Sei sulla pagina 1di 20

Palinsesti 1

PALINSESTI 5
Responsabile scientifico
Roberto De Gaetano
(Coordinatore Dottorato Internazionale di Studi Umanistici)

Comitato scientifico
Michele Borrelli, Felice Cimatti, Pio Colonnello, Giovanna De Sensi,
Raffaele Perrelli, Gisèle Vanhese

Redazione
Alessandro Canadè (coordinamento), Bruna Mancini, Katia Massara,
Fabrizio Palombi, Ivan Pupo

Segretaria di redazione
Deborah De Rosa

I saggi pubblicati nel presente volume sono stati tutti sottoposti a procedure
di valutazione, e specificatamente di blind peer review per quanto riguarda la
sezione “La scena dottorale”

Il volume è stato pubblicato con il contributo


del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria

Proprietà letteraria riservata

© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

Stampato in Italia nel mese di febbraio 2019 per conto di Pellegrini Editore
Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.it - www.pellegrinieditore.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it

I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale,


con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

2 Palinsesti
UNIVERSITà DELLA CALABRIA

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI


Direttore Francesco Garritano

DOTTORATO INTERNAZIONALE DI STUDI UMANISTICI. TESTI, SAPERI,


PRATICHE: DALL’ANTICHITà CLASSICA ALLA CONTEMPORANEITà
Coordinatore Roberto De Gaetano
Vice-coordinatore Claudia Stancati

Consiglio scientifico
Pietro Barcellona (Università di Catania), Elio Franzini (Università degli Studi
di Milano), Stefano Gensini (Università di Roma “La Sapienza”), Romano Lupe-
rini (Università di Siena), Ferruccio Marotti (Università di Roma “La Sapien-
za”), Paolo Mastrandrea (Università di Venezia), Luca Serianni (Università di
Roma “La Sapienza”), Fulvio Tessitore (Università di Napoli Federico II)

Consiglio direttivo
Pio Colonnello, Felice Cimatti, Roberto De Gaetano, Francesco Garritano,
Raffaele Perrelli, Claudia Stancati

Palinsesti 3
Sommario

Presentazione 7

APERTURE

Il luogo, la memoria, la metamorfosi. Conversazione


con Michelangelo Frammartino
a cura di Daniele Dottorini 11

OFFICINA

Vita, istituzioni, forme-di-vita: a partire da Homo sacer


di Agamben
a cura di Adriano Bertollini, Claudio D’Aurizio, Giulia Guadagni

Adriano Bertollini
L’amicizia in Homo sacer di Agamben 21
Antonio Capocasale
Forma-di-cinema. Note sul gesto rosselliniano 37
Claudio D’Aurizio
La vertigine dell’indistinzione: la storia in Homo sacer 63
Deborah De Rosa
La vita degli uomini sacri. Riflessioni sul bando agambeniano 85
Daniele Dottorini
Genealogie. La dialettica Sacro-Profanazione in Pasolini
e Agamben 95
Emanuele Fadda
Verbum sacrum. La zoé e il bìos delle parole 105
Giulia Guadagni
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in
Homo sacer 119
Caterina Marino
La possibilità del giuramento. Alcune riflessioni a partire
da Il sacramento del linguaggio di Agamben 133
Marco Mazzeo
Contro la filosofia dell’avventura 153

Palinsesti 5
Angelo Nizza
Maradona politico? Per una critica dell’inoperosità 167
Luca Parisoli
Il discorso francescano tra normativismo e anomia:
leggendo Altissima povertà 183
Bruno Roberti
Pulcinella insegue una farfalla. Nachleben, immagine
e forma di vita tra Warburg e Agamben 203
Viviana Vozzo
Il limite come pura possibilità. Kafka in Agamben 219

LA SCENA DOTTORALE

Andrea Canino
Meyer Schapiro e il dibattito sulla costruzione di
un’estetica americana nella prima metà degli anni Trenta:
studio di un contributo inedito 239

Deborah De Rosa
The Person and «the Thing». Divisions and Intersections,
between Esposito and Lacan 255

Danilo De Salazar
«Sângeră vioara neagră-ntre oglinzi».
La sinestesia oltre il piano sintagmatico 265

Teresa Lara Pugliese


L’interdizione di Bazin. I suoi seguaci al cinema 283

Luisa Sampugnaro
Il divenire musica della pittura. Il tema della objektlose
Malerei in Hegel, Kandinskij e Kojève 301

Valentina Sirangelo
Mito greco e poesia francese: la Kore «verde»
di Yves Bonnefoy 327

Nausica Tucci
Più vero del reale. Le forme ibride del cinema italiano
contemporaneo 347

