Sei sulla pagina 1di 12

NEUROPSICOLOGIA DELLA COSCIENZA

Il problema della definizione del termine coscienza deriva dalle posizioni di filosofi e
neuroscienziati riguardo alla possibilità di un approccio scientifico allo studio dei processi
consapevoli -> queste posizioni sono state influenzate dalla contrapposizione cartesiana tra mente
e corpo, secondo cui l’uomo sarebbe costituito da due sostanze distinte:
1. res extensa-> materia dotata di estensione spaziale (corpo, cervello);
2. res cogitans -> sostanza priva di estensione, dotata dell’attributo del pensiero.
Secondo questa visione lo studio delle caratteristiche meccaniche del cervello è completamente
indipendente e svincolato dallo studio psicologico relativo agli stati mentali => i contenuti della
coscienza sono esplorabili con metodi non attinenti all’osservazione e allo studio del mondo fisico,
ma attraverso lo sguardo interiore.

Metà 800 -> si fa strada l’idea che sia possibile lo studio scientifico dei contenuti della coscienza,
grazie a Wundt, secondo cui in particolari circostanze è possibile esplorare i contenuti di coscienza,
considerati come oggetti di osservazione scientifica. Le condizioni in cui è possibile questa
ricognizione sono quelle realizzate dal metodo introspettivo.

Nonostante l’impronta di Wundt, l’esplorazione empirica della coscienza subì un brusco arresto con
l’avvento del comportamentismo, che rifiutò l’introspezione come metodo di conoscenza.

-> Anche recentemente, molti autori rifiutano lo studio scientifico della coscienza; è possibile
raggruppare queste voci in tre principali posizioni:
1. dualismo interazionista: gli eventi relativi alla mente e gli eventi relativi al corpo vanno
considerati come stati ontologicamente autonomi e distinti, ma in qualche modo interagenti
(posizione ancora dulista) => questo non permette di identificare un rapporto causale tra cervello e
coscienza o di spiegare la natura del1' eventuale interazione tra due realtà non direttamente
confrontabili.
2. Autori che basano la propria critica sulla convinzione che le metodologie naturalistiche non
saranno mai in grado di cogliere gli aspetti fondanti dell’esperienza soggettiva, poichè gli aspetti
qualitativi della coscienza non sono aggredibili con i metodi delle scienze naturali, gli eventi
coscienti rimarrebbero impenetrabili alla validazione scientifica.
3. Forme di epifenomenismo: autori che rifiutano le prerogative causali della coscienza o la sua
stessa esistenza. Pur riconoscendo la natura fisica e materiale dei fenomeni che darebbero origine
alla coscienza sensoriale, la considerano come la risultante delle attività cerebrali di cui il nostro
cervello è capace, ma non le attribuiscono alcuna funzione causale sul comportamento.

Cos’è la coscienza
- Il termine coscienza viene spesso usato in modo funzionalista: considerato equivalente a concetti
come attenzione, memoria, linguaggio, meccanismo di controllo.
- Secondo altre interpretazioni, la coscienza dipende da ciò che riusciamo a elaborare
nell'immediato basandoci sui dati dell'esperienza passata.
- Per altri ancora la coscienza coincide con la possibilità di interpretazione linguistica degli eventi
elaborati da moduli sensoriali cognitivi e distribuiti nel cervello.
- In altri casi viene usato con riferimento al vissuto esperienziale del soggetto.

Per un certo periodo, gli studi psicologici e neuropsicologici si sono concentrati sulla ricerca del
paradigma sperimentale più affidabile per provare la presenza di elaborazione non consapevole
dell' informazione. Alcuni approcci si basano sul resoconto personale del soggetto che, sottoposto
a un determinato quadro di stimolazione, riferisce di essere consapevole di alcuni eventi e non di
altri -> ma il resoconto soggettivo è spesso criticato, sia da un punto di vista metodologico (non
fornisce una misura oggettiva della consapevolezza) sia concettuale (non è chiaro quale aspetto
della coscienza sia valutato), anche se una parte della comunità scientifica ha comunque deciso che,
pur tenendone presente i limiti, i resoconti soggettivi possono essere trattati come dati. Altri
approcci, che in certe situazioni non escludono il ricorso ai resoconti soggettivi, prevedono l'uso di
espedienti metodologici che si affidano a misure di consapevolezza indirette, ma più quantificabili e
oggettive.

Neuropsicologia della coscienza


La neuropsicologia è la scienza che si è posta il fine di ricostruire una mappa del sistema cognitivo
partendo da una mancanza limitata di funzionalità: il termine allude allo scopo della disciplina di i
definire le basi neurali (neuro) dei processi cognitivi (psicologia). Questo approccio ha permesso di
svelare l' esistenza di attività cognitive isolabili funzionalmente e anatomicamente e di suggerire,
quindi, una struttura modulare o quasi-modulare del sistema cognitivo.
Una svolta si ebbe grazie quando gli studi sui pazienti con lesioni cerebrali di diversa eziologia
mostrarono che la coscienza è danneggiabile non solo in modo pervasivo, come nel coma, ma anche
in modo selettivo e specifico, dando origine ai comportamenti sorprendenti e controintuitivi: una
delle prime patologie che rivelò la complessità e l’inattesa struttura multiforme dei processi
consapevolezza è la sindrome dello split-brain (o sindrome da disconnessione
interemisferica)-> che ha fortemente messo in discussione l’unitarietà dell’io. È dovuta alla
lesione del corpo calloso, utilizzata per trattare gravi epilessie insensibili all’assunzione di farmaci.

-> La sezione chirurgica del corpo calloso non provoca danni corticali: i centri sensoriali, motori e
associativi, deputati all’elaborazione delle info e alla produzione di risposte, non vengono
direttamente danneggiati dall’intervento. Nella vita quotidiana dei pazienti, le info provenienti
dall’ambiente esterni raggiungono, nella maggior parte dei casi, entrambi gli emisferi.
I comportamenti controintuitivi si osservano quando vengono adottati accorgimenti sperimentali
con lo scopo di mantenere segreta l’informazione a un sono emisfero.
In condizioni normali, l’informazione, una volta raggiunto un emisfero, viene trasferita
all'emisfero opposto attraverso il corpo calloso. In casi di pazienti con spli-brain->
quando una parola (per esempio, cucchiaio) viene presentata nell'emicampo visivo sinistro
(emisfero dx, che non è in grado di produrre linguaggio) il paziente dice di non aver visto
nulla. La mano sinistra comandata dal cervello destro è però in grado di scegliere l'oggetto
corrispondente alla parola proiettata.

