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Cosa studia la psicologia? Psicologia come scienza del comportamento e della mente.

PROBLEMI DELLA PSICOLOGIA:


a) Visione tradizionale vs teorie embodied/grounded.
La visione tradizionale: La visione tradizionale dei processi cognitivi propone una dinamica in cui la mente è considerata
come il software di un computer e come tale può funzionare indipendentemente dal corpo. Dunque corpo e mente sono
distinti (Cartesio).

Damasio in “L’errore di Cartesio” chiede: Corpo e mente sono realmente distinti?

Teorie embodied e grounded: Le teorie moderne, invece, definite “embodied” sostengono non solo che il corpo influenzi i
processi cognitivi, ma anche che questi ultimi non possano essere studiati indipendentemente dal corpo. Dunque la
cognizione diventa “grounded”, ovvero si fonda sui sistemi sensomotori. Grazie a questa nuova concezione non ci può
essere più, quindi, una separatezza tra quei processi che venivano definiti di livello “basso” (percettivi e motori) e quelli di
livello “alto” (come il pensiero), ma che ci sia una continuità tra percezioni, azione e cognizione. Oltre al fatto che i processi
cognitivi non possano essere studiati separatamente dal corpo, c’è anche l’innovazione che gli stessi non possano essere
studiati senza tener conto del contesto in cui avvengono. La teoria tradizionale, inoltre, propone le rappresentazioni
mentali in questo modo: i concetti che costituiscono il pensiero (ad esempio il divano) sono dati dalla combinazione di una
serie di tratti di natura proposizionale (ci si siede, è soffice, è un mobile, etc..) ed i sostenitori di tale teoria ritengono che
tale visione sia vantaggiosa perché permette, poiché i concetti sono dati dalla combinazione di simboli, di immaginare,
attraverso tale combinazione, degli oggetti mai visti poiché basati sulla combinazione (un divano a pois o a forma di stella).
Mentre le teorie embodied, in contrapposizione, sostengono che i concetti si basano sull’attività sensomotoria: avviene
un’attivazione neurale ogni qualvolta interagiamo con un oggetto (divano) e che tale esperienza venga continuamente
aggiornata ogniqualvolta ci si rapporti con tale oggetto (ogni volta che facciamo l’esperienza del divano). In più a ciò, come
abbiamo già detto, la cognizione non è statica (come nella teoria tradizionale) ma dinamica, che va contestualizzata a
livello temporale, ambientale e sociale.

Cognizione embodied e grounded:

a) Knowing is for acting: l’azione è volta alla conoscenza.


b) La cognizione è grounded: fondata sul sistema sensomotorio.
c) La cognizione è costruita in modo attivo tramite l’interazione organismo/ambiente.
d) La conoscenza è variabile in base all’organismo e alla specifica interazione che ha con l’ambiente.
e) Il corpo modifica la cognizione.
f) Rifiuto della metafora della mente come software di un computer.

Teoria tradizionale:

a) Mente come software di un computer.


b) Modello a sandwich: la cognizione è un insieme di processi collocati a metà tra la percezione e l’azione (la
percezione di un cucchiaio manda uno stimolo alla cognizione che memorizza l’oggetto in modo differente da
come è stato percepito e ne consegue una risposta). Di conseguenza, percezione e azione sono solo due estremi e
la cognizione deve essere studiata separatamente da essi.
c) I processi cognitivi sono gli stessi per tutti.

I domini inclusi nelle teorie embodied:

a) I sistemi sensomotori;
b) Il corpo;
c) L’ambiente fisico;
d) L’ambiente sociale.

Nelle teorie embodied, il rapporto tra percezione e azione è: circolare, non lineare come il modello a sandwich.

b) La mente sta solo dentro il cervello e il corpo?


Teoria della mente estesa e della cognizione distribuita e critica all’individualismo: Clark introduce questo concetto,
ovvero che la mente umana sia un sistema intelligente che si estenda sia al cervello biologico, sia a circuiti cognitivi non
biologici, sconfinando oltre i limiti somatici tanto eletti dalla visione tradizionale. Ciò significa sostenere l'idea che la mente
non è (solo) il cervello, e che quindi non può essere spiegata esclusivamente descrivendo i meccanismi cerebrali deputati
alla cognizione. I sostenitori dell'Extended Mind Theory infatti non si limitano semplicemente ad una polemica nei
confronti del riduzionismo mente-cervello, ma estendono la propria critica a tutte le teorie costruite sul cosiddetto ʽvincolo
individualisticoʼ, cioè la convinzione secondo cui è possibile studiare i processi cognitivi (e di conseguenza la mente)
eleggendo come proprio oggetto di ricerca un individuo isolato, prescindendo cioè dalle condizioni ambientali e culturali
(quindi non-biologiche) in cui si situa un processo cognitivo.

Gli utensili: L’uso dello spazio e degli strumenti/utensili funge da complemento per la nostra capacità mentale.

Gli artefatti: L’uso di artefatti (come un rastrello) supportano le nostre attività cognitive umane e possono estendere il
corpo.

Le parole: sono strumenti.

Clifford Geertz: ll pensiero umano è fondamentalmente sia sociale che pubblico. Il suo habitat naturale è il cortile della
casa, il mercato e la piazza della città. Il pensiero non consiste in "avvenimenti nella testa" (anche se gli avvenimenti là e
altrove sono necessari perché si verifichi) ma di un traffico di simboli significativi.

Alva Noe: Siamo fuori dalle nostre teste. Siamo nel mondo e parte di esso. Siamo modelli di coinvolgimento attivo con i
confini fluidi e componenti in evoluzione. Siamo distribuiti.

c) I processi cognitivi sono davvero universali?


Weird: E’ un acronimo occidentale per istruito, industrializzato, ricco e democratico, ovvero la descrizione accurata dello
studente universitario di psicologia, su cui genericamente vengono fatti la maggior parte dei test psicologici. La critica,
però, viene mossa perché non è possibile eseguire uno studio di tipo “universale” se viene proposto solo ad un piccolo
gruppo, perché per moltissime popolazioni quei risultati potrebbero essere spazzatura.

Henrich: Ampie affermazioni sulla psicologia umana e sul comportamento basato su campioni ristretti, provenienti da
società occidentali, sono regolarmente pubblicate su riviste specializzate. Sono giustificate affermazioni così generiche per
le specie? Questa revisione suggerisce non solo che una sostanziale variabilità dei risultati sperimentali emerge tra le
popolazioni nei domini di base, ma che i soggetti standard sono in realtà piuttosto inusuali rispetto al resto della specie -
frequenti valori anomali ".

DIFFERENZA TRA EMBODIED E GROUNDED:


 Grounded cognition: Prospettiva ampia che rifiuta il modello a sandwich e comprende tutti e 4 i domini proposti
sopra (sistemi sensomotori, corpo, ambiente fisico e ambiente sociale).
 Embodied cognition: O cognizione incorporata, è una parte del modello più ampio della grounded cognition e si
basa unicamente sul dominio del corpo, sottolineando come la cognizione non possa essere scissa dallo stesso.

IL CONCETTO DI SIMULAZIONE:
Simulare: significa che vengono reclutati gli stessi sistemi di percezione e azione coinvolti durante la percezione e
l’interazione con gli oggetti. Può anche essere definito un recupero off-line delle reti neurali coinvolte in operazioni
specifiche come percepire o agire. Immaginiamo di osservare una teiera; mentre la osserviamo si attiverebbe una
simulazione. Jeannerod (2006) definisce la simulazione come il reclutamento delle stesse reti neurali attivate durante i
processi percettivi, motori ed emozionali. Ovviamente, però, la simulazione si chiama così perché non si traduce in
un’esplicita risposta motoria. Tra simulare ed agire ce ne passa!

Diverse teorie sulla simulazione: Alcuni autori sostengono che la simulazione sia la riattivazione di una nostra esperienza
precedente con un oggetto, altri che svolga una funzione predittiva, ovvero ci prepara ad interagire con un oggetto. Un
punto, però, su cui tutti concordano è che la simulazione non sia un processo a posteriori, bensì automatico.

Caratteristiche:

La simulazione è anche:

 Un’attivazione più debole;


 Attiva un meccanismo che blocca l’output motorio (l’azione vera e propria);
 Manca del feedback sensoriale, in quanto gli arti non si muovono (poiché non è un’azione).

Ma quando simuliamo?

Secondo le teorie embodied e grounded della cognizione, simuliamo quando osserviamo oggetti, quando osserviamo altri
compiere azioni con gli oggetti, e quando comprendiamo il linguaggio, ad esempio leggendo un libro o ascoltando altri che
parlano. È stato proposto che le aree neurali coinvolte durante questi processi simulativi siano differenti:

a) Quando osserviamo gli oggetti: Importante, in questo caso, è l’attivazione del sistema dei neuroni canonici, i quali
rispondono all’osservazione di oggetti congruenti con l’azione che codificano, rispondono dunque alle proprietà
degli oggetti. Questi neuroni scaricano quando siamo in presenza di oggetti afferrabili; questi neuroni scaricano
diversamente a seconda che stiamo per aprire la mano per avvicinarci ad un oggetto o per chiuderla su di esso, a
seconda che afferriamo un oggetto piccolo come una puntina o una biglia con una presa di precisione o un oggetto
più grande, come un barattolo, con una presa di forza o di potenza.
b) Quando osserviamo azioni eseguite da altri: Importante, in questo caso, è l’attivazione dei neuroni mirror (neuroni
specchio), il quale è considerato la base neurale della simulazione che formiamo durante l’osservazione delle
azioni altrui.
c) Quando comprendiamo il linguaggio: In questo caso si attivano entrambi i sistemi (neuroni canonici e neuroni
specchio). Coerentemente con le loro caratteristiche, il primo sistema si attiva maggiormente quando elaboriamo
nomi che rimandano ad oggetti, il secondo verbi che richiamano delle azioni.

Effetto priming: consiste in una situazione stimolo di tipo sensoriale che influenza percezione e interpretazione delle
esposizioni allo stesso stimolo in futuro.

OSSERVIAMO OGGETTI.
Attivazione diversa tra: Oggetti afferrabili e oggetti non afferrabili.

 Oggetti afferrabili: Attivazione nelle aree premotorie e parietali per afferrare gli oggetti, cosa che non accade nel
caso degli oggetti non afferrabili. Dunque c’è una stretta correlazione tra concetti/azione (per ogni oggetto
afferrabile richiama un’azione) e cognizione e corpo (attraverso l’osservazione di un oggetto afferrabile c’è
l’attivazione di una precisa area del corpo).
 Percepire per agire: Nell’immaginario comune si potrebbe pensare che la nostra percezione sia uno strumento
finalizzato solo alla conoscenza del mondo esterno. In realtà noi ci concentriamo, quando osserviamo un oggetto,
solo su ciò che ci consente di svolgere un’azione, in termini di utilizzabilità e possibilità d’azione. Se vediamo un
martello, non ci soffermeremo sul suo significato, ma sull’azione di martellare. Secondo Gibson la percezione ha 3
tratti caratteristici: è sempre diretta, è azione, è percezione di affordance.

Il CONCETTO DI AFFORDANCE:
Concetto di affordance: diversi studi di neuroimmagini hanno dimostrato che durante l’osservazione di strumenti si
attivano le aree premotorie e motorie del nostro cervello, legate alla pianificazione e preparazione delle azioni. In altre
parole, nelle affordance, l’ambiente si offre al soggetto (un oggetto richiama un’azione). Tempo fa venne messa in
discussione l’attivazione automatica delle affordance, sostenendo invece che questa dipende dal contesto e dal compito
che si deve svolgere. Ma quando furono mosse queste critiche, gli studi si erano soffermati sulle singole affordance di un
oggetto, mentre gli oggetti presentano affordance multiple. Dunque, se la loro attivazione fosse realmente automatica,
l’individuo si troverebbe a rispondere a tutte le affordance senza tregue, e chiaramente non è così. Il punto cardine che
permise di far luce su questa faccenda fu la scoperta che il contesto sia fisico che sociale influenza l’attivazione delle
affordance: essa varia, infatti, in base alla distanza degli oggetti da noi (tendiamo ad afferrare una bottiglia se è vicina al
nostro corpo, piuttosto che se è lontana); in base a quello che la scena, in cui l’oggetto è inserito, evoca (vi è un’azione
diversa in base alla scena in cui gli oggetti sono posti: se vediamo un cavatappi vicino ad una bottiglia la nostra azione
tenderà ad essere di precisione, per aprirla, se invece sta in un cassetto della cucina, la nostra azione tenderà ad essere di
forza per prenderlo). In sintesi, gli oggetti presentano affordance che attivano diversi tipi di prensione, ma è il contesto
oltre alle motivazioni a decidere quale attivare.

Test sulle affordance:

Esempio sul raggiungimento: si presentano degli oggetti con un manico al pc e premere un tasto a dx o sn per decidere se
è dritto o rovesciato. Minori tempi di risposta nelle condizioni di compatibilità tra la collocazione pulsante-manico. Quindi
osservare un oggetto riattiva le affordance ad esso associate.
Esempio sulla prensione: si presentano degli oggetti su un tavolo (grandi o piccoli) afferrabili con una fresa di forza o di
precisione. Si chiede se l'oggetto è un artefatto o un oggetto naturale e si risponde con un joystick afferrabile con presa di
forza oppure premendo un pulsantino (presa di precisione). Effetto di compatibilità tra tipo di risposta (di forza/precisione)
e dimensioni dell'oggetto. Quindi noi siamo sensibili alla grandezza dell'oggetto. Indipendentemente dal compito che
svolgiamo attiviamo automaticamente informazioni relative alle dimensioni dell'oggetto e all'orientamento dell'oggetto.

Competizione tra affordance: il mondo percettivo si offre all’animale dando sempre più possibilità d’azione, ovvero agire
in un modo oppure in un altro. Il sistema motorio, però, pianifica automaticamente tutte le risposte per poi selezionare
successivamente l’esecuzione di una a discapito dell’altra. Il sistema motorio preferisce giocare d’anticipo e programmare
non una, bensì due azioni in tempo utile piuttosto che solo quella necessaria, sebbene sappia che soltanto una potrà
essere eseguita.

Microaffordance: si attivano in modo automatico indipendentemente dal contesto in cui si trova e dal compito che sta
svolgendo. Sono micro-componenti delle azioni (ad es. raggiungimento/prensione), servono per interagire con uno
specifico oggetto e sono il prodotto neurale tra l’esperienza di stimoli visivi e la risposta motoria.

Tipi di affordance:

a) Affordance di collisione: invece di offrire un’azione, indicano cosa succede se si urta un ostacolo (tipo un muro), in
altre parole offrono un suggerimento relativo a quale via evitare.
b) Affordance pericolose: evitare oggetti pericolosi.
c) Affordance stabili: derivano da caratteristiche abbastanza invarianti degli oggetti e della loro interazione con gli
individui (indipendentemente dalla diversità di una ciliegia dall’altra, entrambe richiederanno, per essere afferrate,
una presa di precisione). In queste vi è un’attivazione della via ventro-dorsale.
d) Affordance variabili: a differenza di quelle stabili, che attivano sempre un tipo di presa, queste sono collegati ad
oggetti che, non presentando sempre la stessa forma, non necessitano di memorizzare il tipo di presa (una
bambola può essere sia piccolissima, sia enorme, quindi il bambino non necessiterà di ricordarsi se per l’oggetto
“bambola” serva una presa di precisione o di forza). In queste vi è un’attivazione della via dorso-dorsale.

Manipolazione VS Funzione: sono due diversi tipi di informazione motoria nelle affordance. Oltre al tipo di oggetto che si
sta osservando e al tipo di presa che richiama, vi sono delle differenze anche al tipo di informazione MOTORIA: queste
informazioni si dividono in “Come How” (come fare), ovvero legate alla manipolazione dell’oggetto in questione, oppure
“What for” (per cosa), legate alla funzione dell’oggetto. Gli artefatti si caratterizzano primariamente per le affordance
legate alla funzione, però è una funzione acquisita, legata ad una data cultura. Inoltre le parole ci rimandano più
facilmente alla funzione dell'oggetto piuttosto che alla sua manipolazione, perché a livello linguistico codifichiamo di più le
informazioni permanenti, mentre la manipolazione avviene on line.

Le affordance sono automatiche (indipendenti dal compito) o modulate dal contesto fisico/sociale/culturale?

Esempi:

1. L’affordance dipendenti dal compito:


Vengono proposte immagini di torce ad alcuni soggetti e gli si chiede di premere un tasto (a destra o a sinistra),
qualora la torcia sia dritta o rovesciata e qualora sia blu o rossa (sebbene non rientrasse nel compito definire se la
torcia fosse accesa o spenta, la torcia veniva presentata a volte accesa ed a volte spenta). Il risultato fu che i
soggetti presentavano un’affordance solo relativamente alla posizione della torcia (dritta o rovesciata) e non in
base al colore. Un ulteriore riscontro è rappresentato dal fatto che, sebbene non facesse parte della richiesta del
compito, l’affordance avveniva solo quando la torcia era accesa.
2. Affordance dipendenti dal contesto
Sono stati proposti ad alcuni soggetti 20 artefatti (nel preciso oggetti conflittuali, ovvero che possono presentare
diversi tipi di presa – di forza o precisione, in questo caso un cavatappi). Il cavatappi viene messo in due diversi
contesti: nel primo viene messo in un cassetto (il che richiede per prenderlo una presa di forza in quanto si richiede
una manipolazione, poiché lo si deve afferrare), nel secondo viene messo su una bottiglia (il che richiederebbe una
presa di precisione per stapparla, in quanto legata all’uso e non alla manipolazione dell’oggetto). Per valutare ciò il
cavatappi, sebbene si trovasse sempre su un cassetto o su una bottiglia, è stato posto in contesti di uso quotidiano
(ad esempio una cucina, un bagno, etc.) e accanto ad esso sono stati posizionati dei distrattori (tipo rose, tovaglioli,
etc). Precisate le scene proposte, per quanto riguarda il compito è stato messo davanti al soggetto un joystick e gli
viene assegnato un doppio compito: manipolare il joystick in base alla presa più idonea (pizzico per presa di
precisione, afferrarlo completamente qualora fosse di forza) e intanto gli viene chiesto di specificare se l’oggetto
che ha davanti sia naturale o un artefatto. Il risultato è stato che non solo c’è una compatibilità (quindi una presa
più veloce) tra afferramento (forza) e la manipolazione, e tra precisione ed uso, ma anche che i soggetti hanno
ottenuto dei tempi inferiori nelle scene di uso e precisione. In altre parole il contesto è importante per l’azione che
si deve svolgere, sebbene l’oggetto sia lo stesso.
3. Affordance dipendenti dal contesto (vicinanza o lontananza)
Ad un gruppo di studenti universitari vengono dati degli occhiali 3D e gli viene chiesto di guardare uno schermo. Su
di esso vengono proiettate immagini di oggetti che gli sembrano vicini o lontani, con accanto scritti alcuni verbi
(osserva, sposta, versa). Il compito richiesto è quello di assegnare uno specifico verbo alla figura proposta. Il
risultato è che l’attivazione dell’affordance è modulata dalla distanza di raggiungimento e, dunque, che le
affordance sono modulate dal contesto (di vicinanza o lontananza) in cui si trovano.
4. Le affordance sono legate all’ambiente.
Sono stati sottoposti dei bambini ad un test in un parco giochi (Van Eyck) ad Amsterdam. Lo Dallo studio è
scaturito che le affordance stimolano la creatività dei bambini, mentre oggetti precostituiti a cui associano una
precisa funzione (tipo uno scivolo) no. L’unico limite è stato che, comunque, in un parco giochi si trovano delle
strutture standardizzate (ad esempio ogni sbarra è separata l’una dall’altra dallo stesso spazio). Analizza le
affordance nel parco giochi del dopoguerra ad Amsterdam.
5. Il contesto influenza gli accostamenti percezione-azione.
Vengono sottoposte al soggetto due situazioni: in alcune immagini gli viene presentato come sfondo una cucina, in
altre un’officina. Il primo compito che gli viene assegnato è di premere stop quando appare nella scena un oggetto,
di trattenersi (quindi non rispondere) quando gli appare una X. Per il secondo compito vengono presentati al
soggetto (sempre in scene di officina o cucina) 7 oggetti e lui deve specificare se l’oggetto è da cucina o da officina
(sebbene possa essere presentato un oggetto da cucina in una scena di officina). E’ stato rilevato che i tempi di
risposta (TR) inferiori si riscontrano quando lo sfondo (quindi il contesto) è congruente con il tipo di oggetto
presentato, mentre nel primo compito gli ERP N2 (event- releated potential, ovvero esami che studiano il
potenziali evocati, ossia le risposte del sistema nervoso ad uno stimolo sensoriale) sono più forti quando devono
trattenersi.
6. Le affordance sono dipendenti dal contesto sociale.
Per spiegare ciò viene proposto uno studio sulla cinematica (studia il movimento del corpo indipendentemente
dalle cause che lo provocano/modificano). Per fare ciò sono state utilizzate delle telecamere a infrarossi che
registrano i movimenti (ad esempio accelerazione e velocità di un movimento). Il soggetto viene sottoposto a 3
condizioni:
1. Condizione individuale: il soggetto deve raggiungere un oggetto e ricollocarlo al suo posto.
2. Condizione sociale: il soggetto deve passare l’oggetto ad un altro.
3. Condizione di perturbazione: l’altro avanza una richiesta inaspettata al soggetto.
Nella seconda condizione, quella sociale, i soggetti svolgono l’azione in modo più accurato (decelerazione più
lunga, quindi minore velocità), mentre nella situazione di perturbazione (o competitiva) c’è una deviazione della
traiettoria del braccio verso l’altro. Questo dimostra che non solo le affordance sono influenzate dal contesto
sociale, ma anche che sono influenzate dalla presenza di altri e dalla nostra interazione con loro (in entrambe le
circostanze la presenza di un altro cambia la precisione e i tempi di reazione).
7. Affordance e contesto sociale: I volti.
Presentazione di una serie di volti emotivamente connotati (facce che esprimono rabbia, disgusto, felicità,
neutralità) a cui il soggetto deve offrire del cibo. Risposte più veloci e quindi meno accurate con il disgusto, mentre
più lente e quindi più accurate con la felicità. Quindi attenzione agli aspetti sociali, affordance modulate
dall'interazione con gli altri.

In sintesi, le affordance sono modulate dal contesto.

