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DISPENSA
A.A. 2020/2021
II ANNO – II SEMESTRE
Prof. A. Calabrò
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MAGNA GRAECIA DI CATANZARO DISPENSA DISCIPLINE DELLO SPETTACOLO
PROGRAMMA:
1. Corpo, motricità e comunicazione
- La percezione
- Lo schema corporeo
- Corpo e movimento
- Allenare il movimento
- La comunicazione
- I metodi di insegnamento
L’apprendimento motorio
Le fasi del processo di apprendimento
Il coaching
2. Il Gioco
- Le teorie sul gioco
- Le varie tipologie di gioco
- Giocare è un bisogno?
- La situazione in Italia oggi, i dati di Okkio Alla Salute
- Creatività
3. eGames: un nuovo modo di fare sport?
4. L’animazione
5 Il Volontariato
LA PERCEZIONE
Alla base del sistema percettivo vi sono informazioni provenienti dagli organi sensoriali. Nell’ambito della
psicofisiologia si distinguono la percezione e la sensazione. La sensazione fa riferimento al trattamento in un tempo
relativamente breve (100 ms) dell’informazione proveniente dagli organi sensoriali, questa suscita una risposta
mediata dalla percezione definita come il processo di elaborazione che opera la sintesi dei dati sensoriali. Le
informazioni possono avere diversa origine:
- Enterocettive: sensazioni che provengono dagli organi interni (come il dolore) e informazioni legate ai bisogni
primari (quali fame, sete). Queste informazioni non intervengono nella realizzazione dei movimenti volontari.
- Propriocettive: informano sulla variazione di pressione e di tensione provocando il senso muscolare.
- Esterocettive: sensazioni che provengono dagli organi esterni e provocano reazioni volontarie.
Le percezioni sono legate agli analizzatori che possiamo dividere in:
• Interni (propriocettivi)
- Analizzatore cinestetico: ci consente sempre di sapere in che posizione ci troviamo e con quale intensità si compie
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ogni nostro movimento. I suoi recettori, chiamati propriocettori, si trovano negli organi motori: muscoli, tendini,
legamenti e nelle articolazioni. Parliamo di Fusi neuromuscolari, organi del Golgi, corpuscoli di Pacini, di Meissner,
Ruffini, organi capaci di percepire lo spazio circostante grazie a delle stimolazioni di origine tattile, muscolare e
articolare.
- Analizzatore statico-dinamico: localizzato nell’apparato vestibolare dell’orecchio interno ha il compito di informare
sulle variazioni di direzione e di accelerazione della testa trasmettere la posizione del corpo nello spazio. Assieme a
quello cinestetico viene considerato un analizzatore interno poiché interne sono le vie attraverso cui passano le
informazioni.
• Esterni (esterocettivi)
- Analizzatore visivo: elabora all’incirca l’80% delle informazioni. Ha un ruolo molto importante sia per comprensione
della situazione esterna sia per il controllo e la coordinazione dei movimenti. Esso fornisce informazioni relative allo
spazio-tempo, all’ambiente quindi velocità, direzione dei movimenti propri anche degli altri. L’informazione visiva, una
volta arrivata alla corteccia prende due vie informative: la prima trasforma le informazioni per la realizzazione della
visione focale che è funzionale per l’identificazione degli oggetti. La seconda trasforma le informazioni per la visione
periferica utile al controllo dei movimenti.
Prendendo in considerazione gli sport situazionali, l’analizzatore visivo permette ad un atleta di controllare in modo
consapevole gli spostamenti, le azioni degli avversari. L’analizzatore visivo è importante anche per le discipline che
utilizzano l’esecuzione di abilità chiuse, basti pensare al controllo e all’osservazione di un punto di mira nel lancio)
- Analizzatore uditivo: anch’esso è implicato nel controllo del movimento in quanto attraverso questo analizzatore
siamo in grado di differenziare i rumori, i suoni, la loro provenienza, lo spazio e la ritmicità. Svolge un ruolo importante
poiché grazie all’udito si può sfruttare il timing o la scelta del tempo, in pratica i suoi recettori informano sul ritmo da
mantenere o modificare affinché l’azione motoria sia il più possibile adeguata e coordinata.
- Analizzatore tattile: permette di manipolare gli oggetti. I recettori tattili presenti in tutta la superficie corporea, sono
importanti per sentire le caratteristiche fisiche degli oggetti come: il caldo, il freddo, il liscio, il ruvido, il peso, la forma
ecc.…
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Quindi la percezione è un processo cognitivo, ovvero è la capacità di avere sensazioni seguite dall’elaborazione degli
stimoli esterni ed interni. Richiede un intervento attivo della mente. Le cose da cui dipende la percezione sono le
caratteristiche dell’oggetto, dall’effetto prodotto sui nostri sensi, e da come la nostra mente interpreta ed organizza
queste informazioni.
LO SCHEMA CORPOREO
Non si può citare il corpo senza parlare di schema corporeo (SC).
Per SC si intende la conoscenza immediata del nostro corpo della sua posizione, del suo stato, sia in condizioni statiche
che dinamiche. Una sorta di immagine si sé che assicura all’individuo di entrare in relazione con il mondo che lo
circonda sia dal punto di vista spaziale che temporale.
Immagine corporea: da non confondere con lo schema corporeo. Essa è un costrutto psicologico multidimensionale
che riguarda le percezioni e le attitudini che l’individuo riferisce al proprio corpo con riferimento “all’aspetto”. Si
distinguono due componenti:
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1) Percettiva: caratterizzata alla stima della taglia corporea
2) Attitudinale (aspetti cognitivi, emotivi, affettivi): Può avere anche un aspetto di tratto (stabile) e di stato (episodico
che si modifica a seconda del contesto e della situazione).
L’immagine corporea del sé si sviluppa tra gli 11-12 anni ciò è reso possibile grazie ai propriocettori presenti in ogni
regione corporea che maturano fino agli 11 anni.
Avere un’educazione psicomotoria può migliorare la strutturazione dello schema corporeo. Ciò è possibile grazie al
controllo della respirazione, lo sviluppo dell’equilibrio e della lateralità, la comprensione dello spazio e del tempo, il
controllo del tono muscolare e lo sviluppo della capacità di rilassamento.
LE FASI DI STRUTTURAZIONE DELLO SCHEMA CORPOREO
Sappiamo che la strutturazione dello schema corporeo avviene in 4 stadi:
1- stadio del corpo subito (da 0 a 3 mesi)
2- stadio del corpo vissuto (da 3 mesi a 3 anni)
3- stadio del corpo percepito (da 3 anni a 6 anni)
4- stadio del corpo rappresentato (dai 6 anni ai 12 anni)
Tralasciando i primi due stadi, che avrete già sicuramente ampiamente conosciuto e trattato ci soffermeremo sul terzo
e quarto stadio. Tali stadi abbracciano le età di interesse, di scoperta, di curiosità dell’ambiente intorno a se.
Stadio del corpo percepito (da 3 a 6 anni)
È il periodo dell’Io del Mio e del No. Il bambino prende coscienza della propria personalità dell’imitazione delle
persone dell’interiorizzazione delle scoperte effettuate. Dunque emergono e si evidenziano:
- l’organizzazione dello spazio e del tempo (forme, dimensioni, distanza e strutture ritmiche);
- l’organizzazione dello schema corporeo mediante la conoscenza delle sue parti corporee;
- la percezione temporale traducendosi mediante l’apprezzamento della durata del tempo e delle strutture ritmiche.
Fino ai 3 anni il mondo del bambino è privo di forme e di dimensioni che il Piaget definisce “spazio topologico“.
Dai 3 ai 7 anni secondo Piaget il bambino accede allo “spazio euclideo” avviandosi alla percezione dello spazio. La
conoscenza delle diverse forme geometriche inizia dai 3 anni. Per percepire lo spazio bisogna acquisire:
- percezione delle forme
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CORPO E MOVIMENTO
Il concetto moderno di corpo non si basa sul concetto di dualismo come avveniva nelle epoche precedenti in cui il
corpo veniva diviso in:
Soma: in cui si indica la totalità tra corpo e persona
Sax: elemento che indica la carnalità, o meglio tutto ciò che si esprime attraverso un concetto più biologico
che spirituale
Oggi il corpo viene considerato l’unione dei due concetti e la motricità ne è la sua espressione. È bene precisare che in
tale contesto, la motricità stessa non si esplica soltanto nel mero movimento muscolare, ma considera tutto
l’individuo nelle sue componenti attive. La motricità è lo strumento mediante il quale l’individuo manifesta il proprio
essere e lo mette a contatto con il mondo esterno.
Numerose ricerche scientifiche ribadiscono il ruolo del movimento nel favorire fina dalla nascita lo sviluppo di capacità
percettive e cognitive. Le esperienze motorie portano il bambino a conoscere e sperimentare il rapporto con gli altri e
con gli oggetti ed hanno un ruolo decisivo nello sviluppo della capacità di percezione e di elaborazione delle
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informazioni sensoriali provenienti dall’esterno del nostro corpo.
Finanche la strutturazione delle competenze linguistiche ed espressive vengono influenzate dalle esperienze di
movimento che nel bambino attivo e sicuro di sé si manifestano con la comparsa a tempo debito delle tappe di
acquisizione de linguaggio.
1- Camminare:
Esso è il primo atto motorio complesso. La deambulazione autonoma avviene abbastanza precocemente intorno ai 9-
18 mesi. Prima di esser capace di camminare il bambino sviluppa il:
- controllo del capo (2-3 mesi)
- controllo del tronco (3-6 mesi)
- acquisizione dell’equilibrio e controllo degli arti inferiori (6-9 mesi)
- inizio della deambulazione (9-12 mesi)
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Una grande conquista per il bambino perché cosi riesce ad aumentare la sua autonomia nei confronti dell’ambiente
che lo circonda esplorandone lo spazio. Il bambino inizia ad acquisire quella padronanza e quella forza che gli
permettono di ottenere la posizione eretta e dunque i primi passi andando a carponi strisciando. In alcuni bambini
questi movimenti che precedono il riuscire a camminare possono mancare, ciò non significa che il bambino si trova in
uno stato di ritardo motorio, semplicemente i bambini hanno dei tempi che li differenziano e le cause vanno sempre
ricercate nell’ambiente che li circonda. Per camminare è importante lo sviluppo dell’equilibrio inoltre attraverso il
camminare è possibile far acquisire al bambino concetti come dentro, fuori, alto, basso, avanti e dietro.
2- Correre:
Il bambino acquisisce il passo della corsa intorno ai 2-3 anni incontrando però ancora delle difficoltà quando è
necessario arrestarsi bruscamente o cambiare direzione. Verso i 4-5 anni si nota invece un miglioramento ma è solo
intorno ai 5 anni che tutti gli elementi componenti la corsa sono presenti nel bambino sia pure imprecisi e non
strutturalmente controllati. Questo infatti è uno schema motorio più complesso del camminare infatti per la sua
completa strutturazione bisogna attendere i 10-12 anni in quanto richiede maggior equilibrio, controllo della
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respirazione e una coordinazione generale molto elevata. Nell’età prescolare la corsa è tra le attività motorie più
praticate dai bambini ed è questo che l’educatore deve sfruttare per educare il bambino ad un miglior controllo del
proprio corpo e dello spazio ottimizzandone la resistenza alla fatica e la protezione da infortuni.
3- Saltare:
Questo schema motorio presuppone capacità di coordinazione per quanto riguarda distanze, traiettorie, altezze ma
anche il controllo degli equilibri statico-dinamici. Il salto dall’alto verso il basso impara a controllare il corpo in volo e a
percepire la distanza tra sé e il suolo permettendo di controllare l’impatto nella caduta ammortizzando
adeguatamente. Per una completa strutturazione è bene proporre al bambino attività atte a incrementare la forza
esplosiva attraverso rimbalzi superamenti scavalcamenti.
4- Strisciare:
Questo è uno schema motorio che si sviluppa intorno ai 9 mesi e rappresenta il primo mezzo di spostamento per il
bambino. Una buona strutturazione di questo schema motorio comporta:
• l’arricchimento del suo vissuto corporeo nella sua interezza;
• la conoscenza sensibile dei diversi segmenti corporei esaltata dal contatto con diversi tipi di superfici;
• la possibilità di reagire in modo diversificato in situazioni motorie non abituali;
È importante dunque far usare al bambino panche, tunnel ecc.… migliorando la coordinazione ritmica degli arti e
facendo acquisire alla colonna vertebrale una migliore flessibilità.
5- Rotolare:
È una forma di sviluppo dello strisciare grazie al quale il bambino conquista lo spazio in forma ludica. Le proposte
motorie devono far sperimentare al bambino tutti i modi che il suo corpo ha per ruotare, girare, rullare, capovolgersi,
ecc.… fino ad arrivare alla capovolta in avanti e indietro questo accade perché il bambino quasi per caso si piega in
avanti e guardando attraverso le gambe perde l’equilibrio ritrovandosi all’improvviso seduto dopo una capovolta. Con
il passare degli anni questo schema motorio diventa più difficoltoso perché sopravvengono complicazioni psicologiche
come la paura di una posizione inconsueta poco controllabile e quindi pericolosa per questo si richiede la presenza
dell’educatore che deve garantire la giusta assistenza.
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6- Arrampicarsi:
L’arrampicarsi è un’attività che si sviluppa nel bambino ancor prima di imparare a camminare questo è un modo per
spostarsi ed esplorare il mondo. Importante perché cosi nel bambino avviene il rafforzamento del cingolo scapolo-
omerale e l’allungamento e l’estensione dei muscoli dorsali e addominali deputati al mantenimento di una corretta
postura della colonna vertebrale. Esso richiede destrezza motoria, forza, muscolare e senso dell’equilibrio ed è
attraverso ciò che il bambino acquisisce i suoi limiti corporei ed è così che, durante la fase della crescita nel bambino,
subentrano paure e inibizioni in questo caso deve essere l’educatore a dargli sicurezza e seguirlo per recuperare le
abilità naturali legate all’arrampicarsi; ma l’incoscienza dell’età infantile deve lasciare il passo alla prudenza e alla
concentrazione.
7- Afferrare:
La mano è il primo mezzo di informazione e comunicazione ancor prima che si formi il linguaggio e attraverso la
manipolazione dei vari oggetti con l’atto motorio dell’afferrare che inizia a far proprio il mondo che lo circonda. Nei
primi anni di vita l’attività della mano è di natura riflessa. La matrice dell’atto intenzionale dell’afferrare comincia ad
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apparire verso il 3° 4° mese. Le dita rappresentano gli organi di prensione per eccellenza. La percezione tattile si
sviluppa piano piano durante la quale egli sperimenta il peso la forma le dimensioni il volume degli oggetti stessi e le
corrispondenti forze e velocità necessarie per prenderli o posarli farli rotolare o arrestarli. Solo l’esperienza diretta
porta il bambino alla conoscenza del mondo che lo circonda.
8- Lanciare:
È un’azione che si compie quando si butta un oggetto lontano dal suo spazio corporeo. Intorno ai 5 mesi si stabilisce
quella relazione-funzione oculo-manuale quando il bambino porta nel proprio campo visivo oggetti che tiene in mano.
Questa azione richiede forza, precisione, coordinazione di movimento. Il bambino nell’arco del primo anno di vita è già
in grado di lanciare ma questo movimento non è sviluppato nella perfezione infatti non vi è partecipazione alcuna del
tronco e delle gambe cosi come non vi è né direzione né distanza precisa del lancio, capacità queste, che compaiono
verso i 2 anni di vita. Lanciare oggetti rappresenta per il bambino la conquista di uno spazio che egli non può ancora
raggiungere corporalmente. All’inizio dell’età scolare si assiste ad una capacità nella coordinazione dei movimenti
oculo-segmentali per questo motivo si proporranno delle attività che stimolino il bambino a lanciare usando le mani,
la testa, i piedi servendosi della palla valutando cosi le distanze le traiettorie il peso.
L’essere umano si estrinseca attraverso movimenti del proprio corpo vissuto, ogni espressione intenzionale dell’uomo
si realizza nell’attuazione di movimenti volontari, creativi e densi di significato per la soggettività che li pone in essere.
Il movimento del corpo, il gesto voluto, non solo precedono e accompagnano la parola, ma sono la conditio sine qua
non affinché la parola diventi parola esplicita. Facendo riferimento all’evoluzione la motricità precede effettivamente
anche la parola.
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ALLENARE IL MOVIMENTO
L’allenamento assume un significato e caratteristiche diverse a seconda che venga riferito al bambino, al giovane,
all’adulto o all’atleta di alto livello. La cosa errata è credere che l’allenamento sia eguale per ogni soggetto.
L’allenamento nel bambino si diversifica da quello dell’adolescente e dell’adulto (sono sostanzialmente fenomeni,
differenti anche se ben collegati tra loro, per modalità di svolgimento e realizzazione).
Si rammenti che l’allenamento sportivo viene definito come “un processo organizzato ed orientato, di crescita e di
maturazione fisica e psichica che si realizza per mezzo di un complesso di pratiche e di esercitazioni fisiche che,
razionalmente scelte, collegate tra loro e proposte al singolo soggetto, consente di realizzare una prestazione
sportiva, la migliore possibile per quell’individuo, in un particolare momento della sua vita e della sua evoluzione”.
Allenare è un processo molto complesso e numerose sono le metodiche atte ad aiutare chi si occupa di allenamento a
perseguire questo arduo compito.
È bene ricordare che vi sono varie fasi che attraversano il soggetto che viene allenato, che cambiano la
predisposizione all’incremento della capacità di rispondere ai vari carichi di allenamento e ai vari stimoli proposti.
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Questo parametro si chiama allenabilità e dipende da una serie di fattori endogeni ed esogeni.
Per quanto riguarda l’allenabilità nell’età infantile e nell’adolescenza, un ruolo importante viene svolto dalle
cosiddette “fasi sensibili” che si presentano in momenti diversi per le singole capacità organico-muscolari e
coordinative.
Molto in generale si può affermare che l’età infantile rappresenta un periodo di più elevata allenabilità, soprattutto
per lo sviluppo delle capacità coordinative, mentre l’età giovanile e la prima età adulta lo sono soprattutto per quanto
riguarda il miglioramento delle capacità organico muscolari.
Le fasi sensibili si possono considerare, in linea generale, un utile strumento di orienteering per rendere ottimale il
processo di allenamento a lungo termine, poiché cercano di rispondere al problema “cosa faccio e quand’è il
momento giusto per fare”.
Lasciarsi sfuggire l’opportunità offerta dalle fasi sensibili può significare che determinati fattori di prestazione, se
adeguatamente stimolati durante un certo periodo di tempo, mostrano tassi di sviluppo elevati. Successivamente
potrebbero non essere più sviluppabili, o potrebbero essere sviluppati con un dispendio di tempo più elevato ed un
rendimento minore.
Il bambino inizia molto precocemente a muoversi, è un processo innato (a causa sia della sovrapproduzione di
neurotrasmettitori sia dal fatto che gli sforzi collegati al movimento sono percepiti come minori rispetto a quando
avviene negli adulti), muoversi per lui significa esplorare e l’iniziazione motoria è il primo contatto del bambino con il
mondo esterno, attraverso il gioco e il movimento. Questo contatto deve essere caratterizzato da una grande
spontaneità e semplicità, i giochi e gli esercizi devono essere divertenti ed interessanti. Questo avvio motorio deve
avvenire il più precocemente possibile (già dai 4-5 anni), va incoraggiato senza riserve e deve essere caratterizzato da
un processo di conoscenza e di esplorazione dei movimenti che si possono effettuare con il proprio corpo, nel mondo
esterno (tempo e spazio) e degli oggetti (capacità senso-percettive).
Posto che l’obiettivo della preparazione sportiva giovanile è quello di favorire uno sviluppo armonico dell’organismo e
delle capacità motorie in un contesto di educazione e formazione globale della personalità, è quanto mai opportuno
sottolineare la necessità di conoscere le caratteristiche che presenta l’organismo in ogni singola fascia di età in modo
da capirne più facilmente le esigenze al fine di proporre una attività motoria e sportiva equilibrata ed efficace.
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Solo così si garantiscono al giovane i benefici effetti di una sana attività fisica ed il buon risultato sportivo anche
nell’età matura. Durante tutta la vita l’organismo umano è sottoposto a continui processi di trasformazione biologica e
psicologica, specialmente fino alla giovinezza, fasi di crescita in lunghezza (proceritas) si alternano a fasi di aumento
del peso corporeo (turgor).
Nell’avviare i soggetti in età evolutiva alla pratica di una qualsiasi attività motoria, è indispensabile che i programmi di
allenamento rispettino le caratteristiche morfologiche e funzionali dei giovani sportivi interessati. In generale, tali
programmi dovranno essere dedicati al miglioramento di tutte le qualità fisiche del soggetto, dando però maggior
spazio all’apprendimento delle tecniche sportive ed all’incremento delle qualità fisiche non necessariamente allenabili
attraverso elevati carichi di lavoro. Si tratta dunque di migliorare in particolare la destrezza, la rapidità di esecuzione,
la mobilità articolare; in dose giusta le doti di resistenza organica, mentre le qualità relative alla forza muscolare (forza
massimale, forza resistente ed esplosiva) possono essere potenziate più avanti, quando lo sviluppo puberale sarà
avvenuto. Requisito fondamentale in età giovanile è la «multilateralità» del programma di allenamento, il cui scopo
principale deve essere sempre quello di ottenere un miglioramento globale di tutte le qualità fisiche così da consentire
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al ragazzo una maggiore duttilità e la possibilità nel tempo di margini di miglioramento più ampi. L’esercizio fisico deve
essere organizzato e strutturato come «allenamento sportivo» attraverso cui i ragazzi possano apprendere una
elevata quantità di movimenti senza cadere eccessivamente nello specifico. Quindi il ragazzo sportivo, in questa fase,
non deve svolgere un’attività di allenamento «unilaterale» intesa a incrementare una sola qualità fisica. Infatti, un
programma di attività fisica «unilaterale e standardizzato» ha come obbiettivo quello di allenare e sviluppare
prevalentemente la qualità fisica principale della disciplina sportiva praticata. A tale fine vengono adottati programmi
di allenamento che utilizzano pochi e ripetitivi gesti, col rischio quasi inevitabile, di rallentare o ancor peggio, di
bloccare i processi di apprendimento motorio del bambino. Al contrario, un allenamento «multilaterale» favorisce lo
sviluppo parallelo e contemporaneo delle qualità psicofisiche allenabili nel ragazzo in quanto utilizza esercitazioni
varie, alternate e polivalenti. Pertanto la multilateralità del processo di allenamento deve essere il principio base
dell’allenamento in età giovanile. Nel giovane sportivo anche i carichi di allenamento andranno distribuiti in maniera
equa tra le numerose qualità fisiche, valorizzando sempre più, nel tempo, quelle specifiche per la disciplina praticata.
La risposta adattativa a questi stimoli consentirà un miglioramento dell’efficienza fisica globale, e quindi una più
idonea capacità a compiere lavori muscolari sia generali che specifici. In un corretto programma di allenamento il
bambino, qualunque sia lo sport prescelto, passa attraverso una lunga fase di allenamento generale e solo in seguito
viene avviato all’apprendimento dei gesti sportivi specifici della disciplina prescelta. I metodi di lavoro non devono mai
tralasciare la caratteristica di risultare interessanti e piacevoli; solo così l’allenamento sportivo può diventare «gioco
organizzato».
La prima infanzia e l’infanzia: la prima infanzia e l’infanzia hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo globale del
bambino. Imparare a camminare assume una posizione centrale per lo sviluppo motorio e l’integrazione sociale che
l’accompagna. Comunque questa età non ha un’importanza rilevante per quanto concerne l’inizio di un processo di
esercitazione o di pre-allenamento: sarà compito dei genitori quello di creare un ambiente psicologico e sociale
ottimale in grado di stimolare il bambino che corrisponda ai suoi bisogni e ne promuova realmente lo sviluppo.
