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CAPITOLO 3

LE BASI NEUROBIOLOGICHE DEI DISTURBI DEL


COMPORTAMENTO

Inizialmente il cervello e la mente venivano considerate come due entità


separate.
La distinzione tra mente e cervello caratterizza il paradigma dualista (Platone-
Cartesio) che ha informato nell’ultimo secolo e tutt’ora continua ad influenzare,
gran parte del pensiero scientifico relativo allo studio del comportamento e dei
disturbi mentali. Questo paradigma considera il cervello e la mente due diverse
realtà naturali, una appartenente al dominio della biologia e una a quello della
psicologia.
Nella seconda metà del secolo scorso, si afferma un paradigma
multidimensionale che considera le strutture biologiche come una condizione
necessaria ma non sufficiente per l’emergere delle funzioni di qualsiasi
organismo vivente e che la condizione sufficiente sia rappresentata
dall’ambiente.
Nel campo neurobiologico è stato soprattutto Lurjia ad affermare che le funzioni
mentali non sono entità a sé stanti, separate dalla struttura, ma che esse
emergono dalla relazione della struttura con l’ambiente. Nel cervello si
costituiscono le connessioni neurali, da cui emergono le funzioni mentali, grazie
al rapporto struttura-ambiente.
Più avanti Edelman, sostiene che il sistema nervoso ha la proprietà di
riconoscere o categorizzare gli oggetti dell’ambiente adatti al soddisfacimento
delle motivazioni connesse al mantenimento e all’evoluzione dell’organismo.
Questi riconoscimenti si inscrivono nelle molteplici e complesse reti neuronali
dell’encefalo che modificano i loro collegamenti sinaptici in rapporto alle
condizioni ambientali, configurandosi cosi continuamente nuove mappe
sensoriali all’interno delle aree cerebrali.
Oggi, si ritiene che i programmi genetici e i fattori epigenetici si combinano con
le esperienze di vita personali, dando luogo per ogni individuo a un prodotto
unico in termini di pensiero ed emozioni.
Si è arrivati a questa consapevolezza grazie ai contributi delle neuroscienze che
hanno dimostrato come il cervello non sia una struttura statica e rigidamente
cablata, bensì modificabile e malleabile, dotata cioè di plasticità . I neuroni
costantemente modificano le loro connessioni sinaptiche in risposta alla
stimolazione ambientale, all’apprendimento, all’esperienza e al programma
genetico.
Le neuroscienze, tramite diversi strumenti (Tomografia computerizzata o TC;
risonanza magnetica o RM; tomografia ad emissione di positroni o PET;
risonanza magnetica funzionale o RMf) fornisce importanti informazioni in vivo
sull’attività cerebrale e sulle sue disfunzioni. Attraverso l’impiego di tecniche di
attivazione, questi esami permettono di visualizzare quali regioni cerebrali sono
attivate nel corso di determinati compiti cognitivo-comportamentali.
Altro contributo l’ha dato la nascita della neuropsicologia, che studia le
funzioni cognitivo-comportamentali interagendo i dati clinici e quelli
dell’assessment con i principi metodologici e i disegni sperimentali propri della
ricerca psicologica.
La psicofarmacologia ha permesso lo studio dei meccanismi della trasmissione
neurochimica, studiando le connessioni attraverso cui i neuroni comunicano tra
loro e le sostanze chimiche che mediano la neurotrasmissione.
Infine la neurogenetica ha portato notevoli contributi alla conoscenza di come il
corredo genetico può influenzare il comportamento e favorire l’insorgenza di
disturbi mentali.

Questo rapporto fra struttura e ambiente può venire alterato sia per cause
inerenti la struttura (cause endogene), sia per cause inerenti l’ambiente (cause
esogene). La modellizzazione delle funzioni mentali come proprietà emergenti
dalla struttura in relazione con l’ambiente, permette di definire i disturbi del
comportamento come disturbi della funzione che, indipendentemente dalla loro
eziologia neurologica o psicoambientale, riconoscono una patogenesi unitaria,
centrata su un alterazione della relazione struttura/ambiente. Si arriva quindi
alla formulazione di un modello neurobiologico integrato, grazie non solo ai
risultati prodotti dalle neuroscienze, ma anche grazie alla formulazione del DSM-
IV nel 1994 in cui scompare la distinzione tra disturbi mentali organici e non
organici.