Questi comportamenti dimostrano che, anche se il soggetto non è in grado di verbalizzare ciò che ha
visto, una parte del suo cervello destro possiede l'informazione corretta perchè capace di
identificare gli oggetti che il pz dice comunque di non aver visto.

Modalità sensomotorie -> il confronto tattile bimanuale è impossibile nei pazienti split-brain, in
quanto hanno perso la possibilità di giudicare l'uguaglianza o la differenza tra due oggetti posti
contemporaneamente nelle mani, poiché la sezione del corpo calloso impedisce non solo il
trasferimento dell'informazione visiva, ma anche lo scambio delle informazioni somatosensoriali.
In ambito motorio, i pz non sono capaci di mostrare con la mano sinistra dei gesti di uso comune
(ciao, ok), soprattutto se richiesti verbalmente-> perchè le memorie motorie dei gesti con significato
sarebbero depositate nell' emisfero sinistro, le cui conoscenze non sono accessibili alla mano
sinistra.

Modalità uditiva-> la rappresentazione corticale dei suoni è bilaterale, quindi l’identificazione e la


comprensione di stimoli uditivi presentati in entrambe le orecchie non è compromessa. Solo
attraverso l’ascolto dicotico, che prevede la presentazione simultanea di due diversi stimoli, uno
all'orecchio destro e uno all'orecchio sinistro, è possibile dimostrare una sindrome da
disconnessione interemisferica anche nella modalità uditiva; in questo caso lo stimolo che viene
presentato all'orecchio destro viene immediatamente ripetuto, mentre lo stimolo presentato
all'orecchio sinistro non viene rilevato (soppresso)-> questi effetti sembrano essere dovuti al fatto
che la stimolazione simultanea sopprime la via uditiva ipsilaterale, facendo rimanere attiva solo la
via controlaterale. Quindi anche la via uditiva si trova nella condizione di segregazione dell’info a
un solo emisfero.

Comportamento spontaneo -> raramente nella vita quotidiana, i pz presentavano comportamenti


contraddittori e conflittuali nel dominio motorio, oppure nelle dissociazioni tra azioni compiute
dalla mano sx (emisfero dx) e il commento verbale su quelle azioni (emisfero sx). Il fenomeno
dissociativo più sorprendente è il conflitto intermanuale: una mano compie un’azione e l’altra vi si
oppone.

Conflitto cognitivo -> È sempre stato molto difficile verificare se l’emisfero dx e sx possedessero
«opinioni» diverse riguardo alla stesso stimolo. Ricercatori hanno identificato un pz che aveva
sviluppato, prima dell’intervento, delle competenze linguistiche sofisticate anche nell’emisfero dx.
Questo permise di proporre ad entrambi gli emisferi domande su argomenti diversi:
I ricercatori chiesero all’emisfero sx cosa gli sarebbe piaciuto essere: il pz risposte un
corridore automobilistico; quando la stessa domanda benne fatta al dx, il pz rispose un
grafico. Allo stesso modo venne chiesto ai due emisferi di dare un giudizio su alcuni
avvenimenti del tempo: curiosamente, diedero risposte opposte.

Un altro aspetto sorprendente del conflitto cognitivo di pz con split-brain venne evidenziato in uno
studio in cui ad un pz venivano presentate delle immagini, contemporaneamente ai due emisferi, e il
pz doveva indicare con la mano dx e sx, figure che avevano un legame logico con le immagini:
Campo visivo sx (emisfero dx)-> viene presentata l’immagine di una nevicata -> mano sinistra
(governata dall’emisfero dx) -> indicava una pala.
Campo visivo dx (emisfero sx) -> viene presentata una zampa di gallina -> mano destra (emisfero
sx) -> indica una gallina.
-> L’emisfero sinistro però sa solo di aver visto una zampa di gallina, e di fronte alla scelta della
mano sinistra sulla pala, dovrebbe stupirsi e chiedersi il perchè di quella scelta. Invece l’emisfero sx
del pz tendeva ad assumersi la responsabilità dell’azione della mano, utilizzando l’unica info
disponibile (l’immagine della zampa) dicendo che la mano sx aveva scelto la pala perchè è uno
strumento che si usa in un pollaio => questo comportamento verbale, definito confabulazione,
dimostrerebbe che l’emisfero dx non solo è in grado di essere “consapevole”, ma sarebbe in grado
anche di formulare delle ipotesi riguardo alle azioni prodotte dal soggetto.
-> Il taglio callosale impedirebbe all'emisfero sinistro di ricevere l'ipotesi formulata dall'emisfero
destro. L'emisfero sinistro formulerebbe, allora, una propria interpretazione di ciò che vede,
rendendola coerente con le uniche informazioni che ha a disposizione.

Comprensione della causalità-> I pazienti split-brain offrono la possibilità di studiare quali sono i
processi implicati nella costruzione di un'inferenza causale e di comprendere se al raggiungimento
consapevole della percezione di causalità concorrono le attività di entrambi gli emisferi.
Percezione della causalità e inferenza della causalità in due pazienti split-brain.
Esperimento di collisione: gli stimoli sono tre pannelli che rappresentano il movimento di
una palla A verso un'altra palla B e il successivo movimento di B. Il movimento delle due palle
poteva essere contiguo sia nello spazio che nel tempo, oppure vi poteva essere un piccolo
intervallo spaziale o temporale. In entrambi i pazienti valutati, l'emisfero destro aveva delle
prestazioni migliori dell'emisfero sinistro nel giudicare la natura causale della collisione.
Esperimento dell'inferenza causale: gli stimoli consistono nella presentazione sequenziale
di quattro pannelli (1-4) e di uno stimolo di riferimento. Le frecce indicano a ogni
presentazione il movimento di uno o di entrambi gli stimoli in diversi toni di grigio.
Il movimento di uno stimolo accendeva a ogni prova il quadrato sottostante. Nella terza
presentazione il quadrato non veniva illuminato. Dopo aver osservato quattro interazioni tra
stimoli colorati e accensione dei quadrati, i soggetti dovevano giudicare se lo stimolo di
riferimento era quello che aveva causato l'illuminazione dei quadrati. In entrambi i pazienti
valutati, l'emisfero sinistro era meglio del destro nel compito inferenziale.