6 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo.
Sulla forma-di-vita in Homo sacer

Giulia Guadagni

Scrive Agamben ne L’uso dei corpi: «[i]l nostro scopo […] è […]
l’elaborazione di categorie che si sottraggano alle aporie del disposi-
tivo ontologico»1. Tutti i libri che compongono il ciclo di Homo sacer
(1995-2014) concorrono a formulare una diagnosi: viviamo intrappolati
in un dispositivo – una macchina2 – che è insieme politico, linguistico
e ontologico; esso produce divisioni, separazione, esclusione, diffe-
renze e appropriazione. Secondo l’archeologia filosofica di Agamben,
il dispositivo funziona da lungo tempo, se non da sempre 3, al netto di
variazioni che non ne hanno mutata la struttura fondamentale: cioè la
«struttura dell’eccezione»4. Nei suoi libri si trova il tentativo di determi-
nare se sia possibile, e come, disattivare tale dispositivo e inaugurare,

1 
G. Agamben, L’uso dei corpi, Neri Pozza, Vicenza 2014, p. 218, corsivo mio.
2 
Per Agamben “dispositivo” è pressoché sinonimo di “macchina”, come emerge
nel breve saggio Che cos’è un dispositivo?: «Il dispositivo è, cioè, innanzitutto una
macchina che produce soggettivazioni» (Nottetempo, Roma 2006, versione ebook)
e nell’uso indifferente dei due termini, per esempio ne L’uso dei corpi: «il dispositivo
dell’eccezione della nuda vita» (cit., p. 334), il «dispositivo ontologico» (ivi) e «la mac-
china bio-politica» (ivi, p. 261) o la «macchina ontologico-politica» (ivi, p. 304).
3 
A questo proposito segnaliamo, anche se di sfuggita, un’ambiguità. Agamben sem-
bra imputare ad Aristotele la ‘paternità’ filosofica del dispositivo in diverse occasioni
(tra le quali ci limitiamo a citare La potenza del pensiero, Neri Pozza, Vicenza 2005,
p. 378; L’uso dei corpi, cit., p. 155 e 170). I riferimenti a Aristotele indicano un momen-
to storico di origine del dispositivo, così come l’indicazione della politica come “occi-
dentale” indica che essa è geograficamente e storicamente situata. Tuttavia, spesso
Agamben si riferisce al funzionamento del dispositivo politico e linguistico definendolo
“umano”, come se fosse un tratto antropologico, quindi universale e non databile (per
esempio L’uso dei corpi, cit., pp. 159-160), oppure scrive della «natura autopresuppo-
nente del linguaggio» (Homo sacer, cit., p. 58). Ci sembra che questa ambiguità non
si sciolga mai e che non venga problematizzata in quanto tale.
4 
G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p.
30.

Palinsesti 119
Giulia Guadagni

così, una politica e un’ontologia nuove, che non ne replichino le aporie


e non ne perpetuino gli effetti.
Di seguito ripercorreremo i principali passaggi della diagnosi agam-
beniana, mettendone in evidenza la logica e le conseguenze, con par-
ticolare attenzione all’aspetto politico della sua articolazione. Proporre-
mo, infine, un’osservazione critica.

La struttura dell’eccezione: dispositivo politico, ontologico, lingui-


stico

La prestazione essenziale del dispositivo è la produzione di inclu-


sione tramite l’esclusione, l’instaurazione di una «relazione di ecce-
zione», cioè una «forma estrema della relazione che include qualcosa
unicamente attraverso la sua esclusione»5. Nella diagnosi di Agam-
ben il dispositivo funziona in modo analogo, se non identico, sui tre
piani distinti, ma strettamente legati, dell’ontologia, della politica e del
linguaggio. Vediamo brevemente come si articola in essi la struttura
dell’eccezione.
Con una formula variamente discussa e criticata6, Agamben scrive
che la politica occidentale si fonda sull’eccezione della nuda vita, cioè
sulla sua «esclusione (che è, nella stessa misura, un’implicazione)»7.
Nell’incipit del primo volume di Homo sacer, il filosofo distingue nel
greco antico l’uso di due termini diversi «per esprimere ciò che noi
intendiamo con la parola vita»: zoē, «il semplice fatto di vivere comune
a tutti gli esseri viventi» e bíos, la vita qualificata, «un particolare modo
di vita»8. Agamben interpreta il passo in cui Aristotele scrive della polis
che essa «sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre
le condizioni di una buona esistenza (eu zēn)»9, come «un’esclusione

5 
Ivi, p. 22.
6 
Per una introduzione generale all’opera di Agamben, che cita e riassume anche le
principali posizioni critiche che le hanno fatto seguito, rimandiamo a C. Salzani, Intro-
duzione a Giorgio Agamben, il melangolo, Genova 2013.
7 
G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 10.
Ivi, p. 3. Questa distinzione è stata contestata, tra gli altri, da Jacques Derrida in La
8 

Bestia e il Sovrano. Volume I (2001-2002), tr. it., Jaca Book, Milano 2009, pp. 403 sgg.
9 
Aristotele, Politica, 1252b 30, a cura di C. A. Viano, BUR, Milano 2002, p. 77.

