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Riassunto - libro "Psicologia generale, dal cervello alla


mente."

Filosofia della mente e scienze cognitive (Università degli Studi Roma Tre)

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Psicologia generale, dal cervello alla mente – Legrenzi, Papagno, Umiltà.

1. Dal cervello alla mente.


- Ad oggi concepiamo l’uomo e la sua mente come uno dei tanti fenomeni della natura grazie al genio di C.Darwin (“Sull’origine
della specie 1859). Darwin parti dalla considerazione di tre fatti.
1. Animali e pianti possono generare più discendenti di quelli in grado di vivere in un determinato ambiente: abbiamo una
potenziale crescita esponenziale delle popolazioni.
2. Eppure le popolazioni sono relativamente stabili.
3. Le risorse dell’ambiente sono limitate.
Da ciò, le risorse limitate offerte dall’ambiente, producono in natura una competizione. Tale competizione opera a tre livelli: tra
componenti della stessa prole, tra individui o gruppi della stessa specie e tra specie diverse. Da ciò continuò Darwin:
4. I caratteri individuali presentano piccole variazioni da una generazione all’altra.
5. Per ragioni non chiare ai suoi tempi, non essendo nata la genetica, la prole tende ad assomigliare ai genitori ereditandone i
tratti, comprese le variazioni casuali.
6. Queste direzioni sono governate dal caso, senza alcuna direzione.
- L’evoluzione insomma, si basa su degli “e quindi” e non su dei “perché” (Le giraffe non hanno il collo lungo perché devono
arrivare a mangiare le foglie più alte, ma alcune di esse nascevano per caso con un collo più lungo e quindi prevalevano sulle
generazioni successive). L’uomo non è più una cartesiana congiunzione di corpo e anima ma un essere unitario frutto di
un’evoluzione basata sulla seleziona, la quale non opera su gruppi bensì su individui: è l’individuo che si adatta che sopravvive.
- I primi psicologi sperimentali, circa un secolo fa, invece di osservare gli altri, provarono ad esaminare se stessi, addestrandosi a
non cambiare i processi mentali interni mentre li esaminavano nel loro svolgimento. Questo metodo introspettivo, è stato usato
per decenni agli albori della psicologia sperimentale, basato sulla convinzione di poter controllare l’influenza dell’osservatore sui
fenomeni osservati. Il metodo introspettivo, in alcuni campi, quali la psicanalisi, ancora usato, è sufficiente però ad isolare solo
alcuni aspetti del funzionamento della amente umana. In molti casi è difficile misurare le conseguenze di ciò che succede
all’interno della nostra testa, in quanto il nostro processo di osservazione altera il fenomeno osservato. L’introspezione non
funziona.
- Per reazione a tali limiti gli psicologi provarono un’altra strada: l’osservazione esclusiva dei comportamenti direttamente
misurabili. Questo metodo incentrato esclusivamente sulla misura degli stimoli forniti e delle risposte del partecipante, che mira
a ridurre la psicologia nelle scienze della natura secondo l’impostazione darwiniana, prese nel 1913 il nome di
comportamentismo, grazie all’opera di Watson. L’introspezione era vista in ogni sua forma come un metodo non scientifico,
tanto perché l’osservazione dell’evento mentale modifica di per stessa il fenomeno, tanto perché i dati ottenuti non sono
verificabili o controllabili in alcun modo da altri individui. Ad oggi è chiaro anche un terzo evidentissimo limite dell’introspezione,
cioè la sua incapacità di rilevare meccanismi mentali che non emergono alla consapevolezza e quindi sfuggono a tale metodo.
Oggi sappiamo che molti processi mentali sono inconsci (inconscio cognitivo). Le posizioni più dure del comportamentismo, che
non vanno oltre alla mera conseguenzialità di stimolo risposta, sono state poi alleggerite dalla nozione di variabile interveniente
cioè di processi che stanno in mezzo tra gli stimoli che giungono ad un individuo e le risposte fornite a tali stimoli. Con
l’introduzione di tali variabili, rese necessarie per spiegare una larga spira di fenomeni osservati il comportamentismo aprirà la
strada alla rivoluzione cognitivista.
- L’insoddisfazione per il dualismo esclusivo s-r e la comparsa del computer, tanto strumento d’analisi quanto modello di
funzionamento della mente umana. Un sistema artificiale costruito dall’uomo che ci costringe a pensare ad i suoi stati interni, e
non solo alle informazioni che lo alimentano ed ai risultati ottenuti. In un primo tempo il paragone era tra la mente ed il software
ed il cervello all’hardware, ma questa idea non si rivelò del tutto corretta. La distinzione non è deve essere tra software e
hardware quanto tra livelli di analisi, cioè tra livelli di astrazione utilizzabili per descrivere un oggetto.
- Tutte le nostre rappresentazioni mentali hanno un contenuto, vertono sempre su un qualcosa del mondo. Uno dei compiti
della psicologia cognitiva è spiegare come queste informazioni (immagini, ricordi, pensieri, desideri, credenze) sono
rappresentate internamente. Una rappresentazione è uno stato fisico, una connessione mentale nel cervello che trasmette
informazione. Presentano due aspetti: formato e contenuto. La mente per raggiungere un obiettivo deve svolgere una serie di
operazioni, e più esse sono, più si allunga il tempo di risposta. Tutte queste serie di operazioni sono governate da un algoritmo.
- L’unico modo per capire il funzionamento della mente è indagare il piano ad essa soggiacente: il cervello. Agli albori della
scienza cognitiva, vi fu un forte interesse esclusivamente sulle operazioni mentali, a prescindere da come queste fossero
fisicamente realizzate. Solo recentemente si è iniziato ad indagare i correlati neurali di tali operazioni collegando funzioni
cognitive a parti anatomiche cerebrali. Nel 1861 P. Broca, per primo, descrisse in seguito ad un’autopsia una lesione di una
porzione limitata del lobo frontale di sinistra collegata ad un suo deficit precedente in produzione linguistica. Da questa scoperta,
tutt’oggi valida è seguito il principio di scomposizione, che presuppone che il cervello sia composto da molte aree isolabili.

Ad oggi non si può più fare psicologia cognitiva prescindendo dalle realizzazioni fisiche dei fenomeni mentali, dal momento che si
parla di differenti livelli di analisi della stessa entità. Se prima psicologia cognitiva, studio delle rappresentazioni mentali e degli

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algoritmi che le manipolano, e neuropsicologia, studio delle basi neurali di tali operazioni, erano separate, oggi collaborano
sempre più strettamente per capire il funzionamento dell’insieme mente-cervello.
Neurobiologia.
- Il cervello, al pari degli altri organi, è formato da cellule, che oltre a caratteristiche comuni a tutte le altre cellule hanno
caratteristiche specifiche che costituiscono la peculiarità dell’organo. Le cellule che formano il cervello sono di due tipi: Neuroni e
cellule gliali.
- Neuroni: unità elementari dalle quali dipendo le funzioni mentali. Cellule nervose che generano e trasmettono informazioni
attraverso impulsi elettrici. Il neurone è composto, al pari delle altre cellule, da un corpo cellulare (soma), nel quale sono
collocati nucleo ed altri organelli cellulari. Il corpo si prolunga in molte brevi appendici (dendriti) e in un’appendice più lunga
(assone). Il corpo cellulare è rivestito da una membrana che impedisce la dispersione nell’ambiente. Il cervello umano contiene
in media 25 MLD di neuroni. La rete è composta da neuroni che non si toccano mai, anche se talvolta con membrane vicinissime.
Questi punti dove due neuroni arrivano quasi a toccarsi sono dette sinapsi. La nozione di N. si basa su 4 postulati:
1. Il neurone è un’unità anatomica.
2. Il neurone è un’unità funzionale. Ogni N. viene influenzato solo dall’attività elettrica dei neuroni con i quali comunica
attraverso le sinapsi. La comunicazione tra neuroni avviene in un’unica direzione. Un neurone riceve informazioni dai N. posti
a monte e la invia a quelli a valle.
3. Il neurone è un’unità genetica. Tutti i N. originano da un’unica cellula progenitrice (neuroblasto). Le connessioni che con
l’ontogenesi si realizzano non sono casuali ma le cellule contraggono connessioni specifiche prestabilite.
4. Il neurone è un’unità trofica. Il tagli dell’assone produce la degenerazione della sua parte a valle e della sua parte a monte.
La lunghezza dell’assone differenzia i N. di proiezione, dotati di assoni molto lunghi (fino a 1mt) che connettono n. appartenenti a
differenti strutture nervose dagli interneuroni che collegano neuroni vicini tra loro.
- I neuroni sono quindi cellule specializzate per scambiare impulsi nervosi (impulsi elettrici), che sono il mezzo per trasmettere
informazione. Gli impulsi nervosi, provenienti dai neuroni a monte raggiungono i dendriti e vengono trasmessi ai neuroni a valle
lungo il suo assone. L’evento cruciale dell’impulso è un aumento di permeabilità della membrana dovuto alla depolarizzazione
con conseguente passaggio di ioni dall’esterno della membrana all’interno ed una successiva ripolarizzazione della membrana.
Arrivati alla fine dell’assone, l’impulso supera, grazie al rilascio di sostanze chimiche, (neurotrasmettitori), lo spazio sinaptico (tra
le due membrane). I neurotrasmettitori depolarizzano la membrana cosi che l’impulso inizia a viaggiare arrivando al neurone a
valle. Questa sequenza ripetuta può costituire lunghe sequenze di neuroni. Poiché la depolarizzazione della membrana produce
una differenza di potenziale di ampiezza fissa ciò che può variare è solo la frequenza delle depolarizzazioni, la frequenza degli
impulsi. L’informazione è perciò codificata in base alla frequenza di scarica (rilevabile tramite microlettrodi). Quando il neurone
modifica la sua frequenza di scarica rispetto ad una condizione di controllo si dice che è attivo. Un’area cerebrale attiva è
popolata da neuroni che modificano la loro freq. di scarica.
- Oltre ai neuroni, le altre cellule del cervello sono le cellule gliali, dieci volte più numerose dei primi. Fino a non molto tempo fa
si è creduto che la loro funzione fosse solo quella di nutrimento e sostegno per i neuroni ma oggi si è scoperto che esse
partecipano alla trasmissione di informazioni tra neuroni. Alcuni tipi di cellule gliali producono una sostanza, la guaina mielinica
che agisce da isolante per i neuroni circondandone completamente l’assone ed evitando de- e polarizzazione. Gli assoni
mielinizzati costituiscono ciò che è chiamata sostanza bianca, mentre i dendriti e gli assoni non mielinizzati costituiscono la
sostanza grigia.
- Un neurone che non sta scaricando, non trasmette cioè un impulso nervoso ha una differenza di carica elettrica fra l’interno e
l’esterno dello stesso di – 70 mV (cioè l’interno del neurone è negativo rispetto al liquido extracellulare). Questo è detto
potenziale di riposo. Quando un neurone si attiva e scarica (n. presinaptico), libera dalle sue parti terminali i neurotrasmettitori
che si diffondono nello spazio sinaptico e interagiscono con i ricettori dei neuroni ricettori specifici che si trovano oltre la sinapsi
(n. postsinaptico). Giunto a livello della sinapsi, l’impulso nervoso, che ha già percorso l’assone del n. a monte si trasforma da
elettrico in chimico. Una volta superato lo spazio sinaptico, l’impulso prosegue nuovamente in forma elettrica sul n.postinaptico.
Quando i neurotrasmettitori inviati dal n. presinaptico si legano ai ricettori del n. postsinaptico, si possono avere due effetti
diversi a seconda della struttura chimica del neurotrasmettitore e del ricettore: una depolarizzazione della membrana
postsinaptica, (potenziale postsinaptico ecccitatorio) che aumenta le probabilità che il n. ricettore scarichi nuovamente, oppure
una iperpolarizzazione della membrana del ricettore (potenziale postsinaptico inibitorio) che riduce tale possibilità. Ovviamente
sia depolarizzazione che iperpolarizzazione sono graduali in base all’intensità (quindi alla frequenza) dell’impulso che li provoca.
- I neuroni hanno la membrana cosparsa di migliaia di sinapsi, ed è solo l’effetto cumulativo di tutte le attività sinaptiche,
eccitatorie o inibitorie, a determinare se il neurone scaricherà o no. Se la somma algebrica di de- o iperpolarizzazioni è sufficiente
a portare la membrana a un livello di depolarizzazione (soglia di eccitazione – 65mV) si verifica un fenomeno detto potenziale
d’azione (ciò che avevamo chiamato impulso elettrico). La freq. di scarica è la freq. con cui i potenziali d’azione percorrono
l’assone.

Neurobiologia.