I dati mostrano che l’emisfero sx è in grado di trarre delle inferenze, ma non coglie l’aspetto causale
del compito percettivo; mentre il dx è in grado di conoscere la natura causale, ma non è capace di
trarre delle inferenze => Queste osservazioni implicano che la comprensione della causalità non sia
un processo unitario, ma che causalità percettiva e causalità inferenziale dipendano da processi
distinti e implementati in aree cerebrali diverse.
Studi con risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che all'interno dei compiti di
percezione di causalità, le aree del lobo temporale sono sensibili alle manipolazioni temporali,
mentre le aree parietali sono sensibili alle manipolazioni spaziali.

Autoconsapevolezza e autoriconoscimento -> molti studi di neuroimmagine funzionale


suggeriscono un forte coinvolgimento dell'emisfero sinistro nell'elaborazione della memoria
autobiografica, un'ipotesi possibile potrebbe essere che l'emisfero destro sia legato al
riconoscimento delle identità altrui, mentre l'emisfero sinistro sia responsabile del riconoscimento
del proprio volto e quindi di un tratto fondamentale del sé.

Implicazione per gli studi sulla coscienza -> Le osservazioni sulle diverse forme di
consapevolezza che derivano dai pazienti spli-brain a seconda dell’emisfero interrogato, hanno
contribuito a far rinascere l’interesse per la natura e la struttura dei processi coscienti.

Esempi di sindromi neuropsicologiche caratterizzate da elaborazione


senza consapevolezza, conseguenti a danni cerebrali ->

Blindsight -> (visione cieca). Articolo -> Il fenomeno del Blindsight, tradotto dall’inglese
“visione cieca”, si riferisce alla capacità di un soggetto di saper localizzare uno stimolo visivo nello
spazio, seppur situato in una zona di assoluta cecità del suo campo visivo. In altre parole,
l’individuo percepisce in maniera inconsapevole la presenza di un oggetto nello spazio, ma di fatto
non lo vede.
Basi neurobiologiche -> Il Blindsight è una sindrome neuropsicologica causata da una lesione che
distrugge un’area circoscritta della corteccia visiva primaria (area V1 o area 17), causando uno
scotoma, ovvero una zona di cecità all’interno del campo visivo. Nonostante tale cecità venga
sperimentata in modo cosciente dal soggetto, questo tipo di lesione non altera la capacità di
localizzare gli stimoli nello spazio.
I primi a descrivere questo fenomeno furono Poeppel, Held e Frost, che nel 1973 condussero un
esperimento con quattro pazienti che presentavano scotomi all’interno dei campi visivi, con lo
scopo di studiare la loro capacità di localizzare stimoli bersaglio posti nell’area scotomatica. Dopo
aver accuratamente mappato il campo visivo di ciascun occhio per definire con esattezza l’area
cieca, ai partecipanti fu chiesto di mantenere gli occhi su un punto fisso e, solo alla comparsa dello
stimolo, di “indovinare” la sua posizione direzionando lo sguardo verso di esso. Dato che i pazienti
non erano in grado di “vedere” lo stimolo a cui dovevano rispondere, la comparsa di quest’ultimo è
stata associata ad un segnale acustico che aveva la funzione di segnalare al paziente quando
muovere gli occhi. Dai risultati dello studio è emersa una rilevante correlazione tra la posizione
dello stimolo bersaglio e la direzione degli occhi dopo la stimolazione; pertanto il movimento
oculare dei soggetti risultava appropriato, nonostante non avessero consapevolezza della presenza
dello stimolo.

La spiegazione di questi risultati risale agli anni 1968 e ‘69, quando Trevarthen (1968) e Schneider
(1969) avanzarono la teoria dei due sistemi visivi. Secondo gli autori infatti, esistono due sistemi
visivi deputati a due funzioni diverse: il primo, il sistema retino-genicolo-striato, si occupa
dell’identificazione degli oggetti, mentre il secondo, il sistema retino-collicolo-extrastriato, si
occupa della localizzazione degli stimoli nello spazio. Nel caso di pazienti con blindsight, è la
prima via ad essere distrutta dalla lesione, mentre la seconda rimane intatta rendendo accessibile,
seppur in forma inconsapevole, l’informazione circa la posizione degli oggetti nello spazio.

Diversi studi confermano questa teoria. Nel 1986, Weiskrantz pubblica una monografia basata
sull’osservazione del fenomeno del blindsight in un paziente che si era sottoposto ad una rimozione
quasi completa del lobo occipitale destro, a causa di un tumore ivi localizzato. L’asportazione aveva
provocato un’emianopsia sinistra quasi completa, quindi con conseguente comparsa di uno scotoma
nella parte inferiore sinistra del campo visivo. Anche in questo caso, è stato chiesto al paziente di
indicare attraverso il movimento oculare la posizione di uno stimolo presentato nella zona
scotomica, riscontrando, come negli studi precedenti, una correlazione tra direzione dello sguardo e
posizione dello stimolo. Inoltre, quando al paziente è stato chiesto di localizzare lo stimolo anche
manualmente, indicandolo puntando con il dito, la correlazione risultava essere più alta. Nonostante
la precisione dei risultati, il soggetto riferiva di non vedere assolutamente nulla, e che aveva
solamente “indovinato”. Successivamente, Corbetta e collaboratori (1990), grazie a uno studio
condotto su quattro pazienti affetti da emianopsia, hanno dimostrato che la capacità di localizzare
manualmente uno stimolo posto nella zona scotomica veniva mantenuta solo se al paziente era
permesso di dirigere anche lo sguardo verso l’area del campo visivo stimolata; quindi il fenomeno
del blindsight non si verifica se il soggetto mantiene lo sguardo sul punto di fissazione mentre
indica manualmente la posizione dello stimolo.