120 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in Homo sacer

inclusiva (una exceptio) della zoē nella polis» e conclude: «[l]a nuda
vita ha, nella politica occidentale, questo singolare privilegio, di essere
ciò sulla cui esclusione si fonda la città degli uomini»10.
Al “dispositivo ontologico”, invece, è dedicato in particolare un capi-
tolo de L’uso dei corpi, che Agamben apre scrivendo: «un’archeologia
della filosofia prima deve cominciare dal dispositivo di scissione dell’es-
sere che definisce l’ontologia aristotelica»11. Aristotele ha inaugurato la
divisione dell’essere «in una essenza inesistente e in un esistente sen-
za essenza»12, includendo l’essere in quanto hypokeimenon, in quan-
to pre-supposto, attraverso la sua esclusione: «[è] la soggettivazione
dell’essere come hypokeimenon, come ciò-su-cui-si-dice, che mette in
moto il dispositivo»13.
L’ontologia e la politica si fondano entrambe sull’eccezione, in un
caso sull’eccezione della sostanza prima, nell’altro della nuda vita.
Esse, quindi, «si corrispondono perfettamente»14. Ancora: «al disposi-
tivo ontologico, che articola e mette in movimento l’essere, corrisponde
la macchina biopolitica, che articola e politicizza la vita»15.
D’altra parte, anche il linguaggio, secondo Agamben, funziona allo
stesso modo. Come la politica include la vita escludendo il semplice
fatto di vivere, come l’ontologia divide l’essere «fra un sub-iectum, un
esistente giacente-al-fondo inessenziale e un’essenza inesistente»16,
così il linguaggio «presuppone un non linguistico, e questo irrelato è
presupposto dandogli, però, un nome»17. Il linguaggio include in sé il
non linguistico nel momento in cui lo esclude da sé come non linguisti-
co – o meglio, proprio perché lo esclude come non linguistico.
A partire da tale diagnosi, Agamben formula le tre domande ri-
spondendo alle quali si renderebbe possibile sospendere la struttura
dell’eccezione. La prima è una domanda politica: come sarebbe una

10 
G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 10.
11 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 155.
12 
Ivi, p. 164.
13 
Ivi, p. 170.
14 
Ivi, p. 173.
15 
Ivi, p. 261.
16 
Ivi, p. 168.
17 
G. Agamben, Che cos’è la filosofia?, cit., p. 16.

Palinsesti 121
Giulia Guadagni

vita «non più fondata sull’exceptio della nuda vita»?18. Solo una vita
siffatta, leggiamo in Homo sacer, permetterebbe di inventare una «po-
litica integralmente nuova»19. Per l’onto-logia, invece, la domanda è:
«come è possibile dire la sostanza prima, il sub-jectum? Come si può
afferrare ciò che è stato presupposto nella forma dell’hypokeimenon
[…]?»20. Per quanto riguarda il linguaggio, infine, si tratta di stabilire
«come [sia] possibile parlare senza supporre, senza ipo-tizzare e sog-
gettivare ciò di cui si parla»21. In questa sede ci concentreremo soprat-
tutto sull’analisi agambeniana dell’aspetto politico del dispositivo, per
il quale la categoria disattivante è quella di “forma-di-vita”. Una politica
non più fondata sull’esclusione della nuda vita sarà «una politica della
forma-di-vita, della vita indivisibile dalla sua forma»22.

Tutto sarà com’è ora, solo un po’ diverso: disattivare la macchina

L’obiettivo di Agamben è la ‘disattivazione’ del dispositivo. Leggia-


mo, per esempio, ne L’uso dei corpi che «il concetto di vita non po-
trà essere veramente pensato finché non sarà disattivata la macchina
biopolitica»23. Ma cosa vuol dire esattamente “disattivare”?
Anzitutto, non vuol dire fuggire, anche se capita che Agamben usi
parole come “via di uscita”, «esodo» o «emancipazione»24 e sembri
così indicare una qualche forma di fuoriuscita effettiva o di libera-
zione dal dispositivo. In secondo luogo, disattivare non vuol dire di-
struggere: «non significa “annientare”»25, «[c]iò che è disattivato […]