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- Per convenzione la posizione delle strutture anatomiche che compongono il sistema nervoso dei vertebrati è definita rispetto
all’orientamento del midollo spinale. Il sistema nervoso presenta perciò tre assi principali:
1. Asse antero-posteriore (o rostro-caudale)
2. Asse dorso-ventrale (o alto-basso)
3. Asse medio-latero (o centro-periferia).
Il SN di tutti i vertebrati è composto da due parti principali: il sistema nervoso centrale (SNC), contenuto all’interno della scatola
cranica, e il sistema nervoso periferico (SNP), al di fuori dei contenitori ossei. L’SNP è a sua volta suddivisibile in SNsomatico
(nervi afferenti ed efferenti che portano le informazioni sensoriali al SNC o i comandi da questo) e SNautonomo che partecipa
alla regolazione dell’ambiente interno dell’organismo. L’SNA presenta due tipi di nervi efferenti: i nervi simpatici e parasimpatici.
Solitamente il sistema simpatico mobilita risorse energetiche in situazione di emergenza o pericolo producendo tensione, mentre
il parasimpatico conserva energia producendo rilassamento. Ogni organo interno è quindi innervato da entrambi i sistemi.
- L’encefalo, alloggiato nella scatola cranica è costituito dal tronco dell’encefalo, dal cervelletto e dal cervello. Il tronco
dell’encefalo, che sostiene il cervello è costituito dal bulbo, dal ponte e dal mesencefalo. Il cervelletto, adiacente al tronco
presenta un’organizzazione macroscopica simile a quella del cervello. Svolge un’importante funzione motoria nella coordinazione
e nell’apprendimento motorio. Solitamente il diencefalo, composto dal talamo (stazione di transito delle informazioni che
raggiungono la corteccia) e dell’ipotalamo (che regola la produzione di ormoni di tutto l’organismo) è incluso nella descrizione
del tronco dell’encefalo e non del cervello.
- Gli emisferi cerebrali sono ricoperti da uno strato di tessuto chiamato corteccia cerebrale, la quale costituisce gran parte della
sostanza grigia e nell’uomo presenta profonde pieghe e circonvoluzioni che hanno lo scopo di aumentare la superficie della
stessa senza aumentare il volume del cervello. Le pieghe corticali più profonde prendono il nome di scissure, quelle meno
profonde solchi. Le zone corticali fra due fessure sono dette giri o circonvoluzioni. I due emisferi sono quasi completamente
separati sulla linea mediana dalla scissura longitudinale e sono collegati da alcune fibre trasversali, la più grande delle quali è il
corpo calloso. I due più grandi punti di riferimento sulla superficie laterale di ciascun emisfero sono la scissura centrale (o di
Rolando) e la scissura laterale (o di Silvio) che dividono ciascun emisfero in 4 lobi: frontale, parietale, occipitale e temporale.
Nonostante siano state proposte varie mappe citorarchitettoniche, quella di gran lunga più usata è quella di Brodmann del 1909
- All’interno della sostanza bianca sottocorticale vi sono alcuni voluminosi nuclei di sostanza grigia formati da molti neuroni. I due
principali raggruppamenti sono il sistema limbico ed i gangli della base: Il sistema limbico è implicato nella regolazione degli stati
motivazionali ed emozionali. Le sue due principali strutture sono l’ippocampo, che svolge un ruolo nei processi di memoria, e
l’amigdala, che ha un ruolo cruciale nelle emozioni. I gangli della base comprendono tre grandi nuclei sottocorticali: il nucleo
caudato ed il putamen che insieme compongono il corpo striato ed il globo pallido.
- La suddivisone anatomo-funzionale del cervello ci consente di delineare il flusso di informazione che attraversano la corteccia
producono i processi integrativi. Le informazioni raccolte dagli organi di senso raggiungono, attraverso i nuclei specifici del talamo
che fungono da stazioni di transito, le regioni corticali dove sono localizzate le aree sensoria e sensitive primarie. Da qui,
attraverso connessioni cortico-corticali, le informazioni vengono successivamente elaborate.
1. Il risultato dell’elaborazione viene trasmesso alle aree motorio di ordine superiore e da queste all’area motoria primaria per
mediare la cosiddetta integrazione sensomotoria che porta all’esecuzione di atti motori in risposta a stimoli.
2. L’informazione viene inviata alle cortecce associative.
 La corteccia associativa parieto-temporo-occipitale, riceve informazioni dalle are somatiche, visive e uditive e si ritiene dia
origine alla percezione.
 La corteccia associativa limbica, integrando aspetti motivazionali, mnestici ed emozionali delle informazioni sensoriali
influenza sia la corteccia associativa prefrontale sia le aree motorie di ordine superiore permettendo agli aspetti
emozionali e mnestici di influenzare la programmazione dei movimenti.
 La corteccia Associativa prefrontale, riceve fibre afferenti sia dalle aree sensoriali e sensitive, sia dalle aree associative. Si
ritiene svolga un ruolo nella selezione della risposta motoria adeguata. Il suo intervento conferirebbe la capacità di
prevedere e valutare le conseguenze di un’azione. Avrebbe il compito di programmare un piano motorio che poi viene
inviato alle aree premotorie. Da queste il piano motorio, analizzato e scomposto in singoli programmi motori viene
trasmesso all’aria motoria primaria.
Metodi di indagine:
Elettroencefalogramma (EEG): E’ il primo metodo che è stato usato per correlare l’attività del cervello e processi mentali. E’ una
misura globale dell’attività elettrica del cervello. Viene registrato mediante grossi elettrodi dall’elettroencefalografo. Il tracciato
degli elettrodi segnala le variazione di potenziale nel tessuto sottostante, riflettendo principalmente i potenziali postsinaptici
graduali e i potenziali d’azione. L’EEG può presentare onde alfa, ampie e regolari che indicano una veglia rilassata, o onde beta,
irregolari e più frequenti che sono sintomo di una veglia attiva. L’EEG è anche utilizzato per il monitoraggio delle onde elettriche
prodotte da eventi esterni o dall’esaminatore. Sono i Potenziali-evento-correlati o evocati (ERPs), i quali riflettono l’attività
neurale specificatamente correlata ad un particolare evento sensoriale con una precisissima risoluzione temporale.
- Neuroimagine: Tecniche basate sull’approccio localizzazionista per cui il cervello è scomponibile in strutture neurali isolabili ed
adiacenti. Ogni funzione mentale è il prodotto dell’attività di una o più strutture neurali. E’ possibile identificare quali strutture
neurali sono attive quando si svolge una determinata funzione mentale.

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- Se la Tomografia assiale computerizzata (TAC) e la Risonanza magnetica (RM), forniscono immagini strutturali dell’organo
esaminato evidenziando la presenza di lesioni ma non dicono nulla circa la funzione, la Tomografia ad emissione di positroni
(PET) e Risonanza magnetica funzionale (fMRI) sono basate sulla distribuzione del sangue, o dell’acqua in esso contenuto, nelle
varie regioni del cervello per risalire a quali strutture neurali sono selettivamente attive mentre si svolge una data funzione
mentale. Le aree cerebrali sono formate da moltissimi neuroni, i quali consumano ossigeno e glucosio in modo proporzionale al
loro grado di attività. Tanto più è elevata l’attivazione, tanto più ossigeno consumano. L’ossigeno è portato ai neuroni dal sangue,
il quale è formato a sua volta per la maggior parte da acqua. Perciò determinando quanto sangue irrora le varie aree cerebrali è
possibile determinare il loro grado di attivazione. Si inietta un isotopo radioattivo nel circolo sanguigno e su rileva
successivamente la quantità di isotopo in determinate aree per calcolare la quantità di sangue. L’immissione dell’isotopo tipica
della PET non è più eticamente accettabile e si ricorre perciò alla fMRI, che non invasiva, sfrutta la quantità d’acqua nel sangue:
un maggior numero di atomi di idrogeno corrisponde ad un maggior afflusso d’acqua che a sua volta segnala la presenza di più
sangue. [+ idrogeno + acqua + sangue + ossigeno + attivazione]
- Stimolazione magnetica transcranica consiste nel produrre con uno stimolatore un campo magnetico localizzato su una
porzione delimitato del cuoio capelluto. Il campo magnetico produce una breve corrente elettrica che percorre una data struttura
cerebrale a seconda del posizionamento della spirale. Se la stimolazione è ripetitiva il risultato è l’inattivazione della regione
attraversata dalla corrente che corrisponde ad un danno cerebrale temporaneo. Secondo tale logica i sintomi che si manifestano
a causa della lesione permettono di risalire alla funzione che quell’area cerebrale svolge solitamente. Se un compito non è più
svolto in seguito all’inattivazione di una struttura, allora quella struttura è necessaria allo svolgimento del compito.

2. La percezione.
- La percezione non un processo che si può dare per scontato basandosi su operazioni complesse che permetto a chi percepisce
di rivestire un ruolo attivo, costruendosi ipotesi su quello che c’è negli ambienti esterni. Queste ipotesi possono essere guidate
dall’esperienza passata. La maggioranza delle operazioni che coinvolgono la percezione sono totalmente inconsapevoli.
- In termini generali si può dire che il sistema visivo funziona assumendo una certa probabilità a priori che quel che appare è quel
crediamo debba apparire. Alla luce delle nuove informazioni sullo stimolo si può rivedere la stima iniziale. Questa procedura per
stime successive è rapidissima e inconsapevole. Solo un processo che non implica decisioni coscienti, necessariamente lente, è
riconosciuto di valore adattivo per l’organismo. L’unica possibilità che abbiamo di poter rivedere le stime in modo ragionato e
consapevole è che la risposta che dobbiamo restituire non sia di necessità impellente. Di contro la percezione si basa su un
approccio probabilistico su ciò che vediamo sul mondo esterno e che modifichiamo in base a nuove informazioni. Questo schema
teorico tiene conto dell’interazione tra input sensoriale e conoscenze a priori nel processo percettivo.
- I processi percettivi sono concepiti nell’impostazione classica come l’insieme delle informazioni che dal mondo esterno
giungono ai nostri sensi. Questo percorso è fatto di passaggi in sequenza. La prima tappa consiste nel passaggio delle
informazioni dall’oggetto fisico esterno, indipendente dalle nostre attività, ai recettori degli organi di senso. La seconda tappa
prevede il passaggio dagli organi di senso al cervello sede dell’elaborazione del mondo percepito. Si può così costruire la
percezione:
1. Informazioni dal mondo esterno: stimolo distale.
2. Informazioni registrate dagli organi di senso: stimo prossimale.
3. La nostra esperienza diretta di soggetti percipienti: mondo percepito.
In questa impostazione classica è cruciale la direzione a senso unico del processo: dall’esterno al cervello.
- Tuttavia l’essere umano non si limita all’osservazione e alla registrazione passiva del mondo, ma dirige l’attenzione verso ciò che
crediamo sia utile per le nostre azioni presenti o future. L’azione a sua volta ci presenta un mondo a noi modifica che possiamo di
nuovo percepire per altri scopi. Potremo definirlo un ciclo percezione -> decisione -> azione -> perc. -> dec. -> azi.
- Per l’approccio probabilistico alla percezione a parità di informazioni sensoriali, le conoscenze a priori possono influenzare il
processo percettivo. Già prima del pensiero i processi percettivi pongono alcune condizioni per categorizzare il mondo, ordinarlo
e ricondurre la complessità ad un numero limitato di categorie [ES: quadrato – rombo]. La categorizzazione implica la
gerarchizzazione, e funziona secondo un principio di economia. E’ come se il nostro sistema percettivo avesse incorporato
probabilità in merito al funzionamento del mondo. I processi di categorizzazione implicano difatti che sia più facile scoprire in un
insieme i l diverso partendo da ciò che è normale [ES: Compiti di riconoscimento percettivo del diverso: trova il cane capovolto /
individua il colore del cerchio]. Vi è uno stretto legame tra l’uso della negazione, che esclude qualcosa dalla normalità, ed il
riconoscimento delle eccezioni alla normalità per via del principio probabilistico di economia cognitiva.
- Nella percezione il riconoscimento non è sempre guidato dalle informazioni presenti nell’input sensoriale (processo bottom-
up), perché queste possono non essere sufficienti e quindi vanno integrate (processo top-down). Entrambi questi processi,
dall’alto e dal basso, sono in gioco nella percezione sebbene, ogni volta, con rapporti di forza diversi. I modi di integrazione
variano a seconda dell’individuo facendo parte delle capacità del sistema percettivo. La percezione non è equiparabile ad una
fotografia quanto piuttosto ad una ricostruzione del mondo esterno più o meno fedele in funzione agli scopi dell’individuo.
- In estrema sintesi lo studio della percezione umana è l’analisi di come un animale con la sua specifica storia evolutiva, sfrutta
per i suoi scopi alcune proprietà dell’informazione ottica. Altre specie, adattate ad altri ambienti di vita, hanno selezionato
differenti sistemi visivi (animali che vedono oggetti solo quando questi si spostano, rapaci con un campo più ristretto ma più