Un’importante scoperta deriva dallo studio di Mohler e Wurtz (1977), che hanno addestrato delle
scimmie (macachi Rhesus) con scotoma ad eseguire movimenti oculari verso uno stimolo
presentato nella loro area cieca. Questi esercizi hanno generato un parziale recupero della sensibilità
visiva in quell’area dello scotoma, per cui la scimmia era stata addestrata a eseguire movimenti
saccadici. Gli stessi ricercatori hanno poi dimostrato come tale recupero parziale della funzione sia
mediato dal ruolo del collicolo superiore: provocando una lesione a quest’ultimo infatti, il deficit si
ripresentava. Basandosi su questo studio, Zihl e Von Cramon (1985), hanno addestrato 55 pazienti
con scotoma utilizzando gli stessi esercizi: i risultati, nella maggior parte dei casi, sono stati
favorevoli. Gli autori hanno ipotizzato una possibile riattivazione del tessuto nervoso che era stato
danneggiato in modo reversibile; mentre nei casi dei pazienti che non avevano beneficiato degli
esercizi, il recupero della funzione era stato impedito dall’irreversibilità dei danni nel tessuto
nervoso coinvolto.

Recentemente (Berti, 2010), si è scoperto che oltre alla localizzazione degli stimoli nello spazio, i
soggetti con blindsight riescono a distinguere lunghezze d’onda diverse, valutare la direzione dei
bersagli in movimento e discriminare l’inclinazione di linee. Uno dei soggetti con blindsight più
ampiamente studiati (Weiskrantz et al., 1991), riferiva di avere una certa “consapevolezza” di ciò
che accadeva nel suo campo visivo affetto da cecità; ed effettivamente questa sensazione coincideva
con la presentazione di uno stimolo in rapido movimento in quell’area. Se invece lo stimolo si
muoveva lentamente, il paziente non riferiva più la sensazione di consapevolezza. Successivamente,
Sahraie e collaboratori (1997) hanno analizzato, attraverso risonanza magnetica funzionale, quali
aree del cervello del paziente si attivavano a seguito della presentazione di stimoli in movimento,
rapidi e lenti, nel suo campo visivo cieco; quindi secondo la modalità consapevole e inconsapevole.
Quando lo stimolo veniva presentato in rapido movimento, nella modalità consapevole, risultava
un’attivazione dell’area 46 di Brodmann nell’emisfero destro, e delle aree 18 e 47 in entrambi gli
emisferi. Mentre quando lo stimolo veniva presentato in lento movimento, si è registrata
un’attivazione del collicolo superiore, di alcune aree frontali mesiali e dell’area 19 ipsilaterale alla
lesione. È importante notare che l’area 46 si è attivata anche a seguito della stimolazione del campo
visivo intatto, e ciò fa presupporre il coinvolgimento di quest’area nei processi di elaborazione
cosciente. La corteccia visiva secondaria invece (aree 18 e 19 di Brodmann), risulta attiva in
entrambe le condizioni suggerendo che, nonostante sia necessaria per l’elaborazione visiva, non è
sufficiente ad innescare l’elaborazione consapevole. Infine, la stimolazione del campo visivo intatto
ha determinato l’attivazione di una zona frontale chiamata Frontal Eye Field (FEF), che potrebbe
avere un ruolo nella distinzione tra la visione normale e la “consapevolezza” di ciò che accade nel
campo visivo cieco. Secondo gli autori dello studio, il passaggio dalla modalità consapevole a
quella non consapevole sottintende un trasferimento dell’attivazione dalle zone frontali al collicolo
superiore (zone sottocorticali).

Gli studi condotti nell’ambito della visione cieca hanno permesso non solo di comprendere meglio
la struttura e le funzioni del sistema visivo, ma anche di esplorare i confini della coscienza,
spianando la strada verso una possibile spiegazione dei processi di elaborazione inconscia.

Prosopoagnosia -> il pz è inacapace di riconoscere i volti di persone note, persino quelli dei
familiari; nei casi più gravi neanche il proprio volto allo specchio. Può essere dovuto a:
- lesioni unilaterali dell' emisfero dx o lesioni bilaterali delle zone postero-inferiori degli emisferi,
soprattutto del giro fusiforme.
- legato a un fattore genetico: nella prosopoagnosia evolutiva non vi sono lesioni corticali evidenti,
anche se ultimamente si è accennato alla possibilità di un danno della sostanza bianca di
connessione del giro fusiforme.
Al contrario di ciò che accade nell’agnosia visiva per gli oggetti (il pz non riconosce gli oggetti
come tali), nella prosopoagnosia il pz sa che sta guardando un volto, ma non sa a chi appartiene.
Tali pz sono consapevoli del loro disturbo e lo descrivono dicendo che i volti hanno perso le
caratteristiche pregnanti che ne permettono l'identificazione.
-> Nonostante il pz non riconosca i volti, è possibile dimostrare che l’info relativa a quelli stessi
volti non è andata perduta ->
Sono stati utilizzati test di conduttanza cutanea, che permettono di identificare risposte
inconsapevoli (generate dal sistema nervoso autonomo) a svariati stimoli: vengono registrate
le modificazioni di conduttività elettrica della pelle in relazione a piccoli aumenti o
diminuzioni della produzione di sudore da parte delle ghiandole endocrine sottocutanee->
più alta è la produzione di sudore, maggiore sarà la conduttanza cutanea registrabile. NB: il
soggetti non è consapevole dei minimi cambiamenti di sudorazione.
Si è scoperto che dopo pochi secondi dalla presentazione di immagini di volti, si osserva un picco
nella conduttanza cutanea, rispetto alla condizione di riposo, e questo picco è più accentuato se i
volti sono noti Questo effetto è stato sfruttato per valutare se nei pazienti prosopoagnosici ci fosse
una diversa risposta di conduttanza cutanea tra la presentazione di volti noti e di volti sconosciuti.
Sorprendentemente, tali pz presentavano una risposta cutaneo galvanica aumentata alla
presentazione di volti noti, dimostrando di avere un riconoscimento implicito.

