetti sani di riconoscere gli stimoli basandosi sul senso di familiarità, ovvero
giudicando e basandosi solo la presenza dell’item in memoria; ma i pazienti ippocampali classificano come
remember meno item di quelli sani, quindi hanno un deficit selettivo nei sistemi di recollection
(l’ippocampo serve per la recollection).
Un caso studiato di recente fa emergere che esiste una doppia dissociazione tra recollection e familiarity
all’interno del lobo mediotemporale:
- ippocampo e corteccia parippocampale: rispondono di più alla recollection che alla familiarity
- corteccia peririnale: risponde di più alla familiarity che alla recollection
Quindi per quanto riguarda l’Amnesia anterograda, ovvero l’incapacità di memorizzare nuove informazioni,
questa è massima nei compiti in cui si chiede di fare associazioni ai soggetti tra item o tra item e aspetti del
contesto di acquisizione e questo lo si valuta già con prove di recollection soggettiva (tipo il paradigma
remember/know) oppure con prove di recollection oggettiva in cui si chiede ai soggetti di rievocare
associazioni (chiedo oggettivamente di produrre evidenza che si riescono a collegare diversi aspetti
dell’esperienza).
Anche coi compiti di recollection soggettiva, si vede una dissociazione al neuroimaging e negli studi
lesionali, all’interno del lobo mediotemporale fra recollection e familiarity; per quanto riguarda la memoria
anterograda, l’ippocampo serve per le associazioni, ovvero per collegare aspetti diversi di un’esperienza.
Per quanto riguarda l’amnensia anterograda, i pazienti amnesici hanno i problemi massimi nell’associare
coppie di parole oppure un item e qualche aspetto del contesto; questa capacità di associazione è alla base
della memorizzazione di eventi complessi che sono eventi in cui molte informazioni sono associate e quindi
il deficit sarà ancora maggiore in questi pazienti nel memorizzare eventi complessi (che consistono
nell’associare insieme aspetti diversi).
Per quanto riguarda l’Amnesia retrograda, ovvero l’incapacità di ricordare informazioni precedenti al
danno, questo non è un problema di codifica perché questa informazione era stata codificata quando il
soggetto non aveva ancora l’amnesia; quindi si tratta di un problema di recupero e tendenzialmente si dice
che l’amnesia retrograda ha un gradiente temporale, nel senso che è più grave per gli eventi recenti e meno
grave per gli eventi antichi.
Primi studi: Bene i ricordi remoti (scuola superiore etc), male i ricordi relativi agli ultimi 3 anni (i più recenti)
(gradiente temporale dell’amnesia retrograda di Ribot). Quindi l’amnesia retrograda tende a diminuire
man mano che ci si allontana nel tempo: è più grave per gli eventi recenti e meno per gli eventi passati.
In realtà, studi successivi: I ricordi remoti ci sono, ma sono “semanticizzati”, ovvero hanno perso il carattere
episodico, non ci sono i dettagli contestuali.
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Il gradiente dell’amnesia retrograda è stato visto nello studio di Squire: un gruppo di pazienti con lesioni
ippocampali o lesioni estese del lobo mediotemporale; vengono fatte rievocare memorie che risalgono a
diversi intervalli temporali.
I pazienti con lesioni ippocampali pure hanno problemi solo a livello delle memorie dell’ultimo anno,
mentre pazienti con lesioni del lobo mediotemporale esteso, hanno problemi più estesi, nel senso che le
memorie sono compromesse negli ultimi 2-3 anni di vita; le memorie remote vengono mantenute in
entrambi i gruppi.
Questo viene definito Squire pattern: sia i pazienti con lesioni mediotemporali estesi che ippocampali sono
compromessi solo per gli ultimi anni, quindi sembra che il lobo mediotemporale abbia un ruolo limitato nel
tempo e serve a conservare solo le memorie recenti e non quelle antiche.
Summary amnesia deficit
- Amnesia Anterograda: Incapacità di apprendere nuove informazioni. Il deficit è massimo nelle
prove di recall di eventi complessi (rievocare elementi che sono già stati forniti); incapacità di
ricordare e apprendere associazioni tra item contestuali e coppie di item, si perde la capacità di
legare assieme in una volta sola i diversi aspetti delle esperienze
- Il riconoscimento è maggiormente compromesso quando testa la memoria di associazioni fra item
o fra item e contesto di memorizzazione (e.g., compiti soggettivi: Remember judgments, compiti
oggettivi: source memory judgments).
- Amnesia Retrograda: Incapacità di ricordare eventi esperiti prima dell’istaurarsi della lesione.
Tendenzialmente più grave per eventi recenti; tale amnesia ha un gradiente temporale chiamato di
Ribot: gli eventi recenti sono ricordati peggio degli eventi remoti
L’amnesia globale è un deficit pervasivo: i pazienti non riescono a consolidare nuove informazioni e vivono
una finestra di consapevolezza molto limitata basata solo sul presente; questo deficit pervasivo è in
contrasto con altre caratteristiche che sono rimaste intatte. A fronte di questi deficit quindi, nell’amnesia, ci
sono ampie aree di preservazione cognitiva:
- Intelligenza
- Linguaggio
- Memoria semantica
- Memoria procedurale: capacità di apprendere abilità e capacità di mettere in atto comportamenti
iperappresi e abitudini (che è esattamente il contrario della memoria one shot dove leghiamo
insieme i diversi aspetti dell’esperienza che manca nei pazienti amnesici)
- MBT
- WM
nelle interazioni con pazienti amnesici, essi interagiscono sulla base del funzionamento della memoria a
breve termine e quindi rispondono sulla base di queste informazioni. Inoltre tali pazienti riescono a basarsi
sulla memoria procedurale e quindi apprendono dopo ripetute somministrazioni di diversi stimoli.
Apprendimento di abilità: I pazienti amnesici riescono a manifestare abilità procedurali intatte nel Mirror
Tracing Task: tracciare il contorno di una forma vedendo la propria mano e la forma riflesse in uno
specchio.
La prestazione migliora col tempo con ripetute somministrazioni dello stesso stimolo, a testimoniare
l’avvenuto apprendimento; il paziente non ricorda le sessioni di apprendimento ma diminuisce la quantità
di errori.
Memoria implicita preservata; memoria esplicita compromessa. E’ un compito di memoria implicita perché
non si chiede di manifestare la loro memoria ma l’apprendimento di questo compito lo si deduce perché
fanno meno errori. I pazienti non si ricordano le forme quindi non hanno la memoria esplicita, ma riescono
a fare meno errori quindi apprendono e quindi hanno una memoria implicita.
Un altro compito in cui si vede la loro capacità di apprendere abitudini è il Sequence learning task: i
soggetti devono premere lo stimolo illuminato; una breve sequenza di numeri si ripete e i tempi di reazione
per rispondere alle sequenze ripetute è progressivamente più rapido (apprendimento di tipo implicito).
Questo tipo di apprendimento avviene nei pazienti amnesici in maniera simile a quelli di controllo; questo
tipo di apprendimento implicito ha tuttavia dei limiti, in quanto è rigido.

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Compito di Acquisizione di abitudini che rivela tale rigidità: Vengono formate coppie di oggetti, stimoli
difficilmente nominabili e privi di significato. In ogni coppia
1. Oggetto A = Buono
2. Oggetto B = Cattivo
Scegli un oggetto. Stesse 40 coppie di oggetti con oggetto buono e cattivo, tutti i giorni
I soggetti normali imparano in fretta a distinguere oggetti buoni da oggetti cattivi nelle coppie sperimentali;
impiegano 3 sessioni per raggiungere il massimo punteggio.
I pazienti amnesici ci mettono più trial ma dopo un certo numero distinguono quello buono e cattivo;
questo è un apprendimento di abitudini che nei soggetti sani si verifica in maniera veloce e nei pazienti ci
vuole più tempo.
Tuttavia c’è una differenze tra i due gruppi; alla fine dell’esperimento, vengono mischiate tutte le coppie di
oggetti e gli oggetti sono rappresentati tutti insieme e viene chiesto di raggrupparli in tutti quelli buoni e
tutti quelli cattivi. Questo significa dimostrare un apprendimento flessibile: devo avere legato agli oggetti il
concetto di buono e cattivo, ma se ho acquisito solo un’abitudine a rispondere, allora sono meno flessibile e
non necessariamente sono capace di ricordare se A è cattivo se mi viene presentato in un contesto diverso.
Cosa succede quando viene fatto questo compito di controllo? i soggetti sani riescono a raggruppare tutti
gli oggetti buoni da una parte e tutti gli oggetti cattivi dall’altra, mentre i pazienti amnesici quando gli
oggetti sono mischiati non riescono a separarli. Questo vuol dire che non hanno formato accoppiamenti tra
oggetti e concetto di buono o cattivo ma hanno appreso un’abitudine a rispondere, una propensione a
rispondere in una determinata maniera a seconda della coppia di stimoli presentata.
Quini la memoria implicita è possibile nei pazienti amnesici ma ha limiti di rigidità: dipende strettamente
dal contesto e si sviluppa un’abitudine che si esplica solo se il contesto è esattamente uguale a sé stesso:
- Apprendimento robusto di abitudini, che non dipende da MTL (perchè avviene anche nei pazienti)
- Apprendimento RIGIDO => non si generalizza a situazioni diverse (oggetti tutti insieme, o coppie
formate diversamente).
- Propensione a rispondere (abitudine), non memoria flessibile; è una tendenza automatica a
scegliere uno stimolo o un atro ma non è una memoria dichiarativa cioè non ricordano di avere
scelto un oggetto come buono
Un’altra capacità preservata è il priming che sottende alla capacità di ricordare uno stimolo dopo che è già
stato visto
Priming percettivo (vs. Riconoscimento): Ai soggetti viene presentata una lista di parole.
In seguito, le parole vengono presentate nuovamente ai soggetti, i quali vengono sottoposti ad una prova di
decisione lessicale, in cui i soggetti devono identificare le singole parole presentate per un breve intervallo,
oppure a un compito di riconoscimento esplicito.
Le parole viste nella fase precedente vengono identificate più accuratamente di quelle non viste,
indipendentemente dal fatto che le parole vecchie siano state riconosciute come parole già presentate
(Priming). Il fatto di averli visti rimane nella memoria implicito.
Rimane nei soggetti amnesici la capacità di priming: c’è memoria implicita per quegli item già visti senza che
il paziente riporti alla consapevolezza l’esperienza e quindi non riesce a rievocarli in maniera esplicita.
HM è compromesso nel riconoscimento ma ha normale priming di ripetizione.
Priming è presente anche per compiti di associazioni (vs. Cued Recall): due parole vengono associate tra
loro, per esempio: window-reason e poi viene fatto i test che può prevedre due situazioni:
1. Cued recall: Window - ? può essere data la prima parola per vedere se ricordano quella associata
2. Completamento di parola: Window -REA______? oppure può essere dato l’inizio della parola per vedere
se la completano.
I pazienti amnesici come i soggetti sani tendono a completare le parole, con parole già viste
precedentemente; queste parole già processate hanno uno status superiore: capacità di manifestare in un
compito di priming il fatto che queste informazioni sono state precedentemente processate.
Quindi abbiamo aree diverse che sottendono alla memoria implicita ed esplicita:
- priming: memoria implicita: corteccia visiva
- rievocazione: memoria esplicita: ippocampo
Summary amnesia: abilità preservate
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- Nella sindrome amnesica, a fronte di una compromissione della memoria dichiarativa (esplicita),
risulta preservata la memoria procedurale (implicita), in particolare l’apprendimento di abilità,
l’apprendimento di abitudini, ed il priming.
- la riabilitazione poggerà su queste capacità preservate nei pazienti amnesici
- Sono inoltre normali: intelligenza, MBT, memoria semantica.
Amnesia di origine frontale
Si verificano sindromi di tipo amnesico anche in seguito a lesioni della corteccia frontale anteriore.
Amnesia di origine frontale= deficit nell’apprendimento di nuove informazioni (amnesia anterograda) e
disturbo nel recupero di informazioni precedenti all’instaurarsi dell’evento patologico (amnesia
retrograda), secondari a deficit attentivi ed esecutivi che disturbano la codifica ed il richiamo
dell’informazione; queste amnesie derivano da un deficit delle funzioni esecutive.
In questi pazienti è esacerbata la prestazione tra rievocazione (altamente deficitaria) e riconoscimento
(dando gli stimoli ai soggetti e chiedendo se tali stimoli sono visti o no: questo richiede meno memoria e
tale capacità rimane in parte in questi pazienti).
L’amnesia frontale è meno graduata nel tempo; il disturbo nel recupero di informazioni antiche correla con
la gravità nel deficit delle funzioni esecutive
Amnesia di origine “frontale”, conseguente a:
- Traumi cranici (KC). Disfunzione lieve della memoria (working-with-memory) per lesioni circoscritte
della PFC e danno assonale diffuso.
- Disturbi vascolari (AcoA). Disfunzione grave della memoria, spesso associata a confabulazione, per
danno alle strutture PFC orbitali e mesiali.
- Sindrome di Korsakoff. Deficit nutrizionali da alcolismo cronico. Nella fase cronica amnesia
anterograda e anche retrograda grave, per lesioni diencefaliche e fronto-basali.
Sindrome amnesica da lesione di MTLs: Interpretazione
Un’interpretazione dell’amnesia globale deve:
- Tener conto delle dissociazioni nella prestazione ai diversi tipi di memoria (MBT vs. MLT):
prestazione a memoria a breve termine preservata e a lungo termine compromessa
- Spiegare sia Amnesia Anterograda (amnesia per informazioni presentate dopo l’avvento
dell’amnesia) che Amnesia Retrograda (incapacità di ricordare informazioni presentate prima
dell’evento patologico);
- Avanzare un modello di funzionamento dei MTL e dell’ippocampo: studiamo i deficit
neuropsicologici per avanzare nei modelli di funzionamento dei soggetti sani
La prima interpretazione data all’amnesia è quella del: Deficit di codifica
La quantità di informazione ricordata dipende dalla profondità (semantico) di elaborazione
dell’informazione in entrata (Craik & Lockhart, 1979). Quindi una prima interpretazione dell’amnesia è che i
pazienti fallissero nel codificare in maniera profonda le informazioni in entrata.
I pazienti amnesici non riuscirebbero ad analizzare le informazioni in entrata a livello semantico, e
utilizzerebbero codifica meramente fonologica, perciò “superficiale”.
Codifica superficiale => impossibilità di avere una traccia stabile.
In un caso studiato (Federica) viene proposta una codifica di tipo semantico e profonda; si vede che la
paziente migliora nella codifica ma non arriva ai livelli dei soggetti sani.
Quindi l’amnesia è spiegata da un problema di codifica? Sembra di no, perchè:
1. I pazienti amnesici che vengono sottoposti a codifica incidentale semantica vs. fonologica
migliorano nella condizione semantica quanto i normali (eg., caso federica), quindi non hanno
problemi ad analizzare le informazioni a livello semantico;
2. D’altra parte, la codifica semantica tipicamente non normalizza la prestazione; un problema di
codifica giustificherebbe solo quell’amnesia anterograda, tuttavia i soggetti amnesici sono incapaci
di ricordare anche informazioni del passato
3. I pazienti amnesici non hanno intelligenza deficitaria;
4. Questa ipotesi prevederebbe dissociazione netta fra AA (presente) ed RA (assente), mentre i
pazienti hanno anche RA.
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Altra interpretazione: Amnesia = Deficit di Consolidamento di traccia: Teoria del consolidamento di traccia
(Milner, 1966, Squire, 1987).
Sia la codifica che il recupero sono intatti, ma manca la capacità di formare tracce permanenti. Incapacità di
passare da MBT a MLT.
I pazienti riescono ad elaborare gli stimoli sensoriali, farli passare nella memoria a breve termine ma non in
quella a ungo termine.
Tale teoria prevede diverse fasi e formula un ruolo
dell’ippocampo nella memorizzazione; ogni aspetto
dell’esperienza (visivo, uditivo e altro) viene codificato da
aree diverse e poi tali codifiche devono essere integrate.
L’ippocampo servirebbe per legare insieme i diversi
aspetti di un’esperienza che sono codificati da siti corticali
distanti che sarebbero legati insieme attraverso la
formazione di un indice ippocampale: traccia ippocampo-
corticale (l’ippocampo lega insieme i diversi aspetti
dell’esperienza).
Questa è la fase di codifica: in questa fase c’è bisogno
dell’ippocampo per legare i diversi siti corticali che codificano per i diversi aspetti di un’esperienza
complessa.
Alla fase di codifica segue una fase di consolidamento attraverso cui l’ippocampo riattiva
contemporaneamente i diversi siti; questo processo avviene durante il sonno, in cui l’ippocampo riattiva
attraverso l’indice ippocampale i siti originari; questo processo avviene anche durante il mind wondering
(vagabondaggio della mente), momenti in cui ci distacchiamo dall’esperienza percettiva e divaghiamo col
pensiero verso aspetti interni. Quindi il consolidamento avviene durante la notte e in questi momenti di
vagabondaggio.
A seguito del processo di consolidamento, si formerebbero dei legami diretti tra questi siti corticali
all’interno della neo-corteccia: le memorie vengono depositate nella neo-corteccia e non serve più
l’ippocampo. Quindi abbiamo diverse fasi:
1. ippocampo che crea una traccia ippocampo-corticale per legare i diversi aspetti dell’esperienza
2. processi di consolidamento: legami corticali tra unità corticali che scaricano in maniera sincrona
attraverso l’indice ippocampale e permettono
3. legami diretti tra unità che codificano e non serve più l’ippocampo per riattivare le tracce perché
depositate nella neo-corteccia
questo spiega l’amnesia e le sue caratteristiche perché l’amnesia, ovvero una lesione al complesso
ippocampale, impedisce di creare l’indice ippocampale e distrugge le memorie recenti legate ancora
all’ippocampo.
Deficit di consolidamento? sembra di sì, perchè spiega i diversi aspetti:
1. I pazienti hanno MLT compromessa ma MBT preservata, il che conferma che è danneggiato solo il
passaggio da MBT a MLT.
2. Amnesia Anterograda. Conferma il mancato passaggio da MBT a MLT.
3. Amnesia retrograda con gradiente temporale (gradienti di Ribot): solo i ricordi recenti, quindi non
ancora consolidati, sono compromessi; non è conclusa la fase di consolidamento e di conseguenza
non si riescono a ricordare nuove informazioni a fronte di una lesione dell’ippocampo
4. Questa teoria avanza il ruolo del lobo mediotemporale che ha un ruolo temporalmente limitato
nella memoria; il ruolo dell’ippocampo cessa una volta avvenuto il consolidamento
Quindi la teoria del consolidamento di traccia sembra spiegare in maniera appropriata tutta la
sintomatologia che si ha nell’amnesia; i pazienti hanno una memoria a lungo termine compromessa ma una
a breve termine preservata, il che fa pensare che venga disturbato questo processo di consolidamento cioè
del passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine.
L’amnesia anterograda conferma questo mancato passaggio ed è dovuta al fatto che l’ippocampo non
forma legami tra siti corticali diversi e non media i processi di consolidamento delle memorie (non fa
attivare insieme i diversi siti per rafforzare i legami); inoltre tale ipotesi spiega perchè l’amnesia ha un
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gradiente temporale, ovvero perché solo in una prima fase i ricordi dipendono dall’ippocampo perché sono
ancora in fase di consolidamento e quindi sostenuti da tracce ippocampo-corticali ma in una fase successiva
quando il processo di consolidamento è avvenuto, i ricordi non dipendono più dall’ippocampo. Se si
distrugge l’ippocampo in questa fase, i ricordi non sarebbero disturbati.
Quindi secondo la teoria del consolidamento di traccia, l’amnesia retrograda ha un gradiente temporale,
quello di Ribot, perché solo i ricordi recenti vengono compromessi.
Questa teoria avanza anche un modello del funzionamento del lobo mediotemporale della memoria, il
quale ha un ruolo limitato nella memoria insieme all’ippocampo; tale ruolo cessa una volta avvenuto il
consolidamento della traccia.
Chi ha voluto testare tale teoria è andato a vedere lo stato delle memorie antiche (che rimangono
preservate); tali memorie ci sono ma sono povere di dettagli delle memorie antiche.
Il paziente racconta delle cose ma da delle informazioni di tipo semantico ovvero come di solito vanno le
cose, ma non come sono andate a lui specificatamente. I pazienti danno informazioni generalizzate su
eventi remoti ma non riportano eventi specifici.
Quando si guarda la quantità di informazione totale si vede che rievocano più informazioni per gli eventi
lontani che per quelli recenti; quando si osservano gli eventi specifici, si osserva una compromissione sia
per le memorie antiche che per quelle recenti.
Quindi inizia a vacillare l’ipotesi del consolidamento di traccia, la quale vuole che le memorie antiche siano
depositate in corteccia e restino intatte dopo lesioni mediotemporali.
Il soggetto normale arricchisce la propria descrizione di un’esperienza lontana in maniera ricca di dettagli;
parte col dare un’informazione semantica ma poi passa a raccontare i dettagli contestuali ed episodici
(dettagli interni: specifici dell’evento).
Il paziente amnesico da solo informazioni semantiche ovvero relative ad eventi ripetuti che si verificano di
solito e non da informazioni contestuali specifiche, ovvero dettagli interni. Non racconta un evento
specifico ma da informazioni generalizzate.
E’ vero che le memorie remote sono presenti in quelli con amnesia retrograda ma non sono memorie
normali, sono memorie altamente semanticizzate, ovvero piene di dettagli generalizzati.
Il primo problema dell’ipotesi di traccia è che le memorie remote non sono normali ma sono
semanticizzate.
Moscovich ha studiato l’estensione dell’amnesia in seguito a lesione mediotemporale e trova che
1. Anche se non perduto, il ricordo episodico di eventi molto remoti non è normale. E’
“semanticizzato.”
2. Inoltre, la compromissione di eventi “recenti” si estende in molti casi fino ad eventi occorsi 20-30
anni fa, con preservazione solo degli eventi molto molto remoti (> 50 anni). Avendo dei gradienti di
Ribot così estesi nel tempo, si mette in dubbio il concetto di consolidamento in quanto nella teoria
del consolidamento di traccia bisognerebbe presumere che tale consolidamento duri 10-20 anni
per essere in linea con il gradiente di Ribot trovato e quindi in tale caso per consolidare una
memoria se il soggetto impiega così tanti anni non avrebbe senso. Non è pensabile che la persona
abbia bisogno di 40 anni per consolidare la traccia. Da qui si mette in dubbio il gradiente di Ribot e
si va verso una teoria diversa che viene formulata da Moscovich e Nadel
3. Quanto si pensa possa durare un processo di consolidamento biologicamente plausibile?
Amnesia retrograda in pazienti amnesici globali: nei pazienti amnesici, i ricordi antichi ci sono, ma sono
altamente semanticizzati, hanno perso la maggior parte di dettagli episodici. Questo vale anche per
memorie remote.
Il fatto che le memorie antiche siano semanticizzate nei pazienti amnesici significa che per un recupero
episodico di memorie, è sempre necessario l’ippocampo.
Non si può sostenere l’appropriatezza del gradiente di Ribot, perchè nemmeno i ricordi remoti sono
normali; infatti si perdono memorie molto vecchie e anche se sembrano rimanere sono poco ricche di
dettagli contestuali
Quindi non si può sostenere che il lobo medio- temporale abbia solo un ruolo temporalmente limitato in
memoria. Verso una nuova teoria...
Terza ipotesi: Teoria delle tracce multiple di Moscovich e Nadel
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Secondo tale teoria, l’ippocampo serve per legare insieme i diversi siti corticali durante la codifica di un
determinato evento (come per la teoria del consolidamento di traccia); successivamente c’è una fase di
consolidamento che serve a consolidare le memorie da una forma prevalentemente dipendete
dall’ippocampo a una forma prevalentemente dipendente dalla neo-corteccia però, a differenza della teoria
del consolidamento di traccia, in questa teoria di Moscovich, quando recupero memorie di eventi
complessi, ho bisogno dell’ippocampo per mettere insieme, durante il recupero, i tanti aspetti contestuali
dell’esperienza; tutte le vote che rievoco una memoria, siccome la rievoco in un contesto diverso, formo
una nuova traccia di memoria formata da unità ippocampali e corticali. Le memorie molto antiche
sarebbero sostenute da tracce multiple e questo è il motivo per cui sarebbero più resistenti al danno
neurale.
L’ippocampo svolge un ruolo continuativo nel recupero di tracce episodiche ovvero tracce altamente
contestualizzate; resta vero che l’ippocampo serve per legare insieme i diversi aspetti dell’esperienza
durante la codifica, con la formazione dell’indice ippocampale. Quest’ultimo serve per consolidare gran
parte delle memorie in neocorteccia, in modo particolare lo “scheletro delle memorie” viene consolidato in
neocorteccia. Però tutte le volte che ho bisogno di riattivare la memoria episodica nella sua interezza, allora
ho sempre bisogno dell’ippocampo per riattivare tutti gli aspetti dell’esperienza durante il recupero. Inoltre
siccome quando recupero la memoria, lo faccio in un nuovo contesto, la mia esperienza soggettiva è
leggermente diversa e quindi si formano delle tracce ippocampo-corticali leggermente diverse l’una
dall’altra che si sovrappongono; le memorie che sono state rievocate molto spesso saranno sostenute da
tracce multiple. La rievocazione di memorie causa la formazione di nuove tracce ippocampo-corticali che
fortifica la memoria originale; se ne consolida solo uno scheletro semantico ma tutti i dettagli contestuali
vengono riattivati ad opera dell’ippocampo.
Questo spiega da una parte perché i pazienti amnesici avrebbero perso la possibilità di rievocare dettagli
contestuali anche di memorie molto antiche (perché per questo è necessario il lavoro dell’ippocampo) e
spiega anche perché tendenzialmente è più probabile rievocare memorie antiche piuttosto che memorie
recenti e questo perché quelle antiche sono sostenute da memorie multiple e quindi un danno
dell’ippocampo danneggerà alcune di queste tracce ma non tutte; le memorie relative ad eventi antichi
sono più resistenti al danno neurale perché sono sostenute da tracce multiple.
Questa teoria spiega perché i pazienti amnesici falliscono nel rievocare dettagli contestuali di memorie
antiche, ovvero perché l’ippocampo si riattiva in maniera uguale sia per memorie recenti che per memorie
antiche ammesso che il soggetto affermi di riuscire a rivivere quella memoria con vividezza; l’ippocampo
riassicura una re-esperienza vivida e coesa durante il recupero e questo indipendentemente dalla recenza
dell’esperienza.
Per riattivare i dettagli contestuali, siano esse remote o recenti, è sempre necessario l’ippocampo.
Quindi: La teoria delle tracce multiple:
- L’amnesia è un deficit nel legare insieme e recuperare i diversi aspetti di una esperienza.
- Il lobo mediotemporale è fondamentale per codificare i diversi aspetti di una esperienza, ma anche
per riattivarli insieme durante il recupero.
- Il lobo mediotemporale è sempre coinvolto nel recupero delle memorie episodiche, anche quelle
antiche, e ne assicura un ricordo vivido.
- Ogni volta che una memoria viene recuperata, si creano nuove connessioni fra i siti corticali e
mediotemporali che la rappresentano.
- Pertanto, le memorie più spesso riattivate (quelle salienti e quelle antiche) godrebbero di tracce
multiple. Questo le rende più resistenti al danno di MTL (lobo medio temporale).
tale teoria spiega perché più probabile perdere memorie recenti rispetto a quelle antiche, infatti queste
ultime presentano più tracce ma allo stesso tempo un danno ippocampale distrugge la capacità
dell’ippocampo di rievocare eventi remoti in maniera vivida.