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acuto). Per l’essere umano l’informazione ottica è costituita dalle disomogeneità presenti nella distribuzione della luce. Il
concetto di informazione visiva presente nell’input, non va perciò riferito ad un osservatore ideale, bensì ad un osservato reale
con possibilità e limiti.
- L’input sensoriale, cioè le informazioni provenienti dal mondo esterno, interagiscono perciò sia con i modi congeniti di
elaborare le informazioni dia con le conoscenze precedentemente acquisite. Non ci deve stupire perciò la complessità del
cervello visivo. Il sistema visivo ha dei modi prefissati di elaborare i “mattoni della percezione”, i quali si fondono in architetture
complesse in cui le componenti sono più o meno facilmente isolabili.
- In Germania, agli inizi del ‘900, fiori una scola di ricercatori nota come della Gestalt, i cui partecipanti si posero il problema della
percezione di forme complesse: come mai elementi o parti di immagini si raggruppano in una forma piuttosto che un’altra?
Alcuni fattori ci presentano l’immagine in modi diversi: Principio di connessione, di somiglianza, di chiusura, di continuità
direzione, i quali raggruppano punti o linee conferendo ordine e classificando il mondo. Talvolta il sistema percettivo, pur di
completare un’unità complessa interpreta come esistente qualcosa che non c’è. Ciò accade in quei casi in cui questa integrazione
rende possibile una forma più semplicemente classificabile ed ordinata. Se non avessimo tale capacità non potremmo vedere
cose ferme ed in movimento che proseguono compendone altre. Ciò ci permette di completare le immagini. E’ evidente il valore
adattivo che svolge un sistema visivo costruito con la tendenza ad attribuire ordine e significato a ciò che vediamo,
organizzandolo in unità.
Il cervello visivo: Le principali trasformazioni dell’informazione dalla retina fino al cervello seguono un ricco sistema di
collegamenti e connessioni. Il cervello umano, al pari di quello dei primati, è un cervello visivo che si è evoluto per diventare tale.
Nella sua corteccia possono essere individuate più di 30 aree visive, nel senso che i neuroni che ad esse appartengono
rispondono, modificando la loro frequenza di scarica, a stimoli visivi che colpiscono la retina. Dalla retina partono almeno 10 vie,
ciascuna delle quali manda informazioni ad altre aree cerebrali. La principale tra queste è la via retino-genicolo-striata che porta
l’informazione dalla retina all’area BA 17. Prende il nome dalla sua origine, la retina, ha una stazione intermedia in un nucleo del
talamo (n. genicolato laterale) e raggiunge la corteccia visiva. Questa è’ caratterizzata da striature orizzontali ed è anche indicata
con il nome di V1. Non si tratta di una via unidirezionali essendo reciproche le connessioni da BA 17 e il corpo genicolato laterale
e fra V1 e V2 (area visiva secondaria).
- L’importanza della visione per i primati è segnalata anche dalla rapidità di trasmissione dell’informazione dalla retina alla
corteccia visiva. L’intero percorso è coperto dagli assoni di due solo neuroni, il primo, cellula gangliare della retina, manda il suo
assone ai neuroni del corpo genicolato laterale, il secondo dal genicolato laterale, manda il suo assone alla corteccia visiva. Per
compiere il percorso sono sufficienti pochi millesimi di secondo.
- Tutto il nostro campo visivo è rappresentato nella corteccia BA 17. E’ una rappresentazione retinotopica, ovvero ogni punto del
campo visivo corrisponde ad un punto di BA 17 con la relativa inversione dx – sx e sopra – sotto. Le cellule sensibili alla luce, i
recettori (coni e bastoncelli) non sono rivolti verso la sorgente della luce ma sono posti nell’ultimo starato di cellule della retina
ed orientati nella direzione opposta. La luce quindi per raggiungere i suoi recettori deve attraversare vari strati di cellule e vasi.
L’altra stranezza è il funzionamento dovuto ad un incrocio delle fibre della via retino-genicolo-striata in una struttura detta
chiasma ottico in modo che le porzioni osservate sono rappresentate opposte nel cervelli. Come il nostro cervello rimetta le cose
a posto non è ancora chiaro.
- I neuroni presenti in V1 sono sensibili (rispondono) a caratteristiche elementari degli stimoli, come orientamento, colore e
movimento. Da V1, l’informazione visiva procede in avanti verso la via ventrale e dorsale per raggiungere le aree extrastriate (V2
– V5), i quali neuroni sono specializzati per varie combinazioni di caratteristiche quali il movimento o i soli volti umani. L’esistenza
di queste aree specializzate suggerisce che la percezione consiste nella scomposizione di una scena visiva nelle caratteristiche
elementari che la compongono, successivamente poi ricombinate da altre aree ulteriormente specializzate. Il problema di come
queste siano ricombinate è noto come blinding problem. Le lesioni che interessano la via retino-genicolo-striata, e perciò
impediscono l’arrivo di informazioni da porzioni della retina a BA 17 producono difetti del campo visivo. Queste porzioni
“oscurate” sono dette scotoma. Qualora sia metà del campo visivo a essere cieca viene chiamata emianopsia, mentre nel caso la
lesione distrugga completamente l’area BA 17 di entrambi lati si parla di cecità corticale completa. Le lesioni possono anche
alterare la percezione visiva senza produrre cecità, dal momento che da BA 17 partono due vie che svolgono funzioni diverse:
 Atassia ottica: lesione del lobulo parietale superiore bilateralmente: presentato al soggetto un oggetto, questi è in grado di
descriverlo e riconoscerlo ma non di indicare la posizione nello spazio che questo occupa.
 Agnosia appercettiva: lesione della parte inferiore del lobo temporale bilateralmente: presentato al soggetto un oggetto
questi non è in grado di descriverlo o riconoscerlo ma può indicare la posizione che occupa nello spazio.
L’oggetto non può essere riconosciuto quando il paziente non è in grado di formarsene una rappresentazione mentale percettiva
adeguata. L’idea è che il riconoscimento avvenga necessariamente in seguito ad una rappresentazione percettiva, proveniente
dall’esterno, che trova una corrispondenza in una rappresentazione interna nella memoria a lungo termine.
 Nell’agnosia associativa infatti, la rappresentazione percettiva si forma, ed infatti l’oggetto può essere descritto e riprodotto,
ma non viene riconosciuto perché non c’è accesso alla memoria a lungo termine.
 La prosopagnosia è l’incapacità di riconoscere i volti umani in seguito ad una lesione nel giro fusiforme. L’esistenza di agnosie
che riguardano aree così specifiche di oggetti, suggerisce che una parte della MLT sia riservata alla rappresentazione
percettiva di categorie ed oggetti particolarmente importanti per la specie.

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- La ricerca recente ha portato a concludere che le caratteristiche degli oggetti sono processate non solo dalla via ventrale (via del
what) ma anche dalla via dorsale (where). Ciò che differenzia le due vie è l’uso finale delle due rappresentazioni dell’oggetto. Il
processamento operato dalla via ventrale è una rappresentazione percettiva cosciente dell’oggetto, quello della via dorsale è
inconsce e concerne caratteristiche spaziali che servono a guidare l’azione [grasping].

3. Attenzione.
- In condizioni normali gli essere umani, ed i loro cervelli, ricevono dall'ambiente e dall'interno del loro corpo moltissime
informazioni. Poiché solo alcune sono utili per lo scopo che si sta perseguendo, è necessario un meccanismo che selezioni le
informazioni rilevanti in entrata e scarti quelle irrilevanti. Questo meccanismo è l'attenzione.
- Attenzione spaziale: L'essere umano solitamente seleziona una posizione nello spazio orientandovi l'attenzione
accompagnando ciò con la rotazione degli occhi e del capo. Il primo problema nello studio dell'attenzione spaziale è quello di
separare la direzione dell'attenzione dalla direzione dello sguardo essendo possibile separare la direzione dello sguardo dalla
direzione dell'attenzione (orientamento implicito), dimostrato ad esempio da Rizzolatti che ha esaminato lo spostamento tra due
punti dell’attenzione escludendo movimenti oculari sottolineandone benefici e costi attentivi. Quando l’orientamento
dell’attenzione è dovuto ad una scelta del soggetto si parla di orientamento volontario, viceversa quando manca interpretazione
del segnale cognitivo che sposta l’attenzione l’orientamento è automatico e dipendente da un evento esterno al soggetto.
- E’ chiaro che nell’essere umano il fuoco della sua attenzione è meglio “illuminata” e rappresentata in modo più dettagliato
rispetto al resto dello spazio. Ora ci si chiede se le dimensione del fuoco ed il suo movimento possa variare. Sembra che le
dimensioni del fuoco dell’attenzione sia inversamente proporzionali ai TR nella selezione del bersaglio. E’ certo che è necessario
un evento percettivo saliente che funzioni da bersaglio affinché l’attenzione si sposti nello spazio e vari le sue dimensioni. La
ricerca mostra come i confini del fuoco non sono netti ma piuttosto si deve pensare all’attenzione come risorse attentive che si
presentano in quantità variabile. Così nello spazio attentivo si viene a creare un gradiente di risorse attentive che ha il suo
massimo in coincidenza del centro del fuoco e diminuisce sempre più allontanandosi da questo. Le lesioni cerebrali mettono in
luce, nello spostamento dell’attenzione tre passaggi fondamentali: disancoraggio (lesioni al lobulo parietale inferiore)
spostamento (lesioni al collicolo superiore) ri-ancoraggio (lesioni del pulvinar nel talamo).
- Attenzione selettiva: (selezione di una posizione nello spazio o di caratteristiche dell’oggetto). La porzione dello spazio
selezionata dall’osservatore è processata in modo particolarmente efficiente. Se è vero che la posizione nello spazio è
fondamentale per la selezione attentiva, questa non è l’unica caratteristica sulla base della quale l’attenzione opera una
selezione. Un tipico compito di attenzione selettiva prevede la presentazione di un’immagine con forme geometriche e la
richiesta successiva se uno stimolo (con indicazioni per forma e colore) sia stato presentato o meno a prescindere dalla sua
localizzazione spaziale.
- Secondo le ricerche di Treisman (1988) le singole caratteristiche di un oggetto nello spazio (forma, colore, dimensione) sono
processate senza la mediazione dell’attenzione (in modo preattentivo). Nell’ES. precedente colore forma e dimensione sono
processate in maniera automatica in parallelo. Dunque tutti gli stimoli presenti nel campo visivo sarebbero processati
simultaneamente per determinare se uno di essi possieda la (unica) caratteristica che è oggetto dell’operazione di selezione
(degna di attenzione). Quando il bersaglio è infatti definito da una sola caratteristica i TR sono rapidi e gli errori minimi, non
interessati per altro dal numero di distrattori. La situazione cambia drasticamente quando il bersaglio è definito da due
caratteristiche dovendo intervenire l’attenzione che opera in serie (focalizzata) non bastando più quella in parallelo, spostandosi
su vari stimoli fino a che il bersaglio non è individuato o si ha processato tutti gli stimoli. Questo processamento è attentivo e
opera in modo seriale ed i TR aumentano con l’aumentare dei distrattori.
- Attenzione spaziale e selettiva permettono di selezionare l’informazione rilevante per lo svolgimento di un compito e di
sottoporla ad un processamento efficiente. Nell’attenzione spaziale la base per la selezione è la posizione nello spazio, in quella
attentiva la base è una determinata caratteristica. Per quanto riguarda l’informazione non processata esistono due teorie:
1. Ipotesi della selezione precoce: il processamento dell’informazione non selezionata perché non rilevante è interrotto molto
presto e talvolta non inizia neppure.
2. Ipotesi della selezione tardiva: Il processamento dell’informazione non rilevante è comunque completo.
 Effetto Simon: I TR sono più rapidi se stimolo e risposta non dalla stessa parte del corpo. Ciò dimostra che l’informazione
sulla posizione dello stimolo, pur non essendo rilevante e non soggetta alla selezione attentiva ha un effetto sulla risposta.
L’informazione irrilevante viene senza dubbio processata.
 Effetto Eriksen: A due lettere che compaiono sullo schermo al centro di una stringa di altre lettere sono associati due
comandi diversi. Quando si presenta la situazione congruente con tutti stimoli uguali (TTTTT) i TR sono inferiori alla
situazione incongruente (SSTSS). Ciò deve significare che l’informazione irrilevante viene processata e rallenta la
selezione.
 Effetto Stroop: Presentati nomi dei colori su uno schermo, il soggetto deve dire a voce alta non il nome del colore che
legge, ma il colore del font usato. I TR sono nettamente inferiore nella condizione congruente (rosso scritto in rosso)
piuttosto che nella condizione incongruente (rosso scritto in verde), sintomo che l’informazione irrilevante (ciò che vi è
scritto) è comunque processata. Ciò è dovuto alla difficoltà che incontra l’attenzione selettiva a sopprimere l’informazione
non rilevante che tende ad innescare una risposta (la lettura) che è diventata automatica.

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 Effetto Navon: Al soggetto sono presentante delle grandi lettere (livello globale) formate dal lettere più piccole (livello
locale). I TR sono più brevi quando si chiede di individuare la lettere a livello globale e più lenti nella situazione
incongruente, quando si deve individuare la lettera a livello locale che differisce da quella globale (H formata da tante s)
perché anche il livello locale viene processato.
- E’ chiaro che vi sia una difficoltà dell’attenzione selettiva a impedire il processamento dell’informazione non rilevante quando
questa proviene da una porzione dello spazio nella quale è diretta l’attenzione spaziale.
 Priming negativo: Per priming si intende solitamente un effetto di facilitazione conscia o inconscia. Il priming negativo è
invece il caso in cui la risposta ad uno stimolo è rallentata per via delle caratteristiche degli stimoli precedenti. Le
caratteristiche non rilevanti di uno stimolo precedente anche se non influenzano direttamente la risposta a quello stimolo
(precedente), sia stata comunque elaborata e poi arrestata da un meccanismo inibitorio. Quest’ultimo però agisce per un
tempo limitato e gli effetti dell’informazione precedentemente processata ma irrilevante nello stimolo antecedente
riemergono alla presentazione dello stimolo successivo rallentandone la risposta.
 Change blindness: E’ una delle conseguenze più clamorose del fallimento dell’attenzione e consiste nell’incapacità di
rilevare cambiamenti eclatanti nel campo visivo. Ciò dimostra che noi non mostriamo attenzione a tutti gli elementi della
scena visiva, i quali non sono percepiti coscientemente.
 Attentional blink: E’ l’ammiccamento visivo: uno stimolo presente nel campo visivo non viene rilevato per un fallimento
dell’attenzione. Succede quando sono da selezionare più bersagli nella stessa scena e conseguenzialmente il soggetto
deve monitorare la serie di stimoli individuando i due bersagli. L’idea che spiega il fallimento è l’attenzione, impegnata a
processare il primo bersaglio “ammicchi” e impedisca di rilevare il secondo. Il secondo viene mancato non se presentato
insieme al primo, perché i due sarebbero processati insieme, né se troppo distante, ma quando l’attenzione è impegnata,
dopo averlo individuato a processare il primo bersaglio.
- I fallimenti presentati avvengono in soggetti normodotati privi di patologia alcuna. L’attenzione può fallire e quando ciò accade
viene a mancare la rappresentazione cosciente di una porzione di realtà esterna. Questo fatto accresce in pazienti affetti da
eminegligenza spaziale unilaterale (neglect) [lesione al lobulo parietale inferiore che presiede all’orientamento dell’attenzione],
caratterizzati da un deficit di attenzione spaziale per cui una metà della realtà non è rappresentata al livello cosciente ma è
comunque processata. Questa patologia a prima vista suggerirebbe che la selezione attentiva agisca molto precocemente nel
corso del processamento dell’attenzione (ip. della selezione precoce): l’attenzione non può orientarsi verso sx e ciò rende
impossibili anche le fasi iniziali del processamento dell’informazione che proviene da questa parte dello spazio. L’evidenza
empirica dimostra invece che in assenza di attenzione il processamento dell’informazione è comunque completo e che la
rappresentazione percettiva si forma ugualmente ma non ha accesso alla coscienza. L’attenzione non è quindi necessaria per il
processamento dell’informazione, ma è necessaria perché le rappresentazioni, risultato del processamento, diventino coscienti.
- In che modo il processamento dell’informazione rilevante è più efficiente di quella non rilevante? Per rispondere è necessario
abbandonare l’aspetto selettivo dell’attenzione e guardare al suo aspetto intensivo: L’efficienza del processamento cognitivo
dipenderebbe dalla quantità di risorse attentive (o di processamento) disponibili. Convogliare le risorse attentive al
processamento dell’informazione rilevante e sottrarle al processamento di quella irrilevante permette di modulare l’efficienza del
processamento in accordo con l’esigenza del compito. Ciò emerge chiaramente nell’interferenza da doppio compito, per cui
svolgere due compiti contemporaneamente può portare a scarsi rendimenti:
1. Interferenza strutturale: Se i due compiti che devono essere eseguiti condividono lo stesso meccanismo (periferico di uscita o
di ingresso – stessi muscoli – centrale – memoria di lavoro) è sempre impossibile mantenere l’efficienza ad un livello
paragonabile a quello che si raggiunge quando i compiti sono eseguiti separatamente in sequenza.
2. Interferenza da competizione per le risorse: Interferenza riscontrata quando i due compiti non condividono lo stesso
meccanismo né centrale né periferico. Il fenomeno viene attribuito al fatto che i processi mentali richiedono l’impiego di una
certa dose di risorse attentive. Poiché la quantità d’impiego di quest’ultime sarebbe limitata tanto maggiore è la quota
utilizzata per un compito (compito primario), tanto minore sarà quella residua dedicata ad un altro (secondario). Per quanto
manchi una definizione univoca di risorse attentive, tutte convergono sull’idea di una sorta di “energia mentale” che può
essere abbastanza facilmente trasferita da un compito all’altro.
- La prestazione di un soggetto umano in un gran numero di compiti si modifica profondamente con l’esercizio. Gli effetti
dell’esperienza sulle prestazioni sono così clamorosi che ha indotto molti studiosi a sostenere l’esistenza di due diversi tipi di
processamento dell’informazione qualitativamente diversi: automatico e controllato:

1. Processamento automatico: E’ rapido, non impegna la memoria a breve termine e non richiede l’impiego di risorse attentive.
Ciò comporta che più processi automatici possono essere svolti simultaneamente senza alcun tipo di interferenza.
L’impressione è che si svolgano al di fuori del controllo volontario del soggetto che non li inizia volontariamente né può
interromperli arbitrariamente prima del completamento dell’esecuzione.
2. Processamento controllato: E’ lento e soggetto ai limiti di capacità della MBT (e/o di quella di lavoro) e richiede l’impiego di
risorse attentive. Per i suddetti limiti non è possibile svolgere due processamenti controllati contemporaneamente. Danno
l’impressione di essere sotto il controllo diretto del soggetto e di poter essere iniziati e interrotti arbitrariamente. Il ruolo
cruciale di questo processamento è di assicurare una massima flessibilità alle azione poiché senza di esso ci limiteremo ad

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azioni automatiche e stereotipate. Un processamento controllato con l’esercizio può diventare automatico una volta che
l’informazione venga depositata nella memoria procedurale, sezione della MLT.
Basi neurali dell’attenzione: Non potendo negare che i movimenti oculari siano legati ai movimenti dell’attenzione, Rizzolatti ha
proposto la teoria premotoria dell’attenzione spaziale, secondo la quale i meccanismi neurali che presiedono all’orientamento
dell’attenzione coincidono con i meccanismi neurali che presiedono alla programmazione dei movimenti oculari. E’ indubbio che
allo spostamento degli occhi coincida quello dell’attenzione. Questa accresciuta salienza della posizione nello spazio verso la
quale si dirigono gli occhi si verifica indipendentemente dal fatto che il movimento oculare sia programmato e poi eseguito o solo
programmato ma non eseguito. Dunque la programmazione dell’attenzione è la conseguenza automatica della programmazione
del movimento oculare, e poiché la programmazione del movimento oculare dipende dall’attività della corteccia premotoria ecco
dato il nome della teoria.
- L’informazione spaziale necessaria alla programmazione del movimento oculare, raggiunge, tramite la via dorsale il lobo
parietale (lobulo parietale inferiore: p. automatico / superiore: p. controllato). Da qui l’informazione raggiunge la corteccia
premotoria dedicata alla programmazione dei movimenti oculari (B8). I comandi raggiungono poi il collicolo superiore ed infine
per l’esecuzione i nervi oculomotori. Nel caso dello spostamento dell’attenzione senza i movimenti oculari, l’informazione
raggiunge B8 per la programmazione ma qui si arresta.
- Non della stessa opinione sono altri studiosi autorevoli quali Posner per il quale i circuiti neurali per il movimento
dell’attenzione e oculari non coincidono. Se il circuito per i movimenti oculari è quello appena descritto, per quello
dell’attenzione sarebbero individuati tre parti indipendente dedicati alle tre fasi dell’attenzione: disancoraggio, spostamento,
ancoraggio.
- Per concludere, l’attenzione ha l’effetto di rendere più efficiente il processamento dell’informazione rilevante a discapito di
quella irrilevante. L’orientamento rende più saliente una posizione su cui si concentrano le risorse attentive a discapito di un’altra,
la selezione rende più saliente una caratteristica privilegiata e l’impegno mentale concernete le risorse attentive viene assegnato
in modo differenziale alla posizione o alla caratteristica che deve essere processata efficientemente.

4. Emozioni
- L’emozione segnala che è avvenuto un cambiamento nell’ambiente esterno o interno e che tale cambiamento è stato
soggettivamente percepito come saliente. L’emozione è un processo interiore scatenato da un evento emotivamente significativo
che si manifesta come esperienza soggettiva, comportamento espressivo, comportamento motivato, cambiamento corporeo.
- Le emozioni sono accompagnate da risposte fisiologiche. Lo stadio iniziale di una risposta emotiva è sostanzialmente un output
motorio riflesso, diverso dall’attività motoria a cui diamo inizio volontariamente. Il sistema motorio deputato al controllo delle
risposte emotive reagisce automaticamente e involontariamente e comprende due branche:
1. La risposta scheletrica involontaria: include una serie di manifestazioni specie-specifiche che coinvolgono cambiamenti
rapidi ed involontari nell’espressione facciale, vocale, nella postura e nei movimenti messi in atto ai fini della
sopravvivenza.
2. Risposta vegetativa: Comprende modificazione fisiologiche e ormonali. I segnali che scatenano queste risposte hanno
origine nell’ipotalamo, responsabile della regolazione dell’ambiente interno e connesso all’amigdala il principale trigger
per le emozioni al centro del cervello.
 Teoria periferica della E. di James-Lange: James (1884) propose che la percezione di un “evento eccitante” determinasse
direttamente una risposta fisiologica e l’interpretazione cognitiva di tale risposta fosse il fenomeno indicato come emozione.
Le differenti emozioni rifletterebbero le nostre interpretazioni di stati fisiologici diversi. Non aumenta il battito cardiaco
perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché aumenta il battito cardiaco. L’evento emotigeno determinerebbe una serie
di reazioni vegetative e la percezione di queste modificazioni fisiologiche sarebbe alla base dell’esperienza emotiva
 Teoria centrale delle E. Cannon-Bard: Cannon (1927) concordava sul fatto che le risposte fisiologiche giocasse un ruolo
cruciale nelle emozioni. Tuttavia riteneva che le risposte fisiologiche da sole non potessero spiegare le esperienze emozionali
soggettive. Se le emozioni fossero state la percezione di modificazioni corporee allora avrebbero dovuto dipendere
interamente dalla presenza di una corteccia motoria e sensoriale intatta. Poiché la rimozione della corteccia non eliminava le
emozioni, James aveva torto. Per Cannon le risposte fisiologiche sono troppo lente e spesso impercettibili e come tali non
possono spiegare la percezione soggettiva cosciente che è di fatto rapida e intensa. L’obiezione primaria era che James
disobbediva alla neuroanatomia funzionale almeno come essa era concepita al tempo: l’ipotalamo è la struttura cerebrale
coinvolta nelle risposte emotive agli stimoli e tali risposte sono inibite dalle regioni corticali di origine più recente dal punto di
vista evoluzionistico. I segnali nervosi provenienti dall’ipotalamo sarebbero in grado di indurre le manifestazioni espressivo-
motorie delle emozioni e di determinare gli aspetti soggettivi dell’esperienza tramite le connessioni con la corteccia. Così
Canon riteneva che non fosse anatomicamente possibile per gli eventi sensoriali scatenare una risposta fisiologica prima che
vi fosse una percezione cosciente.
 La teoria dei due fattori (cognitivo-attenzionale): Entrambe le teorie elencate presentano delle caratteristiche reali ma non
spiegano interamente il fenomeno. Scatcher (1964) suggerì che le reazioni fisiologiche contribuivano all’esperienza
emozionale facilitando una valutazione cognitiva focalizzata di un evento fisiologicamente attivamente, e questa valutazione,
cioè la percezione cognitiva dello stato di attivazione e la sua interpretazione attraverso il processo di denominazione, era ciò

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che definiva esperienza emotiva soggettiva. Le emozioni era così il risultato di un processo a due stadi: in primo luogo si
produceva l’attivazione fisiologica come risposta allo stimolo, ed in secondo luogo vi era l’elaborazione cognitiva del contesto
in cui lo stimolo era occorso. [ES: adrenalina o placebo (inconsapevoli) -> maggiore propensione alla collera] Un’attivazione
aspecifica, associata ad un particolare contesto, produceva esperienze emotive contesto-specifiche. La teoria per sottolineare
che l’emozione è il frutto di due processi indipendenti quali attivazione fisiologica e contesto è detta dei due fattori. Un
corollario è che se ridotta l’attivazione fisiologica è ridotta anche l’intensità dell’esperienza emotiva (non nei pazienti con
lesioni al midollo che, pur non avvertendo sensazioni corporee non mostrano riduzioni dell’esperienza emotiva).
 La teoria della valutazione cognitiva: Lo psicologo americano Lazarus, abbandonò l’aspetto dell’attivazione fisiologica
interessandosi alla relazione o distinzione fra esperienza emotiva e cognizione. Se già Scatcher aveva dato importanza
all’elaborazione cognitiva, Lazarus riteneva che le emozioni fossero il risultato di una valutazione cognitiva e che il ruolo di
tale valutazione fosse quello di calcolare quanto ogni specifica situazione sia favorevole o sfavorevole agli obiettivi. Due
individui che valutano differentemente una situazione risponderanno con emozioni differenti. Esistono cioè fattori di
predisposizione e stili cognitivi che portano a valutazioni diverse della stessa situazione e quindi diversa esperienza emotiva.
Ciò dimostrava la predominanza della cognizione sull’emozione ed il potere dell’abilità cognitive nel suscitare un’emozione, la
quale non compare mai in modo casuale ma è il frutto di un’attività di conoscenza e di valutazione ed è collegata alle sue
implicazioni e agli scopi dell’individuo. Lazarus ci dice che le emozioni originano come risposta al significato di una data
situazione. Non sono attivate dall’evento in sé ma dal significato attribuitogli. I processi cognitivi precedono le emozioni.
- Questa teoria subì molti attacchi e non è mai stata accettata universalmente. Secondo Zajonc, le emozioni sono preminenti
ed indipendenti dalla cognizione. Egli arrivò a dimostrare il semplice effetto di esposizione per cui la preferenza emotiva per
un qualcosa avviene senza la consapevolezza di aver elaborato gli stessi stimoli in precedenza e quindi non è possibile
esercitare controllo cognitivo su ciò che si prova. Di fatto entrambi erano d’accordo sul fatto che per provare un’emozione era
necessario elaborare l’informazione sensoriale.
- Le emozioni di base: Già Darwin aveva detto che nell’essere umano vi fosse un numero limitato di emozioni di base connesse
alla sopravvivenza della specie. Ekman (1972) individuò quelle che ancora oggi sono le sei espressioni facciali di base delle
emozioni: gioia, colera, paura, disgusto, tristezza, sorpresa. Ciascuna di esse è caratterizzata da un unico insieme di movimenti
facciali attivati da uno specifico programma di istruzioni codificate dal sistema nervoso e quindi la capacità di compierli sembra
innata (cechi congeniti) e presente universalmente. I processi cognitivi però possono intervenire per produrre modificazioni
dell’espressione innata (accentuazione, attenuazione, mascheramento, simulazione) Sembra inoltre che esistono sistemi neurali
deputati alla percezione di emozioni specifiche ed ogni emozione primaria abbia un suo tipico pattern di attivazione cerebrale:
[paura – amigdala, disgusto – insula, gioia – cingolo anteriore, tristezza – giro frontale…].
- Il comportamento emotivo innato, di cui fa parte l’espressione facciale può essersi sviluppato nel corso dell’evoluzione solo in
virtù del suo valore adattivo e funzionale. L’essere umano ha una capacità nota come regolazione delle E. che utilizzata con
successo riduce l’attivazione dell’amigdala e dell’insula. Questa capacità, che si sviluppa dai primi anni di vita è essenziale per il
benessere psico-fisico modellando la condotta emotiva di fronte ad un evento emotigeno in modo da orientare il tipo di
esperienza e manifestazione nel modo più consono alla situazione. La comparsa di una psicopatologia può infatti dipendere dal
mancato sviluppo di questo meccanismo o viceversa da un uso eccessivo. Nel modello di Gross (2006) tra le varie strategie
adottate per regolamentare le emozioni un ruolo di primo piano è svolto dalla rivalutazione cognitiva del fenomeno,
accompagnata dalla distrazione, soppressione (ecc.).
- L’approccio dimensionale, a differenza del precedente (Ekman) che considerava le emozioni come entità distinte, classifica tutta
la varietà di stati emozionali su scale specifiche che tengono conto della valenza e dell’attivazione. Per una serie di dimensioni
quali valenza emotiva, controllo, capacità, novità, esisterebbe un unico continuum e non un fenomeno tipo tutto-o-nulla. I due
approcci dimensionali sono il modello circolare e la distinzione approccio fuga:
1. Modello circolare: L’attivazione, modificazione fisiologiche, e valenza, intensità emotiva soggettiva, (+/-) possono essere
messe su una scala. Il mod. circolare colloca l’attivazione su un’asse e la valenza sull’altro, creando un grafico in cui le
emozioni sono codificate a seconda della loro attivazione e piacevolezza.
2. L’approccio dimensionale: E’ rappresentato dalla distinzione approccio-fuga. Le emozioni possono così essere classificate
lungo la dimensione della motivazione, concettualizzata come la propensione all’azione. Vi sarebbero emozioni di
avvicinamento (gioia, sorpresa, rabbia) ed emozioni di fuga (tristezza disgusto paura). Vi sarebbe un’asimmetria cerebrale
nella rappresentazione della tendenza approccio-fuga.