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L’età prescolare: comprende il periodo che va da 3 ai 7 anni d’età e viene definita l’età “aurea” nell’infanzia. Questo
periodo è caratterizzato da un elevato impulso a muoversi e a giocare. Una grande curiosità verso tutto ciò che è
sconosciuto, una grande fantasia e una disponibilità anche affettiva ad apprendere. Alla base del continuo
cambiamento di attività, tipico di questa età, al contempo troviamo una scarsa capacità di concentrazione, un’alta
iperattività che è determinata dal prevalere nel cervello dei processi eccitatori rispetto a quelli inibitori. Il bambino qui
si impegna in una grande quantità di giochi, che arricchisce continuamente di variazioni e nuove forme. Il pensiero del
bambino di questa età è di tipo intuitivo, pratico, strettamente legato alle esperienze personali, accompagnato da
un’elevata emotività non razionale. Il suo sviluppo viene influenzato dal gioco, dalle sue esperienze motorie e dalle
sue azioni pratiche di movimento. Si comprende perciò la ragione per cui ogni limitazione dell’attività di gioco del
bambino influisce negativamente anche sulla sua capacità mentale. Con l’entrata in una scuola per l’infanzia si
determina un primo processo di distacco dalla casa dei genitori, portando a un allargamento del campo sociale di
apprendimento del bambino. L’abilità che presenta nel muoversi svolge quindi un ruolo importante nel processo
d’interazione sociale. Tra il quinto e il settimo anno di vita, riscontriamo il primo cambiamento della figura, che è
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caratterizzato di fatto dall’aumento della statura e dalla scomparsa delle proporzioni tra le varie parti del corpo,
proprie del bambino più piccolo.
La grande gioia di muoversi e la disponibilità ad apprendere del bambino dovrebbero essere utilizzate e indirizzate in
modo tale da ottenere che, attraverso un grande numero di opportunità di apprendimento, egli acquisisca una base
molto ampia di abilità. I bambini di questa età hanno bisogno di possibilità di movimento, variabili, in grado di colpire
la loro fantasia, che li stimolino a correre, a saltare, a strisciare, ad arrampicarsi, a salire, a stare in equilibrio, ad
appendersi, a tirare a sé, a spingere, a portare, a lanciare e a prendere al volo oggetti. L’attività “sportiva” dei bambini
dovrebbe avere solo carattere di gioco, essere divertente e rappresentare un passatempo. Il loro patrimonio di
movimenti dovrebbe essere arricchito attraverso attività che portino a compiere movimenti in forma entusiastica, e
facendo in modo che essi risolvano da soli problemi motori e vedano accresciuta la creatività motoria e l’esperienza
del proprio corpo.
La prima età scolare: comprende il periodo che va dall’inizio della frequenza scolastica. Questo periodo d’età è
caratterizzato, all’inizio, da un comportamento motorio molto irruento, che si riduce per diventare normale verso la
sua fine. Un’espressione di questo piacere di muoversi è un entusiastico interesse per lo sport. Qui i giovani sono
caratterizzati da un buon equilibrio psichico, un atteggiamento ottimistico verso la vita, spensieratezza, capacità critica
nell’acquisire conoscenze e abilità.
Grazie ai buoni presupposti fisici che presentano, i bambini sono piccoli, leggeri e snelli e hanno dei buoni rapporti tra
forza e leve; e poiché, rispetto al periodo d’età precedente, hanno migliori capacità di concentrazione, una capacità di
differenziazione più fine, una migliore capacità di ricezione ed elaborazione delle informazioni, la prima età scolare già
rappresenta un’eccellente età per l’apprendimento. Però la capacità di apprendere, quasi al volo, nuove abilità
motorie già estremamente sviluppata a questa età non va di pari passo con una capacità adeguatamente sviluppata di
fissare i movimenti già appresi. Nei processi di controllo a livello nervoso centrale, continuano sempre a prevalere i
processi eccitatori con spiccati fenomeni di irradiazione: ciò porta facilmente alla cancellazione dei circuiti motori o ne
rende difficile la conservazione. Per questa ragione, ciò che di nuovo è stato appreso deve essere ripetuto un numero
sufficiente di volte, se si vuole che sia integrato stabilmente nel repertorio motorio dei bambini.
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In questo periodo d’età, esistono presupposti psicofisici estremamente favorevoli per l’acquisizione di abilità motorie.
Al centro della formazione “sportiva” in tutta la prima e la seconda età scolare troviamo l’ampliamento del patrimonio
di movimenti e il miglioramento delle capacità di coordinazione, che debbono essere utilizzate per apprendere una
grande quantità di tecniche di base nella loro forma coordinativa generale, per poi perfezionarle. Per questa ragione,
in primo piano troviamo la formazione polisportiva. Negli sport che hanno bisogno di una formazione tecnica
pluriennale che deve essere iniziata precocemente già in questo periodo occorre dedicare attenzione
all’apprendimento della tecnica nella sua forma più precisa. Anche grazie a una attività di esercitazione motivante e
ricca di esperienze di successo, occorre che l’entusiasmo del bambino per lo sport sia utilizzato per sviluppare in esso
abitudini e atteggiamenti che, successivamente, possano garantire che egli continuerà a praticare sport per tutta la
vita.
La seconda età scolare: inizia da circa dieci anni e dura fino all’entrata nella pubertà. Questo periodo d’età
generalmente viene definito: “la migliore età per l’apprendimento” (apprendimento per intuito). Le differenze con il
periodo precedente però si determinano gradualmente e i passaggi non presentano soluzioni di continuità. L’ulteriore
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miglioramento del rapporto forza-peso, provocato dall’aumento in larghezza, dal miglioramento delle proporzioni e da
un incremento relativamente notevole della forza, accompagnati però da una scarsa crescita della statura e della
massa corporea, fanno sì che, soprattutto se stimolato adeguatamente, il bambino sia già in grado di controllare a un
livello molto elevato il proprio corpo (agile come una scimmia). Ciò è dovuto al fatto che, nell’età da dieci a undici
anni, l’apparato vestibolare e gli altri analizzatori sono soggetti a una rapida maturazione morfologica e funzionale,
raggiungendo quasi i valori degli adulti. Perciò già nella seconda età scolare possono essere appresi e controllati anche
movimenti estremamente difficili con notevoli esigenze di orientamento spazio-temporale. Se si considera, inoltre,
che in questo di età vi è un notevole bisogno di movimento e che la disponibilità a impegnarsi, la volontà di diventare
bravo, il coraggio e disponibilità al rischio influiscono in modo straordinariamente favorevole sulla capacità di sviluppo
motorio, questo periodo d’età rappresenta una fase chiave per l’acquisizione della futura maestria motoria. Ciò che si
trascura di fare in questa fase, più tardi potrà essere recuperato solo con una fatica maggiore.
La migliore età per l’apprendimento motorio” dovrebbe essere sfruttata per garantire, attraverso un’attività di
esercitazione finalizzata variabile e a misura di bambino, che si acquisiscano la forma grezza e se possibile persino la
forma precisa delle principali tecniche sportive. Però questo ampliamento polivalente del patrimonio di movimenti
non dovrebbe consistere nell’apprendimento di una grande varietà di movimenti appresi parzialmente, di scarso
valore qualitativo, ma in quello di abilità motorie apprese in modo preciso. Dunque, fin dall’inizio, l’eccellente capacità
di apprendimento dei fanciulli dovrebbe essere utilizzata per apprendere i movimenti con precisione, si deve fare
espressamente attenzione che non venga automatizzata l’acquisizione di un movimento errato, per evitare che si
debba procedere a un successivo processo di ri-apprendimento.
La prima fase puberale: viene anche definita come secondo cambiamento della figura comincia tra undici e dodici
anni d’età per le femmine e tra dodici e tredici anni di età per i maschi, durando fino al tredicesimo e quattordicesimo
anno d’età rispettivamente.
Gli improvvisi cambiamenti dal punto di vista fisico (il sopraggiungere improvviso della sessualità, la scomparsa delle
strutture fisiche infantili, l’intenso cambiamento delle proporzioni, con aumento annuo della statura fino a 10 cm e
aumento del peso annuo fino a 9,5 kg), provocano una notevole labilità psichica, alimentata in misura notevole
dall’instabilità ormonale. La presenza di un corpo “nuovo” deve essere rielaborata dal punto di vista psichico.
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Con l’entrata nella pubertà, il processo di distacco dalla tutale dei genitori riceve una nuova spinta: tipici di questa età
sono i comportamenti critici e la messa in discussione di quelle che finora erano considerate le autorità. Abbiamo una
fase dove il ragazzo ha il desiderio di autonomia e responsabilità di se stesso. La discrepanza tra volere e potere porta,
talvolta da un lato all’aumento dei conflitti con l’ambiente degli adulti, a distanziarsi dai genitori, dagli insegnanti e
dagli allenatori; e dall’altro a un maggiore rapporto con i coetanei. Il gruppo dei coetanei rappresenta il criterio sul
quale si misura tutto e viene dato un grande valore alle attività svolte in comune nel gruppo. All’ambiente sociale che
li circonda – in campo sportivo ciò vale soprattutto per gli insegnanti e gli allenatori – si richiedono bravura e rispetto
reciproco. Le richieste fondamentali che vengono poste in questa età sono quella di avere il diritto di discutere
democraticamente e di partecipare attivamente all’impostazione pratica delle esercitazioni. Il cambiamento completo
della vita psicofisica e sociale porta a profondi sconvolgimenti del valore dato a ciò che interessa in generale gli
adolescenti, non senza che vi siano conseguenze sull’interesse verso lo sport. Anche le aspettative legate all’attività
sportiva subiscono un cambiamento profondo. La maggiore capacità intellettuale che troviamo in questa età offre la
possibilità di utilizzare nuove forme di apprendimento motorio e di impostazione dell’allenamento in generale.
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Assecondando i cambiamenti nel catalogo delle aspettative degli adolescenti, si dovrebbe dare un valore maggiore alla
partecipazione, alla pianificazione, alla realizzazione autonoma all’interno dei gruppi e a un allenamento che offra un
ampio ventaglio di possibilità (apprendimento, esercitazioni, gioco) con una forte individualizzazione della sua
conduzione. Tutti i conflitti sotterranei dovrebbero essere chiariti senza tentare di esercitare una qualsiasi tutela. Nel
dosaggio del carico si deve tenere conto delle notevoli oscillazioni nella situazione della motivazione. La prima fase
puberale rappresenta un periodo di reale sconvolgimento. Al vertice dell’elenco delle cause per le quali una parte non
trascurabile di adolescenti, proprio in un periodo nel quale avrebbero importanza particolare stimoli diretti alo
sviluppo sportivo, smettono di praticare sport, vi sono errori nell’impostazione dell’allenamento (troppo duro, troppo
monotono) e soprattutto nella direzione egli adolescenti. All’allenatore, attraverso una direzione cauta, da partner,
rispettosa dell’autonomia dei ragazzi e dei loro desideri, e attraverso un programma d’allenamento individualmente
dosato, spetta il difficile compito di mantenere e di stabilizzare la motivazione a praticare sport dei suoi allievi, come
anche di risolvere le situazioni conflittuali attraverso un’adeguata capacità pedagogica di comprensione.
La seconda fase puberale (l’adolescenza): L’adolescenza da tredici a quattordici anni nelle femmine e da quattordici a
quindici anni nei maschie dura nelle prime fino diciassette – diciotto e nei secondi fino a diciotto – diciannove anni.
Essa rappresenta la fine del processo di sviluppo che va dal bambino all’adulto. E’ caratterizzata dalla diminuzione di
tutti i parametri della crescita e dello sviluppo. Se nei ragazzi da tredici a quattordici anni l’aumento annuale di statura
ancora arriva fino a 10 cm e del peso fino a 9,5 kg all’anno, ora esso non supera 1-2 cm e 5 kg. La crescita rapida in
lunghezza viene sostituita da un aumento di quella in larghezza. Per cui si perviene ad un’armonizzazione delle
proporzioni, con un effetto positivo sull’ulteriore sviluppo elle capacità coordinative. L’aumento della forza e la
massima di immagazzinare engrammi motori, documentabile in questa età, creano condizioni ottimali per effettivi
progressi nelle capacità di prestazione sportiva. Se si considera che nell’adolescenza si possono addestrare con la
massima intensità sia le capacità organico-muscolari sia quelle coordinative, dopo quello della seconda età scolare,
questo periodo d’età rappresenta un’ulteriore fase, nella quale è possibile un più elevato miglioramento della
prestazione motoria e anche i movimenti più difficili e complicati vengono appresi bene e rapidamente. Un’azione
positiva per l’allenamento viene svolto dall’esistenza di un maggiore equilibrio psichico, anch’esso documentabile. Ciò
va ricondotto essenzialmente, a una stabilizzazione della regolazione ormonale, che nella prima fase puberale era
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Bibliografia di riferimento:
J. Weineck – L’allenamento Ottimale. Calzetti Mariucci Editori.
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LA COMUNICAZIONE
La socialità è l’inclinazione a tessere legami, sulla base di affinità di sentimento e solidarietà tra pari, ispirata al
bisogno, interesse o esigenza di difesa in situazioni di conflitto. È la materia viva e pulsante della nostra società che
rende possibile l’insieme di rapporti interpersonali che le fonda e la coscienza di questi rapporti, cioè doveri sociali che
ne derivano, definiti da regole comunicative, senso etico, sistemi di valore, mode ed etichette, leggi, istituzioni e
dinamiche di potere.
La socialità può essere considerata quel motore attraverso cui l’umanità si perpetua in una continua ridefinizione di sé
attraverso la comunicazione, l’informazione, l’insegnamento, sempre nella cifra di un confronto con l’altro. La socialità
e all’origine del linguaggio e dei molteplici linguaggi attraverso cui l’uomo può esprimere il proprio sentire. L’arte, lo
spettacolo, la comicità, la scrittura, la scienza, ma anche il movimento sono riflesso di un pensiero che recupera il suo
senso solo quando si fa condiviso, diventa partecipazione collettiva, appello dell’individuo all’interno di una comunità.
Codice è il linguaggio utilizzato per comunicare il messaggio, ovvero l’insieme delle regole che permettono di
dare un significato e un valore ai segni e ai simboli utilizzati all’interno del messaggio stesso. L’emittente e il
ricevente devono conoscere il medesimo codice. Il messaggio può essere espresso attraverso le parole
(verbale), con i gesti (gestuale), con i disegni (iconico), con i suoni (sonoro). Il codice non è unico, si possono
avere una pluralità di codici, e ciò può dipendere dalla relazione che hanno emittente e destinatario
Canale è il mezzo fisico o la particolare via di trasmissione per cui passa il messaggio. I canali possono essere
di vario tipo esempio onde sono o foglio di carta. La scelta del canale è strettamente legata alla natura del
messaggio, al contesto e alle caratteristiche del ricevente. Il canale può essere:
o Il canale vocale o canale verbale: veicola la comunicazione verbale. Tramite il canale vocale
vengono trasmessi i segnali che pur non essendo verbali influenzano direttamente il contenuto
verbale del messaggio, parliamo dei segnali prosodici: la cadenza, il timbro eccetera.
o Canale non vocale: può essere scritto, ed i messaggi trasmessi possono essere numerici o di tipo
analogico utilizzando i disegni e i simboli.
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o Canale cinesico: veicola messaggi di tipo numerico (quali il sistema dei segni dei sordomuti) oppure i
gesti o simbolici tipo l’arbitraggio. Tramite tale canale vengono frequentemente trasmessi anche i
segnali di tipo analogico: gesti, sguardi, espressioni del volto, movimento del corpo.
Contesto è la situazione generale e delle particolari circostanze in cui ogni evento comunicativo è inserito.
Esso può essere:
o Contesto testuale, puramente linguistico. Può dare vita a delle scorrettezza di informazione e di
trasmissione del messaggio. Esempio: “Teresa è passata” può subire innumerevoli interpretazioni di
messaggio.
o Contesto situazionale, va oltre il linguaggio e prende vita nelle normali situazioni extralinguistiche.
Esempio: “la campanella di una scuola” ha un significato che può variare in relazione all’orario.
o Contesto culturale, ottimizza la comunicazione. Esempio comunicazione tra medico e paziente.
Rumore o ridondanza, sono i rumori esterni che condizionano il canale di trasmissione, a cui segue una
ridondanza, ovvero un messaggio secondario che afferma la valenza del primo e la rafforza.
Feedback.
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In generale una postura caratterizzata da chiusura o incrocio delle braccia, oppure da marcato incrocio delle
gambe, denota autoprotezione o ritiro. A seconda della postura, non solo veicoliamo un determinato messaggio
ma veicoliamo un certo inquadramento sociale (es: istruttore allievo; docente studente).
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Sguardo: il modo con cui si osserva l’altro. Lo sguardo è un elemento reciproco proprio sia del ricevete che
dell’emittente, e spesso può essere un’interpretazione scorretta dell’efficacia della comunicazione non
verbale. Lo sguardo reciproco sul viso ha un importante significato interattivo, in quanto favorisce sia l’avvio
che la conclusione dell’interazione. Chi guarda invia almeno due segnali:
1. Che il canale di comunicazione è aperto;
2. Che vi è un qualche grado di interesse nei confronti della persona che viene guardata. Il contatto oculare
quanto più maggiore è tanto più maggiore e l’intimità e prossimità fisica. L’evitare lo sguardo indica emozioni
come vergogna, imbarazzo o tentativo di evitare la persona stessa che ci sta rivolgendo la parola. Se lo
sguardo è fisso e diretto può agire come segnale di minaccia, investigazione e controllo; rivolgere lo sguardo
in basso può invece essere un segnale di riconciliazione.
Espressione del volto: rappresentano l’espressione degli stati d’animo attraverso la mimica facciale. Le
espressioni facciali degli stati emotivi avrebbero carattere di universalità: Diversi studi, a partire da Darwin,
dimostrano che l’espressione dell’emozioni primarie (rabbia gioia tristezza paura e disgusto) è uguale nelle
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diverse culture. Ekman ha definito che vi sono 7 emozioni base o primarie, mediate da espressioni facciali
corrispondenti e transculturali innate (definite geneticamente), sono: tristezza, sorpresa, rabbia, disgusto,
disprezzo, paura, felicità. A differenza dei gesti, che raramente sono universali in quanto variano da a
seconda della cultura e del paese di provenienza, le espressioni del viso che rappresentano le e mozioni
primarie sono uguali in tutte le culture e paesi del mondo. Nel viso vi sono ben 43 muscoli facciali (actionunit)
che lavorano in ogni dato momento, anche quando un’emozione è passeggera e possiamo non essere
consapevoli di essa. Ekman inoltre ha coniato il concetto di micro espressioni facciali, termine usato per
indicare le brevissime espressioni facciali involontarie che solitamente compaiono in situazioni di alta
tensione emotiva e che le persone tentano di mascherare o non far notare. Le micro espressioni compaiono
in un venticinquesimo di secondo e poi scompaiono. Per percepirle l’occhio del nostro interlocutore
dev’essere molto attento e minuzioso, appunto per questo lo stesso Ekman propose un apposito codice per
poter rilevare le micro espressioni facciali.
Lo spunto della ricerca di Ekman dimostrò che contrariamente alla convinzione precedente di alcuni
antropologi tra cui Margaret Mead, le espressioni facciali e le emozioni non sono determinate dalla cultura di
un posto o dalle tradizioni, ma sono universali ed uguali per tutto il mondo, indicando il fatto che sono di
origine biologica.
Nel 1972, seguendo una tribù isolata dal mondo in Papua Nuova Guinea, redasse le espressioni di "base"
universali (Basic emotion):
Rabbia;
Disgusto;
Tristezza;
Gioia;
Paura;
Sorpresa;
Ekman chiese ad un abitante del luogo, di immaginare alcuni avvenimenti spiacevoli come ad esempio la morte del
proprio figlio, o piacevoli come il poter abbracciare un caro amico che non vedeva da tempo, egli fotografò le
espressioni del volto che l’abitante del luogo esprimeva.
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Risultati analoghi avvennero in diverse Tribù aborigene analfabete e non civilizzate. A dimostrazione che le
basic emotion vengono espresse in maniera. Analoga a individui appartenenti ad altre culture
In un altro studio Ekman chiese a 20 persone di osservare le foto
Scattate in Nuova Guinea.
Le persone associarono correttamente alle foto all’emozione che
Raffigurava.
Gestualità: è data dai gesti che noi effettuiamo nell’interloquire o per comunicare. A differenza della mimica
può essere adattata codificata e può anche essere espressione culturale. Abbiamo:
o gesti emblematici o simbolici, ciao o no col dito;
o Gesti illustratori, per accentuare, sottolineare o indicare un qualcosa o una persona;
o Gesti espressivi, segnalano un’emozione o sentimento, per esempio coprirsi il viso per la vergogna
stringere i pugni per la rabbia;
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o Gesti regolatori, regolano il flusso comunicativo e lo scambio di turni;
o Gesti adattivi, l’atto di toccarsi il viso o coprirsi gli occhi sarebbe indice di vergogna, grattarsi il viso
sarebbe connesso a rimproveri verso se stessi, mentre sfregarsi ha significato di auto-rassicurazione;
o Gesti rivelatori, avvengono inavvertitamente, contraddicono il linguaggio verbale e permettono
talora di smascherare la falsità di un’asserzione;
o Gesti codificati, linguaggio dei sordo muti;
E’ chiaro che quanto suddetto, non è sempre di rilevanza universale. Ad esempio esistono delle differenze
culturali anche nella gestualità.
o usare la mano sinistra nell’interpretazione italiana non ha nessun significato se non da evitare nel
dare la stretta di mano. L’uso della mano sx però nella cultura araba è inesistente in quanto ritenuta
impura come mano;
o sollevare indice e medio della mano dx a “V” nell’interpretazione italiana è segno di vittoria. In
Inghilterra il simbolo “vittoria” fatto con il dorso della mano verso chi parla è un insulto se rivolto
con il palmo verso chi ascolta;
o tenere il pugno chiuso con il pollice rivolto verso l’alto nella cultura italiana significa “ok, d’accordo”
(di origine statunitense fra le altre cose), ma in estremo oriente ha un significato minaccioso, in
Brasile “grazie” o in Indonesia “dopo di te”.
Contatto: ha significato ancestrale di intimità. Il contatto più importante è quello di tipo palmare, che dà un
senso di accorgimento, disponibilità, calore, vicinanza, intimità, affetto. A differenza del contatto palmare, il
contatto con il dorso della mano esprime invece disprezzo, rifiuto ed esclusione. È degno di nota come non di
rado i pazienti schizofrenici evitino di toccare le altre persone. Inoltre spesso non mostrano il palmo delle
mani nel saluto in quanto ritenuto intimo e il mostrarlo è che se si stesse entrando nella loro intimità.
Vestemica: è il sistema semantico dell’apparenza fisica, in relazione all’abbigliamento ed agli ornamenti. Tale
sistema di CNV concorre alla creazione dell’immagine di sé in funzione dei rapporti interpersonali da quelli
intimi a gioielli pubblici. Ogni cultura attribuisce un valore al modo di vestirsi, al trucco ed ogni oggetto
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indossato, tale da influenzare la relazione con l’altro. Nella comunicazione, parte dell’efficacia relazionale è
affidata alla vestemica attraverso le relazioni di dominanza e di persuasione;
Oggettemica: l’oggettemica utilizza gli oggetti al fine di comunicare uno status. Gli status symbol variano da
cultura a cultura, ma anche da una classe sociale all’altra e da un gruppo all’altro. Gli oggetti, i simboli
(stemmi, marchi), le “firme” che denotano benessere e ricchezza, sono valide spesso solo per una cultura, ma
risultano irreversibili per un’altra. Ad esempio il gesto di offrire è sempre segno di rispetto verso l’ospite, così
come l’accettare. Variano però le regole sugli oggetti che si offrono e sul modo in cui si deve insistere
nell’offrire o schernirsi nell’accettare. In Italia ad esempio si tende molto (tendenza che fortunatamente si sta
attenendo) a insistere nell’offrire soprattutto cibi e bevande, cosa che mette in imbarazzo persone
provenienti da altre culture (ad esempio anglosassoni) abituate a tutt’altre maniere.
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Saper comunicare nello sport dovrebbe rendere il messaggio efficace ma non è sempre semplice poiché nella
comunicazione intervengono diversi aspetti: non solo il rumore che può veicolare in modo scorretto il messaggio, ma
anche gli aspetti interpersonali intervengono. Quando si parla di comunicazione fra due persone i canoni della
comunicazione cambiano rispetto alla comunicazione di uno con un gruppo.
Il linguaggio corporeo non è solo quello spontaneo ma può anche essere appreso ed utilizzato quindi per gestire forme
di comunicazione efficace in determinati contesti motori, sportivi o espressivi come i gesti utilizzati per comunicare
senza le parole, basti pensare ai gesti utilizzati dall’arbitro per segnalare eventuali infrazioni o falli o quelli utilizzati dal
playmaker per chiamare gli schemi di gioco. In un contesto sportivo situazionale la capacità dell’attaccante nella
lettura dei movimenti del difensore e viceversa può essere importante nello scegliere condurre o variare
all’improvviso una strategia di attacco o di difesa, oltre alla capacità da parte dello stesso di fintare, ossia trarre in
inganno con movimenti del corpo l’avversario.