Possiamo distinguere varie tipologie di disturbi del comportamento che


interessano la sfera biologica e psicologica:
- Un esempio di fattori inerenti alla struttura è rappresentato da lesioni
cerebrali focali o diffuse su base vascolare, neoplastica o malformativa,
come nel caso di un disturbo depressivo che insorge secondariamente ad
una neoplasia cerebrale, oppure di una demenza;
- Un secondo ordine di disturbi del comportamento trova la sua eziologia in
una alterazione biochimica cerebrale legata a una modificazione della
concentrazione sinaptica di enzimi come la serotonina, il GABA,
l’acetilcolina ed altri che entrano nella regolazione delle diverse funzioni
cerebrali. Ad esempio una diminuzione dei livelli di serotonina causa una
modificazione della funzione dell’umore, determinando un
comportamento depressivo.
- Infine vi sono i disturbi del comportamento in cui assumono un ruolo
rilevante i fattori psicologici e psicosociali ed il paziente percepisce che
quel disturbo, pur fonte di sofferenza, è direttamente correlabile al suo
sistema di valori personali e alla sua esperienza, inserendosi nel mondo
dei suoi significati.
Sul piano terapeutico la visione multidimensionale dei disturbi del
comportamento orienterà la terapia sia verso interventi diretti alla
modificazione della struttura, sia verso interventi diretti alla modificazione
dell’ambiente. Per poter capire come indurre questi cambiamenti dobbiamo
capire come è formato anatomicamente e come funziona il nostro cervello.