5. Memoria.
- Nella storia della psicologia le prime idee che prevedevano l’esistenza di almeno due sistemi di memoria differente iniziano a
comparire già nell’800. Nel 1949 Hebb formulò una vera a teoria a due componenti, due tipi di memoria. La MBT, dipendente da
un’attività elettrica temporanea nel cervello e la MLT rappresentata da modificazioni neurochimiche più durature. Il concetto di
memoria unitaria venne definitivamente superato dagli anni ’60 quando è stata proposta una prima distinzione tra sistemi
anatomo-funzionali che sottendono alla MBT e sistemi per la MLT. La prova più evidente di ciò veniva da diversi tipi di amnesici. I
classici amnesici con lesioni a livello temporale mediale presentavano problemi nella rievocazione e apprendimento di nuove informazioni, se
pur questi riescano a ripetere sequenze di cifre subito dopo la presentazione. Vi sono invece altri pazienti con lesioni alle aree perisilviane di

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sinistra che sono in grado di ripetere solo una, o due cifre immediatamente dopo la presentazione, ma la capacità di apprendere e revocare è
intatta. Una doppia dissociazione che mette in luce l’esistenza di due processi separati. [Primng = effetto primacy / recency]
- Dagli anni ’60 i nuovi modelli prevedevano tutti l’utilizzo di due sistemi separati. Grande successo ebbe il modello amodale di Aktinson (1968).
Questo modello prevedeva tre tipi diversi di memoria. La componente più breve era rappresentata da una serie di sistemi sensoriali che
includevano una memoria sensoriale visiva (iconica) e acustica (ecoica). Per A. l’informazione fluiva poi da questi sistemi sensoriali paralleli ad
un singolo magazzino a breve termine che agiva come una memoria di lavoro a capacità limitata con capacità immagazzinative e manipolative.
Era perciò considerato responsabile sia della codificazione dell’informazione nella MLT sia del successivo richiamo. Interagendo con la MLT,
l’apprendimento dipendeva da entrambi i magazzini.
- Il problema più grande di tale modello risiedeva nell’apprendimento. Non vi furono riscontri infatti sull’idea che più a lungo un’informazione
era mantenuta nel magazzino di MBT più era facile trasferirla nella MLT. Craik propose allora la teoria dei livelli di elaborazione più che dalla
durata il grado di apprendimento ed il trasferimento nella MLT dipende dalla profondità e ricchezza della codificazione. Altro
problema del modello amodale veniva dalla neuropsicologia. Questo sosteneva che il passaggio per il magazzino MBT fosse
cruciale per il trasferimento nella MLT. Tuttavia pazienti con lesioni al sistema di immagazzinamento a breve termini non
mostrano difficoltà ad apprendere mantenendo una MLT intatta.
- Nel 1974, Baddeley ed Hitch hanno suggerito di sostituire al concetto unitario di MBT, un sistema più complesso a tre
componenti a cui hanno dato il nome di memoria di lavoro (WM), un sistema cognitivo che permette il mantenimento
temporaneo e la successiva elaborazione di informazioni nel cervello. Questo modello è suddiviso nell’esecutivo centrale e due
sottosistemi ausiliari (circuito fonologico e taccuino visuospaziale). Tutti e tre avrebbero capacità limitata:
 Esecutore centrale: Sistema di controllo che dispone di un quantitativo limitato di capacità di elaborazione
 Circuito fonologico: Mantiene l’informazione verbale/acustica in un magazzino temporaneo. Occupa una piccola parte della
WM, la traccia mnestica è temporanea e persa rapidamente ed il materiale è codificato solo secondo le sue caratteristiche
fisiche. La MBT verbale misurabile attraverso lo spam di cifre, implicata nell’apprendimento di parole nuove, servirebbe a
mantenere la rappresentazione fonologica della parola nel periodo necessario a formare una rapp.ne stabile di essa. Pazienti
con il circuito fonologico lesionato, individuato nella parte inferiore del lobo parietale sinistro (giro sovramarginale) difatti non
imparano parole nuove
 Taccuino visuospaziale: Sistema necessario a mantenere temporaneamente e manipolare informazioni visive e spaziali al pari
del circuito fonologico, ma a differenza di questo non è ben localizzato neuralmente ma sembrano comunque interessate
aree posteriori dell’emisfero sinistro.
 Buffer episodico: introdotto più di recente, consisterebbe in un magazzino multimodale limitato, una specie di interfaccia di
codici differenti che integra le informazioni provenienti dai due sottosistemi con quelle provenienti dalla MLT e sarebbe
accessibile consapevolmente [ES: raggruppamento e categorizzazione].
- La MLT è anch’essa frazionabile in componenti separate. La più importante distinzione è tra memoria esplicita (dichiarativa) e
implicita (non dichiarativa)
 MLT Esplicita: comprende le forme di MLT che possono essere rievocate consapevolmente e descritte come ricordi, fatti o
idee.
 M. episodica: Capacità di rievocare eventi specifici ricordandone i dettagli. E’ retrospettiva se coinvolge eventi passati
avvalendosi del contesto spazio-temporale in cui tali eventi hanno avuto luogo ed è prospettiva se concerne il ricordo di
eventi futuri.
 M. semantica: Conoscenza generica del mondo, la sapienza generale non collegata ad alcun evento.
 MLT Implicita: riguarda forme non consapevoli di memoria che si esprimono attraverso una modificazione del
comportamento senza alcuna conscia rievocazione e senza la necessità di rievocare l’episodio originale.
- La perdita di memoria negli amnesici è distinta in amnesia retrograda, in cui il paziente non riesce a ricordare gli eventi
precedenti ad un trauma ma riesce ad immagazzinarne di nuovi, o anterograda quando il paziente non riesce più ad apprendere
o ricordare nuove informazioni in seguito ad un evento traumatico.

- La prima fase dei processi di memoria consiste ovviamente nel formarsi un ricordo, cioè nell’apprendimento di nuovi eventi o
fatti. Questo processo avviene attraverso tre fasi distinte che interagiscono tra loro:
1. Codifica: E’ la registrazione iniziale dello stimolo in entrata e comprende vari processi attraverso i quali lo stimolo e
l’informazione sono trasformati in una traccia mnestica, cioè in una rappresentazione mentale che mantenga aspetti
dell’esperienza stessa. Qualsiasi forma di memoria comincia con una fase di codifica. LE strutture cerebrali coinvolte sono la
mediale del lobo temporale e frontale.
2. Consolidamento: Una volta codificate le informazioni attraversano una fase di stabilizzazione e indipendenti dal lobo
temporale mediale. Il consolidamento si riferisce all’idea che i processi neurali, dopo la prima registrazione e codifica,
contribuiscono all’immagazzinamento permanente del ricordo. Esistono due teorie contrapposte: Per il modello standard il
consolidamento inizia quando l’informazione, registrata nella neocorteccia, è trasformata in una traccia dell’ippocampo e
strutture correlate. Il legame in una traccia di memoria coinvolge un consolidamento a breve termine che si completa in poco
tempo. A questo punto comincia un processo di consolidamento a lungo termine: all’inizio ippocampo e strutture correlate

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sono necessari, ma poi, più il consolidamento procede, meno è il loro contributo. Secondo la teoria della traccia multipla
invece, l’ippocampo continuerebbe a essere necessario per la riattivazione delle tracce di memoria ed ogni volta che si
riattiva la traccia mnestica si forma una nuova traccia. L’informazione sul contesto spazio-temporale che conferisce il carattere
episodico richiede il continuo intervento dell’ippocampo.
3. Recupero dell’informazione: E’ l’aspetto più importante che consente di accedere ai ricordi. Immagazziniamo molto più di
quanto riusciamo a rievocare. Il recupero avviene quando vi è un appropriato suggerimento che riattiva gli elementi da
ricordare. La traccia dell’evento e il suggerimento devono essere compatibili affinché il ricordo abbia luogo, nel senso che
devono essere legati da una qualche relazione di tipo associativo o una sovrapposizione di informazioni in modo che la traccia
sia convertita in ricordo. Un ricordo episodico essendo una rappresentazione integrata può essere rievocato anche da un solo
tratto tra i vari che lo compongono che può corrispondere anche ad una piccola parte dell’informazione prima codificata. La
parte mediale del lobo temporale è cruciale per questa integrazione di elementi e per il loro richiamo. Altro contributo
essenziale è dato dai lobi frontali [Amnesia per la fonte: lesione lobi frontali, difficoltà nel ricordare da chi e come si è appreso
qualcosa]. Le aree frontali sono essenziali nel pianificare la rievocazione perché selezionano le strategie adeguate per
facilitare il richiamo e servono per risolvere i conflitti o interferenza tra vari ricordi [Lesioni frontali: interferenza di più ricordi
che si sovrappongono]. Altro ruolo svolto dai lobi frontali è il monitoraggio e la valutazione dei ricordi rievocati.
4. Contesto: Altro fattore essenziale per rievocare un ricordo è l’ambiente in cui esso si è consolidato. [Dipendenza dal
contesto]. Non è solo l’ambiente esterno in cui avviene l’apprendimento a facilitare il richiamo, ma anche l’ambiente interno
(stato emozionale o alterazione psico-fisica) può svolgere la stessa funzione.
- E’ innegabile che le informazioni apprese possano essere dimenticate con il corso del tempo. Ci sono due teorie a proposito
dell’oblio: la prima sostiene che le tracce di memoria si deteriorano diventando indistinguibili con il passare del tempo, la
seconda, più valida neuroscientificamente, suggerisce che una traccia mnestica si perde perché oscurata da altre informazioni
apprese successivamente. Se la traccia decade spontaneamente il fattore cruciale dovrebbe essere semplicemente il tempo
trascorso, se invece decade per interferenza di altre informazioni, diventa fondamentale il numero di eventi e di informazioni che
si apprendono nell’intervallo di tempo tra la prima informazione e il momento del ricordo. L’oblio di informazioni dovuto
all’arrivo di nuovi dati è detto interferenza retroattiva, tuttavia può succedere che la traccia precedente è più forte e si mantiene
in favore di quella nuova (interferenza proattiva).
- La memoria non è infallibile. Esistono delle vere e proprie illusioni di memoria per cui il ricordo che abbiamo differisce da ciò
che è realmente accaduto. L’errore può avvenire in qualsiasi delle tre fasi (codifica, consolidamento, richiamo) e può verificarsi
anche in episodi apparentemente vividi ad alto contenuto emozionale. L’errore, ipotizza Barlett già dal ’32 è dovuto al fatto che il
ricordo parte da un concetto chiave e continua come una ricostruzione “scenica” dell’evento accaduto tramite schemi e dettagli
completivi che possono essere distorti. In particolare tutti i soggetti tendono a razionalizzare i propri ricordi inserendo
involontariamente fattori estremamente plausibili ma talvolta mai accaduti Inoltre accade che la memoria semantica prevalga su
quella episodica: in questo modo la rievocazione di un ricordo/episodio può essere influenzata dalle conoscenze generali che si
hanno nel momento del richiamo [effetto di relazione]. Altro fattore che interferisce considerevolmente è l’interferenza: più due
eventi sono vicini o simili più questi si confonderanno tra di loro, con, questa volta, la m. episodica che prevarica su quella
semantica.
- Le emozioni giocano un ruolo molto importante nella memoria. L’umore opera allo stesso modo degli indizi esterni facilitando il
ricordo. Inoltre gli stimoli a contenuto emozionale tendono ad essere rievocati meglio di quelli neutri, ma se è vero che l’evento
centrale è più nitido, i dettagli di contorno tendono ad essere ricordati meglio nelle situazioni neutre; probabilmente ciò avviene
perché un evento emotigeno restringe maggiormente il focus dell’attenzione durante la codifica. Nella rievocazione dei contenuti
emozionali, tecniche di neuroimaging hanno evidenziato l’attivazione dell’amigdala che sembra agevolare la rievocazione stessa.

- La memoria non dichiarativa per definizione opera in assenza di consapevolezza e non può essere in alcun modo descritta.
Esistono molti sistemi di memoria implicita che Squire ha ridotto a quattro:
1. La memoria procedurale: corrisponde alla capacità di acquisire abilità motorie o cognitive gradualmente attraverso la pratica.
L’esercizio permette di migliorare prestazione, accuratezza e velocità d’esecuzione senza che l’episodio precedente, o le regole
per svolgere il compito vengano riattivati. Sarebbero i gangli della base, strutture sottocorticali, ad essere cruciali
nell’apprendimento procedurale.
2. Priming: Consiste nel fatto che l’esposizione ad uno stimolo facilita la sua tendenza ad essere percepito o elaborato più
rapidamente la volta successiva. Le regioni della corteccia che circondano le aree sensoriali primarie che ricevono gli stimoli
visivi controllano il priming visivo, ma ne esiste anche uno semantico o concettuale. L’apprendimento esplicito si differenzia
da quello esplicito perché nel primo non è presente il livello di elaborazione e resta così inconscio. Il priming inoltre si
differenza dall’apprendimento procedurale perché basta una sola esposizione allo stimolo.
3. Condizionamento: Altra forma di apprendimento implicito che si differenzia in varie forme:
A. Condizionamento classico: Scoperto da Pavlov a fine ‘800 utilizzando esperimenti con i cani consiste nell’associazione
ripetuta fra uno stimolo condizionato e uno incondizionato che, presentanti contiguamente e con frequenza producono
una risposta condizionata, un rafforzamento.

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B. Condizionamento operante o strumentale: A differenza del precedente in cui i legami fra stimolo e risposta dipendono
unicamente dalla contiguità temporale e dalla ripetizione, qui i legami dipendono anche dagli effetti conseguenti alla
risposta (legge dell’effetto). Skinner dimostrò che se per un animale compiere un’azione porta dei benefici [rinforzo
positivo o negativo] nel giro di qualche risposta (tentativi ed errori) questi imparerà a compiere sistematicamente
quell’azione.

