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IL CERVELLO CHE IMPARA CAPITOLO 1: LO SVILUPPO DEL CERVELLO E

DELLA MENTE LO SVILUPPO DEL CERVELLO → Per stimolare e potenziare il


cervello bisogna conoscere come e quando si sviluppa,e quali sono le sue trasformazioni.
Ogni età ha le sue caratteristiche biologiche,ed anche il comportamento del bambino è
importante poiché agli ha una propria individualità. [Le tecniche come la PET o la
risonanza magnetica,ci hanno fornito un quadro del cervello e della mente diverso da
quello del passato:oggi sappiamo come maturano le varie aree cerebrali,come si
relazionano tra loro,e come i diversi stimoli agiscono sulla corteccia cerebrale]. Nel
corso dello sviluppo anche il cervello va incontro ad importanti modifiche,come la
quantità, il volume cerebrale, la qualità, il numero delle cellule e le loro connessioni, i
contatti che uniscono i neuroni nella rete da cui dipende il nostro comportamento. Alla
nascita il cervello ha un volume di circa il 60% rispetto quello di un adulto,che ha 5 anni
passerà al 75%,a 6 al 90%,ed infine a 12 anni al 100%. Il cervello cresce
rapidamente,ma il volume non è l’indice del potenziale cerebrale. Il cervello è formato
dal tessuto nervoso,di cui le cellule che lo formano hanno un comportamento particolare
legato alla loro specifica proprietà di scambiarsi i messaggi. La comunicazione nervosa
si basa sul fatto che i neuroni hanno la capacità di modificare le proprie caratteristiche
elettriche quando si eccitano,facendo si che a un’estremità del neuroni vengano liberate
molecole chimiche,attraverso cui i neuroni comunicano(mediatori nervosi). La
specificità (qualità specifica) di una rete di neuroni consiste nello scambio di
informazioni. Per dar forma ai circuiti nervosi è necessario eliminare i neuroni in
eccesso e le sinapsi (collegamenti con i neuroni diversi). [Questo processo è definito
maturazione cerebrale. L'eliminazione dei neuroni è importante infatti] Dopo la nascita,
vengono consolidati solo i neuroni utili ed impegnati in una particolare funzione. Il
cervello di un neonato ha un numero più elevato di fibre nervose (assoni), ed ha anche
tra il 30% ed il 60% di neuroni in più rispetto al cervello dell’adulto,che verranno però in
seguito eliminati, per dare forma ai circuiti nervosi che avranno un ruolo definitivo. Un
altro aspetto della maturazione cerebrale riguarda la sinapsi ,i punti di contatto tra i vari
neuroni che danno forma ai circuiti nervosi. Le sinapsi sono dinamiche e si formano a
decine di migliaia dopo una particolare esperienza,ma posso decadere se non vengono
utilizzate. [Dopo la nascita le sinapsi vanno incontro a due diversi processi: -la
formazione di nuove sinapsi -la potatura di quelle in eccesso o inutili.] La produzione di
sinapsi si riflette sulla maturazione di alcune funzioni nervose: al 3° mese la corteccia
uditiva e la regione temporale superiore dedicata alla percezione dei suoni del linguaggio
arriva al picco massimo della formazione ,invece la formazione della sinapsi risulta più
tarda nella corteccia del lobo frontale da cui dipendono funzioni complesse come alcuni
aspetti del linguaggio, la capacità di analizzare una situazione scegliendo la risposta più
adatta. In generale le e aree di decodifica delle sensazioni maturano più precocemente di
quelle da cui dipendono le funzioni cognitive(corteccia frontale e pre-frontale). Numero
studi dimostrano che il processo di maturazione è molto lento e va oltre la tarda
adolescenza;è evidente nella corteccia frontale,dove sino ai 20-22 anni sono presenti
degli isolotti di cellule nervose non ancora connesse tra loro da fibre mature.
Ovviamente bisogna dare peso alle differenze individuali. La struttura dei circuiti
cerebrali non dipende solo da un programma genetico,ma dalle esperienza che facciamo
sin dalla prima infanzia,che col passare del tempo ci portano ad acquisire maggiore
individualita,differenziandoci e sviluppando caratteristiche tipiche dell'età a cui
apparteniamo ,legate alla nostra personalità o al nostro DNA che ci rende unici. LO
SVILUPPO DELL'IO → La nostra unicità dipende dalle informazioni contenute nel
nostro DNA. Ma l’idea che ognuno ha di se stesso è invece generata dal mondo in cui
guardiamo al mondo,dalla nostre esperienze vissute,dai nostri ricordi,dall’immagine che
abbiamo di noi. L’io dipende da una serie di tappe dello sviluppo,tra disposizioni
genetiche e fattori ambientali. Nei primi mesi di vita il cervello di un bambino è molto
simile a quello di uno scimpanzé o un gorilla(neuroni e circuiti nervosi). La corteccia
cerebrale invece presenta delle caratteristiche uniche: negli essere umani le aree
associative, che connettono tra loro le diverse aree che codificano i messaggi sensoriali
(tattili-uditivi-visivi) hanno uno spazio più grande,anche la corteccia frontale e diverse
aree del cervelletto sono più ampie. Man mano il cervello infantile diventa più
complesso ed emergono comportamenti sempre più complessi. Le diverse tappe dello
sviluppo che portano a una individualità consolidata sono: - 1-3 mesi. Nelle prime
settimane di vita i comportamenti e la sopravvivenza del neonato dipendono sopratutto
dall’attività delle strutture situate sotto la corteccia,che assicurano sonno,attività
alimentari,sensazioni non distinte. La corteccia cerebrale non è matura alla nascita. -3-6
mesi. Alla nascita le caratteristiche esterne del cervello sono simili a quelle di un
cervello maturo,ma molte connessioni tra i neuroni devono essere stabilite, e molte fibre
nervose devo essere rivestite dalla mielina( guiana di grassi e proteine). Intorno 3-6 mesi
di vita iniziano a maturare le aree occipitali temporali e parietali. Con la maturazione di
queste aree il bambino comincia a controllare i muscoli del corpo (collo-braccia-tronco-
gambe),impara a distinguere i messaggi visivi e a riconoscere quelli uditivi. Prima di
questa fase il bambino padroneggia solo i muscoli del volto e non sa riconoscere e
ricordare bene i suoni del linguaggio. - 9-10 mesi. La corteccia frontale inizia a maturare
velocemente e si sviluppano le fibre nervose che connettono tra di loro le varie parti
della corteccia,permettendo alle aree responsabili della decifrazione dei suoni,messaggi
visivi e tattili, produzione di movimenti ,si possano scambiare informazioni. È una fase
in cui il bambino imita l’adulto,inizia a comunicare intenzionalmente,fa uso di oggetti.