La conoscenza dell’organizzazione neuronale dei processi mentali costituisce


uno dei problemi fondamentali per la comprensione delle complesse relazioni
esistenti tra il cervello ed il comportamento.
La corteccia cerebrale è composta da aree con diversa morfologia cito-
mieloarchitettonica e con diversa specializzazione neurale, interconnesse tra
loro e con altre strutture sottocorticali mediante vie sinaptiche servite da
differenti neurotrasmettitori.
La molteplicità di nodi e circuiti costituenti le reti neuronali spiega come una
singola lesione o disfunzione cerebrale possa interferire nel funzionamento di
diversi processi cognitivo-emozionali e allo stesso tempo spiega come un singolo
processo cognitivo-emozionale possa venire alterato da lesioni localizzate in
differenti parti di uno stesso circuito.
Le aree sensoriali e motorie, in stretta relazione con l’ambiente
extrapersonale, costituiscono i substrati neurali dove le informazioni
provenienti dagli organi periferici di senso subiscono un primo livello di analisi
e dove vengono eseguiti gli atti motori.
Le aree associative unimodali ed eteromodali sono deputate alla
programmazione motoria e alla elaborazione e integrazione delle percezioni,
permettendo cosi all’uomo di muoversi, di conoscere e di comunicare.
Esistono inoltre aree cerebrali che sono correlate con il controllo emozionale
come alcune aree del lobo frontale e le strutture del sistema limbico.
Il sistema limbico comprende le aree limbiche che sono in stretta relazione con
l’ambiente interno intrapersonale (regolato dall’ipotalamo) e deputate al
controllo sottocorticale delle emozioni e le aree paralimbiche, interposte tra la
neocorteccia e le aree limbiche che insieme alle aree frontali costituiscono il
sistema di controllo corticale delle risposte emozionali.
Le aree della corteccia cerebrale sono collegate con strutture sottocorticali,
rappresentate dai gangli della base, dal tronco dell’encefalo e dal talamo. Queste
strutture svolgono un ruolo importante non solo nel controllo delle funzioni
sensoriali e motorie ma anche nella mediazione dei processi cognitivi ed
emozionali.
Dal tronco dell’encefalo, struttura situata sotto il cervello e costituita dal bulbo,
dal ponte e dal mesencefalo, originano sistemi neurali a proiezione diffusa che
esercitano un’azione modulatrice sulla corteccia cerebrale, regolando la
vigilanza, l’attenzione e altre importanti funzioni di controllo, come l’umore e la
motivazione. I nuclei del tronco dell’encefalo formano dei gruppi nucleari
circoscritti all’interno di una rete diffusa di neuroni chiamata formazione
reticolare.
I neuroni di questi nuclei sono divisi in:
- neuroni dopaminergici: importanti per il controllo del movimento ed a
seguito di una loro distruzione o degenerazione si verificano i disturbi
motori del morbo di Parkinson;
- neuroni serotoninergici: che svolgono un ruolo nella regolazione del
comportamento alimentare, sessuale, nel controllo dell’ansia e dell’umore,
nel controllo delle condotte impulsive e dell’aggressività , nel mediare gli
effetti soggettivi dell’alcol;
- neuroni noradrenergici: che esercitano una influenza tonica modulatrice
sui neuroni della corteccia cerebrale, influenzando numero aspetti
dell’arousal e della attenzione, della memoria, dei comportamenti affettivi,
influenzando negativamente l’attività del locus ceruleus;
- neuroni colinergici: del tronco dell’encefalo che svolgono un ruolo nel
controllo di diverse funzioni cognitive, in particolare della memoria e
dell’attenzione. Nella demenza di Alzheimer è presente una degenerazione
di questo sistema, inizialmente a livello dell’ippocampo;
- neuroni gabaergici e istaminergici: che intervengono nel controllo
dell’ansia, delle funzioni neurovegetative e nel controllo della percezione
degli stimoli dolorifici.
Questi gruppi di neuroni prendono il nome di “funzioni stato-dipendenti” perché
influenzano lo stato di elaborazione dei processi cognitivo-emozionali mediati
dalla corteccia cerebrale: i processi cognitivo-emozionali corticali dipendono a
loro volta dalla integrità delle cosiddette “funzioni strumentali” come il
linguaggio, che sono mediate da reti neuronali cortico-sottocorticali dedicate
alla elaborazione di una specifica funzione.

Il ruolo delle diverse aree e strutture cerebrali nella regolazione del


comportamento umano può venire meglio compreso all’interno di un’ottica
motivazionale evolutiva che trova le sue radici nella biologia evoluzionista di
MacLean. Lui ha proposto la teoria del cervello tripartito suddividendolo in
tre parti: cervello rettiliano, limbico e neocorticale. La sua teorica ci dice che il
sistema limbico abbia seguito nel corso del tempo uno sviluppo progressivo
lungo la scala di evoluzione dei mammiferi parallelamente allo sviluppo del
legame materno infantile e all’evoluzione dei sistemi motivazionali e dei
comportamenti sociali complessi.
Secondo la teoria dei sistemi motivazionali interpersonali di Liotti, ogni
cervello è depositario di sistemi biologici a cui afferiscono assetti
motivazionali, che sono innati e deputati alla mediazione di funzioni biologiche
e di interazioni sociali. Per esempio il cervello rettiliano ha come motivazione
fondamentale l’alimentazione e la sessualità e per soddisfare queste motivazione
l’individuo deve mettere in atto determinati comportamenti che hanno
specifiche funzioni, utilizzando in questo caso la percezione.
Le motivazioni limbiche si identificano con i comportamenti affiliativi
interindividuali che comprendono l’attaccamento, l’accudimento, la
competizione per il rango e la cooperazione.