6. Rappresentazione e conoscenza
- Abbiamo distinto la memoria dichiarativa in episodica e semantica. La prima concerne il ricordare un episodio specifico, la
seconda il sapere le conoscenze generali, è la sottocomponente delle memoria responsabile dell’acquisizione, rappresentazione
ed elaborazione dei concetti. La memoria semantica comprende anche una sottocomponente più strettamente relativa al
linguaggio, relativa al s.to delle parole, ed una enciclopedica relativa alle informazione che abbiamo sul mondo apprese in vari
modi che costituisce il nostro repertorio culturale. La memoria semantica permette qualsiasi processo mentale, quali percezione,
ragionamento e linguaggio ma anche le azioni. Il modo in cui questa è rappresentata e organizzata ha quindi rilevanza estrema
sul comportamento.
- Le informazioni presenti nella m.semantica sono state ovviamente apprese in una situazione precisa ma hanno perso la loro
connotazione spazio-temporale e sono diventate conoscenza. D’altro canto gli stimoli per essere ricordati necessitano di essere
codificati ed elaborati semanticamente, ovvero i ricordi episodici hanno bisogno della semantica per poter diventare nostro
patrimonio mnestico. Le conoscenze semantiche sono rappresentate in un formato che ne permette l’uso sia durante il
riconoscimento in entrata che in produzione in uscita. I meccanismi di produzione e riconoscimento sono almeno in parte distinti
perché sottendono a differenti meccanismi di codifica (dal concetto alla forma) e decodifica (viceversa). Si potrebbe ipotizzare
perciò che il formato in cui queste rappresentazioni sono immagazzinate debba essere sufficientemente astratto,
indipendentemente dalla modalità d’elaborazione, per permetterne un uso condiviso.
- Per rappresentazione, possiamo intendere uno stato fisico (es. circuito neuronale) che corrisponde ad un oggetto, evento o
concetto e ne possieda tutte le informazioni corrispondenti. Una rappresentazione deve essere intenzionale per rappresentare
un qualcos’altro e deve contenere informazioni astratte sulla funzione e caratteristiche percettive degli oggetti.
- Un importante dibattito si è accesso sul tipo di formato che hanno queste rappresentazioni, cioè il codice con cui sono
immagazzinate. Alcune possibilità sono state offerte dai modelli amodali e multimodali. Tutte le teorie amodali partono dal
presupposto che gli oggetti e le loro caratteristiche siano rappresentate in un unico magazzino e la modalità sensoriale attraverso
cui si acquisisce la conoscenza è irrilevante ai fini della rappresentazione di quella conoscenza perché l’informazione sensoriale è
persa nel momento in cui viene trasdotta. Non è chiaro però come abbia luogo la trasduzione e come avvenga il processo
inverso, dalla rappresentazione al riconoscimento, ma la rappresentazione prescinderebbe dal particolare contesto in cui
l’elemento si trova nel mondo reale. L’immagine di un evento raggiunge il sistema visivo, prosegue lungo la via ventrale e si
attivano dei rilevatori di caratteristiche significative. I simboli amodali, arbitrari e astratti descrivono le proprietà e le relazioni
dell’oggetto. Le parole non sono simboli amodali, ma stanno al posto del simbolo a cui si riferiscono. Al contrario i modelli
multimodali presuppongono che i concetti siano distribuiti attraverso una vasta rete di aree cerebrali e siano legati alle modalità
sensoriali. I dati dalle neuroscienze hanno posto serie difficoltà ai modello amodali rafforzando le ipotesi di immagini mentali
[deficit semantici categoria-specifici che colpiscono una precisa area semantica (volti umani)].
- Al fianco di queste teorie se ne è sviluppata una detta della grounded cognition, lontana da una visione amodale delle
rappresentazioni. Queste teorie si focalizzano più sulle rappresentazioni neurali che sulle immagini mentali coscienti. Una lesione
in aree particolari del cervello altera l’elaborazione concettuale di categorie che utilizzano quella regione per percepire
determinate entità fisiche. La maggior parte di queste teorie è imperniata sul ruolo della simulazione, ovvero sulla riattivazione
di stati percettivi motori e introspettivi acquisiti durante l’esperienza con il mondo, il corpo e la mente. Durante un’esperienza il
cervello cattura gli stati attraverso le diverse modalità e li integra con una rappresentazione multimodale immagazzinata in
memoria. In seguito quando la conoscenza serve per rappresentare una categoria, le rappresentazioni multimodali che si sono
formate durante l’esperienza avuta con quegli esemplari di quella categoria sono riattivate per simulare come il cervello avvia
rappresentato percezione, azione e introspezione ad esse associate. Per questa teoria la simulazione è elemento centrale di
elaborazione. Le immagini mentali rappresentano la forma più nota di simulazione, ma ne sono solo un esemplare conscio, Il più
delle volte la simulazione avviene inconsciamente. Il contesto, la particolare situazione, giocherebbe un ruolo essenziale nel
determinare i processi cognitivi tanto che l’elaborazione cognitiva non può essere scissa da esso. Quando si richiama un ricordo
(casa) i neuroni che hanno catturato il pattern di attivazione che rappresenta l’entità (casa) sono riattivati in assenza dello stimolo
e riattivano parzialmente lo stato visivo presente durante la precedente percezione. Analogamente ciò avviene con le azioni;
quando si compie o si pensa ad un’azione già eseguita i neuroni riattivano parzialmente il precedente stato motorio: la
riattivazione è la simulazione. Inoltre se l’agente cognitivo è calato nell’ambiente non ha bisogno di una rappresentazione
completa di ciò che lo circonda ogni singola volta assumendo che il mondo sia relativamente stabile.
[+ connessionismo da persone, menti e cervelli]
- Ruolo fondamentale come principio di organizzazione del sistema di rappresentazione è svolto dalle categorie, chiave per
recuperare le informazioni e fonte di inferenze. Tutti i membri di una categoria sono associati ad un “tetto” comune, che funziona
da meccanismo per riattivare i membri al suo interno in un secondo momento. La funzione delle categorie è sia quella di

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generare prototipi quando dal tetto comune riattiva l’immagine e l’elaborazione di caratteristiche associate ad un membro, sia
quella di generare inferenze nel momento in cui si incontra un nuovo membro e si attiva la conoscenza della generale della
categoria a cui appartiene. Altra caratteristica delle categorie è di essere multimodali: vi sarebbe un magazzino di memoria
semantica comune a cui si può avere accesso tramite meccanismi sensoriali di entrata/uscita modalità-specifici. La categoria può
cioè essere riattivata tramite diverse modalità sensoriali. Le varie caratteristiche devono perciò essere legate tra loro attraverso
connessioni dirette o gerarchie articolate. Una zona di convergenza, proposte da Damasio, è una regione neurale dove diverse
informazioni sono legate fra loro: possono legare caratteristiche di una sola modalità in combinazioni (gruppi di elementi visivi),
di modalità diverse o anche di zone di convergenza di livello inferiore. La zona si presenta come un insieme di unità di
elaborazione che ricevono input da altre molteplici unità e ne codificano l’attività. E’ l’alternativa ad una proposta che, come è
necessario per capire il funzionamento cerebrale spiegava come rappresentazioni distribuite possono integrarsi in un sistema
unitario tramite l’attività sincronica di scarica di neuroni, per cui le rappresentazioni degli oggetti potrebbero dipendere dalle
frequenze di scarica simultanea di popolazioni di neuroni distribuite unite in virtù dello scaricare sincronicamente per frequenza.
- Non è chiaro però come avvenga l’integrazione semantica multimodale e ancor meno quella percettiva.
 Modelli gerarchici superficiali: Sono quelli in cui l’integrazione semantica avviene tutta nella stessa sede. L’informazione
è trasferita da un magazzino di rappresentazione all’altro. Questi magazzini sono segregati secondo il tipo di modalità
(visiva, tattile ecc.) o attraverso una singola zona di convergenza che integra le informazioni provenienti da tutte le
modalità di rappresentazione.
 Modelli gerarchici profondi: Sono quelli in cui la distanza di connessione fra zone è diversa. Le zone di convergenza
iniziali generalmente integrano informazioni dalle vicine unità rappresentazionali di una singola modalità, mentre altre
con campi recettivi progressivamente più ampi integrano informazioni da aree più distanti. L’informazione è trasferita da
un’area di convergenza ad un’altra.
 Modelli amodali: Per i quali l’informazione non è funzionalmente segregata in una modalità sensomotoria e non sono
necessarie zone di convergenza. Esistono prove a favore e contro ogni modello: molte zone di convergenza vanno contro
ad un principio di economia ma limitazioni anatomiche suggeriscono un’organizzazione gerarchica complessa. Il volume
del cranio impedisce il grado di connettività richiesto da i modelli privi di zone di convergenza. L’unica regione che ha
connessioni reciproche per tutte le modalità è l’ippocampo ma poiché la rimozione di esso non comporta una
catastrofica perdita dell’utilizzo dei concetti non è verosimile che essa sia l’unica zona di convergenza.
- Le categorie rivestono quindi un ruolo importante sia come principio di organizzazione del sistema di rappresentazione sia
come strumento per recuperare le informazioni e come fonte di inferenze. Su quale sia l’organizzazione delle categorie Eleanor
Rosch (1975) le ha analizzate secondo due dimensioni:
1. Verticale: organizzate gerarchicamente in funzione dell’inclusione in classi in cui le relazioni fra gli elementi sono
progressivamente più astratte dai livelli inferiori a quelli superiori. I livelli più alti hanno un maggiore peso cognitivo e le
relazioni tra livelli sono gestite da meccanismi ad hoc. Per il principio di economia cognitiva inoltre, le proprietà dei
concetti sono rappresentate al livello più alto possibile e sono recuperate solo quando necessarie mediante processi
inferenziale. In questo modo non c’è bisogno che una data caratteristica sia presente a tutti i livelli.
2. Orizzontale: Concerne la struttura interna delle categorie: le strutture più semplici contenute all’interno sono gli
esemplari che corrispondono ai singoli membri della categoria, la quale presenta una regola per l’ammissione o meno.
Poiché il grado di appartenenza varia, l’ammissione è valutata tramite un prototipo che è l’insieme delle proprietà più
comuni tra i membri della categoria

- Lo studio dei pazienti con lesioni cerebrali e deficit semantici specifici per categoria ci fornisce indicazioni sull’organizzazione
della memoria semantica. Le categorie possono essere compromesse o risparmiate in maniera dissociata.
 Il principio della struttura neurale: Secondo queste teorie, l’organizzazione della conoscenza concettuale è determinata
da vincoli imposti dalla rappresentazione interna al cervello. Le diverse categorie semantiche sono sottese da substrati
neurali dissociabili. Quindi i deficit semantici specifici per categoria sono dovuti ad un danno selettivo del correlato
neurale da cui dipendono gli item di quella categoria. Esistono due principali teorie basate su questo principio:
A. Teorie sensoriali/funzionali: Inizialmente si pensava che l’organizzazione del sistema semantico seguisse
l’organizzazione delle varie modalità di entrata e uscita dal sistema semantico stesso e cioè vi fossero sistemi
semantici multipli [Afasia ottica: incapaci di nominare oggetti se visti ma non se toccati / Agnosia visiva: Non
riconoscono un oggetto presentato, ma ne mimano l’uso se lo percepiscono in altri modi]. Una spiegazione
successiva afferma che i deficit semantici categoria-specifici siano derivabili dal danneggiamento differenziato
al sottosistema semantico modalità-specifico che non è organizzato in categorie semantiche
B. Ipotesi dominio-specifica: Sostiene che il primo vincolo nell’organizzazione dell’informazione entro il sistema
concettuale è dominio-specifico. Le categorie organizzate da vincoli di dominio sono limitate a quelle che
hanno avuto una storia rilevante nell’evoluzione. Il fenomeno

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 Il principio della struttura correlata: Alcune teorie ipotizzano che la struttura concettuale del sistema nervoso non si
rifletta in un’organizzazione neuroanatomica. Questi modelli di m.semantica sono stati implementati a livello
computazionale simulando, nel connessionismo, lesioni cerebrali, rimuovendo componenti selezionate a caso nella rete.