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Inoltre a seconda delle caratteristiche delle gestualità da apprendere (open o closed) va considerato quando fornire
feedback sul risultato dell’azione e sulle modalità da eseguire. Negli sport di situazione il gesto va costantemente
adattato alle richieste situazionali, e l’esecuzione tecnica è subordinata all’efficacia.
Con i principianti è opportuno indicare gli elementi su cui gettare l’attenzione, questi devono essere comunque pochi.
Inoltre con i neofiti è preferibile fornire informazioni di carattere generale, piuttosto che dettagli. Man mano che
l’apprendimento andrà avanti il feedback diventerà sempre più specifico.
La correzione dell’errore: è un elemento importante nel processo di insegnamento. Rappresenta però l’ultimo
momento di una sequenza di atti e decisioni didattiche che l’insegnante deve compiere:
- Osservazione della performance;
- Valutazione dello scarto tra la prestazione ottenuta e quella attesa;
- Diagnosi su natura e causa dell’errore;
- Decisione se intervenire o meno ed eventualmente su come intervenire;
- Emissione del feedback;
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- Valutazione degli effetti delle informazioni date.
Generalmente, l’errore per l’appunto viene definito come lo scarto tra il movimento atteso e quello eseguito.
L’errore può essere di due tipi:
1. Errore nella selezione della risposta: viene scelto un programma inappropriato per
raggiungere l’obiettivo. Questo può avvenire a causa di una scorretta percezione
del proprio corpo e dell’ambiente. Una risposta motoria può rivelarsi impropria
anche per un cambiamento nell’ambiente dopo l’inizio dell’azione: negli sport di
situazione, le finte hanno proprio lo scopo di far sì che l’avversario avvii una certa
risposta che poi si rileva inadeguata per l’azione reale modificata.
2. Errore nell’esecuzione della risposta: il programma è scelto correttamente ma
l’esecuzione non viene controllata in modo preciso.
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In sostanza, l’allievo è il grande protagonista di questo metodo. L’insegnante però non deve mai
estraniarsi dalle attività se non vuole correre il rischio che la libera esplorazione si trasformi in una
forma di “anarchia comportamentale”.
o Metodo della risoluzione dei problemi Consiste nel proporre agli allievi la risoluzione di un
problema, in modo personale e creativo. Di norma l’insegnante presenta una situazione al quanto
incompleta, dando così l’opportunità agli allievi di scoprire o creare da soli qualcosa di nuovo per
completare la situazione proposta. L’applicazione di questo metodo si basa su 4 domande
fondamentali: chi può? chi sa?; chi vuole?; come si può?. La formulazione della domanda dovrà
essere chiara e breve e l’insegnante deve svolgere un lavoro minuzioso di studio e di costruzione dei
quesiti, perché ogni risposta successiva degli allievi si fonda sulla esatta soluzione di quella
precedente.
Il vantaggio di questo metodo consiste nel fatto che esso favorisce la spontaneità e la creatività degli
allievi.
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o Metodo della scoperta guidata Metodo che prevede che l’allievo risolva in modo individuale e libera
i problemi, ma solo all’interno di un ambito ristretto stabilito dall’insegnante.
Presenta notevoli somiglianze con il metodo della risoluzione dei problemi con l’unica differenza
scaturita dalla "delimitazione" delle ipotesi risolutive delle situazioni motorie proposte. I problemi
posti saranno determinati dagli obiettivi da conseguire; saranno invece lasciate alla creatività, alla
fantasia, alla elaborazione dei bambini le esecuzioni delle azioni utili a conseguire gli obiettivi
prestabiliti.
L’APPRENDIMENTO MOTORIO
L’apprendimento motorio è un processo fondamentale per l’insegnamento e la formazione della tecnica sportiva e
non solo. In tutti gli sport la tecnica ed il grado della sua padronanza sono un fattore determinante. Con la locuzione
apprendimento motorio si intende l’acquisizione ex novo, oppure lo sviluppo, l’adattamento ed il perfezionamento di
conoscenze e capacità attraverso l’attività.
Si può affermare dunque che l’apprendimento è un processo fondamentale della vita dell’uomo perché fa parte dello
sviluppo globale della personalità umana. L’uomo è predisposto all’apprendimento continuamente ed in qualunque
fascia d’età. L’aspetto cognitivo e l’aspetto pratico sono strettamente intrecciati e si condizionano reciprocamente. In
questo modo il bambino acquisisce conoscenze soprattutto con l’attività motoria, afferrando, tastando, manipolando
gli oggetti. Unire la conoscenza teorica alla pratica è un principio pedagogico essenziale per formare una personalità
socialista. Nasce così la necessità di unire ciò che si sa a ciò che si è capaci di fare. Apprendere un movimento significa
mettere in primo piano i processi senso motori, coordinativi.
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L’allievo riceve queste informazioni o attraverso la sua percezione e la sua osservazione oppure attraverso l’istruttore,
l’insegnante, l’allenatore. Dunque troviamo un confronto tra:
- L’informazione;
- Lo scopo dell’azione;
- Il programma di azione previsto;
Vi sono degli aspetti che rendono necessaria questa informazione di ritorno:
Primo: l’informazione sul livello raggiunto dopo un certo periodo di apprendimento necessaria per mantenere
l’attività di apprendimento e la motivazione. Chi apprende deve sapere se ha già raggiunto lo scopo posto, oppure
quanto ne è lontano. Questo è un motivo per continuare ad imparare. Importante è anche l’emozione causata
nell’allievo sull’esperienza del successo o dell’insuccesso. Se ad essere eccessivo è il successo perché quanto viene
richiesto non è di livello abbastanza elevato non c’è una voglia di apprendere e migliorare. Se ad essere eccessivo è
l’insuccesso si ha lo stesso effetto in quanto la loro ripetizione può portare alla rassegnazione frenando notevolmente
il processo di apprendimento.
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Secondo: l’informazione sugli errori compiuti dall’allievo necessaria per potere procedere alla loro correzione.
Aumentando la precisione degli analizzatori cinestetici si ha un’accelerazione del processo di apprendimento. È
importante affermare che i migliori risultati di apprendimento si ottengono combinando un’osservazione sistematica
di se stessi con l’autovalutazione.
Le condizioni interne, invece, sono:
• Livello motorio iniziale:
In tutta la sua vita un individuo impara nuovi movimenti solo sulla base di quelli che già possiede. Ciò influenza la
rapidità di movimento. Perciò se si vuole iniziare una formazione della tecnica sportiva o un insegnamento motorio si
deve sempre partire dal considerare questo livello motorio iniziale e prima di procedere ad un processo di
apprendimento di tipo specifico sorge necessario costruire le basi che mancano e quindi occuparsi di un
apprendimento di tipo generale. Questo livello motorio iniziale comprende:
- Aspetti condizionali: il livello delle capacità condizionali può essere determinante per l’apprendimento motorio. Un
presupposto per riuscire ad eseguire un movimento è rappresentato dalla capacità di forza, più essa è sviluppata più
l’allievo riuscirà anche se in maniera imperfetta nell’esecuzione del nuovo movimento perfezionando con il tempo la
coordinazione. Oltre alla capacità di forza importante è anche la capacità di resistenza, di velocità e di mobilità
articolare.
- Aspetti coordinativi: le capacità coordinative si riflettono sulle esperienze motorie già possedute dall’allievo e si
basano sulla capacità funzionale degli organi di controllo del movimento cioè del sistema nervoso centrale e degli
organi di senso. Nel caso di lesioni organiche, ad esempio di deficit di un analizzatore, l’apprendimento motorio è reso
più difficile, e nei casi più gravi è impossibile.
- Aspetti intellettuali: i presupposti intellettuali per l’apprendimento motorio sono le nozioni sul corretto svolgersi del
movimento delle finezze delle regole di quella tecnica motoria e le capacità mentali dell’atleta. È necessario creare
nell’atleta quei presupposti mentali che gli danno la facoltà di apprendere “pensando “.
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sbagliato, con modelli, film, figure, disegni, e successivamente spiegando il movimento. Il metodo più importante resta
però l’esercitazione ben impostata. L’aspetto esterno della coordinazione fine può essere così caratterizzato:
• L’impiego della forza che non è più eccessiva ma si riduce usandola in maniera appropriata e al momento giusto.
In questa fase la forza muscolare utilizzata si riduce, perché si sfrutta meglio la forza di gravità, l’attrito, le forze
dell’aria o dell’acqua. Spesso nella fase principale dell’esecuzione motoria compare un aumento dell’ampiezza del
movimento, che può essere provocata dall’accentuato impegno del tronco e dalla traiettoria più lunga di
accelerazione.
A dare una spiegazione al perché nei principianti c’è un uso di muscoli superflui e un maggiore uso della forza è stata
la teoria dell’attività nervosa di Pavlov nella quale si afferma che nella prima fase di apprendimento vengono eccitate
più cellule nervose di quelle necessarie alla soluzione del compito e, non solo, nella prima fase domina maggiormente
l’informazione sul risultato. Nella seconda fase di apprendimento invece domina l’informazione sull’esecuzione del
movimento, si giunge ad una concentrazione dell’eccitazione nel settore che permette di eseguire il movimento in
modo adeguato e l’allievo arriva a controllare anche particolari dell’esecuzione motoria che non riesce a vedere. Ciò
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avviene grazie ad una analisi ed a una sintesi delle informazioni afferenti. Nell’insegnamento è importante conoscere i
processi che rendono ottimale il controllo nervoso del movimento ossia la ricezione e l’elaborazione delle
informazioni. In una serie di sport è importante anche lo sviluppo degli analizzatori tattili. Ad esempio in quelle
discipline dove vi è il trasferimento della forza su un attrezzo che va lanciato o colpito come nella pallacanestro.
del tempo attraverso le varie fasi e le correzioni. Finché dobbiamo accompagnare con lo sguardo i nostri movimenti
questi non sono sicuri mentre invece dobbiamo poterli eseguire senza guardare come se fossimo al buio. Questo
passaggio però è solo parziale perché la visione periferica resta di enorme importanza nell’esecuzione della maggior
parte dei movimenti sportivi visto che l’obbiettivo nello spazio può essere percepito solo con lo sguardo e solo
l’analizzatore ottico permette di controllare il risultato del movimento. L’atleta dispone di due forme di
rappresentazione motoria: una generale e una di dettaglio. La rappresentazione generale è stata definita immagine
dell’esecuzione e viene usata dall’atleta quando già dispone della relativa abilità. La rappresentazione di dettaglio
invece è stata definita immagine dell’esercizio e viene usata dall’atleta quando è già padrone della tecnica e vuole
perfezionare la sua abilità ed analizzare gli errori. Il processo più importante che si conclude nella terza fase di
apprendimento è la formazione completa del confronto tra valore reale e valore richiesto, e dei processi regolatori dei
quali costituisce la base. La regolazione di tutti i dettagli del movimento raggiunge un livello tale che tutte le correzioni
fatte mentre si svolge il movimento non vengono percepite come tali. Si crea l’impressione che ogni movimento si
svolga secondo un programma molto esercitato e precisato in tutti i suoi dettagli. In realtà la funzione regolatoria ha
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raggiunto un grado talmente elevato di disponibilità da ottenere che il movimento si svolga senza interruzioni.
caratteristiche, non si creerà mai un feeling tra coach e singolo/o squadra e i fattori educativi di quello specifico
periodo anagrafico biologico non faranno da concime per lo sviluppo psico-biologico.
Dunque i contribuiti disciplinari per poter aumentare l’efficacia didattica del tecnico provengono da molte aree di
conoscenza.
Inoltre il tecnico deve essere in grado di riconoscere le sostanziali differenze che gli stessi atleti presentano. Anche se
in moltissimi casi gli atleti sono suddivisi per sesso, età, livello di qualificazione, ed il tecnico deve occuparsi di gruppi
abbastanza omogenei, diventa comunque determinante l’analisi delle caratteristiche di ciascuno degli allievi.
Le principali differenze tra gli atleti che il tecnico deve considerare sono relative alle caratteristiche:
- Strutturali (antropometriche, posturali ecc);
- Motorie (coordinative e condizionali);
- Tecniche specifiche;
- Psicologiche (affettive, emotive, motivazionali);
- Sociali;
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- Biologiche;
Dal punto di vista motorio, è fondamentale da parte del tecnico la conoscenza del livello di sviluppo coordinativo e
condizionale raggiunto da ciascun allievo, ma anche le potenzialità che ciascun allievo possiede per poter, in seguito
definire individualmente gli adeguati carichi di lavoro. Risultano dunque fondamentali i test, i quali servono a
raccogliere informazioni e mettere il tecnico nelle condizioni ideali per progettare piani di lavoro personalizzati e
idonei alle caratteristiche del singolo.
Gli allievi differiscono tra di loro oltre che per capacità motorie anche per tecnica della specifica disciplina, oltre che
dalla padronanza nell’esecuzione e nel controllo del fondamentale tecnico, anche dalla capacità di analizzare le
diverse situazioni e la capacità di adattarsi a queste. Differiscono tra di loro anche per quanto riguarda i meccanismi
legati all’attenzione, all’anticipazione ed alla conseguente presa di decisione. È compito del tecnico creare situazioni
didattiche che ne favoriscano uno sviluppo efficace.
Le principali caratteristiche psicologiche che il tecnico deve individuare nel gruppo dei propri allievi riguardano il loro
diverso controllo emotivo, le diverse modalità di gestire i rapporti interpersonali tra i componenti del gruppo e tra il
gruppo e lo stesso tecnico, ma soprattutto gli aspetti relativi alla motivazione.
Infine il tecnico dovrà tener conto anche di alcuni aspetti di natura sociale. Ciascun allievo ha uno status sociale,
possiede dei riferimenti valoriali propri e proviene da contesti familiari diversi. Il valore ed il significato che si
attribuisce alla pratica sportiva può essere completamente diverso e questo può comportare una diversa
interiorizzazione dei comportamenti richiesti a uno sportivo.
Obiettivi generali del tecnico: qualsiasi sia la disciplina sportiva cui opera, il compito principale da assolvere da parte
del tecnico è quello di facilitare l’apprendimento tecnico tattico dei propri atleti. L’elemento che caratterizza in modo
particolare il profilo professionale del tecnico è legato alla dimensione didattica: un istruttore deve essere capace di
facilitare gli apprendimenti dei propri allievi. Da un punto di vista fisico, il tecnico è chiamato a progettare e realizzare
piani di allenamento dove la somministrazione dei carichi deve essere attentamente valutata non solo da un punto di
vista di % di intensità, ma anche nel valutare gli strumenti didattici più efficaci per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Competenze del tecnico: saper progettare una programmazione didattica volta all’insegnamento della tecnica,
significa possedere competenze in grado di effettuare una diagnosi di entrata sulla situazione di partenza, saper
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definire degli obiettivi realizzabili e scegliere gli strumenti più adeguati per il proprio raggiungimento. Saper condurre
le sedute di allenamento rappresenta un’ulteriore competenza didattica indispensabile: la scelta e la presentazione
dei diversi compiti/esercizi da svolgere, la strutturazione e l’organizzazione di tali proposte, l’uso dei diversi strumenti
didattici sono le principali azioni che il tecnico deve saper realizzare dal punto di vista didattico. È evidente che
l’azione del tecnico non può avere grossa probabilità di successo se non condotta tenendo presente di alcuni elementi
relativi agli aspetti relazionali con gli allievi. Non vi può essere intervento efficace se non si dimostra un elevato livello
di empatia. (Saper comprendere le difficoltà dell’allievo riconoscendone emozioni e sentimenti).
La validità del tecnico non viene riconosciuta solo per le proprie conoscenze ed abilità, ma per la capacità di
trasmettere queste ai propri allievi.
Le caratteristiche di tipo didattico richieste per poter insegnare efficacemente sono certamente numerose:
- Capacità nel motivare: si manifesta nel riconoscere le ragioni per cui ciascun allievo è spinto verso la pratica
sportiva di quella disciplina, ma anche nell’individuazione delle ragioni per cui si impegna costantemente in
allenamento e in gara;
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- Capacità nel comunicare: bisogna prestare attenzione agli aspetti verbali e non verbali della comunicazione,
avendo un sempre maggior controllo cosciente sulle tecniche comunicative;
- Capacità nell’osservare: riuscendo a cogliere il comportamento dei propri allievi traendo il maggior numero
di informazioni utili evitando un’eccessiva influenza delle impressioni soggettive;
- Capacità nel valutare: utile per verificare attraverso strumenti adeguati il livello degli allievi, eventuali
progressi e l’efficacia dell’insegnamento realizzato.
- Capacità nel programmare: definire gli obiettivi della programmazione determinando mezzi e metodi per
raggiungerli.
- Capacità nel problem solving;
- Capacità nel gestire situazioni di stress;
Il coaching o l’interazione tra atleta e allenatore: il termine coaching definisce l’insieme delle misure professionali di
consulenza, supporto e supervisione, come anche l’attività di direzione –basata su dati dell’allenamento, ambientali e
delle gare – dell’allenatore. L’obiettivo del coaching è, da una parte, il miglioramento della prestazione in allenamento
e in gara e, dall’altro, la stabilizzazione del comportamento o il cambiamento o la correzione di esso nel caso di
atteggiamenti sbagliati o di mutamento di condizioni.
Rappresenta un aiuto speciale per la strutturazione ottimale delle condizioni interne e esterne di gara; comporta
l’analisi del comportamento durante la competizione, la sua valutazione e le conclusioni che se ricavano per ulteriori
interventi in allenamento. Il coaching inoltre deve contribuire a portare alla sua massima espressione il potenziale di
prestazione di un elemento o di una squadra, a liberare le riserve di prestazioni anche in condizioni interne ed esterne
psichicamente stressanti e a controllare e superare situazioni problematiche.
Obiettivo generale del coaching: deve essere diretto da una parte a promuovere sicurezza, coraggio e disponibilità a
rischiare nel singolo o in una intera squadra e dall’altra a ridurre il timore di insuccessi. Deve aiutare a far focalizzare
l’attenzione sull’essenziale, trascurando avvenimenti e circostanze sulle quali l’atleta non può influire (decisioni
arbitrali, il comportamento del pubblico, caratteristiche del campo, infortuni ecc).
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Deve contribuire a fare in modo che l’atleta o una squadra diventino coscienti della propria responsabilità verso gli
obiettivi comuni che ci si è posti.
Obiettivo speciale del coaching: può inoltre contribuire in forme diverse a ottimizzare la prestazione (spesso il coach si
avvale in questo caso di assistenti per assolvere questi compiti), prima durante e dopo la gara:
- Ottimizzazione degli aspetti organizzativi prima della gara;
- Ottimizzazione degli aspetti che riguardano i contenuti della preparazione alla gara (atteggiamento tattico);
- Ottimizzazione dello stato pre-gara;
- Informazioni rapide durante le gare attraverso un sistema codificato, utilizzo dei time-out, cambi;
- Indicazioni e consigli durante le pause della gara.
- Sostegno dopo le gare.
TIPOLOGIE DI COACHING:
- Informale. Il coaching informale prevede che l’allenatore eserciti un’influenza sul singolo che si realizza senza
che esso ne sia consapevole (ad esempio per mezzo di colloqui/discussioni giornalieri). In questo caso è molto
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importante la funzione di esempio dell’allenatore: più un coach è accettato e riconosciuto da un atleta,
maggiore sarà l’impronta che lascerà e i cambiamenti che riuscirà a determinare.
- Formale. Nel coaching formale sia coach che atleta si trovano in un rapporto cosciente di comunicazione. Per
questo anche le possibilità che offre questo tipo di coaching sono maggiori. In un colloquio individuale diretto
a uno scopo preciso, il coach può collaborare con l’atleta in modo molto più determinato, profondo e aperto.
- Cognitivo. Il coaching cognitivo comprende istruzioni, informazioni, l’assegnazione di compiti per il
miglioramento di parametri specifici della prestazione di carattere organico-muscolare e tecnico-coordinativo
o per correzioni.
- Affettivo. Il coaching affettivo è rappresentato da metodi psicologici di rinforzo e conferma, come anche il
sostegno verbale e non verbale attraverso incitamenti, richiami, mimica e gesti.
IL GIOCO
Vi siete mai chiesti cosa sia il gioco?
Dal punto di vista didattico è una forma di attività psico-fisica che attraverso azioni coordinate, mira a raggiungere uno
scopo immediato.
Attività strutturata e liberamente scelta, svolta individualmente o in gruppo unicamente in vista di sé stessa e non per
altri fini o necessità immediati.
L'attività di gioco non è diretta strumentalmente a un fine esterno, pratico o conoscitivo, non è adattiva, è fine a se
stessa.
Fatta questa semplice definizione, sicuramente limitante, poiché il gioco ha comunque una difficoltà di definizione
unica e completa, in merito al gioco potremmo però cominciare con il citare filosofi e studiosi del passato che
cominciarono a parlare del gioco.
Per Aristotele, per esempio, c’era una profonda relazione fra gioco e felicità e che le attività di gioco non sono dettate
da alcuna forma di scopo o interesse. Per Eraclito, invece, il gioco camminava a pari passo con la saggezza e la
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saggezza spesso si traduce nel linguaggio dell’infanzia rispetto a quello di presunzione seriosa dell’adulto. La versione
di Platone potrebbe considerarsi quella più vicina a noi ed alla nostra disciplina in quanto secondo il filosofo il gioco è
il mezzo educativo nonché ricreativo per eccellenza per il bambino e per lo sviluppo corporeo che avviene tramite il
movimento, tramite la socializzazione ed anche per l’importante crescita di principi morali tramite il rispetto delle
regole ed il rispetto dell’altro. Il gioco potrebbe considerarsi il connubio perfetto che c’è tra leggerezza e concretezza,
tra divertimento e serietà, donando un’espressione di massima libertà in chi vi partecipa ma al contempo insegnando
il rispetto delle regole che mediano ogni gioco, senza le quali non potrebbe funzionare o addirittura esistere. Infatti il
gioco non è una attività casuale ma precisa, la quale contribuisce a creare nel bambino il senso delle regole. Ciò si può
notare nei bambini fra i 3 e i 5 anni; essi infatti hanno nei loro giochi regole precise e sono molto sensibili a qualsiasi
trasgressione di una norma.
Il gioco è influenzato molto dalle diverse culture e viene utilizzato come mezzo di adattamento.
Gioco e sport non sono poi tanto distanti tra di loro. Il significato attuale della parola «Sport» risale alla seconda metà
del XIX secolo, e si riferisca letteralmente a “divertimento” o “svago”, la sua origine passa dalla parola francese
“desport”, ossia diporto, divertimento.
Esso può essere riassunto come un insieme di azioni o situazioni ludiche e motorie competitive e non, variamente
disciplinate da regolamenti, in linea con il tratto caratterizzante delle moderne società.
Oggi al gioco e allo sport non vengono soltanto attribuite caratteristiche ludiche, ma sono considerati importanti
fenomeni fondamentali delle tappe educative ed evolutive psicofisiche della persona.
Pertanto si può essere facilmente portati a credere alla perennità dello sport e del gioco. Malgrado la diversità delle
epoche e delle civiltà gli uomini hanno sempre dato al gioco una parte piacevole nella loro esistenza e, fra i molti
giochi, ve ne sono stati sempre di quelli che, oltre agli individui, hanno fatto entrare in gara determinate qualità
fisiche. La storia attesta senz’altro la persistenza dei giochi. I popoli dell’Europa occidentale non hanno mai cessato di
praticare giochi fisici. I Galli prima e dopo la conquista romana, i Germani e i Celti hanno conosciuto forme molteplici
di competizione fisica. Il Medioevo francese, tedesco, inglese e italiano ha offerto molte occasioni per il gioco alla
gente del popolo, agli intellettuali e alla nobiltà. Così fra i giochi olimpici antichi e lo sport moderno non esiste alcuna
sostanziale differenza.
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È possibile dunque asserire che la visione del mondo in movimento e del movimento del mondo, trova il suo
fondamento epistemologico e la sua origine nel pensiero filosofico dell’antica Grecia. Nella stessa Grecia dell’età
arcaica e classica l’agonismo assurge ad uno dei tratti più caratteristici dell’uomo greco, del nobile guerriero o
dell’atleta, la cui prestazione fisica è anche piena espressione delle virtù morali in una commistione di
fisicità/spiritualità, sacralità e religiosità, e come vedremo nelle pagine più avanti, il gioco nella sua naturale
evoluzione attinge nel tempo a queste caratteristiche.
Non è altresì difficile trovare i giochi fisici anche fra i primitivi, gli Arabi, i Giapponesi e gli Aztechi. Inoltre le varie
epoche non si assomigliano soltanto per il comune piacere per le competizioni fisiche: vi è, in più il fatto, che queste
competizioni sembrano seguire sempre norme analoghe.