Si diverte scoprendo che un oggetto nascosto può essere ritrovato e non smette di
esistere,prova soddisfazione riscoprendo tante volte l’oggetto nascosto. - 1-2 -anni. Dal
decimo mese e oltre la fine del secondo anno di vita, il cervello del bambino si trasforma
profondamente: le cellule nervose fabbricano grandi quantità di sinapsi, attraverso cui i
prolungamenti dei neuroni, assoni e dendriti, entrano in contatto con i corpi cellulari di
altre cellule nervose. La produzione di sinapsi è enorme proprio perché il cervello del
bambino deve far fronte a nuove attività: acquisire nuovi vocaboli, imparare regole
grammaticali, assortire eventi ed esperienze. - 2 anni- buona parte delle strutture
grammaticali è stata acquisita e lo sforzo linguistico è meno intenso, la produzione di
sinapsi e il metabolismo cerebrale diminuiscono:producendo sinapsi si sintetizzano
nuove proteine, fornendo sopratutto zucchero alle proteine per sostenere la loro intensa
attività. ed in seguito è in grado di orientare le mani e sviluppare una “prese di
decisione” (afferrare un cucchiaio opponendo l’indice ed il pollice). Queste azioni
motorie sono man mano sempre più coordinate e basate su un susseguirsi di atti che
dipendono da memorie. Quest'ultime codificano concatenazioni/connessioni di
movimenti in grado di rispondere a situazioni specifiche. Le procedure motorie oltre a
dipendere da memorie, imitano anche le espressioni facciali dell’adulto: i movimenti, gli
arti e la mimica formano degli schemi motori, memorie muscolari su cui si addensano le
memorie successive. Queste memorie muscolari, (PROCEDURALI perché implicano
una serie di procedure e non di significati come per le memorie semantiche) sono il
punto di partenza dei successivi apprendimenti linguistici, anch'essi fondati su sequenze
motorie che servono per produrre una serie coordinata di suoni significativi. Infatti il
neonato apprendere gradualmente i principi di sequenzialità e di casualità a partire dalla
logica interna dei movimenti e delle azioni. Questi principi sono essenziali per
strutturare il linguaggio, per produrre movimenti fonatori congrui (appropriati, adatti,
conformi), per ordinare le parole secondo una progressione logica. Le funzioni motorie
vengono considerate di basso livello,come un’entità inferiore a quella mentale. Il realtà il
pensiero cosciente è strettamente collegato con l’attività di aree della corteccia
responsabili di movimenti reali o immagini. Il nostro cervello è un enorme archivio di
repertori motori ,custoditi dai gangli alla base e dal cervelletto e che lo psicologo
Alexander Lurija ha definito “Melodie cinetiche” per indicare la complessa fluidità che
ognuno di noi mette in opera nei diversi atti della vita quotidiana. Le tecniche di
visualizzazione cerebrale hanno contribuito alla conoscenza degli schemi motori; se si
chiede ad una persona di muovere la mano per afferrare un oggetto, la sua corteccia
premotoria (lobo frontale) diviene attiva. Questo dimostra come esistano delle aree del
cervello che predispongono il movimento e aree che lo realizzano. Un altro livello
riguardante la fase precedente l’azione e azione riguarda l’esistenza di neuroni specchio
studiati da Rizzolatti e Gallese e Fogassi. Sono situati nella corteccia frontale più
precisamente nell’area premotoria (area 5 di broadman) dei primati. I neuroni specchio si
attivano quando afferriamo un oggetto e quando lo vediamo afferrare da qualcun altro.
Essi sono attivi anche nella nostra specie (e sono al centro di comportamenti imititavi
sopratutto nella fasi infantile; giocano un ruolo fondamentale nell'intelligenza linguistica
perchè). È attraverso l’osservazione e l’azione motoria che i bambini realizzano degli
apprendimenti concreti che si trasformeranno in concetti astratti. Oltre ai neuroni
specchio, vi sono altri neuroni (solco temporale posteriore) che entrano in sintonia con le
azioni degli altri, poichè sono sensibili all’attenzione e alle intenzione della persona: essi
possono rispondere alla direzione dello sguardo, ai movimenti della testa o del corpo. La
dimensione motoria è stata finora sottovalutata a scapito di una dimensione cognitiva
disincarnata. Ma, come hanno osservato numerosi pedagogisti, un aspetto fondamentale
dello sviluppo riguarda il controllo motorio e il coinvolgimento diretto del bambino:
esso ha importanti ricadute sulle funzioni cognitive e pone l'accento sullo stretto
intreccio che esiste tra mente e corpo in ogni età della vita CAPITOLO 2: PARLARE E
SCRIVERE LE RADICI DEL LINGUAGGIO → Gli esseri umani parlano e
comprendono le parole che ascoltano grazie ai centri del linguaggio situati nell'emisfero
sinistro. Il linguaggio, tuttavia, non si basa solo sulle aree del linguaggio, motorie (l'area
frontale di Broca, che custodisce le memorie procedurali per articolare i suoni) o
sensoriali (l'area di Wernicke che custodisce le memorie relative ai significati delle
parole): esso dipende da una rete di interazioni con altri sistemi e aree del cervello
specializzate nella rappresentazione di oggetti, nella percezione, nella motricità. [I punti
di contatto tra azioni motorie e linguaggio non si limitano però solo a questo aspetto:] Il
linguaggio è anche caratterizzato da sequenze logiche, da parole che devono venire
prima e altre che devono venire dopo, proprio come accade nella produzione di
movimenti complessi, caratterizzati da una logica interna basata su una sequenza di
eventi. La logica operazionale del linguaggio rispecchia la logica del corpo e dei suoi
movimenti nel contesto in cui viviamo. Il linguista Noam Chomsky e i suoi seguaci
sostengono che il linguaggio sia fondamentalmente innato: alcune regole linguistiche
sono uguali per tutti poiché tutti facciamo le stesse esperienze su percezioni, movimenti
azioni simili. Certo è che non potremmo parlare se non avessimo un organo vocale
appropriato (la laringe), e se il nostro cervello non fosse programmato dalle due aree
(broca e wernicke). Il linguaggio, però, può essere prodotto da una serie di attività
cognitive già coinvolte nelle funzioni sensoriali, motorie, nella memoria, nella
comunicazione. Infatti noi impariamo a parlare perché nella nostra infanzia abbiamo
osservato il mondo che ci circonda, le conseguenze dei movimenti degli adulti e delle
nostre stesse azioni. [Alcune funzioni cerebrali contribuiscono a dar vita al linguaggio, e
quindi la mente ha una sua unitarietà, non consistente nella somma di vari moduli,
ognuno autonomo e responsabile di una funzione particolare. La mente quindi ha una
componente motoria che è la più antica dal punto di vista evolutivo e che continua a
condizionare numerosi aspetti del nostro pensiero]. L'interiorizzazione progressiva del
linguaggio dipende dalla maturazione neurologica e muscolare ma anche dall'esercizio e
dal desiderio di comunicare. Ma quali sono le tappe dello sviluppo linguistico? Il
linguaggio inizia a strutturarsi da piccoli movimenti fino a quando queste procedure non
sono memorizzate e fanno parte di un repertorio a cui si può accedere con facilità. Lo
sviluppo delle memorie motorie nel corso dell'infanzia indica che la memoria non è un
fatto soltanto mentale ma anche corporeo poiché fondato su procedure non esplicabili.