7. Funzioni esecutive e cognizione motoria.


- Nel 1986 Baddeley introdusse il concetto di memoria di lavoro, che comprendeva diverse componenti: due magazzini di MBT,
uno dedicato all'informazione verbale e l'altro all'informazione visuospaziale, due meccanismi di servizio che regolavano la
durata della permanenza dell'informazione nei magazzini di MBT, e un esecutivo centrale. L'espressione funzioni esecutive deriva
da questa proposta di Baddeley. Tuttavia è emerso che i compiti che avrebbero dovuto essere assegnati all'esecutivo centrale
erano troppi e troppo diversi fra loro.
- L'assunzione di base prevede la distinzione tra processi cognitivi e processi di controllo con l'idea che i secondi modulino i primi.
Tutte le funzioni esecutive controllano lo svolgimento dei processi cognitivi, ma se non è ancora chiaro il modo in cui lo fanno,
sappiamo che sono differenziate sulla base di compiti nei quali si pensa intervengano. Un aspetto centrale, chiarito già da diverso
tempo è la loro dipendenza dai lobi frontali (da qui sindrome frontale per indicare deficit delle funzioni esecutive conseguenti al
lesioni cerebrali). I lobi frontali sono suddivisibili però in tre parti:
1. La parte più posteriore è l’area motoria primaria (BA 4) dove sono rappresentati i muscoli del corpo (l’omuncolo
motorio), e lesioni in questa parte provocano paralisi che non hanno nulla a che fare con la sindrome frontale.
2. Più in avanti si incontra l'area premotoria (BA 6) che insieme al lobo parietale svolge un ruolo cruciale nella
programmazione dei movimenti, i quali saranno poi eseguiti con l'intervento dell'area motoria primaria. Anche lesioni in
questa zona provocano deficit di motricità che non rientrano nella sindrome frontale
3. La parte più anteriore del lobo frontale invece comprende diverse aree, dette prefrontali, che sono raggruppate in aree
prefrontali d'orso-laterali, ventro-mediali ed orbitali. E’ la lesione delle aree prefrontali che provoca quei deficit indicati
con l'espressione sindrome frontale. È importante notare che questa è la parte del cervello di gran lunga più sviluppata
nell'uomo in confronto a tutti gli altri animali, tanto che si è detto che sono le aree tipicamente umane del cervello: non
solo sono state le ultime a svilupparsi nell'evoluzione filogenetica, ma sono anche le ultime a svilupparsi nello sviluppo
ontogenetico, non raggiungendo la piena maturazione prima dei 15 anni.
- Le funzioni esecutive sono note dal 1848 grazie al caso di Phineas Cage. Più tardi nel 1940 Hebb e Penfield osservarono che in
questi pazienti i processi cognitivi fossero intatti ma fosse andata persa l'abilità di controllarli, organizzarli e di seguirli nella
sequenza corretta: l’ipotesi che ne conseguiva era che le aree prefrontali fossero il substrato neuronale di questi processi di
controllo e pianificazione e che le lezioni a queste aree le compromettessero producendo la sindrome frontale.
- Abbiamo detto che c'è accordo generale sul fatto che l'esecutivo centrale di Baddeley svolga molte funzioni distinte, le funzioni
esecutive, e che si sia conveniente scomporlo in tali funzioni, le quali possono essere considerate separatamente. C'è anche
accordo sul fatto che complessivamente queste funzioni operino organizzando e controllando gli altri processi cognitivi. Tuttavia
quando si passa ad elencare le funzioni esecutive l'accordo cessa. Ci serviamo perciò di batterie di test per la cui esecuzione è
necessario l'intervento delle funzioni esecutive.
1. Inibizione:
 Il compito di Stroop: Prevede la presentazione di nomi di colori scritti in caratteri colorati. Il compito del partecipante è di
pronunciare il più rapidamente possibile il colore con il quale è scritta la parola ignorando la parola stessa. I partecipanti
normali rispondono più lentamente nella condizione incongruente commettendo qualche errore. Ciò è dovuto al fatto che in
essa l'esecuzione della risposta corretta richiede l'inibizione della possibile risposta non corretta. Il processo di inibizione
richiede tempo e può fallire. I pazienti con lesioni delle aree prefrontali dimostrano TR eccezionalmente lenti nella condizione
incongruente commettendo un grande numero di errori. Questo compito richiede la capacità di inibire le risposte non
corrette, capacità che è compromessa dopo la lesione delle aree prefrontali. Le ricerche di neuro immagine hanno
evidenziato che nel compito di Stroop vi sia una cospicua attivazione di strutture neurali localizzate anteriormente nel
cervello.
 Il compito di compatibilità spaziale S-R: Il compito di compatibilità spaziale stimolo-risposta prevede che il partecipante
risponda ad uno stimolo presentato su uno schermo premendo un pulsante posto a sinistra o a destra in corrispondenza o in
difformità con la posizione dello stimolo. I TR sono più lente gli errori più numerosi nella condizione incompatibile. Questo
fenomeno, detto effetto di compatibilità, si verifica perché la comparsa dello stimolo provoca automaticamente l'attivazione
della risposta spazialmente corrispondente. Nella condizione incongruente quindi la risposta che si attiva automaticamente è
opposta rispetto a quella richiesta dal compito e perciò deve essere inibita. Questo processo inibitorio richiede tempo e
rallenta la risposta e l'inibizione delle risposte errate è una delle funzioni esecutive che viene compromessa dalle lesioni delle
aree prefrontali
 Il compito go/no-go: Altro classico test di inibizione della risposta è il compito Go-no go. Ai partecipanti vengono presentati
degli stimoli, ad esempio delle lettere, e le istruzioni sono di rispondere premendo un pulsante a tutte le lettere, ad eccezione
di una sola, alla quale non si deve rispondere. Se la lettera “bonus” viene presentata infrequentemente, quando questa

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compare, il partecipante deve inibire una tendenza a rispondere, e più la sequenza “Go” si allunga più forte diventa la
tendenza a rispondere e maggiore deve essere l’inibizione.
 Il compito del segnale di stop: Il compito del segnale di stop prevede che i soggetti devono eseguire un compito di tempo di
risposta in base agli stimoli acustici o visivi. Quando però dopo lo stimolo visivo viene presentato un segnale di stop acustico,
la risposta non deve essere seguita. Si è osservato che un aspetto cruciale in questo compito è il ritardo con il quale il segnale
di stop viene presentato rispetto allo stimolo. Più lungo è il tempo che trascorre, più si è sviluppato il processo di
preparazione della risposta e più difficile risulta interromperlo; quindi più è alto il ritardo del segnale più è probabile che il
partecipante commetta errori rispondendo.
2. Flessibilità cognitiva. La flessibilità cognitiva è un’abilità cruciale perché permette l'adattamento all'ambiente circostante.
Una risposta che era perfettamente accettabile e molto efficace in una certa situazione diventa non accettabile quando le
condizioni ambientali mutano anche di poco. Perciò la capacità di modificare rapidamente, in accordo con le richieste del
momento, i criteri che guidano la nostra risposta è una delle principali funzioni esecutive.
 Compito “Wisconsin Card sorting test”: Questo test è noto per valutare il danno delle aree prefrontali. Di fronte al
partecipante sono poste quattro carte ognuna caratterizzata da una forma, colore, e da un numero. Il soggetto che ha in
mano un mazzo di carte simili deve, una per volta, accoppiarle a una delle quattro carte iniziali. Per far ciò può usare il
numero, il colore, o la forma. Non gli viene detto però quale sia il criterio da utilizzare. Una volta che il soggetto lo ha
indovinato, l'esaminatore dopo qualche ripetizione cambia senza informarlo il criterio in modo che la scelta che fino a quel
momento era pertinente si rivela sbagliata. A questo punto è necessario stabilire, per prove ed errori, quale sia il nuovo
criterio da impiegare. I pazienti con lesioni alle aree prefrontali scopro il primo criterio in un numero di volte uguale a quello
di soggetti di controllo. Tuttavia mostrano grande difficoltà al momento di cambiare il criterio: i pazienti con lesioni alle aree
prefrontali continuano infatti ad impiegare il primo criterio per molte e molte prove a dispetto delle risposte negative
mancando di flessibilità nel passare da un processo cognitivo all'altro. Questo sintomo di perseverazione è uno dei segni più
sicuri della sindrome frontale
3. Organizzazione gerarchica dell’azione e pianificazione di sequenze di processi cognitivi: L'esecuzione di qualsiasi compito
richiede l'intervento di un gran numero di processi cognitivi. Questi processi non possono succedersi in modo casuale ma devono
realizzarsi con secondo una precisa sequenza. Inoltre, l'esecuzione efficiente del compito richiede che la stessa sia pianificata in
anticipo prima che l'azione stessa abbia inizio.
 Il compito della torre di Hanoi e della torre di Londra, richiede l'uso di tre pioli e di tre anelli di diametro diverso inanellati sul
primo piolo. Il compito del partecipante è quello di spostarli tutti sul terzo piolo muovendo un solo anello alla volta ed
evitando di porre un anello più grande sopra ad uno più piccolo. Il compito può essere eseguito nel numero minimo di mosse
solo se le stesse, e la loro sequenza, sono prima pianificate a livello mentale. I pazienti con lesioni delle aree prefrontali
impiegano un numero eccessivo di mosse e dimostrano deficit di organizzazione e pianificazione di una sequenza di processi
cognitivi.
- I pazienti con deficit nelle aree prefrontali commettono molti errori in tutti compiti in cui viene chiesto di mettere in una
sequenza corretta le componenti di un'azione. Il test più classico prevede la presentazione ai partecipanti di una serie di
cartoncini mescolati su quali sono descritte in parole, o disegnate, le componenti di azioni complesse. Il compito del partecipante
consiste nell'ordinare i cartoncini modo corretto. Questi pazienti mostrano enormi difficoltà nel riordinare i cartoncini in modo
che l'azione rappresentata abbia un senso logico.
4. Monitoraggio: Fra le funzioni esecutive è da includere anche quella che permette di monitorare il contenuto delle
rappresentazioni interne o di monitorare la propria prestazione durante l'esecuzione del compito stesso. Per testare la prima
capacità si è soliti utilizzare un compito in cui vengono presentati su un cartoncino sei elementi, ed il partecipante deve indicarne
uno. Successivamente sono ripresentati gli stessi sei elementi ma in un ordine diverso ed il partecipante deve indicarne un altro
che non sia quello già indicato nella prima prova. Si procede così per tutte e sei le prove. L'idea è che il compito sia eseguito
depositando in memoria di lavoro la prima scelta, poi la seconda e così via, e viene controllato o monitorato continuamente il
contenuto della memoria stessa per evitare di commettere un errore scegliendo di nuovo l'oggetto già scelto. Poiché sei elementi
sono certamente entro limiti della capacità della memoria di lavoro, la prestazione dipende dalla capacità di monitorare il suo
contenuto. I soggetti normali non hanno problemi nello svolgere il compito, purché il numero di elementi rispetti i limiti della
capacità della memoria di lavoro. I pazienti con lesioni delle aree prefrontali invece mostrano una prestazione inferiore a quella
di partecipanti sani, pur non dimostrando deficit in compiti memoria breve termine che richiede semplicemente di ricordare gli
stimoli presentati. Studi di neuroimmagine hanno dimostrato che nel compito di monitoraggio dei contenuti della memoria di
lavoro si attivano infatti le aree prefrontali dorsolaterali.
- 5. Coordinamento delle risorse attentive: A volte può accadere che sia necessario svolgere contemporaneamente due compiti
e che, perciò, diventi necessario coordinare la loro esecuzione. Ciò richiede l'intervento delle funzioni esecutive. Se delle risorse
attentive e dei processi di interferenza si è già parlato nel capitolo sull’attenzione, quello che ci interessa ora è come le funzioni
esecutive coordinino l’esecuzione contemporanea di due compiti. Se i due compiti condividono uno stadio di processamento è
impossibile mantenere l'efficienza della loro esecuzione ad un livello paragonabile a quello che si raggiunge quando i due compiti
sono eseguiti separatamente. Si parla di interferenza strutturale quando i due processi che si svolgono contemporaneamente

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utilizzano entrambi gli stessi meccanismi per l'accesso siano essi periferici che centrali. Le funzioni esecutive devono quindi
intervenire per determinare quale dei due compiti abbia la precedenza per l'accesso al meccanismo comune. I casi più
interessanti sono quelli nei quali però l'interferenza da doppio compito si osserva in assenza di competizione per il meccanismo
comune. I processi non automatici richiedono una quota di risorse attentive che sono disponibili in quantità limitata, e proprio
per questo, tanto maggiore è la quota da esse impegnata per l'esecuzione di uno dei due compiti, tanto minore è la quota
residua disponibile per l'esecuzione dell'altro. Le funzioni esecutive interverrebbero cosi nell'assegnare le quote di risorse ai due
compiti simultanei (compito primario, compito secondario).
- Abbiamo visto come le funzioni esecutive gestiscono la programmazione dell'azione attraverso la rappresentazione di una
sequenza di processi mentali. Nel caso della rappresentazione di una serie di movimenti, abbiamo la programmazione motoria
(programma motorio). Evidenza forte in favore dell'esistenza di programmi motori emersi dalla ricerca di Rosenbaum (1980). Il
compito del soggetto consisteva nel raggiungere con una mano un bersaglio posto davanti a lui. Vi erano tre variabili
indipendenti modificate nel corso dell'esperimento, il bersaglio poteva essere grande o piccolo, vicino lontano, a destra o sinistra
della linea mediana del corpo. La variabile dipendente era il tempo di reazione medio. L'aspetto più interessante era però che il
partecipante poteva essere informato in anticipo su una, due o tutte e tre le caratteristiche del bersaglio. L'ipotesi di Rosenbaum
era che, in assenza di informazioni preliminari, il partecipante avrebbe dovuto mettere a punto l'intero programma motorio dopo
la presentazione del bersaglio e ciò avrebbe richiesto tempo i tempi di risposta relativamente lunghi. Quando invece venivano
fornite in anticipo informazioni sulle caratteristiche del bersaglio, parte del programma motorio sarebbe stato messo a punto
prima della sua presentazione, con conseguente accorciamento dei TR. I risultati confermarono la predizione, con TR tanto più
rapidi quanto più informazioni sul bersaglio erano fornite in anticipo, cioè quanto più il programma motorio poteva essere
preparato prima della presentazione del bersaglio. Le funzioni esecutive interverrebbero in questo caso inibendo il programma
motorio errato.
- La programmazione del movimento dipende dall'attività delle aree premotorie localizzate nel lobo frontale, subito davanti
all'area motoria primaria. Questo ruolo delle aree premotorie fu definitivamente confermato a metà degli anni 80 dalle prime
ricerche di neuroimmagine. In queste ricerche ai partecipanti veniva chiesto di svolgere un compito molto semplice oppure
solamente di immaginarlo. Nel primo caso si attivavano sia l'aria motoria primaria sia le aree premotorie, nel secondo caso
esclusivamente le aree premotorie.
- Nell'uomo le aree premotorie sono costituite prevalentemente dall'area BA 6. All'interno di questa però vanno individuate
alcune aree speciali:
A. BA 44: Interviene nella programmazione dei muscoli della fonazione. È interessante notare che l'equivalente di quest'area
dell'uomo, nella scimmia e è l'area F5, che interviene nella programmazione dei movimenti della mano.
B. Un'altra porzione specializzata dell'area BA 6, è l'area BA 8 che programma i movimenti oculari. Essendo l'uomo, come gli
altri primati, un animale prevalentemente visivo, non sorprende la necessità di un controllo dei movimenti oculari
particolarmente raffinato. Il programma motorio messo a punto nell'area BA 8, viene inviato, per l'esecuzione, ad una
struttura sottocorticale, il collicolo superiore, e da qui ai nuclei dei nervi oculomotori del tronco dell'encefalo. L'esistenza di
questo percorso è un ulteriore prova dell'importanza del sistema visivo per il primate. Infatti questo è un percorso speciale,
dal momento che tutti gli altri movimenti programmati nelle aree premotorie sono eseguiti attraverso un percorso differente:
dall'aria premotoria all'area motoria primaria, e da qui, attraverso vie nervose discendenti, ai nuclei dei nervi motori del
tronco dell'encefalo e del midollo spinale.
- I neuroni specchio sono stati scoperti dal gruppo di ricerca guidato da Giacomo Rizzolatti nelle aree premotorie (F5) del
macaco. In quest'area si trovano due tipi di neuroni la cui attività è legata alla programmazione del movimento. I neuroni
canonici si attivano quando l'animale afferra un oggetto, e la loro frequenza di scarica varia al variare del tipo di presa. Il tipico
neurone canonico risponde anche quando la scimmia osserva semplicemente un oggetto che può essere afferrato con la presa
per cui esso è specializzato. I neuroni specchio invece rispondono soltanto se c'è un'interazione fra un effettore biologico (mano
bocca) e un oggetto. Questi neuroni rispondono sia quando la scimmia compie un'azione specifica, sia quando osserva un altro
individuo compiere la stessa azione. Un importante aspetto funzionale dei neuroni specchio è la relazione fra le loro proprietà
visive e le loro proprietà motorie. Essi mostrano congruenza fra le azioni viste e le azioni eseguite che codificano. In altre parole
c'è congruenza fra la risposta allo stimolo visivo e lo stimolo motorio; se un neurone si attiva quando l'animale esegue un’azione,
si attiva anche quando l'animale osserva un altro individuo compierla.
 Si considerano come neuroni specchio strettamente congruenti quelli nei quali l'azione osservata e l'azione eseguita
corrispondono in termini di scopo e di mezzi impiegati. Questi neuroni costituiscono il 30% dei neuroni specchio presenti in
F5.
 Si considerano come i neuroni genericamente congruenti quelli che, per attivarsi, non richiedono l'osservazione di un'azione
identica, ma solamente lo scopo per il quale il neurone è specializzato non avendo importanza il tipo di azione svolta.
- Sono state avanzate due ipotesi principali sul ruolo funzionale dei neuroni specchio:
A. La prima, proposta da Jeannerod (1994) sostiene che l'attività dei neuroni specchio stia alla base delle abilità di imitare le
azioni altrui.