IL METODO SPERIMENTALE:
La caratteristica fondamentale che distingue maggiormente il metodo sperimentale da altri metodi è la presenza di
un’ipotesi. Vediamo le fasi:

1. Formulazione di un’ipotesi sulla base di una teoria e tale ipotesi deve essere scientifica (“Se facciamo certe
osservazioni in certe condizioni, e una data teoria è esatta, allora dovremmo ottenere i seguenti risultati”).
2. Realizzazione di un esperimento, attraverso una manipolazione di alcune variabili per vedere se hanno effetto su
altre.
La variabile è qualche proprietà di un evento che è stata misurata. Si dividono in:
Variabili indipendenti: variabili manipolate dagli sperimentatori;
Variabili dipendenti: la risposta del soggetto, ovvero la misura del comportamento del soggetto in relazione alla
variabile modificata.
La misurazione delle variabili avviene, ad esempio, tramite le scale di valutazione o i tempi di reazione (TR).
3. Validazione o disconferma di una teoria in base ai dati empirici rilevati.

Il disegno sperimentale:

a) TRA I SOGGETTI: ogni gruppo di soggetti viene sottoposto ad un un’unica condizione sperimentale.
b) ENTRO I SOGGETTI: ogni gruppo di soggetti viene sottoposto a tutte le condizioni sperimentali.
c) MISTO: Nel disegno c’è una variabile tra i soggetti ed una entro i soggetti.

Il metodo sperimentale: causalità e correlazione.

1. Causalità: manipolazione della variabile indipendente per vedere la relazione di causalità sulla variabile
dipendente;
2. Correlazione: Stima di quanto due variabili sono correlate.

Le fasi di un esperimento:

a) Ipotesi;
b) Variabili da manipolare;
c) Disegno sperimentale;
d) Campione;
e) Materiale;
f) Procedura.

CULTURA:
Definizione:

1. La cultura è un insieme di regole, attitudini, valori e credenze condivise che guida il comportamento della maggior
parte dei membri di una comunità;
2. Insieme che viene trasmesso da una generazione all’altra;
3. Insieme che ha componenti implicite ed esplicite.

Geert Hofstede ha realizzato la teoria delle dimensioni culturali, ovvero uno schema sistematico per stabilire le differenze
tra nazioni e culture. Secondo tale teoria un valore può essere inserito in un sistema a 6 dimensioni:

a) Distanza dal potere: Il punto fino a cui i membri meno potenti di istituzioni e organizzazioni (come la famiglia)
accettano e si aspettano che il potere sia distribuito inegualmente.
b) Individualismo contro collettivismo: Il grado di integrazione degli individui in gruppi.
c) Indice di rifiuto dell’incertezza: La tolleranza di una società nei confronti di incertezze ed ambiguità.
d) Mascolinità contro femminilità: La distribuzione di norme emotive tra i sessi.
e) Orientamento a lungo termine contro orientamento a breve termine: L’orizzonte temporale di una società.
f) Indulgenza contro controllo: La capacità di una cultura di soddisfare i bisogni immediati e i desideri personali dei
suoi membri.

Secondo Triandis, gli esseri umani, sebbene abbiano una predisposizione a rispondere agli stimoli ambientali in modo
coerente con la loro cultura, sono spesso condizionati in larga misura dalla situazione (ad esempio quando il proprio
gruppo è minacciato dall’esterno, la maggior parte delle persone diventa collettivista). Triandis, inoltre, ritiene che le
culture e gli individui collettivisti o individualisti, si diversificano in base all’importanza che attribuiscono alle relazioni
sociali orizzontali o verticali. Si parla di relazioni orizzontali quando viene enfatizzata l’uguaglianza, mentre verticali
quando viene enfatizzata l’importanza della gerarchia e dello status: dunque sia il collettivismo che l’individualismo
possono essere sia orizzontali che verticali.
Individualismo Collettivismo
(paesi occidentali) (Paesi orientali)
Orizzontale Indipendenza, potenziamento Interdipendenza, benevolenza e
del sé, fiducia in sé stessi. uguaglianza tra i membri del
(Svezia, Danimarca, Australia) gruppo.
(Brasile e sud America)
Verticale Potere, competizione, essere Conformismo e peso per la
meglio degli altri. tradizione.
(USA, UK, Francia) (Corea, Giappone, India)

Culture prevalentemente maschili vs culture femminili: moderati contro intransigenti.

Maschili Femminili
Decise, ambiziose, con chiare distinzioni dei ruoli di Alla ricerca di consenso, si prendono cura dei
genere. cittadini.
Giappone, Germania, Inghilterra, Filippine. Olanda, Portogallo, Tailandia.

 Alto evitamento: Conformismo;


 Basso evitamento: creatività, anticonformismo.

A cosa ha condotto la globalizzazione? Mescolanza tra le culture, uniformazione, forte cambiamento dei valori.

Problema WEIRD: Come sappiamo, le popolazioni WEIRD, ovvero “Western Educated Industrialized Rich Democratic”,
indicano una determinata fetta della popolazione mondiale (per lo più studenti universitari, ricchi, provenienti da
nazioni occidentali e industrializzate), i quali costituiscono circa il 96% dei volontari a cui vengono sottoposti importanti
esperimenti di psicologia, ma non solo, infatti nel 70% delle riviste che hanno ospitato articoli di psicologia si trovano
soggetti WEIRD di nazionalità americana. Adesso il punto è: con stime simili è possibile affermare che dagli studi
condotti su soggetti WEIRD, tali studi possano essere approcciabili alla popolazione mondiale e, di conseguenza,
considerare che la cognizione sia universale? Assolutamente no! Paragonando i risultati di alcune tribù WEIRD, con
soggetti provenienti da società di piccola scala, è uscito fuori che le società WEIRD, proprio per l’adattamento ad un
ambiente culturale differente, hanno un ragionamento più analitico (dominato da angoli retti, prettamente
individualistico), mentre le società orientali hanno un ragionamento più olistico ed una tendenza verso la collettività.

Differenze tra occidentali e orientali:

Occidentali Orientali
Individuo e società: Greci: Socialmente indipendenti, Cinesi: Socialmente
con individualismo e autonomia interdipendente con necessità di
come valori. Poche e meno minimizzare i contrasti sociali.
complesse relazioni sociali. Relazioni complesse con famiglia,
stato.
Sviluppo: Raramente dormono nello stesso Dormono circondati da adulti,
letto con i genitori, quasi sempre anche con differenza di molte
in stanze separate. generazioni.
Le madri pongono l’attenzione Le madri pongono l’attenzione
dei figli sul gioco. dei figli sui sentimenti e sulle
relazioni.
Attribuzioni causali: Nord-Americani: Spiegano Cinesi: spiegano le stesse cose
assassinii ed eventi sportivi focalizzandosi su fattori
focalizzandosi sulle contestuali, anche storici.
caratteristiche individuali.
Categorizzazioni: Statunitensi: prevalentemente Cinesi: prevalentemente
tassonomica; vengono dette 3 tematica; per lo stesso test
parole (monkeys, banana, panda) hanno scelto le parole monkeys e
e viene richiesto quali 2 siano più banana, in quanto le scimmie
correlate. Gli statunitensi, in mangiano le banane, quindi
maggioranza, hanno scelto inquadramento più tematico.
monkeys e panda, in quanto
entrambi animali, quindi
inquadramento più tassonomico.
Attenzione al contesto: Americani: viene proposta una Giapponesi: A differenza degli
scena con dei pesci abbastanza americani, in quello stesso
grandi posti su uno sfondo esperimento, mostrano di essere
marino. Dopo aver osservato notevolmente influenzati dal
l’immagine, vengono presentate contesto. Questo perché
altre immagini di quei pesci su riconoscono meglio gli oggetti se
altri sfondi ed il risultato è che gli rappresentati nel contesto
americani riconoscono gli oggetti originario.
in primo piano
indipendentemente dal contesto
in cui sono collocati.
Tipo di ragionamento: Ragionamento più analitico: Ragionamento più globale: per lo
vengono presentate 3 immagini stesso test la scelta è ricaduta
e viene richiesto di mettere una per la sedia e la poltrona, in
X sulle due che secondo lui quanto sono entrambi luoghi in
potrebbero essere accoppiate. cui sedersi.
Queste 3 immagini prevedono
una sedia di legno senza gamba,
un tavolo di legno senza gamba e
una poltrona. I soggetti, in
maggioranza, hanno risposto un
la sedia di legno e il tavolo (in
quanto entrambi di legno ed
entrambi mancano di una
gamba). Questo perché gli
occidentali prestano più
attenzione all’oggetto che al
campo e spiegano il
comportamento in modo
decontestualizzato.
Concezione di Sé: Self inteso in termini di Self inteso più sul ruolo che si
caratteristiche psicologiche, ricopre nella società. Visione
meno di ruoli. Visione più meno positiva di sé rispetto alle
positiva di sé rispetto alle società società occidentali. Un esempio è
orientali. dato dal fatto che i bambini
asiatici ottengono punteggi
molto più alti di quelli americani
in matematica (661 contro 534),
ma gli americani hanno una
confidenza notevolmente
maggiore nelle loro potenzialità
matematiche (51% contro 26%).
Rapporto tra scelta e azione: Nord Americani: modello agency Indiani: modello agency
Scelta sui prodotti di consumo disgiunto, tendono a scegliere i congiunto, tendono ad essere
prodotti di consumo sulla base più lenti nella scelta, meno inclini
delle loro preferenze personali. verso le loro preferenze
personali e scelgono l’azione che
risponde maggiormente alle
preferenze e aspettative di
persone importanti (come le
autorità) e questo può porre dei
vincoli sulle preferenze
individuali.
L’apprendimento: Nord Americani: apprendimento Cinesi:
con focus sulle novità (pensiero Focus sulla memoria (tipo un
libero, pensiero critico). Si dizionario). Rispettano gli
prendono la responsabilità sui insegnanti ed i loro principi.
cambiamenti. Apprendimento Apprendimento più sociale.
più individuale.
Tendenza al conformismo: Valori statunitensi: libertà, diritti Valori asiatici: conformità alle
individuali. Esempio: nella scelta norme di gruppo. Per lo stesso
delle penne prediligono target esempio, prediligono target
unici/originali. uniformi.
Americani e altri occidentali (inglesi, tedeschi, etc.):

Sebbene abbiano un’eredità culturale comune, gli americani si distaccano un po’ (outlier tra gli outliers?) da altre
comunità occidentali:

 Più individualisti;
 I valori di riferimento sono libertà e autosufficienza;
 Unica società occidentale senza movimento socialista forte;
 No stato sociale;
 Grande valore alla scelta;
 Importanza del sé inteso come indipendente e non rapportato ad altri.
 Felicità associata al successo personale;
 Stile di pensiero più analitico;
 Tendenza a difendere la propria visione del mondo più di altre culture, soprattutto relativamente al tema della
morte;
 Maggiore separazione tra il mondo del lavoro e l’esterno;
 Comunicazione più diretta.

PERCEPIRE UN’OPERA D’ARTE:


Nell’ambito dei processi cognitivi viene definita Neuroestetica il modo in cui il cervello risponde agli stimoli artistici.
L’iniziatore di tale approccio è stato Samir Zeki, un neuroscienziato.

Nell’ambito delle teorie embodied e grounded vediamo 2 differenti tipologie di approccio:

1. Gallese (Simulazione incarnata): Secondo questa prospettiva un oggetto artistico non è mai un oggetto in sé stesso,
ma il polo di una relazione intersoggettiva tra artista e colui che osserva l’oggetto. Tale oggetto ha la facoltà di
evocare risonanze di natura senso-motoria in chi vi si mette in relazione. Secondo tale approccio l’esperienza
estetica può essere vissuta attraverso la simulazione incarnata, basata sui circuiti visceromotori, visuomotori e
affettivi. Mentre si osserva un’opera d’arte avvengono due tipi di “embodied simulation” (simulazione incarnata):
a) Simulazione del contenuto dell’opera d’arte: cioè le azioni, emozioni e sensazioni in essa ritratte, o attivata
in modo associativo nell’osservatore dal contenuto artistico stesso, risvegliando le memorie implicite e
l’immaginazione dell’osservatore.
b) Simulazione dei gesti espressivi dell’artista: anche quando l’immagine non presenta contenuti raffiguranti
direttamente il corpo, evoca la simulazione del gesto l’ha prodotta, ovvero simulare il gesto espressivo che
l’ha creata. Questo mostra come l’arte astratta (priva di immagini corporee) attivi una simulazione
motoria, indipendentemente dalla familiarità degli osservatori con le immagini.

Esempio: in un esperimento vengono mostrati a dei soggetti 3 quadri astratti e 3 copie degli stessi modificate,
dove sono state eliminate le tracce dell’artista. Grazie alla EEG è stato rilevato che le aree premotorie, motorie
ed emozionali si sono attivate maggiormente quando, sebbene fossero quadri astratti, al soggetto venivano
sottoposti i quadri originali. Questo mostra non solo che la simulazione, grazie ai neuroni specchio, avviene
anche nell’arte astratta, ma che è maggiore nelle opere in cui si può rintracciare la mano dell’artista.

2. Prinz (Emozione): Secondo questo approccio l’esperienza estetica, come l’esperienza morale, sono collegate ai
valori, dunque non possono limitarsi alle proprietà delle opere d’arte o alle intenzioni di azione ad esse correlate,
bensì devono necessariamente essere legate alle emozioni, ovvero degli stati sensomotori che intensificano la
tendenza ad agire (paura: scappare; rabbia: aggredire).
Vediamolo con un esempio: 85 partecipanti ad un esperimento vengono sottoposti a 5 condizioni differenti prima
di classificare un’opera d’arte astratta: sedersi normalmente, fare 15 o 30 minuti di salti a gambe divaricate,
guardare un video allegro o pauroso. Solo la condizione di paura ha portato a giudizi più positivi sull’arte, cosa che
potrebbe dipendere dalla nostra tendenza ad essere alterati di fronte alle novità, ambiguità o al fantastico. Ciò
dimostra che, se la paura (emozione), ispira valutazioni estetiche positive, il ruolo delle emozioni è fondamentale
nell’embodied cognition.
L’esperienza estetica, però, non è una scienza esatta, in quanto si tratta di un dominio astratto, poiché poggia su
valutazioni di bellezza. Queste ultime si basano e si distinguono tra loro in base a:
a) Dimensioni come l’eleganza, i contorni delicati, la perfezione nella sua categoria, etc;
b) La persona, l’epoca, la cultura;
c) Influenzate da fattori cognitivi e non sensoriali, in quanto si rifanno all’autore, la difficoltà nella
realizzazione dell’opera, l’originalità, etc.
Per l’autore c’è un’emozione che sta alla base dell’esperienza artistica in quanto ci spinge alla contemplazione: la
meraviglia.
Secondo Prinz, inoltre, l’arte è legata non solo alle emozioni, ma anche alla costruzione di un senso di sé. Un
esempio è riscontrabile nel punk, il quale si configura come un assalto all’estetica, un sovvertimento dei canoni
estetici, ma risulta anche un esempio di come l’arte (in questo caso un assalto all’arte) sia fortemente legata
all’identità (in questo caso il punk è legato all’identità di gruppo).

Arte e cultura: Anche per quanto riguarda l’arte le persone sono influenzate dalla loro cultura di provenienza: gli Asiatici
tendono ad essere più olistici, osservando un’immagine nel suo insieme, con particolare riferimento al contesto, mentre gli
occidentali tendono ad essere più analitici, dunque a focalizzarsi sugli oggetti di rilievo, indipendentemente dal contesto.
Secondo lo studio di Masuda et al. Gli orientali, nei loro dipinti di paesaggi, hanno più probabilità degli occidentali di
rappresentare l’orizzonte più in alto, contenere più oggetti nel dipinto, in quanto più intenti a riproporre tutto il contesto,
mentre gli occidentali si focalizzano di più su un unico oggetto. In uno studio di Bao et al. Condotto su alcuni studenti
orientali (cinesi) ed alcuni occidentali (europei e nord americani), sono stati proposti alcuni dipinti originali cinesi ed alcuni
occidentali con la richiesta di valutare la bellezza del dipinto; il risultato mostrò che non solo ognuno preferiva i dipinti
legati alla propria cultura, ma anche che entrambi preferivano, tra essi, i dipinti di paesaggi rispetto a quelli di persone.

LA RELIGIONE:
Mentre la cultura è, sotto certi aspetti, vaga e difficile da definire, la religione risulta molto più semplice e vantaggiosa da
studiare, in quanto:

 Precetti (regole) espliciti, chiari e coerenti.


 Testi scritti che rendono pubblici tali precetti, dunque accessibili per una discussione.
 I fedeli sono chiamati a seguire le regole riportate nei testi sacri.

Esistono dei test per misurare anche il livello di adesione, in particolar modo a livello cognitivo, alla religione, ad esempio
la scala del dogmatismo religioso, la DOG Scale.

La religione risulta un vantaggio a livello adattivo perché:

a) Ha un ruolo di autocontrollo, in quanto vi è cooperazione all’interno di un gruppo sociale;


b) Riduzione dell’incertezza riguardo al futuro, dunque minore ansia.

A tal proposito è stato proposto uno studio che indagasse se realmente le credenze religiose provochino una riduzione
dello stress: viene richiesto di fare il compito di Stroop (ovvero vengono presentate alcune parole di colori che riportano o
il colore indicato o un altro colore. Viene richiesto al soggetto di dire ad alta voce il colore della parola ma non ciò che c’è
scritto) ed una registrazione EEG. Inizialmente viene richiesto agli studenti credenti di dire quanto credessero in Dio (1-5),
poi gli viene richiesto cosa significasse per loro (condizione sperimentale) e poi di descrivere una stagione (condizione di
controllo). Successivamente gli viene somministrata la PANAS (ovvero una scala che presenta diversi tipi di emozioni e
viene richiesto al soggetto, accanto ad ogni parola, di indicare il grado in cui ci si sente). Successivamente viene proposto il
compito di Stroop con EEG, da cui risulta chiaramente che la curva dell’ansia è notevolmente più bassa per i credenti,
soprattutto se prima hanno descritto la loro religione. Risultato? La religione riduce lo stress.

Se questo studio è stato condotto tra credenti ed atei relativamente allo stress, un ulteriore studio è stato condotto tra
diverse religioni con questa ipotesi: appartenere a una religione o ad un’altra, modula differentemente i nostri processi
cognitivi? Si! Vediamo come:

E’ stato condotto uno studio tra calvinisti/atei e buddisti/atei di uno stesso paese/cultura.
Effetto locale-globale: vengono presentati ad entrambi i gruppi delle lettere grandi (globali) composte da lettere più piccole
(locali), di cui alcune di esse erano congruenti a livello locale/globale (ad esempio una H formata da piccole H), mentre
altre no (ad esempio una H formata da piccole S). Il compito è quello di specificare la lettera a livello locale e globale. I
tempi di risposta inferiori sono stati ottenuti nel momento in cui la lettera globale corrispondeva a quella locale, ma
quando ciò non accadeva i calvinisti, rispetto agli atei hanno mostrato dei tempi di reazione maggiori nei target globali, ma
inferiori in quelli locali (più analitici, in quanto meno tendenti a guardare la lettera nell’insieme). Nello stesso test i buddisti
hanno riportato, invece, dei tempi di reazione inferiori nei target globali. Cosa mostra ciò? Che appartenere ad una
differente religione influenza la percezione ed il controllo attentivo.

La religione influenza il comportamento? Si! Vediamo come:

E’ stato condotto uno studio tra cattolici/atei italiani e calvinisti/atei olandesi. Viene proposto l’effetto Simon, ovvero viene
richiesto di discriminare la forma dello stimolo che si presenta in un punto qualsiasi del campo visivo. Dopo aver
discriminato la forma (triangolo o quadrato) l’osservatore dovrà premere un tasto ad esempio: per il quadrato il tasto di
destra e per il triangolo quello di sinistra. Si nota che i tempi di reazione sono inferiori quando lo stimolo ed il pulsante si
trovano entrambi dalla stessa parte del campo visivo. Dai risultati emerge che questo effetto è maggiore nei cattolici
rispetto agli atei italiani, mentre è inferiore nei calvinisti rispetto agli atei olandesi. Dunque la religione e la cultura
influenzano il comportamento e, di conseguenza, il controllo dell’azione.

La religione influenza i processi decisionali? Si! Vediamo come:

Viene proposta a cattolici italiani e calvinisti olandesi una scelta tra due opzioni, ma il cui ottenimento avverrà in momenti
differenti. Tale scelta è stata messa in atto per valutare quali soggetti, appartenenti a religioni differenti, preferisse una
scelta più prossima ma di minor valore, oppure una scelta più in là nel tempo ma d maggior valore (comprare oggi l’auto o
investire in un fondo pensione?). Il risultato è che gli italiani cattolici hanno mostrato meno pazienza rispetto ai calvinisti
olandesi e ciò mostra come la religione e la cultura influenzino anche le scelte di livello superiore e non puramente
attentivo. Lo stesso test, inoltre, è stato proposto anche a soggetti che, senza contare la religione, appartenevano ad un
contesto culturale differente (Americani e Giapponesi). Il risultato è che gli occidentali sono meno pazienti degli orientali
(fatta eccezione per i cinesi).