Una distinzione netta tra il mondo ellenico e quello romano è data dall’avvento del professionismo, che, iniziato già in
epoca ellenistica è subito avvertito come fattore negativo in grado di corrompere i valori e i principi che avevano
ispirato fino ad allora le pratiche sportive, nella Roma “utilitaristica e più pragmatica” trova terreno fertile per la sua
massima espressione, garantendo al contempo un solido e funzionante connubio con la spettacolarizzazione dei vari
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ludi che scandiscono e permeano la vita cittadina di quel tempo. Qui il movimento viene sublimato nella pratica della
guerra, che ha improntato la civiltà romana nel senso della conquista territoriale ad opera di un condottiero la cui
virtù consiste nel condurre l’esercito alla vittoria.
Il Cristianesimo, durante il Medioevo, trasforma il movimento “militare” romano orizzontale in un movimento
verticale, spirituale, che si sarebbe dovuto realizzare attraverso l’elevazione dell’anima verso lo Spirito divino.
La chiesa diventa a partire proprio dal Medioevo e per molto tempo, il centro dell’alfabetizzazione dei ceti poveri,
grazie anche al richiamo rappresentato dal “campo da gioco” che si trova dietro ogni canonica, che sarebbe poi
diventato “oratorio” nell’Ottocento, con Don Bosco, dove la pratica sportiva potrà essere svolta gratuitamente anche
dai giovani meno abbienti, arricchita da intenti pedagogico-educativi, sociali, nonché, ovviamente, religiosi.
Suddividendo il gioco in un certo numero di generi o esaminando i particolari dei giochi praticati da adulti o da ragazzi
si è cercato di dimostrare la persistenza nel tempo e nello spazio dei giochi umani, specialmente di quelli fisici. Così
nulla impedirebbe di affermare che lo sport “è antico quanto il mondo” e si è evoluto con il mondo stesso.
Il gioco, nelle sue diverse forme, rappresenta una transazione tra il bambino e il suo ambiente, un’attività, un’area di
esperienza, un modo con cui i bambini esplorano e imparano a navigare nel mondo intorno a loro, per questo secondo
molti autori è più un processo che un risultato.
Un modo, insomma, di inserirsi, attraverso il gioco, nella società degli adulti. Di sicuro sappiamo che le interpretazioni
del gioco sono tante, quanti sono gli autori che si sono dedicati ad approfondire le proprie conoscenze e riflessioni in
questo settore.
Spencer e la teoria del surplus energetico: Il filosofo Spencer a metà del XIX sostenne l’idea che il gioco fosse
mosso dal bisogno di bruciare l’energia in eccesso, tentando di fornire una spiegazione scientifica del gioco,
basata sull’utilizzo dell’energia residua per l’organismo una volta che siano state soddisfatte le pure necessità
della vita quotidiana. <<…L’uomo a differenza dell’animale può procurarsi il cibo ed assolvere alle necessità
vitali utilizzando solo una parte del tempo e delle energie di cui realmente dispone, da ciò deriva un residuo
di energie disponibili per innumerevoli altre attività…>>
Lazarus e la teoria della ricreazione: Lazarus invece suggerì che il gioco servisse a ristorare e mantenere il
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corpo e la mente, in altre parole, quando l’individuo era esausto a causa dell’attività, il gioco costituiva una
sorta di ricarica, di ristorazione per una nuova rinnovata attività lavorativa. Secondo l’autore quando il
cervello era stanco, un cambio di attività, particolare nella forma di esercizio fisico, avrebbe ristorato le
energie nervose. Quando il gioco venne definito come un mezzo di ristoro del lavoratore per un rinnovato
impegno lavorativo, esso divenne giustificabile e promosso anche nelle classi operaie.
Gross e la teoria dell’istinto e del pre-esercizio: la concezione di questo studioso era che, per lui, il gioco
aiutasse gli animali nella battaglia per la sopravvivenza, rendendoli abili nella pratica e nel perfezionamento
di quegli schemi di movimento che erano richiesti nella vita adulta. Conseguentemente per l’uomo era
necessario un periodo iniziale, nella vita, dove i bambini venivano impegnati in svariate attività utili a
perfezionare le proprie abilità prima che ne avessero realmente bisogno.
Lange e la teoria della compensazione: secondo Lange il gioco avrebbe fornito all’uomo occasioni per
esercitare e alimentare quelle facoltà mentali e fisiche che, dati il tipo di organizzazione sociale non avrebbe
altrimenti avuto modo di esplicitare. Il gioco quindi fungerebbe da integratore delle attività della vita di tutti i
giorni, avrebbe agito in questo modo come equilibratore psicologico, consentendo tra l’altro l’esplorazione di
capacità latenti ed inesplicabili diversamente, data la direzione rigidamente unilaterale dell’attività degli
adulti.
Hall e la teoria della ricapitolazione: basata sull’idea che i bambini rappresentassero un gradino nella scala
evolutiva dall’animale all’uomo, sperimentando, nelle loro attività di gioco della fanciullezza e
dell’adolescenza, la storia dello sviluppo dell’uomo. Attraverso il gioco, i periodi successivi della storia
dell’uomo, quali lo stadio “animale”, lo stadio “selvaggio”, lo stadio “nomade” e lo stadio “tribale”. Ad
ognuno di essi Hall ricondusse le forme tipiche di gioco dei bambini, rilevante ad ogni stadio della
maturazione.
Secondo Freud il bambino è costantemente impegnato nell’adattarsi perché nasce in lui la necessità di assumere un
controllo sulla realtà interna ed esterna, ossia la necessità di diventare adulto. Infatti qualsiasi genere di gioco infantile
è seguito dal desiderio di diventare grandi e poter fare ciò che fanno gli adulti. Il gioco consente al bambino di
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superare le difficoltà connesse al crescere e al diventare adulto, facendolo sentire libero e superiore rispetto ai limiti
imposti dalla realtà sociale.
Uno dei più grandi pedagogisti e psicologi Piaget dedicò un’importante attenzione al gioco. Per Piaget il gioco è pura
‘assimilazione’ che permette al soggetto di integrare ed acquistare continue consapevolezze intellettuali tramite il
processo di “accomodamento”, processo mediante il quale avviene un cambiamento costante e continuo della
struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento
erano ignoti e che rende il bambino, già con ampia plasticità neuronale, continuamente sottoposto a processi di
scoperta.
Per Piaget il gioco diventa sia finestra sullo sviluppo, sia strumento attivo in quanto contribuisce proprio allo sviluppo
stesso. Secondo Piaget sono esattamente tre gli stadi di sviluppo del comportamento ludico:
Giochi di esercizio: A pari passo con lo sviluppo senso-motorio, nel primo anno di vita fino ai due anni,
prevalgono queste tipologie di gioco. Partendo dalla ripetizioni di azioni il bambino cerca, attraverso il gioco
senso motorio, di rendere progressivamente armoniche le azioni con le nuove informazioni ricevute e di
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incorporare tali apprendimenti al “saper come” ed ai mezzi di classificazione. Grazie alla ripetizione, l'azione
originaria si consolida e diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre
circostanze.
Il bambino dondola, afferra, apre e chiude le mani o gli occhi per vedere cosa succede intorno a se. In questa
fase il bambino è esploratore, vuole conoscere e ripetere le attività più di una volta. Qui prevale la fase di
assimilazione rispetto a quella di accomodamento. Le nuove esperienze vengono adeguate man mano con gli
schemi mentali preesistenti del bambino.
Giochi simbolici: Ci troviamo nella fascia d’età che va dai 2 ai 6 anni, ovvero la fase “rappresentativa” nella
quale il bambino inizia ad acquisire delle capacità di rappresentazione tramite la gestualità o tramite oggetti.
Comincia a svilupparsi l’imitazione, l’immaginazione ed infatti spesso in questa fase il bambino predilige
giochi d’imitazione (come fingere di essere un cuoco o un pilota ad esempio). Il gioco simbolico si può
considerare come gioco prettamente assimilativo.
I giochi simbolici aggiungono all’esercizio stesso la dimensione della simbolizzazione e della finzione, della
capacità di rappresentare, attraverso gesti, una realtà non attuale.
Esso, inizia nel momento in cui le azioni di routine e gli oggetti vengono distaccati dai loro ruoli tipici per
essere utilizzati in maniera atipica, giocosa. Per Piaget torna utile al bambino per poter organizzare il pensiero
proprio in un momento in cui il linguaggio non è ancora un mezzo totalmente completo nel bambino. Gli
oggetti inanimati spesso divengono animati ed un oggetto o gesto viene usato in sostituzione di un altro.
È proprio il gioco simbolico che consente al bambino di manipolare e produrre immagini mentali durante le
quali, tramite la ripetizione, può assimilare situazioni nuove.
Oltre a questo, il gioco simbolico è flessibile perché i comportamenti di gioco possono essere diversi da quelli
della realtà nella loro forma e/o nel contenuto. Inoltre, hanno affettività positiva perché ha a che fare con
l’idea che giocare è un piacere ed un divertimento e vengono definiti non literality perché nel gioco i
comportamenti mancano del loro significato usuale ma allo stesso tempo lo conservano. Generano, infine,
una motivazione intrinseca perché suggerisce la volontarietà dell’azione.
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il bambino utilizza gli oggetti come se avessero altre proprietà o fossero altre cose. Attività familiari possono
essere eseguite in assenza dei materiali necessari del contesto sociale consuetudinario; azioni possono essere
svolte senza esiti usuali; oggetti inanimati possono essere trattati come animati (es. la palla può parlare); un
oggetto può essere usato come se fosse un altro (es. la palla può essere un sapone); il bambino può mettere
in scena delle azioni si solito compiute da altri (es. fa finta di essere un cane); il linguaggio può sostituire
l’azione (es. “facciamo finta di andare a letto”); il linguaggio può essere usato per descrivere una situazione
(es. “questa è una piscina”). Ricordiamo comunque che il bambino non deve esplicitamente discutere
(verbalizzare) le attività simboliche che fa per considerarle tali.
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Attività simbolica verso un oggetto o un interlocutore.
Diretta ad Es. Far bere la bambola, coprire la bambola con una coperta.
altri
Insieme di due o più attività di simbolizzazione auto diretta o diretta ad altri descritti
Sequenza di in precedenza
Simboli
GIOCARE E’ UN BISOGNO?
Winnicott afferma che ci sia una stretta correlazione tra gioco e creatività sostenendo che il mancato gioco in età
infantile possa poi tradursi in una carenza di creatività intesa come l’incapacità nel rapportarsi con la realtà e nella
incapacità di godere nella vita adulta di esperienze culturali.
Probabilmente giocare diviene un bisogno, sia per i bambini sia per gli adulti. Giocare ti permette di conoscere lati del
proprio io che non erano mai stati scoperti, perché certe sfaccettature emergono sotto pressione o in nuovi contesti.
Nel gioco il bambino riesce a costruire e modificare la realtà e a costruire un mondo, che nella realtà è ancora
sconosciuto.
Giocare, come già detto su, permettere di tessere relazioni sociali e quindi diventa un bisogno anche per potersi
confrontare con nuove persone. Inoltre, il gioco permettere di sviluppare un’identità perché se appena nasciamo non
abbiamo ancora comprensione di come si utilizzano piedi e mani ed a cosa possano servire, grazie al gioco si riesce ad
adoperarli ed a capire anche qual è il loro utilizzo migliore, così via comprendendo anche la propria fisicità e la
diversità rispetto all’altro. Il gioco spinge naturalmente allo sviluppo individuale ed è generalmente associato ad
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emozioni positive: proprio attraverso il gioco, i bambini imparano a esprimere, controllare e regolare le emozioni,
provando piacere e divertendosi in una dimensione di sperimentazione e creatività.
Inoltre può essere considerato quale utile mezzo per:
Riflettere e analizzare il livello di sviluppo del bambino e, di conseguenza, può essere usato come strumento
diagnostico;
Dare una concreta opportunità di esercitare le proprie abilità.
Inoltre il gioco è un agente causale nel cambiamento evolutivo. In ultima analisi il gioco viene concepito come
molla e al contempo come indicatore dello sviluppo di diverse abilità.
Il gioco come bisogno risulta sancito come diritto dalla “Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza” del 1989 dove si riconosce ai bambini il diritto di riposo, di ricreazione e di svago. L’insegnante, la
famiglia sono i promotori che devono tutelare i diritti del bambino evitando il più possibile forme di gioco sedentarie,
forme di gioco che causano isolamento poca aggregazione o giochi che non conducono alla scoperta.
Da un lato il gioco è esercizio preparatorio alla vita adulta, costante verifica dell’esperienza acquisita con cui il
bambino tende a realizzare un equilibrio con l’ambiente; dall’altro adempie ad una funzione di simulazione, attraverso
l’immaginazione che opera sulla realtà utilizzandola e trasformandola a secondo dei bisogni e dei desideri. Spesso si
ritiene che nell’attività ludica l’aspetto maggior mente in rilievo è il movimento invece in essa il bambino si impegna
con tutta la sua personalità.
Rappresenta una gamma estesa di manifestazioni della vita infantile come:
- La curiosità;
- La combattività;
- L’imitazione.
Difatti è un fenomeno che si manifesta con attività originate dal:
- Bisogno di cimentarsi, di affrontare difficoltà;
- Bisogno naturale di operare;
- Di riuscire a compiere determinate imprese;
- Di contrapporsi ai propri simili;
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Per liberarsi dalla prigione si devono ricevere passaggi dai propri compagni oppure catturare delle palle che arrivano
nella prigione e provare a colpire un avversario nell'altro campo.
Moltissimi bambini conoscono già il gioco della palla prigioniera perché negli Stati Uniti questo gioco ha ispirato un
vero e proprio sport, chiamato Dodgeball, che è arrivato da anni anche nelle nostre scuole.
Palla avvelenata
La palla avvelenata è uno dei giochi più antichi che esistano e probabilmente ci abbiamo giocato anche noi genitori
quando eravamo bambini. Esistono diverse varianti di palla avvelenata ma nella maggior parte dei casi il gioco
funziona così.
Si fa il tocco per estrarre il battitore mentre gli altri si sparpagliano nei dintorni. Il battitore dà il via al gioco lanciando
la palla contro un muro e dicendo “chiamo...” e pronuncia il nome di un bambino. A questo punto tutti cominciano a
scappare mentre il bambino che è stato chiamato corre a recuperare la palla. Quando l'ha presa urla STOP e i giocatori
si fermano come delle statue. Il giocatore con la palla deve fare tre passi e poi provare a colpire con la palla un
bambino che può, a sua volta, respingerla con mani o prenderla al volo, ma comunque rimanendo immobile nella sua
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posizione. Il bambino che è stato chiamato viene eliminato se non riesce a respingere la palla e il battitore può dare
inizio a un nuovo turno, se invece la palla viene respinta e finisce in mezzo tutti i bambini possono cominciare a
correre per prenderla e diventare battitori. Infine se il battitore fallisce il lancio e non riesce a colpire il bambino viene
eliminato.
Palla bomba
Possiamo immaginare questo gioco come una variante semplificata della palla avvelenata, quindi adatta ai bimbi più
piccoli.
Torello
Un classico gioco che viene proposto ai bambini che frequentano le scuole calcio perché riesce ad aiutare negli
insegnamenti fondamentali di questo sport. Tuttavia si può proporre anche ai bambini al parco o sulla spiaggia.
Come funziona. Tutti i giocatori si dispongono in cerchio e in mezzo si sistema quello che “sta sotto”. I giocatori in
cerchio si passano la palla e quello che sta in mezzo deve provare a intercettarla, se ci riesce chi ha fallito il passaggio
finisce in mezzo sostituendo quello che c'era prima.
Il gioco dei dieci passaggi
E' un gioco a squadre piuttosto semplice ma divertente.
Come funziona. I componenti della squadra devono passarsi la palla per dieci volte consecutive senza farsela rubare
dagli avversari.
Sette e schiaccia
Non possiamo non citare il classico Sette si schiaccia, che ha riempito le nostre giornate al mare o sui prati la
domenica. Anche in questo caso si tratta di un gioco “preso in prestito” dalle scuole di volley che lo utilizzano per
insegnare ai giocatori i fondamentali, come mantenere la concentrazione e dosare bene la forza del tiro.
Come funziona. Ci si dispone in cerchio e ci si deve passare la palla palleggiando. Il primo che batte deve dire “Uno” e
poi il gioco prosegue fino a sette passaggi che verranno però contati solo mentalmente dai giocatori. Arrivati al sette si
deve schiacciare provando a colpire un avversario che dovrà schivare la palla (attenzione perché non si può schiacciare
sull'alzatore).
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Calcio gaelico
In questa variante del calcio si possono usare anche le mani oltre che i piedi. Tuttavia attenzione perché non ci si può
spostare tenendo la palla tra le mani ma solo calciandola o tirandola a un altro giocatore.
Pallamano
Un altro sport che può essere declinato anche in maniera ludica per i bambini.
Come funziona. L'obiettivo del gioco è quello di segnare un gol in una porta dove c'è un portiere, ma facendo
attenzione a non entrare nelle aree protette.
Bisogna portare avanti la palla palleggiando come a basket, senza usare i piedi, quindi, ma solo le mani.
Ma oltre ai giochi con la palla potremmo ricordare altre tipologie di gioco che in passato si sono visti protagonisti delle
ore trascorse all’aria aperta. Ricordiamo il gioco della campana, il ruba bandiera, mosca cieca, corsa dei secchielli, la
carriola o la cavallina.
Ad oggi, risulterebbe impensabile ritrovare un gruppo di bambini che adotta queste tipologie di gioco ed è un
problema in quanto al posto d’essi si ritrovano giochi virtuali che non danno modo di sviluppare alcuna forma di
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creatività o di sviluppo delle componenti motorie dando modo ai bambini odierni di approfondire la pigrizia, la noia
fisica ma soprattutto la noia mentale. Il videogioco, inevitabilmente, comporta una stasi di fantasia, di aggregazione e
di idee perché ci si trova a casa in una realtà aumentata già “impacchettata e pronta” senza il bisogno di interfacciarsi
con i propri coetanei.
Giocare, invece, tesse una profonda relazione fra il bambino e il proprio corpo e la propria mente in quanto le attività
ludiche, affinano le sue qualità psichiche e gli permette di generare azioni che producano un allenamento della
creatività e della fantasia. Inoltre c’è massimo impegno dell’intelligenza, dell’attenzione e della volontà.
Riassumendo si è ben compreso come il gioco sia non solo un mezzo ludico ma uno strumento di alta formazione da
un punto di vista:
PSICOLOGICO FISICO
Perché: Perché:
- Tempra le attitudini mentali; - Fa esprimere i propri impulsi motori in
- Crea un equilibrio psichico; ambienti liberi;
- Costruisce una moralità individuale; - Fortifica il corpo;
- Aiuta a socializzare; - Favorisce la coordinazione muscolare;
- Sviluppa una propria identità; - Migliora la tolleranza agli sforzi;
- Favorisce lo sviluppo cognitivo; - Aumenta la prontezza dei riflessi,
- Allenta la tensione e la noia; - Migliorano le capacità condizionali;
- Riduce lo stress;
- Grande utilità pedagogica
I giochi dunque migliorano sia l’aspetto fisiologico che quello psicologico, ma apportano beneficia anche sotto il
profilo pedagogico in quanto posso essere considerati una vera e propria scuola di creatività e formazione di valori.
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Attraverso i giochi, si cerca di creare la migliore condizione di attivazione fisica, mentale e sociale dei bambini per
poter iniziare l’attività motoria di gruppo o di squadra e ottenere da questa un vero beneficio e un efficace vantaggio.
Va da se che la pochezza delle proposte motorie attuali non corrispondono qualitativamente alle caratteristiche
biologiche dei bambini, alle loro strutture cognitive e non soddisfano i loro bisogni, così da non risultare motivanti e
efficaci per loro, non si può pensare che, se mai portati a termine tali attività possano rappresentare un tempo
efficacemente speso. Non si deve escludere che se l’attività fisica che si fa a scuola e al di fuori di essa viene a volta
forzatamente sopportata.
Bisogna arricchire l’ambiente, fornendo attività sempre più creative e che stimolino la voglia di fare, attraverso attività
adeguate ma anche efficaci. Tale efficacia si può analizzare dal volume, dall’intensità, dalla quantità dell’impegno
coordinativo, grado e dalla qualità del coinvolgimento cognitivo.
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Per definire e mettere a regime un sistema di raccolta dati sullo stato nutrizionale dei bambini di età compresa tra i 6
e i 10 anni che coinvolgesse le Regioni e che permettesse l’acquisizione di informazioni dirette su alcuni parametri
antropometrici, abitudini alimentari e attività fisica, il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) del
ministero della Salute e le Regioni hanno affidato al CNAPPS dell’ISS il coordinamento dell’iniziativa “OKkio alla
SALUTE - Promozione della salute e della crescita sana dei bambini della scuola primaria”, collegato al programma
europeo “Guadagnare salute” e al Piano nazionale di prevenzione.
Questa iniziativa ha tracciato il primo passo verso l’evoluzione di un sistema di sorveglianza sostenibile nel tempo (sia
per il sistema sanitario che per la scuola), nel e finalizzata a guidare gli interventi di sanità pubblica.
Materiali e metodi
L’approccio metodologico è quello della sorveglianza di popolazione, da effettuarsi con survey a cadenza bi-triennale
ripetuti su campioni rappresentativi della popolazione scolastica.
Popolazione studiata
Terza classe della scuola primaria, con bambini di età di 8-9 anni, sia per ragioni di carattere biologico, in quanto la
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situazione nutrizionale è ancora poco influenzata dalla pubertà, che per questioni di sviluppo cognitivo, essendo i
bambini di questa fascia di età già in grado di rispondere con precisione e validità alle domande poste in essere.
Come si svolge l’indagine
La raccolta delle informazioni avviene attraverso 4 strumenti:
scheda antropometrica, in cui sarà indicato il peso e la statura dei bambini, misurati dagli operatori dell’Asl
nelle scuole con strumenti forniti dall’ISS
questionario della scuola, compilato dal Direttore scolastico
questionario dei bambini, compilato dagli stessi bambini in classe
questionario dei genitori, compilato dai genitori.
Una volta effettuato il campionamento, le scuole con classi campionate per l’indagine devono essere informate dal
Referente scolastico regionale o provinciale alla salute e gli insegnanti delle classi saranno invitati a un incontro con gli
operatori sanitari per predisporre la raccolta dati. Ai Dirigenti scolastici viene richiesto di compilare un questionario su
alcuni elementi dell’ambiente scolastico che possono influire favorevolmente sulla salute dei bambini, da restituire
agli operatori sanitari il giorno in cui vengono effettuate le misurazioni nelle rispettive scuole.
Nell’incontro preparatorio verranno spiegati agli insegnanti gli obiettivi, le modalità dell’indagine e i termini della loro
collaborazione.
Agli insegnanti viene fornita una scheda con codici univoci anonimi da assegnare agli alunni. Viene chiesto loro di
scrivere il nome degli alunni nella scheda e di trascrivere il codice di ciascun alunno sul questionario e sulla busta per il
rispettivo genitore. Almeno cinque giorni prima della realizzazione dell’indagine nella propria classe, l’insegnante
consegnerà a ciascun alunno una busta bianca con il questionario per il genitore e l’informativa.
Ai genitori viene chiesto di riempire il questionario e di restituirlo nell’apposita busta chiusa, nonché di esprimere il
consenso alla misurazione del proprio figlio, attraverso la compilazione di una informativa a loro destinata.
L’insegnante conservale buste con i questionari e la scheda con codici univoci anonimi degli alunni.
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Il giorno dell’indagine l’insegnante consegna agli operatori della Asl le buste con i questionari dei genitori e le
rispettive informative compilate per il consenso o meno alla misurazione degli alunni. L’insegnante, insieme agli
operatori sanitari, compila una scheda con informazioni essenziali sulla classe (quali presenze, assenze, rifiuti), e
riporta il codice di ciascun bambino sul questionario che verrà somministrato a questi ultimi. I bambini rispondono per
iscritto e individualmente al questionario in aula, con gli operatori a disposizione per chiarire i loro possibili dubbi.
Dopo la somministrazione del questionario, gli operatori sanitari misurano i bambini (peso e statura) vestiti, uno alla
volta, in una stanza discreta, alla presenza dell’insegnante. Ai bambini viene chiesto di togliersi le scarpe ed eventuali
giubbotti o maglioni e di farsi pesare con le tasche vuote e senza cinta. Vengono misurati con strumenti ad elevata
precisione forniti dall’ISS: una bilancia e uno stadiometro. Oltre a peso e statura, vengono registrati su una scheda
l’età in mesi, il sesso e gli indumenti di ciascun bambino (usando una checklist, per poi tarare il peso in sede di analisi).