Quindi l'azione racchiude un sapere del corpo che può essere acquisito solo mediante
l'imitazione e la pratica, come nel caso del linguaggio che si realizza a partire da
movimenti degli organi vocali, che sono memorizzati attraverso le ripetizioni successive.
Un secondo aspetto dello sviluppo del linguaggio riguarda la maturazione di una
comunicazione pregrammaticale e pre lessicale. Si tratta di forme di comunicative che si
effettuano tramite il pianto, i gesti i vocalizzi e il balbettio. A partire dal secondo anno di
vita il pianto come mezzo di comunicazione di richiamo diminuisce perché il bambino
comincia a esprimersi a parole tuttavia resta come espressione di dolore e frustrazione.
Nel corso del primo anno di vita emerge inoltre un repertorio iniziale di mimica e gesti:
sorridere, tendere le braccia per essere preso in braccio, voltare la testa dall'altra parte,
sono tutte modalità espressive con cui il piccolo comunica i suoi stati d'animo. [Oltre al
pianto e ai gesti, il neonato produce anche dei vocalizzi che sono simili in tutti i contesti
linguistici, infatti le parole mamma e pappa sono simili in molte lingue]. La fase del
balbettio ha inizio verso i 3 e perdura fino agli 11-12 mesi. La prima forma di balbettio è
costituita da vocali semplici o unite a consonanti (ma, na, da), in seguito il controllo
crescente rende possibile la lallazione o la ripetizione dello stesso suono più volte (ma-
ma-ma). Con l'esercizio il bambino amplia il proprio repertorio e imita i toni e
inflessioni. Verso il primo anno di età, il bambino imita suoni specifici e nuovi non
presenti nella fase del balbettio. Il passaggio dal balbettio al linguaggio vero e proprio
dipende non soltanto dello sviluppo neurologico e dall'apparato fonetico, ma anche
dall'esercizio e dagli incentivi. Quindi possiamo sostenere che il linguaggio è una forma
di apprendimento dove i gesti, le posture, i movimenti, le emozioni rendono motivante e
significative le esperienze. DAL RICONOSCIMENTO DEL LINGUAGGIO
MATERNO ALLE PRIME PAROLE → I neonati vengono al mondo con una
preferenza per la lingua parlata della madre (lingua che hanno ascoltato nel corso del
loro sviluppo intrauterino). Inoltre è stato possibile dimostrare che i bebè sono molto
sensibili alla prosodia della madre (la combinazione di ritmo, accento, intonazione del
linguaggio). Quindi i bebè sono attratti dalla voce materna e sono particolarmente
sensibili alle variazioni delle sue componenti (altezza, tono e durata dei suoni). Il
linguaggio materno esercita il suo effetto molto precocemente, facendo sì che i suoni
percepiti dal feto, quando la mamma parla, contribuiscono a dare forma al cervello
uditivo e a far emergere quella musicalità, la passione per ritmi e melodie. Due
ricercatori dell'Università della California hanno condotto degli studi su dei topolini,
scoprendo che se venivano allenati in un ambiente privo di ogni fonte acustica, gli
animali presentavano delle anomalie strutturali e fisiologiche (acusticamente), rispetto
agli animali allevati in un ambiente normale. Quindi i topolini non riuscivano a percepire
tanti rumori perché la loro corteccia uditiva non si era sviluppata. Nei mammiferi la
corteccia uditiva ha bisogno di stimoli per svilupparsi. Nel caso degli esseri umani i
nuclei uditivi del tronco encefalico sviluppano le loro connessioni con la corteccia se
ricevono stimoli acustici. (il feto in pancia smetterà di rispondere se lo stimolo uditivo è
monotono). I suoni continui che variano progressivamente e lentamente, le melodie
tipiche delle ninne nanne e del cosiddetto “maternese” (il linguaggio melodico con cui le
madri si rivolgono ai bebè), sono gli stimoli ideali per far maturare le competenze
uditiva prima di un feto, poi di un neonato. [Alla nascita, un neonato mostra di preferire
la voce materna rispetto a quella di un estraneo, il che segnala che ha memorizzato
alcune caratteristiche del timbro vocale materno]. Un'altra caratteristica della reattività
infantile al linguaggio riguarda la capacità di differenziare parole congrue da parole
senza senso (fonemi - mattoni che costituiscono una parola): l'attività cerebrale di un
neonato è alquanto diversa quando ascolta parole significative rispetto a parole insensate
in quanto riesce a fare la differenza tra esse. [pagina 37 i bambini prematuri non riescono
perché non hanno ancora raggiunto la fase in cui l'esperienza linguistica non lascia una
traccia]. Il neonato dunque nasce già improntato al linguaggio poichè riconosce timbro e
musicalità delle parole. I piccoli dimostrano di conoscere il significato del linguaggio/
delle parole, che si riferiscono a oggetti di uso comune i cui nomi vengono usualmente
nominati dai genitori, intorno ai 7 mesi. Ovviamente piccoli non parlano a quest'età ma
si mostrano compotenti dal punto di vista della comprensione. Quindi esiste una chiara
dissociazione tra l'età in cui si pronunciano le prime parole e l'età in cui le si
comprendono. Durante questo intervallo i piccoli sviluppano la capacità di parlare
Quando l'apprendimento di una seconda lingua avviene in età non precoce per esempio
nella tarda adolescenza, oltre all'accento, la capacità di grammaticale è quella più colpita
(e le aree del cervello coinvolte nell'apprendimento grammaticale tardivo sono diverse
rispetto a quelle da cui dipende un apprendimento precoce). Studiando l'attività cerebrale
delle persone che hanno appreso la prima lingua dalla nascita o la seconda entro i primi
tre anni di vita, si nota che reagiscono agli errori di grammatica con l'emisfero sinistro,
invece coloro che hanno appreso la seconda lingua dai 4 ai 13 anni reagiscono agli errori
di grammatica con l'attivazione dell'emisfero destro. [In sostanza possiamo dire che
l'apprendimento linguistico tardivo si compie attraverso la compartecipazione di un
emisfero che non è tendenzialmente linguistico (quello di destra),] comporta maggiori
difficoltà e tempi più lunghi quando si parla nella lingua che non è quella materna,
perché l'emisfero destro è meno competente dal sinistro nelle funzioni linguistico e nello
scambiarsi informazioni con il sinistro per associare le parole ai significati e per
costruire frasi e periodi. LA DISLESSIA → Il linguaggio è un sistema composto da una