Sui processi cognitivi, effetto della:


Cultura Religione
Diversa attenzione al contesto Riduzione dello stress
Diversi processi attentivi e di categorizzazione Influenza sui processi attentivi e decisionali
Diverso senso del Sé Differenze tra molto e poco religiosi
Diverso rapporto tra scelte e azioni Differenze tra religioni
Diversa tendenza al conformismo

PERCEZIONE DEL CORPO, COME IL CORPO MODULA LA PERCEZIONE:


Di fondamentale importanza è il modo in cui noi percepiamo il nostro corpo: la “body ownership” (senso di proprietà del
corpo) deriverebbe semplicemente dal feedback sensoriale che il nostro corpo invia al nostro cervello (chiamasi esperienza
propriocettiva); ma è davvero solo questo? Alcuni esempi e constatazioni dimostrano il fatto che la percezione del nostro
corpo non si limiti unicamente ad un’esperienza propriocettiva:

1. La “rubber hand” (la mano di gomma): viene messa su una delle due mani del soggetto una mano di gomma e poi
vengono stimolate entrambe. Quando il soggetto vedrà essere toccata la mano di gomma tenderà ad incorporarla
come fosse realmente parte del suo corpo. Questo esperimento si chiama RHI (Rubber hand illusion). Come è
possibile, allora, che l’esperienza propriocettiva derivante solo dal nostro corpo, riesca a spigare in modo completo
la percezione umana, se noi tendiamo ad incorporare (come parte vera e propria del nostro corpo), un oggetto
esterno?
Rubber hand e cultura: E’ stato proposto un esperimento razziale di questo tipo: ad un gruppo di soggetti caucasici
viene messa la rubber hand ma di colore nero. Prima e dopo l’inserimento della rubber hand viene somministrato
lo IAT (Implicit Association Test; strumento utilizzato per studiare la forza dei legami associativi e si basa su una
somministrazione tramite computer di alcune prove di categorizzazione: viene presentato uno stimolo e viene
chiesto al soggetto di classificarlo come positivo o negativo) per valutare le risposte positive o negative ed i tempi
di reazione quando al soggetto vengono presentati volti scuri, ovvero l’implicit racial bias (il pregiudizio raziale
implicito. Alla fine viene somministrato il questionario IRI (Interpersonal reactivity index) per valutare l’empatia. Il
risultato è che i soggetti tendevano ad avere un implicit racial bias diverso (meno negativo) dopo aver messo la
rubber hand, in quanto avendo quella cambiava la loro esperienza di body ownership.
Esperimento rubber hand e anoressia: viene somministrata la RHI (rubber hand illusion) ad un gruppo di 30
anoressiche e gli viene chiesto di dare una stima della grandezza della propria mano e della rubber hand sia prima
che dopo la somministrazione. Il risultato è che le stime riportate, relative alla propria mano, diminuiscono dopo
l’utilizzo della rubber hand, in quanto hanno paragonato il loro corpo con qualcosa. Questo mostra il body
ownership delle anoressiche è maggiormente malleabile rispetto alle persone che non lo sono e questa condizione
persiste anche nelle persone che sono state anoressiche e sono guarite. In questo caso le possibilità sono 2: o le
persone che sono state anoressiche hanno sempre un’aumentata sensibilità all’informazione visiva sul proprio
corpo, oppure è ridotta la sensibilità all’informazione propriocettiva.
Enfacement illusion (incorporazione del volto): A differenza della rubber hand, in questo caso l’esperimento
riguarda i volti. Il concetto alla base è che se osserviamo un volto sfiorato tendiamo a percepire prima uno stimolo
tattile sul nostro volto (ancor di più se quello che vediamo è un volto bello). Nell’esperimento (l’IMS, Interpersonal
Multisensiorial Simulation) ai partecipanti viene stimolato (tipo accarezzato) il volto mentre osservano volti di
ingroup e outgroup (gruppo di appartenenza e non) in situazioni sia sincrone che asincrone (contemporaneamente
o meno). Avendo stimolato il proprio viso anche con soggetti che appartenevano ad un outgroup, il soggetto tende
comunque ad aumentare la risonanza motoria e, dunque, abbassa le barriere nei confronti del viso “diverso”, in
quanto lo “incorpora”.
2. Senso dell’agency: sempre parlando del nostro “sense of body”, noi percepiamo il nostro corpo come unitario
quando agiamo, in quanto quando compiamo un’azione il nostro corpo si coordina per metterla in atto ed è
proprio l’azione che lo distingue dagli oggetti esterni.
3. L’uso di strumenti (tools): l’utilizzo di strumenti modifica ed estende lo spazio peripersonale. Un esempio è dato
dalle scimmie che sono addestrate ad usare un rastrello per raggiungere un oggetto lontano, le quali hanno una
rappresentazione corticale più ampia di braccia e mani, perché le cellule visive e tattili estendono il loro campo
recettivo incorporando il rastrello. Ma solo se utilizziamo uno strumento in modo attivo (orientato ad uno scopo) ci
rappresentassimo l'arto più lungo di quello che è (incorporiamo l’oggetto). Ad esempio le scimmie, dopo un
training con pinze (sia normali che rovesciate), hanno i neuroni motori che scaricano sia durante l'afferramento
con le mani sia con entrambi i tipi di pinza. Quindi compiendo ripetutamente una data azione i confini del nostro
corpo si modificano e così anche le pinze vengono incorporate. Questo, però, avviene solo se lo strumento viene
utilizzato in un'azione orientata ad uno scopo, altrimenti se viene tenuto semplicemente in mano non accade.
4. Senso sociale del corpo/neuroni mirror: Attraverso i neuroni mirror riusciamo a differenziare noi stessi dagli altri.
5. Senso sociale del corpo/linguaggio interno: pronunciando la parola “Io”, o comunque riferendosi a sé stessi si ha
un senso di sé.
6. Il linguaggio: Le parole, analogamente agli oggetti, possono essere utilizzate come strumenti (tools) che ampliano
la percezione del nostro spazio peripersonale. Esperimento: ad alcuni bambini vengono disposti davanti alcuni
oggetti e gli viene richiesto di inserirli nel foro di una scatola. Poiché questi oggetti facevano parte alcuni del loro
spazio peripersonale, dunque raggiungibili facilmente, altri sono stati disposti a distanza, al punto da non poter
essere afferrati. Viene dato ai bambini un rastrello piccolo (non utilizzabile per gli oggetti distanti), un rastrello
lungo (utilizzabile solo per alcuni oggetti) e la possibilità di parlare per chiedere di passare loro gli oggetti a cui non
arrivano. Alla fine di questo training viene chiesto ai bambini di stimare la distanza da loro degli oggetti ed il
risultato fu che, con il contributo del rastrello lungo e della parola, i bambini hanno stimato la distanza degli
oggetti lontani come meno distante di quello che in realtà fosse. E’ possibile affermare, dunque, che non solo
tramite l’uso di un rastrello (tool), i bambini lo incorporano come fosse parte del loro corpo per raggiungere un
oggetto, bensì anche la parola è utilizzato come tool per raggiungere gli oggetti.

Cambiare il corpo:

1. Cambiare body size: ad alcuni partecipanti vengono applicate delle imbottiture e gli vengono richiesti dei giudizi di
“self affordance” e “other affordance” relativamente alla capacità di poter passare all’interno di una porta senza
ruotare le spalle. I partecipanti che indossavano imbottiture maggiori ritenevano che anche gli altri necessitassero
di un maggiore spazio per passare, cosa che non accadeva quando invece erano gli altri ad avere le imbottiture più
grandi. Il corpo altrui, quindi, se ha una dimensione molto estrema rispetto al nostro influenza le self-affordance
personali, mentre se ha una misura pressoché simile, no.
2. Il peso:In un esperimento viene messo uno zaino pesante sulle spalle di alcuni partecipanti, mentre su altri uno più
leggero e gli viene chiesto di stimare una salita. Coloro che portavano lo zaino più pesante giudicavano la salita più
lunga.
3. Il dolore: viene chiesto a pazienti con un dolore cronico ed a pazienti di controllo di stimare una distanza. Quelli
con il dolore cronico stimavano la distanza come più lunga.

Il corpo come perceptual ruler:

1. Viene richiesto a dei soggetti di valutare le dimensioni di un oggetto indossando o occhiali che ingrandiscono
(sovrastima) o che rimpiccioliscono (sottostima). Viene presentato, poi, accanto all’oggetto osservato in un
momento la propria mano ed in un altro la mano di un’altra persona. L’effetto che rimpicciolisce/ingrandisce
scompare se accanto all’oggetto c’è la propria mano, rimane se c’è quella di un altro. Questo cosa mostra? Che
misuriamo il mondo in base alla grandezza del nostro corpo.
2. Affordance: il fatto che il nostro corpo (reale) sia una stima in base a cui misuriamo il resto delle cose vale anche
nel discorso delle affordance. Alcuni soggetti vengono messi in una stanza 3D con 12 oggetti quotidani, i quali sono
posizionati in 4 spazi differenti: vicino (30 mt), a distanza (140 mt), da poter raggiungere effettivamente, percepito
come possibilmente raggiungibile. Sotto alle immagini di questi oggetti vengono proposti alcuni verbi di azioni
(funzione, azione, osservazione, pointing). Il risultato è che i soggetti hanno dei TR inferiori non solo quando
l’oggetto è vicino, ma anche quando richiede un’azione di manipolazione/funzione.
3. Ansia e affordance: viene richiesto ad un soggetto di tapparsi il naso e di respirare per due minuti dalla bocca solo
con una cannuccia per indurre uno stato d’ansia. Poi gli viene richiesta una stima della distanza di alcuni oggetti e
della capacità di passare attraverso una porta. Le persone con l’ansia sovrastimano di meno rispetto al gruppo di
controllo. Questo cosa mostra? Che non solo la nostra percezione del mondo è influenzata dal nostro corpo, ma
anche il nostro status mentale.

LA CATEGORIZZAZIONE:
Dibattito Natura- cultura: In questo campo, per molto tempo, ha regnato una dicotomia che prevedeva da una parte i
sostenitori dell’empirismo (mente come una tabula rasa) e da una parte quelli del determinismo biologico (i geni, non
l’ambiente, determinano il modo in cui un organismo agisce o cambia nel tempo). Entrambe queste teorie sono state
smentite nel tempo, quindi è possibile affermare che non siano vere? Non è possibile, in quanto nessuno nega il ruolo
dell’ambiente e il ruolo della genetica. Di recente è stata rilanciata la teoria innatista, attraverso lo Human Genome
Project, secondo cui noi nasciamo già con dei concetti e solo tramite l’esperienza li riportiamo alla luce. Ma quali concetti
sono innati e quali non lo sono? In questo dibattito natura contro cultura vediamo avanzare due prospettive:

 Naturalismo: la natura umana è universale, sebbene non si escluda la parte adattiva all’ambiente, la maggior parte
degli individui si differenzia su base genetica.
 Culturalismo: La maggior parte delle nostre capacità sono apprese e le differenze individuali sono fortemente
influenzate dall’esperienza.

In questo campo Prinz propone il culturalismo metodologico, ovvero intendere la nostra dotazione biologica come un
insieme di meccanismi che ci permettono di cambiare con l'esperienza, in quanto noi trascendiamo la natura. La teoria
innatista, inoltre, è stata fonte di un grande dibattito sul tema del linguaggio, che vede da una parte:

a) Chomsky: visione innatista del linguaggio, ovvero noi abbiamo un dispositivo chiamato LAD (Language Acquisition
Device), deputato proprio all’acquisizione del linguaggio, in altre parole noi possediamo in modo innato una serie
di regole grammaticali che ci permettono, a contatto con l’esperienza, di formulare frasi da parole che acquisiamo.
Alla base di questa teoria vi è un’idea di grammatica universale.
b) Steven Pinker: l’istinto per il linguaggio non è una cosa innata, bensì un effetto della selezione naturale. Secondo
lui, infatti, ciò che fa funzionare tanto bene il linguaggio è che si è sviluppato da una lunga linea di antenati che
usavano un linguaggio un poco migliore dei loro rivali, fatto che consentiva loro di riprodursi più degli altri. L’unica
cosa che concorda con Chomsky è il fatto che il linguaggio sia un istinto, ma non è un istinto innato del genere
umano, bensì il prodotto di un lungo processo di selezione che ha, per esempio, permesso che l’uomo lo acquisisse
come istinto e la scimmia no. Paragona, poi, il linguaggio umano alla proboscide dell’elefante dicendo: se
esistessero biologi elefanti sarebbero sicuramente attratti dalla proboscide in quanto è una caratteristica peculiare
solo degli elefanti, come lo è l’uomo nei confronti del linguaggio. Il fatto però è che il linguaggio si è sviluppato per
un normale percorso evolutivo, come la proboscide per gli elefanti, non è innato per noi come la proboscide non lo
è per loro.

Questo si lega notevolmente al concetto di categorizzazione, ovvero ciò che è alla base di ogni concetto umano: la
categorizzazione degli oggetti avviene solo tramite l’esperienza, ma affinché ciò sia possibile deve essere presente l’innata
capacità di categorizzazione.

Vediamo tutti i principi alla base della categorizzazione:

CONCETTO CATEGORIA ESEMPLARE ATTRIBUTO


Sono gli aspetti cognitivi e Sono gli insiemi di Un preciso membro di Una proprietà/tratto.
mentali delle categorie. oggetti/entità inclusi nel una categoria. Es: marrone.
Es: Cane, abbaia, etc. concetto. Es: Fufi, un preciso cane
Es: nel concetto di Cane ci di una precisa categoria.
sono le categorie di
pastore tedesco, cocker,
etc.

Ma a cosa servono i concetti?

 Classificare (distinguere uomini e donne, prede e predatori, etc.);


 Fare predizioni ed inferenze (capire come interagire con i membri di una precisa categoria);
 Comunicare (Capire gli altri cosa intendono, cosa fanno, cosa faranno).

TEORIA CLASSICA DEI CONCETTI:

Teoria che ha origine da Aristotele, ma oggi non più valida, secondo cui i concetti sono categorie definibili in base ad un
insieme di attributi singolarmente necessari e congiuntamente sufficienti a definirle. Le categorie sono viste come
universalmente condivise da tutti, ed i confini tra una categoria ed un’altra sono rigidissimi (o appartieni o non appartieni).

Vantaggi: E’ chiara ed elegante. Avendo inoltre una struttura tassonomica ha un’economia cognitiva.

Svantaggi:

a) E’ difficile trovare attributi per definire, ad esempio attributi per “mela” o “zio”.
b) E’ difficile trovare la correlazione tra gli attributi, as esempio di “cucchiai di legno”.
c) Problemi di tassonomia, infatti “la mucca è un animale” è più veloce di “la mucca è un mammifero”.
d) Come è possibile ricordare tutti gli attributi e perché abbiamo i concetti che abbiamo?

MODELLO DEI PROTOTIPI:

Il prototipo è costituito da un esemplare tipico, la media ponderata delle caratteristiche di tutti gli esemplari incontrati,
rappresentazione sintetica di tutti gli attributi a cui viene dato un certo peso. Quando vediamo un oggetto lo mettiamo in
una categoria (categorizziamo) in base alla somiglianza dal prototipo. Alcuni degli esemplari che fanno parte di una precisa
categoria sono più rappresentativi della categoria stessa rispetto ad altri (tipicità), per questo le categorie hanno confini
variabili e non universali (come sostenuto dalla teoria classica). Quando ci si trova di fronte ad una serie di oggetti
appartenenti tutti alla stessa categoria (mela, uva, pomodoro - frutta), si fa più facilità a considerare come appartenenti ad
essa i prodotti più tipici (mela 100%, uva 87%, pomodoro 71%).

Vantaggi:

a) Spiega le categorie “fuzzy”, ovvero che i confini delle categorie sono sfumati.
b) Spiega gli effetti di tipicità in base alla somiglianza al prototipo;
c) Spiega le differenze tra le culture: a seconda dell’esperienza si formano prototipi diversi.
d) Rispetta il principio di economia cognitiva.

Svantaggi:

a) Scarto delle informazioni poco frequente.


b) I prototipi come possono essere flessibili (variare per ognuno) se sono ancorati all’idea di tipicità del mondo?
c) Se tutti abbiamo prototipi diversi, come facciamo a capirci?
d) Ci sono effetti di tipicità anche in categorie definite come i numeri.

TEORIA BINARIA:

La teoria binaria è chiamata tale in quanto unisce la teoria classica più quella dei prototipi. Al centro di questa teoria c’è il
core, il nucleo, ovvero l’insieme di proprietà necessarie per definire un oggetto. In altre parole il core contiene i tratti
salienti necessari e tutti gli aspetti che spiegano la relazione tra un singolo concetto ed un altro. Il core ha la funzione di
mantenere stabile un concetto, fissando una sorta di minimo comune denominatore. Al core si aggiungono le procedure
d’identificazione (legate alla teoria dei prototipi), ovvero le proprietà non stabili di un oggetto, che risiedono nel core, ma
le più superficiali che determinano il grado di tipicità dell’oggetto (ad esempio una “donna”). Secondo tale visione anche le
strutture ben definite (come i numeri) hanno una struttura graduata.

Vantaggi: Spiega gli effetti di tipicità (dipendono dalle procedure d’identificazione) e la variabilità è legata solo alle
strutture di superficie, non quelle che stanno nel core.

Svantaggi (problemi irrisolti): Come si può definire il core? E come stabilire gli attributi e le proprietà sufficienti?

TEORIA DEGLI ESEMPLARI:

La categoria è l’insieme di tutti gli esemplari incontrati ed ogni nuovo esemplare che incontriamo, se è sufficientemente
simile agli altri della sua categoria viene inserito in essa. Ma prima deve essere paragonato a tutti gli altri esemplari della
suddetta categoria per similarità. L’approccio alla categorizzazione è di tipo bottom-up e non top-down, ovvero ogni
singolo esemplare che incontriamo viene incamerato senza che vi sia un prototipo e questo prevede un’astrazione
dell’esemplare stesso (viene considerato simile agli altri, da un solo a tutti gli altri). E’ simile alla teoria dei prototipi in
quanto i concetti non sono definiti (ma vanno per similarità) e, dunque, non universalista, ma allo stesso tempo si discosta
in quanto la teoria dei prototipi non prevede un’astrazione.

Svantaggi: Sebbene spieghi il modo in cui viene processato un esemplare per entrare in una categoria (essendo simile ai
membri), non spiega il modo, come nella teoria dei prototipi, in cui classificare un esemplare che non somiglia alle
categorie o una categoria che ha molti esemplari diversi (ad esempio gli oggetti che non si legano per somiglianza ma per
uno scopo comune, come gli oggetti da campeggio).

TEORIA ESSENZIALISTA:

La teoria dell’essenzialismo fa una critica al concetto di similarità, in quanto troppo vago perché tutto può essere simile a
tutto, e allo stesso tempo afferma che i concetti non si basano su similitudini ma sono le teorie a delimitare gli ambiti di
applicazione di somiglianza. La teoria è l’insieme di relazioni causali che spiegano i fenomeni di un dominio, mentre i
concetti sono le unità connesse da queste relazioni (ovvero i concetti sono uniti tra loro dalle teorie). L’essenza, invece,
sono quei tratti non ovvi e sottostanti che uniscono oggetti diversi, anche se dissimili: i delfini e i tori sono entrambi
mammiferi, per quanto non siano simili tra loro.

L’essenzialismo psicologico si basa sulla convinzione che le cose abbiano un’essenza, ovvero una natura sottostante ed è
proprio l’essenza che dà stabilità (siamo convinti che gli oggetti artefatti siano meno stabili di quelli naturali). Se vengono
mutati i tratti superficiali di un concetto esso non muta, se ne viene mutata l’essenza si, in quanto è l’essenza che permette
all’oggetto di appartenere ad una specifica categoria (cambiare il colore di una zebra non cambia ciò che la zebra è,
mutarne il DNA sì).

L’euristica essenzialistica sostiene che le proprietà superficiali correlano con quelle “essenziali”.

I bambini, quando osservano qualcosa, non si basano sulla somiglianza, bensì sull’appartenenza ontologica (che riguarda la
conoscenza dell’oggetto in sé) e sulla condivisione di tratti profondi come l’appartenenza genetica o gli organi interni
(l’essenza). Secondo l’essenzialismo le categorie sono innate.

Vantaggi: Le teorie consentono di individuare gli attributi salienti, delimitare gli spazi della somiglianza ed ha un sostegno
empirico (studi sui bambini, come abbiamo visto).

Svantaggi: Le teorie sono credenze soggettive o condivise?


Visione tradizionale dei concetti Visione embodied dei concetti
Concetti: Sono simboli che rimandano in modo Concetti: riattivazione di pattern neurali legati ad un
arbitrario (senza regole) a ciò a cui si riferiscono. oggetto ogni qualvolta ci si rapporta.
Sono astratti, ovvero non legati a percezione ed Non astratti, ma grounded nei processi percettivi e
azione. motori.
Sono statici, ovvero dalla percezione di un oggetto Sono multimodali e dinamici, non statici in quanto
esso si inserisce in una struttura permanente di cambiano in base al contesto e all’interazione.
conoscenza.
Sono organizzati in ordine gerarchico/tassonomico. Non sono organizzati in tassonomie, ma in base a
contesti e situazioni
Sono utili per conoscere, non per agire. Sono utili per agire.

MORALE ED EMBODIMENT:
Lo studio si basa sulla connessione tra la sporcizia/necessità di pulirsi e la morale. Già dai tempi antichi la pulizia, l’istinto di
lavarsi erano connessi con una sorta di moralità, in quanto la purezza era connessa all’azione di lavarsi; basti vedere il
cristianesimo che utilizza il lavaggio del battesimo per la purificazione. Ed è da questo concetto che viene fuori “l’effetto
Macbeth”, ovvero ogni qualvolta si sente minacciata la propria moralità si ha la necessità di pulirsi.

Esempio: Ad alcuni partecipanti viene richiesto di pensare ad un’azione (che possa essere sia etica che non) e di descrivere
le emozioni associate ad essa. Dopo averlo fatto gli vengono sottoposte tre parole che presentano solo gli estremi e gli
viene chiesto di completarle: (W _ _ H, SH _ _ ER, and S _ _ P) (wash, shower, and soap) (e.g., wish, shaker, and step). Chi
aveva pensato ad una parola non etica tenderà ad inserire le prime 3 in quanto riguardano il lavarsi.

Esempio per spiegare l’effetto Macbeth: ad alcuni partecipanti viene richiesto di fare un gioco di ruolo che prevede
un’azione spiacevole (pulizia e moralità), ad esempio trovare un documento che può danneggiare la carriera di un altro e
salvare la propria e dire all’altro che il documento non è stato trovato. Questa cosa possono dirgliela o a voce (bocca) o per
mail (mani). Dopo gli vengono presentati alcuni prodotti di consumo ed il risultato è che i partecipanti erano disposti a
pagare un prezzo più alto per i prodotti che prevedevano il lavaggio della parte del corpo che avevano utilizzato per dire la
bugia (bocca o mani).

La morale, quindi, non è qualcosa di completamente astratto ma è connessa al corpo.

PROPRIETA’ E POSSESSO:
 Proprietà: La proprietà, a differenza del possesso, indica il diritto all’uso esclusivo di un bene, ovvero il diritto ad
escludere gli altri dall’uso di un certo bene. In altre parole la proprietà riguarda i diritti.
 Possesso: Con possesso fisico intendiamo riferirci, invece, al fatto che un agente ha il potere di usare una risorsa in
funzione dei propri scopi. Il possesso fisico è innanzitutto un potere pratico ovvero una relazione fattuale tra un
agente e una risorsa in cui l’agente è in grado (ha le abilità cognitive e fisiche) e intende controllarne l’uso per i
propri fini.