I dati vengono successivamente inseriti dagli operatori sanitari in una base dati predisposta a cura dell’ISS che
permette la loro analisi in forma aggregata per Asl e/o per Regione a seconda del livello di rappresentatività scelto per
il campione.
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I risultati dell’analisi vengono diffusi a livello di Asl, regionale e nazionale entro pochi mesi dalla raccolta, coinvolgendo
in modo particolare i referenti, gli operatori e le scuole che hanno partecipato all’indagine.
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L’Italia con questa sorveglianza partecipa da sempre all’iniziativa della Regione europea dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) “Childhood Obesity Surveillance Initiative – COSI” risultando, anche nell’ultima rilevazione, tra le
nazioni con i valori più elevati di eccesso ponderale nei bambini insieme ad altri Paesi dell’area mediterranea.
Il focus sugli stili di vita ha permesso di avere un quadro dettagliato sui principali stili alimentari, l’abitudine
all’esercizio fisico e alla sedentarietà e su alcune caratteristiche riguardanti i primi mesi di vita del bambino.
Abitudini alimentari
Nel 2019, l'abitudine a non consumare la prima colazione (8,7%) o a consumarla in maniera inadeguata (35,6%)
persiste negli anni, così come la fruizione di una merenda abbondante di metà mattina (55,2%). Il consumo non
quotidiano di frutta e/o verdura dei bambini, secondo quanto dichiarato dai genitori, rimane elevato (24,3%);
diminuisce, invece, l'assunzione giornaliera di bevande zuccherate e/o gassate (25,4%). I legumi sono consumati dal
38,4% dei bambini meno di una volta a settimana mentre il 48,3% e il 9,4% consuma rispettivamente snack dolci e
salati più di 3 giorni a settimana.
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Attività fisica
Gli indicatori riferiti all’attività fisica e al movimento sono pressoché stabili negli anni a indicare che c’è ancora molto
da fare in termini di promozione di corretti stili di vita. Il 20,3% dei bambini nel 2019 non ha svolto alcuna attività fisica
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il giorno precedente l’indagine, il 43,5% ha ancora la TV nella propria camera da letto e il 44,5% dei bambini trascorre
più di 2 ore al giorno davanti a TV/Tablet/Cellulare.
Ulteriori argomenti indagati hanno riguardato la percezione materna dello stato di salute dei propri figli (stato
ponderale, quantità di cibo assunta e attività fisica praticata), le iniziative scolastiche che possono favorire la
promozione degli stili di vita salutari e le infrastrutture disponibili.
Rispetto alle ore di sonno in un normale giorno feriale, fattore indicato in alcuni studi come associato all’obesità, i dati
2019 evidenziano che il 14,4% dei bambini, secondo quanto riportato dai genitori, dorme meno di 9 ore per notte.
Riguardo la percezione materna dello stato di salute dei propri figli, emerge che il 40,3% dei bambini in sovrappeso o
obesi è percepito dalla madre come sotto-normopeso; il 59,1% delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene
che il proprio figlio svolga attività fisica adeguata e tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 69,9% pensa che la
quantità di cibo assunta dal proprio figlio non sia eccessiva.
OKkio alla SALUTE 2019 ha coinvolto 2467 scuole e 2735 classi III della scuola primaria. Il 75% delle scuole campionate
ha la mensa, il 43% prevede la distribuzione di alimenti sani, l’81% prevede l’educazione nutrizionale curriculare, il
34% coinvolge i genitori nelle iniziative delle sane abitudini a tavola.
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Rispetto alla promozione del movimento, il 93% delle scuole prevede il rafforzamento dell’attività motoria e il 29%
coinvolge i genitori in queste iniziative.
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In Italia, come in altri Paesi europei, la necessità di seguire con attenzione la situazione nutrizionale della popolazione
generale e, in particolare, dei nostri bambini è fortemente supportata dall’acquisizione che l’obesità rappresenta un
problema prioritario di salute pubblica.
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CREATIVITA’
La creatività è un processo mentale per cui prima si raccolgono dati e successivamente si passa ad una sua
classificazione e organizzazione per trovare una soluzione a un problema posto. Ciò si effettua senza utilizzare un
processo logico ossia collegando informazioni in maniera imprevedibile con lo scopo di produrre un ordine nuovo. La
creatività è un modo per concretizzare l’astratto basandosi sulla convinzione che nessun problema è senza soluzione.
Secondo Guilford la creatività comprende:
la fluidità delle idee: ossia la capacità di produrre un gran numero di idee partendo da uno stimolo.
la flessibilità: ossia la capacità di fare imboccare al pensiero direzioni nuove.
l’elaborazione: ossia la capacità di creare nuove strutture utilizzando in modo nuovo elementi di una
configurazione precedente.
valutazione e ridefinizione: ossia la capacità di selezionare idee e di riorganizzarle in nuove forme.
originalità: ossia la capacità di pensare nuove e originali risposte prendendo in considerazione un’ipotesi e
indicandone il maggior numero di conseguenze.
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La creatività è presente in tutti gli uomini indipendentemente dall’intelligenza. Essa si sviluppa maggiormente nelle
relazioni, quando si deve risolvere un problema rapidamente, quando ci troviamo in un ambiente monotono privo di
stimoli, quando si hanno stimoli nuovi e quando precedentemente c’è stata una fase in cui viene spiegato cosa sia e a
cosa serve la creatività. Per sviluppare la creatività bisogna fare prima delle scelte. La prima scelta da fare è stabilire se
si vuole lavorare con un gruppo grande (7-8 persone) o con un gruppo piccolo (3-4 persone). La migliore scelta si
riflette però su un gruppo piccolo perché c’è più controllo e si vince più facilmente la timidezza riuscendo così a
lavorare meglio. Se però ci troviamo a lavorare con un gruppo grande per ottenere gli stessi risultati si può suddividere
il grande gruppo in piccoli gruppi. Dopo la formazione dei gruppi si dovrà definire il problema che si vuole affrontare.
Tra le tecniche di gruppo per sviluppare la creatività abbiamo:
• Il brainstorming
Con il termine “brainstorming” intendiamo letteralmente ‘tempesta di cervelli’; tale parola, composta da due termini
quali, appunto, brain (cervello) e storming (tempesta) fu coniata verso la fine degli anni ’30 quando un tale Osborne
utilizzò la tecnica del brainstorming in ambito prettamente pubblicitario. Per poter utilizzare questo approccio egli
coniò delle linee guida da dover seguire:
1. Non criticare le ideologie altrui
2. Accettare gli eventuali sconvolgimenti di idee
3. Dare inizialmente più importanza alla quantità di informazioni che alla qualità che si affinerà in un secondo
momento.
Questa tecnica si basa su un vero e proprio lavoro di gruppo, nella quale si utilizza prettamente il gioco creativo
sfruttando l’associazione di idee. Il fine del brainstorming è quello di creare alternative varie il più possibile in vista
della soluzione di un problema o eventualmente di una scelta da compiere.
Ma come funziona il brainstorming?
Ogni persona, all’interno del gruppo, viene stimolata nel produrre più idee possibili riguardo un tema specifico o un
problema da risolvere. Ogni idea viene colta e registrata in modo che, in un secondo momento, viene fatta la cernita
di quelle ‘migliori’. La cosa che viene in aiuto all’interno del gruppo, è che non esistono gerarchie perché ognuno può
esprimersi tramite una o più idee liberamente scambiando anche opinioni con gli altri compagni. Colui che coadiuva
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tutto si definisce facilitatore e/o intervistatore che terrà conto di tutte le idee proposte utilizzando degli elementi
chiave come post-it, lavagne a fogli mobili, LIM, cartelloni.
Avremo due fasi:
-fase divergente: fase d’esposizione iniziale nella quale si convogliano tutte le idee
-fase convergente: fase di cernita finale, mantenendo le idee che all’unisono risultano più efficaci e/o adeguate per
rispondere al problema presentato o riguardo al tema generale.
Infine, le idee verranno analizzate e perfezionate tramite la scala delle priorità.
• La sinettica
Sapendo che, la creatività si basa sulla coniugazione di idee o cose già esistenti per dare vita poi ad un prodotto
originale completamente diverso, potremmo dire che la sinettica sta alla sua base.
La parola sinettica deriva dal greco synectikos che significa “unione di elementi diversi ed apparentemente
irrilevanti’”. Dietro il pensiero sinettico troviamo una sorta di scoperta dei collegamenti che convogliano elementi
apparentemente non connessi fra loro, metodica grazie al quale si scardinano certe imposizioni mentali e le si
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assembla con il tentativo di crearsi nuove prospettive.
Il suo fondatore, W. Gordon, sviluppò tre principi fondamentali sui quali basò la teoria della sinettica:
1. Le persone possono essere più creative se comprendono al meglio i processi psicologici che stanno alla
base della creatività.
2. Fra componente emotiva ed intellettuale, nel creativo, ha la meglio la componente emotiva grazie alla
quale ha la meglio anche il lato irrazionale.
3. Per aumentare il successo nel processo creativo, bisogna comprendere al meglio tutti gli elementi
emotivi e irrazionali.
Gordon sosteneva che sussiste una connessione fra il mondo logico o convergente ed illogico. L’idea brillante può
svanire se non si ha la capacità di concretizzarlo.
Affinché si costruiscano le basi per una buona creatività, bisogna affinare le tecniche della sinettica:
- Analogia personale: Con tale tecnica identifichiamo personalmente un problema e gli elementi che lo
compongono. Per mettere in pratica tale tecnica bisogna chiedersi “se io fossi...?” e calarsi nelle vesti di una
persona, un oggetto o una situazione. Solo in questa maniera si ha una maggiore capacità di osservazione
dall’interno. Ciò permette di affrontare il problema o la situazione da un altro punto di vista per acquisire
nuove conoscenze.
- Analogia diretta: È una tecnica molto semplice perché permette di stabilire tipi di confronto diversi tra
conoscenze, tecnologie, oggetti e altro con un certo grado di somiglianza fra loro. Si parte da oggetti più
semplici fino ad arrivare a concetti più astratti. Grazie a questa tecnica riusciamo a liberare la parte della
mente non razionale generando nuove analogie e somiglianze tra idee o oggetti apparentemente lontani.
- Analogia simbolica: Anche definita “titolo del libro” tramite la quale si formulano affermazioni molto
compresse con senso anche letterale o poetico partendo da un tema o problema. Bisogna selezionare una
parola chiave relativa al problema e chiederci qual è il suo fulcro centrale per provare, successivamente, a
scoprire nuovi significati. Infine, bisogna integrare l’intera rete di significati scoperti creando proprio il titolo
di un libro. In effetti, a volte si generano titoli paradossali che riescono ad integrare, però, realtà diverse fra
loro aprendo il campo a nuove soluzioni.
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- Analogia fantastica: Tramite questa tecnica le forme di pensiero logico e razionale si isolano liberando
completamente la fantasia. Si parte da un problema specifico, permettendoci all’espressione di pensieri
sconnessi ed estranei, spesso, al senso ordinario. Così, generiamo soluzioni immaginarie e fantasiose ma che
possono condurre a risposte concrete e realizzabili. Con questa tecnica ci si scosta da blocchi mentali ed
anche se all’inizio le idee possono risultare un po’ bizzarre praticandole ci aprono gradualmente ad un mondo
nuovo ed a prospettive diverse unite a percezioni che distruggono inerzia psicologica e soprattutto ci
distaccano dalla convenzionale comfort zone.
I sei cappelli quindi favoriscono l’attivazione di aree diverse del cervello, facendoci vedere le cose in maniera diversa.
Il cappello bianco: rappresenta la neutralità, ci permette di analizzare i dati come se fossimo un pc, catalogandoli
analizzandoli così come sono, senza giudizi o interpretazioni.
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Il cappello rosso: rappresenta le emozioni, ci permette di tirar fuori le sensazioni, le intuizioni e i presentimenti, ci
permette di far uscire le emozioni viscerali, non mediate dalla ragione o razionalità.
Il cappello giallo: rappresenta la positività e l’ottimismo, quando lo indossiamo, fa uscire i pensieri positivi, che ci
permettono di analizzare le situazioni con la volontà di estrapolare nuove prospettive, idee positive, propositive per
migliorare le situazioni
Il cappello nero: è quello della negatività, ci fa analizzare e capire tuti gli aspetti negativi o aspetti che possono portare
ad una svolta negativa del nostro problema. Questo cappello ci deve aiutare a valutare le lacune o le negatività che
possono portare il nostro problema verso gli ostacoli, facendoceli così analizzare, valutare ed eliminare.
Il cappello verde: è quello della creatività è il cappello che si indossa tendenzialmente per più tempo, ci permette di
estrapolare le idee creative e soluzioni possibili, è quel cappello che ci permette di uscire dagli schemi rigidi in cui
siamo spesso intrappolati per trovare soluzioni geniali nella risoluzione dei problemi.
Il cappello blu: il cappello degli altri punti di vista, ci permette di guardare il problema da un altro punto di vista,
distaccato e sotto tutti gli aspetti, cercando attraverso un metodo pratico di risolverlo.
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Questa tecnica può tornare utile in un contesto di gruppo ma anche in maniera personale nella vita di tutti i giorni,
perché rimanendo pur sempre “noi stessi” riusciamo tramite l’emozione e tramite la razionalità a dar vita a una
prospettiva diversa che probabilmente, indossando un unico e solo cappello non avremmo mai generato, separando
forzatamente gli elementi del nostro pensiero, ragionando prima per compartimenti stagni analizzando le varie
situazioni e caratteristiche del problema per poi mescolare i vari dati ed emozioni per trovare una soluzione nuova.
Potremmo dunque aggiungere che la creatività è una modalità di pensiero legata al funzionamento globale della
mente.
Possiamo distinguere due tipi di pensiero:
Il pensiero convergente: è caratterizzato dalla ripetizione di ciò che è stato già appreso e dell’adattare vecchie
risposte a situazioni nuove. Esso è orientato verso la giusta soluzione.
Il pensiero divergente: implica fluidità, flessibilità e originalità e riguarda la produzione di idee nuove e numerose.
Esso ricorre dove un problema è ancora da definire o scoprire e dove esiste alcuna indicazione per risolverlo.
Avviene assai più comunemente che una nuova idea si presenta quasi spontaneamente, nascendo spesso dal nulla. Un
esempio può capitare che la soluzione di un problema si presenti in un sogno. Queste ispirazioni si presentano se la
persona in questione non si è immersa profondamente in un dato argomento. In genere l’ispirazione iniziale non è
altro che il punto di partenza al quale seguono lunghe ore e lunghe giornate di assidua fatica. Infatti l’immaginazione
creativa agisce soprattutto nell’inconscio. Molti psicologi ritengono che qualcosa di analogo si svolga nell’inconscio
quando un individuo ha riflettuto su un problema tentando di risolverlo mediante un processo conscio. L’inconscio
respinge determinate combinazioni perché prive d’importanza mentre afferra il valore di altre. In questo modo
l’inconscio è capace di risolvere i problemi. Possiamo dedurre che la creatività è la capacità di vedere e di rispondere.
Vi è una differenza tra gli adulti e i bambini, questa differenza consiste nel fatto che i bambini riescono a conservare la
capacità di meravigliarsi e di rimanere sorpresi di fronte ad un evento ed è appunto per questo che la loro reazione è
creativa. Invece gli adulti una volta immersi nel processo educativo perdono questa capacità di ammirare e di restare
stupiti.
La prima premessa per la creatività sarebbe quella di non perdere lo stupore, la seconda premessa sarebbe imparare
ad affinare la capacità di concretizzazione. Quest’ultima è una capacità rara perché siamo sempre affaccendati e non
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ci concentriamo mai, mentre stiamo facendo una cosa pensiamo già a quella che faremo dopo. La terza premessa
della creatività è la capacità di accettare il conflitto e la tensione che vi scaturisce anziché evitarli. I conflitti sono la
fonte della meraviglia, chi li evita diventa una macchina che funziona senza intoppi nella quale tutti i desideri
diventano automatici e tutti i sentimenti vengono schiacciati. Potremmo paragonare la creatività ad un incontro; ad
esempio l’artista prima di realizzare un dipinto incontra il paesaggio.
Esiste, infatti, la differenza tra la creatività evasiva e quella genuina. La creatività evasiva è caratterizzata dalla
mancanza dell’incontro, mentre la creatività genuina è caratterizzata proprio dall’incontro, parte fondamentale per
generare nuove idee e nutrire la fantasia.
Le condizioni interiori dell’individuo con un atto creativo sono:
• Apertura all’esperienza: estensibilità. Se l’individuo dispone di una coscienza sensibile elevata possiamo essere
sicuri che la sua creatività sarà costruttiva in senso personale e sociale.
• Un luogo interiore di valutazione. La condizione fondamentale è che la fonte o il luogo del giudizio valutativo sia
interiore.
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• La capacità di dilettarsi con gli elementi e i concetti.
Un’altra causa concomitante è l’ansia dell’isolamento. Un’altra esperienza che si accompagna alla creatività è il
desiderio di comunicare. È poco probabile che un individuo possa creare senza desiderare di condividere la propria
creazione. Perché questa è l’unica maniera che gli consente di placare l’angoscia dell’isolamento e di convincersi di
appartenere al gruppo. L’individuo non crea allo scopo di comunicare però dopo aver creato desidera condividere con
altri questo nuovo aspetto di se stesso. È necessario favorire la creatività costruttiva allorché si istauri una condizione
di sicurezza e di libertà psicologiche.
• Sicurezza psicologica
Essa può essere stabilita mediante 3 processi:
1- accettare l’individuo come un valore incondizionato
2- stabilire un clima nel quale manchino le valutazioni esteriori
3- comprendere partecipando
• Libertà psicologica
La creatività è incoraggiata dall’insegnante, dal genitore o da chiunque altro assista educativamente purché
consentono all’individuo una completa libertà di espressione di pensiero. Ciò favorisce l’apertura con i concetti e i
significati che rappresentano uno degli elementi della creatività.
Alcune ipotesi possono assumere un carattere più specifico.
Ipotesi relative alle condizioni interiori
Ipotesi relative alla promozione della creatività costruttiva
Un individuo per essere creativo deve avere determinate caratteristiche come l’amore per un’idea, l’impegno totale,
concentrazione confronto, piacere, estasi, ecc. Altre caratteristiche sono il desiderio di crescere, la capacità di stupire,
la consapevolezza, la spontaneità, la flessibilità naturale, la flessibilità adattativi, l’originalità, il pensiero divergente,
l’apprendimento, l’apertura alle nuove esperienze, l’assenza di confini, la produzione, la spontanea volontà di
produrre, l’abbandono, l’abbandonarsi, il nascere tutti i giorni, il rifiuto di ciò che non è importante, la persistenza,
l’assiduità nel lavoro, la differenziazione, l’integrazione, l’essere in pace con il mondo, l’armonia, l’onestà, l’umiltà,
l’entusiasmo, l’integrità, la maturità interiore, l’autorealizzazione, lo scetticismo, l’audacia, la fede, il coraggio, la
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spontanea volontà di essere solo. La creatività è una caratteristica fondamentale che tutti gli essere umani possiedono
alla nascita e che alla maggior parte dei casi si smarrisce a mano a mano che l’uomo si lascia assimilare nella civiltà.
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Detto ciò, vediamo cosa li differenzia veramente dallo sport vero e proprio?
Per prima cosa ciò che li differisce sono le regole; se nel calcio non subiscono cambiamenti continui e rimangono le
stesse da secoli, le regole degli Egames subiscono dei cambiamenti continui che possono o meno piacere al pubblico
che va a visionare i giocatori che partecipano a queste manifestazioni. Molto spesso i montepremi per i vincitori
vengono sovvenzionanti dalle case produttrici dei videogiochi stessi che hanno parecchio interesse nel riscuotere
successo dagli eventi di intrattenimento.
A detta di chi vi è all’interno di questo mondo, essere un giocatore Esports crea non poche tensioni fisiche, maggiori
persino rispetto a chi pratica sport fisici poiché esistono incontri virtuali che durano ore e il cui unico sfogo avviene sul
Joystick utilizzato.
I giochi solitamente si strutturano a squadre, sebbene sia possibile anche competere con giochi a giocatore singolo,
cercando di ottenere il maggior punteggio. I generi più comuni sono:
Strategici in tempo reale: ovvero videogiochi di tipo strategico che avvengono in maniera fluida e continua
consentendo al giocatore di controllare, quindi utilizzare strategia, in maniera costante ed un esempio di
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questa categoria potrebbe essere Warcraft.
Sparatutto in prima persona: come suggerisce il nome stesso, il giocatore adotta una visuale in prima
persona vedendo sullo schermo ciò che avverrebbe se fosse una situazione vissuta nella realtà.
Massively multiplayer online: In questa tipologia di gioco, più competitori sono connessi sulla piattaforma di
gioco online e spesso, si costruisce una vera e propria realtà virtuale. Non solo si può giocare, ma si crea una
rete di contatto fra i giocatori che fino ad allora erano dei perfetti sconosciuti.
Multiplayer Online Battle Arena: Qui, troviamo vere e proprie squadre che hanno l’obiettivo di distruggersi
l’un l’altro preservando la propria “base” o “territorio”.
Sono giocati competitivamente come già detto a livello amatoriale, semiprofessionistico e professionistico e vengono
organizzati campionati e tornei, sia online che dal vivo.
I tornei che vengono svolti in presenza sono organizzati regolarmente con arbitri e commentatori specializzati nello
specifico gioco, mentre altri si tengono spesso tramite piattaforme online.
Il loro inizio è meno recente di quanto si pensi, si sono sviluppati negli anni ’80 per poi arrivare ad oggi, dove si conta
un fatturato di addirittura 2.000.000 milioni di dollari con un pubblico parecchio attivo ed interessato, specie per gli
eventi che si svolgono in tempo reale dove si riempiono intere platee come fossimo allo stadio.
In Italia ancora questa tipologia di “sport” non si è evoluta come in molti altri Paesi esteri, come la Cina, Il Giappone, il
Regno Unito o la Polonia dove si svolge uno fra gli eventi più importanti di Egames. Da qualche notizia si sa che delle
giovani leve italiane si stanno pian piano facendo strada in questo mondo complesso che può essere compreso
solamente da chi ci è dentro.
Tra le competizioni internazionali più note vi sono il World Cyber Games, l'Electronic Sports World Cup,
il DreamHack ed i diversi tornei annuali organizzati da ESL (originariamente Electronic Sports League) e MLG (Major
League Gaming).
I videogiochi rappresentano l’evoluzione del gioco all’aria aperta del passato. E’ meno frequente, come trattato in altri
argomenti, incontrare dei bambini che giocano per strada ma molto più abituale ritrovarli in casa dinanzi ai
videogames. Su molti fronti, l’evoluzione del videogioco ha visto una vera e propria formazione di “una vita
alternativa” nella quale interpretare nuovi ruoli ed esplorare nuovi ambienti. Oggi, un videogioco non è più un solo
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gioco proiettato su uno schermo ma offre persino occasioni di socializzazione virtuale ed una sorta di confronto fra le
parti. Come abbiamo visto per gli ESPORTS ci stiamo spostando verso la creazione di un mondo che offre qualcosa in
più rispetto alla distrazione passiva e che coinvolge fasce d’età anche adulte. In alcuni videogiochi, c’è la possibilità di
ricreare un vero e proprio avatar quindi la possibilità di dare forma alla propria immagine corporea e di approfondire
le abilità di problem solving. Secondo degli studi condotti qualche anno fa, il videogioco è stato valutato diversamente
rispetto alle critiche che ha sempre ricevuto come elemento di distrazione che crea sedentarietà e morte della
creatività. E’ stato studiato come il videogioco possa divenire una vera e propria “palestra sociale” creando una forma
di benessere mentale favorendo l’interazione fra pari. Inoltre, pare si possa riscontrare nei giochi virtuali un fondo
emotivo che consente al giocatore di traslare nella realtà metodiche di risoluzione utilizzate nel gioco.
Se dovessimo tradurre tali studi in concetti, verrebbe da se capire che tali esperienze di gioco creano una sorta di
motivazione in chi vi gioca, una focalizzazione sugli obiettivi o, ad esempio, per i videogiochi di gruppo creano una
tendenza alla coesione, alla collaborazione ed al perfezionamento delle proprie abilità. Certo è che per i videogiochi di
tipo “aggressivo “tutt’ora si erigono controversie perché se è vero quanto suddetto, potrebbero essere
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controproducenti e potrebbero indurre a scaricare la frustrazione o il malessere personale solo su fronti virtuali.