serie di componenti gerarchizzati. A un più alto livello di questo gerarchia vi sono le
caratteristiche - semantiche (vocabolario e significato delle parole) - sintattiche (struttura
grammaticale) - discorsive (concatenazione delle frasi). A livello inferiore della
gerarchia vi sono i moduli fonologici, responsabili del riconoscimento dell'elaborazione
degli elementi sonori di base che formano il linguaggio. I fonemi sono delle unità di base
attraverso cui componiamo le parole, sono dei mattoni naturali della lingua parlata che
riconosciamo in modo naturale automatico in quanto il linguaggio è una caratteristica
naturale della mente. La scrittura, invece, dipende da un apprendimento che comporta di
trasformare i fonemi (codici vocali) in codici scritti o grafemi. Perché questo processo di
trasformazione si verifica i bambini devono rendersi conto che la scrittura corrisponde
alla fonologia e ciò implica uno sforzo enorme. La maggior parte dei bambini, tra i 4 e i
6 anni, diviene consapevole della struttura fonologica delle parole parlate; in una certa
percentuale di bambini questa consapevolezza non si verifica perché nel loro cervello
non funziona il modulo fonologico. [Un bambino dislessico ha problemi nella lettura
delle parole più banali (mano --> pane), ma se gli si chiederà il contenuto della figura il
bambino dimostrerà di aver capito di cosa si tratta, anche se non è in grado di
pronunciare la parola scritta]. I problemi di un dislessico hanno origine nell'emisfero
sinistro che presenta delle aree specifiche per le diverse funzioni linguistiche: una parte
della corteccia del lobo occipitale identifica le lettere scritte, la parte media del lobo
temporale identifica il significato delle parole, mentre i processi di tipo fonologico si
svolgono nell'ambito della parte inferiore della corteccia frontale. Nelle donne i processi
fonologici hanno luogo sia nel giro frontale inferiore di sinistra che in quello di destra, in
questo modo si può far fronte a eventuali problemi che derivano dai deficit di uno solo
dei due emisferi quindi le donne sono meno soggette. Il problema della dislessia
fonologica è legata a un deficit della corteccia frontale inferiore di sinistra: questa non è
danneggiata, ma soffre di un ritardo di maturazione ed è pigra visto che elabora
l'informazione con notevole lentezza. Quando un bambino si rivela dislessico, cioè non
impara a leggere a scrivere e presenta notevoli difficoltà scolastiche, bisogna rieducarlo
a leggere con il rallentatore: per esempio attraverso opportuni programmi del computer
vengono pronunciati fonemi o brevi parole con grande lentezza e il bambino deve
identificarle. Attraverso questa strategia i bambini dislessici possono essere riabilitati
ovvero loro devono scomporre una parola nei loro suoni di base e non considerarla come
insieme privo di significati. I bambini dislessici sono capaci di trascrivere parole in
arabo o ebraico a loro ignote, proprio perché per loro queste parole sono figure, non
segni dotati di linguaggio. L'IO COME RACCONTO → . La nostra individualità non si
basa solo sulle esperienze accumulate, ma principalmente su come vengono collegate tra
loro: l'io è il prodotto di una storia che ci raccontiamo e attraverso cui attribuiamo
significati al succedersi dei fatti della nostra vita. L'apprendimento del linguaggio ha
quindi un ruolo basilare nello sviluppo dell'io. Per apprendere il linguaggio bisogna
essere esposti al linguaggio degli adulti, questo potenzia lo sviluppo dell'intelligenza,
come indicano alcuni studi che sostengono che le competenze cognitive e sociali
dipendono dalla quantità di linguaggio (si intende un rapporto con l'adulto) a cui viene
esposto il bambino tra i 6 mesi ai 3 anni di vita. Il linguaggio infantile emerge della
capacità di comunicazione sociale del bambino. È con la capacità comunicativa del
bambino che emerge l'io autobiografico o narrativo, un io costruito sulla base delle storie
del bambino si racconta. Col passare degli anni le storie che raccontiamo aderiscono alla
concretezza, ma denunciano l'esistenza di diversi punti di vista interni all'io. Le storie
che raccontiamo sulla nostra vita possono avere valenze diverse ed essere scomposte:
dall'esterno come spettatore, dall'interno con attore. CAPITOLO 3: RICORDARE E
IMPARARE SVILUPPARE L'ATTENZIONE → Due psicologi Friedman e Miyake
hanno proposto un modello modello delle funzioni esecutive che si basa su una triade
funzionale: - inibizione è la capacità di sopprimere informazioni non pertinenti interne o
esterne - flessibilità implica di passare alternativamente da un'operazione mentale a
un'altra - aggiornamento comporta modifiche del contenuto della memoria di lavoro o a
breve termine a seconda dell'informazione più recente. Queste tre componenti non sono
ben differenziate fino ai 5 anni, dopodiché diventano autonome. La quantità di
informazione manipolata aumenta progressivamente a partire dai 5-6 anni. Anche il
doppio codice verbale visivo non entra in funzione che dopo i 7 anni: fino a quel
momento i bambini si basano su informazioni spaziali, meno efficace di quelle
dipendenti da un doppio codice. È soltanto nell'adolescenza che le funzioni esecutive sì
consolidano in questo modo gli adolescenti sono in grado di padroneggiare la loro
flessibilità mentale per adattarsi ai nuovi compiti. Per fare esperienze significative,
memorizzare, apprendere è necessario selezionare alcuni fra i tanti simboli che
bombardano la nostra mente e la mente di un bambino piccolo, aperta a ogni
cambiamento e ogni sensazione. L'attenzione di un bambino piccolo è di brevissima
durata: è in questa fase che un lattante può fare brevi esperienze notando che quel che c'è
di nuovo nell'ambiente, prestando attenzione al messaggio dell'adulto, esplorando
attivamente un oggetto nuovo. La labilità dell'attenzione di un lattante di un bambino
piccolo è legato all'immaturità della corteccia frontale che ha il compito di reprimere gli
stimoli e di conseguenza permette l'attenzione verso uno stimolo particolare. Anche le
modalità di attenzione sono diverse nel corso dello sviluppo infatti un bambino piccolo
ha un attenzione labile ma non è in grado di sostenere due compiti simultaneamente.