Sindrome di Capgras -> secondo alcuni ricercatori è la condizione speculare rispetto alla
prosopoagnosia; il riconoscimento implicito è alterato, ma il riconoscimento percettivo è intatto.
Questa condizione psichiatrica si può osservare all'interno di un complesso quadro schizofrenico
oppure come conseguenza di traumi cranici o patologie neurologiche degenerative, in cui i pz
riconoscono i volti delle persone, ma sostengono che sono in realtà degli impostori.
Ciò che accomuna le due patologie, è che in entrambi i casi ciò che viene colpito è l'estrazione di un
significato consapevole da una «normale elaborazione» del percetto -> la percezione e il
riconoscimento dei volti rimangono intatti, ma ciò che verrebbe danneggiato dalla lesione cerebrale
è il processo di attribuzione della componente «affettiva» a un'immagine normalmente percepita:
così il volto che il pz ha di fronte viene classificato come conosciuto, ma poichè quel volto ha perso
ogni valenza emotiva, non viene attribuito alla persona a cui di fatto appartiene. Da qui la
convinzione del soggetto che il volto appartenga a un impostore.
-> Nel test della stimolazione galvanica, mentre soggetti normali e prosopagnosici mostravano una
risposta cutaneo galvanica normale (maggiore per i volti noti rispetto ai volti sconosciuti), i pazienti
con sindrome di Capgras mostravano lo stesso livello di attivazione per entrambi gli stimoli (il loro
sistema non presentava la normale reazione di attivazione ai volti conosciuti).
La mancanza di risposta cutaneo galvanica dipenderebbe da un'interruzione del processo che va
dallo stadio della risposta affettiva ai meccanismi più periferici di produzione della risposta
autonomica.

Neglect (o negligenza spaziale unilaterale) -> è una sindrome che ha contribuito in modo
sostanziale a svelare la possibilità che in seguito a una lesione cerebrale la consapevolezza possa
essere danneggiata in modo selettivo. Il paziente ignora, parzialmente o del tutto, gli stimoli
presentati dell’emispazio controlaterale alla lesione (solitamente situata nell’emisfero dx).
Volpe e LeDoux studiarono 4 pz con una forma lieve di neglect, conosciuta come estinzione visiva
con lo scopo di evidenziare la possibilità di una elaborazione senza consapevolezza -> quando a
questi pz venivano presentati due stimoli simultaneamente nei due campi visivi, riferivano di aver
visto solo lo stimolo destro (emicampo non corrispondente all’emisfero lesionato) -> dopo chiesero
ai pz di dire se i due stimoli fossero uguali o diversi,seppur questi confermassero di non vederli,
venivano indotti a “indovinare”, e la loro accuratezza era elevatissima =>Questo provava che,
nonostante l'apparente «cecità» per uno dei due stimoli, il sistema visivo li elaborava ugualmente.
TUTTAVIA
lo studio illustrato non distingueva tra livelli di elaborazione, in quanto gli stimoli erano disegni
molto semplici che potevano essere giudicati sulla base di caratteristiche molto elementari, che non
riguardavano il significato reale di quanto veniva elaborato.
Così -> studio di Berti ->
Ai pz dovevano dire se due figure presentate a dx e sx appartenevano o no alla stessa
categoria di oggetti; in questo esperimento però venivano presentate foto che potevano
essere:
a. stesso oggetto dalla stessa prospettiva;
b. stesso oggetto ma prospettiva diversa;
c. oggetti fisicamente diversi ma appartenenti alla stessa categoria;
d. oggetti simili fisicamente ma appartenenti a categorie diverse;
e. oggetti completamente diversi.
In questo modo è possibile distinguere tra elaborazione di basso livello (vengono analizzate
solo le caratteristiche fisiche dello stimolo) ed elaborazioni di più alto livello.
Hp: se il pz pur non consapevole della presenza e dell’identità degli stimoli sx, li avesse
elaborati, avrebbe dovuto presentare giudizi corretti => in effetti, la paziente con estinzione
visiva a cui venne proposto il test rispose in modo corretto anche nelle condizioni c e d,
mostrando che gli stimoli ignorati potevano raggiungere un livello di elaborazione molto
elevato. Il disturbo cominciava, così, a configurarsi come un disordine della consapevolezza
dominio-specifico, poiché la mancata risposta esplicita non dipendeva da una mancata
elaborazione sensoriale o categoriale, bensì dal fatto che mancava la coscienza per il prodotto
dell'elaborazione di quel processo.
Nel 1988 venne pubblicato uno studio di Marshall e Halligan che suggeriva un'elaborazione
implicita di alto livello anche nella condizione di neglect conclamato.
Anna Berti, mise a punto degli esperimenti volti a distinguere l'elaborazione implicita basata solo su
caratteristiche superficiali dello stimolo dall'elaborazione implicita innescata dalla comprensione,
per quanto inconsapevole, utilizzando due paradigmi sperimentali affidabili ed efficienti:
- Paradigma del priming categoriale: sfruttando l’effetto del priming facilitante (condizione che
si verifica quando le risposte a uno stimolo visivo vengono accelerate o facilitate dalla precedente
apparizione di un primo stimolo che per qualche caratteristica, è in relazione con lo stimolo a cui il
soggetto deve rispondere), ad un gruppo di pz con neglect, venivano presentati a dx e sx disegni di
oggetti appartenenti alle categorie di animali e frutta. Lo stimolo prime presentato nel campo visivo
affetto da neglect e poteva essere:
- congruente-> facilitante che apparteneva alla stessa categoria dello stimolo bersaglio;
- non congruente -> non apparteneva alla stessa categoria.
Il paziente doveva semplicemente risppndere, premendo uno di due pulsanti, se la figura presentata
a dx era un animale o un frutto.
Hp:se gli stimoli presentati nel campo visivo compromesso fo~sero stati esclusi da ogni successiva
elaborazione, i tempi di reazi6ne allo stimolo bersaglio avrebbero dovuto essere sempre gli stessi, a
prescindere dalle diverse condizioni di presentazione, mentre se fossero stati analizzati i tempi di
reazione sarebbero stati diversi perchè l’elaborazione dello stimolo dovrebbe influire sulla
produzione delle risposte => nei risultati, i tempo differivano nella condizione in cui lo stimolo era
NON congruente indicando un’elaborazione non consapevole degli stimoli a sx -> Questo
esperimento provò in modo definitivo che anche il neglect poteva essere concepito come un
disturbo della consapevolezza: indicava che i processi visivi di alto livello erano intatti, ma non
potevano accedere alla coscienza.
- Compito di Stroop: proposti a un pz con dislessia da neglect (in un compito di lettura trascurano
la parte sinistra delle parole). Se «marrone» fosse scritto in giallo, e il paziente leggesse solo «one»,
non ci dovremmo aspettare nessuna interferenza nel test di Stroop, poiché da un tale frammento di
parola non può essere estratto alcun significato che interferisca cori la pronuncia della parola
«giallo». Se invece, il sistema analizzasse comunque le lettere non riportate, allora ci si dovrebbe
aspettare un rallentamento dei tempi di denominazione.
=> nonostante il pz esaminato non avesse idea che le parole di cui doveva denominare il colore con
cui erano scritte, indicassero a loro volta dei colori, presentava interferenza del significato sulla
denominazione e i tempi avevano lo stesso andamento di quelli dei soggetti normali. Il dato più
inatteso era che l'effetto di interferenza era osservato anche nella condizione mista, dove l'unica
parte di parola disponibile per un'analisi esplicita era sostituita da delle x (GIAXXX) le poche
lettere presenti sulla sinistra erano sufficienti per innescare il significato e quindi l'interferenza =>
Questo conferma definitivamente che l'effetto di interferenza osservato nei pazienti era dovuto
all'analisi implicita delle lettere di sinistra e non all'analisi esplicita delle lettere che venivano
effettivamente lette.