Stabilito ciò, vediamo alcune prospettive relative ai concetti di proprietà/possesso:

Endowment effect (effetto dotazione): In psicologia e in economia comportamentale, l’endowment effect (noto anche
come avversione per la cessione e legato al semplice effetto proprietario nella psicologia sociale) è l'ipotesi secondo cui le
persone attribuiscono più valore alle cose semplicemente perché le possiedono.

Esempio: ad alcuni studenti vengono date delle tazze e ad altri no. Gli viene poi chiesto quanto le valuterebbero, ovvero a
quanto comprerebbero quelle tazze e coloro che l’avevano stimavano il prezzo della tazza come più alto.

Il senso del self: Molti oggetti che si possiedono, vengono ritenuti “speciali”, in quanto visti come estensione di sé (del
self). Ad esempio nei bambini, il fatto di possedere degli oggetti, estende il loro senso del self.

Giudizi di proprietà: Genericamente viene attribuito il possesso di un oggetto a colui che ne ha fatto utilizzo prima. Si
ritiene, infatti, che entrare per primo in contatto con un oggetto rappresenti uno stimolo saliente per definirne la
proprietà.
Esempio: è stato proposto uno studio a bambini di 2,3,4 anni ed adulti, a cui vengono mostrate due immagini: nella prima
un ragazzo tiene una palla e ci gioca, nella seconda ci gioca una ragazza. Alla fine viene chiesto: di chi è la palla? Il risultato
è che sia i bambini che gli adulti erano più propensi a ritenere che il possesso della palla fosse del ragazzo, in quanto
l’aveva utilizzata per primo.

Senso di moralità nello sviluppo: I bambini, fino a circa 2 anni d’età, ritengono gli oggetti come loro proprietà inalienabile
(cioè qualcosa di assoluto e non negoziabile). Dai 2 ai 5 anni i bambini iniziano a sviluppare quello che viene definito “senso
morale”, ovvero gli oggetti iniziano ad essere intesi come alienabili (ovvero qualcosa di negoziabile in reciproci scambi).
Quando il possesso inizia ad essere vissuto come alienabile, il bambino entra nello "spazio morale", uno spazio socialmente
normativo e valutativo, fatto di valori percepiti, buoni o meno buoni, dove responsabilità e reputazione cominciano a
giocare un ruolo prominente.

Proprietà e culture: In che misura le prime intuizioni sulla proprietà dipendono da circostanze culturali e socio-
economiche? Abbiamo esaminato la questione testando il ragionamento sui conflitti di proprietà di terze persone in vari
gruppi di bambini di tre e cinque anni (N = 176), i quali provenivano da sette circostanze sociali, economiche e culturali
molto contrastanti (ricchi urbani, poveri, molto poveri, poveri rurali e tradizionali), provenienti da 3 continenti diversi. Ad
ogni bambino è stata presentata una serie di sceneggiature che coinvolgono due bambole identiche che combattono per
possedere un oggetto. Il bambino doveva decidere chi delle due bambole doveva possedere l'oggetto. Ogni sceneggiatura
ha emesso vari potenziali motivi per attribuire proprietà: creazione, familiarità, primo contatto, equità, oltre a una
condizione di controllo / neutro senza motivi suggeriti. I risultati mostrano che attraverso le culture, i bambini sono
significativamente più coerenti e decisivi nell'attribuire la proprietà quando uno dei protagonisti ha creato l'oggetto. Lo
sviluppo tra tre e cinque anni è più o meno pronunciato a seconda della cultura. La propensione a dividere l'oggetto in
metà uguali, quando era possibile, era generalmente più alta in certe località (cioè, la Cina) e quasi inesistente in altre
(cioè, Vanuatu e bambini di strada di Recife). Nel complesso, le ragioni della creazione sembrano essere più primordiali e
stabili tra le culture rispetto alla familiarità, alla ricchezza relativa o al primo contatto. In altre parole, prima della
familiarità, della cultura e di tutte le altre caratteristiche, bambini di nazioni e status sociali diversi, mettono al primo posto
nel tema del possesso chi lo ha creato.

Senso di proprietà e affordance: Il senso di proprietà attiva una risposta motoria? E’ stato proposto uno studio per
valutare la compatibilità stimolo-risposta, relativamente al concetto di proprietà. Ai partecipanti sono state proposte
immagini di tazze e gli è stato chiesto di premere un tasto (destro o sinistro) in base al colore del manico della tazza. La
cosa interessante è che la risposta motoria non si attivava per le tazze che “appartenevano” allo sperimentatore, quindi se
l’oggetto è di proprietà di un’altra persona non si attiva la risposta motoria.

Senso di proprietà: quali segnali (cue)? Le prove psicologiche hanno dimostrato che anche i bambini piccoli fanno
affidamento su una serie di segnali fisici della relazione agente-oggetto per determinare la proprietà degli oggetti. Questi
studi, tuttavia, sostengono che la proprietà degli oggetti è un concetto astratto, il quale è dedotto da stimoli visivi salienti
che lasciano aperto il modo in cui tale concetto è rappresentato. A tal proposito ci sono due esperimenti, nei quali è stato
utilizzato lo stesso contesto per determinare se diversi segnali visivi (prossimità spaziale e priorità temporale) fondano il
senso di proprietà dell'oggetto sia legato all’approccio sensoriale. I risultati mostrano che i soggetti erano più veloci
quando gli oggetti si trovavano nello spazio peripersonale del personaggio, a cui la proprietà era attribuita dalla frase, e
quando c'era una corrispondenza tra il "primo cercatore" e il soggetto della frase. Nel complesso, i nostri dati forniscono
prove iniziali di base che il senso di appartenenza è parzialmente radicato nelle esperienze percettive.

COMPRENSIONE DEL LINGUAGGIO ED EMBODIEMENT:


Se durante l’osservazione di oggetti si attiva il sistema di neuroni canonici e durante l’azione il sistema di neuroni mirror,
quale si attiva nella comprensione del linguaggio? Entrambi i sistemi precedenti (sistema motorio). A tal proposito è stata
avanzata la teoria del riuso neurale di Anderson, secondo cui il cervello fa sì che il riutilizzo dei circuiti neurali per vari scopi
cognitivi sia un principio organizzativo centrale. A differenza della teoria classica, vi è una visione differente della plasticità
neurale: secondo la teoria del riuso i circuiti (dopo il primo uso) possono acquisire nuovi usi, senza che il cervello abbia
subito delle lesioni. Secondo Gallese, riprendendo questa teoria, i processi funzionali del sistema senso-motorio, sono
messi al servizio della competenza linguistica, sviluppata nel corso dell’evoluzione della specie. Partendo dalla teoria del
riuso propone il concetto di “sfruttamento neurale”, che consiste nel riuso di risorse neurali, originariamente evolutesi per
guidare le nostre interazioni col mondo, per servire la più recentemente evoluta competenza linguistica. Il sistema
sensomotorio (parliamo di un unico circuito, plasticità) si disaccoppia dall’output muscolare (utilizzato per agire), e si
accoppia con i circuiti prefrontali, ovvero gli aspetti generativo-sintattici del linguaggio. Vediamo gli aspetti legati alla
comprensione del linguaggio:

La forma: Le persone attivano i simboli percettivi durante la comprensione del linguaggio. E’ stato proposto uno studio in
proposito: ai partecipanti è stato chiesto di leggere due tipologie di frasi (riguardanti un’aquila), le quali, sebbene non lo
dicessero esplicitamente, richiamavano simbolicamente la figura dell’aquila in una determinata posizione. La prima era
“l’aquila è nel cielo” (così da immaginare un’aquila ad ali spiegate), l’altra “l’aquila è nel nido” (così da immaginare
un’aquila ferma nel nido). Successivamente vengono proposte delle immagini che raffigurano la forma (e non ciò che è
stato detto esplicitamente quindi cielo/nido) relativa all’aquila nelle due differenti situazioni ed il risultato è che i soggetti
sono più veloci a riconoscere ed identificare le immagini di forma relative alla situazione implicita menzionata. Ciò mostra
che quando comprendiamo il linguaggio, richiamiamo dei simboli percettivi, sebbene non siano espliciti nella frase.

La collocazione spaziale: La rappresentazione iconica (relativa ad un’immagine) influisce nella comprensione del
linguaggio? Ai partecipanti è stato chiesto di osservare due coppie di parole che richiamavano la prima una situazione
iconica, la seconda no. In entrambe la coppia di parole era attic (attico) – basement (base), solo che nel primo caso sono
state disposte attico sopra e basement sotto, mentre nella seconda il contrario. Il risultato è stato che i soggetti sono più
veloci nelle coppie di parole (quindi la comprensione del linguaggio) relativo a situazioni iconiche che non.

L’effetto ACE: La ricerca sugli approcci incarnati alla comprensione del linguaggio suggerisce che comprendiamo le
descrizioni linguistiche delle azioni simulando mentalmente queste azioni. L'evidenza è fornita dall'effetto di compatibilità
frase-azione (ACE) che mostra che i giudizi di sensibilità per le frasi sono più veloci quando la direzione dell'azione descritta
corrisponde alla direzione della risposta. In altre parole l'esecuzione di una risposta motoria è facilitata dalla comprensione
di frasi che descrivono azioni che si svolgono nella stessa direzione della risposta motoria (ad esempio, una frase circa
l'azione verso il proprio corpo facilita l'esecuzione di un movimento del braccio verso il corpo).

La direzione del moto: I resoconti recenti della comprensione del linguaggio propongono che le frasi siano comprese
costruendo una simulazione percettiva degli eventi descritti. Queste simulazioni implicano la riattivazione di schemi di
attivazione cerebrale che si sono formati durante l'interazione del soggetto con il mondo. In due esperimenti abbiamo
esplorato la specificità dei meccanismi di elaborazione necessari per costruire simulazioni durante la comprensione del
linguaggio. I partecipanti hanno ascoltato (e fatto giudizi su) frasi che descrivevano il movimento in una particolare
direzione (ad esempio "La macchina si avvicinò a te"). Hanno simultaneamente visto stimoli dinamici in bianco e nero che
hanno prodotto la percezione del movimento nella stessa direzione dell'azione specificata nella frase (cioè verso di te) o
nella direzione opposta dell'azione specificata nella frase (cioè lontano da te). Le risposte erano più veloci alle frasi
presentate contemporaneamente a uno stimolo visivo che descrive il movimento nella direzione opposta rispetto
all'azione descritta nella frase, in quanto è molto più probabile che il soggetto, sebbene abbia letto la frase, si sia trovato a
livello esperienziale a vedere una macchina andare via piuttosto che venirgli addosso. Ciò suggerisce che i meccanismi di
elaborazione reclutati per costruire simulazioni durante la comprensione del linguaggio sono anche utilizzati durante la
percezione visiva e che questi meccanismi possono essere abbastanza specifici.

Attrazione e repulsione: Chen e Bargh hanno mostrato come parole positive attivino azioni finalizzate a ridurre la distanza,
mentre parole negative attivino azioni volte all’allontanamento. Esempio: I partecipanti si sono trovati di fronte a frasi
formate da una parte descrittiva, che si riferisce a un oggetto emotivamente connotato come positivo o negativo, e una
parte di azione composta da un verbo imperativo che implica un movimento verso il sé o verso altre persone (ad esempio,
"L'oggetto è attraente / brutto - Portalo verso di te / dallo a un'altra persona). I partecipanti hanno valutato se ogni frase
fosse sensata o meno spostando il mouse verso o lontano dal proprio corpo. La valenza della parola influenzava la scelta di
movimento (l’oggetto è attraente- portalo verso di te; l’oggetto è brutto – dallo ad un’altra persona).

Le emozioni: L’assunto di base è come il linguaggio possa anche essere radicato negli stati corporei che comprendono le
emozioni. Il soggetto deve leggere frasi piacevoli o spiacevoli sullo schermo di un computer. I soggetti devono giudicare se
la frase è stata piacevole o spiacevole premendo un pulsante per piacere o uno quando è sgradevole. Quando una persona
è felice sorriderà, quando sarà infelice, si acciglierà. I soggetti devono tenere una penna tra i denti o tra le labbra mentre
leggono le frasi. La condizione dei denti produsse un sorriso e attraverso quel sorriso una sensazione felice, mentre le
condizioni delle labbra causarono un cipiglio e una sensazione infelice. Sotto la condizione dei denti, le frasi con un
contenuto piacevole sono state giudicate in modo più tranquillo delle frasi spiacevoli e nelle condizioni delle labbra il
risultato era riservato.

Effettori e scopi: La comprensione del linguaggio avviene e richiama anche la parte del corpo correlata all’azione (bocca,
mano, piede). Ad esempio, se diciamo “calciare la palla”, vi è un’attivazione del sistema sensomotorio legata al piede,
mentre se diciamo “lanciare una palla”, legata alle mani. In altre parole il linguaggio richiama l’effettore connesso. Un
esempio: ai partecipanti è stato chiesto di rispondere con il mouse di un computer (mano) al fatto se una frase sia sensata
o meno. La frase era “scartare una caramella” (mano), “succhiare una caramella” (bocca), la risposta era più veloce, dato
che il test verte sul cliccare con una mano, nelle frasi di “scartare” (perché prevede una mano), piuttosto che “succhiare”
(in quanto prevede la bocca).

Comprensione del linguaggio e affordance: Se la teoria embodied non prevede un processo di astrazione (quindi
passaggio dall’informazione sensomotoria a simboli astratti), allora il linguaggio attiverà la stessa risposta sensomotoria/le
stesse affordance, degli oggetti stessi. Da qui la teoria indelessicale di Glenberg e Robertson, ovvero la teoria secondo cui il
significato si crea collegando le parole ai loro referenti (oggetti), in base alle affordance che derivano dagli oggetti stessi e
combinando le affordance in base alla sintassi (fa da base per la combinazione di affordance).

Esempio: I partecipanti leggono frasi che descivono delle azioni come “una donna distribuisce l’arancia”. Successivamente
vengono inserite delle parole che richiamano o meno l’affordance legata all’azione di distribuire (spicchio, la richiama,
polpa, non la richiama). E’ stato chiesto, poi, ai partecipanti di dire se la combinazione avesse o meno un senso. Il risultato
è che la connessione semantica tra le parole non è rilevante, bensì lo è l’affordance di un oggetto in un dato contesto.

Esempio: Ai partecipanti vengono sottoposte frasi di azione (tipo afferra la spazzola) e frasi di osservazione (tipo guarda la
spazzola), seguite da oggetti comuni. Questi oggetti in primis si distinguevano in quanto alcuni richiedevano una presa di
forza ed altri una di precisione, ma anche perché erano presentati alcuni in modo canonico (dritti), altri rovesciati. La
richiesta era di premere un pulsante se l’oggetto presentato nell’immagine era lo stesso della frase. Il risultato è stato che i
tempi di reazione sono stati più veloci sia quando gli oggetti erano presentati in forma canonica, ma anche quando le frasi
riguardavano l’azione e non l’osservazione.

Ci sono state diverse teorie sul linguaggio:

a) Unembodied: LSA (Latent Semantic Analysis) teoria distribuzionale teoria e metodo per estrarre e rappresentare il
significato di utilizzo contestuale delle parole mediante calcoli statistici applicati a un grande corpus di testo. Il
significato di una parola è definito dalle relazioni con le altre parole (non embodied!).
b) Secondary embodiment:
 Mahon e Caramazza: L’attivazione dei concetti fa passare l’informazione al sistema sensomotorio, ma esso
non è essenziale per la comprensione del linguaggio, è solo un sottoprodotto.
 Modelli ibridi (distribuzionale+embodied): l’elaborazione concettuale è sia linguistica che incarnata
(embodied), con un pregiudizio per l’incarnazione (spiegano meglio le risposte lente) o il fattore linguistico
(spiegano meglio le risposte veloci) in base alle circostanze.

Il linguaggio è sempre stato ritenuto un processo di traduzione (stimolo dato dalla percezione – traduzione – simbolo)
mentre la cognizione è fondata sull’agire! I concetti non sono statici (sempre rimanendo in tema di linguaggio) ma si
rinnovano ad ogni esperienza, ad ogni azione! Le parole, inoltre, come gli oggetti, richiamano un’azione motoria, sono
incarnati!

c) Weak (debole) embodiment:


 Teoria dei simboli percettivi: ogni qualvolta si forma un simbolo tale processo memorizza i neuroni attivi
nello stato in cui l’oggetto è stato percepito.
 Teoria del pulvermuller: le aree legate al linguaggio sono legate alle esperienze sensomotorie legate
all’oggetto in questione.
d) Strong embodied: Teoria indelessicale: le parole rimandano ai loro referenti (i simboli percettivi – tazza) ed ogni
parola richiama un’affordance che rende possibile la simulazione.

TEORIE EMBODIED SUL LINGUAGGIO:


Attivazione del sistema motorio. Necessaria?: Come abbiamo visto, non tutti sono d’accordo con la teoria embodied
secondo cui l’attivazione del sistema sensomotorio è necessaria per la comprensione del linguaggio. Mahon e Caramazza,
infatti, sostengono, ad esempio che la comprensione dei concetti e l’attivazione del sistema sensomotorio siano collegati,
ma l’attivazione del sistema sensomotorio non è necessaria per la comprensione del linguaggio. Per avvalorare tale teoria
hanno portato delle prove su pazienti con aprassia degli arti superiori, che non riescono a manipolare un oggetto ma
riescono a nominarlo ed usarlo. Quindi, se la teoria embodied sostiene che la comprensione del linguaggio avvenga così:
comprensione del linguaggio-simulazione-azione; alcuni, tipo gli autori citati sopra, sostengono che l’attivazione motoria
non sia indispensabile. I sostenitori delle teorie embodied propongono, come giustificazione, l’attivazione precoce e la
plasticità neurale.

Come spiegare la negazione?: Se alla base della teoria embodied relativa alla comprensione del linguaggio c’è l’assunto
che per comprendere il linguaggio noi simuliamo (e attiviamo di conseguenza una risposta motoria), in una frase negativa
come “NON ho mai visto il mare”, cosa simuliamo? Secondo la teoria embodied la negazione è un processo composto da 2
stadi: Simulazione e cancellazione della simulazione. Uno studio fMRI (risonanza magnetica funzionale) è stato proposto da
De Vega et al (2014) in cui sono state usate frasi relative a tre strutture linguistiche (fattuali, controfattuali e negazioni) che
si riferivano o ad eventi visivi (condizione di controllo) o ad azioni (situazione sperimentale). Il risultato non fu solo che le
frasi d’azione suscitavano sia attivazioni dell’area motoria primaria (e altre aree associate alla pianificazione e alla
comprensione delle azioni) in modo maggiore rispetto a quelle visive, sia nell’area del corpo extrastriato (regione coinvolta
nell’elaborazione visiva dei movimenti del corpo umano), ma anche che questi effetti correlati alle frasi d’azione si sono
verificati non solo nelle frasi fattuali, ma anche in quelle negative, suggerendo che la comprensione e la pianificazione
dell’azione sono attuate anche quando le azioni sono descritte come ipotetiche o negative.

E le parole astratte? Come si possono definire le parole astratte “embodied” (incarnate) o attivatori di simulazioni?
Sebbene le teorie distribuzionali (classiche-raccolta di simboli) non si pongano questo problema in quanto secondo loro la
comprensione del linguaggio è basata sui simboli (bottom-up), allo stesso tempo hanno un altro problema da risolvere,
ovvero il Symbol grounding problem, il quale consiste in: se la cognizione umana e la comprensione del linguaggio è
composta da simboli collegati tra loro, come si può spiegare la parte grounding del linguaggio? Ad esempio, è possibile
imparare il cinese solo da un dizionario cinese? Oppure è necessaria l’esperienza, il contatto? Per quanto riguarda, però, le
teorie embodied il problema si pone per le parole astratte, ovvero di quei concetti che non sono dotati di referenti singoli,
ben delimitati, concetti come “fantasia”, “giustizia”, libertà”. La sfida è dimostrare che anche i concetti astratti attivano
sistemi percettivi e motori. A spiegazione di ciò c’è la teoria WAT: l’assunto di base della teoria è che sia i concetti astratti
che quelli concreti sono embodied  e dipendono dall’attivazione del sistema sensomotorio ed emozionale. Tuttavia, dato
che i concetti astratti non hanno un singolo referente concreto, l’acquisizione dei concetti astratti differisce
profondamente da quella dei concetti concreti. Mentre questi ultimi possono essere acquisiti per ostensione, dunque in
assenza di stimoli linguistici, è impossibile formarsi un concetto astratto (come “libertà”) senza l’aiuto di qualcuno che ci
aiuti a comprenderne il significato mettendo insieme diverse e variegate esperienze. Per l’acquisizione dei concetti astratti
pertanto è fondamentale l’esperienza linguistica intesa in senso globale, ovvero sintattico, semantico e pragmatico.  La
presenza di un membro autorevole della nostra comunità (un parente, un esperto, un insegnante) che ci fornisce una
spiegazione del concetto, aiutandoci a raccogliere sotto un’unica etichetta una molteplicità di esperienze diverse diventa
cruciale per l’apprendimento dei concetti astratti. La teoria WAT enfatizza pertanto il ruolo del linguaggio ed attribuisce
rilevanza al contesto sociale nel quale il linguaggio è acquisito. Ma oltre all’acquisizione, anche l’attivazione è un po’
differente: I concetti astratti attivano maggiormente le aree emozionali e linguistiche rispetto ai concetti concreti, i quali
attivano maggiormente le aree sensomotorie (i concetti astratti sono caratterizzati maggiormente da informazione
linguistica ed emotiva rispetto ai concetti concreti, maggiormente caratterizzati da informazione sensomotoria). Rispetto ai
concetti concreti, inoltre, il contenuto dei concetti astratti si riferisce maggiormente a situazioni complesse, scenari
concreti, mentre i concetti concreti rappresentano maggiormente singoli oggetti.

Ma esistono diversi tipi di concetti astratti? Viene proposta una distinzione tra due tipologie di concetti astratti ovvero i
BOI, concetti astratta basati più sull’interocezione (percezione di informazioni interne come il dolore o le emozioni), i quali
sono definiti concetti astratti “più embodied”, in quanto basati su emozioni e stati corporei, e i MoA, ovvero concetti
astratti più linguistici, in quanto acquisiti linguisticamente.

LE PAROLE ASTRATTE: UNO SGUARDO APPROFONDITO.