Anche nei bambini più grande l'attenzione di breve durata: un bambino di 6-7 anni
comincia a distrarsi dopo 15 minuti, un ragazzo di 15-16 anni presta attenzione pe 30-45
minuti. Per favorire l'apprendimento bisogna quindi utilizzare esperienze di breve durata
e alternare argomenti e codici sensoriali [per esempio con un bambino della scuola
materna bisogna saper cogliere le fasi di attenzione e ogni esperienza deve avere un
carattere ludico, mentre con i bambini della scuola primaria è opportuno fare pause
frequenti, cambiare argomento di discussione o lettura e stimolare l'attenzione con l'aiuto
di immagini, aneddoti, richiami leggeri]. Bisogna favorire l'assunzione di un ruolo attivo
spingendo il bambino a essere coinvolto in prima persona cioè a non essere passivo in
questo modo l'attenzione è desta. Un altro fattore che interferisce con l'attenzione è
l'ansia e la preoccupazione. Quest'ultime due fanno diminuire l'attenzione poiché la
mente è sempre rivolta ad altri pensieri o si trova in uno stato di confusione. Bisogna
tenere presente che i bambini sono abituati a dei messaggi molto rapidi, quindi le
situazioni che richiedono lentezza risultano intolleranti. Per questo motivo bisogna
cercare di insegnare la lentezza e la concentrazione (esempio osservando il
comportamento animale). Non bisogna poi concedere troppi stimoli ai bambini, evitare
di distrarli ancora di più. RICONOSCERE E RIEVOCARE → A quale età si sviluppa la
capacità di trasformare un'esperienza in un ricordo stabile? La prima forma di memoria
che si sviluppa in un bambino piccolo è la memoria di riconoscimento. A 5-6 mesi un
bambino può riconoscere un evento familiare, ma l'evento deve essere presente per
stimolare la memoria dato che egli non è ancora capace di rievocare. Questa semplice
forma di memorizzazione comporta tempi bravissimi e diventa più stabile tra gli 8 e 12
mesi, (quando si passa da una forma molto precaria a una forma di memoria più stabile -
promemoria di lavoro) permettendo di ricordare un evento per tempi più lunghi. Anche
se la memoria di lavoro fa la sua comparsa intorno ai 5-6 mesi, la sua presenza può
passare inosservata perché essa inizialmente opera per periodi di tempi brevissimi è
soltanto in seguito e gradualmente si stabilizza per tempi che diventano sempre più
lunghi. Lo psicologo Kagan e i suoi collaboratori in un esperimento nascondevano un
oggetto in presenza di un bambino sotto uno dei due panni diversi e facevano aspettare il
bambino da 1 a 7 secondi prima di consentirgli di cercare il giocattolo. Osservando
questi bambini costantemente durante la loro crescita, lo psicologo si accorse che la
capacità di ricordare dove fosse nascosto un oggetto migliorava costantemente. La
capacità di tenere a mente un esperienza passata e servirsene per fare un confronto con
una diversa della realtà, si manifesta tra gli 11-12 mesi. L'abilità di richiamare e
trattenere uno schema in memoria consente di comprendere le radici di alcune paure
universale che compaiono negli ultimi mesi del primo anno di vita, la paura degli
sconosciuti e la paura di separarsi dai familiari. Gli psicologi sono arrivati alla
conclusione che nell'arco di qualche mese il bambino passa dal riconoscimento di un
fatto sperimentato pochi attimi prima alla capacità di rievocare sensazioni legata a un
passato più lontano. Mentre la memoria di riconoscimento appare abbastanza
precocemente, la memoria [Diverse ricerche hanno dimostrato che le funzioni esecutive
iniziano ad emergere intorno al settimo mese di vita. Questa capacità dipende dalla
progressiva maturazione della corteccia cingolata (parte interna dei due emisferi
cerebrali). L'efficienza di queste aree corticali aumenta man mano che con la crescita
diminuisce l'attività dei neuroni che si scambiano informazioni grazie ad un mediatore
nervoso, la dopamina.] Per quanto riguarda le funzioni cognitive fanno parte dei processi
cognitivi di alto livello: dipendono soprattutto dai lobi frontali che sono alla base di un
comportamento volto/ diretto verso la fine o uno scopo. Ma è possibile potenziare le
funzioni esecutive in ambito scolastico? Per quanto riguarda le funzioni esecutive in
ambito scolastico, i risultati di diversi studi indicano che queste funzioni possono essere
potenziate con alcune strategie: è stato dimostrato che dopo almeno 30 minuti di attività
fisica la capacità di concentrazione aumenta, quindi bisognerebbe anticipare l'ora di
educazione fisica all'inizio della giornata scolastica. Un'altra strategia consiste nel
favorire le associazioni tra rappresentazione motorie e apprendimento attraverso una
tecnica che è stata definita apprendimento recitato. La tecnica sfrutta il fatto che le
memorie motorie sono particolarmente robuste mentre quelle semantiche sono più
fragili. L'apprendimento recitato è stato utilizzato per migliorare l'apprendimento di una
seconda lingua: i bambini devono recitare in gruppo una serie di vocaboli
accompagnandoli con gesti e movimenti che ne rappresentino il significato. Uno studio
sull'efficacia di questo metodo indica che gli studenti hanno raggiunto prestazioni 3 volte
superiori rispetto agli studenti che hanno seguito il metodo convenzionale. Anche
l'esecuzione di brani musicali migliora le funzioni cognitive in quanto viene accelerata la
maturazione della corteccia cingolata. STIMOLARE IL CERVELLO → Con la
plasticità del cervello è possibile ristrutturare il cervello attraverso una stimolazione
adeguata? Montessori proponeva una serie di tecniche e procedure per migliorare
l'attenzione e le funzioni cognitive infantili, soprattutto di bambini con deficit
comportamentale: si trattava di stimolare i sensi e le capacità sensorimotorie dei bambini
per facilitare il loro recupero. Le sue intuizioni furono riprese tra gli anni Sessanta e
Settanta del secolo scorso da diversi neuroscienziati tra cui Mark Rosenzeeig che compì
degli esperimenti su animali di laboratorio allevati in un ambiente ricco di stimoli
sensomotori o in un ambiente impoverito. L'esperimento mostrò che gli animali vissuti
nell'ambiente stimolante erano cognitivamente più vivaci, con delle trasformazioni delle
struttura della corteccia cerebrale (caratterizzata da neuroni con un maggior numero di
diramazioni cioè da una maggiore capacità di formare sinapsi con altri neuroni). Le
ricerche condotte dagli scienziati di Berkeley influenzano le politiche sociali