Test delle foto di episodi passati: KC è un paziente con una lesione bilaterale dell’ippocampo, mentre EL ha
una lesione laterale temporale:
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- KC conosce il nome dei personaggi nelle foto (memoria semantica OK).
- KC è però incapace di raccontare un qualsiasi episodio che non sia direttamente deducibile dalla
foto (“Siamo vestiti bene, probabilmente stavamo andando ad una festa”).
- Questo vale anche per ricordi remoti (compromissione della memoria episodica senza gradiente
temporale).
- EL invece non ricorda i nomi dei personaggi (memoria semantica compromessa).
- EL però ricorda a cosa si riferiscono gli eventi nelle foto, e mostra una reazione emotiva adeguata
(memoria episodica OK).
quindi in seguito alle lesioni ippocampali, i soggetti amnesici non riescono a ricordare i dettagli interni di
tipo episodico che vengono persi indipendentemente dalla recenza della lesione. Questo suggerisce che
l’ippocampo serva a recuperare anche memorie molto remote (diverso dalla teoria precedente che diceva
che non c’era più bisogno dell’ippocampo dopo il consolidamento).
L’ippocampo viene attivato di più da memorie vivide indipendentemente dalla recenza, quindi l‘ippocampo
è sempre necessario per recuperare memorie e il suo intervento durante il recupero fa sì che queste
memorie siano vivide e contestualizzate.
Il processo di consolidamento fa sì che gli eventi anche se restano legati all’ippocampo siano processati da
porzioni diverse dell’ippocampo, ovvero ogni volta che rievoco un ricordo ho bisogno di aree diverse
dell’ippocampo e quindi il ricordo dell’evento è più distribuito sull’ippocampo; questo è il motivo per cui
una lesione ippocampale elimina ricordi recenti piuttosto che antichi perché i ricordi recenti sono
conservati nell’ippocampo anteriore, quindi una lesione in tale zona elimina il ricordo recente, mentre i
ricordi remoti sono più distribuiti sull’ippocampo in seguito alle diverse riattivazioni e quindi potrò
rievocare memorie antiche anche se saranno meno vivide in seguito a lesioni ippocampali.
Teoria delle tracce multiple? sembra ok ed è quella ancora in vigore, perchè:
- Spiega Amnesia Anterograda: ippocampo necessario per legare assieme i diversi aspetti
dell’esperienza
- Spiega il gradiente della amnesia retrograda: le memorie più antiche sono rappresentate da tracce
multiple e quindi sono più rappresentate e resistenti al al danno neurale.
- Al contempo, senza lobo mediotemporale si perde la capacità di “rivivere” (riattivare
congiuntamente) i dettagli spazio-temporali di episodi esperiti nel passato (anche antichi). Un
danno ippocampale porta a una maggiore probabilità di rievocare tracce antiche che però saranno
prive di dettagli
Una critica è stata fatta da Shallice: Secondo Shallice è più difficile ricordare i dettagli contestuali di una
memoria rispetto agli aspetti più semantici e quindi la rievocazione di memorie episodiche sarebbe più
dipendente da sistemi di tipo deliberato e quindi da una ricerca strategica di informazioni nella memoria;
una ricerca che impegna i sistemi frontali, rispetto ai dettagli semantici che sono iperappresi e che i soggetti
hanno appreso più volte e che conoscono meglio.
Secondo Shallice la contrapposizione non è fra episodico e semantico, ma fra sistemi che necessitano di
sistema attenzionale supervisore (SAS) per il recupero (strategic retrieval episodico) e sistemi che si
avvalgono di un recupero automatico attraverso operazioni di routine (contention scheduling).
Per dimostrare che invece il lobo mediotemporale è necessario per il recupero di memorie di tipo
episodico, indipendentemente dalla difficoltà e dalle richieste del compito, il gruppo di Moscovitch ha
predisposto un compito in cui il recupero di memorie episodiche è di tipo automatico e non di tipo
deliberato e quindi controllato.
Come hanno fatto per rispondere alla critica di Shallice? hanno individuato item ad alta rilevanza o salienza
autobiografica e si definiscono questi item come item che fanno venire in mente automaticamente delle
memorie personali.
Es.: vedere una foto di Osama Binladen. fa venire in mente automaticamente delle memorie personali
ovvero dove si era il giorno della caduta delle torri; al contrario vedere una foto di Einstein non fa venire in
mente qualcosa di personale.
Quindi ci sono degli item nella nostra memoria semantica che sono strettamente connessi ad esperienze
personali. Si dice che questi item hanno alta “rilevanza autobiografica”.
Sono relati a molte memorie personali, che vengono automaticamente attivate quando li vediamo.
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Vengono presentati stimoli che differiscono sulla base della rilevanza autobiografica; vengono presentati
stimoli che possono o non possono elicitare memorie personali, i primi non hanno bisogno di strategie e di
una ricerca strategica nella memoria ma sono memorie autobiografiche che si attivano automaticamente.
Se dimostro che anche questo tipo di memoria autobiografica è carente nei soggetti con lesioni
mediotemporali, ho dimostrato che tale lobo è necessario per la memoria episodica e che questo non
dipende da operazioni deliberate, di ricerca strategica in memoria che uno potrebbe ipotizzare servano ad
attivare memorie ricche di dettagli contestuali come sono le memorie autobiografiche.
E’ stato dimostrato che in diversi compiti di tipo semantico, ovvero quando non è richiesto il recupero di
queste esperienze personali legati agli item, i soggetti sono più veloci a processare gli item ad alta rilevanza
autobiografica rispetto a quelli a bassa rilevanza; compito di tipo semantico come riconoscere volti famosi o
leggere i nomi di queste persone famose. In queste situazioni i soggetti sono più veloci a riconoscere facce
di personaggi ad alta rilevanza autobiografica; solo il fatto che questi stimoli siano sostenuti dal sistema di
memoria semantica ed episodica, fa sì che io sia più veloce a giudicare quanto sono famose quelle facce o a
leggere i nomi delle persone. Questo è un compito di memoria episodica implicita perché non si chiede ai
soggetti di rievocare l’esperienza autobiografica associata ai volti, ma il fatto che queste esperienze
personali ci siano lo inferisco dalla migliore prestazione che i soggetti hanno con questi stimoli.
I soggetti normali sono più efficaci nel processare item ad alta rilevanza autobiografica perché sono
sostenuti dal sistema di memoria semantica ed episodica che agisce implicitamente anche se non è
richiesto dal compito.
Questi stessi stimoli standardizzati nei soggetti sani, sono stati sottoposti a pazienti con lesioni
mediotemporali e a pazienti con demenza semantica ovvero con lesioni nel lobo laterale temporale
(problemi di memoria semantica ma non episodica); si vede che sia in un compito di giudizio “famoso” o
“non famoso” che in un compito di lettura, i pazienti con demenza semantica hanno un vantaggio per gli
item ad altra rilevanza autobiografica rispetto a quelli a bassa rilevanza in quanto i tempi di reazione sono
minori. I pazienti con demenza semantica sono come quelli normali ovvero mostrano questo vantaggio nel
processare gli item ad alta rilevanza.
Lo stesso vantaggio è completamente assente nei pazienti con lesioni mediotemporali: hanno gli stessi
tempi di reazione sia con gli item ad alta rilevanza che bassa rilevanza autobiografica in entrambi i compiti.
Questa è una prova che il lobo mediotemporale serve per sostenere memorie di tipo episodico e questo
non dipende dal fatto che queste memorie siano più difficili da rievocare (e che debbano esserci strategie
per rievocarle), ma dipende dal fatto che siano memorie di tipo episodico perché in questo compito non è
richiesto di rievocare queste memorie quindi l’assenza dell’effetto nei pazienti con lesioni mediotemporali
denuncia che esso è necessario per mediare e trattenere memorie di tipo episodico; questo non dipende
dalla maggiore presunta difficoltà con cui si recupera questo tipo di memorie perché in questo compito non
era richiesto di rievocare queste memorie.
Quindi per la teoria del consolidamento di traccia l’ippocampo è necessario sia nella fase di codifica, in cui
si crea un indice ippocampo-corticale che lega i diversi aspetti dell’esperienza, sia nella fase di
consolidamento in cui vengono fatti risuonare insieme i diversi aspetti dell’esperienza, che nella fase di
recupero in cui vengono riattivati congiuntamente e rilegati insieme i diversi aspetti dell’esperienza;
questo assicura un’esperienza vivida delle memorie mentre le recuperiamo.

Vediamo alcune ricerche che supportano indirettamente la teoria delle tracce multiple

70
Circa 10 anni fa una ricercatrice dava delle parole cue e chiedeva o di rievocare un evento passato o di
immaginare un evento futuro legato a quel cue; in una condizione immaginavano eventi passati e in un
altro il futuro.
Le basi neurali sono marcatamente simili per il ricordo di eventi passati e l’immaginazione di eventi futuri
legati al medesimo cue; queste aree appartengono alla linea mediana del cervello: corteccia prefrontale
mediale, corteccia cingolata posteriore, lobo mediotemporale, cortecce parietali.
C’è una comunione di aree implicate nel ricordo del passato e nell’immaginazione del futuro.
L’ippocampo è attivo nello stesso modo quando immaginiamo il futuro e ricordiamo il passato, così anche il
lobo temporale, parietale inferiore; molte aree di quella che si chiama ora core autobiograpichal memory
network cioè della rete complessa che serve per ricordare il passato, sono aree attive quando i soggetti
immaginano il futuro.
Questo ha provocato un cambiamento di paradigma: siamo passati alla memoria come capacità di
simulazione di eventi passati e futuri: serve a ricordare il passato ma anche per ricombinare eventi passati
quando dobbiamo immaginare eventi futuri.
Abbiamo un insieme di aree neurali che sono ugualmente attive per ricordi passati e immagini future e
abbiamo aree, compreso l’ippocampo di destra, che sono più attive quando immaginiamo il futuro rispetto
a quando ricordiamo il passato.
Da qui Schacter ha proposto una teoria che è l’”Episodic simulation theory” secondo la quale la vera
funzione della memoria non è quella di ricordare il passato ma di immaginare il futuro che è un’attività più
importante da noi dal punto di vista adattivo (prepararsi a certe esperienze ci serve di più che ricordare
eventi passati); secondo lui abbiamo una memoria ricostruttiva proprio perché la sua funzione non è solo
quella di ricordare eventi passati ma di creare eventi nuovi. Per simulare eventi futuri utilizziamo memorie
passate: riassembro i dettagli di esperienze passate in modo nuovo.
Abbiamo una memoria ricostruttiva prona ad errori perché tutte le volte che ricordiamo un evento
dobbiamo rilegare insieme aspetti dell’esperienza e spesso ci inseriamo dettagli sbagliati; perché abbiamo
una memoria prona ad errori? questo è il prezzo che paghiamo per avere evoluto un sistema di memoria
ricostruttivo anziché evolutivo e avremmo evoluto questo sistema ricostruttivo proprio perché la sua
funzione principale non è quella di memorizzare o rievocare esperienze passate ma sarebbe quella di creare
esperienze nuove che creiamo sia ricombinando eventi del passato o creando esperienze nuove che ci
possono servire dal punto di vista del problem solving (es.: provo diverse esperienze e immagino cosa può
succedere). Si chiama sistema di simulazione episodica che serve a costruire eventi complessi; l’ippocampo
insieme a una complessa rete neurale serve non tanto per ricordare ma per immaginare, creare e ricreare
esperienze.
Se questo sistema di simulazione episodica, di cui fa parte l’ippocampo serve sia a ricordare il passato che
per immaginare il futuro, allora i pazienti amnesici dovrebbero avere incapaci di ricordare il passato e
immaginare il futuro; e infatti già nei primi report su HM si nota questa mancanza di capacità di immaginare
il futuro. Mancando i dettagli delle esperienze passate non ho nessuna base per costruire il futuro.
Diversi gruppi di ricerca hanno esplorato questi deficit nei soggetti amnesici.
Studio di Race: venivano dati cue per ricordare il passato e immaginare il futuro; sia ai pazienti che hai
soggetti di controllo viene chiesto questo ovvero ricordare il passato, immaginare il futuro e per controllo si
chiede di descrivere delle vignette perché potrebbe essere che i pazienti amnesici siano incapaci di
ricordare il passato e immaginare il futuro (ovvero esperienze complesse), non perché sono realmente
incapaci ma perché non sono in grado di raccontarle, cioè hanno un problema nelle capacità narrative ed
essendo pazienti potrebbero tendere ad essenzializzare i racconti.
Vengono contati, come misura di memoria episodica e semantica, i dettagli interni ed esterni (o semantici);
i dettagli episodici sono ridotti sia per quanto riguarda il passato sia per l’immaginazione del futuro. I
dettagli semantici sono simili a quelli dei soggetti di controllo. Quindi è un disturbo nell’immaginazione e
simulazione di eventi contestualizzati, sia che questo consista nella ricostruzione di eventi passati sia nella
costruzione di eventi futuri, mentre non hanno un deficit nelle narrazioni.
Il deficit nel ricordare il passato e immaginare il futuro è altamente correlato (misurato attraverso i dettagli
interni ed esterni); questo supporta il fatto che ci sia un unico sistema di simulazione episodica per mettere
insieme eventi complessi, sia quando li ricostruisco dal passato che quando li immagino nel futuro.

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La McGuire indaga questo: se l’ippocampo presenta questi aspetti di base ovvero lega insieme i diversi
aspetti dell’esperienza indipendentemente dal fatto che siano relativi al passato o al futuro, allora se la sua
funzione è così di base allora è necessario per assemblare eventi nuovi non esplicitamente localizzati nel
tempo. Indaga la creazione di eventi fittizi.
Ai pazienti veniva chiesto di immaginare sia scenari futuri che temporali non necessariamente riferiti a sé
stessi; ad esempio: immagina di esser sdraiato su una baia e raccontami cosa vedi (non è un’esperienza
reale ma fittizia).
Venivano contati i dettagli che i pazienti forniscono: dettagli di entità presenti, spaziali, contestuali, riferiti
ad emozioni; in più per ognuna delle vignette create, i soggetti dovevano rispondere a domande per
valutare un indice di coerenza spaziale. Sono domande tese a misurare l’esperienza spaziale dello scenario
creato; ad esempio dovevano dire se vedevano l’immagine a colori, frammentata, se era una scena o un
insieme di immagini. Queste domande rivelano se i soggetti riescono ad integrare i dettagli in uno scenario
coeso.
Veniva valutata una misura della ricchezza chiamata “experiencial index” (indice esperienziale) che
valutava una sorta di senso presenza sulla base dei dettagli che riuscivano a dare e in base a quanto
vivessero la scena come coesa dal punto di vista spaziale; tale indice somma sia la quantità di dettagli forniti
dai pazienti che il lor senso di integrazione spaziale della scena.
I pazienti amnesici hanno un indice esperienziale minore dei soggetti di controllo, il che denuncia come il
lobo mediotemporale e in particolare l’ippocampo (integra i diversi aspetti dell’esperienza) fossero ridotti
nei pazienti.
L’ippocampo serve per assemblare scenari complessi e dare vita ad esperienze coese dal punto di vista
spaziale, dove i dettagli sono integrati in uno spazio coeso e coerente.
L’ippocampo serve per ricordare eventi passati e immaginare eventi futuri perché riesce a creare queste
scene complesse; sia gli eventi passati che eventi futuri richiedono questa capacità di creare scene
complesse perché sono costituite da scena complesse.
Funzione principale dell’ippocampo: assemblare esperienze complesse attraverso la capacità legare
insieme aspetti diversi che vengono processati da regioni diverse e distanti della neocorteccia.
La memoria non è quindi più la capacità di ricordare eventi passati ma è qualcosa di più profondo; il lavoro
dell’ippocampo nella memoria è quello di creare queste scene complesse.
L’ippocampo serve per creare e immaginare scenari nuovi anche temporali nei dettagli e legare insieme i
diversi aspetti si uno scenario coerente a livello spaziale.
I compiti visti fin’ora sono di espliciti, volontari perché richiedono esplicitamente di creare degli scenari.
Un’obiezione a questo tipo di evidenza potrebbe essere che i pazienti mediotemporali non hanno capacità
narrative o che essendo pazienti sono meno motivati a creare scenari fittizi e allora la McGuire ha voluto
indagare la costruzione di scenari complessi in pazienti ippocampali anche utilizzando compiti impliciti e
non verbali.
Paradigma della McGuire che indaga la costruzione di scene in modo implicito e che non richiede capacità
di tipo narrativo: questo studio si basa sul fenomeno dell’allargamento dei confini (boundary exstension)
che è un fenomeno percettivo estremamente robusto perché si trova anche nei pazienti sani.
Tale fenomeno prevede che se presentiamo due figure identiche di un oggetto in un contesto in rapida
successione ai soggetti sani e chiediamo se sono identiche, i soggetti tendono a dire che la seconda figura è
presa da più vicino. Questo fenomeno viene interpretato nel seguente modo: quando i soggetti vedono una
figura, automaticamente immaginano una scena più ampia intorno all’oggetto, consegnano alla memoria
questa scena immaginata estesa e quando vanno a confrontare l’immagine costruita nella memoria con la
seconda immagine, quest’ultima sembra presa da più vicino.
Questo fenomeno denuncia la capacità di immaginare uno scenario più ampio intorno all’oggetto in
maniera automatica: fenomeno di costruzione automatica di scene che fanno i soggetti normali e che
peggiora la loro prestazione.
Altro esempio di tale fenomeno: i soggetti sani se vedono una figura e la devono ridisegnare, disegnano un
contesto più ampio.
La McGuire sostiene che se i pazienti ippocampali sono compromessi nell’immaginazione di scenari
complessi perché l’ippocampo serve per l’immaginazione di scenari complessi, allora essi non dovrebbero

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immaginare un contesto più ampio intorno all’oggetto e quindi dovrebbero essere protetti dal fenomeno di
boundary exstension e avere risultati migliori in questi tipi di test rispetto ai soggetti sani.
Gli sperimentatori hanno fatto un esperimento in cui presentavano la stessa figura più volte e chiedevano
se la figura era presa da più vicino o da più ontano; i soggetti sani dicono più spesso che la figura è presa da
più vicino e meno volte dicono che la figura è la stessa e ancora meno volte dicono che è presa da lontano.
Siccome dicono che è presa da vicino più volte allora manifestano il boundary exstension.
Questo fenomeno non è presente nei pazienti ippocampali che dicono più spesso che la seconda figura è la
stessa rispetto alla prima e quindi sono protetti dal fenomeno di boundary exstension; questi pazienti
hanno paradossalmente una prestazione di memoria migliore die soggetti sani, ma questa loro migliore
prestazione denuncia la loro incapacità di immaginare scene complesse che quindi fa sì che non anticipino
una scena più estesa intorno all’oggetto che è il fenomeno che da adito al boundary exstension.
In un altro esperimento la McGuire fa vedere immagini e chiede di ridisegnare tali immagini: i sani
aggiungono contesto alla figura, mentre i. soggetti ippocampali aggiungono meno contesto.
Queste sono ulteriori prove del fatto che l’ippocampo serve per immaginare scenari spaziali estesi e
complessi; i soggetti normali, avendo l’ippocampo funzionante, tendono ad ampliare il contesto intorno alla
figura.
La versione tattile di tale fenomeno, sempre testata dalla McGuire, prevede di inscrivere gli oggetti in una
determinata area, poi viene tolta l’area e viene chiesto di rimettere i confini dell’area; i soggetti amnesici
ricordano un’area più simile a quella originale, mentre quelli sani di controllo tendono ad aumentare ‘area.
di confine. Questo dimostra che il boundary exstension è un fenomeno multisensoriale per cui l’ippocampo
ci serve per immaginare contesti spaziali estesi che contengono gli item e quindi un danno ippocamapale
limita la nostra capacità di immaginare contesti spaziali; questo dimostra che i soggetti ippocampali non
hanno meno motivazione a costruire questi scenari spaziali. Il fatto che non possano costruire spazia
complessi lo si inferisce in questo caso dalla loro migliore prestazione.
Quindi l’ippocampo è coinvolto nella costruzione di scene anche quando il compito non è esplicito e non
richiede la narrazione di scene; esso serve per legare insieme i diversi aspetti dell’esperienza in uno
scenario coeso da un punto di vista spaziale.
Quindi i pazienti ippocampali hanno problemi a ricordare eventi passati e immaginare eventi futuri perché
questi eventi sono tipicamente ambientati in contesti spaziali complessi e l’ippocampo serve per supportare
l’immaginazione di questi scenari spaiali complessi; senza questa capacità si perde anche la capacità di
ricordare e immaginare.

Tutto questo è una prova a favore della “Teoria delle tracce multiple” perché questa sostiene che durante
il recupero, tutte le volte che si devono riportare insieme i diversi aspetti dell’esperienza, serve l’ippocampo
mentre per la teoria del consolidamento di traccia, l’ippocampo serve per consolidare gli eventi passati
quindi non si spiegherebbe perché è attivo l’ippocampo nell’immaginazione del futuro (questi eventi futuri
non sono mai stati esperiti tuttavia l’ippocampo si attiva per la loro costruzione).
Un aspetto della teoria delle tracce multiple è che l’ippocampo serve per questa operazione di binding dei
diversi aspetti dell’esperienza e questo serve sia per la ricostruzione di eventi che anche per la costruzione
di eventi nuovi.

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Lobo frontale e confabulazione di memoria
Per la teoria delle tracce multiple, l’ippocampo è necessario per codificare (legare insieme i diversi aspetti
dell’esperienza), consolidare (riattivare i diversi aspetti dell’esperienza) e richiamare eventi complessi
(dettagli episodici = recollection).
L’ippocampo per la struttura delle sue connessioni è capace e obbligato a legare insieme i diversi aspetti
dell’esperienza; è obbligato, e non sceglie quindi, di creare un indice ippocampale. Quindi un cue di
memoria fa sì che l’ippocampo attivi tutti gli aspetti dell’esperienza pregressa, perché le sue connessioni si
comportano come una rete associativa: da un “parziale”, è capace e obbligato a ricostruire tutta la traccia
nella sua interezza. Per questa proprietà, Moscovitch l’ha definito una “struttura stupida”.
L’ippocampo è anche obbligato durante il recupero a riattivare tutti gli episodi compatibili con un cue;
riattiva tutte le memorie compatibili e che soddisfano un cue di memoria per questo è stupido.
L’ippocampo quindi viene guidato nelle operazioni mnestiche da una struttura intelligente (opposta a lui
stesso) che è capace di guidare e dare vincoli sia alla fase di codifica delle informazioni (perché sceglie e da
priorità a delle informazioni) sia alla fase di recupero (in cui sceglie quali sono le tracce da recuperare e
monitorizza se le tracce recuperate sono corrispondenti a delle memorie o sono sbagliate: memorie vere o
false). Tale struttura è il lobo frontale.
Un disturbo che segue a una sua lesione è la confabulazione di memoria. La confabulazione è un sintomo
presente in alcune popolazioni di pazienti amnesici, che presentano lesioni prefrontali (soprattutto nella
sezione ventromediale), e consiste nella produzione spontanea di false memorie, ovvero memorie per
eventi mai accaduti e quindi i pazienti ricordano eventi mai avvenuti (Moscovitch, 1989).
Nei test ai soggetti viene letto un racconto originale (memoria di prosa), poi viene chiesto loro di rievocare
immediatamente il racconto e poi dopo un certo lasso di tempo avviene la rievocazione differita; laddove il
paziente con amnesia omette dei dettagli (errori di omissione), il paziente con confabulazione commissiona,
ovvero recupera dalla memoria degli eventi che lui non ha esperito, diversi da quelli accaduti, aggiunge
particolari che non sono avvenuti.
Le informazioni riportate dal paziente confabulante, inizialmente possono essere consistenti e coerenti dal
punto di vista semantico, poi dopo un po’ si capisce se il soggetto sta confabulando (es.: il paziente
confabula un luogo diverso rispetto a dove si trova). C’è una confusione di tracce della memoria semantica
oppure ricordi mischiati a frammenti di immaginazione.
Cosa causa l’incapacità di monitorare l’accuratezza delle proprie memorie? le confabulazioni conseguono a
determinate patologie che causano lesioni dei lobi mediali frontali
Eziologia delle confabulazioni
- Aneurisma dell’ACoA (De Luca et al., 1993);
- Sindrome di Korsakoff (Talland, 1965);
- TBI (Berlyne, 1972): trauma cranico
- fvFTD (Moscovitch & Melo, 1997)
- Alzheimer’s Disease (Dalla Barba, 1997): nelle fasi tardive
I siti lesionali associati alla confabulazione:
- Corteccia orbitofrontale
- Corteccia ventromediale
- Giro del cingolo
- Corpi mammillari
- Talamo anteriore
Studio PET in Korsakoff (Benson et al., 1996): è stato visto una stretta relazione tra il funzionamento delle
aree orbitofrontali e il fenomeno della confabulazione; tipicamente nei soggetti che confabulano, queste
zone sono ipoperfuse cioè raccolgono meno sangue.
In corrispondenza di una diminuzione delle confabulazioni, diminuisce l’ipoperfusione delle aree
orbitofrontali mediali e quindi aumenta la perfusione delle aree orbitofrontali.
Sono stati fatti anche studi di sovrapposizione (in cui si sovrappongono sedi lesionali di due popolazioni di
pazienti) in pazienti ACoA confabulanti e non; si vede che le differenze lesionali sono:
- Differenze in corteccia orbitofrontale (Alexander & Freedman, 1984)
- Differenze in corteccia ventromediale (Fischer et al., 1995).
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Le confabulazioni si osservano nel comportamento spontaneo del paziente me possono essere elicitate
anche con una batteria detta Confabulation Battery (Dalla Barba, 1993), dove si indagano diversi ambiti
della memoria. E’ una batteria composta da 6 diverse sezioni di domande che riguardano:
1. Memoria semantica personale (PS),
2. Memoria episodica personale (PE),
3. Orientamento spazio-temporale (OTS),
4. Memoria semantica generale (GS),
5. “I don’t know” memoria semantica (DKS),
6. “I don’t know” memoria episodica (DKE).
le ultime due tipologie sono domande fatte apposta per i pazienti confabulanti; “i don’t know” perché ci sia
spetta che i soggetti normali rispondano “non lo so” a determinate domande, mentre i pazienti
confabulanti spesso possono confabulare una risposta.
Memoria semantica personale (PS)
“Qual è la sua data di nascita?” “Ha fratelli o sorelle?”
“Che età aveva quando sono nati i suoi figli?” Beh, 28, no anzi aspetti 21, dopo il militare, si forse ma il
primo dice? No il primo l’ho avuto prima...(MM) -> Quindi il paziente confabula delle risposte.
Memoria episodica personale (PE)
“Quando è stato visitato da un medico l’ultima volta?”
Un minuto fa, prima che mi vedesse lei (GV) -> ma questo non è vero
“Mi aveva già visto prima?” Certo, ci siamo conosciuti al compleanno di mia nipote (MM)
“Cosa ha fatto ieri sera?” Una bella cena con tanti amici, dopo tanto tempo ho cucinato la lepre (ML) ->
ricordi estremamente vividi che non corrispondono ad eventi accaduti
Orientamento spazio-temporale (OTS)
“E’ mattina o pomeriggio?” “In che anno siamo?” Nel 1992 (LG)
“Dove ci troviamo?” Siamo all’Ospedale di Rimini (GV)
Memoria semantica generale (GS)
“Chi era Alessandro Manzoni?” Non è quello che ha aperto il ristorante...non ci hai cenato ieri sera te? (GB)
“Che cosa è successo a Tchernobyl?” Una base nucleare russa è stata attaccata e ci sono stati molti morti
“Cosa è la stazione MIR?” E’ una stazione satellitare e Vladimir Poutin un cosmonauta sovietico che ci abita
“I don’t know” memoria semantica (DKS)
“Chi ha preso la Palma D’Oro a Cannes nel 1980?” “Come si chiamava la moglie di Jimmy Carter?”
Caterina! (GB) -> il paziente confabulante risponde con sicurezza quando non è vero
Che lavoro faceva il padre di Marilyn Monroe?
“Faceva l’attore anche lui” (GB) “Era un commerciante di carne” (GV)
“I don’t know” memoria episodica (DKE)
Le confabulazioni possono essere elicitate attraverso domande specifiche: quanto più deve cercare
informazioni in memoria tanto più confabula sulle spiegazioni di fatti non avvenuti.
Le confabulazioni possono essere elicitate per domande sulle quali solitamente non ci sia aspetta una
risposta, come nel caso della memoria episodica; i soggetti normali a queste domande rispondono i don’t
know, mentre i pazienti confabulanti cercano di dare risposte e fanno confabulazioni.
“Cosa ha fatto il 13 Marzo del 1985?”
“Cosa indossava il primo giorno d’estate del 93?”
“Si ricorda cosa stava per fare esattamente un mese fa?”
Mi stavo per licenziare, l’ambiente di lavoro è veramente tosto...” (GV)
Si trovano molte confabulazioni nel dominio della memoria episodica e semantica; il campo in cui i pazienti
confabulanti, confabulano maggiormente è quello della memoria personale, episodica.
I pazienti confabulanti quindi creano memorie per eventi mai accaduti.