Come abbiamo appena visto, l’affermazione che le parole concrete ed astratte non differiscano tra loro non è supportata
dai dati, in quanto le parole astratte attivano:

 Situazioni sociali e introspezione: Più aspetti sociali di situazioni e proprietà introspettive


Vantaggi: la teoria generale non è applicabile ad un sottoinsieme di problemi;
Svantaggi: Evidenze limitate alla generazione di proprietà.
 Metafore: Come spazio/tempo. è un meccanismo mentale fondamentale, che ci consente di utilizzare ciò che
sappiamo sulla nostra esperienza fisica e sociale per fornire comprensione di innumerevoli altri argomenti. Poiché
tali metafore strutturano le nostre più basilari comprensioni della nostra esperienza, sono "metafore che viviamo"
- metafore che possono plasmare le nostre percezioni e azioni senza che noi le notiamo mai.
Vantaggi: la metafora è un meccanismo più che un contenuto; molti studi ed evidenze in ambito linguistico e
comportamentale (sebbene poche in ambito neurale).
Svantaggi: non i tutti gli ambiti è facile mappare concetti concreti ed astratti (tipici delle metafore).
 Emozioni: E’ un altro meccanismo di acquisizione delle parole astratte, sebbene le prime parole astratte che
apprendiamo non abbiano un referente.
Vantaggi: molte evidenze (comportamentali, fMRI, etc), sebbene alcune siano controverse.
Svantaggi: Le emozioni sono davvero astratte? In quanto attivano parti corporee ed enterocettive. Alcune evidenze
controverse.

I problemi delle teorie embodied sulle parole astratte:

 I risultati sono difficili da generalizzare;


 Molte teorie embodied si soffermano sui contenuti dei concetti astratti, invece di individuare i meccanismi
sottostanti alla concettualizzazione.

Teorie della rappresentazione multipla:

Pluralismo rappresentazionale: Dove (2009, 2011, 2016) basandosi in parte sul punto di vista di Paivio ha sottolineato
l'importanza del linguaggio per la rappresentazione di concetti astratti. Dove sostiene che i concetti sono espressi in due
diversi tipi di rappresentazioni: modale e amodale, ovvero percettiva e non percettiva. Secondo lui, la debolezza degli
approcci embodied, rispetto ai concetti astratti, non si limita alle prove raccolte, ma si estende alle teorie, che sono
costruite per spiegare concetti concreti e sono molto più convincenti con loro (vedi le sue critiche alla proposta di Jesse
Prinz). Una volta evidenziata la debolezza dei resoconti teorici incorporati di concetti astratti, Colomba sostiene che alcuni
concetti astratti implicano rappresentazioni amodali. Propone, quindi, il pluralismo rappresentazionale, ovvero la necessità
del formato amodale per le parole astratte, modale per quelle concrete. Ma i sostenitori delle teorie embodied, ovvero del
formato modale, per quanto siano d’accordo con lui poiché pone il focus sul linguaggio, allo stesso tempo non
comprendono il perché lasci spazio a forme di rappresentazioni amodali.

LASS (Language and Situated Simulation): La teoria LASS, proposta da Larry Barsalou e collaboratori (Barsalou et al., 2008;
Simmons et al., 2008), è stata la prima a sottolineare l'importanza del linguaggio per la rappresentazione concettuale,
anche se il linguaggio è considerato più una scorciatoia per accedere al contenuto concettuale piuttosto che avere
un'importanza di per sé. Secondo tale prospettiva l’elaborazione concettuale avverrebbe sulla base sia del sistema
linguistico, maggiormente coinvolto durante l’elaborazione linguistica superficiale, sia sul sistema di simulazione,
necessario per un’elaborazione concettuale più profonda. Dunque prima avverrebbero le associazioni verbali (decisione
lessicale), poi la simulazione. I vantaggi di questo approccio riguardano il fatto che più che sui concetti, come sostenuto
dalla prospettiva embodied, ci si focalizza sul meccanismo, ma allo stesso tempo il linguaggio assume una posizione
marginale rispetto alla simulazione e non è tanto specifico per i concetti astratti, più per il ruolo del compito.

Word Tracking Strategy (Prinz): Le parole astratte, come la parola democrazia, sono comprese (linguaggio) in parte in base
ad immagini concrete ed in parte in base ad abilità verbali. Il referente, poi, tali parole lo trovano grazie alle definizioni
fornite dalla comunità.

Nelle teorie embodied, però, le parole non solo semplicemente dei puntatori in cerca di un referente, bensì STRUMENTI
SOCIALI. Ed è proprio da qui che nasce la teoria, già esposta in precedenza, WAT, ovvero i concetti astratti sono grounded
nell’esperienza senso-motoria e sociale: l’acquisizione linguistica avviene in modo SOCIALE, tale esperienza
linguistica/sociale è fondamentale per la rappresentazione neurale, viene attivato il linguaggio, il quale cambia in base alla
lingua (in quanto tale apprendimento è un fatto sociale). Dunque, nei concetti astratti, le esperienze sociali e linguistiche ci
aiutano a mettere insieme una varietà di stati corporei, esperienze interne ed esterne etc.

Esperimento: ai partecipanti sono state presentate definizioni astratte e concrete seguite da parole chiave concrete e
astratte. Quando la definizione e la parola corrispondevano, ai partecipanti veniva richiesto di premere un tasto, con la
mano o con la bocca. Sono stati registrati tempi di risposta e accuratezza. Come previsto, abbiamo scoperto che le
definizioni astratte e le parole astratte hanno prodotto risposte più lente e più errori rispetto a definizioni concrete e
parole concrete. Ancora più importante, c'era un'interazione tra le parole chiave e l'effettore usato per rispondere (mano,
bocca). Mentre le risposte con la bocca erano complessivamente più lente, il vantaggio della mano sulle risposte della
bocca era più marcato con le parole concrete che con i concetti astratti. I risultati sono in linea con le teorie della
cognizione fondate e incarnate e supportano la proposta WAT, secondo cui i concetti astratti evocano informazioni
linguistico-sociali, quindi attivano la bocca.

Sono state riscontrate, nel contesto delle parole astratte, alcune evidenze relative alla teoria embodied:

1. Quando si acquisiscono nuove parole astratte, vi è una facilitazione della bocca.


2. Chi usa il ciuccio a lungo ha una diversa elaborazione e rappresentazione dei concetti astratti (in quanto
comprende la bocca)
3. Vi è un’associazione tra le parole astratte e l’informazione acustica.
4. Legame tra MoA e astrattezza

E’ stato proposto anche uno studio volto a valutare l’associazione tra la metacognizione sociale e l’attivazione della bocca:
ad un gruppo di partecipanti sono state presentate 160 parole relative a 4 categorie:

 Cibi (Mela)
 Utensili (Sega)
 Emozioni (Paura)
 Stati mentali (logica)

E’ stato rilevato che nelle parole relative alle emozioni c’era un’attivazione sia della mano che della bocca e nelle parole
relative agli stati mentali della bocca. I risultati mostrano il grounding dei concetti astratti nel sistema senso-motorio.

Vantaggi WAT: focus sullo sviluppo e sulla socialità e identificazione di un meccanismo, quindi possibile generalizzazione.

Svantaggi WAT: Evidenze variegate e ne servono di maggiori.

IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO?


IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E TEMPO: La domanda alla base è: Il linguaggio influenza il pensiero? La
lingua che parliamo influenza la nostra attività cognitiva? E’ stato proposto uno studio in cui a soggetti di diversa cultura
sono state proposte parole concrete comuni (tipo cane/cocker), e altre di natura astratta. Il risultato è stata una
convergenza maggiore sulle parole concrete, ma una molto inferiore su quelle astratte. Per spiegare ciò è stato ipotizzato
che le parole astratte, richiamando forme di raggruppamento più dipendenti dalla cultura (SOCIALE!!), differivano
maggiormente. Questa domanda è stata ripresa in un'indagine linguistica e in due esperimenti psicofisici non linguistici
condotti in madrelingua inglesi, indonesiani, greci e spagnoli. Tutte e quattro queste lingue usano metafore spaziali, per
parlare del tempo, ma le particolari mappature metaforiche tra il tempo e lo spazio variano in base alla lingua.

Lingua e tempo: Uno studio del corpus linguistico ha rivelato che l'inglese e l'indonesiano tendono a mappare, la durata
del tempo su una distanza lineare (ad esempio: un lungo periodo), mentre il greco e lo spagnolo preferiscono mappare la
durata sulla quantità (ad esempio: molto tempo).

Tempo e direzione di scrittura :E’ stato proposto un ulteriore studio ad un gruppo di madrelingua spagnola in cui ai
partecipanti è stato chiesto di guardare uno schermo in cui venivano proiettate delle parole (o a sinistra o a destra) e gli
veniva chiesto di dire se fossero relative al passato o al futuro, cliccando con il mouse. I soggetti erano più veloci se le
parole relative al passato erano proiettate a destra, mentre quelle relative al futuro a sinistra.

Il LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E EMOZIONI: Ogni paese/cultura utilizza parole diverse per esprimere le
emozioni. Ad esempio la parola universale feeling, in inglese si dice emotion. Ma non solo differiscono nella lingua,
differiscono anche nel significato che gli viene attribuito socialmente.

La rabbia/collera nella cultura:

 Italiana: accettata;
 Inglese: lecita ma da controllare;
 Beduina: sinonimo di onore e dignità;
 Albanese e greca: socialmente approvata;
 Giapponese: ammessa con out-group (altre persone che non fanno parte di loro) non con in-group (non tra di
loro).

La differenza è anche relativa all’intensità. Esempio: esperimento fatto su un gruppo di studenti degli USA (124) e un
gruppo di studenti giapponesi (110). Prima devono classificare un’emozione poi definirne l’intensità su una scala da 1 a 9
punti. A parte che nel disgusto, in cui non c’è differenza, per le altre emozioni gli studenti americani hanno ottenuto un
punteggio d’intensità notevolmente più alto.

IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E NUMERI: In questo contesto sono stati fatti degli studi che sostengono
che gli esseri umani, come gli animali, hanno una rappresentazione del numero che è indipendente dal linguaggio, la quale
ha una precisione limitata che supporta il calcolo aritmetico semplice ed elementare. Tale teoria va contro la visione
Whorfiana secondo cui il concetto di numero dipende dal linguaggio naturale affinché si sviluppi. Sebbene il linguaggio non
sia implicato nella rappresentazione dei numeri, tuttavia esso facilita il riconoscimento di routine dell'uguaglianza
numerica esatta.

Il LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E ODORI: Gli odori sono un caso interessante in quanto non sono
tangibili ma evanescenti. Gli odori sono un oggetto di studio interessante anche perché le parole di odore non si
riferiscono a oggetti concreti e manipolabili, ma a profumi evocati da oggetti. Un secondo motivo per cui gli odori sono
interessanti è che alcune lingue, come quelle occidentali, mancano di un lessico specifico per gli odori, paragonabile per
ricchezza e varietà al lessico dei colori, e che le prestazioni sulla denominazione degli odori sono in genere peggiori delle
prestazioni nella denominazione dei colori. Un esperimento sugli odori: ad un gruppo di italiani sono state sottoposte
parole con odore piacevole (tipo albicocca) e spiacevole (tipo ascella). Il compito era di eseguire un allontanamento nel
caso dell’odore spiacevole ed un avvicinamento nel caso dell’odore piacevole. L’esperimento dimostra che i nomi degli
oggetti evocano il loro odore e che questi odori evocano movimenti di avvicinamento ed evitamento, in linea con le teorie
secondo cui le parole sono radicate sia nei sistemi sensoriali che nei sistemi motori.

IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E GENERE: Lo studio in proposito sembra mettere in evidenza il modo in
cui le parole di una determinata lingua sono collegate con la rappresentazione di genere di quella determinata parola nella
propria cultura. Genericamente viene attribuito un genere femminile quando l’oggetto di cui si sta parlando è considerato
“debole”, maschile quando lo si considera “potente”. Ad esempio in Italia “il sole” è rappresentato come maschile, mentre
in Germania il “Die Sonne” (sempre il sole) è femminile. Che i tedeschi ritengano debole il sole? In ogni mod i risultati, in
generale, sono congruenti con il genere che marca l’oggetto.

IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E CATEGORIZZAZIONE DEL CORPO: Il corpo è un oggetto unico
nell'esperienza umana, che pone un problema speciale nella percezione e nella cognizione. È da una parte parte di noi
stessi, e dall'altra parte una delle cose nel mondo che incontriamo. In contrasto con oggetti ordinari, il corpo offre un
doppio accesso. Il corpo umano è una ricca risorsa per esplorare questioni fondamentali sulla natura della
categorizzazione. Quanto sono simili o diverse le categorie cognitive? In che modo persone di culture radicalmente diverse
classificano e concettualizzano lo stesso mondo? Che ruolo gioca la lingua? È ampiamente noto che i termini per le parti
del corpo come "testa", "pancia" e"schiena" sono usati nelle descrizioni spaziali convenzionali in molte lingue. Ma,
sebbene si ritenga che molti concetti corporei siano universali, in realtà ci sono molti meno elementi universali del
previsto.

IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E COLORI: La domanda di base è: come fanno le lingue a differenziare
tra le categorie di colori?

 Berlin e Kay (1969): Hanno proposto uno studio secondo cui i partecipanti di tantissime nazioni diverse dovevano
indicare quali colori base conoscessero. Con colori base si intendono tutti quei colori che rappresentano una scala
cromatica (Rosso sì, scarlatto o cremisi no). Con questo esperimento hanno individuato una scala composta da 12
colori base, messi in ordine di popolarità tra le nazioni: I) Nero, Bianco, II) Rosso, III) Giallo (o Verde), IV) Verde (o
Giallo), V) Blu, VI) Marrone, VII) Rosa, Viola, Grigio. Quindi, se i partecipanti che parlavano una determinata lingua
conoscevano solo due colori, quelli sarebbero stati necessariamente il bianco e il nero. Se ne conoscevano tre,
bianco, nero e rosso.
 Kay e Kempton (1984): Secondo gli autori i parlanti inglesi percepiscono più marcatamente la differenza tra blu e
verde dei parlanti di Tarahumara nel Messico. Quando, però, il processo di verbalizzazione viene meno, non vi è
disparità percettiva tra i due gruppi. Questa differenza riguarda solo il linguaggio o anche la percezione?
 Eleanor Rosch: Parte dalla teoria di Berlin e Kay sui colori focali (base), ovvero che nelle diverse lingue i colori focali
sono nominati più rapidamente di quelli non focali. Secondo la sua teoria dei prototipi i colori focali sono appresi
prima, categorizzati prima, ricordati meglio.

In compenso, però, notevoli studi hanno messo in crisi la visione universalista dell’effetto della lingua sulla
categorizzazione dei colori: vi è una coesistenza di aspetti universali e locali nella denominazione dei colori e vi è la
possibilità che la lingua influenzi la percezione dei colori solo relativamente all’emisfero sinistro. In altre parole la visione
universalista non è più accettata.

IL LINGUAGGIO INFLUENZA IL PENSIERO? LINGUE E COGNIZIONE: In questa parte faremo un breve riassunto di come la
lingua influenzi la cognizione, con le parti appena enunciate e anche quelle che mancano. Le lingue hanno effetto sulla
categorizzazione e segmentazione della realtà, ad esempio la lingua influenza la capacità di categorizzare i numeri,
rendendola più precisa. In alcuni casi vi sono aspetti universali che non sembrano influenzati dalle lingue, tipo i verbi di
movimento o gli oggetti/contenitori, oppure sono universali ma influenzati dalle lingue, come nel caso dello spazio e degli
eventi, in cui le lingue operano differenziazioni in dimensioni relativamente invarianti. La lingua sotto certi aspetti sembra
influenzare, quindi, la cognizione, ma limitatamente ai compiti di natura linguistica. L’effetto forte della lingua, però, lo
troviamo nei domini astratti, come il tempo, o per le classi chiuse di parole, come il genere. Ma vi è un caso a parte: il
colore.

 Sapir: il "mondo reale" è in gran parte costruito inconsciamente sulle abitudini linguistiche del gruppo. Nessuna
lingua è mai sufficientemente simile per essere considerata come rappresentante della stessa realtà sociale.
 Whorf: La lingua è formatrice di idee. Noi segmentiamo la natura, la organizziamo in concetti, assegniamo
significati nel modo in cui lo facciamo, in larga parte perché siamo membri di un accordo [sociale] che la struttura
in questo modo.
 Vygotsky: Il bambino comincia a percepire il mondo non solo attraverso i propri occhi ma anche attraverso il
proprio linguaggio ed esso è un sistema di significati trasmesso culturalmente. Il linguaggio, inoltre, è necessario
per il pensiero astratto e può essere usato come tool (strumento) al servizio di altro. I nostri processi psicologici si
formano tramite l’internalizzazione di strumenti mentali, di cui il linguaggio è uno strumento fondamentale,
dunque fondamentale per la cognizione. Il linguaggio interno è un linguaggio per sé stessi, sia una guida del
pensiero che una forma di pensiero.
 Gentner: Ipotesi “ibrida” tra Sapir-Whorf (la struttura grammaticale del linguaggio forma la percezione) e Vygotskij
(il linguaggio interno guida i processi mentali), secondo cui il linguaggio non è né una lente con cui si vede il mondo
per sempre, né una torre di controllo per guidare la cognizione, ma un insieme di strumenti con cui costruire e
manipolare le rappresentazioni.

CULTURA E..
“La cultura è definita come un sistema di valori e credenze condivise che ci dà un senso di appartenenza o identità. La
cultura può essere discussa in termini di modi in cui le persone appartenenti a un gruppo, società o organizzazione si
comportano, comunicano, pensano e percepiscono la realtà. Ogni cultura esibisce le percezioni della realtà della gente ".

Cultura e tempo:

Hall: Divideva le culture in a:

 Alto contesto: In una cultura ad alto contesto, ci sono molti elementi contestuali che aiutano le persone a capire le
regole. Di conseguenza, molto è dato per scontato
 Basso contesto: In una cultura a basso contesto, molto poco è dato per scontato. Ciò significa che sono necessarie
ulteriori spiegazioni, ma significa anche che vi sono meno possibilità di incomprensioni, in particolare quando i
visitatori sono presenti.

Partendo da questi presupposti ha diviso il tempo in:

a) Monochronic Time: M-Time, come lo chiamava, significa fare una cosa alla volta. Assume un'attenta pianificazione
e programmazione ed è un approccio prettamente occidentale, la "gestione del tempo". Le persone
monocromatiche tendono anche ad essere a basso contesto.
b) Tempo policronico: Nelle culture polychronic, l'interazione umana è valutata nel tempo e nelle cose materiali,
portando a una minore preoccupazione per "fare le cose" - si fanno, ma più nel loro tempo libero. Gli aborigeni e
gli indiani d'America hanno culture policroniche tipiche, dove le riunioni di "bastone parlante" possono andare
avanti fino a quando qualcuno ha qualcosa da dire. Le persone polychronic tendono anche ad essere ad alto
contesto.
c) In contrasto con i due: Le culture occidentali variano nel loro focus sul tempo monocronico o policronico. Gli
americani sono fortemente monocronici mentre i francesi hanno una tendenza policronica molto maggiore -
quindi un francese può presentarsi tardi a una riunione e non pensarci più (con gran fastidio di un collega tedesco
o americano).

Cultura e pensiero: La cultura influenza anche il modo in cui le persone pensano. Ad esempio gli asiatici dell’est sono più
olistici (focalizzati sul contesto), mentre gli occidentali sono più analitici (focalizzati sui dettagli). Se cambia il pensiero,
cambia anche la modalità di scelta: gli americani sono più orientati ad interpretare il loro comportamento come frutto
delle loro scelte, al contrario degli asiatici, e preferiscono anche una molteplicità di scelte davanti a sé quando si trovano
ad agire.

Cultura nell’assegnazione dei ruoli (insegnamento): Negli USA l’insegnamento è volto a stimolare la creatività dei giovani,
infatti gli insegnanti pongono domande, cercano di stimolare un’atmosfera creativa e gli studenti tendono ad intervenire
liberamente. In Giappone, invece, l’insegnamento è visto unicamente come una trasmissione di conoscenza e gli studenti,
durante le lezioni, tendono a prendere appunti e a non intervenire.

Cultura e comunicazione verbale:

 Ipotesi di Bernstein: Riprende l’ipotesi di Sapir-Whorf secondo cui la struttura sociale influenza il linguaggio. Il suo
lavoro rappresenta un tentativo di discutere alcuni aspetti delle interrelazioni tra struttura sociale, forme di parola
e la successiva regolazione del comportamento. Secondo lui le implicazioni comportamentali dell'ambiente fisico e
sociale sono trasmesse in qualche modo al bambino. Qual è il canale principale per tali trasmissioni? Quali sono i
principi che regolano tali trasmissioni? Lui distingue, quando si fa un discorso, due sistemi di codifica, i quali si
distinguono tra loro in base alle opzioni che il parlante ha a disposizione quando fa un discorso:
a) Codice elaborato: Se l’oratore ha una vasta gamma di opzioni sintattiche tra cui scegliere, allora lo
svolgersi del suo discorso non sarà prevedibile e questo comporta un codice elaborato. Riguarda il canale
verbale ed è tipico della classe medio-alta (scarsa condivisione)
b) Codice ristretto: Se, invece, l’oratore ha una scelta ristretta tra le alternative sintattiche, è molto più
probabile che il suo discorso sia prevedibile e, in quel caso, si tratta di codice ristretto. Riguarda il canale
orale, non verbale, tipico della working class (collettività)
 Ipotesi di Hall: Fa una distinzione tra culture ad alto o basso valore contestuale (già accennato prima).
a) Alto valore contestuale: Il linguaggio è molto implicito e poco verbale, il linguaggio trasmette poco e le
persone comunicano molto attraverso il non verbale. Il codice è tipicamente ristretto, in quanto
rappresenta la collettività.
b) Basso valore contestuale: Il linguaggio è esplicito e, affinché sia chiaro, viene anche ripetuto spesso. Il
codice è elaborato, infatti vi è una scarsità di assunzioni condivise.

Stili di comunicazione verbale:

 Contestuale vs personale: Contestuale, tipico di culture collettivistiche, è incentrato sul parlante e sulle relazioni
tra i parlanti. Personale, più popolare in culture individualistiche, è incentrato sulla riduzione delle barriere tra
parti.
 Affettivo vs strumentale: Affettivo, difficile da decifrare e tipico di culture collettivistiche ad alto valore contestuale.
Strumentale, orientato ad uno scopo, tipico di culture individualistiche a basso valore contestuale.
 Diretto vs indiretto: diretto, tipico di culture individualistiche a basso valore contestuale. Indiretto, tipico di culture
collettivistiche ad alto valore contestuale.
 Elaborato vs succinto: Elaborato, culture ad alto valore contestuale. Succinto, culture a basso valore contestuale.