statunitensi: il presidente Kennedy fece un programma (headstart) volto alla
stimolazione cognitiva dei bambini che vivono in ambienti a rischio. Gli studi di
Rosenzweig dimostrarono che il cervello è fortemente elastico al punto che la sua
struttura e la sua funzione possono essere modificati da opportuni stimoli nel corso
dell'infanzia. Un neuroscienziato giapponese esperto di tecniche di neuroimmagine
Kawashima ha proposto una serie di esercizi per migliorare il proprio potenziale
cognitivo. Egli ha elaborato un software (Brain Training) consentirebbe di praticare una
aerobica mentale che in qualche settimana potenzia le capacità di memoria e quelle
esecutive di chi la pratica. Con questo programma però anche se si diventa più bravi a
risolvere i test, il miglioramento delle capacità si ha nel programma in oggetto, mentre
siamo uno scarso transfer nelle situazioni. NEUROPEDAGOGIA DELLA TERZA ETA'
→ Per contrastare quei segni dell'età che colpiscono soprattutto il cervello bisogna
seguire una serie di strategie adatte, ma per farlo è necessario comprendere e conoscere
come funzionano il corpo e la mente di un adulto e di un anziano. L'invecchiamento
cerebrale non è in realtà ineluttabile in quanto nel corso degli anni, le neuroscienze
hanno indicato che il cervello è un organo plastico anche nell'età avanzata, ha però
bisogno di stimoli appropriati per conservare la sua plasticità. La salute del corpo e della
mente dipendono, quindi, da una opportuna stimolazione (o lo adoperi o lo perdi). La
struttura e le funzioni del cervello si modificano in rapporto all'ambiente e alle nostre
esperienze. È quindi essenziale tenere viva la mente e continuare ad aggiornare i propri
schemi mentali facendo nuove esperienze. I segnali più evidenti dell'invecchiamento
cerebrale riguardano la memoria: infatti a partire dai 50-60 anni questa capacità della
mente comincia a dare qualche dispiacere in quanto non siamo più in grado di ricordare
ciò che vogliamo e nel momento in cui lo vogliamo. [I primi segnali di questa diminuita
capacità riguardano i nomi, i cognomi, i numeri di telefono. La frequente incapacità di
ricordare nomi e cognomi è dovuto al fatto che essi non sono connotativi, non si
riferiscono cioè alla proprietà di una persona. Lo stress inoltre influenza molto la carenza
della memoria in quanto il cervello ha una funzione diversa: è meno pronto nel reagire
ad alcuni stimoli, meno capace di prestare attenzione, meno abile nel rievocare memorie
o formarne di nuove]. La minore efficienza della memoria riguarda soprattutto le
memorie di semantiche, ovvero quelle associate ai significati linguistici (come per
esempio andare in bicicletta). Una persona avanti negli anni, memorizza con minore
efficienza eventi nuovi, e ciò dipende da tre fattori: - una riduzione della capacità di
attenzione - una minore capacità del cosiddetto magazzino della memoria a breve
termine - una minore efficienza del cervello nel formare nuove sinapsi. Per ricordare
meglio o per contrastare il calo della memoria si può potenziare l'attenzione anche senza
aspettare di essere anziani. Si tratta di incrementare (quelli che gli psicologi chiamano)
l'attenzione selettiva. Questo tipo di attenzione implica un coinvolgimento dei sensi
attraverso cui viene percepito un messaggio. In secondo luogo, l'attenzione selettiva si
basa sull'individuazione dell'aspetto fondamentale del messaggio e delle emozioni che
esso suscita, e sull'interpretazione razionale cioè sulla ricerca del tema del messaggio,
del modo in cui esso è stato progettato e dei suoi elementi significativi. E infatti più
facile ricordare qualcosa che abbia un significato, posso che qualcosa che ne sia privo. Il
passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, il cosiddetto
“consolidamento”, richiede più tempo nell'anziano, in quanto si basa sulla formazione di
nuove sinapsi, i punti di contatto che rendono possibile la formazione di una catena di
diversi neuroni. A partire dall'età adulta, la produzione di nuove sinapsi avviene a un
ritmo più lento, dato che il metabolismo (delle proteine) di cui sono fatte le sinapsi è
rallentato, quindi gli anziani hanno bisogno di più tempo e procedono più lentamente
nell'apprendimento. Con la vecchiaia si verifica una perdita di neuroni a livello: –
dell'ippocampo, un nucleo nervoso che gioca un ruolo importante non solo per la
decodificazione e il rintraccio dei ricordi ma anche nelle memorie spaziali; – e della
corteccia frontale, il lobo frontale è implicato nella gestione dell'informazione e nel
corso della vita il volume del suo magazzino si riduce, questo causa/ comporta una
minore capacità di gestire simultaneamente le diverse informazioni che fanno parte della
realtà. Tentare di incrementare la memoria a breve termine rappresenta un'ottima
strategia: oltre agli esercizi per potenziare l'attenzione, i neurologi consigliano anche
quelli per potenziare la gestione dell'informazione, come per esempio imparare a
memoria (qualche verso, un brano). CONTRASTARE IL DECLINIO COGNITIVO →
A partire da 70 anni, non è difficile che si presenti uno stadio preclinico della malattia di
Alzheimer. Al momento non sono disponibili farmaci che contrastino questa malattia,
quindi diversi gruppi di ricerca si sono concentrati su forme di ginnastica mentali che
possono bloccarla o ritardarla. Degli studi effettuati nel Università del Texas e
dell'università dell'Illinois indicano che un'opportuna ginnastica mentale, volta a
potenziare l'attenzione in rapporto al significato delle informazioni complesse, può
veramente essere utile. Questa ricerca ha coinvolto un gruppo di persone di età media
intorno ai 65 anni, che per 1- 2 mesi hanno ricevuto sedute settimanali di almeno un'ora.
In questa seduta veniva potenziata la capacità di bloccare distrazioni e di concentrarsi su
ciò che è importante, e quindi il ragionamento integrato, ovvero la facoltà di estrarre il
significato essenziale da diverse fonti di informazione. Queste strategie hanno portato ad
un miglioramento delle funzioni cognitive e hanno rallentato in modo significativo
l'insorgenza della malattia di Alzheimer. La memoria non è una semplice spugna, ma è
un muscolo da addestrare. Di recente un neuroscienziato esperto in plasticità cerebrale,
Michael Merzenich, ha lanciato un Brian Fitness Program decisamente più articolato
rispetto ad altri programmi proposti in passato, come per esempio quello di Kawashima.