Il sistema limbico è il mediatore interposto tra la corteccia cerebrale e


l’ipotalamo, tra il mondo esterno e l’ambiente interno dell’organismo. Esso,
insieme all’ipotalamo, è specializzato nella modulazione degli istinti e delle
spinte motivazionali, nella valutazione delle valenze emotive degli stimoli, nella
produzione di specifiche risposte espressive ed autonomiche e nelle funzioni di
memoria e di apprendimento, nonché nella regolazione delle funzioni endocrine
ed immunitarie. Esso comprende due aree:
- Le aree limbiche, costituite dall’amigdala, dalla formazione
dell’ippocampo, dalla corteccia olfattoria, dal setto, dalla sostanza
innominata. Studi condotto da LeDoux hanno aiutato a comprendere il
ruolo dell’amigdala nel processo di attribuzione di un significato
emozionale ad uno stimolo, in particolare quando l’ansia e la paura sono
implicate. I suoi studi ci mostrano che esistono due principali vie
attraverso cui lo stimolo raggiunge l’amigdala: una via diretta
sottocorticale (elabora le risposte emozionali spontanee e incontrollate),
più veloce, e una via indiretta corticale (che arricchisce gli stimoli di
informazioni percettive e semantiche), più lenta.
- Le aree paralimbiche che comprendono il complesso del cingolo, il giro
paraippocampale, il polo temporale, l’insula e parte della corteccia
orbitofrontale. Queste aree elaborano gli stati affettivi interni
dell’organismo, provvedendo alla integrazione implicita degli input
provenienti dall’ambiente interno dell’organismo con le risposte viscerali-
motorie e delle proprietà fisiche degli stimoli sensoriali con i valori
affettivi e emozionali. Altre aree paralimbiche svolgono di tipo valutativo,
e altre ancora proiettano all’amigdala e alla formazione dell’ippocampo.
Queste connessioni mediano i bisogni interni dell’organismo con le
richieste del mondo esterno modificando il comportamento e adattandolo
alle richieste ambientali.

Il lobo frontale è situato nella zona rostrale di ciascun emisfero cerebrale e può
venire suddiviso in una componente caudale che contiene la corteccia motoria
ed in una rostrale denominata prefrontale.
Le aree prefrontali sono deputate all’elaborazione ed al controllo delle funzioni
cognitive e dei processi emozionali e costituiscono la sede delle più alte funzioni
cerebrali.
La corteccia dorsolaterale prefrontale svolge un ruolo nella organizzazione
temporale del comportamento, permettendo l’elaborazione di sequenze di
azioni volontarie temporalmente e logicamente ordinate, necessarie per la
programmazione motoria. Di conseguenza pazienti con un danno localizzato in
questa zona mostreranno una ridotta flessibilità cognitiva, una tendenza alla
perseverazione e una riduzione della fluidità verbale, con deficit nelle funzioni
cognitive o nell’umore come l’apatia.
La corteccia orbitoventromediale è caratterizzata da proprietà anatomiche e
funzionali del tutto diverse. Svolge una funzione di inibizione e regolazione della
attività motoria, dei processi cognitivi, delle spinte istintuali e sulla interferenza
degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno o interno dell’organismo. Essa
provvede ad inibire le informazioni e gli stimoli meno appropriati in favore di