La lingua dei segni: è una lingua a tutti gli effetti fatta da parole (i segni) e aspetti non verbali (come l’intonazione). Ha un
alto livello di iconicità (fondata sull’immagine) in quanto vi è una corrispondenza tra la forma linguistica e il significato.

Cultura e comunicazione non verbale: Mehrabian sostiene che meno del 10% di ciò che comunichiamo proviene dalle
parole che pronunciamo.

 Contatto oculare: La cultura influenza il modo in cui noi ci guardiamo negli occhi. In paesi occidentali come
l’America e l’Europa, ad esempio, il contatto oculare mentre si parla è segno di rispetto ed interesse, mentre nelle
culture africane ed asiatiche, se il contatto non è breve, può essere considerato come segno di affronto.
Esempio: E’ stato condotto uno studio con canadesi, giapponesi e abitanti di Trinidad. Gli sono state poste alcune
domande la cui risposta poteva essere facilmente conosciuta, ed altre più complesse. E’ stato dimostrato che nelle
risposte semplici i canadesi e gli abitanti di Trinidad sostenevano bene lo sguardo, mentre i giapponesi meno, ma
non solo, infatti nelle risposte complesse C e T volgevano lo sguardo verso l’alto per pensare, mentre i giapponesi
verso il basso (confidenza vs rispetto/modestia).
 Distanza interpersonale: la prossemica è l’influenza della distanza spaziale tra gli interlocutori nella comunicazione.
Anche in questo caso la cultura produce notevoli differenze.
Esempio: 3 gruppi di studenti (maschi e femmine) giapponesi, venezuelani, statunitensi. Il compito era di fare 5
minuti di conversazione con persone dello stesso sesso e nazionalità. I giapponesi tendevano a sedersi più distanti,
i venezuelani più vicini e gli statunitensi ad una distanza intermedia. Le donne più vicino degli uomini.
 Informazioni paralinguistiche: il modo in cui si dice qualcosa, non il suo contenuto. Ad esempio gli arabi parlano a
voce più alta (segno di forza e sincerità), mentre i filippini a voce più bassa (segno di educazione).
 Contatto fisico: Anche per quanto riguarda il contatto fisico ci sono delle differenze culturali (in alcune parti del
mondo, ad esempio in Tailandia, non è possibile toccare la testa).
Esempio: 26 madri spagnole e 26 anglo-americane con neonati di 9 mesi. Osservazione del contatto fisico con i figli
mentre giocano liberamente. Le madri spagnole hanno un contatto più frequente ed affettuoso rispetto a quelle
anglo-americane.
 I gesti: uno stesso gesto, in paesi diversi, può significare cose differenti. Sono considerati emblemi/simboli e ad
essi, in alcune culture, sono legati anche dei tabù: ad esempio nel Ghana ed in altri paesi dell’Africa occidentale, in
azioni come dare, ricevere, mangiare, l’uso della mano sinistra è inappropriato.
 Silenzio: anch’esso varia da cultura a cultura. Le culture asiatiche, per esempio, sono abituate al silenzio, mentre
nei paesi arabi e mediterranei il silenzio è poco frequente.
 La postura: negli USA è più informale e casuale, mentre nelle culture asiatiche è più formale.
 Riconoscimento delle emozioni: E’ stato proposto uno studio con giapponesi e statunitensi in cui venivano
mostrate delle emoticon che esprimevano emozioni differenti e gli veniva chiesto di valutare, in una scala da 1 a 9,
quanto la faccina proposta fosse felice o triste. I giapponesi, ad esempio, per determinare ciò si focalizzavano di
più sugli occhi, mentre gli statunitensi sulla bocca.

L’IMITAZIONE.
Le imitazioni sono quei casi in cui un individuo, avendo osservato un movimento corporeo, deliberatamente realizza un
movimento corporeo topograficamente simile.

Meccanismi di apprendimento sociale:

 Contagio: Chi copia le azioni senza comprendere gli scopi sottostanti (sbadiglio/risata);
 Emulazione: Gli individui, grazie all’osservazione dell’azione altrui, apprendono proprietà ambientali e le replicano
non perché capiscono il gesto che è stato fatto, ma per le proprietà ambientali connesse. Ad esempio una madre
(animale) fa rotolare un tronco e mangia gli insetti che sono sotto di esso. Il figlio farà la stessa cosa non perché
imita la madre, ma perché capisce che sotto il tronco ci sono insetti da mangiare.
 Apprendimento imitativo: si intende apprendere le azioni fatte da altri, acquisire il metodo per svolgere
quell’azione. L’imitazione coinvolge:
a) La visione (si osserva qualcuno);
b) La pianificazione (si compie un piano per agire);
c) Il controllo motorio (si esegue un atto motorio).

Teorie sull’imitazione:

 Teorie specifiche: Esistono dei meccanismi neurali e funzionali specifici per il controllo dell’imitazione (viene
attivato un effettore).
a) Teoria del mapping diretto: L’informazione visiva (percezione) viene tradotta immediatamente in pattern
motori.
b) Teorie AIM (active intermodal mapping): Secondo questa visione, gli atti umani, percepiti e prodotti, sono
codificati all'interno di un quadro comune (sopramodale) che consente ai bambini di individuare
equivalenze tra i loro atti e quelli che vedono.
 Teorie generaliste: L’imitazione si basa su meccanismi generali di apprendimento associativo e controllo motorio
alla base dell’azione (vengono attivati programmi motori con conseguenze simili sul piano percettivo).
a) Teorie ideomotorie/goal directed: quando osserviamo un’azione attiviamo una simulazione perchè quello
che osserviamo è simile al contenuto della nostra rappresentazione motoria.
I bambini fanno più che copiare le azioni, usano gli scopi altrui per capire quali azioni copiare.
b) ASL Associative Sequence Learning movement: l’imitazione è il prodotto della nostra capacità generale di
apprendere tramite associazioni.

Imitazione innata o appresa? Autori come Heyes sostengono che l’imitazione non sia innata ma acquisita. Come?
Attraverso le connessioni neurali visuomotorie che si costruiscono combinando esperienza diretta e osservazione.

Quando gli esseri umani osservano il movimento di uno della loro stessa specie, può avvenire un’attivazione:

 Esplicita: se c’è un’attivazione intenzionale del comportamento motorio, ovvero l’imitazione.


 Implicita: attivazione delle aree del comportamento motorio non volontariamente attraverso i neuroni mirror. Ad
esempio, se osserviamo qualcuno che afferra qualcosa, attiveremo le sue stesse aree che sono state attivate
durante l’afferramento. Come? Attraverso i neuroni mirror.

I neuroni mirror e la previsione delle intenzioni altrui: Ma i neuroni mirror non solo fondamentali solo per l’imitazione
(quindi la codifica dell’azione altrui) ma anche per prevedere le intenzioni altrui. L’attività, infatti, aumenta quando il
contesto rivela l’intenzione alla base dell’azione. Esempio: i partecipanti sono stati sottoposti a 3 condizioni: senza
contesto, bere e pulire. I neuroni mirror rispondevano in modo diverso alle azioni senza contesto e a quelle in cui era
previsto (come l’azione di bere). Questa è la prova che i neuroni specchio non sono associati solo all’azione di per sé
(prendere), ma anche all’intenzione ad essa associata (prendere per bere). La risonanza motoria

I neuroni mirror e l’empatia: I neuroni specchio sembrano essere collegati anche all’empatia tra esseri della stessa specie.
Sebbene gli studi di psicologia sociale suggeriscano che il razzismo si manifesti spesso come mancanza di empatia (cioè la
capacità di condividere e comprendere i sentimenti e le intenzioni degli altri), sono pochi gli studi che indagano se ci sia
una diversa reattività empatica tra individui della stessa razza o differenti. Usando la stimolazione magnetica transcranica,
sono state osservate le risposte empiriche del cervello sensomotorio in individui bianchi e neri ed è stato scoperto che
osservare il dolore dei modelli ingroup (appartenenti alla stessa razza) ha inibito il sistema corticospinale degli spettatori
come se anche loro sentissero il dolore. Il risultato dell’esperimento fu che non solo c’erano differenze nel risultato in base
all’appartenenza etnica, ma anche che l’effetto era modulato dal pregiudizio (razzismo implicito).

A che serve l’imitazione implicita?

 Facilita forme di imitazione esplicita: il sistema di neuroni mirror è attivo durante l’imitazione di azioni.
 Facilita la comprensione delle azioni altrui: quello che fanno o addirittura le loro intenzioni;
 Serve allo sviluppo del linguaggio: L’area di Broca (addetta al linguaggio) sembra sia il corrispettivo F5 della
scimmia.
 Contribuisce a percepire e predire il comportamento di conspecifici (persone della stessa specie).

Riassunto + altre nozioni.

Capire le azioni degli altri e le intenzioni che ne sono alla base è una caratteristica della nostra specie, che ci consente di
interagire con i nostri simili e di empatizzare con loro. I meccanismi alla base di queste facoltà cognitive sociali erano fino a
non molti anni fa poco conosciuti. La scoperta dei neuroni specchio nella scimmia e la successiva dimostrazione
dell’esistenza di un sistema specchio anche nel cervello umano hanno messo in evidenza per la prima volta un meccanismo
neurofisiologico capace di spiegare molti aspetti della nostra capacità di relazionarci con gli altri. I neuroni specchio sono
stati scoperti poco più di dieci anni fa nella corteccia premotoria del cervello del macaco (area F5). I neuroni specchio si
attivano sia quando la scimmia esegue un atto motorio finalizzato, come afferrare oggetti con la mano o con la bocca sia
quando osserva un altro individuo eseguire atti motori analoghi. La risposta visiva dei neuroni mirror può essere evocata
solo se lo stimolo osservato è costituito da una mano o una bocca che interagisce in modo finalistico con un oggetto (ad es.
per prenderlo, tenerlo, o romperlo, ecc). Una serie di esperimenti di controllo ha dimostrato che né la visione isolata
dell'agente né quella dell'oggetto riescono ad evocare una risposta. Similmente inefficace, o molto meno efficace, è
l'osservazione di un atto motorio mimato senza oggetto (Gallese et al. 1996). Lo stimolo visivo efficace per attivare questi
neuroni è quindi l’osservazione di un’effettore (mano o bocca) che interagisce con un oggetto. Parte dei neuroni specchio
sono specifici per l’esecuzione/osservazione di atti motori singoli, altri invece sono meno specifici, rispondendo
all’esecuzione e all’osservazione di due o più atti motori. L’importanza dei neuroni specchio nella cognizione sociale ha
trovato un’ulteriore conferma dalla scoperta dell’esistenza di un analogo sistema specchio anche nell’uomo. La prima
dimostrazione dell’esistenza del sistema specchio nell’uomo è venuta da un esperimento di stimolazione magnetica
transcranica (TMS). La TMS permette, mediante l’applicazione di uno stimolo magnetico sulla regione frontale della testa
di un soggetto, di evocare delle risposte muscolari registrabili a livello periferico mediante elettromiografia. Il risultato è
stato che l’osservazione di un atto motorio eseguito dalla mano di un altro individuo attiva le regioni motorie
dell’osservatore, aumentandone la responsività allo stimolo magnetico. E’ interessante notare che le risposte muscolari
facilitate si ottenevano 6 in maniera specifica da quegli stessi muscoli che il soggetto attivava quando doveva a sua volta
eseguire le azioni osservate. Ciò dimostra che il sistema motorio mappa in modo specifico le azioni osservate sul repertorio
di azioni potenzialmente eseguibili dall’osservatore. L’ipotesi interpretativa suscitata dalla scoperta dei neuroni specchio,
afferma che le azioni altrui possono essere riconosciute da un osservatore, in quanto l'agente e l'osservatore condividono
il medesimo repertorio motorio. Gli umani sono esperti nel cooperare l'uno con l'altro quando cercano di svolgere compiti
che non possono raggiungere da soli. Studi recenti sull'azione congiunta (joint action) hanno dimostrato che quando si
eseguono compiti insieme, le persone si affidano fortemente ai meccanismi neurocognitivi che usano anche quando
eseguono le azioni individualmente, cioè predicono le conseguenze del comportamento del loro co-attore attraverso la
simulazione di azioni interne. Il monitoraggio delle azioni, la sensibilità al contesto e i processi di selezione delle azioni,
tuttavia, sono relativamente sottovalutati, ma ingredienti cruciali dell'azione congiunta. Uno studio ha mostrato, inoltre,
che il sistema dei neuroni specchio non funziona solo in modo imitativo, ma anche complementare: lo studio indaga
relativamente all'utilizzo di misure comportamentali dell'interazione tra azioni imitative e complementari, attivate
osservando le mani di donne / uomini che eseguono azioni diverse. Ai partecipanti di sesso femminile e maschile è stato
richiesto di discriminare il genere di una serie di mani (palesemente biologiche o artificialmente colorate), le quali
mostravano azioni individuali (ad esempio cogliere) e sociali (dare e punzecchiare). Le mani biologiche evocavano
l'imitazione automatica, mentre le mani di diverso genere attivavano i meccanismi complementari. Inoltre, le risposte, si
differenziavano in base al genere: le azioni individuali erano più associate alle femmine, mentre le azioni sociali ai maschi.

PREGIUDIZI E STEREOTIPI:
In-group Out-group
Il gruppo a cui apparteniamo, NOI. Gruppo che si differenzia/contrappone al nostro.
Tendenza a valutare membri più positivamente. Tendenza a valutare i membri meno positivamente.
Più ricompense/caratteristiche Meno ricompense/caratteristiche
positive/aiuto/possibilità di essere persuasi dall’in- positive/aiuto/possibilità di essere persuasi dall’out-
group. group.
Tali preferenze sono vere anche se il gruppo è formato
in modo arbitrario (senza regole precise) o se i due
individui non si sono mai incontrati.

Teorie sull’In-group e out-group:

 SIT (Social Identity Theory – Teoria dell’identità sociale): La sua teoria poggia sulla concezione che la percezione
di una persona avviene sulla base della sua appartenenza al gruppo. Questo perché i gruppi ci sanno un senso di
identità sociale, un senso di appartenenza al mondo sociale. Molto spesso, infatti, esaltiamo il nostro gruppo, in
quanto ad esso è legata anche l’immagine di noi stessi (un inglese che dice “l’Inghilterra è il posto più bello del
mondo!”), e allo stesso tempo sminuiamo coloro che appartengono ad altri gruppi (Americani e Francesi sono tutti
perdenti!). Di conseguenza, abbiamo diviso il mondo in base ad una categorizzazione sociale (LORO, out-group –
NOI, in-group). La teoria dell'identità sociale afferma che l'in-group discriminerà l'out-group per migliorare la
propria immagine di sé. Henri Tajfel ha proposto che lo stereotipo (cioè mettere le persone in gruppi e categorie) si
basi su un normale processo cognitivo: la tendenza a raggruppare le cose. Dunque l’identificazione con un gruppo
ha:
a) Una componente cognitiva: in quanto normale processo di raggruppamento;
b) Una componente affettiva: essere legati ai membri del gruppo;
c) Una componente valutativa: derivare la propria valutazione da quella del gruppo, esaltando quindi il
proprio e sminuendo gli altri. Ma a cosa serve? A mantenere l’autostima.
 Teoria dell’auto-categorizzazione: teoria pensata come un'analisi generale del funzionamento dei processi di
categorizzazione nella percezione e nell'interazione sociale, che parla sia di problemi di identità individuale tanto
quanto i fenomeni di gruppo. Questa teoria si avvicina a quella dell’identità sociale, sottolineando le differenze tra
NOI e LORO, ma soprattutto le somiglianze tra i membri dello stesso gruppo. Una caratteristica interessante di
questa teoria è l’attenzione agli aspetti cognitivi: Un principio della teoria è che il sé non dovrebbe essere
considerato come un aspetto fondamentale della cognizione, ma piuttosto dovrebbe essere visto come un
prodotto del sistema cognitivo.
 Modello dell’ancoraggio al Sé: Il favoritismo nell’in-group è stato ipotizzato secondo 2 processi:
a) Ancorare al sé le visioni positive del gruppo;
b) Differenziarsi dagli altri gruppi, dopo aver ancorato le visioni positive sul proprio.
La differenza dagli altri modelli sta nel fatto che, se finora la visione positiva del gruppo aumentava la stima di sé
(autostima), in questo caso la percezione del gruppo deriva dalla percezione che abbiamo di noi (induttivo non
deduttivo).

Alcuni termini:

 STEREOTIPO: credenze e attributi che si ritengono caratteristici di uno specifico gruppo (es. donne e matematica).
La “paura dello stereotipo” è la paura di poter in qualche modo confermare lo stereotipo negativo associato al
proprio gruppo. Ma come si formano gli stereotipi? Attraverso la categorizzazione (processo cognitivo), ovvero la
tendenza di assimilare le persone ai gruppi. La formazione di concetti, come in questo caso, guida la nostra
interazione con l’ambiente sociale. Il problema che ne consegue, però, è che tendiamo a sovrastimare coloro che
appartengono al proprio gruppo e che classifichiamo sempre le persone in funzione del loro gruppo di
appartenenza.
Per valutare ciò le tecniche self-report, così come nel pregiudizio, non sono completamente affidabili, in quanto si
cerca di controllare l’immagine positiva di sé.
Stereotipo e embodiment:E’ stato proposto un esperimento che collega il concetto di stereotipo all’embodiment:
secondo tale prospettiva, in presenza di gruppi o situazioni stereotipate, nelle persone si attivavano i concetti di
tratto e gli stereotipi. Era richiesto di formare frasi in base a una lista di parole: alcune parole erano neutre, altre
legate allo stereotipo degli anziani (grigio, bingo, etc.). E’ stato rilevato che chi ha usato parole legate allo
stereotipo di anziano, alla fine dell’esperimento, mentre si dirigeva all’ascensore, si muoveva più lentamente degli
altri.
Stereotipo e genere: Lo stereotipo influenza anche il genere: in un esperimento in cui venivano presentate una
serie di immagini, le donne erano ritenute più attraenti quando la loro immagine era posizionata in basso, i maschi
quando era posizionata in alto. Lo stereotipo di genere potrebbe essere collegato al concetto di potere?
Stereotipo e accessibilità: Ai partecipanti venivano mostrate delle immagini di facce di persone bianche o nere,
con immagini di contesti positivi (come una chiesa) o negativi (come un angolo di strada distrutta). Essi erano
affiancati da aggettivi stereotipici dei bianchi (educati, avidi) e dei neri (atletici, poveri). E’ stato rilevato che
venivano più frequentemente accostati aggettivi negativi alle facce nere, positivi a quelle bianche.
Stereotipo e motivazione: Una spiegazione per la persistenza dei pregiudizi, anche tra coloro che rinunciano ai
pregiudizi, può essere semplicemente che rispondere senza pregiudizi a volte è difficile. Per rispondere senza
pregiudizio verso i membri esterni, un individuo deve superare anni di esposizione a informazioni distorte e
stereotipate che potrebbero influenzare le risposte verso i membri esterni. Il controllo del pregiudizio, come il
completamento positivo di qualsiasi comportamento complesso, può richiedere lo sviluppo di efficaci strategie
regolatorie. Se è così, solo coloro che hanno sviluppato tali strategie avranno probabilmente successo nei loro
sforzi per rispondere senza pregiudizi. Plant e Devine fanno una distinzione tra motivazione interna (motivazione
personale) e motivazione esterna (normativa) come fattore che spinge, per spiegare il modo in cui le persone sono
motivate a rispondere senza pregiudizi. Esempio: ai partecipanti venivano mostrate immagini di volti bianchi e
neri, seguiti da parole bersaglio, ovvero aggettivi positivi o negativi. Il risultato fu che il pregiudizio esplicito era
determinato dalla motivazione interna, mentre quello implicito dall’interazione di entrambe.
Stereotipo e linguaggio: LEB (Linguistic expectancy bias) teoria secondo cui le persone che rappresentano uno
stereotipo standard (ad esempio maschile/femminile) sono generalmente descritti con parole astratte (Lisa è
attenta, Peter è deciso), piuttosto che l’opposto, ovvero quando le persone non rappresentano il loro stereotipo si
usano frasi più concrete (Peter cambia un pannolino, Lisa dice a tutti cosa fare).

 PREGIUDIZIO: attitudine o risposta affettiva negativa nei confronti di un determinato gruppo.


Può essere:
a) Manifesto: Aperta discriminazione;
b) Sottile: Membri di un out-group non discriminati apertamente ma percepiti come inferiori.
Può essere stimato in base a tecniche di self-report (ma non affidabili), scale sul pregiudizio, misure
comportamentali e misure implicite. L’esempio riportato di seguito è una misura implicita.
Esempio: L'ipotesi è che l'uso di parole che fanno riferimento allo status in-group o out-group (come NOI o LORO),
possa inconsciamente perpetuare pregiudizi in-group. Nell’esperimento vengono proposte sillabe senza senso,
accoppiate discretamente ai pronomi designanti nel gruppo (ad es., Noi). Il risultato è stato che le sillabe riferite
all’in-group, sono state giudicate più piacevoli delle sillabe abbinate ai designatori esterni (ad esempio, essi).
 DISCRIMINAZIONE: comportamento scorretto nei confronti dei componenti di uno specifico gruppo sociale.

Un fattore interessante in questo contesto è il contatto, giudicato come utile per ridurre i pregiudizi tra out-group. Ma non
solo, il contatto con un preciso out-group, fa diminuire i pregiudizi anche nei confronti di altri out-group: studenti di
college bianchi e neri che hanno più contatto tra loro hanno meno pregiudizi verso gli indiani asiatici e vietnamiti.

LA COGNIZIONE NUMERICA:
Come abbiamo visto nella parte dedicata ai concetti astratti, essi non hanno un referente preciso, ma spesso richiamano
scene eterogenee che hanno degli elementi comuni. I numeri, invece, hanno un oggetto come referente, ma questi
cambiano spesso e a volte non hanno nulla in comune. Inoltre, a differenza dei concetti astratti che attivano la bocca, i
numeri attivano primariamente le mani (per contare). Un fatto interessante è la cognizione numerica umana non è esatta,
ma lo diventa grazie all’utilizzo del linguaggio. Tale affermazione è stata provata sia da studi che confrontano soggetti
istruiti, con persone le cui lingue non hanno un sistema di numeri esatti, sia da esperimenti fMRI, i quali mostrano che il
compito di numerazione, attiva reti neurali associati all’elaborazione linguistica.