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Anosognosia
Le confabulazioni sono associate a una particolare esperienza soggettiva vivida delle memorie
confabulatorie; i pazienti mnesici sono sempre dubbiosi dell’aver detto bene, mentre i pazienti confabulanti
sono totalmente sicuri delle loro memorie.
La loro consapevolezza soggettiva delle loro memorie è la stessa che hanno i soggetti normali delle
memorie vere: è un problema della memoria nella creazione di tracce mnemoniche che risultano
estremamente vere per il soggetto.
Gli sperimentatori cercano di contrastare le memorie elicitate dal paziente confabulante e delle volte si
cercando di mostrare loro delle prove per falsificare ciò che hanno detto; di fronte a tali prove oggettive, i
pazienti possono confabulare ancora di più e si battono per difendere le loro confabulazioni, quindi è inutile
cercare di contrastare le confabulazioni da un punto di vista clinico.
Il processo di contrastare tali memorie può portare a depressione nei pazienti perché si sentono contrastati
e inoltre si osserva, dopo tale contrasto, che i pazienti raccontano meno e si abituano al fatto che vengono
contrastati; quindi è inutile contrastare le confabulazioni e inoltre è dannoso.
Sono talmente convinti del contenuto delle loro confabulazioni che agiscono sul contenuto stesso delle
confabulazioni; es.: dicono di essere stati alla mattina a lavoro quando in realtà sono in malattia e il
paziente esce e prende la macchina per andare al lavoro.
La consapevolezza soggettiva è estremamente vivida e quindi è inutile contrastarli.
Interpretazioni:
1. Confabulazione per riempire dei vuoti nella memoria (Kopelman, 1997) e superare l’imbarazzo di
non sapere rispondere su questioni personali
2. Confabulazione come deficit nell’organizzazione temporale degli eventi (Dalla Barba, 1993;
Schnider, 2003)
3. Confabulazione come deficit nel recupero strategico dell’informazione dalla memoria (Moscovitch
& Melo, 1997)
Ipotesi 1
La confabulazione risponde ad un bisogno di riempire dei vuoti nella memoria. I soggetti confabulano per
fornire risposte a domande a cui non sanno rispondere perché sono amnesici.
Questo è stato verificato sulle domande per cui normalmente ci si aspetta che i soggetti rispondano “non lo
so”; se i pazienti hanno questa tendenza a volere colmare i vuoti tendono a rispondere a domande a cui ci
si aspetta la risposta “non lo so”. Dovrebbero confabulare di più rispetto a tali domande rispetto ai soggetti
sani. Sono domande troppo specifiche per potere rispondere.
Exp 1:
Schnider (1996) sottopone un gruppo di pz. confabulanti a domande del tipo “I don’t know” (Confabulation
Battery, 1993). Es.: Ti ricordi cosa hai fatto il 13 Marzo 1985?
Non c’è un pattern chiaro. Anche soggetti normali tendono a “confabulare” il 5-13% delle volte.
Un altro sperimentatore, Mercer (1977) pone domande più induttive: “Cosa hai fatto il 13-3-85? Prima mi
avevi risposto”.
Anche con questa procedura “induttiva” i confabulanti non producono più false memorie dei controlli.
Anche così non si riesce a confermare l’ipotesi che la confabulazione risponde al tentativo di colmare vuoti
di memoria in seguito ad amnesia. Inoltre ci sono ipotesi teoriche che contrastano questa teoria, ovvero
pazienti amnesici non presentano tale confabulazioni.
Altri problemi per la HP 1:
1) Scarsa consapevolezza del problema di memoria: se il paziente è anosognosico, perchè dovrebbe cercare
di mascherare il proprio deficit? i pazienti non ritengono di avere bisogno di un trattamento riabilitativo,
perché non ritengono di avere problemi di memoria; quindi non si può pensare che pazienti che non hanno
percezione di memoria confabulino per sopperire a un deficit.
2) Perché non succede agli amnesici, che hanno gli stessi problemi di memoria?
Quini scartiamo l’hp 1: La confabulazione non serve per riempire buchi della memoria o uscire da situazioni
imbarazzanti.

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Ipotesi 2
Confabulazione come deficit nell’ organizzazione temporale degli eventi (Dalla Barba, 1993; Schnider,
2003); sostiene che il problema sia un problema temporale nell’organizzazione delle memorie: tende ad
attribuire eventi successi in momenti t a un momento t1, quindi attribuisce ricordi al momento sbagliato.
Il paziente confabulante ha un senso del tempo disturbato e tende ad attribuire eventi occorsi in un
momento t al momento t1 (Talland, 1965; Dalla Barba, 1993; Schnider, 1993).
AB: ...Mi trovavo a casa e c’era una grande festa, per il mio compleanno credo. C’erano i miei genitori, mia
moglie, alcuni amici di famiglia e la mia fidanzata.
E: Come sua moglie e la sua fidanzata?!
AB: Cioè volevo dire mia moglie eh, sono la stessa persona solo che prima era la mia fidanzata e poi è
diventata mia moglie...
E’ come se il ricordo della sua fidanzata venisse portato in un momento diverso
Per Dalla Barba ci sono due forme di consapevolezza:
- Knowing consciousness (KC): la consapevolezza dei fatti aspecifici e condivisi (simile alla memoria
semantica); una sorta di memoria semantica, è una consapevolezza di sapere qualcosa
- Temporal consciousness (TC): la consapevolezza degli eventi unici e temporalmente organizzati
(simile alla memoria episodica). Consapevolezza di eventi specifici che appartengono a un tempo
particolare
Secondo Dalla Barba (1993) la confabulazione consiste in un problema della TC, che non ‘punta’ più eventi
specifici, ma conoscenze aspecifiche. C’è un problema di confusione tra memorie specifiche e aspecifiche: il
soggetto tende a guardare le memorie aspecifiche con la stessa consapevolezza che rivolge a memorie
specifiche. Vengono attribuite delle memorie generalizzate a un contesto temporale specifico.
E: E’ andato al mare questo WE?
MM: Certo, sono stato a Cattolica. (Il paziente trascorreva tutte le estati a Cattolica durante l’adolescenza).
Sarebbe un problema temporale perché una memoria aspecifica viene localizzata in un momento specifico;
i ricordi dei soggetti confabulanti magari erano validi in un tempo passato, ma vengono erroneamente
attribuiti (con certezza temporale) a un tempo diverso, specifico ma erroneo.
Quindi il problema è nell’organizzazione temporale degli eventi; c’è una consapevolezza di eventi localizzati
nel tempo che è rivolta a eventi aspecifici.
La formulazione più recente rispetto all’idea temporale dell’organizzazione degli eventi è quella di
Schneider.
Ipotesi di Schneider: Le confabulazioni sono la conseguenza di una difficoltà nell’inibire ricordi
precedentemente attivati che non sono pertinenti alla realtà attuale (Schnider & Ptak, 1999).
Parliamo di un problema di inibizione: difficoltà a inibire ricordi precedentemente veri ma non più validi
nella realtà presente.
I pazienti, in un esempio, raccontano memorie che c’entrano poco con quelle presentate in precedenza; le
informazioni che da non sono false ma non sono pertinenti con
la realtà attuale. Quindi il paziente racconta eventi che erano
veri nel passato ma che non sono più pertinenti in questo
momento specifico della vita mentale del soggetto.
C’è un legame tra quello che dicono e delle informazioni vere
nel passato, ma tali informazioni non sono pertinenti nella
realtà attuale. Le informazioni non sono false, semplicemente
non sono pertinenti al momento attuale; hanno difficoltà a
spegnere memorie che non sono necessarie e pertinenti.
Il modello di Schneider dice che il soggetto al tempo 1 fa delle
cose e al tempo 2 fa delle cose diverse; al tempo 1 ha attiva la
memoria B e al tempo 2 ha attiva la memoria D. Nel soggetto
confabulante al tempo 1 le memorie D sono attive e al
momento 2 le memorie B e D sono attive entrambe e quindi il
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report sarà confabulatorio causato da una confusione delle tracce di memorie; le due memorie sono
pertinenti a momenti diversi della vita che attive insieme creano un ricordo confabulatorio.
Al contrario i soggetti amnesici ma non confabulanti hanno le due memorie attive nei due momenti diversi
ma in maniera minore rispetto ai soggetti sani; si attivano separatamente ma sono poco attive.
Hanno un problema nell’inibire memorie precedentemente attive ma non più pertinenti nella realtà
attuale; per testare queste ipotesi, Schneider si inventa un paradigma.
Paradigma di Schnider: compito di riconoscimento attivo distinto in due fasi; include soggetti confabulanti,
normali e amnesici non confabulanti.
I soggetti vedono 5 liste di 20 figure; 8 figure (TARGET) vengono ripetute in ogni lista.
Il soggetto deve riconoscere tali target che vengono ripetuti fra distrattori mai visti; quindi deve riconoscere
quelli visti.
1 ora dopo vengono richiamati i soggetti e viene fatto fare un esperimento concettualmente uguale.
Altre 5 liste di 20 figure; 8 (TARGET) vengono ripetute in ogni lista, però gli 8 target sono diversi rispetto alla
1° parte. Vengono inserite parole target della lista precedente che però ora sono distrattori in quanto non si
presentano nelle varie liste e quindi nella seconda parte dell’esperimento non sono target
NB: alcuni dei target della 1° PARTE ora sono fra i distrattori e il soggetto deve riconoscere i nuovi target
(inibendo i vecchi).
Il problema di spegnere memorie pertinenti nel passato ma non nel momento presente, dovrebbe riflettere
un incremento delle false memorie. Non si deve confondere tra la prima parte dell’esperimento e la
seconda.
Se è vera l’ipotesi di Schneider, allora nella seconda parte dell’esperimento, il paziente confabulante farà
più falsi allarmi che nella prima parte.
Egli parla di temporal context confusion: ovvero i soggetti non capiscono che target del primo esperimento
non sono più target nel secondo esperimento; calcola un indice di temporal context confusion come
differenza tra i falsi allarmi del secondo esperimento e del primo esperimento.
Questo paradigma è elegante perché la prima parte dell’esperimento è un semplice compito di
riconoscimento che mi permette anche di capire il numero di falsi allarmi; viene costruito su sospetto che il
motivo di fare falsi allarmi venga fatto per un’incapacità di spegnere memorie precedentemente attivate e
create.
Il soggetto prende ricordi suoi pertinenti alla realtà precedente, non li inibisce e li lega ai ricordi precedenti,
quindi è come se mischiasse le memorie.
Il problema di spegnere le memorie precedenti viene massimizzato nel paradigma creato da Schneider.
Risultati
- Nella prima parte la quantità di falsi allarmi è simile a quella dei soggetti di controllo e dei soggetti
amnesici ma non confabulanti; i falsi allarmi dei pazienti confabulanti nel compito di
riconoscimento iniziale, non sono diversi rispetto a quelli amnesici non confabulanti
- Nella 2° parte crescono i falsi allarmi solo nei pazienti confabulanti; quindi cresce la differenza con
quelli amnesici perché il problema specifico dei soggetti confabulanti è quello spegnere ricordi
precedentemente attivi ma non attuali e quindi non pertinenti ora
- i pazienti amnesici non hanno problemi di falsi allarmi e quindi il problema è selettivo dei
confabulanti
- I risultati al paradigma di Schnider dimostrano che i pazienti confabulanti non inibiscono memorie
precedentemente attivate ma al momento non più rilevanti.
- Area orbitofrontale, lesa nei pazienti confabulanti, serve ad inibire ricordi non pertinenti alla realtà
attuale; serve a tagliare fuori dal processamento corrente item che non sono pertinenti al
momento attuale
Evidenze ulteriori a favore di Schnider:
- Stesse aree attivate nei normali mentre fanno il compito in uno studio PET (BA 13 della corteccia
orbitofrontale); quando i soggetti sani rifiutano parole precedentemente target ma non più nelle
nuove liste, si attiva maggiormente la corteccia orbitoforntale
- Lesioni nelle aree orbitofrontali causano disturbi di reversal learning nei primati (Rolls, 2000) e
nell’uomo (Hornak et al., 2003);

79
- Il deficit evidenziato da Schnider può essere visto come un problema a sopprimere tracce di
memoria precedentemente rinforzate (ovvero un deficit di reversal learning in memoria); il
soggetto deve cambiare lo status di queste memorie, da target a parole non pertinenti
- i soggetti non riescono a cambiare lo status della memoria da attualmente rilevante a non più
rilevante
Esempio 3: “Ma se devo confessare, a dire il vero non riesco mica a vedere il cantiere dove lavoro.
Non ci riesco, è confusa la situazione. Mi vengono [in mente] altri cantieri, in Francia, però so che in Francia
non posso andarci...mi viene Campogalliano, però Campogalliano c’è qualcosa che non mi convince...”
Quando cerca di ricordare il canytiere in cui lavora oggi, gli vengono in mente memorie precedenti che
generano una confusione di tracce di memoria.
Confabulazioni “on the road” (Ciaramelli, 2008): studio di caso singolo.
Il paziente viene presentato dalla moglie come un soggetto che si perde per strada durante i viaggi verso un
luogo conosciuto; i pazienti frontali però non sono pazienti con difficoltà a muoversi, quindi è un caso
curioso.
LG, paziente ACoA, presenza di confabulazioni.
La moglie ci riferisce che LG non riesce a raggiungere il nuovo centro diurno, perché “confabula” la strada.
Il paziente è stato seguito fisicamente e non riesce a inibire le memorie del passato; è come se il paziente
perde il goal e viene attratto da luoghi precedentemente rinforzati ma che non sono più pertinenti.
La probabilità degli errori di navigazione dipendevano dalla familiarità dei luoghi nel passato: maggiore
familiarità e maggiori problemi di navigazione.
Il paziente mostrava di non ricordare dove doveva andare (il Goal), non come andarci; cue ambientali
attivavano dei ricordi passati (e.g., la palestra) non pertinenti alla realta’ attuale.
Paziente maggiormente compromesso se il tragitto comprendeva molti landmark familiari.
=> RAFFORZARE I CUE RILEVANTI?
Cosa viene fatto? Insieme di 10 percorsi da fare in città, in 4 diverse condizioni.
1. REMIND condition = con operatore che gli ripete la destinazione (e.g., via caipirota) ogni 3 min;
2. REHEARSE condition = con operatore che gli chiede dove deve andare ogni 3 minuti;
3. WARNING condition = con cellulare che suona ogni 3 minuti;
4. STANDARD condition.
E’ stato provato di vedere se rafforzando il goal corrente si riuscisse ad evitare che memorie forti del
passato non interferissero col presente.
Il paziente fa fatica a mantenere la destinazione goal in WM, quindi informazioni irrilevanti si intromettono
e lo fanno confabulare a livello spaziale;
Se il goal viene rafforzato, il paziente raggiunge la destinazione nel 70% dei casi; durante la strada vengono
rinforzate e rafforzate le memorie rilevanti per il momento corrente.
Le memorie forti del passato interferiscono con il goal attuale, ma rafforzando le memorie giuste e
attualmente rilevanti, si può contrastare la tendenza del paziente ad essere attratto da stimoli passati.
Anche per quanto riguarda stimoli spaziali, il paziente confonde tracce precedentemente rilevanti con
tracce rilevanti ora.
Problemi per Schnider: Il gruppo di Gilboa (Toronto) ha criticato i risultati di Schneider.
Essi sostengono che l’informazione sul contesto temporale di un item (Schnider task) potrebbe essere uno
dei tanti aspetti di una memoria (non l’unico!) che vanno cercati e monitorati in maniera strategica in
memoria (Gilboa et al, 2005).
Potrebbe essere che questo fallimento sia solo un aspetto, ovvero i pazienti possono essere capaci di
recuperare altri dettagli fini delle esperienze passate; l’identità di uno stimolo lo vedo subito se l’ho visto o
meno ma quello che richiede il paradigma di Schneider richiede qualcosa di più fine ovvero quando l’ho
visto quel target.
Nel compito di Schnider, i confabulanti confondevano tracce rilevanti in momenti diversi (temporal context
confusion); tale problema per Gilboa è un problema di recollection, ovvero falliscono nel ricordare un
dettaglio temporale fine del contesto.

80
Gilboa propone un compito che richiede di distinguere item concettualmente (anziché temporalmente)
simili.
Secondo Gilboa le confabulazioni potrebbero essere un deficit generale nel ricordare dettagli fini e
contenutistici di esperienze passate; se questo fosse vero i pazienti ventromediali non dovrebbero avere un
unico problema nel distinguere tra tacce studiate al momento t e t1, ma anche problemi a distinguere
tracce di memorie (item) simili ma non identici a quelli studiati. Se questo è vero allora i pazienti
confabulanti non hanno un deficit specifico nel collocare eventi nel loro corretto contesto temporale, ma
hanno un deficit generico a recuperare dettagli contestuali fini di esperienze passate che vanno cercati in
una maniera più strategica.
Gilboa fa un esperimento simile a quello di Scneider e inserisce tra i distrattori elementi simili a quelli
studiati; a tali stimoli i soggetti dovranno dire “no”. Quindi per quanto la temporal context confusion
dovranno dire “no” se hanno visto uno stimolo nelle prime liste ma non nelle seconde, ma dovranno dire
anche “no” ad esempio a un cane lupo se invece hanno visto un altro tipo di cane (differenza fine tra
stimoli).
Gilboa trova che i pazienti confabulanti hanno problemi anche di content confusion, ovvero fanno più errori
dei soggetti sani e dei pazienti amnesici mediotemporali in questo indice di content confusion che sarebbe
la tendenza a fare falsi allarmi su item simili che i soggetti hanno studiato.
Quindi egli trova che i pazienti confabulanti non hanno problemi solo a distinguere memorie in base al
tempo al quale sono rilevanti, ma i pazienti confabulanti hanno anche difficoltà a distinguere memorie in
base a dettagli contenutistici; hanno un problema generale nel monitoraggio e nella distinzione fine dei
dettagli delle memorie, quindi non solo il tempo ma anche altre memorie dei contenuti studiati.
Pazienti confabulanti sbagliano anche nel distinguere oggetti studiati da oggetti simili a quelli studiati: il
problema è un problema generale di monitoraggio, capacità di fare distinzioni fini tra i contenuti delle
memorie (es.: caratteristiche percettive delle memorie).
Ad esempio il confabulante accetta il concetto generale di cane senza soffermarsi sui particolari fini
dell’esperienza percettiva e quindi per lui tutti gli esemplari di cane sono studiati (non tiene conto della
razza).
Il problema sarebbe più generale: non riescono a riaccedere ai dettagli contestuali di un’esperienza passata
di tipo temporale ma anche ai dettagli contestuali di tipo contenutistico di questi eventi; non riescono in
generale a fare distinzioni sottili tra i contenuti delle loro memorie.
Ciò è stato visto anche dalla Ciaramelli: esperimento sul gossip; ci sono più tipi di falsi allarmi: possono
sbagliare ad associare due item (anziché dire che X è uscito con Y e dico che X è uscito con Z) o sbagliare nel
ricordare la modalità in cui i due item sono stati presentati e quindi fare un errore percettivo (anziché dire
che ho sentito di XY, dico che ho visto XY).
E’ stato fatto un paradigma in cui testare la differenza nella qualità di falsi allarmi tra pazienti confabulanti e
non. Quindi si avevano pazienti con lesioni della corteccia ventromediale che confabulano e alcuni che non
confabulano.
Paradigma: durante la fase di studio i soggetti studiavano coppie di parole e figure (es.: pietra e violino: uno
messo in figura e l’altro in parola).
Durante la fase di riconoscimento i soggetti vedevano parole di coppie studiate e presentate nello stesso
modo (coppie intatte) e poi potevano esserci distrattori ovvero coppie riarrangiate, in cui si sovvertono i
dettagli associativi (un accoppiamento sbagliato: entrambi gli item sono familiari ma il soggetto si deve
ricordare l’associazione iniziale); il soggetto deve ricordare le associazioni giuste e rifiutare quelle sbagliate.
Se il soggetto dice di avere visto delle coppie sbagliate fa un errore associativo; se il soggetto sbaglia, allora
sbaglia a rievocare il dettaglio associativo.
Poi c’erano altri distrattori in cui si invertiva il formato: l’item che prima era scritto veniva posto come
immagine e viceversa; mancano in questa condizione dei dettagli fini di tipo percettivo e il soggetto se
sbaglia allora compie un errore di tipo percettivo. Poi c’erano altre coppie che avevano un item vero e uno
no e coppie totalmente nuove di item (coppie old-new e poi c’erano coppie new-new).
Risultati: I pazienti confabulanti hanno lo stesso livello dei soggetti sani e non confabulanti nel fare
l’esperimento su coppie intatte precedentemente studiate e sono bravi come i soggetti normali a rifiutare
le coppie totalmente nuove; sorprendentemente i pazienti sono bravi nel rifiutare coppie che fossero
81
associate in maniera diversa durante lo studio (quindi non hanno un problema generico di recollection).
Quello che fanno i soggetti ventromediali sono falsi allarmi nei distrattori percettivi (problema specifico);
non riescono ad accedere ai dettagli percettivi fini dell’esperienza considerata: quando gli item sono stati
studiati come uno scritto e l‘altro a immagine e poi vengono invertiti di forma, allora i pazienti sbagliano.
Non riescono ad accedere a dettagli sull’esperienza percettiva specifica che hanno fatto durante a codifica.
Quindi pazienti con lesioni ventromediali erano compromessi a rievocare dettagli percettivi ma non
associativi delle esperienze passate. Quindi la confabulazione è un deficit sproporzionato a rievocare
dettagli percettivi contestuali delle esperienze passate; il deficit non è solo per il contesto temporale ma
anche per i dettagli percettivi.
I soggetti sani applicano un’euristica della distintività (meccanismo di monitoraggio), ovvero dicono che se
ad esempio avessero studiato la scimmia come figura se la ricorderebbero.
I pazienti ventromediali non applicano questo tipo di euristica perché non percepiscono il conflitto tra
l’aspettativa di memoria che dovrebbero avere se avessero studiato un item come figura e la memoria che
effettivamente hanno per quell’item; una mancata possibilità di detezione del conflitto tra memoria attesa
e memoria provata potrebbe essere alla base della loro incapacità di distinguere i dettagli contenutistici
percettivi specifici delle esperienze passate.
Questo esperimento è un altro esempio di esperimento in cui pazienti con lesioni ventromediali fanno
fatica a recuperare anche dettagli percettivi contestuali degli item precedentemente studiati; essi non
hanno solo problemi nei dettagli contestuali temporali delle esperienze passate, ma anche nei dettagli
contestuali percettivi delle esperienze passate.
Il loro deficit di recupero di memoria sarebbe un deficit più generale.
Questo esperimento da due tipi di evidenza:
1. Gli errori nei pazienti confabulanti sono relativi al dominio temporale
2. Gli errori nei pazienti confabulanti sono relativi al dominio percettivo (discriminazioni fini nei
contenuti mnestici e quindi quando applichiamo meccanismi di monitoraggio sottili nelle memorie
come l’euristica della distintività).
Quindi il gruppo di Moscovitch postula che la confabulazione non sia un deficit nell’organizzazione
temporale degli eventi ma sia un deficit nel recupero strategico dell’informazione dalla memoria, dove una
strategia di recupero di informazione dalla memoria sono meccanismi di monitoraggio della memoria.
Per Moscovitch il tutto parte dalla constatazione che il ricordo è un processo ricostruttivo: processo prono
ad errori e quindi c’è bisogno di meccanismi che controllano il contenuto delle nostre memorie (che
abbiamo evoluto).
Quindi ricordare significa riassemblare i vari dettagli che compongono una memoria originale.
Esempio che spiega il meccanismo complessivo: l’ippocampo crea un indice ippocampale che codifica i
diversi aspetti dell’esperienza; i dettagli vengono legati insieme da tale indice. Durante il momento di
recupero quando devo cercare la memoria relativa a una particolare esperienza, do un’istruzione specifica
ai lobi frontali perché ingaggino una ricerca strategica.
L’ippocampo attiva tutte le memorie relative ad esempio alla gita a Cesenatico e poi i lobi frontali sono la
struttura che renderà possibile lo scegliere tra contenuti mnestici quello che volevo effettivamente
ricordare; quindi impartisco un ordine ai sistemi frontali i quali attivano una traccia ippocampale che fa
riattivare tutti i contenuti della memoria originale in neo-corteccia e ricordo l’evento.
Quando ho riattivato i dettagli nella neo-corteccia, c’è un meccanismo di monitoraggio che si accerta che
tutti i dettagli che ho messo insieme di questa memoria della gita stiano bene insieme (si accerta che la
memoria non sia falsa o confabulatoria). Ci sono meccanismi a base frontale (come quella di ricerca
strategica), che si occupano di verificare se il contenuto di una memoria recuperata corrisponde alla realtà
e raccontare tale memoria in maniera non confabulatoria.
Moscovitch sostiene che un processo corretto di ricerca strategica in memoria sia un processo che fa
ingaggiare un tipo specifico di memoria e da questa ricerca uscirebbe la traccia corretta; egli sostiene che i
pazienti confabulanti non facciano richieste specifiche ma facciano richieste generali ai lobi frontali e così
tutte le tracce relative alla domanda generale si attivano e i pazienti formano un report confuso. Manca
anche quindi un meccanismo di monitoraggio (il soggetto salta da un episodio all’altro in maniera
incoerente).
82
Cosa causa la confabulazione?
Problema dei pazienti confabulanti: problemi nel recupero strategico dell’informazione dalla memoria; i
pazienti hanno problemi nell’innescare una ricerca strategica di un contenuto nelle memorie (problema
prima del recupero, ovvero nei meccanismi pre-retrival) che anticipano il recupero e hanno problemi post-
retrival cioè nei meccanismi di monitoraggio che controllano il contenuto delle memorie.
Cosa causa quindi la confabulazione?
- Processi di ricerca in memoria non strategici, che lasciano emergere memorie non appropriate (vd.
WCST)
- Mancanza di processi di monitoring ad inibire tali memorie confabulatorie
abbiamo due aspetti del recupero strategico dell’informazione in memoria: ricerca (processi pre-retrival) e
monitoraggio (processi post-retrival).
Ipotizzata questa causa nei meccanismi di confabulazione, il gruppo di Moscovitch cerca di capire se nella
genesi della confabulazione, abbiano un ruolo maggiore i deficit di ricerca strategica o di monitoring.
Vediamo un primo esperimento per testare questo quesito.

EXP 1. Paradigma di Crovitz (Moscovitch e Melo, 1997): lo sperimentatore da dei cue e chiede di
recuperare delle memorie associate a quelle parole. Raccontami un episodio della tua vita che ha a che fare
con la parola:
1. AMICO
2. PRATO 3. ...
Se il paziente racconta poco, allora si da un Prompting a seguire, ovvero incoraggiamenti cercando di fare
collegare quella parola a contenuti mnestici (si cerca di aiutare il paziente a produrre memorie fornendo
nuovi aiuti come suggerimenti: lo sperimentatore specifica in maniera maggiore il cue in modo che il
paziente accedi alla memoria).
Risultati: Sia pazienti confabulanti che non-confabulanti riportano meno memorie dei normali senza il
prompting (= > RICERCA DIFETTOSA); non trovano contenuti mnestici associati a parole che vengono fornite
Tuttavia se si fa Il prompting, aumenta il numero di memorie vere in tutti i pazienti, ma un aumento di false
memorie solo nei confabulanti (MONITORING DIFETTOSO).
Questo esperimento fa pensare che i processi di ricerca strategica siano carenti non solo nei pazienti
confabulanti ma anche in quelli frontali non confabulanti perché tutti fanno fatica a cercare contenuti
mnestici con parole date.
Quindi la ricerca mnestica sarebbe un processo cognitivo che è debole nei pazienti confabulanti ma non è
un loro problema specifico perché è presente anche nei pazienti frontali che non confabulano.
Al contrario il fatto che aumentino il numero delle false memorie solo nei pazienti confabulanti, fa pensare
che il monitoraggio delle memorie sia un problema circoscritto ai pazienti confabulanti.
Quindi:
- Il problema di ricerca è presente ma non specifico nei soggetti confabulanti
- il problema di monitoraggio sembra un problema che colpisce solo i pazienti confabulanti: potrebbe
essere il deficit specifico della confabulazione
il gruppo va avanti a cercare altre prove di questo deficit di monitoraggio delle parole e che i problemi di
memoria non derivino da meccanismi di ricerca strategica fallimentare delle informazioni nelle memorie.
EXP 2: Riconoscimento di false memorie autobiografiche (Gilboa et al., 2008)
Predispongono un test di memoria dove le richieste ai meccanismi di ricerca sono molto poche ma quelle
relative ai meccanismi di monitoraggio sono molto alte; è un test che richiede poche capacità di ricerca in
memoria (test di riconoscimento), quindi i processi di ricerca sono minimizzati nei compiti di
riconoscimento perché vengono già fornite tracce di memorie e il soggetto deve dire solo giusto o
sbagliato.