Ciò che è stato appurato tramite questi studi è che ci si sta sempre più orientando verso una forma di “edutainment”
ovvero una sorta di incontro fra “educazione ed intrattenimento” che se ad oggi si trova in uno stato embrionale
presto potrebbe prendere vera e propria forma creando una connessione fra mondo reale e mondo virtuale
permettendo uno sviluppo personale poliedrico e risolutivo. Come l’apprendimento possa avvenire è stato catalogato
in due modi:
1. Apprendimento esplicito: acquisizione esplicita, appunto, di valori, regole, riti,
contesti narrativi e di gioco.
2. Apprendimento collaterale: Basato sull’acquisizione e sullo sviluppo di
competenze funzionali al gioco ma anche alla vita reale.
Negli Egames o Esports di nostro interesse, è stato valutato in maniera positiva l’apprendimento sia esplicito che
collaterale notando un rafforzamento degli aspetti cognitivi e persino delle relazioni amicali e familiari, l’astinenza
all’uso di droghe o alcol. E’ ancora in fase di studio il capire se effettivamente gli e-sports possano avere sul corpo gli
stessi potenziali effetti benefici che possiede l’attività fisica.
Se da un lato questa sfera del nuovo mondo sportivo desta dubbi, desta considerazioni che cercano ulteriore
conferme e desta paure sul fronte dell’isolamento con la realtà, con il sociale e con la tangibilità di emozioni vere,
dall’altra si tende a dare un’opportunità in quanto è stato visto che se ci si immerge con moderazione e controllo
possono forgiare aspetti che ritornano utili nella vita di tutti i giorni, acquisendo abilità, acquisendo capacità
relazionali, di problem solving, di investimento su se stessi e di perseguimento dei propri obiettivi.
D’altra parte, da qui ai prossimi dieci anni verremo ulteriormente stravolti da innumerevoli scoperte tecnologiche che
non ci permetterebbero più, in ogni caso, di avere contatti con il passato se non risalendo alle generazioni che hanno
potuto conoscere il gioco solo dal punto di vista reale.
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L’ANIMAZIONE
Molto spesso c’è capitato di sentir parlare di questa figura, probabilmente dandone per scontato il senso. In realtà,
l’origine di tale parola nasconde dei significati importanti.
La parola di origine latina, ricavata dal verbo anim-a-re mediante l’aggiunta del suffisso astrattizzante-tio
(indoeuropeo -ti-), forma prettamente nomi di azione.
In senso proprio animatio, -onis si può dunque definire come infatti il sostantivo anima, propriamente ‘alito, respiro’,
poi ‘principio di vita’, ‘anima’.
Secondo Cicerone, addirittura, il significato nascosto nella parola animazione trovava fondamento nell’espressione
“corpi celesti animati da mente divina.”
Il primo probabilmente ad aver trovato, però, nella parola e nella figura dell’animatore un senso di concretezza fu
Sant’Agostino. Egli approfondì nella parola un significato prettamente educativo-pedagogico, con “risveglio
dell’interesse” nell’uditore e quindi come mezzo di insegnamento utile per chi ascolta.
Nel corso dei secoli, ha trovato spazio in innumerevoli campi che andremo a scoprire poco a poco.
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L’animazione rappresenta, oggi, il connubio fra divertimento, educazione, apprendimento, socializzazione, unione. E’
una figura ritracciabile sotto diversi aspetti a secondo dei campi d’interesse che possono essere:
1. Socio-Pedagogico-Culturale: Tale figura trova azione nel campo prettamente educativo, nello sviluppo delle
dinamiche sociali e culturali. I loro principali interventi si sviluppano nel territorio e nelle comunità con alla
base un principio d’educazione liberatrice volta allo sviluppo dell’emozioni, del miglioramento delle capacità
espressive delle persone. Tale ramo dell’animazione potremmo definirlo come il caposaldo, in quando da
esso si sviscerano i successivi rami. Se dovessimo ulteriormente approfondare il lato culturale potremmo
senz’altro dire che l’animazione si veste di un mezzo valido dal punto di vista sia extrascolastico che
scolastico. L’animazione culturale si fonda come vera e propria teoria educativa con metodi validi e strumenti
specifici, alla ricerca di una costruzione propria e della propria identità.
2. Sanitario: Probabilmente tale figura troverà anche spazio nelle lezioni legate al volontariato. Animazione e
volontariato possono creare una sinergia magnifica nel campo sanitario. Tale tipologia di animazione ci torna
utile sia se ci riferiamo a soggetti giovani ma anche se ci rivolgiamo al settore anziano. Spesso, l’animazione
sanitaria porta momenti di allegria là dove, purtroppo, ritroviamo determinate tipologie d’ambiente
“difficile”. L’animatore che possiamo ritrovare in ambito ospedaliero, si occupa di interagire positivamente in
reparti d’ospedale o cliniche private con pazienti fragili già da giovane età. Ma, ci torna ulteriormente utile in
sedi come RSA o case di cura portando invece assistenza e buon umore a uomini e donne anziane che si
trovano a trascorrere le loro ore in delle strutture.
3. Teatrale: Di questo tipo di settore sentiamo parlare spesso, perché la figura dell’animatore teatrale conta
figure storiche e citazioni ben più antiche. Questa tipologia di animazione trova fondamento nella libera
espressione, nella fantasia e nel gioco nonché nell’allegria per poter distruggere le paure e le inibizioni e
lasciare spazio alla libertà ed al teatro come mezzo di vita.
L'animazione teatrale non è solo un approccio ludico a qualsivoglia iniziativa di gruppo, o un modo giocoso
per fare le cose assieme o sfruttare le tecniche di derivazione teatrale per aumentare l'affiatamento di una
massa inizialmente eterogenea di persone, ma un modo per "tirare fuori" le risorse che ognuno di noi
possiede dentro di sé e che spesso non sappiamo nemmeno di avere.
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Potremmo considerare la figura dell’animazione ulteriormente in altri due ambiti, come quello dell’animazione nel
settore turistico o come quello che si occupa di applicare metodiche di lavoro riguardo le dinamiche di gruppo o la
comunicazione interpersonale. Tuttavia, secondo degli studi tali figure non sono effettivamente considerare
propriamente “d’animazione”.
L'approccio ludico nel senso infantile è in realtà una cosa molto seria e "animare" significa per i bambini aiutarli a
crescere senza perdere la capacità che hanno di giocare con il mondo, e per i più grandi recuperare questa capacità,
contro l'appiattimento e l'omologazione consumistica o formale che la società spesso impone.
Si potrebbe dire che l'animazione teatrale è esattamente il contrario di altre forme di "animazione", da discoteca o da
spiaggia.
Oltre ai suoi campi d’interesse potremmo suddividere l’animazione sotto le branche d’applicazione:
Attività ludiche: Per attività ai fini ludici, possiamo includere tutto quelle che hanno come fulcro il gioco; che
sia esso individuale, collettivo, di fantasia. Per attività ludiche possiamo riferirci a tutte quelle attività
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d’aggregazione ed a scopo ricreativo, quindi quelle all’aperto o al chiuso oppure quelle di quiete o di
movimento o ancora quelli con attività motoria o da tavola.
Attività espressive: Con “espressive” sottintendiamo tutte quelle attività che aiutano nell’esprimersi per
mezzo del corpo ad esempio come si fa con il canto, con la dizione ed unita al movimento come si fa con il
teatro, lo spettacolo, la danza. Attività espressive possono considerarsi anche l’arte, la pittura, la fotografia
che si identificano come mezzo d’espressione a 360°.
Attività manuali: Sono tutte quelle azioni compiute con l’ausilio delle mani come ad esempio avviene in fase
d’infanzia con i bambini che maneggiano il pongo, i colori eccetera.
LA FIGURA DELL’ANIMATORE
La figura dell’animatore non è una figura così semplice come erroneamente si tenderebbe a pensare, né lo è la sua
attività all’interno di un contesto ben definito. Ha dei compiti ben precisi ma soprattutto, conserva delle responsabilità
nascoste.
In ambiti d’interesse esiste un decalogo che definisce come dovrebbe essere la figura di un animatore, andiamo a
sviscerarlo:
1. Un buon animatore deve poter essere credente o quanto meno saper provare l’amore verso il prossimo:
Effettivamente come si potrebbe prendere cura di qualcuno se non si approfondisce il senso di premura e d’amore
verso il prossimo? E’ così che l’animatore riesce ad accogliere i suoi ragazzi ed a sua volta insegnare loro quel senso di
accoglienza, d’unione e di accettazione.
2. Impara a voler bene ai propri ragazzi ed a trascorrere del tempo con loro: questo aspetto torna utile perché con i
ragazzi bisogna creare un legame vero e proprio imparando a conoscere ed accettare i loro pregi e difetti. Loro
diventano i veri e propri protagonisti a cui rivolgere il nostro totale interesse poiché l’animatore e la loro esperienza
con esso può rappresentare una tappa importante della loro crescita. Non deve assolutamente passare il messaggio
che il ruolo rivestito in quell’occasione sia svogliata, momentanea ed occasione o fatta con secondi fini se non quelli
di fare del bene, divertirsi, riuscendo a captare l’emozioni di chi lo circonda ed avendo l’umiltà di mettersi in
discussione.
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3. Sa ascoltare ed osservare: Un animatore deve possedere l’arte dell’ascolto, non interrompendo e lasciando il
tempo necessario affinché l’altro si esprima poiché gli altri potrebbero avere sempre un sacco di cose da dirci o
semplicemente raccontarci e qualcosa di bello per sorprenderci.
4. Conosce i propri ragazzi, conosce la loro storia ed i loro nome: L’animatore deve diventare quasi un amico dei
propri ragazzi. Deve conoscerne il loro nome, la loro età, i loro interessi generali, i loro tempi d’attenzione ed ancora
conoscere l’ambiente da cui proviene e la famiglia. Sembrerebbe difficile ricordare tutto quanto, ma nel momento in
cui si è capaci di immedesimarsi completamente nel proprio ruolo, l’animatore saprà essere competente mostrandosi
interessato al ragazzo.
5. Sa amalgamarsi nel gruppo ed a sua volta creare altri gruppi d’aggregazione senza isolarsi: L’animatore sa bene
che non deve mai agire da solo, bensì avvalersi della propria fantasia e di chi lo circonda per creare attività fantasiose
e ricreative senza la paura di mettersi in gioco. Oltre a lui, l’animatore sa che ci sono una serie di persone che possono
aiutarlo ai fini educativi ed infatti considera gli altri animatori dei “compagni di viaggio” e non dei rivali. Il senso di
coesione e collaborazione comporta sicuramente dei successi e chi pensa il contrario ha già perso in partenza.
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6. E’ una persona brillante, intelligente, creativa e “sprint”: L’animatore sa essere originale, caparbio, facendo anche
cose stravaganti. Se siamo capaci di essere “sprint” sappiamo comunicare la gioia e la voglia di vivere a chi ci circonda.
L’animatore deve essere competente specializzandosi più o meno in cose tecniche. Maggiori saranno le sue
competenze, maggiori saranno le attività che riuscirà a ricreare.
7.Non teme il giudizio altrui, sa mettersi in gioco: Come già detto, l’animatore non deve provare vergogna, perché
bisogna avere lo spirito avventuriero e bambino. La qualità più importante è essere capaci di sorridere ancora alla vita
e farsi sorprendere dalle piccole cose.
8. Conosce le sue responsabilità, il suo ruolo e sa sfruttare le sue carte al meglio: Nonostante le qualità suddette,
l’animatore deve saper essere autorevole ma non autoritario, facendo rispettare il proprio ruolo e non diventando
l’amico di tutti. Deve saper essere camaleontico, ovvero saper giocare coi ragazzi ma allo stesso tempo non perdere il
controllo e non farsi sommergere dagli eventi. Occhi e mente devono saper gestire, piedi e mani rivolti verso i bambini
o i ragazzi.
9. Vuole essere competente, perché sa che il suo ruolo non è scontato: Non ci deve mai essere improvvisazione.
Tutto ciò che si dice o si fa ha uno scopo e ci deve aggiornamento costante e continuo grazie a libri,corsi di
formazione, video e scambio di idee con altri animatori.
10. Sa come organizzarsi: Ultima, ma non ultima la sua capacità deve saper essere quella di organizzazione, creando
delle attività con un inizio ed una fine ben precisi a secondo del gruppo che ha davanti e sapendo anche risolvere gli
eventuali imprevisti.
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Sono tre le caratteristiche che quindi si mescolano all’interno della persona che veste i panni dell’animatore:
Se quindi abbiamo sviscerato le qualità positive che deve possedere l’animatore, non possiamo non dire quindi come
NON dovrebbe essere un animatore:
1. Non si sa mettere in gioco, si vergogna e non sa amare il prossimo ma soprattutto non sa ridere di se stesso e con gli
altri.
2. Non sa osservare gli altri, immedesimarsi nei loro problemi, conoscere gli altri ed avere un senso d’ascolto profondo
ma soprattutto non avere empatia.
3. Non sa creare un ambiente disteso in cui vige la collaborazione, ha come attitudine la brutta “arte” del criticare e
quindi si comporta in modo eccessivamente competitivo.
4. E’ sempre stanco, non ha voglia di stare insieme agli altri ed è sempre svogliato.
5. Non riconosce nel suo ruolo qualcosa di serio, vede l’attività di animazione come qualcosa di momentaneo in
mancanza d’altro, non vuole sporcarsi le mani e rimane sempre sulle sue.
Mi preme ricordare una meravigliosa frase che disse San Giovanni Bosco “l’educazione è una cosa che proviene dal
cuore”. Se vogliamo capire una persona, il compito è saper arrivare al cuore della persona. Riuscire ad immedesimarsi
nella vita dell’altro ci rende capaci di qualcosa di meraviglioso e capaci di scoprire mondi che magari c’erano
sconosciuti.
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IL VOLONTARIATO
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Il dizionario Treccani ci suggerisce che la parola volontariato indica l’attività di arruolamento volontario, appunto, nel
prestare servizio in maniera del tutto gratuita della propria opera e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di
persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a
emergenze occasionali oppure come servizio continuo o verso coloro i quali necessitano di una presenza attiva e
costante. Esistono veri e propri enti riconosciuti per la loro attività di volontariato oppure esistono enti non
giuridicamente riconosciuti perché non autonomi ma che comunque svolgono attività di volontariato a tutti gli effetti.
Per quanto riguarda il nostro Paese, esiste una legge italiana che regola il volontariato come organizzazione delle
associazioni con caratteristiche specifiche previste dalla legge 266/1991, che sono le seguenti:
Operazioni non a scopo di lucro1;
Formazione di strutture altamente democratiche, senza gerarchie ben precise.
Colori i quali aderiscono, ovvero coloro ai quali i volontari prestano il servizio, non versano assolutamente
alcuna somma in denaro.
Divieto assoluto di retribuzione degli operatori soci delle associazioni
In che modo il volontariato oggi ci viene in aiuto? E’ un campo in via di scoperta che sta risultando utile anche nei
casi in cui le Istituzioni non permettono la loro totale presenza. Il volontario è qualcosa che decide di “essere” e
donarsi a tutti gli effetti, è una forma di propensione innata verso l’altro e quindi l’assumere un vero e proprio
atteggiamento mentale, emotivo con l’attitudine a darsi all’altro ed all’ascolto oltre che all’empatia, caratteristica
già vista nell’animatore. Grazie ai volontari si crea un ambiente sociale e di aggregazione di cui ognuno si avvale
nel momento di profondo bisogno, pertanto è un ottimo investito per ognuno.
1
Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del terzo settore, solo le spese sostenute e documentate per
l’attività prestata. Sono vietati rimborsi di tipo forfettario. Tali spese comunque non possono superare le 10€
giornaliere e 150€ mensili.
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COSA FA IL VOLONTARIO?
Chi decide di rivestire tale “ruolo” sa benissimo che è chiamato a svolgere una vera e propria missione sapendo
mescolare le proprie capacità tecniche e professionali insieme ad un atteggiamento emotivo, umano, psicologico.
Egli, sa di dover essere pronto ad accogliere gli stati d’animo altrui, le situazioni difficoltose che lo potrebbero
incontrare. Il volontario, nel momento in cui decide di “essere”, si immerge in tutto il lavoro ed esprime la sua
persona in modo integrale. Si può indossare anche una divisa per compiere la propria attività ma essere un
VOLONTARIO è un abito più mentale che estetico e diventa parte della propria identità.
Dovremmo riuscire a far ampliare la cultura del volontario specie fra i giovani già nell’ambiente scolastico ed
extrascolastico.
Vi starete chiedendo perché si dovrebbe svolgere un’attività senza scopo di lucro. In realtà in semplice fatto di
dare aiuto a chi ne ha più bisogno dovrebbe essere una valida motivazione. Ma se così non bastasse vi illustrerò di
seguito alcune delle opportunità buone che regala l’essere un volontario:
Da un esempio alle giovani generazioni trasmettendo il valore dell’insegnamento, del dare un qualcosa
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all’altro in maniera gratuita e garantendo a colori ai quali prestiamo il servizio un futuro formativo più
concreto ed importante.
Essere volontario aiuta anche nella vita normale ad esempio sul lavoro comprendendo l’importanza del
lavoro di squadra senza creare ambienti negativi o eccessivamente competitivi. Per giunta aiuta anche
nel conoscere gente nuova che potrebbe aiutarci nella vita di tutti i giorni o darci una mano se abbiamo
bisogno.
Sviluppa innumerevoli competenze permettendoci di metterci alla prova in più campi e situazioni
apprendendo anche nuove competenze.
Aiuta a creare nuovi legami e conoscere gente altruista, allegra, simpatica, disinteressata e positiva.
Caratteristiche che fanno bene al cuore ed all’anima nella vita di tutti i giorni.
Riempie la propria vita di sentimenti buoni, non di cose meramente effimeri, dato che già le nuove
generazioni sono rilegate a stereotipi digitali e privi di emozioni vere. Fare volontariato ci permettere di
mettere in circolo idee, di fare nuove esperienze.
Ci permette di viaggiare perché spesso con le associazioni si può viaggiare o scegliere attività che ci
vedono spostare in altri contesti. Il turismo insieme ad un gruppo potrebbe essere un’occasione per
migliorare se stessi e guardare il mondo con nuovi occhi.
Insegna ad essere grati alla vita, a dire grazie e ad approfondire sentimenti buoni e puliti perché spesso
non si è grati alla propria vita, immergersi però in contesti difficili ci aiuta a capire che esiste chi non ha
davvero tutto e cambia la prospettiva di vita.
Esistono numerose associazioni ed attività di volontariato dalle più conosciute alle meno conosciute. Ne scopriremo
qualcuna insieme :
1. Associazione VIP: L’acronimo VIP sta per “VIVIAMOINPOSITIVO” ed è una federazione che coordina più di 70
associazioni sparse nel territorio italiano .Le finalità principali di VIP Italia sono:
promuovere attività di volontariato clown in strutture pubbliche e private, nonché in tutti quei luoghi in cui
sia presente uno stato di disagio fisico o psichico.
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fornire e garantire una Formazione costante avanzata e specialistica, agli otre 4700 volontari clown che
prestano regolarmente servizio nelle oltre 200 strutture ospedaliere e sanitarie in tutta Italia.
promuovere il Vivere in Positivo e il volontariato Clown in ogni situazione di disagio fisico o sociale, non solo
in Italia, ma anche nei paesi dove promuoviamo progetti missione.
sensibilizzare al Vivere in Positivo attraverso eventi, pubblicazioni e testimonianze.
Tale associazione nasce a Torino nel 1997 e riscuote subito della curiosità. Negli anni successivi, dal 2000 in poi anche
altre città italiane iniziano ad aderire a tale progetti formando gruppi di volontari “clown” che prestano servizio per
bambini, adulti ed anziani in strutture ospedaliere. Da qui nascono le prime associazioni VIP. Nel 2003 in occasione del
raduno nazione tramite la formazione di 10 associazioni VIP nasce la FEDERAZIONE VIP VIVIAMOINPOSITIVO Italia
Onlus. Ad oggi VIP Italia conta più di 70 associazioni e inoltre il fenomeno si è espanso in Argentina ed in Costa
D’Avorio. Essere un “VIP” consente di avere a che fare con un pubblico apparentemente difficile ma che in realtà ha
voglia di fare l’unica cosa che noi altri diamo per scontata ogni giorno: SORRIDERE ED ESSERE FELICE. La mission è
costante e continua, con innumerevoli corsi di formazione ed aggiornamento per poter permettere di dare il massimo
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del servizio in ogni struttura di interesse.
2. Pet Therapy: C’è chi la considera un’attività a tutti gli effetti chi la considera ancora come un’attività di volontariato.
In realtà può rivestire entrambi i ruoli a secondo dei contesti in cui la ritroviamo. Concentrandoci sul secondo, in molti
ambiti viene proposta dai volontari come approfondimento delle proprie emozioni e come approfondimento degli
aspetti cognitivi del bambino o dell’adulto l’attività di pet therapy. Il neologismo ha derivazione anglosassone, ma
letteralmente significa la terapia dell’animale. E’ una cooterapia che negli ultimi anni ha preso sopravvento e si
affianca agli interventi socio-sanitari già preesistenti. Può essere impiegata su pazienti di ogni età, affetti anche da
patologie perché la scienza negli ultimi anni ha dimostrato la potenziale ed importante funzionalità che riscuote sul
miglioramento dello stato di salute. In realtà, la teoria trova fondamento nella Teoria di Levinson, teoria sviluppatasi
gli anni 50 quando Levinson, un medico e scienziato, aveva in cura un bambino autistico che però non mostrava
progressi alla sua malattia. Un giorno, Levinson si trovò nel suo studio insieme al bambino ed ai suoi familiari e
casualmente si trovava lì il suo cane. Quando il cane avvistò il bambino, si creò una specie di sintonia fra i due senza
alcun segno di paura o di reticenza da parte del bambino. Alla luce di questo incontro, si ripeterono ulteriori contatti
fra il bambino ed il ragazzo ed a distanza di tempo si era visto come la presenza dell’animale permetteva al bambino
autistico di esprimersi al meglio, di esprimere le proprie emozioni. E’ da qui che Levinson diede vita alla teoria del
“pettherapy”. Pare tale pratica aiuta nel calmare l’ansia, nel trasmettere il calore affettivo ed aiutare a superare lo
stress e la depressione.
Oltre all’associazione VIP ed all’attività di pettherapy, sentiamo tutt’oggi nominare associazioni come MFS ovvero
medici senza frontiere che offrono assistenzialismo alle popolazioni in Paesi poco abbienti o dove vengono
costantemente violati i diritti dell’umano. Amnesty International che si occupa di azioni di sensibilizzazione,
promozione, educazione ai diritti umani e raccolta fondi. Tutti conosciamo inoltre la Caritas che opera nel settore
sociale ed interviene contro l’emarginazione dei malati di AIDS, anziani, tossicodipendenti, carcerati, disabili, donne
maltrattate ed opera con politiche sociali attive non profit e molte altre associazioni che operano gratuitamente nel
nostro territorio e non solo con l’obiettivo ultimo di fare del bene, di lottare per la violazione dei diritti umani, di
portare aria nuova in ambienti malfamati o difficili.
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Capacità di ritmizzazione: il ritmo in musica è la distribuzione dei suoni e della loro durata nel tempo. In campo
motorio corrisponde all’organizzazione del movimento nel tempo, determinandone la periodicità, l’intensità, la
velocità, le pause e la durata.
Il ritmo è un elemento del mondo naturale che caratterizza alcune grandi funzioni organiche quali:
- Le funzioni cardiocircolatoria e respiratoria (battiti cardiaci e atti respiratori);
- Le funzioni relative al nostro accrescimento (alternanza tra spinte staturali e ponderali, alternanza tra
sviluppo dell’emicorpo destro e sinistro);
- La funzione motoria (gesti motorio-sportivi ciclici).
Possiamo quindi sostenere che il ritmo ed imparare a percepirlo, comprenderlo ci consentirà di poterci amalgamare
meglio nella vita sociale. Non solo, la ritmizzazione diventa importante anche nella prestazione fisica perché si
stabilisce anche un’alternanza fra la fase di contrazione e quella di decontrazione muscolare, specie negli sport di tipo
ciclico dove le prestazioni elevate si ottengono nella misura in cui lo sforzo e la periodicità degli atti è regolare.
Il nostro ruolo di educatori è proprio quello di aiutare gli allievi a costruire un proprio ritmo esecutivo per ogni tipo di
attività (ritmo soggettivo) ed allo stesso tempo sviluppare un senso di risposta agli stimoli volontari di adattabilità a
situazioni ritmiche di tipo esterno (ritmo oggettivo). Solo tramite un percorso ricco di scoperta delle strutture ritmiche
che si ripetono in maniera regolare sarà possibile perseguire questi obiettivi. E’ successivamente che, invece, si potrà
creare una sorta di confidenza con i rimi di tipo irregolare.