18 
G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 15.
19 
Ibidem.
20 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 167.
21 
G. Agamben, La cosa stessa, in La potenza del pensiero, cit., p. 16.
22 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 263. Agamben si riferisce all’esito politico della
propria filosofia come a «una politica non rappresentativa» (ivi, p. 302), una «politica
al di là di ogni figura della relazione» (Homo sacer, cit., p. 55), o «quella politica che
resta in gran parte da inventare» (ivi, p. 14).
23 
Ivi, p. 259, corsivo mio.
24 
G. Agamben, Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1996,
p. 17, corsivo mio.
G. Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani, Bollati Borin-
25 

ghieri, Torino 2000, p. 92, si sta riferendo al significato del verbo katargéō.

122 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in Homo sacer

non è, per questo, annullato, ma conservato e tenuto fermo per il suo


compimento»26. La disattivazione è, invece, «una strategia destituente
e non distruttiva né costituente» che può essere espressa al meglio
«col verbo katargein, che significa [appunto] “rendere inoperante” (ar-
gos), “disattivare”»27. Disattivare è “rendere inoperante”.
Cosa vuol dire “rendere inoperante”? Nelle definizioni di Agam-
ben rendere inoperoso vuol dire situarsi sulla “soglia di indistinzione”.
Quest’ultima è, a sua volta, un prodotto del dispositivo dell’eccezione,
esso infatti «non si limita a distinguere ciò che è dentro e ciò che è
fuori […] ma traccia fra di essi una soglia (lo stato di eccezione)»28. La
soglia, oltre a essere un effetto del dispositivo, è precisamente il luogo
(la «zona topologica»29) in cui è possibile la sua disattivazione. Leg-
giamo ne L’uso dei corpi: «[l]a soglia di indiscernibilità è il centro della
macchina ontologico-politica: se la si raggiunge e ci si tiene in essa, la
macchina non può più funzionare»30.
Ricapitoliamo: Agamben descrive il funzionamento di un dispositivo
che produce inclusione tramite l’esclusione, che produce un dentro e
un fuori tra i quali si situa, ancora come suo prodotto, una soglia di in-
distinzione. Il suo obiettivo è disattivare il dispositivo, cioè renderlo ino-
perante, sospendendo la continua generazione di differenze e esclu-
sioni. L’unico modo per farlo è situarsi e rimanere proprio nel luogo di
in-differenza che esso produce, facendo così decadere la relazione fra
dentro e fuori, fra ciò che è incluso e ciò che è presupposto. Detto altri-
menti, il dispositivo produce stato di eccezione, per disattivarlo bisogna
stare esattamente nello stato di eccezione. Come scrive Salzani: «la
proposta di Agamben per ‘superare’ lo stato di eccezione […] consiste
[…] proprio in una radicalizzazione dello stato di eccezione»31.
Un mondo in cui il dispositivo sia effettivamente disattivato, però,
non c’è ancora, si tratta infatti, in una prospettiva messianica, di un
mondo “che viene”. Perciò, la forma-di-vita «non esiste ancora nella

26 
Ivi, p. 94.
27 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 345, corsivo nostro; cfr. Il tempo che resta, cit.,
p. 91 ss.
28 
G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 23.
29 
Ivi, p. 44.
30 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 304.
31 
C. Salzani, Introduzione a Giorgio Agamben, cit., p. 138, corsivo mio.

Palinsesti 123
Giulia Guadagni

sua pienezza»32.
Ciò che determina il passaggio tra il mondo che conosciamo e il
mondo “che viene” è una sorta di rovesciamento33. Per descriverlo,
Agamben cita una parabola ebraica riportata in un testo di Benjamin:

Fra gli chassidim si racconta una storia sul mondo a venire, che
dice: là tutto sarà proprio come è qui. Come ora è la nostra stanza,
così sarà nel mondo a venire; dove ora dorme il nostro bambino, là
dormirà anche nell’altro mondo. E quello che indossiamo in questo
mondo, lo porteremo addosso anche là. Tutto sarà com’è ora, solo
un po’ diverso34.

Una trasformazione e un superamento avvengono, ma si tratta di


una trasformazione che lascia tutto come prima, e di un superamento
“sul posto”. Il mondo “che viene” è (solo un po’) diverso, nel suo essere
esattamente lo stesso. L’unica trasformazione possibile è quella che
lascia il mondo esattamente per quello che è, rendendolo però, con-
temporaneamente, assolutamente altro.

La forma-di-vita è nuda vita?