Costruzione della consapevolezza spaziale -> L'elaborazione dell'informazione sensoriale è


caratterizzata dal fatto di essere segregata in centri e vie specializzati per l'analisi di specifici
attributi dello stimolo e per l'organizzazione di determinate risposte motorie. Si distinguono:
- ventral stream (sistema visivo ventrale) -> specializzato per la codifica degli attributi percettivi
dell'input sensoriale che porterebbe all'identificazione categoriale e semantica degli eventi del
mondo esterno;
- dorsal stream (sistema visivo dorsale) -> specializzato per la codifica spaziale degli stimoli e il
loro successivo utilizzo in risposte motorie organizzate.
Entrambe le vie partono dal: lobo occipitale (arriva l’info visiva primaria) ->
Via ventrale si dirige -> zone del Via dorsale -> si dirige al lobo parietale -> e
lobo temporale dedicate al attraverso vie di comunicazione intraemisferica
riconoscimento di caratteristiche -> alle aree motorie del lobo frontale.
categoriali e semantiche degli
oggetti.
Secondo Berti, la codifica dello spazio è un pre-requisito fondamentale perchè si raggiunga una una
percezione consapevole degli eventi sensoriali. Se la codifica spaziale è danneggiata o impossibile
l'elaborazione (anche semantica) degli eventi sensoriali non è condizione sufficiente perché questi
entrino a far parte dell'esperienza fenomenica del paziente => se il cervello non riesce a collocare
spazialmente un evento, allora lo esclude dalla coscienza. Ne consegue che la coscienza dipende
(anche) dalla possibilità di elaborare gli attributi spaziali dello stimolo. Secondo questa
interpretazione, il dove rende possibile il che cosa.
La codifica spaziale dipende dall'attività di molteplici aree fronte-parietali che lavorano in
parallelo all'interno della via dorsale, costruendo diverse mappe percettivo-motorie della
realtà che ci circonda.

Dissociazione di consapevolezza tra “dove” e “che cosa”


Le osservazioni precedenti dimostrano una dissociazione tra -> elaborazione non consapevole -e-
esperienza fenomenica: i pz descritti si comportavano come se non avessero nessun indizio degli
eventi che accadevano nello spazio colpito da neglect.
-> Sono state però descritte delle circostanze particolari dove il pz, pur non ammettendo
esplicitamente l' esistenza di stimoli nel campo sinistro, coglie l’identità di ciò che vi è stato
presentato: può accadere che il paziente ammetta di aver visto uno stimolo, effettivamente
presentato nel campo sinistro, ma lo riferisca al campo visivo destro -> fenomeno chiamato
allochiria.
Sono stati descritti pz che copiavano in modo accurato un disegno che rappresentava la metà
di una farfalla: quando doveva copiare una farfalla intera, ometteva di disegnare l'ala di
sinistra, ma ne trasferiva alcuni dettagli sulla parte destra.
Altri pazienti che posti di fronte a figure chimeriche di animali (metà sx era un animale e la
metà dx un altro) identificavano e riportavano solo ciò che era rappresentato nella figura a
dx, ma commentavano che anche un altro animale avrebbe potuto essere disegnato sul foglio,
e nominavano quello rappresentato a sx.
In questi casi si osserva il paradosso di un'elaborazione completa, che raggiunge addirittura un
livello esplicito di commento, senza che però il paziente sia consapevole dell'effettiva presenza
dello stimolo alla sinistra della configurazione. Per questo si dice che in tali circostanze il paziente
mostra una dissociazione tra la conoscenza esplicita dell'identità dell'oggetto (il che cosa), che
sarebbe intatta, e la conoscenza spaziale (il dove), che sarebbe invece danneggiata.

Dissociazioni della consapevolezza spaziale legate alla posizione nello spazio tridimensionale ->
una dissociazione tra neglect per lo spazio vicino e neglect per lo spazio lontano è stata riportata in
uno studio (1991) -> fino ad allora era dato per scontato che il neglect fosse un disturbo che
coinvolgeva tutto lo spazio controlaterale alla lesione, in modo omogeneo e uniforme15 e tutti i test
per la valutazione della consapevolezza spaziale venivano presentati ai pazienti, e da loro eseguiti,
nello spazio vicino al corpo.

-> Due pz con grave neglect vennero sottoposti a un test di bisezione di linee, ma queste furono
presentate nello spazio lontano (maggiore di un m) non raggiungibile con la mano, e il pz doveva
indicare il punto di mezzo delle linee con un puntatore laser => il neglect evidente quando il
paziente compiva la bisezione nello spazio vicino, era assente nello spazio lontano.
Questo venne attribuito al fatto che la lesione cerebrale può disattivare in modo selettivo la
consapevolezza spaziale, colpendo specifici settori di spazio e lasciandone relativamente intatti
altri. Pochi anni dopo venne descritta la dissociazione opposta dove alcuni pazienti presentavano un
neglect più grave nello spazio lontano rispetto allo spazio vicino.
=> Solo una struttura neurale multicomponenziale può spiegare le prestazioni dissociate tra spazio
lontano e spazio vicino: un sistema composito prevede che una lesione cerebrale circoscritta
produca delle doppie dissociazioni, mentre un sistema olistico verrebbe compromesso in modo
unitario. Non è ancora possibile identificare con chiarezza le aree corticali direttamente responsabili
delle diverse codifiche.