A tal proposito, viene da se, identificare le principali due differenze:
1. Ritmo regolare: definito anche cadenza, composto da una successione di battute che si ripetono appunto in
maniera regolare. (Es correre, camminare), quindi possono essere controllati, rallentati o velocizzati;
2. Ritmo irregolare: mantengono ugualmente una struttura ritmica e delle caratteristiche di periodicità ma,
essi, sono costituiti da battute intervallate da periodi con durate differenti. E’ il caso dei movimenti aciclici,
che per essere appresi devono essere compresi nella loro struttura ritmica totale.
Per migliorare il ritmo bisognerà permettere agli allievi di prendere coscienza di se stessi e del proprio corpo, di saper
scoprire ed ascoltare nonché saper riprodurre cadenze esterne, di scoprire e riprodurre la struttura ritmica di gesti e
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forme di motricità varie. Inoltre, tramite il ritmo bisogna far apprendere e consolidare i movimenti ed infine
permettere la libera espressione del proprio corpo, tramite ad esempio la musica.
Il ritmo ha un ruolo chiave nell’associare un movimento alla musica, sono ad esempio molte le attività motorie che
sfruttano il binomio tra musico e movimento (danza, aerobica, acquagym, bosu, ginnastica ecc…)
MUSICA
Se si parla di ritmo non si può non parlare di musica. Il rapporto che sussiste tra ritmo, musica e movimento è
indivisibile. E' stato ampiamente osservato come la musica unita al movimento corporeo sia in grado di apportare
vantaggi nella crescita e nell’apprendimento. Tramite il corpo si impara e si esprime ed il corpo è espressione di
movimento ed il movimento è il canale grazie al quale si può scoprire e conoscere il mondo.
Se si avvantaggiasse il movimento, se si desse peso alle emozioni ed all’espressività si potrebbero sviluppare tutte le
potenzialità di ogni individuo. La musica viene riconosciuta come l’arte di combinare i suoni.
Percepire uno stimolo di tipo musicale provoca una reazione motoria perché la musica permette di gestire il ritmo
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interiore e condizionare l’emotività. La musica è composta da suono, ed ogni suono possiede un ritmo.
Grazie al movimento, al suono, riusciamo a costruire il nostro io ed a permettere la massima costruzione
dell’espressività che rappresenta un’ottima forma di comunicazione non verbale.
Proporre delle attività di tipo motorio-musicale aiuta a superare anche le paure poiché si può migliorare il
rilassamento e la concentrazione, rispettare i tempi ed ascoltare gli altri, imparare ad attendere, muoversi a tempo
con i propri ritmi interiori.
Il processo di sviluppo del bambino tramite la musica avviene in maniera congenita ed in maniera acquisita e con lo
sviluppo del senso di musicale di ogni individuo realizzato in maniera metodica e costante ottenendo:
- Perfezionamento del senso auditivo;
- Sviluppo della psicomotricità;
- Sviluppo dell’attenzione;
- Ampliamento delle capacità comunicative ed espressive.
Il compito dell’educatore è proprio quello di costruire strategie e condizioni necessarie affinché il bambino si esprima
liberamente raggiungendo importanti obiettivi facendo sì che non vada perduta la spontaneità di cui il bambino è
dotato, indirizzandolo verso scenari fantasiosi e improvvisati accrescendo la creatività e la plasticità neuronale.
Obiettivi importanti delle attività motorio-musicali sono quella di far entrare in sintonia con se stessi e le proprie
caratteristiche, migliorare l’ascolto e la percezione di se e degli altri, superare ansie e paure.
Attraverso la musica poi si può:
- Migliorare la capacità di rilassamento e concentrazione;
- Imparare ad ascoltare i ritmi del proprio corpo;
- Imparare ad ascoltare gli altri e rispettarne i tempi;
- Imparare ad attendere;
- Imparare a muoversi a tempo con i propri ritmi interiori;
- Imparare a comprendere e utilizzare linguaggi non verbali.
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La musica 8D una nuova tipologia di fare e ascoltare musica. Il concetto di musica ad 8D si basa su una manipolazione
di fase che impedisce al nostro cervello di percepire con esattezza da dove viene il suono.
Questo significa che grazie al lavoro di mix realizzato per generare tale effetto - la cui definizione si avvicina all'idea di
musica 360° - la nostra mente entra in una sorta di stanza di suoni che vanno e vengono, e che regalano una
sensazione di spazialità che è migliore di quella vissuta con il classico suono “stereo”.
Così la musica (o almeno la sensazione che il suono genera) non rimane più circoscritta alle due fonti sonore standard,
il lato destro e quello sinistro, ma diventa uno spazio virtuale a tutto tondo dove possiamo apprezzare stimoli che
sembrano provenire innumerevoli direzioni.
In realtà tecnicamente il termine "musica 8D" non significa nulla: non è musica a 8 dimensioni, è semplicemente che le
tecniche Dolby Surround possono essere sconvolte creando una serie di effetti, sonori unici.
Di solito le cuffie fanno in modo, per esempio, che il suono sia suddiviso in modo equilibrato tra destra e sinistra,
mentre nei brani 8D la musica passa da destra a sinistra continuamente, creando un effetto straniante che può far
venire brividi, stordire e così via.
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Di tecniche che rompono gli schemi del Dolby Surround (suddivisione dei suoi, alti bassi e voce su canali diversi) ce ne
sono altre, come Ambisonics, che oggi viene usata spesso al di fuori del mondo musicale, come nei videogiochi e in
generale nelle esperienze cosiddette "di Realtà Virtuale".
Il fenomeno della musica 8D sembra molto simile a quello dei prodotti ASMR, dove con l'uso di suoni particolari a certi
volumi si creano effetti sinestetici (nel senso che sono suoni, riguardano l'udito, ma danno anche sensazioni tattili,
come i brividi).
Un’ulteriore branca della musica su cui va posta attenzione, proprio in merito ai suoi effetti altamente educativi è la
musicoterapia.
MUSICOTERAPIA
La musicoterapia si pone col fine ultimo di creare, grazie alla musica e ai suoni uno strumento di comunicazione non-
verbale per creare un processo educativo, riabilitativo o terapeutico per determinate fasce d’età o stati parafisiologici
e patologici.
La World Federation of Music Therapy (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ci fornisce la seguente definizione:
“La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un
musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la
relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di
soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive.”
La musicoterapia permette lo sviluppo di funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che si possa
realizzare l’integrazione intra e interpersonale e possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo,
riabilitativo o terapeutico.
La musicoterapia permette al paziente di essere parte attiva ed integrata, di familiarizzare volta per volta con le
tecniche acquisite e di costruire uno scambio fra paziente, gruppo e musicoterapeuta. La musica, come ampiamente
esposto, permettere di esprimere e percepire stati d’animo ed emozioni.
Torna utile ai bambini, ma anche agli anziani o agli individui affetti da autismo. In tali soggetti, che generalmente
tengono a chiudersi o tendono a non instaurare una vera e propria relazione con l’ambiente esterno, favorisce l’inizio
di un’apertura.
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La musicoterapia nasce già nel mondo antico, si utilizzava la musica come pratica curativa. Solo però all’inizio del XVII
secolo si riconosce nella musicoterapia un fondamento scientifico, poiché un medico e musicista britannico trattò un
soggetto visionando notevoli cambiamenti in esso.
La musicoterapia può essere di tipo attivo se ci si trova a suonare uno strumento o recettiva se si ascolta e durante l
seduta i pazienti possono cantare, ascoltare musica dal vivo e/o registrata e danzare venendo coinvolti in tipologie di
danza popolare ed aggregativa ed inoltre imparare a conoscere vari strumenti musicali.
Il paziente in queste sedute non deve sentirsi a disagio, ma parte integrante di un gruppo assieme agli altri.
Gli studi hanno dimostrato che tale disciplina può essere utile anche per chi soffre di patologie a carico del sistema
nervoso, ovviamente non come cura ma come mezzo che ritarda il deterioramento cognitivo come ad esempio nei
malati di Alzheimer; in essi la musica, pare possa raggiungere il cuore e la mente migliorando certe abilità, ritardando i
processi di degradazione.
DANZA
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Il quarto elemento che accompagna musica, ritmo e movimento è la danza, forma d’arte a tutti gli effetti. La danza è la
disciplina grazie al quale acquisiamo dei gesti che accompagniamo con la melodia, una sorta di comunicazione vera e
propria che nasce dal corpo. La danza è un mezzo grazie al quale chi ci guarda può acquisire e percepire un messaggio;
la danza è emozione ed espressione. La danza influisce nelle nostre capacità fisiche perché quando balliamo
dobbiamo essere in grado di compiere determinati gesti ed influisce nelle competenze tecniche in base al tipo di
danza che impariamo. Per poter esprimere un certo tipo di emozioni e sentimenti tramite la danza, bisogna saper
interpretare la musica a livello soggettivo e utilizzare il corpo come strumento.
Bisogna arricchire il proprio repertorio gestuale, riuscire a sentire propria la musica e provare delle sensazioni
cercando successivamente di esprimerle tramite i movimenti, saper giocare con i contrasti e quindi variare gesti,
velocità, ritmo ed intensità. A secondo della tecnica, distinguiamo varie tipologie di danza:
Danza classica: è la massima espressione dell’arte. Essa viene definita anche tecnica accademica. Questa
danza presuppone una combinazione di movimenti raffinati ed armoniosi con una perfezione costante e
meticolosa che donano un senso di leggerezza. Oggi la danza classica prevede l’uso delle scarpette a punta,
generalmente a partire dagli 8/11 anni di età.
Danza moderna: branca totalmente diversa da quella classica, in cui si favorisce invece il movimento libero e
la libera espressione. Potremmo definirlo come uno stile di ribellione rispetto a quello rigido della danza
classica. Spesso si trovano rappresentazioni di danza moderna in contesti teatrali o in spazi aperti. Nella
danza moderna non si è fedeli a un ritmo musicale preciso ed infatti, il danzatore esegue movimenti
seguendo un ritmo puramente interiore.
Danza contemporanea: Essa è un maggiore superamento della danza moderna, con una forma di espressione
libera spinta all’estremo ricercando una gestualità inaudita frutta della creatività propria ed emotività
interiore. Con la danza contemporanea il ballerino diventa anche coreografo di se stesso e l’improvvisazione
diventa il perno attorno il quale ruota tutta la performance e la coreografia stessa.
Danza tradizionale: è quella legata alla cultura di un popolo, attraverso la quale instauriamo un sentimento di
appartenenza alle proprie origini.
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I benefici della danza vanno ricercati non solo dal punto di vista emotivo ed interiore ma anche perché creano una
connessione fra corpo e mente giovando ad uno ed all’altro in maniera sincrona. Essa implica controllo, coordinazione,
equilibrio, forza e benessere psico-fisico, miglioramento della composizione corporea oltre agli aspetti psicologici dove
ritroviamo l’aggregazione e la socialità, aumenta il buonumore e libera la mente da tensioni e stress alleviando l’ansia.
TEATRO
La recitazione teatrale è un’altra forma d’arte a tutti gli effetti caratterizzata da una combinazione di linguaggio
verbale e corporeo ricreando una situazione il più possibile corrispondente al vero e coerente con il contesto di
riferimento. In ambito teatrale è importare ricorrere ad un’espressione spontanea e una ricerca di un continuo
equilibrio insieme alla tecnica.
A teatro si ricoprono dei ruoli, fuoriuscendo da quelli personali ed avendo la capacità di sentire proprio ogni ruolo che
si ricopre cercando di limitare o rimuovere ogni inibizione possibile cercando di dare una forma ai nostri impulsi
mentali ed emotivi. L’arte dell’improvvisazione, ad esempio, è alla base della recitazione teatrale perché l’attore deve
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lavorare su se stesso per poter sviluppare la capacità di mettersi in gioco e, appunto, improvvisare.
Nonostante a teatro per ricoprire un ruolo si impara una parte, quando si entra in scena ci potrebbero essere una
serie di imprevisti anche perché è impossibile sapere come si comporteranno gli altri attori. E’ dunque necessario
sapere anche avere una buona comunicazione di gruppo.
Il teatro è mezzo d’aggregazione e d’esercitazione all’ascolto aprendo tutti i canali per ascoltare se stessi e gli altri per
il raggiungimento di un unico fine: la buona riuscita dello spettacolo.
Ipotizzare di far conoscere il teatro al bambino potrebbe innescare in lui nuove sensazioni, portandolo ad
approfondire gli aspetti sensoriali e percettive, nonché corporee e mentali rendendo possibile l’approfondimento
della comunicazione anche in soggetti con difficoltà, disadattamento o handicap. Il teatro sviluppa la manualità, la
vocalità, la corporeità e il movimento oltre che la mimica. L’attività teatrale costruisce fondamenta per una
personalità più sicura in chi alberga la timidezza, donando maggiore sfrontatezza e bravura ad affrontare i rapporti
sociali. Il teatro, insomma, può essere considerato terreno fertile per il processo di apprendimento senza però che
diventi motivo di disimpegno o disinteresse.
Potremmo riassumere gli obiettivi generali che l’attività teatrale si prefigge così:
INCENTIVA la motivazione personale, limitando atteggiamenti ostili verso la conoscenza;
SPERIMENTA nuove capacità relazionali e di linguaggio;
APPRENDE metodologie volte al rilassamento, all’autogestione, alla concentrazione;
PADRONEGGIA strumenti e modalità di espressione verbale e non verbale e tramite l’espressione corporea;
PROMUOVE la capacità “meta rappresentativa”, tramite il linguaggio teatrale complesso e polivalente;
FACILITA apprendimento e padronanza di strumenti creativi, nella promozione del benessere e nella
prevenzione di eventuali disagi.
Per poter approcciarsi all’arte della recitazione bisogna tenere conto di fondamentale importanza è la ricerca di un
teatro basato sulla comunicazione e sull’incontro con lo spettacolo.
In un primo momento si costruisce un’educazione emotiva e relazionale affinché si possa prendere coscienza di se
stessi, delle proprie emozioni e dell’arte della mimica, della drammatizzazione ovvero capacità di immedesimazione e
gioco di finzione.
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In un secondo momento si può poi dare spazio alla dizione, al linguaggio teatrale vero e proprio dando largo spazio
alla tecnica.
CORPO, SPAZIO, CAPACITA’ ESPRESSIVA rappresentano la base di lavoro nel teatro perché l’attore deve familiarizzare
con il proprio corpo, ascoltando le sensazioni personali, imparando a gestire il proprio spazio e quello degli altri ed
essendo consapevole di potersi e doversi esprimere in maniera totalitaria a prescindere dal ruolo che andrà a
riprodurre, ma anzi immedesimandosi come se il ruolo riflettesse la propria vita.
Attraverso le esperienze motorie si possono esprimere le proprie capacità, esaltare la creatività e la fantasia, superare
pregiudizi e paure, manifestando emozioni nel modo più libero.
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La frequenza cardiaca a riposo è un dato che non viene considerato nelle formule sopra esposte, ma permette di
valutare il numero minimo di pulsazioni cardiache del soggetto e, nel complesso, fornire dei risultati più specifici e
individualizzati. Tali constatazioni sono importanti considerando che la frequenza cardiaca a riposo può variare
largamente da soggetto a soggetto; ad esempio il battito a riposo di una persona media può aggirarsi attorno ai 70-80
bpm, ma un atleta professionista può presentare valori molti diversi, anche attorno ai 40 bpm.
Valutando le differenze potenzialmente molto marcate tra i soggetti, appare evidente che considerare la frequenza
cardiaca a riposo sia un aspetto fondamentale per ricavare l'intensità in maniera individualizzata, e ciò viene rispettato
solo con la formula di Karvonen.
È importante considerare che la frequenza a riposo debba essere misurata con cardiofrequenzimetro al risveglio
mattutino, prima di intraprendere qualsiasi sforzo fisico e in condizioni di assoluto rilassamento: questo si realizza il
mattino, possibilmente prima di alzarsi dal letto, dopo che il soggetto ha trascorso una notte di sonno tranquilla.
Frequenza cardiaca di riserva (FCris)
La Frequenza cardiaca di riserva (FCris) rappresenta la differenza tra la frequenza cardiaca massima (FCmax) e la
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frequenza cardiaca a riposo. Potrebbe essere riconosciuta come la frequenza cardiaca media durante l'attività
quotidiana (camminare, salire le scale, ecc.).
• La Frequenza cardiaca di riserva è definita dalla seguente formula:
• FC di riserva (FCris) = FCmax - FC riposo
• intensità relativa = FCris x % FCris + FC riposo
• Esempio:
• Età: 20 anni Sesso: maschio FC a riposo = 60 bpm
FC max (teorica) = 200 bpm
In questo esempio, se il soggetto ha 20 anni e la sua frequenza cardiaca a riposo è di 60 battiti al minuto (bpm), allora
la frequenza cardiaca massima sarà 200 (cioè 220 – 20) e quella di riserva sarà 140 (cioè 200 – 60).
220 - 20 (età) = 200 (FCmax [formula di Astrand]) - 60 (FC a riposo) = 140 (FCris).
A questo punto, per poter individuare le zone specifiche e la percentuale dell'intensità massima da applicare durante
l'allenamento, è necessario moltiplicare la FC di riserva per la sua percentuale, a cui fa riferimento l'intensità specifica
che si desidera raggiungere. A questo risultato si addiziona la FC a riposo. Se un soggetto vuole allenarsi al 65%
dell'intensità massima, allora è necessario moltiplicare la FCris per 0,65, ottenendo 91 battiti al minuto. Poi si
addiziona la frequenza cardiaca a riposo (in questo caso 60) per ottenere il numero di battiti al minuto a cui equivale il
65% dell'intensità massima o della FCris, cioè 151 bpm.
• 140 (FCris) x 0,65 (65% FCris) = 91 + 60 (FC a riposo) = 151 bpm (65% FCmax Karvonen)
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PARKOUR
Una disciplina sportiva probabilmente sempre sentita nominare ma che ancora oggi non è da tutti compresa. Le sue
radici trovano terreno negli anni ’80 quando un ufficiale di marina francese, Hebert, sperimentò degli allenamenti
secondo una propria teoria, ovvero che il modo migliore per allenare un uomo è facendolo esercitare con movimenti
ed in ambienti a lui fortemente consoni o familiari, in base a quello che la natura gli presenta davanti. Inizialmente, era
conosciuto come “art du déplacement” ovvero arte dello spostamento o “parcours” cioè percorso.
Effettivamente i suoi nomi di origine, descrivono a pieno la sua vera natura poiché nel parkour, lo scopo è portare a
termine un percorso da un punto A ad un punto B attraversando vari ostacoli nel minor tempo possibile ma anche con
efficienza e qualità. Il termine attuale trova maggiore attinenza con quello coniato da David Belle cioè parcours du
combattant (percorso del combattente). Esso era il percorso proposto nell’addestramento militare proprio da
sopracitato Hebert. Le cinque attività primarie scelte per questo allenamento erano:
- Corsa;
- Arrampicata;
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- Salto;
- Nuoto;
- Lotta;
Divenne, infine, parkour ovvero con la denominazione attuale quando si sostituì la “c” con la “k” per suggerire
maggiore modernità al nome.
Tutt’ora le attività primarie dell’allenamento sono quelle sopra elencate, insieme alla pliometria, al rotolamento e ad
altri movimenti che i tracciatori, nome utilizzato per indicare gli atleti di parkour, devono effettuare adattandosi
all’ambiente urbano o naturale.
Dietro quest’arte si nasconde una vera e propria filosofia di vita perché nasce come attività per imparare ad
approcciarsi alle difficoltà della vita, della città e del mondo contemporaneo in generale con la volontà di non porsi
limiti, di sfidare sé stessi adattandosi ad ambienti sempre nuovi e stimolanti, con la voglia di scoprire cosa c’è oltre le
apparenze. In effetti, si crea una sorta di allontanamento dalle teorie del mondo attuale con la volontà di allenare e
ricercare nonché affinare tutti quei movimenti che l’uomo moderno ha via via perso nel tempo.
Nel parkour esistono alcuni movimenti principali, riconosciuti da tutti i praticanti anche se non c’è una lista redatta
vera e propria. Di seguito i principali:
- Vault (Volteggi) i cui movimenti hanno lo scopo di superare un ostacolo che si dividono in:
1. Kong Vault: volteggio basico. Il tracciatore o la tracciatrice poggiano le mani sull’ostacolo e fanno
passare le gambe nel mezzo.
2. Step Vault: un volteggio di base nel quale bisogna superare l’ostacolo appoggiando un braccio e la
gamba opposta su di esso (es. braccio sinistro su gamba destra), facendo passare la gamba interna
nel mezzo garantendo stabilità.
3. Lazy Vault: volteggio in cui la mano vicina all’ostacolo viene poggiata sopra esso, aiutandosi a
spingere il corpo verso l’alto facendo passare entrambe le gambe oltre. Passate le gambe, l’altra
mano si poggia sull’ostacolo e si dà la spinta finale.
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4. Speed Vault: volteggio eseguito in corsa durante il quale si effettua un salto, portando il corpo
orizzontalmente e parallelamente all’ostacolo e, in prossimità d’esso, si poggia una mano per aiutarsi
nel riprendere la posizione verticale.
- Cat leap: in questa posizione, preceduta da un salto, ci si aggrappa alla cima di un muro con entrambe le
mani e con almeno uno dei due piedi, sulla superficie.
- Climb up: Metodica utilizzata per salire su un ostacolo in maniera efficace partendo da una posizione di cat
leap.
- Dyno: è un movimento presente anche nell’arrampicata anche in questo caso partendo in una posizione di
cat leap e si dirigono le mani verso l’alto per poter afferrare l’appiglio e salire.
- Pop up: somiglia al climb up, eseguito su ostacoli bassi e in velocità.
- Cat leap to cat leap: movimento da parete a parete
Il parkour è una disciplina riconosciuta, ad oggi, dal CONI come disciplina sportiva ufficiale e, sta prendendo piede
sempre più nelle palestre con corsi indoor per preparare al parkour. In Italia, è arrivato da 16 anni circa tramite l’aiuto
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del web e dei video che circolano e numerose associazioni sportive dilettantistiche si stanno affiliando all’Unione
Italiana Sport Per Tutti (UISP) che possiede la sezione dedicata al parkour che possiamo considerare sempre più la
disciplina del futuro.
1. Funzione: Bisogna sapere che la corda per saltare non deve essere eccessivamente lunga o corta;
2. Feedback propriocettivi: La corda ci fornisce dei feedback che, specie all’inizio, dobbiamo saper
ascoltare. In effetti, all’inizio sarebbe bene utilizzare corde più pesanti;
3. Forma: Bisogna tenere un ritmo almeno i primi tempi. Si consiglia di iniziare a saltare senza corda
contando “1,2,3,4”;
4. Footwork: i piedi devono restare sempre in punta e le ginocchia leggermente piegate, affinché le
gambe si diano la giusta spinta che non deve essere troppo eccessiva;
5. Simmetria: Le mani vanno tenute vicino ai fianchi ed il polso e l’avambraccio diventano un unico
segmento corporeo;
La cosa favorevole che restituisce la corda, inoltre, è la facilità con cui si può gestire l’intensità dell’allenamento per
allenare alcune variabili come:
- Velocità: ad esempio, saltando più velocemente per la stessa quantità di ripetizioni.
- Resistenza: una corsa più pesante per saltare permette un’attivazione maggiore dei muscoli.
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- Durata: Si può saltare la corda per un periodo di tempo più lungo.
- Ripetizioni: Si può saltare la corda per più ripetizioni per serie.
Ricorda che la chiave per incrementare le abilità di salto con la corda sono sempre legate alle variabili sopra descritte
che vanno sapute gestire nel tempo, non esagerando con gli allenamenti e sapendo valutare i giorni di riposo per non
creare affaticamento o predisposizione agli infortuni.
sistema di trasporto/utilizzo dell’ossigeno con maggiore efficienza di trasporto dell’ossigeno da parte della pompa
cardiaca, con conseguente incremento della capacità ossidativa.
Generalmente queste attività hanno durata di 45-60 minuti con una suddivisione di 15-20 minuti minimi in fase
aerobica con un’intensità di lavoro tra il 60% e l’85% della F.C. max.
La ginnastica aerobica comunque fornisce la possibilità di lavorare su nuovi automatismi e coordinazione, controllando
i movimenti, seguendo il ritmo, sfruttando in maniera totale i muscoli. I gesti delle attività aerobiche richiedono
movimenti simmetrici con un coinvolgimento generale dei muscoli del corpo, inserendosi direttamente nella categoria
delle “closed skill” ovvero attività con situazione motoria stabile, prevedibile, senza il bisogno di adattamenti
improvvisi.