Vediamo come funziona la strategia disattivante di Agamben in uno


degli ambiti di articolazione del dispositivo: la politica. Fra i tre, rispetto
all’ontologia e al linguaggio, ci sembra che l’aspetto politico, per come
è trattato da Agamben, comporti delle difficoltà specifiche che cerche-
remo di far emergere nella conclusione.
Come anticipato, il concetto che opera la disattivazione del disposi-
tivo politico è la “forma-di-vita”. Nel mondo che viene si vive una forma-
di-vita, che Agamben definisce come «una vita in cui non è mai possi-

32 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 290. È importante sottolineare che non si tratta
di un mondo futuro: «[i]l Regno messianico non è né futuro (il millennio) né passato
(l’età dell’oro): è un tempo restante» (Il tempo che resta, cit.), per questo “viene” e non
“verrà”.
33 
Cfr. G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 170.
G. Agamben, La comunità che viene, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 45; cfr. W.
34 

Benjamin, Opere complete. V. Scritti 1932-33, tr. it., Einaudi, Torino 2003, versione
ebook.

124 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in Homo sacer

bile isolare qualcosa come una nuda vita»35. La forma-di-vita, quindi,


è una vita in cui la relazione tra vita politica e nuda vita, tra bíos e zoē,
sulla quale si fonda la politica che conosciamo, è disattivata, resa ino-
perosa.
Riprendiamo il filo dell’argomento. Il dispositivo onto-logico e poli-
tico produce divisioni, separazioni e differenze, in virtù della struttura
dell’eccezione che lo istituisce. L’eccezione determina un’inclusione
tramite un’esclusione. La vita politica si fonda sull’inclusione esclusiva
della nuda vita. Perché ci sia politica, per come la conosciamo, deve
prodursi uno scarto tra nuda vita e vita qualificata. A fronte di ciò, ren-
dere inoperosa la struttura politica dell’eccezione non vuol dire tornare
a una semplice vita naturale prima della sua inclusione/esclusione dal-
la vita politica. Una tale vita naturale, una pura zoē, non si dà nean-
che più come possibilità, essa è già sempre pre-supposta (d)alla vita
politica36. Per rendere inoperoso il dispositivo politico bisogna, invece,
situarsi nella soglia di indistinzione tra vita politica e nuda vita.
La soglia di indistinzione della politica, però, è la nuda vita stessa:
«[n]é bíos politico né zoē naturale, la vita sacra è la zona di indistinzio-
ne in cui, implicandosi ed escludendosi l’un l’altro, essi si costituiscono
a vicenda»37.
Alla nuda vita è dedicato in particolare il primo volume di Homo sa-
cer. Alla fine del libro Agamben fornisce alcuni esempi di nude vite, tra
cui i detenuti nei campi nazisti di sterminio, specialmente quelli usati
come cavie negli esperimenti medico-scientifici e chi si trova in uno
stato di ‘oltrecoma’, in cui il mantenimento delle funzioni vitali dipen-
de interamente dalle macchine. A proposito dei primi Agamben scrive:
«[p]roprio perché privi di quasi tutti i diritti e le aspettative che siamo
soliti attribuire all’esistenza umana e, tuttavia, biologicamente ancora
vivi, essi venivano a situarsi in una zona-limite fra la vita e la morte, fra

35 
G. Agamben, Mezzi senza fine, cit., p. 13.
36 
Come dopo l’instaurazione del dispositivo non si dà più zoē che non sia nuda vita,
cioè zoē inclusa/esclusa dalla politica, mera vita relativa alla politica, così non si dà
pre-linguistico, perché qualsiasi pre-linguistico non è altro che un prodotto, un presup-
posto del linguaggio (cfr. Homo sacer, cit., p. 58 e L’uso dei corpi, cit., pp. 159-160).
37 
G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 101. “Nuda vita” e “vita sacra” sono sinonimi:
«Non la semplice vita naturale, ma la vita esposta alla morte (la nuda vita o vita sacra)
è l’elemento politico originario» (ivi, p. 98, corsivo mio).