Si tratta di due diversi programmi di stimolazione della corteccia visiva e di quella
uditiva. In questo caso è stato svolto uno studio su 468 anziani che ha dimostrato
l'esistenza di miglioramenti cognitivi dopo 2 mesi di allenamento. Una ricerca condotta
dalla Mayo Clinic dall'università di Southern California, conferma il risultati di
Merzenich. Questo studio è il primo che dimostra che degli esercizi computerizzati per il
cervello migliorano l'attenzione e la memoria in modo generale. [Dobbiamo però
ricordare che tutta la letteratura medica e la neuropsicologica concorda sull'esistenza di
alcuni capisaldi alla base della prevenzione dei deficit cognitivi della terza età. In primo
luogo, è necessaria una dieta che contrasti lo sviluppo di forme arteriosclerotiche, vale a
dire una dieta povera in lipidi, e che punti a non essere in sovrappeso. In secondo luogo è
importante restare attivi intellettualmente, avere progetti, incontrare persone: questo non
è facile ma è la più valida ricetta da seguire]. UN DECALOGO IDEALE PER LA
VECCHIAIA → Si possono indicare 10 punti essenziali che rappresentano l'insieme di
studi compiuti dall'istituto statunitense per la ricerca sulla vecchiaia: 1- ricordiamo che il
cervello è plastico, se non lo si stimola lo si perde; 2- occuparsi della propria fitness
fisica e mentale già a partire dalla mezza età; 3- bisogna allenare la memoria, stimolando
le capacità cognitive; 4- lo stress ha effetti negativi sul sistema nervoso, bisogna quindi
imparare a rilassarsi; 5- le routine e le abitudini addormenta nel cervello, bisogna quindi
evitare la prassi quotidiana, introducendo qualche piccolo cambiamento; 6- iniziamo in
tempo un hobby che ci appassiona poiché sarà più difficile intraprenderlo
LAGGRESSIVITA' NEL BAMBINO → L'aggressività di un adulto ha generalmente
radici che affondano nell'infanzia. La negazione dei bisogni quali: avere un legame con
la figura di attaccamento o poter essere autonomi porta a forma di aggressività e
violenza. Quest'ultime possono essere anche forme di comunicazione con cui il bambino
ci informa del proprio disagio, con una serie di comportamenti: può stare isolato in un
angolo, fare molti capricci, sottrarre oggetti, e quando è più grande può dimostrarsi
sessualmente disinibito o esibire forme di aggressività sessuale. Intorno a 1-2 anni di età
un piccolo può colpire, strillare e anche mordere, ma di solito questi comportamenti non
sono considerati un problema, ma le stesse azioni essere percepite inappropriati in un
bambino di 3-4 anni. Si ritiene, infatti, che a quest'età un piccolo dovrebbe avere un
maggiore controllo anche se il suo cervello, da un punto di vista emotivo, è tutt'altro che
maturo. La sua corteccia cerebrale, in particolare quella frontale, è ancora lontana dal
raggiungere la compattezza e il comportamento è condizionato dal ruolo esercitato dai
centri emotivi, in primo luogo dell'amigdala che può scatenare emozioni violente. La
maggior parte dei bambini di un'età inferiore a 5-6 anni non sanno esattamente cosa sia
socialmente accettabile tuttavia anche a quest'età è facile distinguere tra un bambino che
si abbandona a una violenta esternazione delle proprie emozioni e passa il cosiddetto
“action out” (capriccio, aggressività manifesta e incontrollata) (bambino violento) e un
bambino che cerca solo di essere assertivo e di rivendicare le proprie ragioni e la propria
individualità. Scritto come il libro in caso vedi riassunto docsity →Inoltre quando i
bambini sono eccitati dimenticano quelle norme che invece rispettano in situazioni
normali. I giochi di movimento e in generale le attività motorie favoriscono
l'affiatamento e l'empatia, e incoraggiano i bambini a giocare insieme. Al contrario, un
bambino che non ha modo di giocare ed esplorare liberamente l'ambiente può
manifestare varie forme di aggressività. Punire il bambino per i suoi capricci violenti o
condotte aggressive può avere un effetto paradossale, perché la punizione può essere
percepita come una forma di attenzione, seppure in negativo. Un adulto deve quindi
conoscere i quali sono i motivi della violenza e dell'aggressività, e rispondere a esse con
calma, indicando ai piccoli che vi sono altri modi per esprimersi, favorendo giochi
all'aria aperta e ricordare che anche in età più tarda un bambino è sempre un bambino
dotato di un cervello immaturo ancora in formazione. GIOCHI DI MOVIMENTO E
GIOCHI VIRTUALI → Gioco e apprendimento sono strettamente intrecciati: Giocare è
utile sia per gli apprendimenti - aspecifici cioè per promuovere la maturazione delle
funzioni cognitive - specifici cioè per imparare nozioni, strategie in modo ludico, senza
fatica. Nell'infanzia il gioco è importante perché il bambino impara a padroneggiare i
propri movimenti ed in seguito ai 2-7 anni, passa al gioco simbolico in cui il bambino si
immedesima nei ruoli che vede svolgere dai grandi. Il gioco simbolico implica lo
sviluppo della fantasia e la capacità di formulare ipotesi. Il gioco di ruolo inizia intorno
ai 7 anni e dura tutta la vita e con questo gioco si imparano le regole del gruppo e quindi
della società. Man mano che si cresce i giochi di ruolo si basano su regole più precise.