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Se voglio valutare la bontà del monitoring, mi conviene mettermi in un compito di riconoscimento.
Viene predisposto un compito di riconoscimento delle memorie autobiografiche: A pazienti confabulanti,
pazienti non confabulanti, e soggetti di controllo vengono fatte riconoscere come vere o false delle
“memorie autobiografiche”, di cui alcune vere, alcune false plausibili, alcune false ed implausibili.
Gli eventi falsi quindi possono essere plausibili, ovvero eventi non accaduti al soggetto ma simili a quelli che
sono accaduti, o implausibili, ovvero distrattori non accaduti e nemmeno simili ai distrattori accaduti.
Vengono coinvolti pazienti confabulanti, pazienti frontali non confabulanti e soggetti sani.
Risultati: per quanto riguarda eventi realmente accaduti non ci sono differenze tra i gruppi; per i falsi
allarmi plausibili: soggetti confabulanti rispetto ai sani e agli altri pazienti fanno più falsi allarmi (dicono più
spesso di avere fatto cose che non hanno fatto).
Sui distrattori plausibili, quindi anche i sani e gli altri pazienti fanno falsi allarmi; i falsi allarmai sui distrattori
palusibili sono maggiori nei confabulanti ma non caratteristici perché possono avvenire anche in altri gruppi
di pazienti e in soggetti sani.
Per quanto riguarda i distrattori implausibili: causano falsi allarmi elevati nei pazienti confabulanti e falsi
allarmi pari a 0 negli altri soggetti.
I falsi allarmi sui distrattori implausibili sono caratteristici dei pazienti confabulanti perché non succedono
ad altri tipi di pazienti.
Questo esperimento dimostra che la confabulazione:
- è un problema di monitoraggio dell’informazione perché le false memorie arrivano anche in un
compito di riconoscimento quando il soggetto non deve cercare le informazioni ma deve solo
valutarle
- paradossalmente non è un problema nell’effettuare discriminazioni difficili nella memoria perché i
pazienti confabulanti falliscono nel filtrare via distrattori completamente implausibili relativamente
alla loro vita (falliscono in processi banali per gli altri)
Quindi si ritiene che esistano meccanismi di monitoraggio sottili che discriminano tra eventi accaduti ed
eventi plausibili e poi abbiamo processi di monitoraggio primitivi che ci permettono di scartare informazioni
incoerenti con il nostro schema di vita; questi meccanismi sono precoci e filtrano via informazioni
palesemente in contrasto con le nostre memorie.
Questo tipo di monitoraggio precoce che utilizzano i soggetti normali si chiama feeling of rightness.
Di conseguenza i soggetti sani hanno:
1. Meccanismi di Monitoraggio precoce: feeling of rightness
2. Meccanismi di Monitoraggio più sottili e deliberati: basati su sistemi frontali laterali
Quindi la corteccia ventromediale che è lesa nei confabulanti, servirebbe in maniera specifica in questo
meccanismo di filtraggio precoce di informazioni sbagliate nel contesto della nostra vita: elimina contenuti
erronei.
I pazienti confabulanti hanno entrambi i meccanismi lesi, ma quello più tipicamente associato alla
confabulazione sarebbe un meccanismo precoce che suddivide tra memorie plausibili e assolutamente
implausibili, ovvero il feeling of rightness -> non filtrano info in contrasto con la loro vita in maniera palese
Il problema è relativo al monitoraggio precoce che suddivide le memorie in plausibili e implausibili.
Il problema è quindi generale nel monitorare il contenuto delle proprie memorie che preclude ai soggetti di
fare discriminazione tra dettagli fini ed eliminare dal panorama mnestico eventi che non sono nemmeno
simili a memorie vissute.
Quindi il gruppo di Moscovitch fa questa critica forte a Schneider, che aveva individuato un meccanismo
temporale alla base della confabulazione, e tale gruppo ritiene la confabulazione come un disturbo
generale del monitoraggio delle memorie (non solo dettagli temporali ma anche percettivi delle memorie).
Schneider replica a tale critica e dice che la confusione nei dettagli temporali e nei dettagli contenutistici
non sono espressione dello stesso problema di monitoring sottostante ma sono due problemi diversi.
Egli fa un altro esperimento in cui mette insieme possibili errori di content confusion con errori di
temporal context confusion: come nell’esperimento originale di Schneider, i soggetti studiano una serie di
figure e successivamente rivedono la figura, che era un target nel primo esperimento, e devono dire di non
averla vista perché era target nel primo elenco ma non nel secondo.

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Egli unisce a possibili errori di temporal context confusion (errori relativi al fatto che nella seconda prova un
target rilevante nella prima non è più rilevante e invece i soggetti si confondono) anche quelli di content
confusion (incapacità di discriminare caratteristiche simili): all’interno di entrambe le liste di figure inserisce
distrattori simili agli item studiati (es.: nella prima lista c’è una corona che è target e nella seconda un
oggetto simile a corona che non è target).
Testa contemporaneamente la capacità dei soggetti di riconoscere item già visti, la capacità dei soggetti di
rifiutare item simili a quelli studiati ma diversi (errore di content confusion -> Gilboa) ed errori di temporal
context-confusion.
Va a vedere con EEG quali siano le attività neurali che caratterizzano il corretto riconoscimento di item
studiati, la corretta esclusione di item simili e corretto rifiuto di item studiati in una lista ma non in un’altra.
Se avesse ragione Gilboa, bisognerebbe trovare che l’attività che caratterizza la content confusion è la
stessa dell’attività che caratterizza la temporal context confusion; se entrambi gli errori derivassero da un
generico disturbo di monitoraggio, non ci dovrebbero essere differenze rispetto a come il cervello risponde
ai diversi distrattori.
Risultati: trova differenze di attivazione (confuta Gilboa):
- c’è un pattern di attività cerebrale presente solo per memorie vere (soggetti riconoscono item già
visti) -> corteccia che si attiva: pre-frontale ventromediale
- sia gli item studiati che quelli simili hanno una forte attivazione e simile -> aree parietali occipitali
(aree importanti per monitorare il contenuto delle memorie)
- tale mappa molto attiva per un maggiore scrutinio e monitoraggio delle memorie, è molto piccola
per i distrattori alla Schneider (item che non sono pertinenti nella realtà attuale): è come se i
distrattori che appartengono a una lista diversa, appartenessero a una realtà non pertinente a
quella momentanee e quindi non vengono scrutinizzati dai soggetti e ricevono meno scrutinio
rispetto agli item già visti o molto simili
Conclusioni
- Schnider confronta i pattern di attivazione neurale per i riconoscimenti corretti, i rifiuti corretti di
item non pertinenti alla realtà corrente, ed i rifiuti di item simili agli item studiati.
- Solo i target (quelli che mi interessano da valutare) sono caratterizzati da attività in vmPFC (map 6);
trova che quando ci sono memorie vere che sono state studiate c’è attivazione maggiore dell
vmPFC
- I target e i distrattori simili sono caratterizzati da ampia attività occipito-parietale (processamento
visivo intenso, che si fa quando un item è dubbio nella memoria) (map 2); questo vuol dire che il
fatto che ci siano memorie simili necessita di monitoraggio maggiore e quindi intervengono altre
aree (questa cosa non succede quando ci sono distrattori che appartengono a una lista diversa: non
hanno bisogno di essere monitorati e quindi non vengono presi in considerazione)
- La map 2 è molto ridotta per gli item non pertinenti alla realtà corrente (come se fossero tagliati
fuori dal processamento attuale).
- Schneider trova un meccanismo di monitoring intenso che tocca item studiati e item simili che devo
capire se ho studiato; questo monitoraggio intenso non viene fatto su item che vedo in una prima
fase in cui sono target e poi rivedo in una seconda fase in cui non sono più target. Soggetti sani non
devono fare nessun monitoraggio intenso per dire che questo item (studiato precedentemente)
non l’hanno ancora visto nella realtà, ovvero nella lista, attuale; è come se questi item che erano
target nel round 1, fossero tagliati fuori e vengono ripresi come novità nel round 2
- per Gilboa avrei dovuto trovare un mappaggio uguale tra round 1 e 2: i soggetti sani infatti
riconoscono che l’item presentato nel round 2 non c’entra nuella con quello del round recedente
- egli dimostra che: TCC (temporal context confusion) e CC (content confusion) sono due fenomeni
dissociati a livello neurale. Possono essere due problemi di monitoraggio ma sono diversi
Perché non ha ragione Gilboa? perché se rifiutare questi distrattori non pertinenti al round 1 e rifiutare i
distrattori non uguali a quelli studiati fossero stati espressioni dello stesso meccanismo di monitoraggio,
allora dovevano trovare che soggetti sani scrutinavano intensamente entrambi gli item; invece l’item che
era target nel round 1 non viene scrutinato nel round 2 perché i soggetti riconoscono che appartiene a una
realà diversa ovvero al round 2 e non all’1.

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Quindi TCC e CC sono fenomeni dissociati a livello neurale: possono essere entrambi presenti nei pazienti
confabulanti come aveva dimostrato Gilboa perchè entrambe le aree sono lesionate nel paziente; ma sono
aree diverse perché l’attività cerebrale per i due tipi di monitoring è diversa.

Contenuto affettivo della confabulazione


Per ora ci siamo focalizzati sui processi della confabulazione, ora ci concentriamo sul contenuto affettivo
della confabulazione.
Neuroscienze affettive della confabulazione: un contenuto “motivato” (Fotopoulou, 2008)
Le confabulazioni possono avere un bias positivo (e.g., il paziente dice di lavorare mentre in realtà è a casa
in malattia) (Fotopoulou et al., 2004, 2007), cioè tendono ad essere più positive della realtà a cui si
riferiscono.
Sono stati fatti esperimenti per capire se ci fosse questo tipo di tendenza: confabulazione come versione
positiva della realtà dei pazienti.
Esperimento: in cui coinvolge pazienti confabulanti, pazienti amnesici non confabulanti e soggetti normali e
fa valutare da alcuni valutatori (soggetti sani indipendenti) ogni memoria prodotta da questi pazienti in
relazione alla realtà corrispondente; essi devono dire se tale memoria è più positiva della realtà e vedere
quindi e le confabulazioni sono più positive, neutre o più negative rispetto alla realtà corrispondente.
Confronto tra quello che dicono e realtà.
Risultati: nei soggetti confabulanti, ma non negli altri pazienti e nei soggetti sani, c’è un trend significativo al
fatto che le confabulazioni tendono ad essere una versione migliorativa e più positiva della realtà a cui si
riferiscono.
Questo primo esperimento conferma la presenza di un contenuto motivato: svela i bisogni del paziente.
Esperimento 2: ai soggetti viene detto di imparare una storia (positiva, neutra o negativa), immaginandola
in prima persona o in terza persona.
Si chiede ai pazienti confabulanti e amnesici non confabulanti di ripetere questi racconti immediatamente e
anche con un po’ di ritardo.
Il paziente confabulante, al contrario del non confabulante, trasforma in positivo la storia che aveva letto in
prima persona.
Solo nella categoria di storie negative, il paziente confabula di più rispetto a quelli sani e non confabulanti:
tutte le volte che legge una storia in prima persona e a contenuto negativo il paziente confabulante,
confabula di più e trasforma in senso positivo il contenuto della storia.
Quindi la confabulazione avrebbe delle basi motivazionali: nel contenuto esprime un bisogno di rimandare
un’immagine più positiva di sé stessi di quanto non sia la realtà.
Bias a dare un’immagine migliore di noi nelle memorie che vengono raccontate: self-enhancement effect: è
presente in tutti i soggetti anche nei soggetti sani, i quali però rimangono entro determinati limiti perché
hanno meccanismi di monitoring che precludono la possibilità di dire qualcosa di falso.
Nel paziente confabulante, siccome i processi di monitoring sono deficitari, non c’è limite a tale effetto e
quindi tale effetto viene reso estremamente saliente perché non è limitato da nessun meccanismo di
monitoraggio.
Il deficit di retrieval monitoring accresce la naturale tendenza degli esseri umani ad esaltare aspetti positivi
di sè e della propria storia e a confondere desideri e realtà (self-enhancement effect).
In questo senso, il deficit svela i bisogni del paziente; da questo presupposto possiamo individuare i desideri
dei soggetti e sfruttarlo durante la riabilitazione proprio per via del contenuto delle loro confabulazioni che
si rivela maggiormente positivo.
E’ inutile confutare quello che il paziente dice, come tecnica di riabilitazione, perché quello che dice è
quello che desidera.
Come si potrebbe trattare la confabulazione in un modo che non invalidi la vita mentale del soggetto,
seppur cercando di fargli recuperare la realtà?
Caso di RM, anni 22: ha avuto incidenti stradali e confabula su incidenti stradali o aggressioni, con
particolari cruenti, che spesso si risolvono grazie al *suo intervento prodigioso*.
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Confabula anche di *rapporti idilliaci con i genitori*, ed è sempre convinto che siano appena arrivati in
ospedale per stare un pò con lui, quando in realtà non li vede da un po’.
Contrastare le confabulazioni non funziona. (Fotopoulou, 2010)
Come possiamo fare? viene spiegato al team la possibile origine motivazionale delle confabulazioni e viene
chiesto di non contrastare la confabulazione ma di reagire come se fossero fatti veri e fornire con cautela
informazioni che colleghino queste informazioni con fatti reali: sfruttare le confabulazioni per filtrare la
realtà
Strategia:
Viene spiegata al team di riabilitazione la possibile origine motivazionale delle confabulazioni.
Viene chiesto di non contrastare le confabulazioni, ma
1. Reagire come se fossero fatti veri, con curiosità
2. Fornire con cautela informazioni che colleghino i desideri del paziente a quei fatti (eg: “ti riferisci a
quella volta in cui hai sbandato con la macchina?)
3. Suggerire la realtaà attraverso il ragionamento controfattuale (eg: “Cosa sarebbe successo se tu
non fossi stato presente?”): permette di non invalidare il paziente ma di presentare una realtà
controfattuale che in realtà è vera
4. Far esplorare al paziente la realtà in 3a persona (eg, “come si sentirebbe una persona in questa
situazione?)
Con questo trattamento, le confabulazioni diminuiscono e anche lo stress riportato dal paziente.
Conclusioni sulla confabulazione:
- Le confabulazioni riflettono una tendenza a considerare ancora valide memorie che non sono
pertinenti alla realtà attuale (temporal context confusion), e ad effettuare discriminazioni fini nei
contenuti mnestici (content confusion).
- Il deficit sembra colpire un meccanismo di monitoraggio precoce che distingue in maniera intuitiva
memorie vere e memorie false.
- Le confabulazioni possono esagerare normali self-serving bias, svelando aspetti della vita mentale
del soggetto: possono essere appiglio nella riabilitazione perché svelano i desideri del soggetto e
suggeriscono come affrontare la confabulazione da un punto di vista clinico

87
Ruolo del lobo parietale nella memoria episodica
Tale ruolo è stato scoperto grazie ad esperimenti di neuroimaging perché pazienti con lesioni parietali non
hanno amnesia, ma perché i ricercatori della memoria hanno notato che tale lobo era particolarmente
attivo nei compiti di memoria.
Il lobo parietale non si pensava essere coinvolto in processi di memoria, ma piuttosto come area coinvolta
nell’attenzione quindi si ignorava il suo ruolo nella memoria.
Introduzione: Molti studi hanno rilevato effetti di retrieval success (hits – CRs) nella corteccia parietal
posteriore (PPC), sia dorsale (dorsal parietal cortex: DPC) che ventrale (ventral parietal cortex: VPC).
Le attivazioni del lobo parietale fanno vedere che si mostra un picco di attivazione che caratterizza il retrival
success effect, ovvero ci sono regioni del cervello maggiormente attiva quando i soggetti effettivamente
riconoscono un item studiato come studiato piuttosto che quando riconoscono che qualcosa non l’hanno
studiato.
Lobo parietale: area di Brodman 7, 39, 40; le attivazioni cadono sia nel lobo parietale di sinistra e di destra e
coinvolgono sia il lobo parietale inferiore che quello superiore -> Queste sono aree del cervello che hanno
più attività per le memorie che per le non memorie; questo effetto è particolarmente presente nelle aree
parietali a destra e sinistra.
I ricercatori si sono chiesti se il lobo parietale avesse un ruolo nella memoria; questo pensiero è stato
ostacolato dalla neuropsicologia classica che vede il lobo parietale implicato nell’attenzione e non nella
memoria.
Quindi tradizionalmente:
- La PPC è stata associata a processi attentivi, non mnestici.
- Questo perche’ pazienti con lesioni in PPC non riportano gravi problemi di memoria, mentre invece
possono avere neglect visuospaziale (deficit conseguente a lesioni del lobo parietale di destra che
comporta incapacità di riportare stimoli che compaiono nell’emisfero controlaterale).
Domanda: quale potrebbe essere il ruolo del lobo parietale nella memoria?
Si è partiti dalla teoria di Corbetta: ruolo del lobo parietale nell’attenzione: duplice ruolo
1. Ruolo nell’attenzione top-down -> lobo parietale superiore quando i soggetti orientano la loro
attenzione verso una posizione dello schermo perché gli era suggerito da un cue
2. Ruolo nell’attenzione bottom-up -> Lobo parietale inferiore più attivo durante la detezione di un
target, quindi quando i soggetti facevano la detezione di un target rilevante
partendo da questa conoscenza sul ruolo del lobo parietale nell’attenzione, è stata fatta un’ipotesi sul
ruolo del lobo parietale nella memoria dal gruppo della prof Ciaramelli e Moscovitch: Ipotesi Attention-to-
Memory (AtoM): ipotesi che il lobo parietale svolga nella memoria un ruolo simile a quello che svolge nella
percezione, cioè un ruolo attentivo; siccome la teoria di corbetta postula ruoli diversi per il lobo parietale
superiore e quello inferiore, anche qui sono state fatte due ipotesi di memoria diversa per il lobo parietale
superiore e inferiore. Viene ipotizzato che:
- DPC: lobo parietale superiore: allocazione TOP-DOWN di risorse attentive funzionali al recupero
mnestico; ad esempio media la ricerca di informazioni nella memoria
- VPC: lobo parietale inferiore: media cattura attentiva automatica BOTTOM-UP da parte di contenuti
mnestici rilevanti; memorie importanti colpiscono la nostra attenzione anche senza che le stiamo
cercando -> la nostra attenzione viene catturata in maniera automatica; ad esempio: i ricordi
autobiografici involontari sono automatici e rievocati in modo spontaneo, senza alcun tentativo
intenzionale di ricordare. Questi ricordi rubano l’attenzione e quando una memoria sopraggiunge,
penso a quello.
Quindi: ipotesi: il lobo parietale inferiore media questo direzionamento automatico dell’attenzione
verso contenuti interni, ovvero pensieri delle nostre memorie
E’ stata verificata tale ipotesi in un esperimento: sorta di equivalente del compito di Posner nel dominio
delle memorie: abbiamo una fase cue e una fase target.
Durante la fase di studio i soggetti studiano coppie di parole; nella fase di test si dava prima un cue che
poteva essere sia una parla studiata, che uno stimolo senza significato (assenza di cue), oppure una parola
nuova.

88
Dopo due secondi c’era la fase target: compare. una parola che può essere una parola studiata o una parola
nuova e il compito dei soggetti era quello di dire se la parola singola che compare nella fase target è
studiata o nuova.
Il compito di riconoscimento è relativo alla fase target, però il cue che compare prima può servire
nell’aiutare in questa decisione.
Nella fase cue, i soggetti se vedono una parola che hanno già studiato iniziano una fase di ricerca della
memoria; qui è implicata l’attenzione top-down per facilitare il compito nella fase successiva.
Quando arriva la parola target è la fase in cui è maggiormente implicata l’attenzione bottom-up e questo in
maniera diversa in diversi tipi di trial.
Possiamo avere diverse situazioni:
- Se compare come cue una parola studiata e poi come target quella associata ad essa allora ho la
situazione intatta -> intact
- se compare come cue una parola studiata (sea) e come target una che avevo studiato ma che non
era in associazione col cue (lime) allora ho la situazione di ricombinazione -> ho anticipato il target
che potrebbe avvenire (dog) sulla base del cue (sea) e la mia attenzione, siccome il target non è
quello che mi aspettavo, viene ad essere ridiretta verso un target inatteso (lime); questa è la
condizione analoga a quella di cue invalido nel paradigma di Posner: ho anticipato un particolare
contenuto mnestico grazie all’attenzione top-down e devo ridirigere l’attenzione in maniera
bottom-up verso un altro contenuto mnestico (lime: memoria inattesa); in questa condizione mi
serve in maniera massima la bottom-up AtoM
- se compara un target nuovo (hope) dopo un cue che avevo studiato (sea) avrò la situazione:
oldnew
- poi abbiamo la condizione senza cue in cui non posso iniziare una strategia di ricerca e quindi tutto
si basa sull’attenzione bottom-up della memoria
- se arriva invece una parola nuova come cue (dot), allora non posso anticipare la ricerca di una
memoria e mi dovrò basare su segnali che provengono dai target
abbiamo due fasi:
- una fase cue in cui i soggetti, in alcune condizioni (come quella del cue valido), possono
incominciare una ricerca volontaria in memoria
- condizione target: i soggetti fanno detezione di memorie, talvolta in assenza di cue e a volte dopo
cue invalidi
Se compare il cue studiato (valido), i soggetti sono incoraggiati a usare il cue per anticipare il target.
I soggetti sono più veloci e hanno prestazioni migliori nella condizione “intatta”: i soggetti hanno anticipato
il target che verrà sulla base del cue e quindi grazie all’attenzione top-down attraverso la quale hanno già
anticipato il target che avverrà.
Questi risultati comportamentali dimostrano che i soggetti usano il cue, perché nella condizione in cui il cue
è valido, sono più bravi.

Vengono fatte le seguenti ipotesi sulla base dell’AtoM: viene ipotizzata di trovare:
1. Attività di retrieval success (attività maggiore per le risposte giuste e per i rifiuti corretti) sia in DPC
(corteccia parietale dorsale che è il lobo parietale superiore) che in VPC (lobo parietale inferiore o
corteccia ventrale parietale)
2. Attività collegata a Top-down AtoM (capacità di dirigere l’attenzione su contenuti mnestici:
ricerca/anticipazione di una memoria a partire da un cue) in DPC, quindi Top down AtoM associata
a DPC -> nella fase cue, quando i soggetti anticipano un contenuto di memoria, si dovrebbe trovare
attivazione nel lobo parietale superiore, DPC

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3. Attività collegata a Bottom-Up AtoM (cattura attentiva automatica da parte di un contenuto
mnestico), dovrebbe trovarsi quando i soggetti fanno la detezione di target in assenza di cue
(quando riconoscono una memoria senza averla anticipata prima -> target detection) e quando
fanno la detezione della memoria in presenza di cue invalidi (reorienting to memory -> riorientare
l’attenzione in maniea bottom-up su un contenuto mnestico); in queste condizioni, in cui c’è
assenza di cue o cue invalidi, si dovrebbe trovare attività in VPC.
Prima ipotesi: retrival success effect
Attività collegata al retrival success effect: sono stati sottratti l’attività in tutti i trial che avevano parole
studiate (condizione intact, recombined -> dove il target è già stato studiato) meno tutte le condizioni in cui
il target era una parola nuova.
Attività collegata al retrival success effect = Tutte le volte che i soggetti riconoscono correttamente un item
che avevano studiato meno tutte le volte che i soggetti riconoscono correttamente che un item è nuovo.
Si trova attività collegata in retrival success effect sia nella DPC che in VPC: si conferma il risultato che il lobo
parietale sia inferiore che superiore risponde di più quando guardiamo la memoria studiata rispetto a una
non studiata.
Seconda ipotesi: Top down AtoM
E’ stata sottratta dall’attività di ogni condizione con cue valido, l’attività dei trial in cui non c’era un cue.
Tale sottrazione fa venire fuori attività nel lobo parietale superiore, DPC: più attivo quando i soggetti
iniziano una ricerca volontaria della memoria a partire da un cue; questo in linea con l’ipotesi che il lobo
parietale superiore abbia un ruolo nella top down attention-to-memory.
Il vantaggio nella condizione cue valido vs no cue correla con attività in DPC: questo risultato di mostra che
la DPCX serve ad anticipare memorie basandosi su cue in maniera volontaria.
Terza ipotesi: Bottom up AtoM
Si va a vedere la situazione di target in assenza di cue.
In questo caso l’attività è solo in VPC, in particolare nel giro angolare BA 39: quest’area non era solo attiva,
ma il grado dell’attivazione prediceva il successo dei soggetti; tanto più era attiva e tanto più erano bravi a
riconoscere parole in assenza di cue.
L’efficienza nella detezione di target in NoOld (no cue) correla con attivita’ di VPC.
E’ stato inoltre testata la differenza tra situazione ricombinate e intatte: il lobo parietale inferiore è più
attivo quando i soggetti fanno la detezione di una memoria dopo un cue invalido, rispetto a dopo un cue
valido (equivalente del lobo parietale inferiore nella circuit braker: devo riorientare la mia attenzione verso
un contenuto, in questo caso mnestico).
Questo esperimento evidenzia due tipi diversi di sistema di memoria nel lobo parietale:
1. Un sistema che ha sede nel lobo parietale superiore e che è dedicato alla top-down AtoM
2. Un sistema localizzato nel lobo parietale inferiore che presiede alla detezione di memorie in
assenza di cue o alla detezione di memorie dopo un cue di memoria invalido: sistema di attenzione
di tipo bottom-up dedicato alla memoria.

Conclusioni
- Sia DPC che VPC mostrano effetti di retrieval success, in linea con la letteratura.
- L’attività in DPC è associata alla ricerca/anticipazione di una memoria a partire da un cue, e correla
col vantaggio comportamentale che ne deriva, in linea con l’ipotesi che DPC supporti Top-down
AtoM.
- L’attività in VPC è associata alla detezione di target in assenza di cue, o preceduti da cue invalidi, in
linea con l’ipotesi che VPC supporti Bottom-Up AtoM.

90
- quindi questa prima parte dell’esperimento dimostra che quando cerchiamo in neuroimaging delle
attivazioni che caratterizzano la ricerca top-down di informazioni nella memoria e la detezione
bottom-up di item dalla memoria, si attivano rispettivamente il lobo parietale superiore e quello
inferiore
Riassunto: si voleva vedere se il lobo parietale superiore e inferiore avessero ruoli diversi nelle memorie; si
voleva vedere se la superiore fosse associata all’attivazione della top-down, mentre quello inferiore
coinvolto in compiti bottom-up.
Fase di studio: i soggetti studiano coppie di parole
Fase di test: viene presentato un cue che poteva essere: cue già studiato, parola senza significato e parola
non studiata.
Venivano poi presentati stimoli target dopo il cue: essi possono essere già studiati o no; il soggetto deve
riconoscere se il target è nuovo o già studiato.
In una condizione il target presentato dopo il cue era quello associato nelle coppie studiate; in un’altra le
coppie erano ricombinate e in un’altra una parola il cue è già studiato e il target nuovo (oldnew).
Nella fase cue, se esso è già studiato, attiva nei soggetti strategie di ricerca volontarie: maggiore attivazione
nel lobo parietale superiore, sia che il target sia valido o invalido; ingaggiano la top-down AtoM.
Relativamente alla fase target: se il cue è valido, i soggetti sono più veloci nel riconoscere il target se è
associato ad esso; nella condizione ricombinata ci si aspetta maggiore attivazione del lobo parietale
inferiore, rispetto alla condizione intatta.
Vengono fatte 3 ipotesi:
1. retrival success -> comporta attività in DPC e VPC
2. top down AtoM -> comporta attività di DPC
3. bottom up AtoM -> comporta attività di VPC
vengono confermate tali ipotesi: lobo parietale superiore (DPC) implicato nel dedicare risorse attentive top-
down a contenuti mnestici; lobo parietale inferiore (VPC) implicato nel dedicare risorse attentive bottom-up
a contenuti mnestici.
Tale studio di neuroimaging è stato seguito da un test lesionale: dovremmo trovare che pazienti con lesioni
parietali superiori hanno problemi di Top down AtoM e pazienti con lesini parietali inferiori hanno problemi
in Bottom up AtoM.
Studio lesionale: stesso paradigma precedente in pazienti con lesioni il più selettive possibili in lobo
parietale superiore, altri con lesioni nel lobo parietale inferiore.
Ipotesi: pazienti con lesioni parietali superiori non riescono a riorientare la loro attenzione verso una
memoria su una base di un cue; i pazienti con lesioni parietali inferiori non riescono a ridirigere la loro
attenzione su un contenuto di memoria su un cue invalido. Tali deficit devono rispecchiare iol ruolo del lobo
parietale superiore e inferiore.
Quindi: Predizioni:
- Se DPC è cruciale per Top-Down AtoM, pazienti con lesioni in DPC non dovrebbero trarre vantaggio
dalla presentazione di cue mnestici.
- Se VPC è cruciale per Bottom-Up AtoM, pazienti con lesioni in VPC dovrebbero aver difficoltà a
riconoscere target mnestici, soprattutto se “inaspettati”.