Palinsesti 125
Giulia Guadagni

l’interno e l’esterno, in cui non erano più che nuda vita»38. La nuda vita
è la soglia di indistinzione della politica, «è un bíos che, in un senso
molto particolare, si è a tal punto concentrato sulla propria zoē da dive-
nire indiscernibile da essa»39. Se per disattivare il dispositivo bisogna
raggiungere e restare nella sua soglia d’indifferenza, nella zona limite
fra l’interno e l’esterno, per rendere inoperoso il dispositivo politico oc-
correrà situarsi proprio nella nuda vita. Una “nuova politica”, conferma
Agamben, è possibile solo «a partire da questi terreni incerti e senza
nome, da queste malagevoli zone di indifferenza»40.
Gli esempi che sceglie sono agghiaccianti41, ma occorre sottoli-
neare che, dal punto di vista della logica dell’eccezione, la vita di un
detenuto in un campo o la vita in ‘oltrecoma’ non sono così diverse
da qualsiasi altra vita vissuta all’interno della moderna macchina (bio)
politica, comprese le vostre e la mia. Il campo di concentramento non
è che una forma estrema della (bio)politica moderna. Tutta la politica
moderna, infatti, secondo Agamben, è caratterizzata dal fatto che in
essa «lo stato di eccezione tende a diventare la regola»42. Ogni società
fissa il limite al di là del quale «la vita cessa di essere politicamente ri-
levante», diventa «“vita sacra” e, come tale, può essere impunemente
eliminata», ma

è possibile […] che questo limite, da cui dipende la politicizzazione


e l’exceptio della vita naturale nell’ordine giuridico statuale, non ab-
bia fatto che allargarsi nella storia dell’occidente e passi oggi – nel
nuovo orizzonte biopolitico degli stati a sovranità nazionale – neces-
sariamente all’interno di ogni vita umana e di ogni cittadino. La nuda

38 
Ivi, p. 177, corsivo mio.
39 
Ivi, pp. 207-208.
40 
Ivi, p. 209.
41 
A questo proposito lui stesso scrive ne L’uso dei corpi: «è singolare che, nella no-
stra società, per trovare esempi e materiali di una vita inseparabile dalla sua forma, si
debba frugare nei registri patografici […] negli archivi di polizia. La forma-di-vita è, in
questo senso, qualcosa che non esiste ancora nella sua pienezza e può attestarsi solo
in luoghi che, nelle circostanze presenti, appaiono necessariamente non edificanti»
(cit., p. 290).
42 
G. Agamben, Homo sacer, cit., p. 170. «Una delle tesi della presente ricerca è che
proprio lo stato di eccezione, come struttura politica fondamentale, nel nostro tempo
emerge sempre più in primo piano e tende, in ultimo, a diventare la regola» (ivi, p. 24).

126 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in Homo sacer

vita non è più confinata in un luogo particolare o in una categoria


definita, ma abita il corpo biologico di ogni essere vivente43.

In quanto prodotti della politica moderna, tutti viviamo, in parte, una


vita nuda, esclusa/inclusa dal potere politico. Ciò non significa, eviden-
temente, che viviamo tutti come in un campo di sterminio, dove invece
la vita è del tutto esclusa proprio perché è assolutamente inclusa. La
specificità del campo, come ‘eccezione’ della politica moderna, è che
in esso si realizza la «materializzazione dello stato di eccezione»44,
dimodoché vi si vive una vita completamente nuda, al di là della re-
lazione con una vita qualificata. Scrive Agamben: «[q]uando il nostro
tempo ha cercato di dare una localizzazione visibile permanente a
questo illocalizzabile [lo stato di eccezione], il risultato è stato il campo
di concentramento»45.
Ciò detto, però, rimane la prossimità tra la forma-di-vita e la nuda
vita e il problema di come determinare la loro relazione. Perché sia
possibile una politica integralmente nuova bisogna raggiungere e sta-
re in una soglia di indistinzione che sembra coincidere proprio con la
nuda vita. Tuttavia, la nuda vita è il puro prodotto del dispositivo e se
vivere una forma-di-vita (la vita che sospende il dispositivo) volesse
dire vivere la nuda vita, allora la disattivazione del dispositivo com-
porterebbe la ‘scelta’ di uno dei suoi due poli. Invece, la disattivazione
come operazione che rende inoperante, avviene con la caduta della di-
stinzione tra i due. La forma-di-vita, inoltre, non può essere uguale alla
nuda vita, perché quest’ultima è sempre relativa alla vita qualificata, è
sempre presupposta, e quindi ‘intrappolata’. Eppure, le loro definizioni
pressoché coincidono. Perché? Tale prossimità va spiegata nella sua
coerenza con il principio messianico del “tutto lo stesso, solo un po’
diverso” e proprio con l’indicazione secondo la quale per disattivare
il dispositivo bisogna raggiungere e stare nella soglia di indistinzione
che esso produce. Così acquista senso il fatto che la definizione della
forma-di-vita (la vita “che viene”) sia quasi identica a quella della nuda
vita. Anche la forma-di-vita, come la nuda vita, ma in modo completa-
mente diverso, è indistinzione di bíos e zoē. Essa è una «forma di vita