CONSAPEVOLEZZA, INTENZIONALITA’ E SENSO DEL Sè AGENTE


Molti studi si sono preoccupati di chiarire i numerosi aspetti e le specifiche componenti
dell’intenzione nell’azione, e più in generale della consapevolezza motoria.
-> Se, da un lato, è vero che alcuni aspetti automatici del comportamento intenzionale sembrano
essere eseguiti in una condizione di relativa inconsapevolezza (guidare), è anche vero che
nell'esecuzione degli aspetti più appresi delle nostre azioni possiamo individuare in ogni momento
la volontarietà della decisione e l'intenzione che ci ha portato a eseguirla.
Alcuni esperimenti, legati agli aspetti di consapevolezza del movimento intrinseci alla catena
intenzione-esecuzione, hanno evidenziato che, in in determinate circostanze, la sensazione associata
all'esecuzione di un movimento non è direttamente disponibile alla coscienza ->
Esperimento -> i soggetti dovevano tracciare una linea retta sullo schermo di un computer,
senza poter vedere direttamente il braccio o la mano che compivano l'azione (assenza di
feedback visivo). Gli sperimentatori riproducevano sullo schermo del computer una falsa
informazione relativa alla traiettoria che i soggetti stavano compiendo con il braccio. Questo
«inganno» visivo portava i soggetti a correggere il movimento per adattarlo a ciò che veniva
mostrato sul computer, realizzando una traiettoria molto lontana dalla linea retta che
avrebbero dovuto produrre.
-> Il resoconto verbale dei soggetti indicava, però, che non avevano la consapevolezza
sensoriale della deviazione che producevano rispetto alla traiettoria da loro inizialmente
programmata. Questo risultato suggerisce che si diventa consapevoli dei movimenti che si
intendono compiere piuttosto che dei movimenti effettivamente compiuti.
-> Ulteriori studi dimostrano che la coscienza di eseguire un movimento non viene derivata dai
segnali sensoriali che originano dalle articolazioni e dai muscoli del braccio, poiché questi segnali si
rendono disponibili solo dopo l'inizio del movimento e non prima => la consapevolezza dell'atto è
parzialmente indipendente dalle operazioni dei feedback sensoriali.
Uno studio ha dimostrato che l'intenzione cosciente si genera 300 millisecondi prima dell'azione, e
il potenziale di preparazione un secondo prima: ciò significa che il cervello prepara un atto motorio
molto prima che sia disponibile qualsiasi consapevolezza cosciente del fatto che è stato deciso di
compiere un movimento.
Uno studio di fMRI ha evidenziato che la percezione cosciente di avere intenzione all'azione
corrisponde a un'attivazione dell'area pre-supplementare motoria e del solco intraparietale.

-> Quando compiamo un’azione volontaria, non solo siamo in grado di individuare il momento
dell'intenzionalità motoria e il momento in cui ci rendiamo esplicitamente conto che la mano si
muove, ma anche che siamo noi, e non qualcun altro a muovere la mano => questa sensazione, il
senso del sè agente (sense of agency): può essere considerato un prerequisito per arrivare alla
sensazione che l'azione è stata eseguita da me.
Senso del sè agente – e – intenzione sono però diverse rispetto all’esecuzione dell’azione:
quest’ultima è sicuramente dissociabile dall’atto motorio; mentre il senso del sè agente non è
logicamente dissociabile dall'esecuzione effettiva dell'azione. Se compio un'azione posso ricavare la
sensazione che l'azione l'ho compiuta io, ma se non compio alcuna azione non avrò nessun senso
del sé agente.
Anosognosia per l’emiplagia -> una percentuale compresa tra il 20 e 50% dei pz con danno
all’emisfero dx e plegia cpmpleta dell’arto superiore o inferiore sx NEGANO a qualsiasi tipo di
dimostrazione di avere un problema motorio -> la negazione della malattia viene definita da
Babinski nel 1914 «anosognosia» (lett: «non conoscenza della malattia»). Questi pz sono davvero
convinti di eseguire movimenti, che dicono di portare a termine come se avessero esperienza.
-> Inizialmente l’anosognosia fu spiegata come un deficit intenzionale, ma nel 2005 Berti e coll.
Proposero che nel pz anosognosico l’intenzionalità motoria era in realtà intatta => le aree più
frequentemente coinvolte infatti erano aree premotorie, come l'area 6 e l'area 44, secondo hli autori
coinvolte in quel meccanismo di controllo motorio, il comparatore, che avrebbe il compito di
confrontare la previsione di movimento con i feedback sensoriali. Un danno diretto al comparatore
spiegherebbe come mai i pazienti non sono più in grado di distinguere tra la condizione di
movimento e la condizione di non movimento.
Inoltre gli autori trovarono che alcune aree corticali, facenti parte dei sistemi motori, erano
sistematicamente risparmiate nei pazienti anosognosici: l’area supllementare motoria e l’area pre-
supplementare motoria, direttamente coinvolte nei meccanismi intenzionali e, in particolare, nella
generazione della sensazione consapevole di intenzionalità. I pz anosognosici secondo gli autori
potrebbero avere esperienza dei movimenti che intendono produrre grazie all'attività delle aree,
risparmiate dalla lesione, coinvolte negli aspetti intenzionali del movimento, ma non sarebbero in
grado di distinguere tra atto intenzionale e atto effettivamente compiuto a causa del danno al
comparatore che non è più in grado di cogliere la contraddizione tra previsioni (normali) e
feedbacks (patologici).