Risultati:
- Vantaggio in accuratezza nella condizione Intact (cue valido) vs. NoOld (no cue) condizione:
riescono ad avvantaggiarsi i soggetti normali, quelli con altre lesioni ma non quelli con lesione della
corteccia parietale dorsale: non sono capaci di riorientare la loro attenzione verso cue mnestici
verso contenuti di memoria che possono cercare MINUTO 1.17.30. I soggetti normali sono più

91
veloci nella condizione intact così come quelli con altre lesioni, tranne quelli con lesione della
parietale dorsale
- Vantaggio in RTs in Intact (cue valido) vs. NoOld (no cue) condition
- Svantaggio in RTs (detezione del target) in Recombined (cue invalido) vs. NoOld (no cue)
condizione: non è svantaggioso per soggetti sani, nè per soggetti con lesione dorsale ma è
svantaggioso per soggetti con lesioni parietali ventrali: sono più lenti degli altri gruppi quando
devono riconoscere un target di memoria che arriva dopo un cue invalido (falliscono nel riorientare
la lor attenzione in maneira bottom-up su un target che non avevano anticipato)
Conclusioni
- Pazienti con lesioni in DPC non traggono vantaggio da un cue mnestico, in linea con l’ipotesi che
DPC supporti Top-Down AtoM.
- Pazienti con lesioni in VPC hanno difficolta’ a riconoscere memorie inaspettate, in linea con l’ipotesi
che VPC supporti Bottom-Up AtoM.
- Insieme a quelli di fMRI, questi risultati lesionali, supportano l’ipotesi AtoM sul ruolo della PPC
durante il memory retrieval: ruolo parietale superiore e inferiore giocano un ruolo attentivo diverso
nella memoria compatibile con lo stesso ruolo che queste regioni giocano nei compiti percettivi:
come queste aree servono a farea la detezione di percetti così servono nei compiti di memorie; nel
compito di Posner avevamo visto che pazienti con lesioni parietali fanno fatica nell’attenzione
bottom-up, quando il cue era invalido. Un analogo è stato trovato nelle memorie: difficoltà a fare la
detezione di memorie non in linea con il set mentale del soggetto, memorie inaspettate
I risultati dicono che soggetti con lesioni parietali inferiori dovrebbero avere meno memorie automatiche
perchè fanno fatica a fare la detezione di contenuti mnestici che non fossero anticipati da una ricerca di
tipo volontario (ovvero che non fossero in linea con il compito attuale del soggetto).
Questo sarebbe un deficit chiamato: Memory neglect: questi pazienti falliscono nel fare la detezione
spontanea di memoria, cioè i pazienti con lesioni parietali inferiori, dovrebbero fallire nel fare la detezione
spontanea di memorie
Quindi perché non si trovano deficit nelle memorie? perché siccome le memorie possono essere cercate in
maniera top-down e bottom-up, è possibile che pazienti che falliscono in una strategia, usino un’altra
strategia e quindi passano come non notati dei subdoli problemi di memoria in questi pazienti; però con
paradigmi ad hoc, che stressano molto una componente (top-down o bottom-up). è possibile anche nei
pazienti parietali rintracciare dei problemi di memoria.
Quindi i manuali possono essere aggiornati per fare entrare il lobo parietale come necessario per l’accurata
detezione delle memorie.

92
Altro esperimento di Ciaramelli e Moscovitch: esperimento per valutare la bontà delle ipotesi dell’AtoM; si
cerca di dimostrare che il lobo parietale superiore e inferiore hanno ruoli diversi nella memoria compatibili
con l’ipotesi dell’AtoM; secondo tale ipotesi, il lobo parietale superiore serve per dirigere in modo
volontario l’attenzione verso contenuti mnestici e il lobo parietale inferiore serve per la detezione di
contenuti mnestici rilevanti anche se sono fuori dal focus attentivo del soggetto.
I soggetti studiano 240 parole: metà le studiano una volta solo e l’altra metà 3 volte.
Fase test: 2 condizioni: i soggetti devono riconoscere le parole studiate da quelle nuove
1. in una condizione vengono dati 5 punti quando riconoscono parole vecchie e 1 quando riconoscono
parole nuove: conviene quindi riconoscere parole vecchie piuttosto che nuove
2. 1 punto quando riconoscono parole vecchie e 5 quando riconoscono parole nuove: conviene quindi
riconoscere parole nuove piuttosto che vecchie
Ipotesi: a seconda delle istruzioni date, i soggetti hanno un goal diverso e la loro attenzione top-down è
dedicata in un caso a cercare parole vecchie e in un altro parole nuove.
La corteccia parietale dorsale, necessaria per la top-down, dovrebbe seguire questi goal di recupero: più
attiva per la classe di item maggiormente incentivata (dipende dai punti dati); se è un’area volontaria
dovrebbe seguire le convenienze di recupero.
DPC dovrebbe essere in linea con le convenienze; la VPC dovrebbe essere non curante dei retrival goal e
quindi quanto vengono pagati i diversi retrival di memoria, ma dovrebbe essere più attiva quando i soggetti
fanno la detezione di un contenuto di memoria saliente rispetto a una memoria debole. E’ un’area che
risponde a memorie inaspettate.
Risultati:
- i soggetti sono più bravi a riconoscere parole studiate 3 volte rispetto a una vo0lta sola: le memorie
studiate più volte sono più salienti e la loro detezione è più facile
- quando sono incentivate le parole studiate, sono riconosciute con una maggiore frequenza; le parole
nuove vengono riconosciute con maggiore frequenza quando è incentivata la detezione di parole nuove:
i soggetti seguono le istruzioni che vengono date e stanno più attenti a ricercare parole studiate quando
queste vengono premiate e viceversa con le parole nuove. Per questo il paradigma dal punto di vista
comportamentale funziona
viene confrontato il recupero di parole studiate 3 volte con quello delle parole studiate una volta sola:
effetto della forza di memorie:
- il recupero di parole studiate 3 volte attiva la corteccia parietale ventrale ovvero, il lobo parietale
inferiore (risponde a memorie forti, contenuti mnestici salienti)
- effetto di targetness: grado in cui il contenuto mnestico era il target della ricerca in memoria; nella
condizione in cui vengono premiate le parole vecchie, i soggetti sono orientati a rispondere alle parole
vecchie e viceversa nell’altra condizione. Si sottraggono memory targets e non targets: questo confronto
da un’idea dell’attività che caratterizza la ricerca volontaria con la nostra memoria, la ricerca in linea con
i goal del soggetto. Quando si sottraggono i target in linea con i goal e quelli non in linea si trova attività
della corteccia parietale dorsale: guida la ricerca di target in linea con i goal di recupero del soggetto e
questo è coerente col ruolo del parietale superiore con l’attenzione top-down (convenienza). La
parietale ventrale è maggiormente attiva quando cerca item nuovi e improvvisamente vede parole già
studiate, coerentemente con l’ipotesi che questa area risponda ad item che violano le aspettative
mnestiche; essa segnala lo stato di una memoria senza obbedire alle istruzioni di recupero e questo in
maniera volontaria, immediata.
Conclusione
- La corteccia parietale dorsale risponde a contenuti di memoria coerenti con gli obiettivi di recupero, in
linea col fatto che sia coinvolta con la top down AtoM; la dorsale è sensibile agli obiettivi top-down
- La corteccia parietale ventrale è associata al recupero automatico dei ricordi salienti incoerenti con il set
mentale corrente, e indipendentemente dai payoff; non può fare a meno di segnalare una memoria
anche se non conviene: implicata nel recupero automatico di memorie; risponde a contenuti di memoria
inattesi dal soggetto (assomiglia al circuit braker di quest’area nell’attenzione)
- I risultati supportano il modello AtoM che DPC è associato con l'attenzione top-down alla memoria e
VPC è associato con l'attenzione bottom-up alla memoria (Ciaramelli et al., 2008)
93
Quindi anche con un paradigma che non mima le caratteristiche di un compito di attenzione (come
l’esperimento precedente a quello appena visto), quindi dove non c’è una fase cue e una fase target, se
manipolo dei fattori che hanno a che fare con l’attenzione bottom-up (forza di una memoria) o con
l’attenzione top-down (convenienza di una memoria), posso trovare una dissociazione funzionale nel ruolo
del lobo parietale superiore e inferiore.
Questi dati vanno in linea con il modello AtoM, per cui il lobo parietale superiore (corteccia parietale
dorsale) risponde ai contenuti mnestici in linea con la ricerca volontaria del soggetto (scopo volontario del
soggetto); invece la corteccia parietale ventrale è associata alla cattura automatica dell’attenzione che
avviene ad opera di contenuti mnestici sufficientemente salienti (la memoria forte colpisce l’attenzione
indipendentemente da quelli che erano gli obiettivi e questo viene segnalato dall’attivazione del lobo
parietale inferiore).
Es.: sto facendo lezione e automaticamente mi metto a pensare ad altro che può essere una memoria,
l’immaginazione e la mia attenzione viene colpita in maniera bottom-up da un contenuto mentale non in
linea con l’obiettivo del momento; questa funzione è resa possibile dalla parietale ventrale.
Memory neglect
Pazienti con lesioni parietali inferiori hanno una sofferenza quando devono riconoscere memorie precedute
da cue invalidi; la loro attenzione è dirottata verso un contenuto di memoria e poi arriva un altro
contenuto. In questo caso è difficile per tali pazienti sganciarsi da questo contenuto mnestico iniziale per
ridirigere l’attenzione verso un altro contenuto di memoria.
Si chiama così perché sarebbe un analogo dei pazienti con neglect di fare la detezione di stimoli che
colpiscono l’attenzione bottom-up.
Questo memory neglect nei pazienti con lesioni parietali ha avuto ulteriori conferme.
Esperimento: Autobiographical Interview: vengono presi pazienti con lesioni dei bilaterali dei lobi parietali
inferiori; vengono dati cue come “raccontami l’ultimo viaggio che hai fatto” e si va a quantificare la quantità
di dettagli interni ed esterni.
In una prima fase i pazienti sono liberi di narrare le loro memorie (free recall); successivamente si fanno
domande specifiche sui contenuti mnestici appena riportati (chi c’era con te, com’era il tempo) e tale fase è
chiamata specific probe.
Cosa si trova? nella fase di free recall, quando devono spontaneamente riportare le memorie, i pazienti con
lesioni parietali sono significativamente compromessi; hanno capacità compromessa di riportare memorie
autobiografiche. Questo deficit scompare quando ai soggetti vengono fatte domande specifiche sui
contenuti mnestici che prima non sapevano riportare.
Pazienti falliscono nel riportare i dettagli di esperienze passate, ma ottengono prestazioni normali se
vengono guidati da domande specifiche; con domande dirette che riorientano la loro attenzione in maniera
top-down allora i soggetti rientrano nel range di soggetti normali.
Quando devono riportarli spontaneamente falliscono, quando la loro attenzione viene riportata su
contenuti mnestici attraverso domande, hanno una prestazione normale; questa doppia dissociazione per
cui i pazienti con lesioni parietali sono compromessi nel recupero spontaneo di memorie ma preservati nel
recupero di memorie guidate da domande specifiche, è un disturbo particolare perché non si osserva nei
pazienti amnesici temporali. Quest’ultimi hanno un deficit nella prima condizione e uno maggiore nella
seconda condizione con domande specifiche; quindi in condizione di amnesia, la differenza tra pazienti e
controlli, viene esacerbata in una condizione in cui viene fatto fare un compito di recupero guidato da
domande specifiche.
Nei pazienti parietali succede l’opposto, domande specifiche cancellano il deficit nei pazienti e questo è
interpretato come memory neglect: memorie oggettivamente presenti (perché possono essere elicitate da
domande specifiche) non sono spontaneamente riportate dai soggetti; è come se in seguito a lesioni dei
lobi parietali inferiori (quello per attenzione bottom-up), ci fossero contenuti mnestici preservati nei
pazienti parietali ma essi falliscono nel riportarli spontaneamente perché questi contenuti falliscono nel
catturare l’attenzione bottom-up; se il contenuto non viene catturato dalla bottom-up, non raggiunge la
consapevolezza del soggetto e quindi esso non lo riporta come una memoria. Questa è un’altra evidenza a
favore del memory neglect: memorie oggettivamente presenti che non colpiscono l’attenzione dei pazienti
che soggettivamente non riescono a riportarli.
94
Altro esperimento che evidenzia il memory neglect: ci sono pazienti con lesioni parietali (inferiori e
superiori) che studiano coppie di item che potevano essere presentati per via visiva o uditiva; poi facevano
un compito di riconoscimento su questi item e poi un compito di giudizio remember/know. Il paradigma
remember/know viene considerata una misura di recollection soggettiva perché è il soggetto stesso che
riporta di provare una sensazione di recupero contestualizzato.
Successivamente viene fatto fare un compito di source memory: viene chiesto se hanno studiato un item e
viene chiesto se l’hanno udito o studiato; è un compito di recollection oggettiva perché non si chiede
l’impressione ma si chiede effettivamente di riaccedere al contesto della codifica e di recuperare i dettagli
contestuali di un item.
Anche qui si trova una dissociazione in pazienti parietali tra recollection soggettiva (situazione remember) e
recollection oggettiva (quantità di risposte corrette in source memory).
Quindi il compito combina subjective and objective recollection:
- Studiano coppie di item, per via visiva (schermo) o uditiva (cuffie).
- Recognition old/new
- Remember/Know -> subjective recollection
- Source memory (visto vs. udito?) -> objective recollection
Pazienti con lesioni parietali sono bravi come soggetti di controllo a riportare i dettagli contestuali di
un’esperienza passata; però hanno una differenza marcata nella quantità di risposte remember, cioè danno
meno risposte remember rispetto ai soggetti sani; le remember denunciano un’esperienza soggettiva,
vivida del recupero. Questi sono pazienti che hanno memorie ricche e contestualizzate ma che non hanno
l’impressione soggettiva di avere memorie ricche e contestualizzate.
Questo tipo di dissociazione fa pensare al memory neglect perchè evidenzia come pazienti con memorie
oggettivamente contestualizzate, possono recuperare il contenuto mnestico quando si fanno domande
specifiche sui contenuti di memoria che orientano l’attenzione top-down; se però il contenuto mnestico
deve colpire l’attenzione del soggetto, questo non succede: i dettagli contestuali ci sono (corretto
funzionamento dell’attenzione top-down) ma non colpiscono l’attenzione bottom-up del soggetto che
quindi non sente di avere una memoria contestualizzata e non da risposte di tipo remember (deficit
nell’attenzione bottom-up che non è catturata dai dettagli di tipo contestualizzato).
Il deficit bottom-up è denunciato dalla differenza nelle risposte remember che vengono date quando i
contenuti mnestici sono ricchi e salienti; questo non succede nei pazienti parietali nonostante abbiano
questi dettagli contestuali come nei soggetti sani.
Quindi: Subjective vs. objective recollection: Pazienti riportano un numero inferiore di risposte Remember
rispetto ai controlli, ma non hanno problemi a recuperare il contesto “oggettivo” di esperienze passate in
risposta a domande specifiche.
I pazienti ippocampali in questo compito (amnesia globale classica), farebbero meno risposte remember e
avrebbero meno source memory dei soggetti sani; le memorie dei pazienti amnesici non vengono sentite
come contestualizzate perché non hanno dettagli contestuali, invece nei pazienti con lesioni parietali, i
dettagli contestuali ci sono perché possono essere trovati ma non colpiscono la bottom-up.
Questo denota differenze tra recollection oggettiva che è compatibile con un disturbo dell’attenzione
bottom-up e recollection soggettiva.
Lo stesso deficit si evidenzia in un’altra caratteristica dei pazienti parietali; i pazienti con lesioni parietali
hanno una scarsa sicurezza nella loro memoria, hanno una bassa confidenza nelle loro memorie.
Lesioni parietali a sinistra non fanno sentire sicurezza nelle memorie; si sente sicurezza quando le memorie
sono salienti e sono capaci di arrivare in maniera forte alla consapevolezza.
Esperimento che testa la confidenza: vengono fatte studiare una lista di parole lette da una voce maschile
o femminile; poi si facevano riconoscere le parole studiate, poi si chiedeva se le parole erano state lette da
una voce maschile o femminile (compito di recollection oggettiva) e poi si faceva dare un giudizio rispetto
alla sicurezza di tale contenuto mnestico.
Vengono calcolati due punteggi, ovvero quello di recollection e quello di confidence.

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Risultati di Memory confidence:
- I pazienti con lesioni unilaterali fanno tutto bene: sia recollection che confidence
- I pazienti con lesioni bilaterali fanno bene il compito di source memory (punteggio di recollection
preservato), ma manifestano poca sicurezza nelle proprie memorie.
questi risultati in cui c’è una dissociazione tra capacità di recuperare la fonte di informazione e differenza
dai soggetti di controllo nella sicurezza soggettiva nelle proprie memorie, fa pensare a un problema di
memory neglect, ovvero problema in cui non c’è un legame tra contenuti mnestici posseduti e quelli
riportati dai soggetti come se questi contenuti non raggiungessero la consapevolezza dei soggetti. Questa
dissociazione è in linea con il memory neglect: i contenuti contestualizzati ci sono ma non sono in grado di
colpire la consapevolezza dei soggetti e così sentono scarsa sicurezza nelle proprie memorie che dipende
dalla sensazione soggettiva di avere memorie vivide (legata alla bottom-up: tanto più una memoria colpisce
la mia attenzione e tanto più sono sicuro di avere avuto quella memoria).
Emerge una dissociazione fra memoria preservata e scarsa confidenza nelle proprie memorie nei pazienti
bilaterali; tale dissociazione si evidenzia solo in chi ha lesioni bilaterali, ma in ogni caso è la lesione parietale
inferiore che porta neglect e la confidence è evidente solo nei bilaterali (che la lesione unilaterale o
bilaterale porti a deficit dipende dal paradigma sperimentale).
Questa dissociazione è quella opposta a quella che si osserva nei pazienti frontali: hanno una recollection
compromessa ma hanno una confidence molto alta, ovvero sono sicuri di memorie che in realtà sono
accurate.
Esperimento in cui si dimostra un disallineamento tra recollection soggettiva e oggettiva.
Paradigma di riconoscimento:
- Old/new
- Remember/Know
- Source (color and position): le parole possono apparire in posizioni diverse e possono essere scritte
o in rosso o in verde
si va a vedere se i soggetti sono capaci di ricordare due informazioni contestualizzate (colore e posizione);
se si trova che i pazienti parietali sono in grado di ricordarle entrambe nonostante la disregolazione di tipo
remember, allora si confermerebbe che i pazienti hanno un problema nella detezione spontanea dei
contenuti mnestici.
I soggetti studiavano parole scritte in alto o in basso, di colori diversi; si chiedeva poi un compito di
riconoscimento old o new e poi un compito in cui dovevano classificare le parole studiate come remember
o know. Poi si chiedeva di giudicare in che colore era scritta e in che posizione era la parola.
Cosa si trova? i pazienti parietali hanno un’accuratezza di riconoscimento normale e davano una stessa
proporzione di risposte remember e know; per quanto riguarda le volte in cui riportano solo posizione o
solo colore non ci sono differenze tra pazienti parietali e sani, però i soggetti sani quando danno una
risposta di tipo remember è perché ricordano sia la posizione che il colore. Per le risposte remember i
soggetti sano riportano due dettagli contestualizzati; questo si osserva raramente nei pazienti parietali.
Quindi più che esserci un deficit nella quantità oggettiva di dettagli contestualizzati che vengono riportati
dai pazienti parietali, c’è un disallineamento tra dettagli contestualizzati che riportano e la loro probabilità
di dare una risposta remember. I soggetti normali danno una risposta remember quando ricordano fonti
multiple di un’esperienza passata mentre questo non succede nei pazienti parietali; essi non tengono conto
dei dettagli contestualizzati che riescono a recuperare.
Questo esperimento denuncia un disallineamento nei pazienti parietali tra componenti oggettivi dei ricordi,
dettagli contestuali effettivamente posseduti ed elementi soggettivi del ricordo (capacità di riportare
soggettivamente quanto è presente nelle proprie memorie).

96
Altre evidenze per AtoM
Ci sono evidenze di neuroimaging che supportano l’AtoM: i giudizi che denotano recollection tendono ad
attivare il lobo parietale inferiore, mentre quelli che denotano familiarity tendono ad attivare il lobo
parietale superiore.
Recollection and Familiarity:
- Maggior attivazione in IPL per recollection
- Maggior attivazione in SPL per familiarity
La recollection sono i giudizi di tipo remember per cui riportano dettagli vividi e contestualizzati; questo
tipo di contenuto di memoria tende ad attivare il parietale inferiore e questo è compatibile con l’ipotesi che
il parietale inferiore medi la bottom-up attention to memory.
Quando i soggetti riportano che un item è familiare ma non ricordano il contesto di codifica, allora attivano
il lobo parietale superiore; per contenuti che sembrano solo familiari monitoriamo in maniera più estesa
quelle memorie attraverso la top-down.
La stessa dissociazione la si trova in studi che confrontano il riconoscimento di item associato ad alta e
bassa sicurezza; High confidence and low confidence:
- Maggior attivazione in IPL per high confidence: memorie per cui sono molto sicuro tendono ad
attivare il lobo parietale inferiore
- Maggior attivazione in SPL per low confidence: memorie per cui sono poco sicuro tendono ad
attivare il lobo parietale superiore
anche questo è in linea con l’AtoM model perché quando siamo sicuri di avere visto un item, questo ha
colpito la nostra attenzione in maniera bottom-up e quindi si attiva il lobo parietale inferiore; quando non
siamo sicuri di avere visto un item allora controlliamo più spesso la nostra memoria per quell’item e
attiviamo di più la top-down e questo risulta in una maggiore attività del parietale superiore.
Modello AtoM: il lobo parietale superiore sarebbe connesso
nell’attenzione di tipo top-down e quindi nella ricerca di contenuti
mnestici nella memoria; questi vengono recuperati dal lobo
mediotemporale e i contenuti recuperati da esso attivano di riflesso
la corteccia parietale ventrale che avrebbe un ruolo di dirigere
l’attenzione in maniera bottom-up su contenuti mnestici rilevanti.
Quindi l’ipotesi dell’AtoM prevede che il lobo parietale superiore e
inferiore svolgono nella memoria un ruolo simile a quello che
svolgono nell’attenzione quando questa viene ridiretta a dei
percetti; sia per quanto riguarda memorie che per quanto riguarda
percetti, il lobo parietale superiore sarebbe implicato nell’orientare
l’attenzione in maniera volontaria verso questi; il lobo parietale
inferiore sarebbe dedicato alla detezione di contenuti percettivi che di contenuti mnestici.
Esperimento con attenzione e memoria: Se è vera l’ipotesi dell’AtoM bisognerebbe trovare che le stesse
aree del lobo parietale superiore che di quello inferiore sono dedicate alla ricerca e alla detezione sia di
memorie che di percetti avendole in un unico paradigma sperimentale.
E’ stato testato se ci sono attività simili quando faccio ricerca di memoria e di percetti e quando faccio la
detezione di memorie e di percetti; se è vera l’AtoM devo trovare che quando ricerco dei percetti e delle
memorie c’è la stessa attività nel lobo parietale superiore, invece quando faccio la detezione di memorie o
di percetti, si devono attivare le stesse aree del lobo parietale inferiore.
Vengono messe insieme memoria e attenzione nello stesso paradigma sperimentale
Se IPL e SPL implementano processi simili che servono per la ricerca e la detezione di informazioni sia
percettive che mnestiche, le stesse aree di PPC dovrebbero attivarsi in compiti di ricerca percettiva vs
mnestica.
C’è quindi un compito di percezione e uno di memoria; per entrambi c’è una fase di ricerca e di detezione.
Il compito percettivo: i soggetti osservano una stringa di lettere e devono premere il pulsante quando
vedono la vocale; qui la fase di ricerca prevede la ricerca della vocale, mentre la fase di detezione è quella
in cui vedono la vocale e premono il pulsante.

97
Il compito di memoria: inventato un paradigma che avesse una ricerca in memoria paragonabile alla ricerca
percettiva; i soggetti studiano catene di coppie di parole e ci sono item che si sovrappongono tra una coppia
e l’altra e questo permette di ricostruire la catena nella fase di recupero.
Nello scanner veniva dato il primo termine della catena e venivano addestrati a cercare l’ultimo termine
della catena; sia nel compito di percezione che di memoria c’è sia una fase di ricerca (ricerca della vocale e
fase in cui ricostruisce la catena di item che porta ala target) che di detezione (premere il bottone in
entrambi i compiti).
Ipotesi: sia nel compito di detezione che di memoria si deve avere attività relativa a ricerca nel lobo
parietale superiore e relativa a detezione nel parietale inferiore.
Ciò che si trova è proprio quanto sostenuto dall’ipotesi:
- durante la fase di ricerca sia nel compito di percezione che in quello di memoria si attiva il lobo
parietale superiore
- durante la fase di detezione sia nel compito di percezione che in quello di memoria si attiva il lobo
parietale inferiore
aree sovrapposte sia del superiore che inferiore si attivano per la percezione che per la memoria come
predetto dall’AtoM.
Output Buffer Hypothesis (OBH)
L’ipotesi dell’AtoM non è l’unica spiegazione che è stata data rispetto al ruolo del parietale nella memoria,
ma ci sono anche altre spiegazioni.
Un’ipotesi alternativa è l’Output Buffer Hypothesis (OBH); sul ruolo del parietale superiore sono tutti
d’accordo che diriga l’attenzione a compiti di memoria, il forte disaccordo è su quello inferiore.
Secondo tale ipotesi, la corteccia parietale inferiore avrebbe un ruolo di buffer di workin memory, cioè
serve per tenere i contenuti mnestici recuperati attivi nella working memory prima di dare una risposta al
compito di memoria. PPC serve per mantenere attivi contenuti mnestici recuperati in WM, prima di una
decisione di memoria.
Esperimento: si fanno studiare delle coppie di item e poi vengono fatti riconoscere questi item; ad ogni
item veniva chiesto un giudizio di recollection remember/know e poi veniva fatto un secondo giudizio di
recollection in cui si chiedeva quale fosse l’item associato.
Quindi:
- Soggetti studiano coppie di item
- Al test: R/K (R1)
- Recollection+oggetto che forma la coppia (R2): compito di recolllection oggettiva in cui il soggetto
deve caricare nella WM non solo il primo item ma anche quello ad esso associato
l’idea è che nella condizione di recollection di tipo due, i soggetti devono tenere nella WM due item e se si
trova un maggiore attivazione nel lobo parietale inferiore nella recollectioon due anziché nella uno, allora
significa che il lobo parietale inferiore serve per mantenere attivi item nella WM perché la sua attività
riflette il carico della WM.
In effetti si trova che il parietale inferiore è più attivo quando i soggetti devono recuperare la coppia di item
piuttosto che quando devono recuperare l’item singolo.
Secondo questi autori, l’attività del lobo parietale inferiore che sarebbe maggiore tanto più le memorie
sono ricche, non rifletterebbe l’attenzione verso queste memorie ma bensì una maggiore quantità di
informazione che uno deve caricare nella WM tutte le volte che ricorda una memoria che ha più dettagli.
Quindi una memoria che ha più dettagli non attirerebbe di più l’attenzione ma sarebbe più ricca e quindi
uno dovrebbe mantenere in WM più elementi.
Attività in VPC è modulata dalla quantità di informazione recuperata.
Ci sono altre risposte dell’attività del lobo parietale inferiore che sostengono l’ipotesi dell’AtoM.
E’ stato visto in diversi studi che l’attività del parietale inferiore è vero che è maggiore per item già visti
vividi e contestualizzati, però quest’area è molto attiva anche quando sono estremamente sicuro che l’item
sia nuovo; quindi l’attività del parietale inferiore è legata al grado di sicurezza e questo tipo di attività non è
compatibile con la teoria dell’output buffer perché non è possibile avere molto evidenze nella WM su un
item che non ho visto; invece la mia attenzione può essere colpita sia da item che sono palesemente
studiati che palesemente nuovi. Questa attivazione è più compatibile con la teoria dell’AtoM.
98
Problemi dell’AtoM
Altri sperimentatori hanno messo in luce problemi dell’AtoM.
Due ricercatori hanno confrontato dove esattamente nel lobo parietale sono le attivazioni dedicate
all’attenzione bottom-up e top-down relative alla percezione e relative alla memoria; nello studio di
Ciaramelli e Moscovitch le attivazioni erano sovrapposte ma non coincidenti, in questa meta-analisi invece
si vede che attenzione bottom-up e top-down non coincidono nel lobo parietale per l’attenzione e per la
memoria.
Una forte non coincidenza è che nell’attenzione l’attivazione è lateralizzata a destra, mentre nella memoria
è lateralizzata a sinistra; ci sono anche altri disallineamenti.
Siccome queste attivazioni sono grossolanamente nella stessa regione ma non nello stesso sito preciso,
allora non riusciamo a dire che gli stessi sistemi mediano l’attenzione bottom-up e top down dedicati
all’attenzione e alla memoria.
Un altro gruppo ha fatto un esperimento ha evidenziato che non basta una classificazione binaria per
rendere ragione di tutto il quadro delle attivazioni che si trovano nel lobo parietale negli studi di memoria;
vanno a studiare come si attiva il parietale.
Nella fase di studio i soggetti fuori dallo scanner devono immaginare o una persona o una scena; viene dato
un aggettivo e devono immaginare una persona o una scena che sia adatta all’aggettivo. Durante il compito
di codifica fanno l’immaginazione relativa agli aggettivi; le persone possono essere maschili o femminili e le
scene interne o esterne.
Durante la fase di recupero vengono ripresentati gli aggettivi usati e gli viene chiesta una vasta gamma di
domande relative a dettagli contestualizzati; gli viene chiesto se hanno studiato l’aggettivo, se hanno
dovuto immaginare una persona o una scena e poi gli viene chiesta la fonte specifica (maschio o femmina e
scena interna o esterna).
Attraverso questo studio è possibile identificare l’attività che caratterizza il riconoscimento semplice
(aggettivo usato o meno), il recupero dell’informazione contestuale e il recupero dell’attributo specifico
(maschio/femmina, interno/esterno).
Vengono trovati 4 profili di risposta di cui non tutti compatibili con AtoM; trovano che:
1. il solco intraparietale mostra un’attività di retrival success: è più attivo quando soggetti ricordano
un item studiato rispetto a quando riconoscono un item non studiato (già visto)
2. il lobo parietale superiore è più attivo quando i soggetti recuperano l’informazione rispetto al
compito che hanno fatto, rispetto all’informazione sulla fonte specifica (uomo-donna; interna o
esterna); gli autori trovano che ci vuole più tempo per recuperare informazioni sul compito che
hanno fatto rispetto all’informazione sulla fonte specifica e perciò concludono che questa attività di
risposta nel lobo parietale superiore è compatibile con la top-down AtoM: siccome ci vuole più
tempo per recuperare questa informazione allora uso più risorse attentive top-down
3. ci sono due aree del lobo parietale inferiore con profili di risposta diversi: il girio angolare è più
attivo quando recupero sia l’informazione sul compito che l’informazione sulla fonte specifica
rispetto a quando riconosco un item singolo; questa è un’attività di mera recollection
4. in un’altra area del lobo parietale: giunzione temporo-parietale (TPJ) è più attiva quando riconosco
un item singolo piuttosto che quando recupero la fonte rispetto al compito e quella specifica;
quest’area del lobo parietale inferiore ha un’attività diversa rispetto al giro angolare che è più attivo
per informazioni contestualizzate rispetto al solo item (attivazione opposta); l’attività della TPJ è
compatibile con la bottom-up AtoM perché sono veloce a recuperare un’informazione quando
colpisce l’attenzione in maniera bottom-up
quindi secondo loro nel lobo parietale inferiore ci sono 4 diversi profili di memoria di cui solo due sono
compatibili con la teoria dell’AtoM. Ci sarebbe un retrival success effect non compatibile con l’AtoM; poi
nel lobo parietale superiore effettivamente ci sarebbero attività in trial in cui i soggetti sono lenti e hanno
bisogno di molta ricerca per trovare le info desiderata e qui entra in gioco la top-down AtoM.
Poi nella giunzione temporo-parietale c’è più attività quando i soggetti sono veloci perché devono
recuperare solo un item e non il contesto e questo è compatibile con la Bottom-up; però nel giro angolare il
quadro non è necessariamente compatibile con la bottom-up: molto attività per informazioni
contestualizzate e poco per item singolo (questo è più compatibile con un quadro di recollection).
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Summary ANTI-AtoM
1. Non basta una classificazione a 2: top-down vs. bottom-up per la funzione della corteccia parietale
(PPC) nella memoria episodica; ma nella corteccia parietale posteriore ci sono almeno 4 pattern
distinti di risposta
2. Ci sono almeno 4 pattern di risposta distinti in PPC; ci vogliono più studi per specificare tutti i profili
funzionali della corteccia parietale nella memoria
3. Le attivazioni di memoria in PPC sono parzialmente dissociate a livello spaziale da quelle per
l’attenzione.
quindi gli studi continuano.