43 
Ivi, p. 154, corsivi miei.
44 
Ivi, p. 195.
45 
Ivi, p. 24.

Palinsesti 127
Giulia Guadagni

tutta versata nella nuda vita, un bíos che è solo la sua zoē»46, è un «es-
sere che è solo la sua nuda esistenza, [una] vita che è la sua forma e
resta inseparabile da essa»47. Per disattivare il dispositivo e vivere una
forma-di-vita bisogna situarsi proprio là dove esso produce il suo scar-
to, essere la nuda vita che si è già, rendendola, contemporaneamente,
assolutamente altra. Rispetto alle vite che conosciamo quindi, non si
tratta di inventare una vita “altra”, diversa. Si tratta della stessa vita
che già viviamo, solo “un po’ diversa”: «[o]ccorre […] fare dello stesso
corpo biopolitico, della nuda vita stessa il luogo in cui si costituisce e
s’insedia una forma di vita tutta versata nella nuda vita, un bíos che è
solo la sua zoē», un «essere che è solo la sua nuda esistenza» e che
«chiamiamo forma-di-vita»48.
Dunque, nuda vita e forma-di-vita sono la stessa cosa ma, anche,
sono assolutamente diverse: «Nello stato di eccezione divenuto rego-
la, la vita dell’homo sacer, che era la controparte del potere sovrano»,
cioè, che era nuda vita, «si rovescia» in una forma-di-vita49.
Se la nuda vita e la forma-di-vita (che “non esiste ancora nella sua
pienezza”) sono così prossime da sembrare identiche, e tuttavia non
sono identiche, di nuovo, cosa le differenzia? La differenza è che la
nuda vita è interamente sottomessa al potere. Il campo di sterminio,
come spazio di un estremo nudo vivere, è il luogo in cui la nuda vita è
sottoposta a una «decisione incessante sul valore e sul disvalore»50. Al
contrario, la forma-di-vita è «un’esistenza su cui il potere non sembra
avere più alcuna presa»51, una vita che «si sottrae a ogni decisione
esterna»52. Mentre la nuda vita è un puro prodotto del dispositivo, inte-
ramente soggetta al suo governo, la forma-di-vita è «[i]ngovernabile»53.
Ma, infine, come si passa dall’una all’altra? In che senso la nuda
vita “si rovescia” in una forma-di-vita? Agamben non lo scrive. Plausi-
bilmente però, il rovesciamento avviene, come la felicità di cui è por-

46 
Ivi, p. 210.
47 
Ivi, p. 211.
48 
Ivi, pp. 210-211. Corsivo mio.
49 
Ivi, p. 170. Corsivo mio.
50 
Ibidem.
51 
Ibidem.
52 
Ibidem.
53 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 148.

128 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in Homo sacer

tatore, “per magia”. Alla magia, infatti, in un breve saggio pubblicato


nella raccolta Profanazioni (2005), il filosofo romano affida l’avvento
della felicità. C’è «una sola possibilità di felicità: credere al divino e non
aspirare a raggiungerlo», la felicità «ci spetta solo nel punto in cui non
ci era destinata, non era per noi. Cioè: per magia»54.

Accettare tutto il potere

Per concludere, proponendo un’osservazione critica sugli esiti po-


litici della sua filosofia, riprendiamo di nuovo il filo dell’argomento di
Agamben. Il suo scopo, perlomeno quello politico, è «[u]na vita politica,
cioè orientata sull’idea di felicità e coesa in una forma-di-vita»55. Vivere
una forma-di-vita, però, è possibile «solo a partire […] dall’irrevocabile
esodo da ogni sovranità»56. Una vita felice è una vita «ingovernabile
che si situa al di là tanto degli stati di dominio che delle relazioni di
potere»57. Per avere l’Ingovernabilità bisogna situarsi nella soglia di in-
distinzione creata dal dispositivo, abitare lo stato di eccezione. Agam-
ben diagnostica l’estensione indefinita dello spazio dell’eccezione nel-
la politica moderna e, contemporaneamente anche se in modo meno
esplicito, esorta il dispositivo a radicalizzarsi, perché solo così – muo-
vendosi verso l’eccezione assoluta – si rende possibile la vita felice, la
disattivazione della macchina. Ricordiamo: «[l]a soglia di indiscernibi-
lità è il centro della macchina ontologico-politica: se la si raggiunge e
ci si tiene in essa, la macchina non può più funzionare»58. Solo dove il
potere si esercita nella sua massima intensità può crearsi lo spazio (o il
tempo restante, il kairós59) per sottrarsi ad esso rendendolo inoperoso.