Il modello proposto per tentare di dare un'interpretazione al comportamento di inconsapevolezza e


di falsa convinzione del paziente anosognosico si è rivelato utile per interpretare altri disor- .dini
della cognizione motoria che coinvolgono la coscienza di movimento =>

La mano anarchica: la mano affetta dal disturbo si muove, secondo i pz, per conto proprio, senza
che ci sia la volontà da parte del soggetto di farle compiere una’azione. Spesso la vista di un oggetto
attiva il suo immediato afferramento e i pazienti, pur affermando che non era loro intenzione portare
a termine quel movimento, riconoscono l'appartenenza della mano al loro corpo e che il movimento
l'ha eseguito una loro mano, ma negano qualsiasi legame tra intenzioni e atto motorio. In seguito a
una lesione cerebrale, le affordances degli oggetti innescano risposte motorie non più mediate dal
sistema intenzionale. Il danno creerebbe una sorta di disconnessione tra il sistema intenzionale e il
resto del sistema motorio e, conseguentemente, questo indurrebbe delle azioni guidate unicamente
dalle affordances. Poiché il resto del sistema motorio funziona normalmente, le rappresentazioni
della posizione desiderata e della posizione effettiva della mano sono disponibili e il paziente è in
grado di rendersi conto che il comportamento della mano non è conforme alle intenzioni. Lo
sfasamento tra stato desiderato e stato effettivo produce un'alterazione del senso del sé agente e il
soggetto ha l'impressione che la mano, pur riconosciuta come propria, si comporti come se fosse
un'identità separata dall'io.

Comportamento di utilizzazione: dopo un danno al lobo frontale, alcuni pz esibiscono un


comportamento bizzarro legato ad un uso appropriato degli oggetti, che vengono afferrati e usati
anche quando i desideri del pz e il contesto non sono appropriati all’azione innescata. Come nel
caso precedente, gli oggetti presenti nell’ambiente innescano azioni che non sono volute dal
soggetto, ma in questo caso, il pz è in un certo senso, acritico rispetto alla stranezza dell’evento: non
commenta ciò che accade e sembra non notare la discrepanza tra azione prodotta – e – intenzione.
In questo caso, mancherebbe proprio l'intenzione al movimento e quindi il paziente verrebbe
guidato, in qualsiasi tipo di comportamento, dalle affordances degli oggetti=> non ci sarebbe
nessuna intenzione a priori relativamente a cui cogliere la discrepanza tra previsione di movimento
e feedback sensoriali e, conseguentemente, l'inadeguatezza dell'azione non verrebbe registrata dal
paziente. Tuttavia, il pz ha un normale senso d'agente, poiché, pur rendendosi conto dell'azione
avvenuta, non l'attribuisce a un comportamento «indipendente» della mano.

Anosognosia somatosensoriale -> l’anosognosia per l’emianestesia tattile-propriocettiva è stata


studiata raramente: sicuramente la mancanza di consapevolezza per il disturbo motorio è molto più
evidente della mancanza di consapevolezza per il disturbo somatosensoriale.
-> La coscienza tattile può essere definita come quell'esperienza riferita in modo esplicito che
dipende dall'attività neurale innescata dalla presentazione di uno stimolo (qualsiasi stimolo fisico
che sia in grado di attivare una specifica classe di recettori sensoriali localizzati nel derma) sulla
superficie recettiva sensoriale del soggetto.
Come per l’estinzione visiva, anche nell'estinzione tattile è possibile dimostrare un'elaborazione
implicita degli stimoli la cui presenza non viene riportata in modo esplicito dal paziente -> l’attività
della corteccia somatosensoriale primaria è implicata ma non è sufficiente per innescare la
consapevolezza tattile: alcuni autori sostengono che la consapevolezza tattile sembra richiedere
anche l’attività della corteccia parietale posteriore, probabilmente perchè l’info tattile deve essere
integrata con l'informazione spaziale (elaborata appunto nel lobo parietale) per avere accesso alla
coscienza.
I pz affetti da anosognosia per l’emianestesia sembrano essere consapevoli di stimolazioni tattili che
non dovrebbero essere percepite consapevolmente -> si potrebbe dire che analogamente al modello
motorio dell'anosognosia per l'emiplegia, dove una consapevolezza motoria non veridica viene
generata dall'impossibilità di distinguere tra intenzione di movimento e movimento reale, anche
nell'anosognosia per l'emianestesia i pazienti hanno una consapevolezza sensoriale non veridica che
potrebbe essere generata, come un'illusione percettiva, dall'impossibilità di distinguere tra
sensazione immaginata e sensazione reale.
-> Dati hanno mostrato che molte aree si attivano sia durante la stimolazione reale che durante la
stimolazione irnmaginata; in particolare le aree somatosensoriali primaria e secondaria, alcune
aree frontali, l'insula e il lobo parietale posteriore. Il fatto che il lobo parietale posteriore si attivi
in entrambe le condizioni suggerisce il suo coinvolgimento nella costruzione della consapevolezza
tattile, sia veridica che non veridica.
Una possibile ipotesi per spiegare l'anosognosia per l'emianestesia è che il paziente costruisca una
consapevolezza tattile non veridica, ma a causa del danno al comparatore somatosensoriale non
riesca a coglierla come tale e quindi non riesca a distinguere tra sensazione immaginata e
sensazione esperita.

Conclusioni
L’evidenza di una natura frammentarie dei processi coscienti, contrasta con l’esperienza che
abbiamo di noi stessi, caratterizzata da una sensazione di unità e coerenza. Il cervello lesionato è in
grado di svelare come azioni complesse possano essere prodotte, in determinate circostanze, da
processi che avvengono senza che vi sia piena coscienza degli eventi fisici che innescano quelle
stesse azioni -> l’unitarietà dell’io potrebbe essere frutto di un illusione o di un inferenza errata che
che ci porta ad accettare come vera un'ipotesi (l'unitarietà) che sembra quella più aderente alle
convinzioni soggettive. Ma anche se la sensazione unitaria dell'io fosse frutto di un'illusione, questo
non significa necessariamente che siamo menti senza “io”.
Gli studi hanno da un lato mostrato la possibilità di un'azione parzialmente svincolata
dall'intenzione cosciente, dall'altro rappresentano esempi particolari relativi a un contesto di azione
molto specifico. Gli studi neuropsicologici nei pazienti cerebrolesi indicano sicuramente l'esistenza
di elaborazioni inconsape- , voli che precedono e guidano il comportamento. Va ricordato, però, che
nei pazienti con neglect o con blindsight la risposta guidata dalla conoscenza inconsapevole degli
stimoli viene resa in condizioni di azione «forzata»; sono infatti le richieste dell'esaminatore che
inducono il paziente a produrre una risposta e non l'iniziativa spontanea => quindi i risultati non
forniscono forniscono risposte definitive sui fattori che influenzano le scelte d'azione e quindi sulle
libertà individuali.

Potrebbero piacerti anche