Una delle attività aerobiche di fitness che andò di moda sin da subito, fu lo step. Lo step prevede un programma di
esercizi dinamici con varietà di sequenze eseguente salendo e scendendo una piattaforma di altezza più o meno
regolabile a ritmo di musica.
Anche per lo step, esistono innumerevoli benefici:
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Coordinazione spaziale anche per i principianti;
Ottima per persone in sovrappeso potendo sviluppare per intere lezioni le tecniche esecutive a basso
impatto;
Riduce i livelli di stress ed ansia, mantenendo il peso corporeo, il miglioramento delle prestazioni
cardiovascolari, della densità ossea e dell’efficienza fisica in generale;
Una lezione di step è suddivisa in maniera molto simile ad una lezione di aerobica.
Fase di riscaldamento generale;
Fase di riscaldamento aerobico;
Fase di tono-trofismo muscolare;
Fase di defaticamento con rilassamento e stretching;
La seduta di step dura circa 60’ e tramite il cueing, sistema di avviso di cui si parlerà dopo, si permette ai
partecipanti di capire cosa e come muoversi in maniera fluida e sincrona.
Generalmente, l’attività con lo step prevede un allenamento sicuro ad impatto crescente che non dovrebbe
causare alcuna problematica alle articolazioni, alle ossa, ai tendini, ai muscoli ed ai legamenti se le posture
vengono effettuate in maniera corretta.
× Mai sovraccaricare il ginocchio per cui bisogna sempre regolare l’altezza dello step per evitare
eccessivi movimenti di flessione.
× Mai irrigidirsi con la catena cinetica posteriore tenendo una leggera inclinazione del corpo in avanti
mentre si sale affinché ci sia un allineamento migliore tra busto ed arti inferiori e affinché il peso del
corpo si scarichi in maniera equiparata sugli arti inferiori per non incorrere in fastidi a livello lombare
o in mialgie.
× Evitare di uscire fuori dalla piattaforma con il tallone o con l’avampiede ponendo la pianta del piede
al centro.
× Mai lasciare il piede in appoggio incompleto; salendo va poggiata l’intera suola e poggiare il piede
totalmente a terra prima con l’avampiede e successivamente con il tallone quando si scende.
× Non sbattere i piedi sulla piattaforma e salire senza flettere il corpo in avanti.
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Avanti
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NTRO DELLA SALA Interno
STEP Interno STEP Esterno
Dietro
Inoltre, esistono delle suddivisioni ulteriori per quanto riguarda la relazione che sussiste fra il nostro corpo e la
piattaforma:
Un attrezzo utile nella ginnastica aerobica è il bosu. Il BOSU è un attrezzo di forma semisferica utilizzato per varie
attività, specie quelle deputate all’allenamento dell’equilibrio.
Il BOSU presenta due lati utilizzabili in egual modo; un lato piatto formato da plastica dura ed un lato formato da
plastica morbida, gonfiabile. Da questa duplice funzione deriva la sua denominazione “BOTH SIDE UP” (su entrambi i
lati). Come la swiss ball, le tavolette instabili tipo Freeman/Wike quest’attrezzo torna utile sia in programmazioni
d’allenamento per atleti sia in fase di riabilitazione post-traumatica. Il suo punto di forza è, infatti, la versatilità. Non
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c’è limite d’utilizzo! Gli esercizi eseguiti con il BOSU riescono a sollecitare in maniera totale la struttura organica
riuscendo a far mantenere una postura corretta durante tutta la ricerca di equilibrio.
Per approcciarsi in maniera costante ma graduale al BOSU è sempre utile iniziare da posizioni di equilibrio statico per
via via specializzarsi in quelle di equilibrio dinamico così che le sollecitazioni al movimento progrediscano migliorando
la postura e il controllo motorio.
Un esempio di appoggio statico potrebbe essere la stazione eretta con appoggio bipodalico o monopodalico, in
ginocchio, decubito laterale, prono o supino.
Successivamente, si potrebbe pensare di creare delle progressioni attraverso il saltare, il camminare o con balzi di
vario tipo. Elencare le qualità che possiede il BOSU sarebbe riduttivo, in quanto anche giocando di fantasia questo
attrezzo torna davvero utile sia per giochi educativi, sia per attività sportiva, sia per fini rieducativi o funzionali.
CUEING
Solo chi è addentrato nel mondo del fitness ha già sentito parlare di “cueing”, nella fattispecie chi conosce o ha
91
praticato attività di tipo aerobico. La parola cueing deriva dalla parola inglese cue ovvero “segnale, segno”.
Esso può essere di tipo verbale o non verbale oppure di tipo visuale. Il cueing è una tecnica di comunicazione
utilizzata per anticipare ciò che dovranno essere fatto agli allievi in modo semplice ed efficace in modo che tutto
comprendano guardando l’istruttore ciò che bisogna fare.
L’obiettivo è quello di anticipare un passo, un movimento così che chi sta difronte, ad osservare sa già con che
movimenti avrà a che fare.
Il cueing di tipo visuale prevede l’ausilio di gesti manuali o degli arti superiori per indicare specifici movimenti o
numero dei passi. Il cueing di tipo verbale permette di dare il nome ai passi, ad inviare comandi descrittivi, numeri o
anticipazioni verbali. Spesso il cueing di tipo verbale risponde alla legge di economia semantica cioè bisognerà
ricorrere all’ausilio di termini anglosassoni che sono più immediati e diretti per creare una certa fluidità di dialogo fra
la classe e l’insegnante.
Ogni abile insegnante deve saper lavorare difronte la classe affinché ci sia contatto visivo e riceva il massimo
dell’attenzione da tutta la classe. Con l’utilizzo del cueing si ricorre al paralinguaggio cioè il linguaggio che affianca
quello verbale arricchendo la comunicazione con gli occhi, il viso, cenni del capo, il tutto per instaurare una sorta di
feeling con i propri allievi fatto di fiducia e conoscenza.
Il cueing può essere:
-positivo: fase di approvazione seppur l’esecuzione non è ancora corretta.
-negativo: si evidenzia l’errore con linguaggio semplice mostrando l’esecuzione corretta del gesto.
-neutrale: si rileva l’errore, senza però segnalarlo o esprimendosi in giudizi di qualche genere.
Di seguito riporto alcuni esempi di cueing:
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CALISTHENICS
Rivoluzione degli ultimi anni l’abbiamo avuta con l’arrivo nel mondo dello sport del calisthenics. In realtà, le sue radici
di nascita sono ben più ancestrali di quello che si pensa. Il termine callistenia deriva dalla parola greca kalos che
significa bello e sthénos che significa forza.
Con questa disciplina di fitness o sport, si prevede il raggiungimento di abilità tecniche a corpo libero ma non solo, si
lavora su delle “skills” ovvero delle figure che vengono eseguite su sbarre, parallele o anelli di ginnastica ed
eventualmente zavorre. Sono proprio queste skills che nel calisthenics creano spettacolarizzazione. Con l’avvento dei
social è capitato spesso di imbattersi in immagini o profili di atleti o amatori della disciplina che richiamano skills
anche in ambienti diversi dalla palestra.
Il calisthenics ritrova radici profonde in una serie di discipline, come ad esempio la ginnastica artistica. La disciplina
possiede un’ampia gamma di esercizi e di livelli di difficoltà. Il suo quadro storico non è ben delineabile ma c’è chi
racconta questa disciplina facesse parte degli allenamenti di atleti dell’Antica Grecia e di quelle dei soldati. Ricevette
innumerevoli influenze dagli esponenti dell’epoca, del 1800 circa, quali F. Jahn considerato il padre della ginnastica
aristica, P. Ling padre della ginnastica svedese o dell’educatrice C. Beecher e del fondatore del metodo Hebert,
G.Hebert.
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Ad oggi, si è evoluta fortemente e dagli anni 2000 è entrata a far parte assiduamente negli allenamenti di molti giovani
donne e uomini e negli anni sono stati organizzati innumerevoli eventi sportivi o forme di spettacolarizzazione legate
alle esibizioni callisteniche.
Il calisthenics può essere classificato in due branche:
1. Lavoro di forza e potenziamento: con esercizi che lavorano al potenziamento della forza e
sul miglioramento fisico. Es: piegamenti, muscle up, pull up, verticale.
2. Allenamento di tipo dinamico: esercizi con movimenti di tipo veloce. Es: swing 360 o
piegamenti pliometrici.
Ovviamente si tende a far prevalere i lavora di forza in una fase iniziale, perché le skills del calisthenics che verranno
acquisite successivamente esigono forza, coordinazione, equilibrio, armonia.
In base al livello di appartenenza le skills si dividono in:
- Le skills per principianti: c’è L sit per la forza addominale, il dragon flag che lavora sugli addominali e sulla
zona posteriore del corpo (rientra fra le skill più difficili ma che si costruisce solitamente nelle fasi iniziali di
93
approccio alla disciplina), il back lever ma ricordiamo anche la verticale che può essere prima allenata al muro
e poi in versione libera.
- Le skills per intermedi: fra queste skills rientra il front lever e il planche. Il primo rientra nella categoria degli
esercizi di tirata mentre l’altro in quelli di spinta. Già in questa fase si lavora con movimenti molto complessi
che serviranno nella fase avanzata, tant’è che si fa un lavoro specifico sulle propedeutiche adatte per
approcciarsi ad essi. Un ulteriore skill facente parte di questa categoria è il V-SIT che necessita di una
flessibilità e di una mobilità particolare.
- Le skills per gli avanzati: Uno degli esercizi più ambiti e difficili è il maltese, iron cross o cross agli anelli.
Ovviamente si possono aggiungere anche le versioni difficoltose di skills già elencante, come il front lever ma
a presa larga, la planche sulle dita, one arm planche.
Ogni allenamento crea voglia di miglioramento, si lavora per sé stessi e non per competere con gli altri. Il
calisthenics è divenuto un vero e proprio movimento collettivo. Esistono, infatti, delle skills che possono essere
svolte insieme ad un partner che serve ad aggiungere resistenza all’altro.
CROSSFIT®
Con il termine CrossFit® si definisce un programma di rafforzamento e condizionamento fisico creato da Greg
Glassman negli anni settanta.
Nonostante abbia quasi 50 anni, questa disciplina ha iniziato a far parlare di sé intorno alla seconda metà degli anni
novanta e, solo nei primi anni del 2000, ha iniziato a prendere piede come un movimento che, negli ultimi periodi, ha
raggiunto una popolarità mondiale che non accenna a fermarsi.
Essa si avvale di una serie di movimenti funzionali, costantemente variati ed eseguiti ad alta intensità, con l’obiettivo
ultimo di far raggiungere ai suoi praticanti un completo benessere generale e al contempo una prestanza fisica totale
contro ogni genere di sfida.
Per garantire ciò la metodica CrossFit® utilizza innumerevoli mezzi e metodi “presi in prestito” da diverse discipline
sportive; in una seduta di CrossFit® si può passare, infatti, dal sollevamento olimpico agli esercizi della ginnastica
attrezzistica, spaziando da esercizi calistenici o all’allenamento di resistenza puro.
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Non esiste un elenco fisso di esercizi inseriti nei WOD 2, anzi, in esso possono essere presenti, a seconda dello scopo
della seduta, contaminazioni da diverse discipline ed esercizi di vario genere con funzioni e caratteristiche diverse, da
qui il termine cross, ovvero incrocio, combinazione.
Ginnastica ed esercizi a corpo libero Condizionamento Metabolico Sollevamento Pesi
Air Squat Corsa Deadlift
Pull-Up Bici Clean
Push-Up Vogatore Squat con sovracc.
Dip Nuoto Press
Push-Up in verticale Salti con la corda Snatch
Arrampicata con corda Clean and Jerk
Muscle-Up Eserc. Con Med Ball
Verticale Kettlebell Swing
Sit-Up Lunge
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Salti
Allungamenti
Tab.1: rivisitata da Crossfit Training Guide
Inoltre si utilizzano diversi attrezzi tra cui: giubbotti zavorrati, ruote di camion, med ball, slam ball, anelli della
ginnastica (ring), funi, pesi, kettlebell, box jump, rower, assault bike, mazze e martelli, tutto per rendere vario e mai
stereotipato l’allenamento3.
Inizialmente nell’acronimo WOD rientravano, indistintamente, tutte le tipologie di esercitazioni, sia che esso si
trattasse di un allenamento incentrato sull’incremento della forza, sia che esso fosse mirato al miglioramento
dell’endurance, o che fosse catalizzato sul potenziamento metabolico.
Solo in seguito, si è cercato di dare la giusta identità alle varie metodiche utilizzate durante le molteplici sedute,
scorporando, quindi, gli allenamenti basati sulla forza (strength training o weightlifting) e quelli mirati all’incremento
della resistenza (endurance training), dal WOD che oggi, viene considerato come una metodica di lavoro incentrata
esclusivamente sul condizionamento metabolico (1).
Una lezione di CrossFit® prevede le seguenti caratteristiche:
1. Warm Up/Mobility: come ogni attività fisica con una metodologia che si rispetti, si inizia con un
riscaldamento e con esercizi di mobilità articolare. Qui vengono eseguiti degli esercizi a corpo libero, per
attivare i vari gruppi muscolari accompagnati da altri di mobilità articolare; inoltre, sovente si fa uso della
corda da salto “jump rope”, tipica dell’allenamento del pugilato per innalzare in modo graduale la frequenza
cardiaca e gli atti respiratori. La durata è di circa 10 minuti.
2. Skill: questa è la parte “didattica”, dove vengono allenati gli esercizi che andranno a comporre il workout. In
questa parte di seduta ci si può dedicare anche all’apprendimento di nuove abilità o all’allenamento delle
“Weakness” (ossia degli esercizi in cui l’atleta è carente da un punto di vista tecnico). Il coach in questa parte
3
Vincere la routine e la monotonia è uno dei motti del CrossFit®, variare costantemente il WOD è uno de principi
basilari della metodica.
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fa da tutor, mostrando e insegnando la tecnica di esecuzione dei movimenti e la loro eventuale progressione
didattica.
Questa sessione dura circa 20 minuti.
3. Strength Training/Endurance Training/Wod: è il cuore della lezione. Ha una durata molto variabile che può
andare da 5 a 40 minuti circa (o oltre) a seconda della tipologia di lavoro e delle capacità dell’atleta di
“chiudere” l’allenamento.
4. Recovery/Flexibility: è la fase di defaticamento, vengono eseguiti esercizi di stretching e di compensazione.
Generalmente dura non meno di 10 minuti.
1.2 I benefici dell’allenamento CrossFit®: I programmi di allenamento proposti nel CrossFit® sono in grado di
migliorare lo stato di forma atletica generale dei soggetti che lo praticano, andando ad agire su quelli che sono i
parametri fisici essenziali secondo CrossFit® di seguito elencati:
- Resistenza respiratoria e cardiovascolare;
- Capacità di sopportazione (conosciuta anche come Stamina); 95
- Forza;
- Flessibilità;
- Potenza;
- Coordinazione;
- Agilità;
- Equilibrio;
- Precisione (2).
Secondo CrossFit®, si è in forma quando si è competenti in ciascuna di queste nove abilità, e il CrossFit® promette di
svilupparle tutte quante.
Tale obiettivo sarebbe raggiungibile grazie agli adattamenti neurologici, ormonali e di tutte le vie metaboliche. La
programmazione CrossFit®, infatti, va a toccare la componente aerobica, quella anaerobica lattacida e quella
anaerobica alattacida bilanciandole in modo equilibrato.
I benefici di un programma di allenamento CrossFit® sono così riassumibili:
Incremento dell’EPOC o EPEE4. Esso è l’indice di misurazione dell’innalzamento del metabolismo basale in
seguito all’attività. Al termine dell’allenamento, l’attività metabolica e il dispendio calorico non ritornano
subito ai livelli di riposo, ma rimangono elevati per un tempo più o meno lungo, (a seconda del grado di
intensità dell’attività appena terminata).
Stimolare la resilienza, ossia la capacità di rimanere motivati di fronte a ostacoli e difficoltà che si incontrano
nel perseguimento di un obiettivo, che può essere considerata una “capacità condizionale aggiunta”. Essa è
sostanzialmente la capacità da parte del S.N.C. di sopportare nel tempo la fatica/stress.
La continua “variazione” degli allenamenti, non pone il rischio di creare assuefazione; il WOD garantisce
allenabilità a 360° e sviluppa più schemi motori possibili.
Standardizzazione dei movimenti funzionali: ogni rep di ogni esercizio viene insegnata e codificata con
movimenti che devono essere eseguiti alla perfezione, non ammettendone diversi o errati, (esempio: lo squat
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Excess Post-Exercise Energy Expenditure (dispendio energetico in eccesso post-allenamento)
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deve essere sotto il parallelo e deve essere completato con l’anca estesa, nel pull-up invece, il mento deve
arrivare oltre la sbarra).
Miglioramento della soglia anaerobica, che significa maggiore capacità di tolleranza e smaltimento del
lattato.
Stimolare l’ipertrofia “funzionale”, rendendo il muscolo efficace, tonico e qualitativamente prestante.
Incremento della potenza.
Ultimo e non per ultimo, il CrossFit® ha parametri prestazionali valutabili tramite le “girls”, che sono dei WOD
codificati, con cui si può valutare lo stato di fitness dell’utente. Ad esempio, chiedere ad un crossfitter in
quanto tempo riesce a chiudere il WOD “Elizabeth” equivale a chiedere ad un centometrista quanto fa nella
sua specialità.
Altre “girls” prevedono l’inserimento della corsa sugli 800 metri gli swing e pull-ups, come “Eva”, o sui 400 metri e gli
swing e sempre i pull-ups come “Helen”.
Kelly prevede l’inserimento di box jumps e la corsa; Nancy 400 metri di corsa e 15 overhead squat.
Le “girls” possono essere anche dei WOD, e si possono utilizzare come test valutativi funzionali.
Esistono, tuttavia, un numero infinito di proposte di lavoro 5 che potrebbero essere applicate, o eventualmente
adattate, a tutte le discipline sportive, col fine ultimo di migliorare le qualità fisiche, adattandosi alle richieste generali
di ogni dato sport. È bene ricordare, infatti, che il Metodo CrossFit® viene già ampiamente utilizzato con successo nella
preparazione fisica generale di molti sport e nella preparazione atletica di innumerevoli forze armate.
L’evento che racchiude l’essenza del CrossFit sono i “Games” una competizione atletica sponsorizzata dalla Reebok. La
competizione si svolge ogni estate dal 2007. Gli atleti nei Games competono in allenamenti di cui vengono a
conoscenza solo ore o giorni prima, composti prevalentemente da un assortimento di esercizi tipici del CrossFit, , così
come alcuni elementi di sorpresa supplementari che non fanno parte del tipico programma CrossFit, come il nuoto
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nell'oceano, o arrampicarsi su un muro a pioli. I Giochi servono a determinare il "Fittest on Earth" ossia "il più in forma
del mondo".
I CrossFit Games sono iniziati come una piccola competizione tant’è che i primi Games si sono tenuti in un piccolo
ranch di Aromas, California di proprietà del direttore dei CrossFit Games. La sua popolarità ha fatto si che le ultime
edizioni debbano essere tenuti presso il Centro StubHub di Carson, CA.
La stagione dei CrossFit Games prevede tre fasi per i concorrenti. Dal 2011, l'Open è stata la prima fase del processo di
qualificazione per competere ai Giochi CrossFit. L'Open è stato creato come un formato online per facilitare la
partecipazione da parte degli atleti di tutto il mondo.
Durante l'Open, viene comunicato un nuovo workout ogni settimana nella notte di giovedì e gli atleti hanno fino a
lunedì sera per completare l'allenamento e presentare i loro punteggi online, o con un video o con una convalida da
parte di un affiliato CrossFit. A partire dal 2013 è iniziata la comunicazione online degli annunci CrossFit per gli
allenamenti Open e sarebbero passati ai CrossFit Games gli atleti che completano immediatamente l'allenamento in
una competizione testa a testa. Gli atleti sono classificati mondiali e regionali. Gli esecutori al top di CrossFit Open di
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ogni regione sono promossi alle gare regionali. I primi uomini, donne e squadre di ogni concorso regionale vanno ai
CrossFit Games. Nel 2016, gli atleti che si qualificano per i Games ricevono tra $ 1.000 e $ 5000 in base alla posizione
alla fine del weekend.
I Games prevedono divisioni per persone dello stesso sesso, per un certo numero di fasce d'età Master e per le
squadre miste. A partire dal 2015, ci sono anche due divisioni di età ai Games per ragazzi: 14-15 e 16-17.
Rogue Fitness è stato il principale fornitore di attrezzature per i CrossFit Games e gli eventi regionali fin dal 2010. Sono
serviti quindici mezzi camion di attrezzature per fornire i CrossFit Games del 2013.
La partecipazione e la sponsorizzazione sono cresciute rapidamente dall'inizio dei Games. Il premio in denaro
assegnato a ciascun primo posto maschile e femminile è aumentato dai $ 500 dei Games inaugurali ai $ 300.000 in
quelli del 2019. Il grande aumento dei premi in denaro è venuto dai primi Giochi promossi dalla Reebok nel 2011,
quando il primo posto andò dai $ 25.000 del 2010 ai $ 250.000 del 2011. L'ammontare complessivo dei premi nel 2016
è stato di $ 2.200.000.
Nel 2011, 26.000 atleti hanno aderito per competere nella "Open". Nel 2012-2018, la partecipazione è stata
rispettivamente di 69.000, 138.000, 209.000, 273.000, 324.307, 380.000 e 415.000. Nel 2016 175 paesi sono stati
rappresentati dai partecipanti registrati.
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SPARTAN RACE
L’OCR (Obstacle Course Race) o anche conosciuto nel mondo social come “spartan race” è un tipo di gara non
tradizionale non a tutti nota. L’OCR prevede una corsa nel fango o che combina vari ostacoli che sono artificiali, quindi
adibiti appositamente o naturali. È una novità nel mondo dello sport, che prevede una sfida con sé stessi
principalmente oltre che con altri partecipanti perché l’obiettivo è porre la propria resistenza ai massimi termini.
La distanza percorsa potrebbe andare dai 5 ai 20 Km e i percorsi sono composti oltre che da fango, da terreni scoscesi,
strade sterrate o anche sentieri. Non si può porre limite a chi partecipa all’OCR perché potrebbe trovarsi ad affrontare
climi metereologici poco favorevoli. Oltre alle strade diverse da percorrere ed alla presenza di ostacoli di vario tipo, in
alcune gare è probabile che si debbano trasportare zavorre, carichi pesanti o strisciare sotto fili spinati, tronchi o
arrampicarsi su funi o anelli. Questo fa comprendere come l’OCR mette alla prova non solo la resistenza, la forza o la
velocità ma anche la flessibilità e le capacità psico-fisiche. È proprio per questa ragione che si è affermata come
disciplina sportiva perché unisce varie caratteristiche ricreando un’esperienza di sport completo ed estremo.
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Per poter arrivare pronti ad un evento OCR o spartan bisogna allenarsi a 360° ricordando che, al di là della disciplina
prima d’allora praticata, di doversi principalmente concentrare sulla corsa essendo appunto una “race”.
Ci sono varie tipologie di gara, di seguito vengono citate tre fra le più conosciute:
- SPRINT: è una gara di 5 km con 20 ostacoli e si svolge su terreni impervi. Essa di solito è la gara d’approccio
quando si incomincia a praticare OCR e mette a dura prova le capacità fisiche e mentali.
- SUPER: Essa è uno step più avanti della precedente e rappresenta una vera e propria gara di resistenza. Il
percorso va percorso per più di 10 Km e non ci saranno meno di 25 ostacoli.
- BEAST: Rappresenta il livello più duro fra le spartan race perché è la più difficile da affrontare. Il percorso da
percorrere è lungo almeno 21 Km e ci saranno almeno (almeno!) 30 ostacoli da superare.
Chiunque in gara rifiuta di effettuare alcuni passaggi, può evitarli ma senza in qualche modo ricorrere ad
alternative comunque non semplici che vengono definite “punizioni”.
Se la domanda è “ce la posso fare?”, la risposta è Si. Bisogna dedicarci tempo, sacrificio e costanza per prepararsi non
a vincere ma a superare i propri limiti. Solo nel 2016 in Italia si sono contati più di 30.000 partecipanti e questo
numero negli anni è andato via via crescendo perché è una disciplina che aggrega, divertente ed è aperta a tutti senza
distinzione alcuna.