quelli richiesti dall’obiettivo da raggiungere. Pazienti con un danno in
quest’area, non riescono ad inibire determinati comportamenti motori e
mostrano drammatici cambiamenti di personalità , con perdita di insight e
disturbi della condotta sociale. Essa controlla anche l’aggressività e l’umore della
persona.
La corteccia del giro cingolato anteriore è importante per la motivazione e
per l’iniziativa, sia nell’ambito motorio che in quello cognitivo ed emozionale.
Lesioni di questa regione o delle sue connessioni sono spesso associate alla
comparsa di acinesia, di apatia-abulia e di mutismo.
Le strutture neocorticali, invece, permettono un repertorio di comportamenti
improntati a una maggiore flessibilità cognitiva, alla ricerca di strategie
appropriate e all’adattamento a situazioni diverse. A questo livello compare la
coscienza.
John Hughlings-Jackson, nel XIX secolo ha ritenuto che la lesione di una
struttura non fosse funzionalmente confinata alla sola zona del danno cerebrale
ma determinasse nuovi modi di funzionamento nelle rimanenti parti del sistema.
Il comportamento di un soggetto successivamente ad un danno cerebrale non
potrà , quindi, essere la risultante di una semplice sottrazione di una o più
componenti del sistema funzionale dalle altre rimaste integre, ma risulterà
essere una combinazione della perdita delle funzioni alterate per effetto della
lesione e dei cambiamenti nella funzionalità di altre strutture che erano
precedentemente in rapporto con quelle in cui ha sede la lesione.
L’autismo infantile di Kanner è una malattia le cui basi eziopatogenetiche sono
state associate ad una disfunzione del sistema frontale, limbico e del cervelletto
mostrando sintomi quali l’incapacità a stabilire un contatto affettivo con gli altri,
l’incapacità a usare il linguaggio ai fini comunicativi, la ricerca ansiosa e
ossessiva del mantenimento della costanza dell’ambiente personale insieme alla
riduzione dell’attività spontanea, comportamenti ripetitivi e ritualizzati.
Nel ritardo mentale grave, prevalgono disturbi comportamentali secondari in
prevalenza ad una disfunzione del sistema frontale e di altre aree neocorticali e
del sistema limbico, con il conseguente impoverimento dei repertori
comportamentali.
Le basi neurobiologiche del disturbo ossessivo-compulsivo, furono studiate
Schilder che rilevò la presenza di segni neurologici come ipomimia, tremore,
ipertonia, impulsi a camminare o a parlare in circa un terzo dei pazienti con
manifestazioni ossessivo compulsive. Secondo le sue ipotesi alterazioni cerebrali
organiche, indotte da fattori costituzionali o da lesioni insorte nella vita fetale o
dopo il parto, potevano liberare impulsi motori che davano luogo a
comportamenti compulsivi. Altri autori individuarono come centro del problema
e delle disfunzioni il corpo striato. Sulla base di dati biochimici, farmacologici e
morfo-funzionali, sono stati sviluppati alcuni modelli patogenetici che hanno
cercato di spiegare il disturbo inteso come una manifestazione legata alla
disfunzione di un circuito fronto-sottocorticale che collega la corteccia
prefrontale, orbitofrontale e cingolata, con il complesso gangli della
base/limbico-striato e i nuclei mediali talamici.