100
Memoria semantica
Abbiamo visto che i nostri sistemi di memoria, a partire dalla teoria di Tulving, sono tripartiti:
1. Memoria procedurale sottostante alle esecuzioni che richiedono destrezza; sottende
l’apprendimento di abilità e di abitudini
2. Memoria episodica eventi ed episodi temporalmente databili, localizzabili spazialmente ed esperiti
personalmente; è quella memoria che serve per recuperare esperienze condivise
3. Memoria semantica repertorio condiviso di concetti, e delle loro proprietà e relazioni reciproche; è
la memoria dei concetti, dei significati e delle relazioni tra concetti (proprietà associative). Possiede
le nostre conoscenze generalizzate sui nomi, concetti e le relazioni reciproche
Tulving aveva individuato degli stati di consapevolezza associati ai sistemi di memoria:
- episodica: consapevolezza autonoetica: il soggetto è consapevole di essere autore dei suoi ricordi;
nel momento in cui ricorda sta esperendo un episodio in cui era protagonista
- semantica: consapevolezza noetica: è quella relativa al sapere qualcosa e non di ricordare qualcosa
- procedurale: consapevolezza anoetica: il soggetto non ha consapevolezza di avere una determinata
abilità che però si esprime nelle prestazioni in seguito ad apprendimento
La memoria semantica ha diversi tipi di informazione che stanno su un continuum; memoria semantica ed
episodica interagiscono e sulla base di questo recuperiamo le informazioni nella parte semantica stanno
informazioni generalizzate e sapute da tutti (sapere informazioni) e progressivamente si possono
recuperare informazioni più contestualizzate, personali, fatti, concetti contestualizzati; es.: possiedo il
concetto di gatto quando conosco diverse caratteristiche percettive e funzionali, poi posso avere delle
conoscenze più personali, ovvero posso sapere come si chiama, dove vive e queste informazioni sono più
vicine alla memoria episodica; e poi posso avere informazioni più contestualizzate e appartenenti alla
memoria episodica.
La memoria semantica contiene caratteristiche ed entità dei concetti, ma progressivamente interagendo
con l’episodica, può contenere info più contestualizzate; possiamo avere conoscenze semantiche
generalizzate o conoscenze semantiche un po’ più contestualizzate.
Le caratteristiche della memoria semantica:
- Percettive (è morbido? emette suoni?)
- Funzionali (si muove? caccia?)
- Associative (è associato al concetto di topo?)
Per tipi diversi di categoria semantica prevalgono informazioni di tipo diverso; ogni concetto ha un insieme
di caratteristiche, percettive, funzionali e associative, ma tendenzialmente avrò per concetti diversi un
diverso puzzle di caratteristiche.
Es: Concetti concreti (mela) più caratteristiche percettive vs. concetti astratti (giustizia) più caratteristiche
associative.
I concetti saranno individuati da set di caratteristiche variabili a seconda del concetto specifico.

101
Modello della gerarchia delle categorie
Il modo in cui tendiamo a rappresentare la memoria semantica: struttura gerarchica delle categorie; in
alcuni disturbi si possono perdere certe categorie
ma non altre.
In questa rappresentazione della memoria
semantica ci sarebbero diverse categorie che
comprendono i concetti e ci sono categorie
sovraordinate che contengono determinati
concetti i quali specificano altri concetti sotto-
ordinati; tutte le proprietà specificate a un livello
categoriale, valgono per tutti i livelli sottostanti.
La memoria semantica è organizzata in categoria
dove le caratteristiche specifiche di certi livelli, non
vengono ripetute a livelli successivi e questo è
stato verificato attraverso studi di cronometria
mentale: si chiedeva alla gente di rispondere a
delle domande. Es.: un animale mangia? un uccello
ha le piume? e si è visto che se si chiedeva ai soggetti se ha le piume allora rispondono più velocemente
perché se la domanda è più specifica rispetto a quella categoria, allora i soggetti sono più veloci, da qui ne
deriva una rete gerarchica. Le categorie sono organizzate in concetti sovra e sotto-ordinati, dove ad ogni
livello vengono specificati attributi specifici e al livello superiore vengono descritti gli attribuiti più generali.
Questo modello fa comodo perché troviamo disturbi della memoria semantica che affliggono categorie
diverse sovra o sotto ordinate, quindi ha senso sia la differenziazione in concetti diversi che in strati diversi
più o meno generali.
Modelli a rete gerarchica: Il recupero dell’informazione dalla memoria semantica corrisponde alla ricerca
all’interno di una rete gerarchica, che richiede tempo.
Il tempo necessario per effettuare la ricerca attraverso la rete è stato usato per inferire la struttura della
rete (cronometria mentale).
Lo sperimentatore fornisce ai soggetti dei compiti di verifica proposizionale (eg, il canarino ha le ali?)
RTs: “il canarino ha le ali” > “il canarino canta”
Si trova che maggiore è la “distanza semantica” maggiore è il tempo per recuperare le informazioni =>
conferma alla struttura categoriale
Modelli connessionisti
Ci sono altri modelli della memoria semantica: modelli connessionisti (McClelland e Rogers)
Non esiste un nodo concettuale che corrisponde al concetto di GATTO.
Esistono insiemi di attributi di base che si attivano in configurazioni appropriate in riferimento al concetto
rilevante. Se si attivano un insieme di attributi sufficienti, allora si attiva la rappresentazione di un concetto
Il concetto di GATTO si attiva quando saranno sufficientemente attivati attributi quali “miagola” “peloso”
“fa fusa” etc.
Test per valutare la memoria semantica
- Fluenza verbale per categorie semantiche (da contrapporre a fluenza fonologica, ovvero quando si
chiede ai soggetti di elencare tutti gli oggetti che iniziano con una certa lettera): si procede per
categorie semantiche; es.: elencare tutti gli utensili che il soggetto conosce -> utensile come
categoria; i pazienti con disturbo della memoria semantica fanno peggio i compiti di fluenza verbale
rispetto a quelli di fluenza fonologica (i pazienti frontali fanno l’opposto)
- Picture naming: dire il nome dell’oggetto mostrato e del concetto raffigurato
- Naming to description: dire il nome dell’oggetto descritto verbalmente; il concetto non viene
mostrato attraverso una figura ma viene descritto verbalmente e il soggetto deve dire il nome
- Pointing to picture: indicare la figura che corrisponde al nome o alla descrizione del concetto; viene
detto il nome del concetto, vengono presentate diverse figure di concetti e il soggetto deve indicare
quella corrispondente alla descrizione iniziale
102
- Subtest WAIS “informazioni” e “vocabolario”: fornire definizioni di parole.
- Questionario di Conoscenza Generale del Mondo (Mariani et al., 2002): es.: come si fa il caffè?
qual è la formula chimica dell’acqua? si testa la quantità di conoscenze semantiche spaziando su
determinati ambiti, che il soggetto possiede; abbiamo sotto-scale che testano conoscenze
enciclopediche e conoscenze incidentali (info acquisite ad esempio attraverso i media)
- Pyramid and palm trees: Vengono presentate 1 figura target e 2 figure test. Il paziente deve dire
quale delle 2 figure test VA con la figura target (versione anche verbale).
ES: figura target = sella.
Figure test = capra e cavallo.
Quale fra ‘capra’ e ‘cavallo’ va con ‘sella’?
Neuropsicologia della memoria semantica
Andando a guardare la neuropsicologia della memoria semantica, un primo elemento è che il sistema
semantico è dissociato dal sistema episodico: non dipende dalla memoria episodica e non ha basi neurali in
comune con essa. Esempio:
- HM: vocabolario intatto e una base di conoscenze preservata.
- KC: non riesce a rievocare gli episodi a cui si riferiscono delle foto personali, ma riesce a dire il
nome e ad identificare le persone nelle foto. Memoria semantica preservata.
La memoria semantica sta nella parte laterale del lobo temporale.
Spesso si osserva che la prestazione di concetti relativi a concetti viventi è diversa da quella relativa a
concetti non viventi; in questi test sono deficitari pazienti con lesione laterale del lobo temporale e il deficit
si osserva per concetti living, ovvero concetti di oggetti viventi.
Pazienti con lesioni della parte laterale del lobo temporale sono compromessi in compiti di memoria
semantica.
In un test in cui i soggetti devono fare una descrizione dei concetti raffigurati, i pazienti con danno laterale
del lobo temporale sono deficitari; anche nelle definizioni e nel racconto del concetto raffigurato, falliscono
i pazienti con lesioni temporali laterali
Summary:
- Pazienti con lesioni ippocampali pure non hanno alcun deficit di memoria semantica.
- Pazienti con lesioni estese che coinvolgono il lobo temporale laterale conseguenti ad encefalite
erpetica hanno problemi di memoria semantica; soprattutto per quanto riguarda i concetti di
categorie viventi (living).
- HM, che ha lesioni mediotemporali estese, fallisce solo in qualche test, confermando una generale
preservazione dei sistemi semantici (le descrizioni sono narrative -> memoria episodica)
Solitamente i disturbi di memoria semantica si hanno quando il lobo temporale è colpito bilateralmente; le
lesioni devono essere bilaterali.
Esperimento: Reclutano pazienti con lesioni al lobo temporale sinistro e pazienti con lesioni al lobo
temporale destro e pazienti con demenza semantica (lesioni bilaterali del lobo temporale).
Quindi i primi due gruppi vengono confrontati con dati di pazienti con demenza semantica, che hanno
normalmente lesioni bilaterali.
Batteria di test per la memoria semantica; il primo compito è quello di picture naming (si vede la figura e il
soggetto deve dire il nome); poi viene fatto il test di fluenza categoriale.
Pazienti con lesioni a sinistra e pazienti con lesione a destra stanno nel range di normalità; i pazienti con
demenza semantica stanno due deviazioni standard sotto la media dei soggetti sani e quindi sono
compromessi nella memoria semantica. Anche nel Pyramid test hanno una prestazione deficitaria.
Summary:
- La memoria semantica è il deposito di conoscenze generali sul mondo, sulle parole, sui concetti, e
sulle loro relazioni.
- La memoria semantica è organizzata gerarchicamente in categorie sopraordinate e sottordinate
(categorie ampie che comprendono quelle più limitate).
- La memoria semantica è dissociata dalla memoria episodica sia a livello funzionale che neurale.

103
- La memoria semantica è sostenuta in maniera cruciale dai lobi temporali laterali bilateralmente, e
indipendente dalla formazione ippocampale.

Disturbi della memoria semantica: deficit di accesso o magazzino degradato?


Quando ci troviamo di fronte a un soggetto che non sa dire un concetto ci dobbiamo chiedere se ha un
deficit di accesso o un magazzino degradato; questa domanda va fatta di fronte a soggetti con deficit della
memoria semantica.
Se uno non sa nominare un concetto e non mostra conoscenze, bisogna chiedersi se il concetto è perduto
(sindrome da magazzino degradato) oppure se le conoscenze semantiche sono ancora presenti ma il
paziente fallisce ad accedere ad esse, ovvero c’è un deficit di accesso.
Ci sono 5 criteri che permettono di capire questa questione.
Criterio 1: coerenza della prestazione
Tale criterio dice che se mi trovo in una condizione di magazzino degradato, devo fallire in maniera
consistente e coerente su ripetute presentazioni dello stesso stimolo e su test diversi.
Se il magazzino stesso è degradato, ci dovrebbe essere bassa prestazione in valutazioni successive (su
uno stesso concetto il paziente deve fallire sempre), e con diverse modalità di test.
Se un concetto è perduto, è perduto per sempre.
Coerenza della prestazione: se il magazzino è degradato, devo essere coerente nella prestazione sullo
stesso stimolo e su test diversi.
Negli AD c’è coerenza. Inoltre, di un oggetto che non sa denominare, il paziente non ha altre conoscenze
semantiche (non sa denominare sedia e non sa a cosa serve).
Caramazza fa una critica a questo criterio perché dice che ci si potrebbe trovare in una situazione di
magazzino degradato che da una prestazione incoerente.
Supponiamo di avere un danno parziale del magazzino; il danno parziale può fare attivare la
rappresentazione corretta ma non ad un livello significativamente superiore a quanto sono attivate altre
risposte, relative per esempio a rappresentazioni simili. Alcune volte riesco ad accedere al concetto e altre
volte no, a seconda della situazione sperimentale.
Statisticamente, a volte il soggetto riuscirà ad esprimere quella conoscenza, altre volte no.
In questo caso posso avere incoerenza, pur trovandomi in una situazione di degradazione semantica (da
Caramazza et al., 1990).
La coerenza della prestazione rimane un principio valido nonostante la critica di Caramazza.
Criterio 2: conservazione della sopraordinata
La memoria semantica ha una organizzazione gerarchica; la memoria semantica è organizzata in categorie
sovra e sotto ordinate, quelle sovraordinate sono quelle rappresentate in maniera più solida nella memoria
perché vengono attivate più frequentemente.
I concetti sovraordinati sono più rappresentati dei concetti sottordinati, e quindi dovrebbero essere più
resistenti al danno corticale.
Se c’è una degradazione di magazzino semantico, allora la perdita di concetti si deve avere in una maniera
ordinata: prima vengono perse le categorie sotto-ordinate e poi quelle sovra ordinate.
Se ho conservata la sovra ordinata ma ho perso gli elementi specifici, è più probabile che mi trovi in una
situazione di magazzino degradato.
Es: soggetto con Alzheimer: perde il concetto di pitbull, ma rimane il concetto di cane; poi perde il concetto
di cane ma rimane quello di animale.
La perdita della memoria semantica evidenzia un quadro coerente di perdita: prima si perdono le categorie
sovra e poi quelle sotto ordinate.
Criterio 3: effetto del priming e dei suggerimenti semantici
Il priming semantico è quel fenomeno per cui rispondere ad un determinato stimolo/concetto è più facile
se questo è preceduto da uno stimolo ad esso relato e collegato semanticamente.
Es.: sono più veloce a riconoscere una parola se essa è preceduta da un’altra parola piuttosto che una non
parola.
104
Un suggerimento semantico è invece un cue esplicito che aiuta il soggetto ad attivare la rete semantica (es:
piramide-Egitto).
L’idea di questo criterio è che se ci troviamo in un deficit di degradazione del magazzino semantico, il
priming e i suggerimenti espliciti non dovrebbero avere nessun effetto; es.: se ho perso un concetto,
nessuno suggerimento esplicito o priming non mi dovrebbe aiutare a recuperare il concetto
Se c’è un deficit di degradazione del magazzino, i suggerimenti ed il priming non dovrebbero avere
effetto.
Un deficit di accesso, al contrario, dovrebbe beneficiare massimamente di suggerimenti.
Questo criterio è vero per quanto riguarda i suggerimenti semantici, ad esempio pazienti con Alzheimer
non giovano dei suggerimenti; mentre per quanto riguarda il priming, i risultati sono misti perché per
quanto riguarda la degradazione della memoria semantica, a volte il priming può essere preservato e a
volte maggiore.
A volte, la presenza di priming può svelare una compromissione del magazzino semantico.
Priming e suggerimenti sono fenomeni dissociati.
Pazienti AD non traggono giovamento da suggerimenti semantici e mostrano coerenza nella prestazione.
Quindi, l’effetto del cue semantico sembra effettivamente assente in caso di magazzino degradato.
Tuttavia, AD con accertata degradazione semantica possono comunque mostrare effetti di priming
semantico in compiti di decisione lessicale (Chertkow e Bub, 1990)
Esperimento sull’iper-priming: 2 COMPITI DI PRIMING
1. Da concetto relato:
Prime = TIGRE (vs MANO)
TARGET = LEONE
Parola o non parola? i soggetti hanno priming perché sono più veloci a dire parola quando è
preceduta da tigre anziché mano
2. Da attributo relato:
Prime= CRINIERA (vs Da attributo relato MANO)
TARGET = LEONE
Parola o non parola? il concetto relato aiuta a rispondere più in fretta
la maggiore quantità di priming ce l’hanno i pazienti con Alzheimer: hanno un priming non ridotto ma
aumentato rispetto ad altri soggetti.
A causa della degradazione semantica, che riduce la differenza fra concetti all’interno di una stessa
categoria, leone è più simile a tigre negli AD che nei controlli, per cui il compito di priming semantico
diventa un compito di priming di ripetizione.
Dire per loro tigre è quasi come dire leone; per loro il priming semantico diventa quasi un priming di
ripetizione. Questo priming svela una confusione nella memoria semantica; quindi delle volte i deficit di
priming ci sono con pazienti con disturbi della memoria semantica, ma sono difetti in eccesso che rivelano
più priming e il più pirming denuncia una confusione di concetti nella memoria semantica di questi soggetti:
un concetto sfuma nell’altro e quindi il priming semantico diventa una ripetizione.
Criterio 4: effetto della frequenza
Se il magazzino semantico è degradato, le parole ad alta frequenza di uso, quindi meglio rappresentate,
dovrebbero essere più preservate (Warrington e Shallice, 1979).
Le parole ad alta frequenza sono quelle che usiamo di più quindi sono più solide.
Non ci dovrebbe essere un pattern stabile fra frequenti e non frequenti.
Se il problema è di accesso non ci dovrebbero essere differenze.
Criterio 5: effetto della velocità di presentazione
Se il magazzino semantico è degradato, la prestazione dovrebbe essere bassa, sia che la presentazione sia
veloce che lenta.
In caso di problema di accesso, il deficit dovrebbe peggiorare con presentazione veloce.
L’effetto della velocità non c’è se sono in una situazione di magazzino degradato ma c’è in caso di deficit di
accesso.

105
Disturbi categoriali
La rappresentazione della memoria semantica di tipo categoriale è importante perché si osservano disturbi
che affliggono in maniera maggiore delle categorie semantiche piuttosto che altre: alcune categorie
vengono colpite e altre no.
Dicotomia concreto-astratto
E’ un disturbo categoriale della memoria semantica per cui i pazienti hanno una prestazione selettivamente
compromessa su concetti concreti rispetto a concetti astratti.
Warrington e Shallice descrivono una paziente con deficit semantici che definiva in maniera corretta il 93%
delle parole astratte ed il 63 % di quelle concrete; i pazienti vanno meglio con i concetti astratti che con
quelli concreti. Questa dissociazione non può essere deputata a una maggiore facilità perché i concetti
concreti sono anche più facili perché rappresentati in maniera più ricca; tale dicotomia quindi si oppone al
gradiente di difficoltà.
In generale, i concetti concreti hanno un vantaggio competitivo su quelli astratti, perchè possono essere
rappresentati in maniera piu’ ricca ed attraverso piu’ codici.
Eg., i pazienti afasici solitamente manifestano migliore prestazione con le parole concrete che con le parole
astratte.
Dicotomia concreto < astratto osservata in alcuni pazienti, pertanto, si oppone al gradiente naturale di
difficoltà, e non può essere spiegata attraverso questo.
Si pensa che sia dovuta a una diversa localizzazione cerebrale di concetti diversi, probabilmente legata alle
diverse proprietà (percettive vs. associative) dei concetti.
Dicotomia LIVING / nonLIVING
E’ un diverso deficit di prestazione relativo a concetti di essere viventi e concetti di non essere viventi
Cose naturali, viventi, animate (LIVING), e cose costruite dall’uomo, non viventi, inanimate (NON LIVING).
Nei pazienti con deficit della memoria semantica si osserva frequentemente che i concetti LIVING sono piu’
degradati dei NON-LIVING (77% dei casi di dissociazione, Capitani et al., 2003).
In alcuni pazienti sono stati osservati deficit selettivi per sottocategorie di concetti animati, e.g., frutta e
vegetali vs. animali.
WARRINGTON E SHALLICE (1984): C’è anche la dissociazione opposta:
- Migliore identificazione di stimoli visivi nonviventi che viventi;
- Migliore definizione di stimoli visivi nonviventi che viventi.
NB: Ci sono anche pazienti che mostrano la dissociazione opposta, ovvero degradazione della categoria
semantica dei non-viventi con relativo risparmio di quella dei viventi (ma meno frequente)
In una review di studi di attivazione per concetti viventi vs. inanimati, Tyler et al., 2003 trovano invece che
sia concetti living che nonliving attivano una rete diffusa di aree a sinistra che include il giro fusiforme ed il
giro temporale superiore e mediale. Per i living, tuttavia, c’è un reclutamento addizionale di aree occipitali,
coerentemente col fatto che i concetti living vengono classificati in base alle caratteristiche percettive.
Martin e Caramazza trovano dissociazioni fra living e nonliving nel giro fusiforme; hanno trovato che la
porzione laterale di tale giro fusiforme è attivato per concetti living, mentre quella mediale è attivata
soprattutto per i concetti nonliving.
Confermano inoltre una maggior attivazione della corteccia occipitale per i viventi ovvero per i concetti
living piuttosto che nonliving.
I concetti living e nonliving hanno una leggera differenza nella rappresentazione neurale che potrebbe
rendere ragione della loro prevalenza.

106
Studio di Capitani: studio in cui viene guardato quanto la dissociazione tra concetti living e nonliving viene
osservata in un campione di soggetti con lesione temporale (deficit della memoria semantica).
Studiano 28 pazienti che hanno avuto uno stroke dell’arteria cerebrale posteriore.
18 con lesioni a sn, 8 con lesioni a destra, 2 con lesioni bilaterali; fanno fare diversi compiti:
- Picture naming
- Word picture matching
- Verbal semantic questionnaire (sia dettagli associativi che percettivi)
- Visual reality judgment task (dire se degli oggetti e viventi esistono veramente)
In 8 pazienti con lesione a sinistra, viene documentato un pattern di degradazione della memoria
semantica: i pazienti fanno male sia il picture naming che il questionario di memoria semantica per lo
stesso item (coerenza della prestazione); i pazienti non riescono a nominare, accoppiare e dare conoscenze
semantiche.
IMP: il questionario non richiede percezione visiva, quindi la prestazione povera non può essere attribuita
ad agnosia visiva.
Nei pazienti con lesione a destra il deficit è meno coerente sui diversi test, e mai severo. Il deficit maggiore
è nel visual reality judgment task (quindi ipotizzabile componente agnosica); hanno problemi nel
riconoscere la forma visiva degli oggetti e quindi hanno più problemi di amnesia.
In 5 dei pazienti sinistri viene documentata una chiara dissociazione living-nonliving, con prestazione
migliore per i nonliving (artefatti) che per i living. La dissociazione è robusta, appare in più di un compito, e
riguarda anche il questionario semantico.
Non chiare dissociazioni (evidenti per es. solo in un test) nei pazienti destri o bilaterali.
I deficit di naming e la differenza di prestazione correlano con l’estensione della lesione nel giro fusiforme;
più grande è la lesione nel giro fusiforme e maggiore è la definizione dei concetti di tipo living e maggiore è
la dicotomia living/nonlinving
Giro fusiforme di sinistra (regione laterale temporale al confine con la corteccia occipitale): importante per
la memoria semantica, in particolare per la rappresentazione dei concetti living.
Dissociazione living-nonliving: peggiore prestazione per concetti living rispetto a quelli nonliving.
Si parla di disturbi che fanno riferimento alla degradazione del magazzino semantico; tali soggetti hanno
perso le proprietà funzionali e associative dei concetti e le etichette lessicali dei concetti (lessico come
componente della memoria semantica).