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B. La seconda ipotesi proposta da Rizzolatti sostiene che l'attività dei neuroni specchio permette la comprensione delle azioni
altrui. La comprensione delle azioni altrui è cruciale nei rapporti sociali e si affianca alla teoria della comprensione basata
sulla teoria della mente. Rizzolatti non pretende che i neuroni specchio rappresentino l'unico meccanismo per comprendere
le azioni altrui ma che questi forniscono un meccanismo molto più semplice e diretto rispetto al dispositivo Tom, creando una
corrispondenza fra la rappresentazione prodotta quando un soggetto compie un'azione e la rappresentazione prodotta
quando uno soggetto osserva un'azione identica compiuta da un altro. In questo modo il sistema dei neuroni specchio
trasforma l'informazione visiva in conoscenza. Sono molti gli esperimenti che hanno dimostrato che neuroni specchio
scaricano esclusivamente quando vi è la comprensione del significato dell'azione osservata, e quindi il suo scopo, e non alla
osservazione della semplice azione.

8. Pensiero.
- Il funzionamento della mente può essere concepito come un sistema unitario basato su regole. Molte parti di questo sistema
agiscono in modo silente, senza la coscienza del soggetto. Un ottimo esempio sono le illusioni ottiche, le quali, per quanto
rilevate rimangono inalterate ad i nostri occhi. Questa resistenza alle modificazioni è dovuta ad un sistema di regole che sono
state fissate nel nostro cervello dalla storia naturale della mente umana. L'architettura del nostro sistema visivo, plasmata da
centinaia di migliaia di anni, non è cambiata in pochi secoli.
- La mente umana si sforza di capire che cosa ci sia nel mondo esterno, grazie a regole incorporate nel cervello e alle informazioni
provenienti dall'ambiente. Per capire il comportamento dell'uomo, in quanto specie, bisogna tener conto dell’esperienze
incorporate nel cervello. Questo è il frutto di variazioni casuali, selezioni e adattamenti ad ambienti di vita molto diversi da quelli
a noi familiari. L’evoluzione, impercettibile, continua ancora oggi, ma quello che noi vediamo è il risultato di tempi lontani.
- Oltre alla filogenesi, abbiamo le esperienze cumulate nel corso della nostra biografia. L'ordine di grandezza, in questo caso, è la
nostra vita cioè i decenni, siamo all'interno dell'ontogenesi. Infine abbiamo le esperienze che durano minuti o al massimo ore.
Anche queste possono innescare meccanismi temporanei di apprendimento. L'intervallo temporale necessario per il cumularsi
delle conseguenze dell'esperienza è molto diverso passando da centinaia di migliaia di anni a pochi minuti. Ovviamente a
differenza di durata corrispondono forme diverse di apprendimento che coinvolgono attori completamente diversi: la specie, il
gruppo, l'individuo.
- Quando si parla di regole, in psicologia scientifica, è indispensabile distinguere tra comportamenti umani guidati in modo
consapevole dall'accettazione di una regola e i fenomeni che possono soltanto venire descritti come se seguissero una regola. È
un errore pensare che soltanto i processi mentali condivisi da tutta la specie umana, e non anche la biografia dei singoli individui,
abbiano un correlato cerebrale. La presenza o meno di una rappresentazione mentale, e di un correlato neuronale, è un
elemento importante che caratterizza la psicologia e la differenzia da altre discipline che offrono modelli delle decisioni umane,
come la sociologia o l'economia. Gli studiosi di queste discipline forniscono modelli generali, spesso su basi matematiche, che
simulano le scelte degli individui. Tuttavia esaminando i processi percettivi si è visto che il funzionamento dei meccanismi
incorporati nel cervello può prevalere sulle nostre conoscenze consapevoli su come funziona l'ambiente esterno.
- In generale per il nostro sistema cognitivo e per quello degli altri animali è agevole fare valutazioni probabilistiche basate su
quello che è successo in passato, ed in particolare sul rapporto tra successi e insuccessi. L’uomo è sempre stato molto abile a fare
queste valutazioni, tuttavia negli ultimi secoli il progresso ha introdotto nella società molta incertezza, prodotta non dagli eventi
naturali imprevisti, bensì dall’uomo stesso. Siamo soliti dire che durante la giornata compiano una quantità illimitata di scelte.
Tuttavia questa è una metafora fuorviante perché moltissime di queste presunte decisioni sono effettuate secondo sequenze che
sono diventati abitudinarie e che applichiamo senza riflessione in incertezze. Solo quando capita qualcosa di nuovo ed imprevisto
ci accorgiamo che dobbiamo veramente prendere una decisione prima di agire. Le scienze umane hanno fornito a tal proposito
dei modelli chiamati alberi decisionali. Ma se i problemi veri e propri presentano tutte le informazioni necessarie per fornire la
risposta esatta, e si tratta quindi solo di individuare la strategia giusta per raggiungere la soluzione corretta, le decisioni più
importanti della vita sono caratterizzate da un certo grado di incertezza. Va anche detto che noi non consideriamo tutte le nostre
azioni come vere e proprie scelte: Savani (2011) hai identificato i correlati neurali, nella corteccia frontale, di quelle che vediamo
come scelte.
- Sappiamo che due localizzazione cerebrali diverse sono interessate dai guadagni e dalle perdite. Più in particolare, si mostra che
la versione per una certa perdita è maggiore dell'attrazione di un guadagno della stessa entità. Le localizzazioni neurali
corrispondenti al piacere della vincita e al dolore della perdita non coincidono, e questo corrisponde all'asimmetria tra gli effetti
delle vincite e quelli delle perdite. Da questo punto di vista è possibile formulare una legge di ordine generale circa il rapporto tra
il rischio, piacere e dolore
[ES: quanto si offre per il 50% delle probabilità di vincere € 10 = Meno di 5 euro --> legge dei grandi numeri]
[ES: Quiz televisivi: Si accetta anche 1/5 della possibile vincita media].
- Gli economisti hanno descritto questo meccanismo con il termine di utilità marginale. Vi è una curva all'interno di un piano
cartesiano in cui gli assi sono da un lato il benessere che si prova, dall'altro gli incrementi oggettivi di valore. Tuttavia quando si
tratta di perdere piuttosto che guadagnare la suddetta curva non è la stessa inversa ribaltata
[ES: Scegli tra due opzioni con lancio di moneta: 1)Testa: Vinci 10 /Croce: Vinci 50£ 2) Vinci 30£ = Si sceglie la 2]
[ES: Scegli tra due opzioni con lancio di moneta: 1)Testa: Perdi 10 /Croce: Perdi 50£ 2) Perdi 30£ = Si sceglie la 1]

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- Oggi grazie alle tecniche di neuroimmagine, sappiamo che questi effetti, dovuti al contesto in cui viene presentato lo stesso
problema, corrispondono all'attivazione di differenti aree del cervello. L'avversione alle perdite è un principio molto generale,
desumibile anche dal comportamento di altre specie. Alcuni ricercatori (Chen 2008) sono riusciti a dimostrare che lo stesso
meccanismo funziona anche per le scimmie cappuccine [ES: Scegli tra lo sperimentatore che da due grappoli te ne può
casualmente togliere 1, o da quello che da un grappolo può fartene vincere un altro. Scelgono il secondo]
- Breite (2001) ha registrato le localizzazioni cerebrali di partecipanti impegnati in una serie di giochi con vincite e perdite. Si è
così visto che il nostro cervello è sensibile ai guadagni e alle perdite relative e non al valore assoluto. Ma il risultato più
affascinante è che la zona del cervello interessata, l'amigdala, reagisce in modo diverso non tanto in funzione di quanto ricevuto
o perso, quanto in funzione di quello che sarebbe potuto succedere. Il cervello rispondeva positivamente se non si vinceva nulla
ma si sarebbe potuto perdere, negativamente, se non si vinceva nulla ma si sarebbe potuto guadagnare. È plausibile supporre
che l’avversione alle perdite abbia avuto un forte valore adattativo nella storia della specie umana, fin da primordi. In ambienti di
vita ostili e rischiosi, dove la morte violenta era frequente, uno stile di vita avverso alle perdite permetteva probabilmente nostri
antenati di sopravvivere un po' più a lungo.
- L'uomo è un animale speciale che ha imparato a dilazionare i piaceri e a programmare il futuro. Oggi però la complessità della
vita contemporanea richiederebbe la capacità di dilazionare i piaceri per tempi molto lunghi e, nel frattempo, l'impegno in
attività che porteranno benefici molto in là nel tempo. Talvolta però abbiamo cadute dell'autocontrollo e scegliamo azioni di
gratificazione a breve termine. Siamo indotti a comportarci così da una tendenza ad apprezzare il presente e a svalutare quello
che capiterà in futuro lontano (sconto temporale). Per rendere conto di tali risultati vi sono modelli basati sulla tentazione di un
esito immediato che innesca il sistema emotivo, il quale richiede gratificazioni all’istante. Quando invece l'intervallo temporale è
dilazionato nel futuro, allora subentra una valutazione più razionale, fondata su un'analisi costi-benefici a medio lungo termine.
[10£ subito o 15 tra una settimana? 10£ tra cinque settimane oppure 15£ tra sei settimane?].
- Se il cervello umano fosse costruita in modo tale da permettere di agire secondo un sistema costante di preferenze, guidato da
perfetto autocontrollo, non avrebbe senso evitare gli scenari che ci possono mettere in tentazione. Tutto ciò probabilmente
perché il cervello umano è stato plasmato dagli scenari di vita dei cacciatori-raccoglitori che non richiedevano valutazioni su archi
temporali di decine di anni: la vita era rischiosa, si viveva alla giornata cogliendo le occasioni che venivano offerte.
- La specie umana possiede al massimo grado una dote, che per molto tempo è stata al cuore della filosofia occidentale: si tratta
della logica, la capacità di ricavare informazioni, a partire da altre conoscenze semplicemente attraverso ragionamento. Questa
capacità di ragionamento e di rielaborazione dell'informazione, è stata al pari del linguaggio, vista come la capacità che ha
caratterizzato l'essere umano. La logica consiste nell'individuare le regole che permettono di ricavare, a partire da fatti premesse,
determinate conclusioni logicamente valide, indipendentemente dalla verità delle premesse.
[Se P allora Q : P Conseguenza Q]
[Se P allora Q : Non-Q allora Non-P]
[Se P allora Q : Non-P allora Non-Q  struttura inferenziale errata]
- Per molto tempo si è pensato che l'uomo avesse in testa una sorta di logica naturale, cioè un insieme di regole che producono
le prestazioni corrette e spiegano quelle erronee. Più tardi si è scoperto che le cose non stanno così, dato che la variabile cruciale,
non è la struttura logica, bensì il contenuto del ragionamento. Si consideri il compito di selezione:
[Se una carta ha una vocale su un lato, allora ha un numero pari sull’altro]
[A / D / 4 / 7]
[Se un uomo beve alcolici, deve essere maggiorenne]
[Birra / Aranciata / 30 anni / 16 anni]
- Questo risultato è stato dapprima spiegato dicendo che la mente umana è provvista di alcune strutture logiche e non di altre, e
pure il compito di selezione ha la medesima struttura logica nei due casi. Può essere quindi più facile o più complicato,
manipolare mentalmente informazioni che hanno uguali struttura logica ma differente contenuto. Il contenuto quindi può
modificare il modo in cui il cervello tratta l’informazione: nel secondo caso infatti gli studiosi hanno evidenziato un'attivazione
della corteccia prefrontale, assente nel primo quesito. La conclusione è che i due compiti, attivati da storie con contenuti diversi,
per quanto analoghi sul piano della struttura logica, hanno una differente rappresentazione mentale e una differente
localizzazione cerebrale.
- Gli esperimenti con gli animali inoltre hanno ridotto il baratro tra il presunto livello della ragione umana e l'intelligenza delle
altre specie. Consideriamo ad esempio ragionamenti basati su relazioni del tipo più grande o più alto
[A > B / B > C  A > C]
Un'inferenza del genere non è un'inferenza tipicamente umana, dal momento che sono in grado di farlo non solo i bambini di tre
anni ma anche le scimmie e i piccioni. Viceversa gli uomini con la lesione della corteccia celebrale prefrontale non riescono a
compiere questo tipo di inferenze.

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