Le basi neurobiologiche dell’aggressività possiamo ricondurle ad una


disfunzione del sistema limbico o della corteccia frontale, causata da lesioni
strutturali, processi degenerativi, epilessia o alterazioni metaboliche, con
disfunzioni nei meccanismi neurotrasmettitoriali, in particolare serotonina,
dopamina, norepinefrina, GABA e acetilcolina. Da un punto di vista biologico un
comportamento aggressivo può derivare da: un aumento delle spinte
motivazionali aggressive; un incremento della reattività emozionale agli stimoli
ambientali; una perdita del controllo inibitorio sul comportamento. L’ipotalamo
dorso laterale sembra svolgere un ruolo nella programmazione e nell’avvio degli
attacchi stereotipati e dei comportamenti aggressivi compresi l’aggressività
predatoria o di difesa.
Diversi disturbi comportamentali e cognitivi in pazienti con disfunzioni
prefrontali, possono indirettamente contribuire alla insorgenza di
comportamenti aggressivi, compreso un aumento della egocentricità .
I nuclei bioaminergici del tronco encefalico e i neuroni colinergici del
proencefalo basale giocano un ruolo critico nella modulazione della
elaborazione delle informazioni attraverso la neocorteccia ed il sistema limbico.

L’ansia è uno stato caratterizzato da fenomeni sia soggettivi che oggettivi. I


primi possono variare da preoccupazioni razionali o da paure relative a
situazioni specifiche, a preoccupazioni esagerate e infondata riguardo a
situazioni future in generale, a paure irrazionali di oggetti specifici o di
particolari situazioni ed attività . I segni di un grave stato d’ansia sono
sovrapponibili a quelli di iperattività del sistema vegetativo simpatico, associati
a secchezza delle fauci, irrequietezza e agitazione psicomotoria.
L’amigdala gioca un ruolo chiave nel mediare il riconoscimento di stimoli nuovi
e degli stimoli di rinforzo delle associazioni emozionali da lungo tempo appressi.
L’ipotalamo promuove gli istinti biologici di base come pure gli stati emozionali
primitivi e media l’attivazione del sistema nervoso simpatico associata alla
paura e all’ansia. Le componenti viscerali di questi strati emozionali sono
mediate dalle connessioni all’insula e ad altri nuclei del tronco dell’encefalo.
I sistemi noradrenergici, dopaminergici, serotoninergico e colinergico sono
coinvolti nella genesi e nel controllo dell’ansia attraverso la loro capacità di
controllare la sensibilità dei neuroni sottocorticali.
Stimoli che inducono paura, producono un grosso aumento della eccitabilità del
locus coeruleus (LC) con conseguente incremento dell’arousal e dell’attività del
sistema nervoso autonomo e delle rispettive risposte comportamentali.
Un aumento del rilascio di dopamina (DA) sia nella neocorteccia che nel nucleus
accumbens, sembra essere correlato allo sviluppo della sensibilizzazione indotta
dallo stress. A livello farmacologico si utilizzavano le benzodiazepine che
facilitavano la trasmissione GABAergica attraverso la modulazione allosterica
dei recettori.
Derrybery e Tucker suggeriscono che gli individui con disturbi d’ansia tendono
ad essere comportamentalmente inibiti e mostrano un focus attentivo più
ristretto di quelli con manifestazioni affettive più positive.

Nella depressione l’umore si abbassa ad assume una tonalità pessimistica o


cupa, accompagnato da un senso di inutilità , un aumento dell’irritabilità ,
dell’ansia, della rabbia. L’eloquio è rallentato, con un indebolimento della sfera
volitiva, con performance motorie rallentate. È presente una idealizzazione
rallentata, una percezione indebolita o trasformata con focus sulle esperienze
negative.
L’alterazione della sfera neurovegetativa denota l’importanza delle componenti
somatiche del disturbo dell’umore. Sono da valutare in particolare la funzione
sessuale, alimentare e il ritmo sonno-veglia. Nel maschio si ha una riduzione o
scomparsa del desiderio sessuale; nella donna alla riduzione della libido fa
riscontro l’irregolarità del ciclo mestruale, sino alla sua interruzione.
La depressione è sicuramente un disturbo a genesi multifattoriale, con anomalie
nella concentrazione sinaptica delle amine biogene quali la noradrenalina, la
serotonina e la dopamina.
La serotonina è il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto e associata alla
depressione. Farmaci come gli SSRI sono comunemente utilizzati per il
trattamento della depressione in quanto sono in grado di bloccare la
ricaptazione della serotonina, aumentandone cosi la disponibilità nello spazio
intersinaptico. Altri neurotrasmettitori implicati sono la noradrenalina e la
dopamina.
Studi di neuroimaging evidenziano una compromissione metabolica che include
la corteccia paralimbica prefrontale orbitofrontale, la corteccia temporale
anteriore, i gangli della base, l’amigdala e il talamo.
Le ricerche di neuroimaging e gli aspetti clinici hanno portato alla formulazione
di un modello della depressione fondato su tre componenti:
- Un compartimento dorsale dove si ritrovano strutture che svolgono un
ruolo critico nei processi attentivi e nelle funzioni esecutive;
- Un compartimento ventrale la cui disfunzione determina i sintomi della
sfera somatica e vegetativa della depressione;
- Il giro del cingolo rostrale che ha la funzione di regolazione del flusso delle
informazioni che vengono scambiate tra il compartimento dorsale e quello
ventrale e la cui disfunzione interferisce negativamente sulle interazioni
tra le componenti cognitive, somatiche, affettive e vegetative del
comportamento.

In conclusione possiamo dire che ogni disturbo del comportamento va


interpretato non solo nella prospettiva biologica ma anche in quella psicologica
e psicosociale.

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