107
Interpretazioni per la dissociazione tra concetti living e nonliving
L’associazione living-nonliving ha visto diverse spiegazioni.
Artefatti di familiarità: I concetti living sono piu’ familiari e usati piu’ frequentemente sono piu’ resistenti
alla degradazione del magazzino.
I non-living fanno parte della nostra quotidianita’, mentre molti viventi (e.g., LEONE) non ne fanno parte.
Tuttavia è stato visto che alcuni pazienti mostrano la dissociazione opposta: meglio nei concetti living
rispetto a quelli nonliving.
Questa critica e’ incompatibile con la dissociazione opposta, in cui si ha che i viventi sono più preservati
rispetto ai nonviventi.
Inoltre, alcuni studi hanno controllato per la frequenza d’uso dei concetti, e hanno trovato comunque
effetti categoriali.
Quindi tale associazione non è un artefatto di familiarità
Effetti di categoria riflettono una caratteristica reale dei sistemi semantici: Alcuni autori hanno attribuito
gli effetti di categoria alla similarità visiva tra elementi di una stessa categoria.
Gli animali sono più simili fra loro degli artefatti, e quindi più difficili da distinguere. Per questo sarebbero
più suscettibili al danno neurale.
Secondo Sartori e Job (1988), le operazioni semantiche sarebbero precedute da una descrizione strutturale
pre-semantica (più facile per i nonviventi): magazzini percettivi che contengono le forme percettive dei
concetti, ovvero come si presentano percettivamente.
Questa prima fase che specifica la forma di un concetto sarebbe più difficile per i concetti living che sono
più simili visivamente rispetto a quelli non living.
Anche questa teoria, però, non spiega la doppia dissociazione (peggiore prestazione per i concetti nonliving
rispetto a quelli living)
Ipotesi sensoriale-funzionale: WARRINGTON E MCCARTHY, 1987
L’associazione tra concetti living e non living dipende dal diverso modo in cui apprendiamo tali concetti e
quindi dalla diversa localizzazione dei concetti
Le dicotomie semantiche riflettono differenze nel modo di acquisizione dei concetti durante l’esperienza
(Warrington, 1981).
I concetti LIVING vengono conosciuti soprattutto in base alle proprietà sensoriali: colore, forma, profumo.
Saranno pertanto rappresentati soprattutto nelle aree che codificano tali caratteristiche.
I NON-LIVING vengono invece conosciuti soprattutto a partire dalla loro funzione. Saranno pertanto
rappresentati soprattutto nelle aree che codificano tale caratteristica (es. canali motori).
I deficit selettivi per i living rifletterebbero una selettiva compromissione di aree necessarie per la
rappresentazione di caratteristiche sensoriali; ci sarebbero canali selettivi per concetti living e nonliving.
1. Concetti nonliving conosciuti grazie a canali motori: dal lobo temporale verso lobi frontali -> la loro
rappresentazione è più distribuita nella corteccia e questo li rende più mantenibili.
2. Giro fusiforme -> concetti living
Quindi abbiamo aree diverse della corteccia in cui sono rappresentati i diversi concetti.
Viene descritto un ulteriore effetto categoriale, all’interno della categoria NON LIVING: peggior conoscenza
di oggetti inanimati grandi piuttosto che di oggetti inanimati piccoli. Quindi abbiamo peggior prestazione
dei living e nei nonliving una peggiore prestazione per i concetti grandi; questa ulteriore dissociazione
conferma tale ipotesi di Warrington perché i concetti grandi sono non manipolabili e quindi vengono
conosciuti grazie alle proprietà sensoriali, mentre quelli piccoli sono manipolabili e il soggetto può agire
sopra essi e quindi la rappresentazione poggia sui canali motori.
Gli inanimati grandi e quindi NON MANIPOLABILI vengono conosciuti soprattutto attraverso il canale
sensoriale, come i viventi.
Gli inanimati piccoli e quindi MANIPOLABILI vengono conosciuti soprattutto a partire dai canali motori.
Durante l’apprendimento dei concetti, il canale sensoriale e quello motorio hanno pesi diversi:
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- Gli oggetti living (ed i nonliving grandi) vengono conosciuti in base alle proprietà sensoriali, come
colore, forma, profumo.
- Prevalgono invece le proprietà funzionali per i nonliving piccoli: canali motori.
I concetti che dipendono da canali conoscitivi diversi verosimilmente hanno diversa localizzazione
cerebrale. A seconda della sede lesionale, si avranno deficit selettivi per le due categorie.
Categorie semantiche diverse vengono rappresentate da reti neurali parzialmente disgiunte: concetti
diversi si conoscono attraverso canali diversi.

109
Il linguaggio
Il linguaggio è un sistema di comunicazione che permette di trasmettere conoscenze (significati) da un
individuo all’altro, grazie ad un complesso repertorio di comportamenti (segnali parlati o scritti).
Si interfaccia con la memoria semantica perché usiamo questa memoria per esprimerci.
Si parla di diversi componenti di linguaggio (psicolinguistica cognitiva)
1. Fonologia: studio dei suoni di una lingua; es.: la “c” assume suoni diversi in base alle parole
2. Sintassi (o grammatica): regole che garantiscono la corretta combinazione delle parole, la loro
corretta terminazione, il loro corretto ordine nella frase.
3. Lessico: etichette linguistiche dei concetti
4. Semantica: concetti e significati delle parole.
il linguaggio traduce il significato semantico in una serie di stringhe organizzate e deve comprendere
stringhe lessicali interfacciate con un insieme di significati.
OGGI: Modello cognitivo del linguaggio: abbiamo due fasi ovvero quella in entrata e quella in uscita.
In fase di comprensione (entrata) abbiamo un’analisi uditiva delle stringhe (suoni) che sentiamo.
Questa analisi si interfaccia con il lessico fonologico di entrata; tale lessico fonologico di entrata è una
memoria delle immagini uditive (suono associato a parole conosciute: come suonano le parole conosciute);
se questa stringa di suoni che percepiamo,
corrisponde a una traccia lessicale ovvero a una
memoria per una parola conosciuta, si attiva il
lessico fonologico di entrata e quindi specifico
una stringa lessicale.
Attraverso il lessico fonologico di entrata accedo
al sistema semantico concettuale, quindi posso
capire il significato della parola conosciuta.
In uscita, ovvero quando produco linguaggio,
formulo il messaggio nel sistema semantico
concettuale (seleziono il significato); esso si
interfaccia con il lessico fonologico di uscita che
ha le tracce motorie delle parole conosciute, cioè
schemi di conversione della stringa lessicale in un
movimento preciso per produrre la parola che voglio dire (come muovo l’apparato facciale per produrre la
parola).
Nel lessico fonologico in entrata ci sono le immagini uditive delle parole che voglio dire; nel lessico
fonologico in uscita ci sono le immagini motorie delle parole, cioè come devo muovere l’apparto facciale
per produrre una determinata parola.
L’immagine motoria della parola viene realizzata trattenendo tutti i suoni in un buffer fonologico di uscita in
cui verrebbero legati insieme e pronunciati.
Quindi abbiamo un sistema semantico concettuale che si interfaccia con il lessico fonologico in entrata (per
la comprensione) ed in uscita (per la produzione).
In entrata, dopo essere state analizzate dai sistemi sensoriali, le stringhe fonemiche attivano un lessico
fonologico di entrata. Questo si interfaccia al sistema concettuale per attivare il significato attaccato a
quella specifica stringa lessicale.
In uscita, il sistema concettuale promuove la selezione, nel lessico fonologico di uscita, della stringa
lessicale relativa al concetto inteso. Questa viene mantenuta in un buffer di uscita per essere prodotta dai
centri di programmazione articolatoria.

110
Afasia
E’ la sindrome neuropsicologica del linguaggio. É un disturbo che coinvolge la produzione e la
comprensione del linguaggio, dei sistemi necessari per la comprensione e per la produzione del linguaggio
(sia verbale che scritto); ed è dovuta ad un danno cerebrale, in persone che avevano precedentemente
acquisito con successo la conoscenza dei fonemi, del lessico e della morfosintassi della propria lingua.
Le due componenti del deficit (produzione e comprensione) sono presenti in misura diversa a seconda del
tipo di afasia.
Come si fa a parlare di afasia? Abbiamo un danno funzionale del linguaggio acquisito in seguito a lesione
cerebrale in soggetti che prima avevano sviluppato un livello adeguato di linguaggio in relazione alla
condizione socio-culturale; l’afasia è solo un disturbo acquisito del linguaggio: le persone prima parlavano
bene e poi in seguito a lesione hanno perso tale capacità.
Inoltre la lesione deve essere focale: non diffusa ma discreta di un’area cerebrale che nei soggetti
destrimani si trova nell’emisfero sinistro in modo particolare e nei soggetti mancini, l’afasia corrisponde nel
70% dei casi a una lesione a sinistra.
Quindi lesione:
- focale
- a carico dell’emisfero sinistro
L’afasia è un problema selettivo con i messaggi verbali; essi possono utilizzare strategie di comunicazione
non verbale: possono disegnare, indicare, modulare la voce a seconda del messaggio che vogliono dare,
indicare, gesticolare. Quindi è selettivo per messaggi verbali tale deficit.
Inoltre abbiamo deficit articolatori (problemi negli organi che servono a parlare): disartria: lesioni che
impediscono di articolare i suoni (mettere la lingua in un determinato modo). La disartria può essere
associata all’afasia anche se rimangono dissociati.
Il circuito implicato nel linguaggio normale prevede:
- area di Broca: area del giro frontale inferiore di sinistra
- area di Wernicke: lobo temporale di sinistra
- fascicolo arcuato: serie di fibre che connettono le due aree precedenti
Primi modelli del linguaggio
Primi modelli del linguaggio che hanno portato a capire il circuito per la produzione linguistica:
- Broca nel 1861: descrive un paziente di 57 anni incapace di parlare ma in grado di comprendere;
riusciva solo a dire Tan e comprendeva tutto quello che gli si diceva. Lesione cerebrale causata da
una ciste nella terza convoluzione frontale dell’emisfero sinistro. Broca identifica questa come sede
della produzione del linguaggio (giro frontale inferiore di sinistra).
- Wernicke nel 1874: descrive un paziente che aveva lesione del lobo temporale di sinistra che
poteva parlare fluentemente e però non capiva quello che gli veniva detto: non eseguiva comandi;
questo è il deficit speculare di quello di Broca: non è capace di comprendere ma è capace di
produrre linguaggio. Questo tipo di afasia prevede che i pazienti producano un linguaggio fluente
senza capire ciò che viene detto.
Dopo queste scoperte, Wernicke elabora il primo modello: dicotomia per modalità.
Egli considera che il linguaggio abbia:
- area di Broca: contenute immagini motorie delle parole: istruzioni che servono a realizzare la forma
sono della parola; li chiama schemi di movimento per la produzione linguistica. Serve per produrre
parole
- area di Wernicke: contiene le immagini uditive delle parole; contiene gli schemi di traduzione per
comprendere le stringhe. Se una stringa di entrata di incontra con l’immagine uditiva, allora
comprendo la parola che viene detta
quindi l’afasia motoria consegue a lesioni dell’area di Broca (comprende il linguaggio ma non lo produce),
invece l’afasia sensoriale consegue all’area di Wernicke (non riesco a riconoscere a stringhe di suoni che
corrispondono a parole conosciute: produco linguaggio ma non lo capisco).

111
Egli riconosce un’altra afasia: afasia di conduzione quando si distrugge il fascicolo arcuato; in questo caso il
paziente comprende e produce il linguaggio ma non ripete ciò che gli viene detto perchè l’area uditiva non
comunica con l’area motoria
Modello di Lichteim: modello che ha
sistematizzato tutti i tipi di afasia
Il modello di Wernicke va bene ma si concentra
solo sugli aspetti sensorimotori del linguaggio e
ne trascura quelli cognitivi.
Lichtheim per primo collega aree motorie e
sensoriali con un’area dei concetti (area
semantica).
Modifica il modello di Wernicke e aggiunge un
centro dei concetti: è la nostra memoria
semantica che si interfaccia con un centro per la
rappresentazione uditiva (Wernicke) e motoria
(Borca) delle parole.
Per produrre il linguaggio, seleziono i concetti
nella memoria semantica e li passo al centro per la rappresentazione motoria delle parole: realizzo in forma
motoria il concetto specificato nella memoria semantica.
Il centro per la rappresentazione motoria delle parole contiene sia le modalità per realizzare il linguaggio
parlato sia la rappresentazione motoria delle parole scritte (come muovere la mano per descrivere la
parola). Il centro per la rappresentazione motoria si interfaccia con aree motorie primarie.
Il centro per la rappresentazione uditiva si interfaccia alle aree uditive primarie.
Quindi il modello è caratterizzato da 5 componenti fondamentali:
1. Centro dei concetti: è il centro della memoria semantica in cui attiviamo i significati che vogliamo
rendere in linguaggio)
2. Centro per la rappresentazione motoria delle parole: è il centro in cui viene descritta la modalità
con cui si traducono idee in pattern motori necessari per la loro articolazione in linguaggio;
chiamato lessico fonologico di uscita). Tale centro serve per pronunciare il linguaggio; qui ci sono gli
schemi per produrre parole sia in forma orale che in forma scritta e contiene gli schemi per
produrre parole sia con la mano che con l’apparato facciale. Tale centro si interfaccia con…
3. Aree motorie primarie: saranno diverse nel caso in cui voglia produrre linguaggio parlato o scritto
4. Centro per la rappresentazione uditiva delle parole che corrisponde all’area di Wernicke che è un
centro in cui ci sono le immagini sonore delle parole (lessico fonologico di entrata); è un centro in
cui ci sono gli schemi per l’appaiamento di stringhe sonore che vengono processate con degli item
lessicali conosciuti al fine di riconoscere una parola che è nella memoria lessicale. Tale centro serve
per comprendere il linguaggio: fa corrispondere stringhe sonore a memorie linguistiche. Questo
centro si interfaccia con…
5. Aree uditive primarie: processano i pattern sonori che corrispondono alle parole
Queste 5 componenti permettono di descrivere le 7 afasie descritte di seguito.
Questo modello rende ragione per più tipi diversi di afasia osservati: Come il modello spiega le diverse
afasie?
- Afasia motoria o di Broca: consegue alla distruzione del centro per la rappresentazione motoria
delle parole (schemi di movimento delle parole); i soggetti perdono gli schemi di movimento
necessari per tradurre il concetto in una parola e nella sua realizzazione sia verbale che scritta; non
possono produrre il linguaggio perché manca il sistema di conversione per trasformare la stringa in
movimento, ma comprendono il messaggio. Non riescono a ripetere queste parole perché manca il
centro per la rappresentazione motoria: non possono produrre linguaggio, non possono ripetere il
linguaggio ma possono comprenderlo. Tipicamente è compromessa anche la scrittura (traduzione
della parola in movimento per scrivere) perché gli schemi di movimenti necessari per realizzare una
parola scritta sono comunque contenuti nell’area di Broca, ovvero nello schema per la
rappresentazione motoria delle parole.
112
- Afasia sensitiva o di Wernicke: conseguente a una distruzione del centro per la rappresentazione
uditiva delle parole che sono schemi di traduzione dei suoni in parole conosciute; quando associo il
suono in entrata con stringhe allora riconosco la parola e accedo alla comprensione, ma tali
soggetti non possono comprendere il linguaggio perché non riescono ad analizzare la stringa
lessicale (non accoppiano le stringhe lessicali in entrata con un lessico fonologico di entrata delle
parole conosciute); inoltre non ripetono il linguaggio, ma possono parlare in maniera spontanea
che richiede l’attivazione di un’idea nella memoria semantica e mandarla al centro di
rappresentazione per le memorie (non analizzano in prima istanza la stringa fornita dall’esterno).
Questi pazienti non riescono a leggere perché non accoppiano le forme visive delle parole con le
parole conosciute. Possono parlare perché il linguaggio spontaneo viene deciso dal centro dei
concetti poi viene tradotto in pattern motori dal centro per la rappresentazione motoria delle
parole che è illeso; ma questi pazienti non ripetono e comprendono il linguaggio
- Afasia di conduzione: tali pazienti possono comprendere perché il suono che sentono può
corrispondere alla stringa lessicale conosciuta perché il centro di Wernicke è preservato; possono
produrre il linguaggio spontaneo attraverso le aree motorie; non possono ripetere quanto viene
loro detto perché c’è una compromissione della via che collega il centro per la rappresentazione
uditiva della parola con il centro per la rappresentazione motoria della parola
- Afasia transcorticale motoria: è lesa la via che connette il centro dei concetti al centro per la
rappresentazione motoria delle parole; il soggetto non attiva l’idea nella memoria semantica e
mandarla a tradurre nel centro di rappresentazione motoria della parola. Questi pazienti non
producono linguaggio spontaneo: non passano l’idea dalla memoria semantica (centro dei concetti)
alla traduzione a livello motorio; possono però comprendere il linguaggio perché il centro per la
rappresentazione uditiva è preservato e questi pazienti possono anche ripetere perché sia il centro
per la rappresentazione uditiva che quello per la rappresentazione motoria sono intatti. Rispetto
all’afasia di Broca, questi possono ripetere le parole
- Afasia transcorticale sensoriale: è interrotta la via che va dal centro per la rappresentazione uditiva
delle parole al centro dei concetti (centro semantico); analizzano correttamente le stringhe in
entrata (match tra suoni e stringhe conosciute), ma non interfacciano tale stringa con il significato;
quindi non comprendono il linguaggio (non associano il significato a una stringa lessicale
conosciuta) però possono ripetere non capendo quello che ripetono, perché il centro per la
rappresentazione uditiva è preservato ma disconnesso dal centro dei concetti. La differenza con
l’afasia di Wernicke sta nella ripetizione: quello con afasia di Wernicke non può ripetere
- Afasia subcorticale motoria: sono lese le vie che connettono il centro per la rappresentazione
motoria delle parole con le aree motorie primarie che realizzano il linguaggio; i soggetti non
possono produrre linguaggio parlato spontaneo ma possono scrivere (non è lesa la via che connette
il centro per la rappresentazione motoria delle parole dalle aree motorie relative alla mano; le
immagini motorie sono preservate). Hanno le immagini motorie delle parole però non riesce a
passare tali schemi alle aree per la produzione linguistica delle parole; a differenza di quello con
afasia di Broca, possono scrivere ma non parlare
- Afasia subcorticale sensoriale: sono lese le vie che connettono il centro per la rappresentazione
uditiva delle parole con le aree uditive primarie; è compromessa la comprensione e la ripetizione
ma possono leggere perché la forma visiva della parola è preservata. E’ sovrapponibile al paziente
con afasia di Wernicke perché non può comprendere, non può ripetere ma può produrre linguaggio
spontaneo.
Tale modello per la sua semplicità è tutt’ora un punto di riferimento e spiega diverse afasie ma non
localizza il centro dei concetti; serve per la diagnosi differenziale tra le diverse afasie soprattutto per la
prova di ripetizione che distingue molti tipi di afasia con caratteristiche simili.
Tale centro viene identificato da Geschwind nel lobo parietale di sinistra.
Modello di Geschwind: Enfatizza il ruolo del lobo parietale posteriore nella rappresentazione
multisensoriale dei concetti e del lessico.
Area di convergenza multimodale, permette l’associazione fra caratteristiche visive, uditive e tattili che
caratterizzano un concetto e ne favoriscono la denominazione
113
Afasie transcorticali = Sindrome da isolamento delle aree del linguaggio.
Area di Broca e Wernicke intatte ma disconnesse da aree multimodali parietali sinistre.
Ciò lascia intatta la ripetizione, ma causa un deficit di comprensione dei concetti e di denominazione degli
oggetti.
Lurija
Basandosi sull’evidenza clinica, introduce:
1. Afasia amnesica (o anomica): lesione della corteccia temporo-parietale mediale, perdita del valore
semantico delle parole; il soggetto ha tempi lunghi per scegliere la parola da esprimere. Capisce
quanto gli viene detto ma non trova le parole precise per esprimersi
2. Afasia dinamica: lesione prefrontale; difficoltà ad iniziare qualsiasi tipo di comportamento, fra cui il
linguaggio spontaneo. Hanno un deficit nell’iniziare comportamenti pianificati e nell’organizzare
pensieri da esprimere in forma verbale
3. Allo stesso modo Lurija nota come pazienti frontali non sanno organizzare il proprio pensiero in un
linguaggio interno, non sanno darsi delle istruzioni (linguaggio < - > pensiero).
Dall’analisi sindromica all’analisi funzionale
Dopo avere visto che le caratteristiche teoriche delle varie afasie, vediamo ora nel concreto come si
presentano tali pazienti.
Una cosa che stupisce quando si vedono pazienti veri è che nell’afasia di Broca la comprensione non è
perfetta e nell’afasia di Wernicke la produzione non è perfetta.
La dicotomia fra comprensione e produzione è insufficiente.
Quello che è vero è che l’afasia di Broca non è fluente e l’afasia di Wernicke è fluente, perché il paziente
non ha problemi a parlare.
Questa mancata pulizia nella dicotomia tra produzione e comprensione è dovuta al fatto che il modello di
Lichteim prende in analisi solo il lessico e le componenti lessicali e semantiche del linguaggio.
I modelli precedenti quindi si focalizzano su lessico e semantica trascurando fonologia e morfosintassi; tali
aspetti sono compromessi nella comprensione del paziente con afasia di Broca e nella produzione del
paziente con afasia di Wernicke. Questo rende la dicotomia meno pulita di quanto vorrebbe il modello di
Lichteim.
Studi neuropsicologici dimostrano che i disturbi nei diversi livelli funzionali del linguaggio (fonologia,
lessico, semantica e sintassi) sono dissociati.
Quindi è necessario per poter descrivere tutti gli aspetti delle afasie concentrarsi anche sugli aspetti
fonologici e sintattici dei pazienti.
Fonologia
Lo studio della fonologia del linguaggio è lo studio dei suoni caratteristici di un determinato linguaggio; la
competenza fonemica è quella che ci permette di conoscere quale sia il suono che deve assumere una
determinata lettera in un contesto rispetto ad un altro, ovvero in una parola rispetto ad un’altra.
FONEMA = unità sonora (senza significato) di una parola., es. il fonema /C/. La competenza fonemica
prevede che si sappia che “c” suona diversamente nella parola “cinema” e nella parola “casa”, perchè gli
organi fonatori devono assumere diverse posizioni a seconda del contesto in cui ci troviamo.
C’è una competenza fonologica in entrata cioè nella comprensione dei fonemi della propria lingua e una
competenza fonologica in uscita ovvero nella produzione dei fonemi della propria lingua.
I pazienti con afasia hanno disturbi fonemici specifici sia in comprensione che in produzione; i disturbi
fonemici in produzione, cioè nella produzione del linguaggio, si chiamano parafasie fonemiche che sono
errori in cui all’interno di una parola o di una frase si sostituiscono o si omettono dei suoni particolari.
Disturbi fonemici: produzione
Parafasie fonemiche = Sostituzioni, omissioni, ripetizioni, o aggiunte di fonemi all’interno di una parola o
frase. Sono parole alterate per il sovvertimento, sostituzione o alterazione dei fonemi all’interno della
parola; es. di omissione: tavolo -> avolo; sostituzione: tavolo -> mavolo
Se le parafasie fonemiche sono molte si arrivano a produrre parole irriconoscibili (neologismi) o anche
discorsi del tutto incomprensibili (gergo fonemico).
114
Nota sulla presentazione clinica: caratteristiche:
- Alcune parafasie fonemiche sono estremamente vicine ai fonemi bersaglio (camicia – capicia):
tendenzialmente somigliano alle parole bersaglio; il paziente ha la rappresentazione della parola
ma non riesce a renderla dal punto di vista esecutivo
- I pazienti sono consapevoli delle loro difficoltà\errori e fanno tentativi di avvicinamento alla parola
bersaglio (conduite d’approche fonemica, es. pesta-> penta -> penna); questo processo per cui il
paziente si avvicina progressivamente alla parola bersaglio prevede che il paziente si approcci e si
avvicini alla parola target progressivamente
- Quando il paziente si accorge di allontanarsi dalla parola bersaglio, tipicamente interrompe i suoi
tentativi nella ricerca lessicale: hanno un’idea del target bersaglio a cui vogliono arrivare
questi 3 comportamenti fanno pensare che questi pazienti abbiano una rappresentazione corretta della
forma fonologica di una parola che vogliono pronunciare ma che non sappiano realizzarla. Quindi la
parafasia fonemica è un disturbo dell’implementazione dei fonemi necessari per realizzare la parola
conosciuta ma non c’è nessun problema per la rappresentazione; tale disturbo affligge l’area per le
immagini motorie delle parole mentre è preservata la rappresentazione corretta dei suoni che deve
realizzare (ma non riesce a convertirli nel pattern motorio necessario).
Tali parafasie fonemiche sono presenti soprattutto nei pazienti con afasia di Broca.
Disturbi fonemici: ricezione
I disturbi fonemici possono essere presenti nella produzione, come errori di pronuncia dovuti al
cambiamento o omissione di suoni, ma anche nella ricezione ovvero in entrata possono esserci problemi a
comprendere i fonemi della lingua; ad esempio ci possono essere problemi a distinguere suoni simili.
Quindi gli afasici hanno disturbi anche a livello di ricezione: Impossibilità di distinguere fra fonemi e di
individuare fonemi.
Es. dire che T e D sono diversi, o distinguere le parole caSta\caRta; in questo caso bisogna accertarsi che il
disturbo sia di produzione o di comprensione.
Come si distingue un disturbo fonemico in entrata vs. uscita?
Se vi è un disturbo fonemico in entrata (es. deficit di discriminazione di fonemi), il deficit di ripetizione non
si accompagna a deficit es. di denominazione di figure o di lettura ad alta voce, perchè in questi casi non si
passa per il lessico fonologico di input; il soggetto sbaglia a comprendere fonemi in entrata ma non sbaglia
a produrre fonemi.
Al contrario, se il danno è al lessico o al buffer fonemico in uscita, il deficit di ripetizione si accompagna a
deficit in tutte le prove che richiedono come output finale la pronuncia di parole ad alta voce.
Quindi possiamo fare prove di produzione o di comprensione dei fonemi.
Quindi possiamo avere disturbi della comprensione di fonemi o nella produzione di fonemi.
Disturbi semantico-lessicali: Produzione
Ci sono poi disturbi del livello semantico lessicale (oltre a quelli fonologici).
Lessico: componente della memoria semantica e corrisponde alle stringhe lessicali che corrispondono ai
concetti da noi conosciuti ovvero le parole.
Se il paziente è lessicale avrà perso la capacità di associare un concetto all’item lessicale corrispondente a
quel concetto; questo lo si trova nel linguaggio e nella produzione attraverso dei deficit caratteristici che si
chiamano deficit di denominazione e anomie.
Deficit di denominazione: incapacità di produrre il nome corretto di un oggetto, presentato generalmente
in modalità visiva (ma deficit rilevabile anche in altre modalità) o su descrizione verbale; si chiede di dare un
nome all’oggetto e il paziente non riesce a nominarlo perché manca la parola.
Anomia: incapacità di produrre il nome di un oggetto in un contesto di discorso spontaneo; è il disturbo
semantico-lessicale in produzione che viene chiamato anomia nel linguaggio spontaneo. Sono quelle
situazioni nella quali il paziente, mentre sta parlando, manca di una parola e ha tempi lunghi di ricerca e
sbaglia nel dire la parola.
Gli errori che caratterizzano il livello semantico lessicale si chiamano parafasie semantiche: sono situazioni
in cui il paziente sostituisce la parola che ha in mente con una parola che ha qualche relazione con la parola