Gli adulti possono intervenire in questa fase proponendo o fornendo alcuni modelli per
giochi di ruolo: in tal modo si può favorire la capacità di imparare un insieme di regole,
una capacità generale che sarà utile in altri ambienti. Si può anche cercare di favorire
apprendimenti specifici, per esempio, l'acquisizione di una lingua in forma giocosa. In
ogni caso questi giochi devono mantenere la loro caratteristica giocosa e avvenire
nell'ambito di un gruppo, non dei soli genitori e figli. Oggi i bambini si interessano ai
giochi virtuali questi mettono in gioco l'emozione ma non sviluppano l'intelligenza
emotiva. Daphne Bavelier, è una ricercatrice che da tempo studia l'effetto dei
videogiochi sulla mente dei bambini, e ha notato che gran parte dei videogiochi basati su
abilità visuo-motorie, mette in gioco meccanismi della mente che si riallacciano ad
antiche forme di comportamento umano: la caccia, l'inseguimento, la cattura. La
corteccia frontale per eseguire questi compiti spegne altre funzioni del cervello per poter
meglio praticare un compito che assorbe molte energie: ma se la pratica del gioco è
massiccia, la mente del bambino si abitua a fornire risposte rapide, sconnesse dalla
concretezza del mondo reale. (Effetti positivi e negativi dei videogiochi?) Secondo lo
psicologo Craig Anderson che ha svolto numerose ricerche sugli effetti dei videogiochi
sul comportamento infantile e adolescenziale un sovraccarico di immaginario ricco di
emozione può avere effetti antisociali. Anderson ha indicato come i giochi violenti
inducano modifiche della personalità in senso aggressivo e come i bambini e ragazzi che
li praticano intensamente siano anche caratterizzati da scarse prestazioni scolastiche e da
comportamenti devianti. I giochi di movimento simbolici hanno invece un ruolo
essenziale nella costruzione della socializzazione e nella cosiddetta intelligenza emotiva,
la capacità di leggere le emozioni degli altri. Un gioco di gruppo all'aria aperta comporta
un vero e proprio esercizio cognitivo e i bambini imparano le regole di gruppo, si
rendono conto della concretezza delle proprie azioni, del male che possono provocare
alcuni eccessi, della diplomazia necessaria a riallacciare relazioni che si sono raffreddate
anche se per poco tempo. La realtà virtuale è fatta soprattutto di immagini
bidimensionali, di passività, per questo non è l'ambiente ideale per favorire lo sviluppo
della mente infantile che è concreta, basata sull'interazione diretta, su una serie di
tentativi promossi dal bambino su tempi lenti anziché rapidi. Queste caratteristiche della
mente infantile furono descritte da Maria Montessori, la pedagogista aveva notato come
le esperienze dirette e le impressioni che esse lasciavano non si limitassero a penetrare
nella mente del bambino ma le formassero. Il bambino crea la propria “carne mentale”
usando le cose che ci sono nel suo ambiente. GIOCHI DIDATTICI E STILI DI
PENSIERO → Il termine “edutainment” è un neologismo inglese e indica quelle
situazioni in cui si verifica un apprendimento ludico basato sull'utiliizzo di videogiochi,
software educativi. Allo stesso tempo il termine sottende un concetto psicopedagogico,
cioè che osservando gli stili di gioco e le scelte praticate da un ragazzo si potrebbe
conoscere alcune caratteristiche della personalità e quindi orientarlo né l'una o nell'altra
direzione in base al suo stile di pensiero. Uno stile di pensiero è il modo di pensare
preferito e sono il prodotto di diversi fattori: - in primo luogo delle abilità individuali,
quelle competenze che ognuno di noi possiede che sono frutto di un complesso intreccio
tra caratteristiche innate e apprese - personalità - temperamento. Quindi un programma
di apprendimento di “edutainment”, può essere utile se non tende ad inquadrare un
particolare stile di un contesto troppo rigido e specifico: la realtà è plastica, come
sostengono gli scienziati cognitivi, tra cui Robert sandberg, che hanno dimostrato come
gli stili non siano rigidi, ma variabili. Non è detto che il software sia abbastanza plastico
da rivelare le sfaccettature dell'intelligenza e della plasticità del giocatore. CAPITOLO
5: LA MENTE E LE NUOVE TECNOLOGIE LA MENTE ESTESA → Uno dei più
noti filosofi della mente contemporanei, Daniel Dennet parla degli esseri umani come di
macchine cognitive nel senso che creano e traggono vantaggio da strumenti esterni, tra
cui le tecnologie dell'informazione, che consentono loro di codificare e manipolare la
realtà. La realtà agisce sul pensiero modificandolo. Sono quindi gli esseri umani a creare
un contesto cognitivo da cui conseguono vantaggi, al punto che è difficile separare due
aspetti, quello interno, cerebrale, e quello esterno, insito nell'ambiente che abbiamo
modificato. Vi sono degli interrogativi sul fatto che la mente possa coincidere con il
cervello, ma si tratta di interrogativi che sono mal posti, poiché una delle caratteristiche
della mente è proprio quella di essere estesa, non circoscritta ai confini del cervello. La
mente esteriorizza tramite il linguaggio complessi concetti che a lora volta strutturano il
pensiero, ma sfrutta anche le più diverse tecnologie, da quelle più semplici (come una
penna un quaderno) a quelle più complesse (come uno smartphone o un computer).
Questi strumenti amplificano il potenziale della mente e agiscono a loro volta su di essa,
plasmandola, dandole nuove forme e capacità. Partiamo dal linguaggio, attraverso cui
comunichiamo con le persone, facciamo dei piani, analizziamo le situazioni. Il
linguaggio ci aiuta a definire diversi aspetti della realtà, modifica la percezione,
favorisce l'elaborazione di un sistema di associazioni e diventa, come sostiene Bruner,
una sorta di amplificatore del pensiero. In altri casi però il linguaggio parlato non è
sufficiente, abbiamo bisogno pure della scrittura per materializzare un concetto, una
sequenza di azioni appropriate, ideare una strategia o dar corpo a una decisione. In
questo modo un foglietto di carta diventa lo strumento tramite il quale la nostra mente
supera i propri confini,diventa quindi estesa. Le relazioni tra mente e corpo sono troppo
evidenti: è attraverso il corpo che esploriamo la realtà, la rappresentiamo, la
modifichiamo. Un altro passo importante nei nostri rapporti con la realtà è stato quello di
rappresentarla in modo simbolico, cioè oltre le sensazioni immediate. La pantomima e i
suoni prelinguistici sono stati le prime forme di rappresentazione simbolica, cui ha
seguito un linguaggio sempre più strutturato. Ma ancor prima del linguaggio parlato gli
esseri umani si sono serviti di altri segni. Molti scienziati cognitivi non si limitano a
studiare la mente mediante un'analisi del cervello e magari del corpo e della realtà
naturale, ma anche delle sue interazioni con quei sussidi e mezzi, come la penna, la
carta, il computer o le stesse istituzioni, con cui il nostro cervello impara, matura e
opera. Non è infatti soltanto il cervello a immagazzinare l'informazione ma è anche
grazie alla scrittura che possiamo scaricare cervello e affidarle ai media più disparati. È
grazie alle parole, ai simboli, che il cervello umano è capace di quelle potenti strategie
che ci portano a risolvere problemi complessi. IMMAGINI, IMMAGINAZIONE E
IMMAGINARIO → Generare immagini mentali è un'attività che richiede una notevole
impegno mentale. (Per la mente l'analisi di una figura complessa richiede uno sforzo
massiccio e, come indicano tecniche quali la PET che visualizzano le aree del cervello
implicate in una determinata funzione, una notevole mobilitazione di rete e aree
nervose). L'immaginazione e la costruzione attraverso il disegno per computer,
presentano una

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