Esempio di lingue senza un sistema di numeri esatti: E’ stato svolto con un gruppo di home-signers (persone che
possiedono i numerali ma privi di segni, ritengo siano parole?, per designare i numeri esatti), i quali, pur non sviluppandosi
in un linguaggio completo (come i linguisti comprendono il termine), i sistemi di home sign mostrano alcune delle stesse
caratteristiche delle lingue firmate e parlate e sono piuttosto distinguibili dai gesti che accompagnano il discorso.
Nonostante usassero le dita, non sapevano contare oltre il 4.

Numeri e spazio, Mental number line: Di solito si pensa che i numeri siano rappresentati su una "linea numerica mentale"
in cui la progressione di numeri da piccoli a grandi avviene da sinistra a destra, suggerendo una rappresentazione spaziale
dei numeri. Reciprocamente, è stato dimostrato che l'elaborazione numerica influenza la rappresentazione spaziale.
L'elaborazione numerica induce pregiudizi di prestazioni spaziali.

Esempio: il compito era quello di bisecare (dividere in due) una linea di numeri contenente altri numeri:
1111111111111111 o 999999999999999. E’ stato dimostrato che quando veniva chiesto di dividere in 2 questa linea,
quando si trattava di numeri piccoli, come uno o due, lo spostamento avveniva verso destra, mentre quando si trattava di
numeri grandi, come otto o nove, lo spostamento avveniva verso sinistra.

Numeri e tipo di presa: Uno studio di cinematica ha mostrato come vi sia un legame tra il tipo di presa e i numeri. Ai
partecipanti viene presentato un numero tra 1 e 9, ma senza il 5. Gli viene poi chiesto se il numero fosse superiore o
inferiore a 5. Successivamente devono afferrare un cubo e spostarlo e, mentre lo spostano, devono dire più in alto o più in
basso. Durante l’afferramento del cubo, la presa è modulata dalla grandezza numerica (presa più grande per numeri più
grandi) e con i numeri più piccoli si tendeva a spostare i numeri più a sinistra e più vicini a sé.

Numeri e affordance: Sono stati presentati una serie di oggetti (grandi e piccoli, afferrabili e non) in un riquadro, con a
fianco altri due riquadri. In uno dei due riquadri (prima o dopo l’immagine) viene proiettata una coppia di numeri (tipo 2 e
3) e viene richiesto al soggetto di scegliere il numero pari o dispari in base all’afferrabilità dell’oggetto (ad esempio per gli
oggetti afferrabili scegli il numero dispari). Quando avevano scelto il numero dovevano ricordarlo e dirlo a voce alta. I
risultati mostrano che non solo i tempi di reazione dell’esercizio sono stati inferiori per gli oggetti afferrabili, ma anche che,
dopo la presentazione di un oggetto afferrabile, i tempi di reazione inferiori sono stati raggiunti quando la scelta ricadeva
su un numero piccolo.

Numeri e finger counting: Il compito prevedeva di classificare con un pedale (come superiore o inferiore a 5) alcuni numeri
che veniva uditi acusticamente. Inoltre gli veniva presentata l’immagine di due mani che producevano numeri differenti e
gli veniva chiesto o di osservarle (priming visivo) o di replicare l’azione (priming motorio). Il risultato fu che l’effetto di
congruenza si notava solo nel priming motorio, non in quello visivo.

Contare e muoversi nello spazio: Ai partecipanti è stato richiesto di fare addizioni o sottrazioni durante l'esecuzione
(condizione on-line) o dopo aver sperimentato (condizione off-line) un movimento ascendente o discendente attraverso
una modalità passiva (cioè, prendendo l'ascensore) o attiva (cioè, prendendo le scale). In primis è stata rilevata una
congruenza con la modalità passiva (prendendo l’ascensore), in quanto non solo prendere le scale richiede un doppio
compito (salire e contare) ma anche perché salire le scale, a differenza dell’ascensore che è lineare, implica un’azione
ascendente, ma per obliquo. Inoltre, è stato rilevato che non c’è congruenza neanche con la modalità off-line (dopo
l’azione), ma solo durante l’esecuzione (on-line).

E’ importante tenere a mente che i numeri sono sia embodied che grounded e che, poiché il sistema di numeri esatti non
prevede oltre il 4 senza l’utilizzo del linguaggio, è necessario il linguaggio per la comprensione dei numeri in quanto
necessitiamo di un sistema di numeri esatto.
DIFFERENZA TRA LA VISIONE TRADIZIONALE DELLA COGNIZIONE E LE TEORIE EMBODIED:
Secondo la teoria tradizionale della cognizione la mente è considerata come il software di un computer e come tale può
funzionare indipendentemente dal corpo. Damasio in “l’errore di Cartesio” pone una nuova questione per la concezione
classica: la mente e il corpo sono realmente distinti? Ed è proprio sulla base di questo problema che insorgono le teorie
embodied, ovvero teorie secondo cui non solo il corpo influenzi i processi cognitivi, ma che essi non possano essere
studiati indipendentemente da esso. Non vi è più, dunque, una distinzione, relativamente ai processi cognitivi, tra
processi di livello “basso” (percettivi e motori) e quelli di livello “alto” (come il pensiero), bensì c’è una continuità tra
percezione, cognizione ed azione. Un esempio che possa spiegare in modo pratico la differenza tra le due teorie è il modo
in cui avviene la rappresentazione mentale: nella teoria tradizionale, ad esempio, il concetto di divano è costituito da una
serie di simboli, di tratti di natura proposizionale (ci si siede, è soffice, è un mobile) e questo permette anche di
immaginare, essendo una combinazione di tratti, degli oggetti che non abbiamo mai visto, come un divano a pois o a forma
di stella. Le teorie embodied, invece, sostengono che i concetti si basano sull’attività sensomotoria, ovvero ogni qualvolta
interagiamo con un oggetto, come il divano, nel nostro corpo avviene un’attivazione neurale, la quale si aggiorna ogni volta
che noi, in futuro, faremo l’esperienza del divano. La cognizione, dunque, non è statica, bensì dinamica, in quanto la
percezione è circolare e non lineare.

DIFFERENZA TRA EMBODIED E GROUNDED:


La grounded cognition è una prospettiva ampia basata sui quattro domini necessari per la cognizione, ovvero il sistema
sensomotorio (la cognizione umana si poggi sulle modalità costitutive della percezione, dell’azione e della propriocezione),
il corpo (fondamentale nei processi cognitivi, non può essere scisso da essi), l’ambiente fisico (in quanto influisce sulla
cognizione) e l’ambiente sociale (nei processi cognitivi entrano in gioco le nostre rappresentazioni degli altri, delle loro
menti e delle loro intenzioni). L’embodied cognition, o cognizione incorporata, è una parte dell’ampio modello della
grounded cognition, ovvero la parte relativa al dominio del corpo, volta a sottolineare come i processi cognitivi non
possano essere scissi dallo stesso. In conclusione, è possibile affermare che l’embodied cognition sia solo una parte della
grounded cognition, la quale riconosce tutti i domini su cui la cognizione si fonda ed emerge.

CONCETTO DI SIMULAZIONE:
La simulazione può essere intesa come un processo in cui vengono reclutate le stesse reti neurali che si attivano durante
i processi percettivi, motori ed emozionali. Ma, sebbene attivi le stesse reti neurali, la simulazione non si traduce in
un’esplicita risposta motoria, in quanto manca del feedback sensoriale. Su questo tema ci sono visioni contrastanti, in
quanto alcuni sostengono che riattivi un’esperienza precedentemente vissuta con un oggetto, altri che svolga una funzione
predittiva, ma tutti concordano sul fatto che la simulazione sia un processo automatico, non a posteriori. Alcuni studi sono
stati condotti per valutare quando avviene la simulazione ed il riscontro è stato che noi simuliamo quando osserviamo gli
oggetti, attraverso l’attivazione dei neuroni canonici, quando osserviamo azioni eseguite da altri, attraverso l’attivazione
dei neuroni mirror (specchio) e quando comprendiamo il linguaggio, in tal caso si attivano entrambi i sistemi di neuroni, in
particolare i neuroni canonici quando elaboriamo nomi che rimandano a oggetti, i neuroni specchio quando elaboriamo
verbi che richiamano azioni.

CONCETTO DI AFFORDANCE:
Le affordance sono delle rappresentazioni neurali di una relazione tra oggetti, organismi ed ambiente e riguardano
interazioni specifiche. Il concetto alla base delle affordance è che un oggetto richiama un’azione, in altre parole
l’ambiente si offre al soggetto. L’attivazione delle affordance è influenzata dal contesto fisico e sociale, infatti il contesto
in cui l’oggetto è inserito e la distanza dello stesso dal soggetto, può o meno attivare un’affordance. In altre parole gli
oggetti presentano affordance che attivano diversi tipi di prensione, ma è il contesto, oltre alle motivazioni, a decidere
quale attivare. Esistono diversi tipi di affordance, tra cui quelle di collisione, ovvero quelle affordance che non invitano ad
un’azione ma ad evitare un ostacolo, le affordance pericolose, evitare oggetti pericolosi, le affordance stabili, relative a
caratteristiche invarianti degli oggetti (ad esempio per afferrare una ciliegia, indipendentemente da che ciliegia sia, si
attiverà una presa di precisione), in questo caso l’attivazione è ventro-dorsale e le affordance variabili, ovvero quelle
affordance che, non richiedendo sempre un tipo di presa, variano da oggetto ad oggetto, in questo caso l’attivazione è
dorso-dorsale. Le affordance, inoltre, richiamano due tipologie di informazione motoria: una legata alla manipolazione
dell’oggetto e l’altra legata alla funzione dell’oggetto. Infine le affordance sono dipendenti dal compito e dal contesto.
Esempio di affordance dipendente dal contesto: Sono stati proposti ad alcuni soggetti 20 artefatti (nel preciso oggetti
conflittuali, ovvero che possono presentare diversi tipi di presa – di forza o precisione, in questo caso un cavatappi). Il
cavatappi viene messo in due diversi contesti: nel primo viene messo in un cassetto (il che richiede per prenderlo una
presa di forza in quanto si richiede una manipolazione, poiché lo si deve afferrare), nel secondo viene messo su una
bottiglia (il che richiederebbe una presa di precisione per stapparla, in quanto legata all’uso e non alla manipolazione
dell’oggetto). Per valutare ciò il cavatappi, sebbene si trovasse sempre su un cassetto o su una bottiglia, è stato posto in
contesti di uso quotidiano (ad esempio una cucina, un bagno, etc.) e accanto ad esso sono stati posizionati dei distrattori
(tipo rose, tovaglioli, etc). Precisate le scene proposte, per quanto riguarda il compito è stato messo davanti al soggetto un
joystick e gli viene assegnato un doppio compito: manipolare il joystick in base alla presa più idonea (pizzico per presa di
precisione, afferrarlo completamente qualora fosse di forza) e intanto gli viene chiesto di specificare se l’oggetto che ha
davanti sia naturale o un artefatto. Il risultato è stato che non solo c’è una compatibilità (quindi una presa più veloce) tra
afferramento (forza) e la manipolazione, e tra precisione ed uso, ma anche che i soggetti hanno ottenuto dei tempi
inferiori nelle scene di uso e precisione. In altre parole il contesto è importante per l’azione che si deve svolgere, sebbene
l’oggetto sia lo stesso.

IL METODO SPERIMENTALE:
Ciò che maggiormente contraddistingue il metodo sperimentale è la presenza di un’ipotesi. Le fasi del metodo
sperimentale sono:

 Formulazione di un’ipotesi;
 Progettazione di un esperimento, che a sua volta prevede:
a) Scelta delle variabili dipendenti ed indipendenti;
b) Disegno sperimentale (Tra, Entro i soggetti o misto);
c) Un campione di soggetti;
d) I materiali;
e) Procedura
 Validazione o disconferma di una teoria.
Nel disegno tra i soggetti ogni gruppo di soggetti viene sottoposto ad un’unica condizione sperimentale, nel disegno entro i
soggetti ogni soggetto viene sottoposto a tutte le condizioni sperimentali, mentre nel disegno misto deve essere presente
una variabile tra e una entro i soggetti.

CONCETTO DI CULTURA:
La cultura è un insieme di regole, attitudini, valori e credenze condivise, che guida il comportamento della maggior parte
dei membri di una comunità. E’ un insieme che viene trasmesso da una generazione all’altra ed ha componenti esplicite
ed implicite. Geerte Hofstede ha realizzato uno schema sistematico, attraverso cui è possibile stabilire le differenze tra
nazioni e culture. E’ uno schema a 6 dimensioni: distanza dal potere, individualismo contro collettivismo, indice di rifiuto
dell’incertezza, mascolinità contro femminilità, orientamento a lungo termine contro orientamento a breve termine,
indulgenza contro controllo. Triandis, per esempio, sostiene che le culture collettivistiche, prevalentemente orientali e
quelle individualistiche, prevalentemente occidentali, si diversificano anche sulla base dell’importanza che attribuiscono
alle relazioni sociali (orizzontali o verticali). Esistono, inoltre, culture ad alto evitamento, tendenti al conformismo, e
culture a basso evitamento, tendenti alla creatività e all’anticonformismo. La globalizzazione ha condotto ad una
mescolanza tra culture, uniformazione e forte cambiamento dei valori.

DIFFERENZE TRA CULTURE OCCIDENTALI E ORIENTALI:


Gli occidentali sono più individualisti come cultura, rispetto agli orientali che sono più collettivisti. A livello di
categorizzazione gli occidentali sono prevalentemente tassonomici, mentre gli orientali sono più tematici (tra monkeys,
banana, panda gli occidentali scelgono monkeys e panda, in quanto entrambi animali, mentre gli orientali monkeys e
banana, in quanto la scimmia mangia la banana). Differiscono anche nell’attenzione al contesto, gli occidentali, infatti sono
più focalizzati sugli oggetti in primo piano, mentre gli orientali sullo sfondo. Gli occidentali hanno un ragionamento più
analitico, mentre gli orientali più globale e nella concezione di sé i primi hanno una visione più individualistica, mentre i
secondi concepiscono loro stessi in base al ruolo che ricoprono nella società. Questo influisce anche nelle scelte, ad
esempio nella scelta dei prodotti di consumo gli occidentali tendono a scegliere prodotti adatti a loro stessi, mentre gli
occidentali scelgono prodotti più in linea con le aspettative della società. L’apprendimento degli occidentali si focalizza
sulla novità, mentre quello degli orientali sulla memoria; infine, relativamente al tema del conformismo, i primi tendono
maggiormente verso la libertà ed i valori individuali, i secondi a conformarsi al gruppo.
POPOLAZIONI WEIRD:
Le popolazioni WEIRD, ovvero “Western Educated Industrialized Rich Democratic”, indicano una determinata fetta della
popolazione mondiale (per lo più studenti universitari, ricchi, provenienti da nazioni occidentali e industrializzate), i quali
costituiscono circa il 96% dei volontari a cui vengono sottoposti importanti esperimenti di psicologia, ma non solo, infatti
nel 70% delle riviste che hanno ospitato articoli di psicologia si trovano soggetti WEIRD di nazionalità americana. Adesso
il punto è: con stime simili è possibile affermare che dagli studi condotti su soggetti WEIRD, tali studi possano essere
approcciabili alla popolazione mondiale e, di conseguenza, considerare che la cognizione sia universale? Assolutamente
no! Paragonando i risultati di alcune tribù WEIRD, con soggetti provenienti da società di piccola scala, è uscito fuori che le
società WEIRD, proprio per l’adattamento ad un ambiente culturale differente, hanno un ragionamento più analitico
(dominato da angoli retti, prettamente individualistico), mentre le società orientali hanno un ragionamento più olistico ed
una tendenza verso la collettività.

PERCEPIRE UN’OPERA D’ARTE:


La Neuroestetica è il modo in cui il cervello risponde agli stimoli artistici. All’interno delle teorie embodied ci sono due
differenti prospettive, relative al percepire un’opera d’arte:

 Gallese (la simulazione incarnata): oggetto artistico non è mai un oggetto in sé stesso, ma il polo di una relazione
intersoggettiva tra artista e colui che osserva l’oggetto. Tale oggetto ha la facoltà di evocare risonanze di natura
senso-motoria in chi vi si mette in relazione in due modi: attraverso la simulazione del contenuto dell’opera d’arte
(azioni, emozioni e sensazioni in essa ritratte) e la simulazione dei gesti espressivi dell’artista (gesto che l’ha
prodotta, come l’arte astratta).
Esempio: in un esperimento vengono mostrati a dei soggetti 3 quadri astratti e 3 copie degli stessi modificate, dove
sono state eliminate le tracce dell’artista. Grazie alla EEG è stato rilevato che le aree premotorie, motorie ed
emozionali si sono attivate maggiormente quando, sebbene fossero quadri astratti, al soggetto venivano sottoposti
i quadri originali. Questo mostra non solo che la simulazione, grazie ai neuroni specchio, avviene anche nell’arte
astratta, ma che è maggiore nelle opere in cui si può rintracciare la mano dell’artista.
 Prinz (emozioni): l’esperienza estetica, come l’esperienza morale, sono collegate ai valori, dunque non possono
limitarsi alle proprietà delle opere d’arte o alle intenzioni di azione ad esse correlate, bensì devono
necessariamente essere legate alle emozioni, ovvero degli stati sensomotori che intensificano la tendenza ad agire
(paura: scappare; rabbia: aggredire). Per l’autore c’è un’emozione che è alla base dell’esperienza artistica: la
meraviglia.
Esempio: 85 partecipanti ad un esperimento vengono sottoposti a 5 condizioni differenti prima di classificare
un’opera d’arte astratta: sedersi normalmente, fare 15 o 30 minuti di salti a gambe divaricate, guardare un video
allegro o pauroso. Solo la condizione di paura ha portato a giudizi più positivi sull’arte, cosa che potrebbe
dipendere dalla nostra tendenza ad essere alterati di fronte alle novità, ambiguità o al fantastico. Ciò dimostra che,
se la paura (emozione), ispira valutazioni estetiche positive, il ruolo delle emozioni è fondamentale nell’embodied
cognition.
LA RELIGIONE:
La religione, rispetto alla cultura, è molto più semplice da studiare in quanto è costituita da precetti espliciti, chiari e
coerenti, testi scritti che rendono pubblici tali precetti ed il fatto che i fedeli sono chiamati a seguirli e rispettarli. Sebbene
siano stati fatti anche degli studi che dimostrano che la religione riduce lo stress, ciò che maggiormente ci interessa è
capire se appartenere ad una religione o ad un’altra, modula in qualche modo i nostri processi cognitivi. La risposta a
questa domanda è che la religione influenza la percezione ed il controllo attentivo, il comportamento e, di conseguenza, il
controllo dell’azione ed i processi decisionali. Esempio, come la religione influenza la percezione ed il controllo attentivo:
Effetto locale-globale: vengono presentati ad entrambi i gruppi delle lettere grandi (globali) composte da lettere più piccole
(locali), di cui alcune di esse erano congruenti a livello locale/globale (ad esempio una H formata da piccole H), mentre
altre no (ad esempio una H formata da piccole S). Il compito è quello di specificare la lettera a livello locale e globale. I
tempi di risposta inferiori sono stati ottenuti nel momento in cui la lettera globale corrispondeva a quella locale, ma
quando ciò non accadeva i calvinisti, rispetto agli atei hanno mostrato dei tempi di reazione maggiori nei target globali, ma
inferiori in quelli locali (più analitici, in quanto meno tendenti a guardare la lettera nell’insieme). Nello stesso test i buddisti
hanno riportato, invece, dei tempi di reazione inferiori nei target globali. Cosa mostra ciò? Che appartenere ad una
differente religione influenza la percezione ed il controllo attentivo.

IL SENSO DEL CORPO: IL CORPO COME PERCEPTUAL RULER:


Di fondamentale importanza è il modo in cui noi percepiamo il nostro corpo: la “body ownership” (senso di proprietà del
corpo) deriverebbe semplicemente dal feedback sensoriale che il nostro corpo invia al nostro cervello (chiamasi esperienza
propriocettiva). In realtà sono stati fatti alcuni studi che mostrano che anche altri fattori influenzano il nostro senso di
proprietà del corpo:

 La rubber hand: la rubber hand illusion è un esperimento in cui ad un soggetto viene messa, su una delle due mani,
una mano di gomma e poi vengono stimolate entrambe. Quando il soggetto vedrà essere toccata la mano di
gomma tenderà ad incorporarla come fosse realmente parte del suo corpo. A prova di ciò proponiamo come
esempio un esperimento raziale: ad un gruppo di soggetti caucasici viene messa la rubber hand, ma di colore nero.
Prima e dopo l’inserimento della rubber hand viene somministrato lo IAT (Implicit Association Test; strumento
utilizzato per studiare la forza dei legami associativi e si basa su una somministrazione tramite computer di alcune
prove di categorizzazione: viene presentato uno stimolo e viene chiesto al soggetto di classificarlo come positivo o
negativo) per valutare le risposte positive o negative ed i tempi di reazione quando al soggetto vengono presentati
volti scuri, ovvero l’implicit racial bias (il pregiudizio raziale implicito. Alla fine viene somministrato il questionario
IRI (Interpersonal reactivity index) per valutare l’empatia. Il risultato è che i soggetti tendevano ad avere un implicit
racial bias diverso (meno negativo) dopo aver messo la rubber hand, in quanto avendo quella cambiava la loro
esperienza di body ownership.
 Senso dell’agency: noi percepiamo il nostro corpo come unitario quando agiamo, in quanto quando compiamo
un’azione il nostro corpo si coordina per metterla in atto ed è proprio l’azione che lo distingue dagli oggetti esterni.
 L’uso di tools (strumenti): l’utilizzo di strumenti modifica ed estende lo spazio peripersonale. Se vengono utilizzati
degli strumenti ripetutamente durante l’azione (ad esempio afferrare tramite un rastrello, allunga lo spazio
peripersonale), con il tempo potranno essere considerati come parte del nostro corpo. Il fatto è che questo
concetto ha senso solo se, quando questi oggetti vengono utilizzati, la nostra azione è orientata ad uno scopo.
 Le parole come tools: anche il linguaggio è utilizzato come strumento per ampliare lo spazio peripersonale.
Esempio: ad alcuni bambini vengono disposti davanti alcuni oggetti e gli viene richiesto di inserirli nel foro di una
scatola. Poiché questi oggetti facevano parte alcuni del loro spazio peripersonale, dunque raggiungibili facilmente,
altri sono stati disposti a distanza, al punto da non poter essere afferrati. Viene dato ai bambini un rastrello piccolo
(non utilizzabile per gli oggetti distanti), un rastrello lungo (utilizzabile solo per alcuni oggetti) e la possibilità di
parlare per chiedere di passare loro gli oggetti a cui non arrivano. Alla fine di questo training viene chiesto ai
bambini di stimare la distanza da loro degli oggetti ed il risultato fu che, con il contributo del rastrello lungo e della
parola, i bambini hanno stimato la distanza degli oggetti lontani come meno distante di quello che in realtà fosse.
E’ possibile affermare, dunque, che non solo tramite l’uso di un rastrello (tool), i bambini lo incorporano come
fosse parte del loro corpo per raggiungere un oggetto, bensì anche la parola è utilizzato come tool per raggiungere
gli oggetti.
Oltre agli oggetti usati come strumenti per ampliare lo spazio peripersonale, anche il nostro corpo cambia la nostra
percezione, in quanto noi confrontiamo il mondo in base ad esso. Esempio: ad alcuni partecipanti vengono applicate delle
imbottiture e gli vengono richiesti dei giudizi di “self affordance” e “other affordance” relativamente alla capacità di poter
passare all’interno di una porta senza ruotare le spalle. I partecipanti che indossavano imbottiture maggiori ritenevano che
anche gli altri necessitassero di un maggiore spazio per passare, cosa che non accadeva quando invece erano gli altri ad
avere le imbottiture più grandi. Il corpo altrui, quindi, se ha una dimensione molto estrema rispetto al nostro influenza le
self-affordance personali, mentre se ha una misura pressoché simile, no.