115
target; quando il paziente non trova la parola, cerca di sopperire al deficit con circonluzioni o di avvicinarsi
progressivamente alla parola target (conduite d’approche semantica).
Possiamo avere:
1. Parafasia Semantica: il paziente sostituisce la parola cercata con una parola sovraordinata (posata
per forchetta), coordinata (coltello per forchetta), o vagamente associata (pranzo per forchetta,
ferro per forchetta).
2. Parafasia verbale: il paziente sostituisce del tutto una parola con un’altra parola che non ha
nessuna relazione con la parola bersaglio (oggi è veramente una bella samba! anziché giornata).
3. Se nel discorso prevalgono le parafasie semantiche si parla di gergo semantico.
tipicamente questi pazienti cercano di sopperire al deficit attraverso le circonluzioni, ovvero i pazienti
tendono ad aggirare il deficit esprimendo il concetto (anziché attraverso la parola target) utilizzando giri di
parole. Anche in questo caso abbiamo la conduite d’approche semantica: tende ad avvicinarsi nei suoi
tentativi alla parola target, quindi ha un’idea ma non riesce a selezionarla nel modo corretto all’interno del
lessico e quindi accede a una parola vicina nel lessico.
Si accede a qualcosa vicino al target non dal punto di vista fonologico ma dal punto di vista semantico.
Nel discorso del paziente con parafasia semantica possono essere talmente presenti le parafasie
semantiche che non si riesce più a capire il discorso del paziente e in tal caso si parla di gergo semantico per
distinguerlo dal gergo fonologico.
Le parafasie semantiche sono presenti talvolta nei pazienti con afasia di Wernicke, quindi se hanno
linguaggio fluente, spesso l’accesso al lessico che fanno non è un accesso perfetto: selezionano parole
relate a quelle che intendevano ma non sono le parole target.
Disturbi semantico-lessicali: Comprensione
I disturbi semantico-lessicali in produzione sono spesso legati a disturbi in comprensione.
Quando il paziente li ha entrambi e quindi ha leso sia il lessico in entrata che quello in uscita allora il
paziente ha un problema nell’organizzazione centrale del lessico (problema nell’accedere sia in entrata che
in uscita al lessico fonologico).
Per scoprire il deficit semantico-lessicali nella comprensione, servono test che richiedono al soggetto di
indicare fra degli oggetti quello pronunciato dall’esaminatore (name to picture matching).
NB: In questo caso, però, il paziente può fallire sia per un deficit semantico-lessicale, sia per un deficit
fonologico (in entrata) =>... se noi pronunciamo un item lessicale e chiediamo la comprensione, questa
comprensione può fallire per un disturbo semantico lessicale (non riconosco la stringa) ma anche per un
disturbo fonologico in entrata (non capsico i suoni).
Nel caso siano riscontrati deficit di comprensione, per disambiguare si fa selezionare l’oggetto nominato fra
1. Esemplari fonologicamente simili (pane, cane, rane) -> se sbaglia solo qui, deficit fonologico: se il
paziente ha un disturbo di comprensione fonologico in entrata allora sbaglia quando i distrattori sono simili
dal punto di vista fonologico;
2. Esemplari semanticamente simili (pane, pasta, pizza, cereali) -> se sbaglia qui, deficit semantico-lessicale:
non distingue item simili dal punto di vista semantico.
Per poter parlare di disturbo semantico- lessicale devono essere presenti nel paziente sia disturbi nella
produzione lessicale (anomie e parafasie semantiche) che nella comprensione di singole parole.
Solo in questa caso si parla di disturbo di organizzazione centrale del lessico.
Disturbi sintattico-grammaticali
Colpiscono l’uso delle ’parole-funzione’, ovvero morfemi grammaticali liberi (articoli, preposizioni) e
morfemi grammaticali legati a radici (prefissi e suffissi); quindi affliggono articoli, preposizioni, prefissi,
congiunzioni, avverbi che definiscono il ruolo tematico di una parola in una frase e che permettono di
comprendere la struttura grammaticale della frase
Distruggono la generazione e la comprensione della struttura sintattica della frase.
Vengono studiati attraverso l’analisi del linguaggio spontaneo o di compiti quali narrazione di storie e
descrizione di figure.
Si evidenziano:
1. Agrammatismo: omissione di parole-funzione
116
2. Paragrammatismo: sostituzione di parole-funzione; omettono le desinenze finali dei verbi, gli
articoli, oppure usano verbi senza coniugarli. I pazienti omettono (Boy RUN) o sostituiscono (io
CORRERE) flessioni verbali o parole funzione.
Presentazione clinica: errori tipici dei pazienti con agrammatismo o paragrammatismo
- I pazienti non coniugano i verbi: Io ANDARE
- I pazienti nominalizzano i verbi: Mi voglio sedere -> Mi voglio SEDIA
- I pazienti non tengono conto del maschile\femminile, singolare\plurale: Giorgia e Maria sono
andati al mare
- I pazienti sbagliano l’ordine delle parole nelle frasi in relazione al ruolo tematico -> paziente: Un
bambino insegue un cane (role reversal error): sbagliano l’ordine del soggetto e del complemento
oggetto; non sanno organizzare l’ordine della frase dal punto di vista grammaticale
La produzione agrammatica e paragrammatica è una produzione di tipo telegrafico, cioè i pazienti
accorciano tipicamente le frasi; vengono omesse parole-funzioni e questo rende le frasi incomprensibili.
Disturbi della comprensione degli elementi grammaticali
Vengono studiati attraverso il Token Test (test dei Gettoni), ideato da De Renzi; usato per testare se i
soggetti possono disambiguare il significato delle frasi attraverso l’uso della grammatica.
20 gettoni di plastica, posti sul tavolo di fronte al soggetto secondo una disposizione fissa, che variano per:
- Forma (quadrati e cerchi)
- Colore (bianco, nero, rosso, giallo, verde)
- Dimensioni (grandi e piccoli)
Inizialmente ci sono ordini semplici:
- Tocchi un cerchio
- Tocchi gettone nero
- Tocchi il cerchio rosso ed il quadrato verde
- Tocchi il cerchio bianco grande ed il quadrato verde piccolo
- Tocchi tutti i cerchi eccetto quello verde
poi vengono dati ordini complessi dal punto di vista grammaticale:
- Metta il cerchio rosso su quello verde
- Invece del quadrato bianco tocchi il cerchio giallo
- Prima del quadrato giallo tocchi quello verde.
- Tocchi il quadrato giallo oppure quello rosso
In questo test, l’interpretazione della frase è resa possibile da preposizioni/congiunzioni/avverbi.
Ovviamente anche un disturbo semantico lessicale rende impossibile fare le azioni (e.g. se uno non sa più
cos’è un quadrato), ma i comandi semplici servono per accertarsi che questo non sia il caso.
Un altro modo è quello di testare la comprensione delle frasi passive:
(1) Pietro ha colpito Maria
(2) Pietro è stato colpito da Maria
Afasici: in più del 50% dei casi i soggetti afasici non distinguono (2) da (1); non comprendono le forme
passive dei verbi.
In questo caso, la comprensione della frase è resa possibile unicamente dalla comprensione di morfemi
grammaticali.
Una dissociazione che si trova in tali pazienti con disturbi grammaticali riguarda le frasi passive che sono
semanticamente reversibili o semanticamente irreversibili. Alcune frasi se vengono girate hanno senso
mentre altre no; i pazienti con tale deficit si devono appellare alle conoscenze grammaticali che se sono
colpite rendono incomprensibili le frasi.
Interpretazioni del disturbo semantico
Prima interpretazione: si basa sul fatto che i pazienti afasici in generale hanno un linguaggio telegrafico e
quindi tendono a produrre meno linguaggio (soprattutto nelle afasie non fluenti) e questo meno linguaggio
si traduce nell’evitare di produrre parole che non siano parole contenuto, ovvero quelle che servono a
veicolare un messaggio; pronunciano solo quelle che servono e quindi taglierebbero le parole non

117
necessarie come le parole funzioni (congiunzioni). E’ un’interpretazione basata sull’economia da sforzo. Il
paziente per compensare il deficit produrrebbe frasi più telegrafiche possibile (economia da sforzo).
Però, il fatto che sbaglino anche nella comprensione di strutture sintattiche fa pensare ad un disturbo
centrale nell’elaborazione della sintassi.
Siccome il problema c’è anche in produzione, questo tipo di interpretazione basata sull’economa da sforzo
non è tenibile completamente e si pensa che ci siano stadi di pianificazione del linguaggio.
Seconda interpretazione: il modello di Garrett per la produzione frasale ritiene che ci siano diversi livelli
nella produzione della frase:
- un livello del messaggio in cui viene selezionato il messaggio che si vuole veicolare nel centro dei
concetti
- un livello funzionale in cui si scelgono le parole contenuto: parole chiave per veicolare il messaggio
- livello posizionale in cui si decide la forma delle parole e la loro relativa posizione nelle frasi che
darebbe vita alla struttura sintattica della fase
- realizzazione fonetica delle frasi
- rappresentazione motoria o articolazione delle frasi
i pazienti con disturbo grammaticale avrebbero dei deficit selettivamente nel livello posizionale in cui si
pianifica e specifica la forma esatta della parola e la sua posizione nella frase in relazione al ruolo.

Una volta affrontata oltre alla memoria semantica, anche i disturbi fonologici e grammaticali nell’afasia,
come possiamo reinterpretare le dicotomie tra afasia di produzione e comprensione che non sono così
pulite come specificato nel modello di Lichtein; cosa resta della dicotomia vista?
Le sindromi afasiche descritte sono
1. Afasia di Broca
2. Afasia di Wernicke
3. Afasia di conduzione
4. Afasia Transcorticale Motoria
5. Afasia Transcorticale Sensoriale
6. Afasia Subcorticale mot. e sens.
7. Afasia Anomica
8. Afasia Globale
quello che resta è una dicotomia basata sull’eloquio spontaneo ovvero una dicotomia tra afasie fluenti e
non fluenti:
- Afasia fluente: come afasia di Wernicke, afasia di conduzione, transcorticale sensoriale,
subcorticale sensoriale con afasia anomica; caratteristiche:
. Relativa abbondanza dell’eloquio
. Frasi relativamente lunghe
. Prosodia conservata
. Articolazione non difficoltosa
sono quelli che non hanno lesione nella parte produttiva del linguaggio: il centro per le immagini
motorie e vie di connessione tra centro delle immagini e aree motorie sono libere; hanno
linguaggio spontaneo e fluente
- Afasia non fluente: lese alcune delle componenti per la produzione linguistica: afasia di Broca,
transcorticale motoria, subcorticale motoria e afasia globale
. Riduzione dell’eloquio
. Frasi brevi
. Prosodia alterata (alterazione del ritmo e del pattern di intonazione della frase)
. Articolazione difficoltosa
. Linguaggio incerto e problemi di articolazione linguistica

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Afasia di Broca
Di solito consegue a lesioni dell’area di Broca (BA 44 e 45) ma anche delle aree frontali circostanti (BA
6,8,9), della sostanza bianca sottostante e dei gangli della base.
Lesioni confinate all’area di Broca danno un quadro leggero e transitorio.
Produzione:
- è il prototipo di Afasia non fluente: diminuzione dell’eloquio spontaneo, anche se riesce a farsi
capire e molte parafasie fonemiche.
- Agrammatismo (omettono le parole funzione) e linguaggio telegrafico (“amico andare casa”).
- Ripetizione (problemi di articolazione) e lettura compromesse
- Selezione di parole contenuto OK (no disturbo del lessico): selezionano gli item lessicali nel modo
giusto (e poi magari li pronunciano nel modo sbagliato)
Comprensione
- Comprende bene le frasi semplici a livello sintattico ma NON LE FRASI COMPLESSE
SINTATTICAMENTE, per esempio passive e reversibili; problemi nella comprensione della sintassi.
Afasia di Wernicke
Lesioni dell’area di Wernicke ma anche VPC (lobo parietale inferiore) e materia bianca circostante.
Produzione
- è il prototipo dell’Afasia fluente (talvolta paziente addirittura logorroico), MA POCO
COMPRENSIBILE a causa di parafasie semantiche (nella produzione possono accedere a item
lessicali che non sono quelli target ma vicini ad essi), neologismi, gergo neologistico -> linguaggio
fluente, veloce, logorroico ma con problemi di comprensione per chi ascolta
- Fonologia OK, talvolta paragrammatismo.
Comprensione
- Gravi problemi sia nella comprensione di frasi che di singole parole.
- Il grave deficit semantico-lessicale rende difficile testare il livello sintattico
- Lettura spesso compromessa (soprattutto se la lesione interessa molto il giro angolare)
Afasia globale
Lesioni cerebrali estese che coinvolgono lobo frontale, temporale e parietale dell’emisfero sinistro.
Produzione
- Quadro sindromico simile a Broca e Wernicke
- afasia non fluente (nella maggior parte dei casi del tutto abolito), stringato e telegrafico. Suoni
sillabici e stereotipie (e.g, la stessa frase “mio dio” ripetuta continuamente).
- Parafasie fonemiche e semantiche, neologismi
- Ripetizione compromessa (nessuna risposta o neologismi).
Comprensione
- Grave compromissione della comprensione di frasi (come nell’afasia di Broca) ma anche di singole
parole.
- Possibilità di capire solo pochi nomi o verbi.
- Nel tempo, il deficit di comprensione tende a scomparire (gli afasici globali diventano afasici di
Broca)
- grave deficit di comprensione e di produzione
Afasia di conduzione
Lesioni di: Fascicolo arcuato, giro sopramarginale (BA 40), e sostanza bianca sottostante; Corteccia insulare
e sostanza bianca sottostante.
Produzione
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- Afasia fluente, linguaggio abbastanza comprensibile
- Parafasie fonemiche, di cui il paziente è consapevole e che cerca di correggere (conduite
d’approche)
- Problemi gravi di ripetizione
- Problemi di lettura.
Comprensione: OK
Afasia transcorticale motoria
Dovuta a lesioni delle cortecce frontali superiori, compresa la supplementare motoria.
Produzione
- Simile a Broca: Eloquio spontaneo non fluente, e agrammatico (manca di preposizioni che
specificano il messaggio), ricco di parafasie fonemiche
- MA ripetizione e denominazione preservate
Comprensione OK e Lettura OK.
Afasia transcorticale sensoriale
Produzione
- Simile a Wernicke
- Eloquio fluente, ma ricco di parafasie fonemiche e semantiche e gergo neologistico.
- Ripetizione OK (ripete frasi che non capisce)
Comprensione
- Grave compromissione, non associa suono a significato
- Scarsa comprensione anche di ciò che si legge.
Afasia anomica
Descritta da Lurja come incapacità a selezionare le parole giuste per produrre linguaggio.
Lesioni:
- Polo temporale sinistro (nomi propri)
- Tutta la porzione anteriore del polo temporale sinistro (BA 20 e 21)
Produzione
- Fluente, ma eloquio interrotto da anomie (per nomi propri e comuni o solo per i nomi propri).
- Le anomie si manifestano in
1. Pause anomiche = momentanee interruzioni del discorso
2. Circonluzioni = cerca un modo di descrivere il concetto di cui non recupera il nome
3. Produzione di parole generiche (cosa, affare)
Comprensione
- Solitamente buona, come la ripetizione e la scrittura.
- Raramente problemi nella comprensione di nomi.

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Disturbi del linguaggio scritto: dislessia e disgrafia
Il disturbo neuropsicologico della lettura è la dislessia.
Dislessia acquisita: è un disturbo delle procedure di lettura (decodifica dei segni scritti nei corrispondenti
fonologici) conseguente a insulto cerebrale, nonostante istruzione e contesto socioculturale fossero prima
della lesione normali.
Non hanno la capacità di associare il percetto ortografico al suo significato e alla sua rappresentazione
fonologica.
Alessia pura senza agrafia
- Lettura compromessa
- Scrittura intatta
- Pazienti che possono scrivere ma non leggere quanto hanno scritto
- Linguaggio spontaneo intatto
- Comprensione e ripetizione intatte
- Denominazione (from picture) parzialmente compromessa: non associano un nome a un percetto
I pochi casi descritti hanno una lesione delle aree visive sinistre (non ricevono informazioni visive) e dello
splenio del corpo calloso (che permette il passaggio delle info tra emisferi).
Le aree del linguaggio che sono a sinistra non ricevono info visiva, perché le aree visive sinistre sono
distrutte e le destre sono isolate (sindrome da disconnessione).
Spesso infatti non riescono a denominare oggetti presentati visivamente.
Le aree del linguaggio però sono intatte, per cui il soggetto può parlare e può scrivere.
E’ una sindrome psicologica molto rara.
Più comunemente i disturbi della lettura compaiono insieme ad altri disturbi, fra cui
- Disturbi della scrittura
- Disturbi di tipo afasico
Modelli cognitivi della lettura: Il modello a due vie
La teoria cognitiva della lettura postula che abbiamo due vie per la lettura; Postula l’esiste di due
strategie/vie di lettura:
1. Fonologica o indiretta
2. Lessicale o diretta
La procedura fonologica prevede che ci sia la lettura di una parola con codifica di una lettera alla volta e
viene composta una parola decodificandola lettera per lettera; c’è un iniziale fase di analisi visiva poi
abbiamo la segmentazione grafemica (parola segmentata nelle diverse lettere che la compongono), poi c’è
la conversione di ogni segmento fonemico in un segmento grafemico e poi c’è l’assemblaggio fonemico
dove ogni suono viene assemblato con gli
altri suoni; il buffer fonologico tiene tutti i
suoni che compongono la parola attivi nello
stesso momento così che la parola possa
essere prodotta.
Quindi traduco ogni lettera nel suono e
pronuncio tutti i suoni e quindi la parola.
La procedura diretta o lessicale prevede che
ci sia una prima fase di analisi visiva
grafemica; poi questo percetto accede a un
lessico ortografico di entrata in cui ci sono le
immagini visive delle parole che conosco. Il
lessico ortografico ha tutte le immagini visive
delle parole per cui so come è scritta la parola
“casa” a livello ortografico. Quando si attiva la
forma visiva, si riconosce la parola conosciuta e si accede al sistema semantico; quindi si accede al lessico
fonologico di uscita che associa al significato l’immagine della parola. Quindi devono essere parola

121
conosciute perché devo conoscere come sono scritte e
da come scritte accedo al significato e quindi alla
realizzazione sonora.
Strategie di lettura
- La via lessicale si usa per leggere parole note
velocemente (i lettori esperti usano
principalmente questa via), e per leggere parole
irregolari (che si pronunciano in modo diverso
da come appaiono scritte; es.: parole inglesi)
- La via sublessicale o fonologica viene attivata
nella lettura di parole non conosciute, di non
parole, di parole di altra lingua; sono parole che
non corrispondono al lessico fonologico di
entrata, quindi vengono decodificati tutti i
grafemi e faccio un assemblaggio
Il nostro cervello riesce a leggere un testo in cui le parole sono modificate a livello di scrittura, a patto che la
prima e l’ultima lettera siano nella posizione corretta.
Le Dislessie
Sono state suddivise in:
- Dislessie periferiche (relative all’analisi della forma visiva della parola scritta)
- Dislessie centrali (relative all’elaborazione del suono\significato della parola scritta)
Dislessie periferiche (relative all’analisi della forma visiva della parola): l’incapacità di leggere dipende da
un problema percettivo a monte:
1. Lettura lettera-per-lettera
2. Dislessia attenzionale
3. Dislessia da Neglect
Dislessie centrali (relative all’elaborazione del suono\significato delle parole): distrutte le procedure che
permettono di associare a livello linguistico una forma al suo suono e al suo significato.
1. Dislessia Superficiale
2. Dislessia Fonologica
3. Dislessia Profonda
4. Dislessia Diretta
Lettura lettera-per-lettera
Il paziente riesce a leggere solo ricostruendo la parola partendo dalle singole lettere che la costituiscono.
Per leggere libro, farà: L -I -B -R -O, libro.
Tempi di lettura lunghissimi, e incapacità di modificare il suono di una lettera a seconda del contesto. Ad
esempio: SCiarpa vs Scala; le “c” suon ano in modo diverso in queste parole.
Consegue a lesioni posteriori sinistre.
Interpretazione:
- Hp 1. SIMULTANEO-AGNOSIA: incapacità di integrare diversi elementi percettivi in una unità
coerente. MA: questo non succede con materiale che non siano lettere, tipo disegni.
- Hp 2. LIVELLO DELLA FORMA VISIVA DELLA PAROLA: deficit del sistema che categorizza visivamente
le lettere e le organizza in serie.
- Hp 3: ENTRAMBI. Làdavas e di Pellegrino mostrano 2 diverse categorie di pazienti con lettura
lettera-per-lettera:
a. Un gruppo ha simultanagnosia ma intatto riconoscimento di lettere presentate singolarmente
(migliorano se le lettere sono presentate consecutivamente nella stessa posizione spaziale).
b. Altri avevano riconoscimento di singole lettere deficitario (non simultanagnosia) (non
migliorano se le lettere sono presentate consecutivamente nella stessa posizione spaziale).

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Lettura lettera per lettera: Elaborazione implicita.
Alcuni dei pazienti con lettura lettera-per-lettera, pur non riuscendo a leggere la parola dimostrano di avere
accesso a informazioni di tipo semantico (per esempio, vivente\non vivente).
Succede solo a quelli con disturbo percettivo di singole lettere, non a quelli con simultanagnosia. Questo
viene interpretato nel seguente modo: nel primo caso la struttura globale della parola, sebbene degradata,
sarà presente, e sufficiente per attivare il lessico ortografico di entrata.
La lettura lettera per lettera dipende da due fattori: problema percettivo nel riconoscere le lettere oppure
nell’incapacità di ricostruire il percetto globale per un problema di simultanoagnosia.
Dislessia attenzionale
Pazienti in grado di leggere parole presentate singolarmente ma non all’interno di un testo. Gli stessi
pazienti possono essere in grado di leggere una parola ma non le lettere che la costituiscono, i.e., alessia
letterale. Esempio:
Ho preso la sedia per sedermi? NON legge la parola sedia
Sedia? OK
Sedia? NON legge singolarmente la lettera e
RtfGhmd?NO -> non riesce a leggere la lettera g all’interno di una serie di lettere perché sono simili
Sedia G martello ? OK (categoria diversa) -> legge una letera inserita in una serie di parola
è un deficit che porta il paziente a non selezionare in una serie di stream lo stimolo rilevante per il soggetto
Interpretazione
- Disturbo dell’attenzione selettiva, che permette la selezione dello stimolo di interesse e della sua
posizione spaziale all’interno di ‘distrattori’ simili.
- Senza questo processo la forma della parola non può essere ricostruita.
- Consegue a lesioni parietali sinistre.
Dislessia da neglect
Il paziente fa errori nella lettura delle parti iniziali (neglect sinistro) o finali (neglect destro) della parola.
Esempio: LETTO diventa
ETTO = errore di omissione
TETTO = errore di sostituzione
Tali pazienti mostrano di avere preservate delle caratteristiche della lettura:
- Effetto lunghezza: Nelle sostituzioni, il paziente tende a fornire una parola di lunghezza simile alla
parola bersaglio.
- Effetto semantico: Se si chiede al paziente di classificare una parola come vivente\non vivente, il
paziente ha prestazione paragonabile a quella dei controlli, anche se non è capace di leggere la
parola.
Questi effetti fanno supporre che il paziente possa accedere a conoscenze relative alle parole, anche se non
può leggerle. Accede da un percetto (rappresentazione ortografica) degradato, ma esistente => La via
lessicale funziona. Producono un percetto sufficiente per attivare il lessico ortografico di entrata: la via
lessicale funziona in tali pazienti; essi non riescono a leggere delle non parole che non hanno
corrispondenza nel lessico di entrata, quindi la via più impattata n tale sindrome è quella fonologica in cui
bisogna leggere grafema per grafema
Quindi il disturbo ha un impatto forte sulla via FONOLOGICA: a causa dei deficit di attenzione spaziale, i
pazienti hanno una rappresentazione degradata della stringa di lettere (ne perdono alcune).
Quindi la via fonologica, che ricostruisce la parola a partire dalla conversione grafema-fonema, non può
funzionare.
Infatti, il deficit è maggiore per le non-parole, che possono essere lette solo attraverso la via fonologica.
Dislessia superficiale
In questa tipo di dislessia è lesa la via lessicale per la lettura.
E’ possibile utilizzare solo la via fonologica, di trasformazione grafema- fonema.
Caratteristiche:
- Pazienti generalmente lenti a leggere

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- buona capacità di lettura di parole regolari e non-parole (attr. via fonologica);
- errori di regolarizzazione delle parole irregolari, che si possono leggere solo con la via lessicale (e.g.,
each);
- errori nella lettura di parole straniere (jeans)
usano solo la via fonologica: leggono parole regolari e non parole; fanno errori nella lettura di parole
straniere.
Dislessia fonologica
La via fonologica (grafema- fonema) è distrutta e Rimane solo la via lessicale.
Caratteristiche:
- Non leggono le non-parole e le parole nuove, che possono essere lette solo usando la via
fonologica;
- Possono compiere errori morfologici (parlavo-parlo: accedere a un item simile a quello desiderato),
errori visivi (cane-pane: si accede a un item simile dal punto di vista visivo) e derivazionali (andava-
andato). Tali errori sono prova che stanno usando l’accesso lessicale nella lettura (accede a parole
con ortografia simile).
- Lesioni del lobo parietale e temporo-occipitale sinistro.
Interpretazioni
1. Disturbo al livello della segmentazione grafemica: > difficoltà a scindere i grafemi che compongono
la parola.
2. Disturbo al livello della conversione grafema-fonema: sceglie fonemi sbagliati (d vs. t).
3. Disturbo dell’assemblaggio dei fonemi in una parola unica.
4. Disturbo del buffer fonologico: in questo caso il deficit di lettura si 3 associa a quello di ripetizione e
scrittura, in quanto tutti i compiti richiedono di mantenere informazione fonemica
temporaneamente.
Dislessia profonda
Disturbo di entrambe le vie per la lettura: sia fonologica che lessicale:
- I soggetti non leggono le non-parole, come nel caso della dislessia fonologica (di cui questa è
probabilmente una variante più grave)
- ma commettono molti errori anche nel leggere le parole: errori di tipo semantico, ovvero accedono
a parole semanticamente relate a quelle target
- In particolare, fanno errori semantici (che non sono presenti nella dislessia fonologica), ovvero
“leggono” una parola relata semanticamente alla parola target; es.: anziché leggere “scrive”, legge
“leggere”
gli errori semantici distinguono la dislessia profonda da quella fonologica; qui c’è un disturbo della via
fonologica associato a un disturbo della via lessicale.
Gli errori di tipo semantico si spiegano con un possibile “concomitante” disturbo della via lessicale:
l’accesso al lessico è possibile ma è meno preciso: si accede ad una parola vicina a quella bersaglio, non alla
parola bersaglio.
Probabilmente disturbi afasici concomitanti (del livello semantico- lessicale).
Dislessia diretta
Pazienti capaci di leggere, anche parole irregolari (=> via lessicale OK) e le non- parole (=> via fonologica
OK), ma che non comprendono quanto letto.
Infatti: Non sono nemmeno capaci di accoppiare una parola scritta con la figura corrispondente.
Disturbo spesso associato a problema di comprensione orale del linguaggio (afasie transcorticali).
Interpretazione:
- Siccome riesce a leggere parole irregolari e non parole la via fonologica e la via lessicale sono in
parte preservate
- si pensa che in questi pazienti vi sia un accesso diretto dalla rappresentazione ortografica al
magazzino fonologico, by-passando il sistema semantico.

124
Le disgrafie
Incapacità acquisita di recuperare l’ortografia (forma scritta corretta) di una parola conosciuta e di costruire
la forma ortografica di una parola non-familiare o di una non parola.
Sono spesso associate alle dislessie.
Anche qui si pensa esistano due vie:
1. procedura fonologica: traduzione fonema
per fonema; avviene un’analisi acustica
fonetica, poi la parola viene messa in un
buffer fonologico e c’è poi una
conversione del segmento fonemico in un
segmento grafemico; successivamente si
avrà la produzione scritta della parola. Si
associa ad ogni suono il corrispondente
grafema e poi si scrive
2. procedura lessicale: iniziale analisi
acustica fonetica e si accede a un lessico
fonologico di entrata per cui si attiva la
forma fonologica di una parola conosciuta;
si accede al sistema semantico e poi si
accede a un lessico ortografico di uscita in cui ci sono tutte le memorie per come rappresentare va
livello ortografico una stringa conosciuta (forma motoria); tale forma motoria viene passata al
buffer grafemico dove viene realizzata la forma di scrittura
Le disgrafie centrali: Disturbo a livello delle strutture semantiche, sintattiche e fonologiche che permettono
di recuperare l’ortografia di una parola conosciuta e di costruire la forma ortografica di una parola non
conosciuta o di una nonparola.
Non si riesce a derivare la forma grafemica astratta della parola da scrivere.
Originano principalmente da lesioni del giro angolare e giro sopramarginale di sinistra.
Le disgrafie centrali
1. Disgrafia lessicale
2. Disgrafia fonologica
3. Disgrafia profonda
4. Deficit del buffer grafemico
Disgrafia lessicale
Risulta lesa la procedura semantico-lessicale per la scrittura.
I pazienti possono usare solo la via fonologica (conversione fonema-grafema).
Fanno errori nella scrittura di parole irregolari, che regolarizzano (monsieur -> messieu).
Bene le regolari e le non parole.

Disgrafia fonologica
E’ lesa la procedura fonologica: i pazienti non traducono un suono conosciuto in una stringa ortografica.
I pazienti possono usare solo la via lessicale (recupero della forma ortografica di parole conosciute): sanno
scrivere parole conosciute ma non parole sconosciute o non parole.
Non sono più in grado di scrivere non parole, mentre sanno scrivere parole conosciute sia regolari che
irregolari.
Disgrafia profonda
Caratteristiche:
- Stessi sintomi della disgrafia fonologica: non possono scrivere parole irregolari e parole straniere

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- Errori ortografici, paragrafie semantiche: fanno errori nello scrivere le parole note dovuto al
problema della via lessicale attraverso la quale accedere all’item giusto (scrivono parole
semanticamente legate)
- Compromissione di entrambe le vie. In particolare, della via lessicale sembrano lese le connessioni
fra il livello ortografico e quello semantico, per cui si accede alla rappresentazione di una parola
vicina semanticamente a quella bersaglio.
Deficit del buffer grafemico
Serve per mantenere in MBT la rappresentazione grafemica della parola.
Un suo danno si evidenzia in una incapacità di scrivere sia parole che non parole in ogni modalità.
Tale deficit si manifesta come incapacità di mantenere nella MBT i grafemi da realizzare che verranno
sostituiti o omessi.
Deficit del buffer grafemico: 4 criteri per riconoscerlo
1. Errore sia con parole che non-parole.
2. Lettere corrette ma la loro combinazione è ortograficamente illegale e non giusta.
3. Effetto di lunghezza (peggio con parole lunghe): più la parola è lunga e più si verificano errori
Dislessie periferiche
Disgrafia allografica: Compiono errori nella scelta dello stile e della forma e spesso li alternano, e.g., Libro,
caRamella.
Disgrafia motoria: Compiono errori nella selezione delle operazioni motorie per ciascun allografo.
Sostituzione di lettere simili dal punto di vista visuo- percettivo (b vs. d).
Questi sono errori che appartengono agli ultimi stadi della lettura, dove bisogna selezionare cosa scrivere.

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