54 
G. Agamben, Magia e felicità, in Profanazioni, Nottetempo, Roma 2005, p. 21.
55 
G. Agamben, Mezzi senza fine, cit., p. 17, corsivo mio.
56 
Ibidem.
57 
G. Agamben, L’uso dei corpi, cit., p. 148.
58 
Ivi, p. 304.
59 
Sulla relazione tra chronos e kairós, in Il tempo che resta, leggiamo: «ciò che affer-
riamo quando afferriamo un kairós non è un altro tempo, ma solo un chronos contratto
e abbreviato […] non è altro che un chronos afferrato. La perla incastonata nell’anello
dell’occasione è solo una parcella di chronos, un tempo restante. (Di qui la pertinenza
dell’apologo rabbinico secondo cui il mondo messianico non è un altro mondo, ma è
questo stesso mondo profano con un piccolo spostamento, un’infima differenza. Ma

Palinsesti 129
Giulia Guadagni

Si può essere tentati di opporre un’obiezione foucaultiana alla dia-


gnosi di Agamben, un’obiezione che suonerebbe così: una zona di in-
governabilità non è possibile, perché il potere è dappertutto, «nelle rela-
zioni umane, qualunque esse siano […] il potere è sempre presente»60
e «[i]l potere non è il male, il potere significa giochi strategici»61. Non
si tratta di un dispositivo da disattivare, né di una trappola – potrem-
mo obiettare con Foucault – si tratta, invece, della «situazione» nella
quale ci troviamo: «non siamo in trappola. […] siamo sempre in questo
tipo di situazione. Il che significa che abbiamo sempre la possibilità di
cambiar[la] […]. Non possiamo metterci al di fuori della situazione, e
in nessun posto possiamo essere liberi da ogni rapporto di potere»62.
A differenza di Agamben, Foucault non crede che sia possibile, e forse
neanche auspicabile, uno spazio di ingovernabilità, libero da qualsiasi
relazione di potere.
Una simile obiezione però, se si prendono sul serio i termini della
logica dell’eccezione e la descrizione del dispositivo, si arenerebbe in
una contro-risposta agambeniana che potrebbe suonare così: credere
di poter cambiare i rapporti di potere è un’illusione che conduce solo a
restare intrappolati nella struttura dell’eccezione, sotto il dominio della
quale tutto è indifferente63. Anche chi credesse di aver “cambiato la
situazione”, rimarrebbe invece preso nello stesso e immutato disposi-
tivo.
Proviamo allora a giocare contro Agamben nei suoi stessi termini,
se non muovendogli un’obiezione, almeno mettendo in evidenza il fatto
che, per cercare la felicità della vita singolare, per trovare un attimo di
ingovernabilità, egli sembri disposto ad accettare – se non a esortare
la diffusione di – tutto il potere possibile. Ciò perché, come abbiamo vi-

questa piccola differenza – che risulta dal fatto che io ho afferrato la mia sconnessione
rispetto al tempo cronologico – è in ogni senso decisiva)» (cit., p. 69).
60 
M. Foucault, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, 1984, tr. it. in Archivio
Foucault 3. 1978-1985, Feltrinelli, Milano 1998, p. 284, corsivo mio.
61 
Ivi, p. 291.
62 
M. Foucault, Michel Foucault, un’intervista: il sesso, il potere e la politica dell’identi-
tà. 1984, tr. it in Archivio Foucault 3, cit., p. 300.
63 
Non importa quale sia la forma politica contingente, in tutte opera la logica dell’ec-
cezione, così come non fa differenza che si dica una cosa o un’altra, perché la logica
della pre-supposizione non cambia. Perciò Agamben scrive che dal punto di vista del
dispositivo la democrazia è analoga al totalitarismo (cfr. Homo sacer, cit.).

130 Palinsesti
Viaggio al centro del dispositivo. Sulla forma-di-vita in Homo sacer

sto, soltanto laddove c’è (quasi) solo potere (e quindi solo eccezione),
può non esserci più alcun potere. Solo nel punto di massima intensità
del governo, si apre lo spazio per un rovesciamento felice nell’ingover-
nabile. Come si legge ne La comunità che viene:

Possiamo avere speranza solo in ciò che è senza rimedio. Che le


cose stiano così e così – questo è ancora nel mondo. Ma che ciò
sia irreparabile, che quel così sia senza rimedio, che noi possiamo
contemplarlo come tale – questo è l’unico varco fuori del mondo64.

Ci sembra, in conclusione, che la diagnosi agambeniana della trap-


pola in cui viviamo (e abbiamo sempre vissuto) lo conduca dritto in
un’“integralmente nuova”, ma soltanto un po’ diversa trappola nella
quale dovremmo, però, essere felici di stare.

64 
G. Agamben, La comunità che viene, cit., p. 86.

Palinsesti 131

Potrebbero piacerti anche