LA CATEGORIZZAZIONE:
Prima di parlare di come le teorie embodied differiscono dalla teoria classica, in tema di categorizzazione, vediamo una
definizione di alcuni concetti. I concetti sono gli aspetti cognitivi e mentali delle categorie, le categorie sono gli insiemi
inclusi nei concetti, un esemplare è uno specifico membro di una categoria, l’attributo è una proprietà.

La teoria classica presuppone che i concetti siano dei simboli che rimandano in modo arbitrario a ciò a cui si riferiscono.
Tali concetti sono astratti, dunque non legati a percezione ed azione, sono statici, in quanto una volta percepiti si
inseriscono in una struttura permanente di coscienza, organizzati in ordine gerarchico/tassonomico e utili per conoscere,
non per agire. Le teorie embodied sostengono, invece, che vi sia una riattivazione dei pattern neurali legati ad un oggetto,
ogni qualvolta ci si rapporti. I concetti non sono astratti ma grounded, dunque inseriti nei processi percettivi e motori. Non
sono statici ma multimodali e dinamici, in quanto cambiano in base all’esperienza ed al contesto, non sono organizzati
tassonomicamente ma in base a contesti e situazioni, ed infine sono utili per agire.

CATEGORIZZAZIONE TRA NATURA E CULTURA:


Dibattito Natura- cultura: In questo campo, per molto tempo, ha regnato una dicotomia che prevedeva da una parte i
sostenitori dell’empirismo (mente come una tabula rasa) e da una parte quelli del determinismo biologico (i geni, non
l’ambiente, determinano il modo in cui un organismo agisce o cambia nel tempo). Entrambe queste teorie sono state
smentite nel tempo, quindi è possibile affermare che non siano vere? Non è possibile, in quanto nessuno nega il ruolo
dell’ambiente e il ruolo della genetica. Di recente è stata rilanciata la teoria innatista, attraverso lo Human Genome
Project, secondo cui noi nasciamo già con dei concetti e solo tramite l’esperienza li riportiamo alla luce. Ma quali concetti
sono innati e quali non lo sono? In questo dibattito natura contro cultura vediamo avanzare due prospettive:

 Naturalismo: la natura umana è universale, sebbene non si escluda la parte adattiva all’ambiente, la maggior parte
degli individui si differenzia su base genetica.
 Culturalismo: La maggior parte delle nostre capacità sono apprese e le differenze individuali sono fortemente
influenzate dall’esperienza.
In questo campo Prinz propone il culturalismo metodologico, ovvero intendere la nostra dotazione biologica come un
insieme di meccanismi che ci permettono di cambiare con l'esperienza, in quanto noi trascendiamo la natura. La teoria
innatista, inoltre, è stata fonte di un grande dibattito sul tema del linguaggio, che vede da una parte:

a) Chomsky: visione innatista del linguaggio, ovvero noi abbiamo un dispositivo chiamato LAD (Language Acquisition
Device), deputato proprio all’acquisizione del linguaggio, in altre parole noi possediamo in modo innato una serie
di regole grammaticali che ci permettono, a contatto con l’esperienza, di formulare frasi da parole che acquisiamo.
Alla base di questa teoria vi è un’idea di grammatica universale.
b) Steven Pinker: l’istinto per il linguaggio non è una cosa innata, bensì un effetto della selezione naturale. Secondo
lui, infatti, ciò che fa funzionare tanto bene il linguaggio è che si è sviluppato da una lunga linea di antenati che
usavano un linguaggio un poco migliore dei loro rivali, fatto che consentiva loro di riprodursi più degli altri. L’unica
cosa che concorda con Chomsky è il fatto che il linguaggio sia un istinto, ma non è un istinto innato del genere
umano, bensì il prodotto di un lungo processo di selezione che ha, per esempio, permesso che l’uomo lo acquisisse
come istinto e la scimmia no. Paragona, poi, il linguaggio umano alla proboscide dell’elefante dicendo: se
esistessero biologi elefanti sarebbero sicuramente attratti dalla proboscide in quanto è una caratteristica peculiare
solo degli elefanti, come lo è l’uomo nei confronti del linguaggio. Il fatto però è che il linguaggio si è sviluppato per
un normale percorso evolutivo, come la proboscide per gli elefanti, non è innato per noi come la proboscide non lo
è per loro.

ALCUNI MODELLI DI CATEGORIZZAZIONE:


Modello dei prototipi: Il prototipo è costituito da un esemplare tipico, la media ponderata delle caratteristiche di tutti gli
esemplari incontrati, rappresentazione sintetica di tutti gli attributi a cui viene dato un certo peso. Quando vediamo un
oggetto lo mettiamo in una categoria (categorizziamo) in base alla somiglianza dal prototipo. Alcuni degli esemplari che
fanno parte di una precisa categoria sono più rappresentativi della categoria stessa rispetto ad altri (tipicità), per questo le
categorie hanno confini variabili e non universali (come sostenuto dalla teoria classica). Quando ci si trova di fronte ad una
serie di oggetti appartenenti tutti alla stessa categoria (mela, uva, pomodoro - frutta), si fa più facilità a considerare come
appartenenti ad essa i prodotti più tipici (mela 100%, uva 87%, pomodoro 71%).

Teoria binaria: La teoria binaria è chiamata tale in quanto unisce la teoria classica più quella dei prototipi. Al centro di
questa teoria c’è il core, il nucleo, ovvero l’insieme di proprietà necessarie per definire un oggetto. In altre parole il core
contiene i tratti salienti necessari e tutti gli aspetti che spiegano la relazione tra un singolo concetto ed un altro. Il core ha
la funzione di mantenere stabile un concetto, fissando una sorta di minimo comune denominatore. Al core si aggiungono
le procedure d’identificazione (legate alla teoria dei prototipi), ovvero le proprietà non stabili di un oggetto, che risiedono
nel core, ma le più superficiali che determinano il grado di tipicità dell’oggetto (ad esempio una “donna”). Secondo tale
visione anche le strutture ben definite (come i numeri) hanno una struttura graduata.

Teoria degli esemplari: La categoria è l’insieme di tutti gli esemplari incontrati ed ogni nuovo esemplare che incontriamo,
se è sufficientemente simile agli altri della sua categoria viene inserito in essa. Ma prima deve essere paragonato a tutti gli
altri esemplari della suddetta categoria per similarità. L’approccio alla categorizzazione è di tipo bottom-up e non top-
down, ovvero ogni singolo esemplare che incontriamo viene incamerato senza che vi sia un prototipo e questo prevede
un’astrazione dell’esemplare stesso (viene considerato simile agli altri, da un solo a tutti gli altri). E’ simile alla teoria dei
prototipi in quanto i concetti non sono definiti (ma vanno per similarità) e, dunque, non universalista, ma allo stesso tempo
si discosta in quanto la teoria dei prototipi non prevede un’astrazione.
Teoria essenzialista: La teoria dell’essenzialismo fa una critica al concetto di similarità, in quanto troppo vago perché tutto
può essere simile a tutto, e allo stesso tempo afferma che i concetti non si basano su similitudini ma sono le teorie a
delimitare gli ambiti di applicazione di somiglianza. La teoria è l’insieme di relazioni causali che spiegano i fenomeni di un
dominio, mentre i concetti sono le unità connesse da queste relazioni (ovvero i concetti sono uniti tra loro dalle teorie).
L’essenza, invece, sono quei tratti non ovvi e sottostanti che uniscono oggetti diversi, anche se dissimili: i delfini e i tori
sono entrambi mammiferi, per quanto non siano simili tra loro.

MORALE ED EMBODIMENT:
Lo studio si basa sulla connessione tra la necessità di pulirsi e la morale. L’effetto Macbeth” sostiene che ogni qualvolta si
senta minacciata la propria moralità si abbia la necessità di pulirsi. Esempio: ad alcuni partecipanti viene richiesto di fare
un gioco di ruolo che prevede un’azione spiacevole (pulizia e moralità), ad esempio trovare un documento che può
danneggiare la carriera di un altro e salvare la propria e dire all’altro che il documento non è stato trovato. Questa cosa
possono dirgliela o a voce (bocca) o per mail (mani). Dopo gli vengono presentati alcuni prodotti di consumo ed il risultato
è che i partecipanti erano disposti a pagare un prezzo più alto per i prodotti che prevedevano il lavaggio della parte del
corpo che avevano utilizzato per dire la bugia (bocca o mani).

PROPRIETA’ E POSSESSO:
La proprietà indica il diritto all’uso esclusivo di un bene, il possesso, invece, è il potere che una persona ha di usare
qualcosa in funzione dei propri scopi. L’Endowment effect (l’effetto dotazione) consiste nel fatto che le persone
attribuiscono più valore alle cose, semplicemente perché le possiedono. I giudizi di proprietà, in altre parole a chi spetta il
possesso di un oggetto, viene genericamente stabilito sulla base di chi ha utilizzato per primo il suddetto oggetto. Quando i
bambini sono piccoli sentono un senso di proprietà inalienabile nei confronti degli oggetti ed è solo nel corso dello sviluppo
che i bambini iniziano a considerare gli oggetti come alienabili (negoziabili), attraverso lo sviluppo di un senso di moralità. I
bambini, inoltre, tendono a definire un oggetto come proprietà di qualcuno, in base a chi lo ha creato. E’ stato, inoltre,
dimostrato che le affordance sono collegate al senso di proprietà: un oggetto appartenente ad un’altra persona non attiva
una risposta motoria ma non solo, tale risposta si attiva solo se l’oggetto è afferrabile. Possiamo affermare, in sintesi, che il
senso di proprietà è radicato nelle nostre esperienze percettive.

COMPRENSIONE DEL LINGUAGGIO ED EMBODIMENT:


Per spiegare la comprensione del linguaggio, Gallese parte dalla teoria del riuso neurale (secondo cui i circuiti, dopo il
primo uso, possono acquisire nuovi usi), sostenendo che i processi funzionali del sistema senso-motorio, sono messi al
servizio della competenza linguistica, la quale si è sviluppata durante l’evoluzione della specie. Secondo tale prospettiva il
nostro sistema sensomotorio si disaccoppia dall’output muscolare, utilizzato per agire, e si accoppia con i circuiti
prefrontali, ovvero agli aspetti generativo-sintattici del linguaggio. Il linguaggio è sempre stato ritenuto un processo di
traduzione (stimolo dato dalla percezione – traduzione – simbolo) mentre la cognizione è fondata sull’agire! I concetti non
sono statici (sempre rimanendo in tema di linguaggio) ma si rinnovano ad ogni esperienza, ad ogni azione! Le parole,
inoltre, come gli oggetti, richiamano un’azione motoria, sono incarnati! Esistono diverse teorie sul linguaggio: la LSA
(Latent Semantic Analysis), è una teoria unembodied distribuzionale, un metodo per estrarre e rappresentare il significato
di utilizzo contestuale delle parole mediante calcoli statistici applicati a un grande corpus di testo. Il significato di una
parola è definito dalle relazioni con le altre parole. Esistono anche teorie secondary embodied, ad esempio di Mahon e
Caramazza, secondo cui l’attivazione dei concetti fa passare l’informazione al sistema sensomotorio, ma esso non è
essenziale per la comprensione del linguaggio, è solo un sottoprodotto. Una teoria weak (debole) embodied, ad esempio, è
quella dei simboli percettivi, ovvero ogni qualvolta si forma un simbolo tale processo memorizza i neuroni attivi nello stato
in cui l’oggetto è stato percepito. Infine le teorie strong embodied, come la teoria indelessicale, ovvero le parole
rimandano ai loro referenti (i simboli percettivi – tazza) ed ogni parola richiama un’affordance che rende possibile la
simulazione.

TEORIE EMBODIED SUL LINGUAGGIO:


 Teoria indelessicale (Glenberg e Robertson): Le parole rimandano ai loro referenti, evocando le informazioni
percettive e motorie che li caratterizzano. Il significato delle parole non deriva dall’associazione tra parole, ma
dalle affordance delle parole che compongono le frasi.
 Teoria del linguaggio basato sull’azione (Glenberg e Gallese): Quando comprendiamo il linguaggio formiamo nella
nostra mente delle predizioni relative agli effetti che possono conseguire ad una nostra azione. Quando ascoltiamo
la parola “corri”, non solo immaginiamo l’azione di correre, ma anche le conseguenze relative alla corsa.
LA NEGAZIONE NELLE TEORIE EMBODIED:
Se alla base della teoria embodied relativa alla comprensione del linguaggio c’è l’assunto che per comprendere il
linguaggio noi simuliamo (e attiviamo di conseguenza una risposta motoria), in una frase negativa come “NON ho mai visto
il mare”, cosa simuliamo? Secondo la teoria embodied la negazione è un processo composto da 2 stadi: Simulazione e
cancellazione della simulazione.

LE PAROLE ASTRATTE:
L’assunto di base della teoria embodied è che sia i concetti astratti che quelli concreti sono  embodied  e dipendono
dall’attivazione del sistema sensomotorio ed emozionale. Tuttavia, dato che i concetti astratti non hanno un singolo
referente concreto, l’acquisizione dei concetti astratti differisce profondamente da quella dei concetti concreti. Mentre
questi ultimi possono essere acquisiti per ostensione, dunque in assenza di stimoli linguistici, è impossibile formarsi un
concetto astratto (come “libertà”) senza l’aiuto di qualcuno che ci aiuti a comprenderne il significato mettendo insieme
diverse e variegate esperienze. Ma anche l’attivazione cambia: I concetti astratti attivano maggiormente le aree emozionali
e linguistiche rispetto ai concetti concreti, i quali attivano maggiormente le aree sensomotorie. Esistono, inoltre, diversi tipi
di concetti astratti: i BOI, concetti astratti basati più sull’interocezione (percezione di informazioni interne come il dolore o
le emozioni), i quali sono definiti concetti astratti “più embodied”, in quanto basati su emozioni e stati corporei, e i MoA,
ovvero concetti astratti più linguistici, in quanto acquisiti linguisticamente. Infine, è possibile affermare che le parole
astratte attivano situazioni sociali ed introspezione, metafore (meccanismo, non contenuto, che ci permette di utilizzare
ciò che conosciamo per fornire una comprensione su altri argomenti) ed emozioni (un altro meccanismo).

I 4 ASPETTI FONDAMENTALI NELL’ACQUISIZIONE DELLE PAROLE ASTRATTE:


1. L’acquisizione: l’acquisizione di parole astratte e concrete è molto diversa, infatti se le ultime hanno un referente,
le prime no. Nelle parole astratte, dunque, non è sufficiente solo il sistema senso-motorio, ma è necessaria
l’esperienza linguistica: poiché i concetti astratti sono così diversi tra loro, le parole fanno da “colla” che li tiene
insieme e sono fondamentali per capirne il significato.
2. Rappresentazione: Sia i concetti concreti che astratti attivano le aree senso-motorie, ma i concetti astratti attivano
maggiormente le aree linguistiche e sociali.
3. Attivazione della bocca: nei concetti astratti, a differenza di quelli concreti che sono più legati al controllo della
mano, le attivazioni delle aree del cervello sono maggiormente collegate alla bocca.
4. Differenze tra lingue: avendo l’esperienza linguistica un ruolo più marcato nei concetti astratti, questi, rispetto ai
concetti concreti, possono essere maggiormente influenzati dalle lingue. Questo perché nei concetti concreti,
come un “contenitore”, anche se varia la lingua in cui viene pronunciato, il concetto rimane sempre lo stesso. Per
le parole astratte, invece, non si può fare lo stesso discorso.
TEORIE DELLA RAPPRESENTAZIONE MULTIPLA (PAROLE ASTRATTE):
Mentre le teorie embodied tengono in considerazione unicamente il sistema senso-motorio per la rappresentazione dei
concetti astratti, queste teorie sostengono che conti notevolmente anche l’aspetto linguistico.

 Pluralismo rappresentazionale: Dove sostiene che i concetti sono espressi in due diversi tipi di rappresentazioni:
modale e amodale, ovvero percettiva e non percettiva. Secondo lui, la debolezza degli approcci embodied, rispetto
ai concetti astratti, non si limita alle prove raccolte, ma si estende alle teorie, che sono costruite per spiegare
concetti concreti e sono molto più convincenti con loro. Il pluralismo rappresentazionale si configura come la
necessità dell’utilizzo del formato amodale per le parole astratte, modale per quelle concrete.
 LASS (Language and Situated Simulation- Barsalou): è stata la prima a sottolineare l'importanza del linguaggio per
la rappresentazione concettuale, anche se il linguaggio è considerato più una scorciatoia per accedere al contenuto
concettuale piuttosto che avere un'importanza di per sé. La comprensione del significato della parola avviene solo
tramite la simulazione ed il linguaggio serve solo ad accedere alla simulazione.
 Word Tracking Strategy (Prinz): le parole astratte sono comprese in parte in base ad immagini, in parte in base ad
attività verbali.
LINGUAGGIO, LINGUE E CULTURA: IL TEMPO:
La domanda alla base è: Il linguaggio influenza il pensiero? La lingua che parliamo influenza la nostra attività cognitiva? E’
stato proposto uno studio in cui a soggetti di diversa cultura sono state proposte parole concrete comuni (tipo
cane/cocker), e altre di natura astratta. Il risultato è stata una convergenza maggiore sulle parole concrete, ma una molto
inferiore su quelle astratte. Per spiegare ciò è stato ipotizzato che le parole astratte, richiamando forme di
raggruppamento più dipendenti dalla cultura (SOCIALE!!), differivano maggiormente. Questa domanda è stata ripresa in
un'indagine linguistica e in due esperimenti psicofisici non linguistici condotti in madrelingua inglesi, indonesiani, greci e
spagnoli. Tutte e quattro queste lingue usano metafore spaziali, per parlare del tempo, ma le particolari mappature
metaforiche tra il tempo e lo spazio variano in base alla lingua.

Lingua e tempo: Uno studio del corpus linguistico ha rivelato che l'inglese e l'indonesiano tendono a mappare, la durata
del tempo su una distanza lineare (ad esempio: un lungo periodo), mentre il greco e lo spagnolo preferiscono mappare la
durata sulla quantità (ad esempio: molto tempo).

Tempo e direzione di scrittura : E’ stato proposto un ulteriore studio ad un gruppo di madrelingua spagnola in cui ai
partecipanti è stato chiesto di guardare uno schermo in cui venivano proiettate delle parole (o a sinistra o a destra) e gli
veniva chiesto di dire se fossero relative al passato o al futuro, cliccando con il mouse. I soggetti erano più veloci se le
parole relative al passato erano proiettate a destra, mentre quelle relative al futuro a sinistra.

LINGUAGGIO, LINGUE E CULTURA: DIVERSI DOMINI. I COLORI:


La domanda di base è: come fanno le lingue a differenziare tra le categorie di colori?

 Berlin e Kay (1969): Hanno proposto uno studio secondo cui i partecipanti di tantissime nazioni diverse dovevano
indicare quali colori base conoscessero. Con colori base si intendono tutti quei colori che rappresentano una scala
cromatica (Rosso sì, scarlatto o cremisi no). Con questo esperimento hanno individuato una scala composta da 12
colori base, messi in ordine di popolarità tra le nazioni: I) Nero, Bianco, II) Rosso, III) Giallo (o Verde), IV) Verde (o
Giallo), V) Blu, VI) Marrone, VII) Rosa, Viola, Grigio. Quindi, se i partecipanti che parlavano una determinata lingua
conoscevano solo due colori, quelli sarebbero stati necessariamente il bianco e il nero. Se ne conoscevano tre,
bianco, nero e rosso.
 Kay e Kempton (1984): Secondo gli autori i parlanti inglesi percepiscono più marcatamente la differenza tra blu e
verde dei parlanti di Tarahumara nel Messico. Quando, però, il processo di verbalizzazione viene meno, non vi è
disparità percettiva tra i due gruppi. Questa differenza riguarda solo il linguaggio o anche la percezione?
 Eleanor Rosch: Parte dalla teoria di Berlin e Kay sui colori focali (base), ovvero che nelle diverse lingue i colori focali
sono nominati più rapidamente di quelli non focali. Secondo la sua teoria dei prototipi i colori focali sono appresi
prima, categorizzati prima, ricordati meglio.
In compenso, però, notevoli studi hanno messo in crisi la visione universalista dell’effetto della lingua sulla
categorizzazione dei colori: vi è una coesistenza di aspetti universali e locali nella denominazione dei colori e vi è la
possibilità che la lingua influenzi la percezione dei colori solo relativamente all’emisfero sinistro. In altre parole la visione
universalista non è più accettata.

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